• Non ci sono risultati.

Il concordato in continuità e il ruolo dell'attestatore: poteri divinatori o applicazione di principi di best practice

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il concordato in continuità e il ruolo dell'attestatore: poteri divinatori o applicazione di principi di best practice"

Copied!
19
0
0

Testo completo

(1)

IL CONCORDATO IN CONTINUITA’ E IL RUOLO DELL’“ATTESTATORE”: POTERI DIVINATORI O APPLICAZIONE DI PRINCIPI DI BEST PRACTICE

(QUATTROCCHIO Luciano M. – RANALLI Riccardo) 1. Premessa. L’ambito di applicazione della disciplina.

Prima di entrare in medias res, pare opportuno delineare l’ambito di applicazione della nuova disciplina, anche al fine di mettere in opportuna evidenza le novità rispetto alla disciplina (pre)vigente.

Sino ad oggi gli operatori, nell’affrontare la crisi d’impresa e nell’individuare possibili soluzioni concordatarie, potevano prospettare sostanzialmente due ipotesi tipiche: un piano liquidatorio o un piano conservativo; il primo prevedeva la liquidazione dell’intero attivo concordatario, in termini atomistici od unitari; il secondo la continuità aziendale in seno alla stessa impresa sottoposta a procedura concorsuale. Vi era poi un continuum di soluzioni intermedie, che prevedevano un piano misto liquidatorio e conservativo.

La continuità aziendale si realizzava, dunque, non attraverso l’astratta prosecuzione del business, bensì mediante una sorta di continuità d’impresa.

Uno dei pregi, di carattere sistematico, della novella consiste senza dubbio nell’aver – per così dire – enucleato l’azienda dall’impresa nell’ambito della quale essa viene esercitata e nell’aver qualificato in termini di continuità sia la cosiddetta continuità diretta, e cioè la prosecuzione del business nell’ambito dell’originaria legal

entity, sia la cosiddetta continuità indiretta, ovvero la prosecuzione del business

attraverso una sorta di segregazione aziendale.

La correttezza di tale ipotesi interpretativa trova, tra l’altro, conferma nella rubrica dell’art. 186-bis, ove si utilizza l’espressione “Concordato con continuità aziendale” e non, invece, “Concordato in continuità”.

La distinzione, sul piano pratico oltreché teorico, è ricca di conseguenze operative in termini sia di redazione e monitoraggio del piano sia di “attestazione”.

D’altronde, la distinzione fra continuità aziendale indiretta – come prospettata nella novella – e (dis)continuità aziendale di natura liquidatoria è di immediata evidenza: nel primo caso, il soddisfacimento dei creditori è assicurato dal pagamento del prezzo derivante dalla generazione di adeguati flussi finanziari per effetto della

(2)

continuità aziendale vera e propria; nel secondo, esso consegue al mero pagamento del prezzo cash, quale derivazione esogena.

Per chiarire meglio la differenza, si potrebbe addirittura prospettare l’ipotesi di un concordato misto, in parte liquidatorio e in parte “con continuità aziendale”, in cui un ramo d’azienda venga ceduto con pagamento del prezzo cash e un altro ramo d’azienda venga ceduto “in continuità”: si realizzerebbe, in tale caso, una parziale (dis)continuità aziendale e, contestualmente, una parziale continuità aziendale.

Va da sé che nel caso di (dis)continuità aziendale – ipotesi ampiamente utilizzata in pratica – il piano concordatario poteva limitarsi all’individuazione dei flussi generati per effetto del pagamento esogeno del prezzo e l’“attestazione” alla verifica dell’attuabilità del piano concordatario medesimo nel suo complesso, anche grazie alla disponibilità di tali risorse finanziarie.

Per contro, nel caso di vera e propria continuità aziendale indiretta, il piano concordatario – per così dire – si “sdoppia”, riguardando sia la legal entity originaria sottoposta a procedura concorsuale sia la legal entity in seno alla quale il business prosegue.

In tale ultimo caso, alla luce dello spirito della mini-riforma, è lecito parlare di continuità aziendale indiretta; laddove, la (dis)continuità aziendale indiretta deve essere qualificata più propriamente come liquidazione, ancorché non atomistica.

In tale prospettiva, il piano concordatario e l’attestazione “seguono” l’azienda nella sua dinamica vicenda circolatoria.

2. I requisiti del “professionista attestatore”.

L’art 161, 3° comma, L.F., non modificato dalla novella, prevede che il piano e la documentazione allegata al ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo debbano essere accompagnati dalla relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, 3° comma, L.F., che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo.

Tale ultima norma è stata modificata, o – per meglio dire – integrata, attraverso l’esplicita previsione del possesso, da parte del professionista, del carattere di indipendenza. In particolare, la specificazione del carattere dell’indipendenza è portata da una disposizione di carattere generale – quasi una petizione di principio – in base alla quale il professionista non deve essere «legato all’impresa e a coloro che hanno

(3)

interesse all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio»; e da una norma esplicativa o – per

meglio dire – esemplificativa, secondo cui il professionista «deve essere in possesso dei

requisiti previsti dall'articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo».

Partendo da quella che, per semplicità, è stata indicata come norma esplicativa o esemplificativa, si deve rilevare come essa colmi una lacuna derivante da un difetto di rinvio nella disciplina (pre)vigente, ove lo stesso art. 67, 3° comma, L.F., si limitava a richiamare l’art. 28, 1° comma, lett. a) e b), L.F., senza peraltro fare cenno al 2° comma dello stesso articolo, il quale prevedeva che non potessero assumere la carica di curatore «il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e

chi ha concorso al dissesto dell’impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento».

La novella, nel colmare la lacuna, opera un espresso rinvio all’art. 2399 c.c., dettato in tema di società per azioni, il quale individua le “Cause d’ineleggibilità e di decadenza” dei sindaci, attraverso una disciplina particolarmente analitica. In particolare, tale ultima norma prevede che non possano essere eletti alla carica di sindaco: a) «l’interdetto, l’inabilitato, il fallito o chi è stato condannato ad una pena

che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi»; «b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che le controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; c) coloro che sono legati alla società o a società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza».

La richiamata norma concorsuale, attraverso una previsione ulteriormente restrittiva, stabilisce che il designando professionista non debba, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero

(4)

partecipato agli organi di amministrazione o di controllo. Il tema, che ha formato oggetto di ampio dibattito anche in relazione all’indipendenza del sindaco, dovrebbe forse essere valutato alla luce della numerosità e dell’importanza (anche economica) delle prestazioni rese da soggetti con i quali il designando “professionista attestatore” è unito in associazione professionale; nonché tenendo conto di ipotesi particolari, quali quella in cui quest’ultimo sia unito in associazione professionale con un componente dell’organo di controllo della società.

Quanto all’ipotesi – che la novella considera costituire un caso di compromissione dell’indipendenza – del “professionista attestatore” che abbia rivestito la carica di componente dell’organo di controllo del debitore, si deve ritenere che la norma sottenda la considerazione secondo egli sarebbe chiamato ad esprimersi su situazioni ed elementi già oggetto di valutazione – quali l’esame della veridicità dei dati contabili, la correttezza degli atti di gestione, ed in generale una sorta di auto-riesame – che potrebbero menomare l’indipendenza di giudizio.

Venendo alla disposizione di carattere generale, occorre interrogarsi se – da un lato – vi possano essere ipotesi ulteriori, rispetto a quello sopra richiamate, in cui il professionista designando sia legato all’impresa da «rapporti di natura personale o

professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio», e – dall’altro lato –

quali siano le ipotesi un cui lo stesso sia legato «a coloro che hanno interesse

all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio».

In merito alla prima fattispecie, possono forse essere richiamati i soggetti – indicati dall’art. 28, 2° comma, L.F. – e, cioè, i creditori dell’impresa e coloro i quali abbiano concorso al dissesto della stessa durante i due anni anteriori. Pare, per contro, non potersi individuare – almeno in astratto – un limite all’indipendenza in capo al professionista che abbia predisposto la “relazione di attestazione” per un precedente piano, giacché quest’ultimo probabilmente non rientra – quantomeno tecnicamente – nel novero dei soggetti che hanno «prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro…

autonomo in favore del debitore».

Il tema dovrebbe, forse, essere traslato sotto il profilo di un’eventuale inopportunità, ove il nuovo piano si discosti dal precedente non per effetto di fatti sopravvenuti, ma in conseguenza di una rimeditazione dei criteri valutativi; o, peggio ancora, nell’ipotesi in cui siano emerse evidenze tali da compromettere l’attendibilità

(5)

della precedente “relazione di attestazione”. D’altronde, un’interpretazione letterale della norma condurrebbe al paradosso per cui il “professionista attestatore” non potrebbe essere designato nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano, ove queste ultime scaturiscano, ad esempio, da una proposta migliorativa.

Più difficile appare l’identificazione dei soggetti rientranti nella seconda fattispecie. Infatti, o si ritiene di applicare estensivamente – mutatis mutandis – tutte le ipotesi descritte per i soggetti “legati all’impresa” ovvero, in caso contrario, occorre delineare una categoria diversa e forse più ristretta di indipendenza.

Nella prima ipotesi interpretativa, occorrerebbe ritenere – volendo esemplificare – che non possa essere designato “professionista attestatore” il soggetto che ricopra la carica di amministratore di una società creditrice dell’impresa insolvente o il consulente della prima; e fin qui nulla quaestio. Ma che dire dei parenti e degli affini dell’amministratore o dei soggetti che siano legati a società controllate «da altri

rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza»? Certamente,

dovrebbero essere esclusi dal novero quantomeno i componenti dell’organo di controllo di una società creditrice, i quali – proprio in ragione dell’attività svolta – sono, per definizione, portatori e garanti dell’indipendenza.

Forse allora, pur considerando il complesso delle ipotesi delineate con riferimento ai soggetti legati all’impresa come una sorta di paradigma di riferimento, occorrerebbe limitarne l’applicazione ai soli casi in cui i “legami” con imprese o società che abbiano interesse all’operazione di risanamento siano – in astratto o in concreto – tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio.

Ma l’indagine potrebbe non dirsi completamente conclusa. Infatti, ci si dovrebbe interrogare se vi possano essere altri soggetti – non creditori dell’impresa – che abbiano “interesse all’operazione di risanamento” e quali sino le ipotesi di “legami” con questi ultimi del professionista designando, tali da poterne compromettere l’indipendenza.

Una prima ipotesi esemplificativa potrebbe, forse, essere quella richiamata dall’art. 28, 2° comma, L.F., e cioè «chi ha concorso al dissesto dell’impresa durante i

due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento». Si pensi, ad esempio, a controparti che abbiano posto in

essere, con l’impresa oggetto di risanamento, operazioni tali da causarne il dissesto o concorrere alla causazione dello stesso; in tale ipotesi ben potrebbero configurarsi “legami” con il professionista designando, tali da poterne compromettere

(6)

l’indipendenza.

Ma la varietà delle ipotesi è tale da richiedere una trattazione specifica.

3. La relazione del “professionista attestatore”. Premessa.

La recente riforma attua l’auspicata “convergenza” verso l’attestazione di

feasibility dei giudizi richiesti al professionista in ipotesi di piano attestato, accordo di

ristrutturazione e concordato preventivo, introducendo, in particolare, la previsione, anche per i piani di risanamento, di una attestazione di “fattibilità”, analoga – nella sua qualificazione – a quella di attuabilità dell’accordo di ristrutturazione omologato e di fattibilità del concordato preventivo1. La convergenza è – tra l’altro – attuata anche sul piano dell’attestazione di veridicità dei dati aziendali, ora espressamente richiesta per gli accordi di ristrutturazione omologati e per i piani di risanamento, in linea con la prevalente dottrina e giurisprudenza, che riteneva necessaria un’espressione al riguardo, se non in termini di attestazione, quantomeno in forma di verifica da parte del professionista.

Rispetto a tale convergenza, il neointrodotto art. 186-bis L.F. non stravolge, ma integra i contenuti dell’attestazione nel caso di concordato preventivo con continuità aziendale, prescrivendo che – oltre all’accertamento della veridicità dei dati aziendali e alla fattibilità del piano, richiesti dall’art. 161, 3° comma, L.F. – l’attestatore si pronunci anche sulla convenienza della continuità per i creditori.

In effetti non vi è ragione di ritenere che, quanto a veridicità e fattibilità, l’attestazione presenti un contenuto diverso rispetto a quello che essa assumeva per i concordati di continuità ante riforma, salvo per quanto attiene alle nuove, rilevanti, opportunità ora concesse nell’ambito del piano concordataria (finanziamenti in prededuzione, pagamenti di crediti anteriori, continuità dei contratti pubblici, partecipazione a procedure di affidamento).

4.1. L’attestazione della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano.

La prospettiva della continuità aziendale impone che il giudizio di feasibility prescritto dall’art. 161, 3° comma, L.F., non sia limitato, in termini temporali e di ampiezza dell’indagine, ai profili meramente esecutivi del piano, ma che – pur nel necessario coordinamento con la prospettiva di miglior soddisfacimento dei creditori di

1 Si veda, in questa rivista, l’intervento del 26 giugno 2012 di F. Lamanna, Il. c.d. Decreto Sviluppo:

(7)

cui all’art. 186-bis, 2° comma, lett. b), L.F. – si pronunci sull’idoneità del piano concordatario ad assicurare – in termini patrimoniali, economici e finanziari – la sostenibilità della continuità aziendale; continuità che, beninteso, assume connotati assai diversi a seconda che il piano preveda la prosecuzione diretta, ovvero indiretta, dell’azienda.

Pare ragionevole ritenere che “il professionista attestatore” debba estendere la propria indagine, oltre che alla verifica del (miglior) soddisfacimento dei creditori, anche all’accertamento dell’effettivo ripristino delle condizioni di equilibrio finanziario dell’impresa; e ciò al fine di scongiurare situazioni di disequilibrio che possono dar luogo a una non sostenibilità del debito, quale condizione sintomatica, a sua volta, di fenomeni di insolvenza prospettica. Il che si traduce nella necessità che il contenuto e l’orizzonte temporale del piano sottoposto all’esame del professionista siano tali da consentire a quest’ultimo di cogliere, pur senza menomare l’affidabilità delle previsioni2, l’idoneità del piano proposto ad assicurare la condizione di equilibrio economico-finanziario dell’impresa.

Un approccio razionale per l’espressione del giudizio di attuabilità del piano dovrebbe, in particolare, muovere dall’individuazione dei fattori di rischio esogeni ed endogeni che potrebbero pregiudicare l’avveramento delle assunzioni, la verifica dell’esistenza e della possibile adozione – da parte degli amministratori – di strumenti di mitigazione di tali rischi, per concludere nella misurazione dell’impatto del rischio residuo attraverso l’esecuzione di apposite prove di resistenza.

L’intervento dell’attestatore assume, tuttavia, connotazioni assai differenti, in termini di oggetto dell’indagine e di estensione dell’orizzonte temporale dell’indagine, a seconda delle modalità attraverso le quali si realizza la continuità aziendale.

Nel caso di continuità diretta in capo allo stesso debitore, il professionista deve verificare, oltre all’idoneità del piano a garantire il soddisfacimento dei creditori, anche la capacità di esso di consentire il riequilibrio finanziario della stessa impresa, dando evidenza della rimozione delle eventuali situazioni di insolvenza3 esistenti ed

2 La dottrina aziendalistica individua in un orizzonte di 3-5 anni l’arco temporale nel quale deve poter

essere osservato il raggiungimento da parte dell’impresa di una condizione di equilibrio economico-finanziario, atteso che, oltre tale orizzonte, decresce l’affidabilità delle proiezioni. In questo senso si veda la Raccomandazione n. 5 contenuta nella Linee guida per il finanziamento alle imprese in crisi, nella quale peraltro si ammette un’estensione superiore a condizione che siano introdotti meccanismi di salvaguardia aggiuntivi per compensare il rischio di eventi imprevedibili.

3 La ricorrenza di una situazione di insolvenza è peraltro meramente eventuale, non coincidendo essa con

(8)

escludendo eventuali fenomeni di insolvenza prospettica nell’orizzonte di piano. Come si è già accennato, infatti, non bisognerebbe limitare l’indagine al (miglior) soddisfacimento dei creditori, senza verificare che siano ripristinate – ovviamente nei limiti dell’orizzonte temporale del piano – le condizioni di equilibrio finanziario necessarie alla prosecuzione in bonis dell’attività d’impresa. Il che è tanto più necessario nel caso in cui le modalità di soddisfacimento prevedano in tutto o in parte la conversione del debito in strumenti di equity o semiequity (compresi gli strumenti finanziari partecipativi di cui all’art. 2364 c.c.). In tal caso, infatti, la valutazione di convenienza (e cioè la stima del grado di soddisfacimento) per i creditori dipende dal valore “a regime” dell’impresa; per tale intendendosi il valore che l’impresa assumerà una volta attuate le azioni previste dal piano e ristabilite le condizioni di equilibrio finanziario.

Un giudizio non dissimile è richiesto nel caso della continuità attuata attraverso il conferimento dell’azienda, ove il soddisfacimento dei creditori sia previsto con i flussi derivanti dall’alienazione delle azioni della conferitaria o attraverso l’assegnazione diretta agli stessi di tali azioni ovvero ancora attraverso i dividendi e i riparti attesi dalla conferitaria. In tale caso, il professionista è chiamato a svolgere una verifica di sostenibilità economica e finanziaria della conferitaria, sulla base di un piano distinto ed autonomo, escludendo – anche in tale caso – fenomeni di insolvenza “indotta”; egli è, inoltre, chiamato ad esprimersi sul valore economico del capitale della stessa all’esito del “risanamento”, e ciò a beneficio della valorizzazione degli strumenti di ristoro dei creditori di cui si è detto. Anche in tale ipotesi l’indagine deve essere condotta avendo a riferimento l’intero arco temporale del piano.

Nel caso di continuità attuata mediante affitto e successiva cessione dell’azienda ad una società di nuova costituzione, con previsione di pagamento – dilazionato e non garantito – del prezzo (che potrebbe essere in tutto o in parte costituito da eccedenze di flussi generati dalla stessa gestione aziendale), il professionista dovrebbe verificare la sostenibilità del piano aziendale in capo alla società cessionaria, in quanto esso rileva, in via mediata, ai fini del soddisfacimento dei creditori pregressi; egli dovrebbe, inoltre, escludere il rischio di ricadute sul debitore dall’eventuale dissesto della cessionaria, in termini sostanzialmente analoghi a quelli prospettati per il caso di conferimento, Nell’ipotesi considerata, il piano ed il conseguente esame del professionista dovrebbero estendersi sino al momento in cui è previsto l’incasso del prezzo di vendita dell’azienda

(9)

destinato al pagamento dei creditori concorsuali.

Nel caso di cessione dell’azienda con pagamento immediato e garantito del prezzo, ipotesi che non può considerarsi – in senso stretto – di “continuità aziendale”, l’attestatore potrebbe limitarsi a verificare la fattibilità degli atti esecutivi del piano, senza necessità di esaminare le vicende dell’azienda presso il cessionario, salvo che la prosecuzione aziendale sia funzionale anche all’esecuzione della liquidazione dei restanti assets non trasferiti. E’ questo il caso delle imprese che lavorano su commessa e presentano crediti per acconti, la qui recuperabilità, qualora non siano stati più opportunamente trasferiti con l’azienda, è subordinata alla prosecuzione e al regolare completamento delle commesse in corso (specie laddove si tratti di contratti convenuti “a corpo” e non “per partite”) e potrebbe, quindi, essere pregiudicata nel caso in cui l’acquirente non sia in grado di portare utilmente a compimento i lavori in corso. In tale ipotesi l’orizzonte temporale di osservazione non si ferma al momento dell’incasso del prezzo, ma deve estendersi sino a quello del completamento dei lavori dai quali dipende l’incasso dei crediti.

4.2. Il contenuto “integrativo”. L’attestazione del carattere funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori della prosecuzione dell’attività d’impresa.

L’art. 186-bis, 2° comma, lett. b), L.F., richiede che il “professionista attestatore” si esprima anche sulla funzionalità della prosecuzione dell’attività d’impresa al miglior soddisfacimento dei creditori, giudizio che presuppone una valutazione comparativa tra l’ipotesi concordataria “in continuità” e quella liquidatoria, verosimilmente concorsuale4.

Ad una prima lettura la norma appare parzialmente distonica rispetto alle finalità di sviluppo della riforma, quantomeno nella misura in cui sembra porre una condizione alla prosecuzione dell’impresa costituita dal miglior soddisfacimento dei creditori: non vi potrebbe, dunque, essere prosecuzione d’impresa se ciò non si unisse ad un vantaggio per i creditori pregressi.

Si tratta, peraltro, di una interpretazione apparentemente coerente con il principio della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., che vincola l’intero patrimonio del debitore al soddisfacimento dei suoi creditori. E’, tuttavia, una lettura che solleva

4 L’attestatore non pare potersi esprimere su ipotesi concorsuali liquidatorie che non siano previste nel

piano e nella proposta. Peraltro, qualora il piano le affronti, potrebbero costituire uno dei termini di confronto.

(10)

perplessità in merito alla ragionevolezza di una riforma che pone l’accento sulla misura del soddisfacimento dei creditori piuttosto che sulla salvaguardia dell’impresa e degli interessi dei numerosi stakeholder che gravitano intorno ad essa, fra i quali, ad esempio, i dipendenti, che potrebbero veder conservata la loro occupazione, e i creditori che eventualmente abbiano un interesse a proseguire il rapporto con l’impresa, magari a discapito della misura del soddisfacimento delle proprie ragioni di credito pregresse.

Si pensi, a titolo di esempio, al caso di un concordato per classi nel quale ad una classe di fornitori sia attribuita una percentuale di soddisfacimento inferiore rispetto a quanto ritraibile in ipotesi liquidatoria, sul rilievo dell’esistenza di un interesse omogeneo dei fornitori appartenenti alla classe in questione al mantenimento del mercato di sbocco costituito dal debitore piuttosto che alla misura del soddisfacimento dei loro crediti pregressi. In tale ipotesi il professionista non sarebbe in grado di esprimersi, se non in senso lato, sulla convenienza della prosecuzione per i creditori, in quanto la misurazione del vantaggio presuppone la conoscenza dell’effetto, nell’economia dei singoli creditori, della continuazione5.

Ciò a meno che non si ritenga ammissibile una diversa lettura, che sposta la prospettiva dai creditori all’impresa, conciliandosi, fra l’altro, con la finalità, che – in modo ricorrente – emerge nel dettato della riforma, di conservazione di quest’ultima. E’, in particolare, ragionevole domandarsi se e a quali condizioni il professionista possa esprimersi in senso negativo, o parzialmente negativo, senza che ciò pregiudichi l’ammissibilità della proposta di concordato.

La centralità, peraltro, del principio consensualistico, sia pur a carattere maggioritario, nel concordato preventivo esige – a maggior ragione in tale ipotesi – che i creditori siano posti in condizione di esprimere un consenso informato sulla proposta; la loro espressione di voto potrebbe, allora, ponderare il miglior soddisfacimento in senso lato (e, cioè, sia “immediato” sia “mediato”), rispetto all’astratta ipotesi liquidatoria, in cui l’elemento determinante sarebbe esclusivamente costituito dal soddisfacimento “immediato”.

Come anticipato, la norma richiede, in ogni caso, al professionista di “misurare” il miglior soddisfacimento, e quindi il vantaggio della continuità per i creditori concorsuali, con un approccio che è necessariamente comparativo e differenziale, e che

5 Ancor più difficile appare la considerazione di eventuali interessi di soggetti non qualificabili come

creditori, ma come semplici portatori di interesse alla continuità aziendale; gli interessi esclusivamente mediati non potrebbero assumere rilevanza nella valutazione del professionista.

(11)

dunque impone la preliminare individuazione e valutazione dell’alternativa al concordato. Al riguardo non pare prospettabile altro confronto che con un’ipotesi liquidatoria concorsuale, salvo che ricorrano i presupposti per una liquidazione in

bonis6; liquidazione che potrebbe realizzarsi in termini sia universalistici sia atomistici7. Trattasi, peraltro, di approccio, quello comparativo, non del tutto nuovo nella legge fallimentare. L’art. 160, 2° comma, L.F.,, che consente il soddisfacimento non integrale del creditore munito di privilegio, pegno o ipoteca, pone quale condizione che esso non sia comunque inferiore al ricavato derivante dalla liquidazione del bene, da misurarsi – secondo l’orientamento prevalente – nell’ottica della liquidazione fallimentare, tenendo conto anche dei relativi costi. Lo stesso principio di cram-down di cui al secondo periodo del 4° comma dall’art. 180 L.F. si basa su una comparazione della proposta rispetto alle “alternative concretamente praticabili”.

Occorre piuttosto domandarsi se il fatto che il legislatore abbia voluto fare espresso riferimento alla prosecuzione dell’attività d’impresa e non alla continuazione dell’azienda significhi una limitazione della richiesta dell’attestazione integrativa alle sole ipotesi della continuità diretta, con esclusione quindi di quelle della continuità indiretta in capo ad altro imprenditore (la cessionaria, se non anche la conferitaria destinata ad essere ceduta).

4.3. Segue. Il contenuto “integrativo”. L’attestazione della conformità al piano e della ragionevole capacità di adempimento in caso di continuazione di contratti pubblici.

Nel concordato con continuità i contratti in corso, ai sensi dell’art. 186-bis, 3° comma, L.F., proseguono, essendo inefficaci i patti contrari, salvo che il debitore chieda al tribunale, ai sensi dell’art. 169-bis L.F., di essere autorizzato a sciogliersi. Nel caso dei contratti pubblici8, tuttavia, la prosecuzione non è impedita solo se il professionista

6 Ove l’alternativa fosse esclusivamente quella fallimentare, ci si dovrebbe interrogare se il piano debba

contemplare – e il professionista valutare – anche eventuali azioni, in specie quelle revocatorie, esperibili nell’ambito della sola procedura fallimentare.

7 D’altronde, la prospettiva di alienazione atomistica dei beni non potrebbe essere considerata – a priori –

in termini esclusivi, laddove possa essere ragionevolmente ipotizzata la cessione dell’azienda o di un suo ramo. Diversamente, la sistematica considerazione della sola prospettiva liquidatoria atomistica dei beni rischierebbe di sovrastimare il vantaggio per i creditori della prosecuzione d’azienda e così di alterare la formazione del consenso dei creditori.

8 La nozione di contratto pubblico richiama le disposizioni contenute nel D. lgs. 163 del 2006 recante il

Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, pur nella consapevolezza che esso non esaurisce la casistica dei contratti pubblici.

(12)

designato dal debitore ha anche attestato la conformità di tale prosecuzione al piano e la ragionevole capacità di adempimento.

L’attestazione di conformità pare sostanziarsi in un giudizio di coerenza della prosecuzione del contratto rispetto al piano di concordato, con particolare riguardo all’esistenza di una correlazione tra tale prosecuzione ed i flussi dalla stessa generati. Attesa la rilevanza degli effetti nei confronti delle controparti pubbliche, è ragionevole ritenere che l’attestazione non possa, al riguardo, essere generica ma debba individuare specificamente i contratti per i quali il piano prevede la prosecuzione.

Sicuramente più complesso e articolato il giudizio sulla ragionevole capacità di adempimento, che non può prescindere dal più generale giudizio di fattibilità del piano; anche se va rilevato che, quanto più importante è la componente di contratti pubblici ai fini del piano di continuità, tanto più il giudizio sulla capacità di adempimento costituirà un portato ed anzi una condizione del giudizio di fattibilità.

In ogni caso, la ragionevolezza della capacità di adempimento non può prescindere dalla verifica della sussistenza, attuale e prospettica, delle risorse tecnico-organizzative e di quelle finanziarie necessarie all’adempimento dei contratti in essere, quali, ad esempio:

- la verifica che il piano di ristrutturazione non incida in modo così significativo sulla struttura tecnico-produttiva, in termini di risorse e di qualificazione delle stesse, da compromettere la capacità di dare esecuzione ai contratti;

- nel caso di esecuzione anche attraverso l’opera di imprese subappaltatrici, la verifica della non ricorrenza di elementi che segnalino un’incapacità, anche prospettica, di queste a fare fronte ai loro impegni nei confronti dell’impresa esecutrice.

Quanto al contenuto del giudizio, pare opportuno che esso si estenda sino alla verifica della ricorrenza, attuale e prospettica, dei requisiti previsti dal Codice dei contratti pubblici per la partecipazione alle procedure di affidamento (Parte II, Titolo I, Capo II).

La miniriforma non è, invece, intervenuta sulla vexata quaestio del soddisfacimento del requisito di regolarità contributiva, quale presupposto per la partecipazione alle procedure di affidamento e per l’incasso dei crediti maturati nei confronti delle pubbliche amministrazioni; circostanza, questa, che assumerà rilievo non tanto ai fini della valutazione della capacità di adempimento del contratto, quanto

(13)

piuttosto dell’attestazione di fattibilità del piano.

4.5. Segue. Il contenuto “integrativo”. L’attestazione della conformità al piano e della ragionevole capacità di adempimento del contratto in caso di partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici.

Il quarto comma dell’art. 186-bis consente all’impresa di partecipare a procedure di assegnazione di contratti pubblici, a condizione che un professionista ne attesti la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento e che un altro operatore si impegni a “supportare” l’impresa che concorre secondo uno schema analogo a quello dell’avvalimento ex art. 39 del Codice dei Contratti Pubblici, e a sostituirsi ad essa in caso di fallimento o comunque di inadempimento.

Va preliminarmente osservato che l’attestazione di cui trattasi non coincide con quella resa ai sensi del terzo comma, ma costituisce un documento autonomo o, meglio, integrativo rispetto all’attestazione ex art. 161, 3° comma, L.F., tant’è che deve essere presentato in gara dall’impresa in concordato che intende partecipare alla procedura di affidamento. L’autonomia è peraltro solo in termini formali e documentali, atteso che il giudizio sulla ragionevole capacità di adempimento presuppone comunque il giudizio di fattibilità del piano.

Quanto ai contenuti, invece, essi sono sostanzialmente analoghi a quelli richiesti per l’attestazione da rendere per la prosecuzione dei contratti pubblici in corso, avendo ad oggetto la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento. E’ peraltro possibile che il piano di concordato non identifichi, se non genericamente, le procedure di gara alle quali l’impresa potrà partecipare, nel qual caso il giudizio di conformità potrà essere formulato in termini di generica coerenza rispetto alle attività che, sulla base delle assunzioni del piano, generano i flussi prospettici. Il che non esclude che, nel giudizio di conformità, l’attestatore sia chiamato a valutare anche la convenienza della partecipazione, quanto meno in termini di sostenibilità della stessa rispetto alle ipotesi di volumi e di redditività contenute nel piano.

5. Segue. La relazione in caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano.

La riforma, all’art. 161, 3° comma, ha colto l’occasione per precisare che, nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano, il (rectius un) professionista designato dal debitore deve presentare una nuova relazione con i medesimi contenuti

(14)

della relazione originaria. Precisazione che ha il merito di confermare una prassi consolidata, ma che lascia aperto un margine d’incertezza nella definizione di quali modifiche possono considerarsi sostanziali e quindi imporre la “riattestazione”9.

Va da sé che le modificazioni di cui si tratta sono quelle che intervengono prima del voto dei creditori e del giudizio di omologazione, in quanto diversamente si tratterebbe non di modifiche del piano ma di un nuovo piano, di una nuova proposta e di una nuova attestazione.

La disposizione, valida per ogni proposta concordataria, assume un particolare significato per i concordati con continuità, nei quali è più accentuato il rischio di scostamenti rispetto ai dati prognostici.

E’ bene, peraltro, precisare che non sarà necessario un aggiornamento del piano e della proposta e una nuova attestazione, laddove il piano stesso preveda meccanismi di aggiustamento e di salvaguardia tesi a neutralizzare gli effetti del mancato avveramento di assunzioni ipotetiche e il mancato raggiungimento di obiettivi intermedi prestabiliti10.

Anche in mancanza di siffatti meccanismi di salvaguardia, tuttavia, il piano stesso potrebbe essere articolato in un best case e in un worst case, ai quali corrispondono diverse misure, o tempi o, più in generale, modalità di soddisfacimento dei creditori, con un conseguente allineamento della proposta all’ipotesi di minima. Coerentemente l’attestazione, individuati i rischi residui – per tali intendendosi quei rischi che, pur alla luce delle azioni pianificate, non possono essere ulteriormente mitigati – dovrebbe condurre una prova di resistenza, tenendo conto degli effetti sul piano e sulla proposta della verificazione dei rischi non mitigabili, concludendo con il giudizio di fattibilità laddove tali effetti mantengano il piano e la proposta al di sopra dell’ipotesi di minima prospettata dal debitore.

6. Le relazioni (speciali) del “professionista attestatore”. Premessa.

Il legislatore della novella prevede, a latere rispetto alla relazione del professionista attestatore sopra definita come “generale”, relazioni per così dire

9 Si veda in questa Rivista F. Lamanna, Il c.d. Decreto Sviluppo: primo commento sulle novità in materia

concorsuale, p. 22 che suggerisce una interpretazione “tautologica”, nel senso che “saranno sostanziali quelle modifiche così incisive del piano e della proposta da non essere coperte dalla precedente attestazione e da richiederne quindi una nuova”, propendendo, condivisibilmente, per la necessità di un prudente apprezzamento, sia da parte del debitore che da parte del Tribunale.

10 In questo senso, con riferimento ai piani di continuità nell’ambito degli accordi di ristrutturazione ex

art. 182-bis, si vedano le Linee guida per il finanziamento alle imprese in crisi emanate congiuntamente da Università degli Studi di Firenze, Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili e Assonime ed in particolare la Raccomandazione 14.

(15)

“speciali” nei casi in cui la proposta ed il piano contemplino finanziamenti prededucibili ovvero la possibilità di pagare “in prededuzione” crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi.

In particolare, l’art. 182-quinquies, 1° comma, L.F., stabilisce che il debitore possa chiedere al tribunale «di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie

informazioni, a contrarre finanziamenti, prededucibili ai sensi dell'articolo 111, se un professionista designato dal debitore in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell'impresa sino all'omologazione, attesta che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori». La stessa norma prevede, nel contempo, che la richiesta di

autorizzazione possa riguardare «anche finanziamenti individuati soltanto per tipologia

ed entità, e non ancora oggetto di trattative»; e che il tribunale possa autorizzare «il debitore a concedere pegno o ipoteca a garanzia dei medesimi finanziamenti».

Il 2° comma dello stesso articolo prevede che il debitore possa chiedere al tribunale «di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare

crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori»; con la precisazione che «L'attestazione del professionista non è necessaria per pagamenti effettuati fino a concorrenza dell'ammontare di nuove risorse finanziarie che vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori».

6.1. Le relazioni (speciali) del “professionista attestatore”. I finanziamenti prededucibili.

Pare, anzitutto, opportuno calare la previsione nel contesto del nuovo corpus normativo. In particolare, l’incipit del nuovo art. 182-quinquies L.F. – che reca la rubrica “Disposizioni in tema di finanziamento e di continuità aziendale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti” – stabilisce che «Il debitore che

presenta, anche ai sensi dell'articolo 161 sesto comma, una domanda di ammissione al concordato preventivo… può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a contrarre finanziamenti… verificato il complessivo

(16)

fabbisogno finanziario dell'impresa sino all'omologazione»; laddove l’art. 161, 6°

comma, L.F., prevede che «L'imprenditore può depositare il ricorso contenente la

domanda di concordato riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice compreso fra sessanta e cento venti giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni».

Pare, quindi, ragionevole ritenere che i c.d. finanziamenti – quantomeno quelli oggetto della novella legislativa – possano assumere il carattere della prededucibilità nell’ambito di qualsiasi concordato, con o senza continuità aziendale. Si deve anche ritenere che l’autorizzazione del tribunale riguardi soltanto i finanziamenti erogati sino all’omologazione; giacché quelli erogati successivamente, ancorché funzionali alla continuità aziendale, godrebbero – per loro stessa natura, attesa la collocazione temporale – del summenzionato carattere.

Il richiamo all’art. 161, 6° comma, L.F., individua – peraltro – due scenari alternativi: il primo costituito dall’ipotesi in cui il debitore presenti sin da subito l’intero compendio documentale previsto dal 1° comma dello stesso articolo; il secondo rappresentato, invece, dall’ipotesi in cui il debitore depositi il ricorso, riservandosi di depositare il compendio documentale – comprendente, tra l’altro, l’“attestazione generale” del professionista – entro un termine fissato dal giudice.

Nel primo caso, il professionista attestatore – il quale dispone già del piano e, attesa la presumibile identità soggettiva, ha già predisposto l’“attestazione generale” – dovrà limitarsi ad integrare quest’ultima con l’“attestazione speciale” che i finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori.

Nel secondo caso, il professionista attestatore – il quale non dispone ancora del piano e non ha, quindi, potuto predisporre l’“attestazione generale” – dovrà fare un “salto nel buio”, mancando gli elementi essenziali per valutare se i finanziamenti per i quali si invoca la prededucibilità siano o meno funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori.

Si potrebbe, in tale caso, ritenere che l’“attestazione speciale” sia comunque possibile e non costituisca un vero e proprio “salto nel buio” soltanto a condizione che sia il piano sia l’“attestazione generale” siano ad uno stato avanzato di elaborazione, con

milestone già certe e immodificabili, e che il debitore si riservi di produrli nel termine

(17)

Fatta questa premessa, occorre spendere qualche parola sul contenuto dell’“attestazione speciale”. Essa, come sopra richiamato, deve attestare che i “finanziamenti prededucibili” – verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell'impresa sino all'omologazione – sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori.

Il professionista non può, quindi, limitarsi ad accertare che i finanziamenti sono necessari per garantire la continuità aziendale, ma che gli stessi sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori. Egli deve quindi, ferma restando la continuità aziendale, attestare che l’erogazione di tali finanziamenti e soprattutto l’assunzione – in capo agli stessi – del carattere della prededucibilità conduca ad un risultato vantaggioso per i creditori; e ciò rispetto all’ipotesi alternativa in cui i finanziamenti non siano erogati.

Occorrerà, quindi, che il professionista accerti che i flussi di cassa generati per effetto della continuità aziendale – e grazie al contributo marginale dei “finanziamenti prededucibili” – siano tali da assicurare la copertura di questi ultimi ed un vantaggio per i creditori superiore rispetto a quello che deriverebbe dalla continuità aziendale in assenza dei finanziamenti medesimi.

Si deve, cioè, ragionevolmente ritenere che la convenienza per il ceto creditorio della continuità aziendale in alternativa alla sua discontinuità sia un dato acquisito; o, meglio, debba formare oggetto dell’“attestazione generale”; con tutte le conseguenze di cui si è detto nel caso in cui il deposito di quest’ultima sia successivo.

Ben più complessa, poi, è l’“attestazione speciale” nel caso in cui venga richiesta l’autorizzazione a concedere pegno o ipoteca a garanzia dei medesimi finanziamenti; giacché l’incapacità dei flussi di cassa a coprire il servizio del debito relativo ai “finanziamenti prededucibili” potrebbe compromettere le ragioni creditorie, soprattutto ove l’oggetto della garanzia pignoratizia o ipotecaria sia costituito da asset non strategici, compromettendo definitivamente le ragioni di altri creditori prededucibili.

Situazione più semplice, ma che rende la continuità aziendale del tutto ipotetica sottoponendola ad una sorta di condizione sospensiva, è quella che si verifica quando i finanziamenti siano «individuati soltanto per tipologia ed entità, e non ancora oggetto

di trattative». In tale caso, il professionista attestatore si limita a svolgere una sorta di

(18)

6.2. Le relazioni (speciali) del “professionista attestatore”. I pagamenti di crediti anteriori.

Il 2° comma dello stesso articolo prevede che il debitore possa chiedere al tribunale «di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare

crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori»; con la precisazione che «L'attestazione del professionista non è necessaria per pagamenti effettuati fino a concorrenza dell'ammontare di nuove risorse finanziarie che vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori».

Analoghe considerazioni in merito ai due scenari possibili possono essere svolte con riferimento a tale ulteriore “attestazione speciale”, alle quali si rinvia.

Occorre, peraltro, in questo caso porsi l’interrogativo se l’autorizzazione al pagamento anzitempo dei creditori anteriori costituisca una mera anticipazione della fase esecutiva del concordato – e, cioè, se rappresenti un’eccezione al procedimento ordinario di ripartizione a favore dei creditori, peraltro non disciplinato – ovvero se determini anche una metamorfosi della natura intrinseca dei crediti, trasformandoli in prededucibili.

Pur risultando più ragionevole ritenere che l’interpretazione corretta sia la prima, occorre osservare che, così come era (ed è) possibile creare classi di creditori con trattamento differenziato sul piano del soddisfacimento, del pari si potrebbe ritenere che il legislatore abbia voluto introdurre una sorta di “classamento rinforzato”, in cui il vantaggio si rinforza – per l’appunto – sul piano finanziario.

Il compito del professionista è allora soltanto quello di attestare che i fornitori siano realmente strategici e che le prestazioni – soprattutto quelle future – siano «essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la

migliore soddisfazione dei creditori».

Egli dovrebbe, quindi, valutare se le prestazioni siano realmente essenziali – cioè se sia tecnicamente impossibile o fortemente antieconomico ricorrere ad altri fornitori – e se siano, nel contempo, funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori

(19)

– nel senso che una loro rinuncia (anche in termini di qualità delle prestazioni) sia tale da compromettere la redditività dell’impresa.

Ovviamente, l’attestazione non è necessaria ove le risorse necessarie per il pagamento dei crediti anteriori abbiano fonte esogena e, soprattutto, se le relative risorse finanziarie «vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo

Riferimenti

Documenti correlati

We propose the characterization of rock masses (rock and fractures) using a multiscale analysis, from the field to the outcrop down to the microscale integrating a wide

Milano, , Questo volume 232 giunto alla terza edizione edizione che 232 stata aggiornata sia nel testo sia nelle immagini e con 84 nuovi studi Questa nuova edizione consente di

Despite no experimental data are available to compare void fractions, it is interesting to consider values calculated by CATHARE along the axial element, as

In “The Boat” (1968), MacLeod’s first published short story, the first person narrator, recalling his and his family’s past, is a young academic, whose dead father was a

Nel tempo, le intenzioni generatrici hanno saputo aprirsi via via alle nuove emergenze educative, alle sfide che sempre attraversano i mondi vitali dell’educazione e della

I (crediti derivanti da) finanziamenti funzionali alla presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo (anche “in bianco”) possono godere del beneficio

Altered nitric oxide/cGMP platelet signaling pathway in platelets from patients with acute coronary syndromes.. Terms