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A) Ruolo del BDNF nei disturbi dell’umore pag. 4

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INDICE

INTRODUZIONE pag. 1

A) Ruolo del BDNF nei disturbi dell’umore pag. 4

a) Studi animali pag. 6

1) BDNF e modelli animali di depressione pag. 6

2) Antidepressivi e BDNF pag. 13

3) Stabilizzanti dell’umore e BDNF pag. 14

4) Antipsicotici e BDNF pag. 15

5) Shock elettroconvulsivante e BDNF pag. 16 6) Stimolazione Magnetica Transcranica e BDNF pag. 17 7) BDNF e cAMP response element binding pag. 17

8) BDNF e neurogenesi pag. 18

b) Studi sull’uomo pag. 23

1) Studi su campioni autoptici pag. 23 2) Studi sul siero e sul plasma pag. 24

3) Analisi genetiche pag. 33

B) Depressione, ippocampo e neurogenesi pag. 35

C) TEC e Disturbo Bipolare pag. 40

SCOPO DELLO STUDIO pag. 43

MATERIALE E METODO pag. 44

1) Caratteristiche dei pazienti pag. 44

2) Trattamento con TEC pag. 45

3) Strumenti di valutazione pag. 49

4) Determinazione dei livelli plasmatici di BDNF pag. 53

5) Analisi statistiche pag. 54

RISULTATI pag. 56

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI pag. 60

BIBLIOGRAFIA pag. 65

TABELLE E FIGURE pag. 96

(2)

INTRODUZIONE

Nonostante l’introduzione di nuovi stabilizzanti dell’umore, e di antipsicotici atipici con proprietà antidepressive, il trattamento degli episodi depressivi dei pazienti con Disturbo Bipolare, continua a rappresentare un importante problema terapeutico. Infatti, come evidenziato da studi di follow-up, la persistenza di fasi depressive di lunga durata resistenti ai trattamenti costituisce la caratteristica principale di questo disturbo (Judd e coll., 2003). Dai dati della letteratura emerge che nel corso di un anno i pazienti bipolari trascorrono in media 121 giorni in fase depressiva e 40 giorni in fase maniacale o ipomaniacale (Post e coll., 2003). Inoltre la fase depressiva del Disturbo Bipolare è associata ad una morbilità e mortalità superiori rispetto alla fase espansiva per un più elevato rischio autolesivo e di insorgenza di sintomi psicotici (Dilsaver e coll., 1997).

La Depressione Bipolare è causa di elevati costi diretti (giornate di

degenza, visite ambulatoriali ecc.) e indiretti (tentativi autolesivi,

compromissione dell’adattamento socio-lavorativo ) (Wyatt e coll.,

1995). Da un’analisi economica condotta dalle compagnie di

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assicurazione degli USA, il Disturbo Bipolare rappresenta, tra i disturbi mentali, la diagnosi con costi di cura più elevati sia per i pazienti che per le compagnie di assicurazioni (Peele e coll., 2003).

Le ricerche degli ultimi anni hanno portato nuovi dati a favore del coinvolgimento del BDNF (Brain-Derived Neutrophic Factor) nell’eziopatogenesi dei disturbi dell’umore e nel meccanismo d’azione dei farmaci impiegati nella terapia di questi disturbi (Post, 2007).

Alcuni autori hanno ipotizzato che una ridotta espressione di questo

fattore così come un incremento della sua sintesi, siano correlati

all’insorgenza delle fasi depressive ed espansive rispettivamente (Tsai,

2004). Altri autori hanno correlato l’insorgenza dell’episodio

depressivo ad un deficit della neurogenesi ippocampale nell’adulto

(D’Sa e Duman, 2002; Jacobs, 2002; Kempermann, 2003). Questa

ipotesi è stata sviluppata a partire dall’osservazione che i pazienti

depressi presentano una riduzione del volume dell’ippocampo e

modificazioni della sostanza grigia. E’ stato inoltre evidenziato che il

grado di atrofia ippocampale è correlato con il numero di giorni

trascorsi in fase depressiva (Sheline e coll., 1999) e che le alterazioni

morfologiche regrediscono con il miglioramento della sintomatologia

depressiva (Frodl e coll., 2004). Questi effetti sembrano secondari alla

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riduzione dei fattori neurotrofici e della neurogenesi durante la fase depressiva (Sheline e coll., 2003).

Il BDNF riveste un ruolo importante nel processo della neurogenesi e l’effetto neurotrofico dei trattamenti antidepressivi ed in particolare dello shock elettroconvulsivante (ECS), un modello animale della Terapia Elettroconvulsivante (TEC), sembra essere mediato dal BDNF (Altar e coll. 2003).

La TEC viene prevalentemente utilizzata nei pazienti affetti da depressione resistente, ossia che non hanno risposto a due o più trattamenti con antidepressivi appartenenti a classi diverse assunti a dosaggio e per tempi adeguati. La TEC è efficace nel trattamento delle forme resistenti sia a decorso unipolare che bipolare; i pazienti bipolari presentano una risoluzione più rapida della sintomatologia e necessitano di un numero di trattamenti inferiore (Daly e coll, 2001).

La percentuale di risposta alla TEC è inferiore a quella osservata nei

pazienti non farmacoresistenti, ma risulta superiore a qualsiasi altro

strumento terapeutico oggi disponibile con risposte comprese tra il

30% e l’65% (Prudic e coll., 2004; Sackeim e coll., 2000).

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A) RUOLO DEL BDNF NEI DISTURBI DELL’UMORE

Il BDNF è un polipeptide di 27-kDa, la cui sintesi è codificata nel braccio corto del cromosoma 11 (11p13) (Maisonpierre e coll., 1991). Il BDNF è il più diffuso fattore neurotrofico del SNC, svolge un ruolo importante nella sopravvivenza, differenziazione e neuroprotezione di specifiche popolazioni neuronali durante le fasi dello sviluppo e nella vita adulta (Huang e coll., 2000; Schinder e coll., 2000).

Questa neurotrofina partecipa ai meccanismi di plasticità

neuronale uso-dipendente, quali il potenziamento a lungo termine,

l’apprendimento e la memoria (Huang e coll., 2000; Malcangio e coll.,

2003; Schinder e coll., 2000). Il BDNF è ampiamente espresso in tutto

il SNC, soprattutto a livello dell’ippocampo, della corteccia cerebrale e

a livello dell’amigdala (Hofer e coll., 1990; Ernfors e coll., 1990a,b). I

livelli di BDNF aumentano fino a raggiungere un massimo livello

dopo la nascita (Maisonpierre e coll., 1990b; Friedman e coll., 1991a),

e non sembrano ridursi con l’età (Lapchak e coll., 1993b; Narisawa-

Saito e Nawa, 1996). Tutte le neurotrofine vengono generate come

pro-neurotrofine e successivamente processate e secrete come proteine

mature. Le azioni biologiche delle neurotrofine sono mediate dal

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legame con due classi di recettori di membrana (Chao, 1994; Dechant

e coll., 1994; Bothwell, 1995). Tutte le pro-neurotrofine legano con la

stessa affinità il recettore non specifico p75 (p75

NTR

) inducendo la

morte cellulare programmata (apoptosi) (Hempstead, 2002; Lee e coll.,

2001). La forma matura del BDNF lega con bassa affinità il recettore

p75

NTR

, e con alta affinità uno specifico recettore tirosina chinasi B

(TrkB) (Huang e Reichardt 2003; Lu, 2003) promuovendo la

sopravvivenza cellulare. Il legame del BDNF al recettore specifico

innesca l’attività tirosin chinasica, che a sua volta attiva le vie di

trasduzione del segnale intracellulari: la ERK-proten chinasi attivata da

mitogeni (MAPK), la fosfatidilinositolo3-chinasi (PI3-K) e la

fosfolipasi C (PLC) (Patapoutian e Reychardt, 2001). Queste vie hanno

diversi bersagli tra cui l’attivazione del CREB (cAMP Responsive

Element Binding protein). Quest’ultimo induce una fosforilazione con

conseguente inattivazione della proteina pro-apoptotica BAD (fattore

di morte cellulare). Inoltre la fosforilazione del CREB induce una up-

regulation della proteina Bcl-2 che promuove la sopravvivenza e la

plasticità neuronale (Duman e coll., 2002). Il BDNF riveste un ruolo

importante nei meccanismi della memoria visuo-spaziale, attraverso

l’attivazione, a livello dell’ippocampo, della cascata

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TrkB/fosfatidilinositolo-3-kinasi/Akt (Malcangio e coll., 2003;

Mizuno e coll., 2003).

Il coinvolgimento del BDNF nei disturbi dell’umore è documentato in numerosi studi condotti su modelli animali di depressione e sull’uomo.

a) Studi animali

1) BDNF e modelli animali di depressione

I modelli animali di depressione sono stati sviluppati per lo studio della eziopatogenesi della depressione e per identificare le proprietà antidepressive di nuove composti chimici. Nei modelli omologhi di depressione gli animali sviluppano, in seguito dall’esposizione a fattori di stress, risposte simili a quelle osservate nella depressione clinica quali rallentamento psicomotorio, inibizione comportamentale, iporessia e anedonia.

Il forced swim test (FST) è uno dei modelli animali più

utilizzati per valutare l’efficacia degli antidepressivi. In questo

modello un topo viene immerso in un recipiente pieno d’acqua e si

valuta il periodo di tempo in cui l’animale resta immobile: lo stato di

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immobilità è interpretato come una condizione simil-depressiva (Porsolt e coll., 1977).

Nel modello di learned helplessness (LH), gli animali vengono sottoposti a shock elettrici non controllabili che li rendono incapaci di acquisire una risposta attiva di evitamento-fuga. Questi animali presentano un aumento della latenza alla fuga e una riduzione del numero di tentativi di fuga (Sherman e coll., 1979).

Tra i modelli che utilizzano la selezione genetica ricordiamo i ratti BDNF (+/-) in cui vi è la delezione genetica o “knock-out” di una copia del gene del BDNF e i ratti Flinders sensitive line (FSL) e i loro gruppo di controllo Flinders resistant line (FRT). Questi ultimi due ceppi di ratti sono stati selezionati, rispettivamente, per la alta o bassa affinità agli agonisti colinergici, ipotizzando che i soggetti depressi siano ipersensibili agli agonisti colinergici.

L’infusione di BDNF nel mesencefalo produce un effetto antidepressivo-simile, come evidenziato dalle modificazioni delle risposte comportamentali dei topi nei modelli di LH e di FST (Siuciack e coll., 1997).

Inoltre, è stato evidenziato che il FST riduce l’mRNA del BDNF in

alcune regioni dell’ippocampo (CA1, CA3, e giro dentato) mentre

l’associazione di attività fisica e terapia antidepressiva produce un

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incremento dell’mRNA del BDNF nell’ippocampo rispetto ai livelli basali e determina un incremento della durata del tempo di nuoto (Russo-Neustadt, 2001).

Shirayama et coll. (2002) hanno osservato che un singola infusione bilaterale del BDNF, nel giro dentato dell’ippocampo, produce un effetto antidepressivo, nei modelli di LH e di FST. Questi effetti si manifestano dopo tre giorni dalla somministrazione del BDNF e permangono per 10 giorni (Shirayama e coll., 2002). L’infusione dell’inibitore ad ampio spettro della tiroxina chinasi (TrkB), K252a, o dell’inibitore selettivo della chinasi extracellulare (ERK), U0126, bloccano la comparsa dell’azione antidepressiva del BDNF. Questi dati suggeriscono che la cascata TrkB/MAP svolge un’azione chiave nel meccanismo d’azione degli antidepressivi (Shirayama e coll., 2002, Duman e coll. 2002).

Altri autori hanno osservato un effetto antidepressivo

secondario all’infusione del BDNF a livello dei ventricoli laterali

(Hoshaw e coll, 2005). Inoltre il BDNF esercita importanti effetti a

livello della via dopaminergica Ventro-Tegmentale (VTA) - Nucleo

Accumbens (NAc). In questa regione la neurotrofina viene liberata

dalle afferenze glutamatergiche provenienti dalla corteccia frontale,

dall’ippocampo e dall’amigdala.

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La somministrazione diretta del BDNF a livello del VTA o del NAc determina un incremento dell’attività motoria indotta dalla cocaina e rinforza l’autosomministrazione di cocaina (Hall e coll.

2003; Lu e coll. 2004).

Eisch e coll. (2003) hanno osservato che l’infusione di BDNF nel VTA induce un effetto simil-depressivo (che si manifesta con una riduzione della latenza all’immobilità), mentre, bloccando l’azione del BDNF, attraverso la somministrazione nel NAc di virus che inducono la sintesi di una versione anomala del TrkB, si manifesta un effetto antidepressivo/simile cioè un aumento del tempo di latenza all’immobilità (Eisch e coll. 2003).

Inoltre il DBNF, a livello della via VTA-NAc, produce perdita di peso (Berhow e coll. 1995): questo effetto potrebbe essere secondario all’incremento del tono dopaminergico (effetto anfetamino-simile) o potrebbe riflettere la perdita delle proprietà di rinforzo del cibo e rappresentare un sintomo di anedonia.

Questi risultati appaiono sorprendenti, dato che, alla luce della sua

azione dopaminergica a livello della via VTA-NAc, ci saremmo

aspettati che il BDNF fosse dotato di un’azione antidepressiva. Questo

apparente paradosso, può essere spiegato dai lavori condotti su un

modello animale di stress sociale, in cui animali aggrediti

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ripetutamente dai compagni, sviluppavano una sintomatologia simile all’anedonia della depressione dell’uomo, caratterizzata da riduzione del gradimento del saccarosio, della spinta sessuale, delle interazioni sociali e della attività motoria (Berton e coll., 2006; Buwalda e coll., 2005). Sorprendentemente, l’eliminazione del BDNF nel VTA esercita un effetto antidepressivo in quanto gli animali non sviluppano più la sintomatologia depressiva in risposta a stress sociali (Monteggia e coll., 2004). Alcuni autori (Nestler e Carlezon, 2006) hanno ipotizzato che il BDNF, a livello della via VTA-NAc, possa essere coinvolto nella regolazione dell’umore in relazione alle stimolazioni sociali. In condizioni normali, il BDNF è indispensabile per permettere questa modulazione mediante il ricordo di stimoli positivi o negativi mentre, in una condizione patologica, potrebbe stabilire delle associazione anomale che possono portare a depressione anche in assenza di reali minacce esterne. I comportamenti simil-depressivi indotti da stress da sconfitta sociale sono mediati dal BDNF nel sistema dopaminergico mesolimbico, infatti questi effetti comportamentali vengono bloccati dall’inibizione della sintesi di BDNF nell’area VTA e dal trattamento con antidepressivi (Berton e coll., 2006).

Da questi dati emerge che la relazione tra depressione e BDNF

non è univoca e che il BDNF modula il tono dell’umore esercitando un

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azione antidepressiva o depressogena a seconda delle aree cerebrali interessate (Berton e coll., 2006).

L’osservazione che i ratti transgenici TrkB T1, che hanno una ridotta funzione del TrkB, e BDNF knock-out eterozogoti (BDNF +/-), sono resistenti all’azione degli antidepressivi (sottoposti al FST), indica che per il funzionamento degli antidepressivi è indispensabile un corretto funzionamento del recettore TrkB (Saarelainen, 2003).

Angelucci e coll. (2000) hanno riscontrato un incremento delle concentrazioni di BDNF nella corteccia frontale e occipitale nei ratti Flinders Sensitive-Line (FSL) rispetto ai controlli (FRL); questi risultati contraddicono l’ipotesi di una riduzione del BDNF nella depressione. Tuttavia sono necessari ulteriori studi per valutare la validità dei Flinders Sensitive Line come modello animale di depressione.

Considerato il coinvolgimento del BDNF nell’etiopatogenesi

della depressione, è stato valutato se i topi BDNF(+/-) potessero

rappresentare un valido modello animale di depressione. I lavori

condotti utilizzando topi con delezione del gene del BDNF hanno

mostrato che il BDNF riveste un ruolo chiave nella differenziazione e

sopravvivenza neuronale (Ernfors e coll., 1994; Jones e coll., 1994). I

topi omozigoti per la mutazione del gene, chiamati appunto BDNF (-/-

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), mostrano un incremento della mortalità dopo le prime settimane di vita (Ernfors e coll., 1994; Jones e coll., 1994). I topi eterozigoti hanno una riduzione del 50% dell’m-RNA e della proteina del BDNF, nel proencefalo, rispetto ai topi normali (Altar e coll., 2003; Kolbeck e coll., 1999; Korte e coll., 1995). Questi animali hanno mostrato anomalie a livello della trasmissione serotoninergica e hanno sviluppato una precoce riduzione, correlata all’età, dei livelli di serotonina e della densità delle fibre nervose, e inoltre hanno manifestato un incremento dell’aggressività e anomalie nel comportamento alimentare (Lyons e coll., 1999; Kernie e coll., 2000;

Rios e coll., 2001). Tuttavia, MacQueen e coll. (2001), non hanno osservato differenze nei topi eterozigoti per quanto riguarda il livello di attività, esplorazione, sensibilità al piacere, e al nuoto forzato.

Questi autori hanno evidenziato un comportamento simil-depressivo nel test di LH, che tuttavia poteva essere secondario alla ridotta sensibilità al dolore presente in questi animali.

I ratti BDNF (+/-) trattati con imipramina non mostrano

differenze significative nel tempo di immobilità nel FST rispetto ai

ratti non trattati (Saarelainen e coll., 2003). Inoltre il comportamento

di nuoto dei ratti BDNF (+/-) è simile a quello dei ratti TrkB T1; è

ipotizzabile che l’attivazione del TrkB mediata dal BDNF sia

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necessaria per la comparsa dell’azione antidepressiva nel FST, inoltre, è improbabile che i ratti BDNF (+/-) possano rappresentare un modello animale di vulnerabilità genetica alla depressione. Pertanto sembra siano necessari ulteriori studi per confermare la possibilità di utilizzare i topi eterozigoti BDNF (+/-) come modello animale di depressione.

2) Antidepressivi e BDNF

Ci sono numerosi dati della letteratura che fanno ipotizzare che la sintesi del BDNF sia il risultato dell’attivazione di una via finale comune su cui agiscono diversi trattamenti antidepressivi: il BDNF potrebbe essere coinvolto nei meccanismi di risposta terapeutica e remissione della depressione (Altar e coll., 1999; Nestler e coll., 2002 a,b; Coyle e coll., 2003; Duman e coll., 2002; 2004b).

I farmaci antidepressivi, appartenenti a diverse classi

farmacologiche, quali SSRI, NSRI, IMAO e atipici, incrementano

significativamente l’espressione del BDNF nei principali strati

dell’ippocampo, compreso lo strato delle cellule granulari e gli strati

piramidali CA1 e CA3 (Nibuya e coll., 1996). Gli IMAO e lo shock

elettroconvulsivo (ESC), inducono un maggior incremento del BDNF

(Nibuya e coll., 1995). In accordo con il tempo di latenza necessario

per l’azione terapeutica degli antidepressivi, l’incremento del BDNF

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avviene in seguito a trattamento farmacologico cronico. La somministrazione di altre classi di farmaci attivi sul SNC, quali gli oppiacei, la cocaina, e altri psicostimolanti, non incrementa l’espressione del BDNF (Nybuia e coll., 1995).

La somministrazione cronica di antidepressivi incrementa l’espressione dell’mRNA del BDNF a livello del lobo limbico; lo stesso fenomeno non si osserva dopo una singola somministrazione, ciò è in accordo con il tempo di latenza necessario per la comparsa dell’azione terapeutica degli antidepressivi (Nibuya e coll., 1995;

Russo-Neustadt e coll., 1999). Recentemente è stato osservato che la somministrazione cronica di amitriptilina incrementa l’espressione del BDNF nell’ippocampo e nella corteccia cerebrale dei ratti (Hashimoto e coll., 2004).

Questi risultati fanno ipotizzare che la up-regulation della sintesi del BDNF possa rivestire un ruolo chiave nella risposta clinica al trattamento con antidepressivi

3) Stabilizzanti dell’umore e BDNF

La somministrazione cronica di sali di litio o valproato

determina un incremento dell’espressione genica del BDNF nel SNC

del ratto (Fukumoto e coll., 2001). Entrambi gli stabilizzanti svolgono

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un’azione protettiva sui neuroni della corteccia cerebrale prevenendo i fenomeni di neurotossicità indotti dal glutammato (Hashimoto e coll., 2002). Inoltre è stato dimostrato che l’effetto neuroprotettivo del litio è mediato dal TrkB e può essere soppresso sia da anticorpi anti-BDNF, sia da un inibitore del TrkB (Hashimoto e coll., 2002). Questi risultati indicano che l’azione neuroprotettiva del litio è mediata dal complesso BDNF/TrkB.

Altri autori (Einat e coll., 2003) hanno osservato che il litio e il valproato incrementano il BDNF attraverso la via MAP.

3) Antipsicotici e BDNF

I dati oggi disponibili sugli effetti degli antipsicotici sul BDNF appaiono contradditori e non univoci.

La somministrazione di aloperidolo e di risperidone riduce la concentrazione di BDNF nella corteccia frontale, occipitale e nell’ippocampo dei ratti (Angelucci e coll., 2000). Sia la clozapina che l’aloperidolo riducono l’espressione del BDNF nell’ippocampo del ratto, ma questo effetto non è evidente a livello della corteccia prefrontale (Lipska e coll., 2001).

Xu e coll. (2002) hanno invece osservato, che la quetiapina possiede

delle proprietà diverse da quelle degli altri antipsicotici. Gli autori

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hanno evidenziato che il trattamento con questo farmaco attenua la riduzione del BDNF nell’ippocampo dei ratti indotta dallo stress (esposizione a immobilizzazione forzata).

5 ) Shock elettroconvulsivante (ESC) e BDNF

I ratti sottoposti a shock elettroconvulsivante (ECS) presentano un incremento della concentrazione dell’mRNA del BDNF e del recettore TrkB a livello dell’ippocampo (Lindeforts e coll., 1995).

Inoltre l’induzione ripetuta di crisi epilettiche previene la down- regulation dell’m-RNA del BDNF, a livello dell’ippocampo, indotto da situazioni di stress (Nibuya e coll., 1995).

Gli ECS, somministrati per 8 giorni, incrementano la concentrazione di BDNF nell’ippocampo, nel nucleo striato e nella corteccia occipitale del ratto (Angelucci e coll., 2002). Inoltre, l’induzione di ECS per 10 giorni consecutivi, incrementa il BDNF nella corteccia parietale (219%), corteccia entorinale (153%), ippocampo (132%), corteccia frontale (94%), striato (67%) e setto (29%) (Altar e coll., 2003).

L’incremento del BDNF presenta un picco dopo 15 ore dalla crisi

epilettica e dura per almeno tre giorni (Altar e coll., 2003).

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6) Stimolazione Magnetica Transcranica (SMT) e BDNF

E’ stato osservato che la Stimolazione Magnetica Transcranica incrementa la sintesi del BDNF e del suo mRNA, a livello dell’ippocampo, della corteccia parietale e della corteccia piriforme (Muller e coll., 2000). Questi risultati sono simili a quelli osservati con gli antidepressivi e con la TEC.

7) BDNF e cAMP response element binding (CREB)

L’incremento del BDNF indotto dalla somministrazione

cronica di antidepressivi è solo parzialmente mediato attraverso il

CREB (Coyle e coll., 2003; Duman e coll., 2002; Nestler e coll.,

2002b). Il CREB induce il gene del BDNF sia in vivo e che in vitro

(Tao e coll., 1998; Conti e coll., 2002). E’ stato osservato che i topi

con deficit di CREB, sottoposti al FST, non presentano una riduzione

dell’effetto antidepressivo alla desimipramina o alla fluoxetina. Inoltre,

negli stessi animali, viene conservata la capacità della desimipramina

di sopprime la risposta acuta del corticosterone indotta da eventi di

stress (FST e sospensione per la coda), mentre, in animali con deficit di

CREB, la somministrazione cronica di desipramina non induce la up-

regulation del BDNF (Conti e coll., 2002). Questi dati suggeriscono

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che l’attivazione del CREB avviene a monte del BDNF in risposta al trattamento con antidepressivi.

In conclusione il CREB è coinvolto nella regolazione genica dopo trattamento farmacologico protratto e quindi nell’adattamento a lungo termine al trattamento con antidepressivi, mentre la risposta comportamentale ed endocrina indotte dagli antidepressivi sembrano avvenire con un meccanismo indipendente dal CREB (Conti e coll., 2002).

8) BDNF e neurogenesi

La neurogenesi, ossia la nascita di nuove cellule nel SNC,

contrariamente a quanto precedentemente ritenuto, è un fenomeno

presente anche durante la vita adulta in diverse specie animali, incluso

l’uomo, ed è localizzata principalmente nell’ippocampo e nel bulbo

olfattivo. E’ stata osservata a livello della zona subventricolare (SVZ)

e a livello della zona subgranulare (SGZ) del giro dentato (Duman e

coll., 2002; Kempermann e coll., 2003). Nell’ippocampo dei ratti e dei

primati, i neuroni sviluppati durante la vita adulta derivano da

progenitori cellulari della SGZ che migrano nello strato delle cellule

granulari, dove si differenziano in neuroni granulari (Gould e Gross,

2002). Queste cellule si integrano funzionalmente nei circuiti

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dell’ippocampo, come evidenziato dalla risposta a stimoli provenienti dalle vie perforanti e dalla loro abilità ad estendere proiezioni assonali verso aree specifiche (Van Praag e coll., 2002). Sebbene la loro funzione non sia stata ancora chiarita, si ipotizza che le nuove cellule granulari costituiscano una popolazione distinta con una maggiore plasticità rispetto ai neuroni maturi (Gould e Gross, 2002).

L’esposizione a stress ripetuti determina un accorciamento dei dendriti e una riduzione della loro ramificazione nella regione CA3 dell’ippocampo e inibisce la neurogenesi delle cellule granulari del giro dentato (McEwen e coll., 2000). E’ stato inoltre dimostrato che lo stress psicosociale riduce significativamente in vivo le concentrazioni di N-acetil-aspartato (NAA) e la proliferazione dei precursori cellulari granulari nel giro dentato e che tale effetto può essere prevenuto con la somministrazione di antidepressivi (tianeptina) (Czeh e coll., 2001).

Inoltre gli animali sottoposti a LH, presentano una riduzione della proliferazione cellulare nell’ippocampo; questo fenomeno appare reversibile e viene antagonizzato dalla somministrazione di fluoxetina (Malberg e coll., 2003).

L’attivazione della cascata dell’AMPc, indotta dalla

somministrazione di rolipram, aumenta la proliferazione di cellule

neonate nell’ippocampo del ratto adulto, e questa proliferazione

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cellulare è accompagnata dalla attivazione della CREB/fosforilazione nelle cellule granulari del giro dentato (Nakagawa e coll., 2002).

Inoltre l’espressione di un mutante dominante negativo del CREB riduce la neurogenesi nel giro dentato, ciò suggerisce che la cascata cAMP-CREB contribuisce alla attività terapeutica degli antidepressivi e dei fattori neurotrofici coinvolti nella neurogenesi dell’adulto.

È interessante l’osservazione che la neurogenesi nel giro dentato è ridotta nei ratti eterozigoti knockout (BDNF +/-) ed è associata ad una riduzione del volume del giro dentato (Lee e coll., 2002a,b).

Santarelli e coll. (2003) hanno dimostrato che l’irradiazione con raggi X di una area dell’ippocampo con distruzione della neurogenesi, previene gli effetti neurogenetici e comportamentali della imipramina e della fluoxetina. Questi autori hanno ipotizzato che gli effetti comportamentali del trattamento cronico con antidepressivi possano essere mediati dalla stimolazione della neurogenesi nell’ippocampo.

Nell’insieme questi dati suggeriscono che la cascata cAMP-

CREB e il BDNF giocano un ruolo nella neurogenesi nell’ippocampo,

che sembra essere coinvolta nell’effetto degli antidepressivi.

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La somministrazione cronica per 4 settimane di sali di litio, determina un incremento del 25% della proliferazione cellulare a livello dell’ippocampo (Chen e coll., 2000).

Inoltre è stato osservato che, la somministrazione prolungata di ECS induce la proliferazione delle fibre muschiose a livello ippocampale: questo fenomeno è mediato dal BDNF in quanto appare ridotto in maniera significativa nei ratti eterozigoti BDNF knock-out (+/-) (Vaidya e coll., 1999). La proliferazione delle fibre muschiose rappresenta un fenomeno opposto a quello indotto da situazioni di stress, e potrebbe contribuire all’azione terapeutica della TEC.

Da questi dati emerge che il BDNF sembra rivestire un ruolo importante nel regolare la neurogenesi, e che gli antidepressivi, gli stabilizzanti dell’umore e l’ECS hanno un effetto neurotrofico. Al contrario altre sostanze psicoattive come l’aloperidolo non aumentano il tasso di neurogenesi (Halim e coll., 2004), mentre la morfina lo diminuisce (Eisch e coll., 2000).

E’ possibile ipotizzare che un’alterazione della sintesi o della

liberazione di fattori neutrofici durante le fasi dello sviluppo possa

alterare la formazione dei network neuronali, e rappresentare un fattore

predisponente lo sviluppo della malattia. Inoltre gli antidepressivi

regolano la concentrazione dei fattori neurotrofici del SNC e pertanto

(23)

la regolazione dei fattori neurotrofici appare correlata al trattamento dei disturbi mentali.

La neurogenesi dell’adulto può essere responsabile delle modificazioni strutturali che si osservano in pazienti depressi, così come è stato osservato nei modelli animali (Kempermann e coll., 1997). Inoltre tutti i trattamenti con azione antidepressiva (Czeh e coll., 2001; Malberg e coll., 2000) compresa la TEC (Madsen e coll., 2000; Scott e coll., 2000) e l’attività fisica (van Praag e coll., 1999) stimolano la proliferazione dei progenitori delle cellule ippocampali che rappresentano la prima fase della neurogenesi. La caratteristica latenza all’azione degli antidepressivi potrebbe coincidere con il periodo della maturazione necessario allo sviluppo dei nuovi neuroni.

Queste due evidenze non costituiscono una prova inoppugnabile,

tuttavia rappresentano una buona base di partenza per sviluppare una

nuova ipotesi eziopatogenetica della depressione. Duman e coll. (2002)

ipotizzano che un deficit del sistema cAMP/CREB/BDNF rappresenti

l’anello di congiunzione tra ristrutturazione dendritica, la riduzione

della sopravvivenza neuronale, e la riduzione della neurogenesi

ippocampale nella depressione (D’Sa e Duman, 2002). Una possibile

correlazione tra neurogenesi e depressione potrebbe essere

rappresentata dalla incapacità dell’ippocampo di far fronte a stimoli

(24)

nuovi e complessi che determina una inadeguata elaborazione delle informazioni tra i sistemi coinvolti nell’apprendimento e nella regolazione dell’affettività (Kempermann, 2002). L’ insufficiente reazione alle minacce provenienti dall’esterno può portare ad un arresto dell’attività dell’ippocampo che può comportare, attraverso le connessioni alle altre aeree del sistema limbico, all’insorgenza dei sintomi affettivi della depressione. Secondo questa ipotesi la riduzione dei livelli cerebrali di BDNF potrebbe predisporre all’insorgenza della depressione.

B) Studi sull’uomo

1) Studi su campioni autoptici

Nell’uomo gli studi su campioni autoptici, pur condotti su un

numero limitato di pazienti, sono giunti a risultati univoci. Alcuni

autori (Chen e coll., 2001) hanno registrato un incremento dei livelli di

BDNF nell’ippocampo di pazienti depressi in trattamento con

antidepressivi. Altri autori (Dwivedi e coll., 2003; Karege e coll.,

2005) hanno osservato una riduzione della concentrazione del BDNF e

del recettore TrkB nell’ippocampo e nella corteccia prefontale di

pazienti morti per suicidio non trattati con antidepressivi. Karege e

(25)

coll. (2005) hanno osservato che i pazienti che prima del decesso erano in trattamento con antidepressivi presentavano valori normali di BDNF. La normalizzazione dei valori della neurotrofina, tuttavia non ha avuto effetto preventivo sulla messa in atto del gesto autolesivo. Da ciò gli autori hanno ipotizzato che le variazioni dei livelli di BDNF precedano la comparsa degli effetti clinici e comportamentali, che evidentemente si manifestano lentamente dopo che è iniziato l’effetto trofico.

2) Studi sul siero e sul plasma

Il BDNF oltrepassa la barriera ematoencefalica (Pan e coll., 1998) ed è presente nel sangue dove si concentra maggiormente a livello delle piastrine (Radka e coll. 1996; Yamamoto e coll. 1990).

Nei ratti, durante le fasi dello sviluppo e la vita adulta, i livelli di BDNF a livello cerebrale e serico sono soggetti alle stesse variazioni e appaiono strettamente correlati (Karege e coll., 2002). Nell’uomo il BDNF è presente sia nel siero che nel plasma (Fujimura e coll., 2002;

Radka e coll., 1996; Rosenfeld e coll., 1995). I livelli serici di BDNF

sono circa 200 volte superiori ai livelli plasmatici (Rosenfeld e coll.,

1995). Nell’uomo il BDNF tende a concentrarsi a livello delle piastrine

che contengono gran parte del BDNF ematico (Fujimura e coll., 2002;

(26)

Pliego-Rivero e coll., 1997). Quindi le differenze tra BDNF serico e plasmatico corrispondono alla quantità immagazzinata in circolo nelle piastrine. Poiché il BDNF passa la barriera ematoencefalica in entrambe le direzioni, il BDNF in circolo può derivare dai neuroni e dalle cellule gliali del cervello (Pan e coll., 1998; Poduslo e Curran, 1996). Quindi i livelli plasmatici di BDNF corrispondono a quelli in circolo più che a quelli immagazzinati nelle piastrine.

Diversi studi hanno valutato le correlazioni tra livelli plasmatici o serici di BDNF e trattamenti antidepressivi.

Karege e coll. (2002) hanno osservato che i livelli serici di

BDNF sono significativamente ridotti in pazienti depressi non in

trattamento con antidepressivi, e sono direttamente proporzionali alla

gravità della sintomatologia depressiva. La riduzione dei livelli di

BDNF nella depressione è stata confermata in altri studi. Shimizu e

coll. (2003) hanno osservato che i livelli di BDNF in pazienti depressi

che non assumevano antidepressivi erano più bassi rispetto ai pazienti

in trattamento con antidepressivi e rispetto ai controlli sani. Gli autori

hanno inoltre osservato che i livelli di BDNF erano negativamente

correlati con la gravità della depressione. Inoltre, da una analisi

preliminare è emerso che i bassi livelli serici di BDNF in pazienti

depressi, ritornavano ai valori normali dopo il trattamento

(27)

farmacologico con antidepressivi. Altri autori (Gonul e coll., 2005) hanno ottenuto risultati analoghi in un campione di 28 pazienti depressi trattati con venlafaxina o SSRI; dopo otto settimane i livelli di BDNF, nei pazienti che avevano risposto al trattamento, tornavano ai valori normali. Anche Aydemir e coll. (2005) hanno riscontrato un incremento del BDNF in un campione di 10 pazienti trattati con venlafaxina per 12 settimane. Gli autori hanno osservato livelli di BDNF basali più bassi rispetto al gruppo di controllo e correlati con la gravità della sintomatologia. Dopo 12 settimane di trattamento i valori di BDNF erano sovrapponibili a quelli del gruppo di controllo.

Lee e coll. (2006) hanno valutato i livelli plasmatici di BDNF in 77 pazienti depressi ed in 95 controlli sani, confermando che i livelli plasmatici medi nei pazienti depressi sono significativamente ridotti rispetto ai controlli. Inoltre gli autori hanno riscontrato livelli di BDNF significativamente più bassi in pazienti depressi con ricorrenza di episodi, senza sintomi psicotici e con anamnesi positiva per tentativi di suicidio. In tutti i pazienti depressi i livelli di BDNF nel plasma avevano una correlazione positiva con la gravità della sintomatologia.

Gli autori hanno concluso che: l’umore depresso, la ricorrenza di

episodi e la presenza di tentativi di suicidio, riducono i livelli di

(28)

BDNF, mentre la presenza di sintomi psicotici non influenza i livelli plasmatici di BDNF.

In un recente studio Kim e coll. (2007) hanno confrontato i valori plasmatici di BDNF tra un gruppo di pazienti depressi che avevano messo in atto un gesto autolesivo, pazienti depressi senza tentativi di suicidio e controlli sani. Gli autori hanno riscontrato valori di BDNF molto più bassi tra i pazienti depressi con tentativo di suicidio rispetto agli altri due gruppi e nessuna differenza tra i controlli depressi ed i controlli sani. Nessuna differenza è stata riscontrata tra uomini e donne. I livelli di BDNF non correlavano con i punteggi della HAMD né con la gravità del tentativo di suicidio. Gli autori ipotizzano che il basso valore di BDNF in pazienti che hanno tentato il suicidio possa essere causato dalla down-regulation indotta dalla riduzione della funzione del sistema serotoninergico. E’ dimostrato che i pazienti depressi che hanno tentato il suicidio hanno bassi livelli di 5-HIAA (principale metabolita della serotonina) nel CSF (Asberg, 1997).

Inoltre bassi livelli di 5-HIAA sono predittori di rischio di suicidio e

nella depressione con tentativi di suicidio la funzione serotoninergica a

livello delle piastrine è alterata (Mann e coll., 1992). Gli autori hanno

quindi ipotizzato che, in pazienti depressi che hanno tentato il suicidio,

(29)

una alterata funzionalità serotoninergica può ridurre la espressione del BDNF.

Lang e coll. (2004) hanno valutato il BDNF serico in un campione di 60 volontari sani. Questi autori hanno osservato una correlazione tra bassi livelli di BDNF e presenza di tratti di personalità depressiva.

Recenti studi hanno valutato i livelli di BDNF in pazienti affetti da Disturbo Bipolare. Machado-Vieira e coll. (2006) hanno misurato la concentrazione plasmatica del BDNF in un campione di 30 pazienti affetti da disturbo bipolare in fase maniacale. Gli autori hanno osservato che le concentrazioni di BDNF erano inferiori rispetto al gruppo di controllo ed erano correlate negativamente con la gravità della sintomatologia maniacale.

Nello studio di Cunha e coll. (2006) le concentrazioni seriche di BDNF

sono state confrontate in un campione di pazienti con Disturbo

Bipolare in fase maniacale, in fase depressiva, in fase di eutimia ed in

un gruppo di controlli sani. La concentrazione del BDNF è risultata

ridotta sia durante la fase maniacale che depressiva, mentre era

equivalente a quella dei controlli sani durante la fase di eutimia. I

valori di BDNF correlavano negativamente con la gravità della

sintomatologia maniacale e depressiva. Gli autori hanno ipotizzato che

una riduzione dei valori del BDNF può essere proposta come marker

(30)

di stato del disturbo Bipolare sia per la fase depressiva che per quella maniacale.

In uno studio di follow-up su pazienti bipolari, Palomino e coll. (2006) hanno riscontrato bassi livelli plasmatici di BDNF all’esordio del disturbo con un progressivo incremento nell’anno successivo al primo episodio di malattia.

Yoshimura e coll. (2006) hanno valutato i livelli plasmatici di BDNF in un campione di pazienti Bipolari I, in fase maniacale ed in fase depressiva. Gli autori hanno osservato più bassi livelli di BDNF nei pazienti depressi rispetto ai pazienti in fase espansiva ed ai controlli sani. Dopo quattro settimane di trattamento con Risperidone i livelli di BDNF non presentavano variazioni significative in entrambi i gruppi.

Recentemente è stato dimostrato che così come il trattamento farmacologico con antidepressivi anche la Stimolazione Magnetica Transcarnica (SMT) e la TEC inducono modificazioni delle concentrazioni di BDNF.

Zanardini e coll. (2006) hanno valutato i livelli serici di BDNF in un

campione di 16 pazienti affetti da depressione maggiore resistente ai

trattamenti farmacologici, prima e dopo il trattamento con SMT. I

pazienti sono stati sottoposti a 5 sedute consecutive di stimolazione al

mattino, separate da un intervello di tempo di 24 ore. La valutazione

(31)

dei livelli serici di BDNF e della gravità dei sintomi depressivi sono

state effettuate prima e dopo il trattamento con SMT. Gli autori hanno

riscontrato un significativo miglioramento della sintomatologia

depressiva dopo trattamento con SMT. I valori di BDNF baseline

mostravano una correlazione negativa con il punteggio a T0 della

HAMD, mentre nessuna correlazione è stata riscontrata dopo il

trattamento con SMT (BDNF1 vs punteggio HAMD a T1). Gli autori

hanno rilevato un incremento significativo dei valori di BDNF al

termine del trattamento con SMT, ma nessuna correlazione è stata

riscontrata tra valori di BDNF a T0 o percentuale di incremento dei

valori di BDNF ed efficacia della SMT. Gli autori hanno concluso che

il campione di pazienti affetti da Depressione resistente hanno valori

significativamente più alti di BDNF dopo trattamento con SMT. La

correlazione negativa riscontrata tra concentrazioni baseline di BDNF

e gravità della malattia sono di supporto all’ipotesi del ruolo svolto dal

BDNF nell’eziologia e trattamento della depressione. I dati di questo

studio sono in linea con quelli di precedenti studi che avevano

riscontrato più bassi livelli di BDNF in pazienti depressi non trattati ed

una correlazione negativa tra valori di BDNF e gravità della

depressione (Gonul e coll., 2005; Karege e coll., 2002, Shimizu e coll.,

2003). Poiché i livelli di BDNF aumentano dopo 5 giorni di

(32)

trattamento, gli autori hanno ipotizzato che le variazioni riscontrate possano essere la conseguenza di una modulazione effettuata dalla SMT su vari sistemi quali l’asse HPA e sulla trasmissione serotoninergica. Lo studio di Yukimasa e coll. (2006) ha confermato l’incremento dei livelli plasmatici di BDNF in pazienti affetti da depressione resistente ai trattamenti farmacologici, sottoposti a SMT;

in particolare gli autori hanno riscontrato un incremento del BDNF in pazienti responders e parzialmente responders alla SMT, ma non in pazienti non responders.

Finora un unico studio (Bocchio-Chiavetto e coll., 2006) ha

valutato le variazioni del BDNF indotte dalla TEC. In un campione

costituito da 23 pazienti affetti da depressione unipolare resistente ai

trattamenti farmacologici, la valutazione dei valori di BDNF, è stata

effettuata a T0 (baseline) (giorno prima della prima applicazione di

TEC), a T1 (il giorno dopo l’ultimo trattamento con TEC), e a T2 (un

mese dopo la fine del ciclo di TEC). Gli autori non hanno riscontrato

differenze significative nei livelli basali di BDNF stratificando i

pazienti per sesso, presenza di sintomi psicotici, trattamento

antidepressivo (SSRI vs altri trattamenti in monoterapia o in

combinazione con SSRI), e non è stata riscontrata correlazione con

l’età e con il punteggio del Mini Mental State (sintomi cognitivi).

(33)

Inoltre non è stata trovata correlazione tra i livelli baseline di BDNF e

gravità della sintomatologia depressiva (punteggio a T0 della

MADRS). I livelli di BDNF non si modificavano tra T0 e T1, e

mostravano invece un incremento tra T1 e T2. Suddividendo il

campione in due gruppi in base al valore medio baseline di BDNF (alto

o basso), gli autori hanno riportato un incremento del BDNF lineare tra

T0 e T1 nei pazienti con valori più bassi. Invece nel gruppo di pazienti

con livelli basali di BDNF più alti era evidente un significativo

incremento tra T1 e T2 con un profilo simile ai pazienti dell’altro

gruppo. Gli autori non hanno riscontrato una correlazione tra la

concentrazione baseline di BDNF o la percentuale di incremento dei

livelli di BDNF ed efficacia della TEC misurata come differenze nei

punteggi della MADRS. In conclusione gli autori hanno riportato che i

pazienti con depressione resistente hanno valori significativamente più

alti di BDNF alla fine del ciclo di TEC. Più specificamente, mentre

non si riscontrano variazioni nell’intero campione tra T0 e T1, un

incremento significativo è stato identificato a T2, un mese dopo il

termine del ciclo. Comunque l’incremento dei valori di BDNF era

evidente anche tra T0 e T1 in un sottogruppo di pazienti che avevano

bassi livelli baseline di BDNF. I risultati di questo studio suggeriscono

(34)

una correlazione tra BDNF ed effetto antidepressivo anche di terapie non farmacologiche.

Da questi dati emerge che il BDNF ha sicuramente un ruolo importante nella eziopatogenesi della depressione e svolge un ruolo cruciale nel meccanismo d’azione di trattamenti farmacologici antidepressivi, della SMT e della TEC.

3) Analisi genetiche

Negli ultimi anni sono state intraprese numerose ricerche per individuare possibili correlazioni tra i polimorfismi del gene del BDNF e i disturbi dell’umore.

In particolare il polimorfismo di un singolo nucleotide alla

posizione 66 nella sequenza promoter dell’allele del proBDNF con la

sostituzione di un aminoacido metionina/valina è stato implicato nella

etiopatogenesi del Disturbo Bipolare (Craddok e coll., 2005). Tuttavia

gli studi che hanno valutato l’associazione tra i polimorfismi del

BDNF e incidenza del Disturbo Bipolare hanno avuto risultati non

univoci. Il polimorfismo funzionale val66met comporta una ridotta

secrezione del BDNF a livello dell’ippocampo (Chen e coll., 2004),

sembra essere associato ad una suscettibilità al decorso a rapida ciclità

del disturbo (Green e coll., 2006) e ad alterate performance cognitive

(35)

dei soggetti bipolari (Rybakowski e coll., 2006). Sklar e coll. (2002) hanno testato l’associazione tra 76 geni candidati e Disturbo Bipolare ed hanno riscontrato una associazione con l’allele val66met. Neves- Pereira e coll. (2002) hanno trovato un linkage disequilibrium tra i polimorfismi del gene del BDNF, in 283 famiglie, e il Disturbo Bipolare. Infine Geller e coll. (2004) hanno riportato una associazione positiva tra allele val66met del BDNF e Disturbo Bipolare. Tuttavia altri autori (Hong e coll., 2003; Nakata e coll, 2003, Kunugi e coll., 2004, Skibinska e coll., 2004) non hanno osservato una associazione tra la presenza di questo allele ed un incremento di rischio di sviluppare il Disturbo Bipolare.

Nello studio di Kaija e coll. (2006) gli autori non hanno riscontrato associazione tra i polimorfismi del BDNF e risposta alla TEC nella depressione.

Un recente studio (Tramontina e coll., 2007) ha valutato

l’associazione tra il polimorfismo val66met e le variazioni nei livelli

serici di BDNF nei pazienti bipolari e nei controlli sani. Gli autori non

hanno riscontrato differenze nella frequenza del genotipo val66met tra

i pazienti Bipolari I in fase di eutimia e volontari sani, e non hanno

trovato una correlazione tra il polimorfismo del BDNF e i valori serici

di BDNF nei due gruppi. Gli autori hanno confermato che la variante

(36)

del BDNFmet comporta una ridotta attività del BDNF (Chen e coll., 2004; Egan e coll., 2003) ed hanno ipotizzato che questo polimorfismo possa influenzare i livelli di BDNF nel siero nelle fasi acute del disturbo.

In conclusione i polimorfismi del BDNF val66val e la variante val66met sembrano non essere gli unici ed importanti polimofismi del BDNF (Green e Craddock, 2003; Strass e coll., 2004), e probabilmente sono solo una parte di un ampio numero di fattori che conferiscono una vulnerabilità allo sviluppo del Disturbo Bipolare (Mathews e Reus, 2003)

B) DEPRESSIONE, IPPOCAMPO E NEUROGENESI

E’ stato ipotizzato che modificazioni nella neurogenesi possano rappresentare la via finale comune nella eziopatogenesi della depressione (Duman e coll., 2000; Jacobs e coll., 2000). I pazienti depressi presentano modificazioni morfologiche nelle regioni limbiche (ippocampo, gangli della base, amigdala) e corticali che sono coinvolte nelle alterazioni cognitive della depressione (Manji e coll., 2001).

Studi autoptici hanno mostrato una riduzione delle dimensioni dei

(37)

neuroni a livello della corteccia orbitofrontale, della ampiezza della

corteccia prefrontale e orbitofrontale, del volume dei gangli della base

e una riduzione dello spessore corticale in pazienti depressi (Manji e

coll., 2001, Ongur e coll., 1998; Rajkowska e coll., 1999, 2000; Cotter

e coll, 2001). Inoltre, nei pazienti depressi sono state dimostrate

modificazioni del flusso ematico cerebrale e del metabolismo del

glucosio a livello limbico e corticale (Drevets e coll., 2000). Studi di

imaging hanno riscontrato una riduzione di volume della corteccia

prefrontale, ventrostriatale e dell’ippocampo di pazienti depressi

(Sheline e coll., 1996; Bremner e coll., 2000; Mervaala e coll., 2000) e

una diretta correlazione tra il grado di riduzione di volume e la durata

di malattia (Sheline e coll., 1999). La durata degli episodi di

depressione che non sono stati trattati con farmaci è correlata alla

riduzione di volume dell’ippocampo (Sheline e coll., 2003). I pazienti

depressi con ricorrenza di episodi hanno un volume ridotto

dell’ippocampo se confrontati con pazienti al primo episodio di

depressione e con i controlli sani (MacQueen e coll., 2003). Sheline e

coll. (2003) hanno dimostrato che i pazienti depressi sottoposti a

trattamenti antidepressivi hanno un volume dell’ippocampo analogo a

controlli non depressi, ciò indica che gli antidepressivi possono

invertire la riduzione della proliferazione cellulare indotta dallo stress

(38)

e normalizzare le dimensioni dell’ippocampo. Due studi metanalitici hanno confermato la marcata riduzione di volume dell’ippocampo in pazienti depressi (Campbell e coll., 2004; Videbech e Ravnikilde, 2004). Inoltre i pazienti con maggiore riduzione di volume dell’ippocampo hanno più deficit cognitivi (Frodl e coll., 2006) ed hanno un peggiore decorso rispetto ai pazienti depressi con volume dell’ippocampo nella norma (Frodl e coll., 2004). I meccanismi cellulari sottostanti queste alterazioni morfologiche possono essere di diverso tipo. E’ dimostrato che vari fattori quali lo stress ed i glucocorticoidi riducono in modo marcato la neurogenesi a livello dell’ippocampo (McEwen, 1999). E’ ipotizzabile che la diminuzione di numero delle cellule granulari possa contribuire alla riduzione di volume dell’ippocampo osservata nei pazienti depressi. L’esposizione ad uno stress prolungato induce modificazioni morfologiche, funzionali e riduce la sopravvivenza delle cellule ippocampali. E’

dimostrato infatti che lo stress riduce l’arborizzazione dendritica dei neuroni piramidali dell’area CA3, riduce la neurogenesi delle cellule granulari del giro dentato e riduce significativamente l’espressione genica del BDNF (McEwen e coll., 2000; Sapolski e coll., 2001;

Duman, 2004a). Inoltre è probabile che le modificazioni di volume

dell’ippocampo derivino non solo da una riduzione della proliferazione

(39)

cellulare, ma anche dall’atrofia o apoptosi indotta dallo stress (Miller e coll., 2003). E’ ipotizzabile che nella depressione l’attività neuronale sia ridotta come conseguenza di alterazioni nella espressione e rilascio del BDNF (Ghosh e coll., 1994). Infatti cambiamenti dei livelli di BDNF sembrano precedere le modificazioni della neurogenesi (Duman, 2004). Le alterazioni neurochimiche e endocrine che nei pazienti con depressione ricorrente inducono atrofia e perdita neuronale, possono essere antagonizzate dalla somministrazione di antidepressivi che inducendo la espressione del BDNF potenziano il fenomeno della neurogenesi in specifiche aree cerebrali (Duman e coll., 2004). La terapia con farmaci antidepressivi ed il trattamento con TEC migliorano il trofismo neuronale e promuovono il processo di neurogenesi, in particolare nell’ippocampo, in concomitanza con la remissione dei sintomi depressivi (Chen e coll., 2001; Frodl e coll., 2004). Studi di neuroimmagine hanno dimostrato che la terapia con antidepressivi non solo è in grado di ripristinare il volume dell’ippocampo (Sheline e coll., 2003; Vermetten e coll., 2003), ma anche la funzionalità di specifiche popolazioni neuronali che risultano silenti nei pazienti depressi (Bremner e coll., 2003; Malberg, 2004).

La riduzione di volume dell’ippocampo in pazienti depressi

lascia ipotizzare il coinvolgimento di questa regione limbica nella

(40)

comparsa di alcuni sintomi depressivi. Una ridotta funzione dell’ippocampo può essere implicata nell’insorgenza delle alterazioni cognitive ma anche nelle anomalie di funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che si riscontrano nella depressione. Inoltre l’ippocampo invia efferenze dirette verso diverse aree cerebrali quali la corteccia prefrontale, la corteccia del cingolo e l’amigdala che sono implicate nelle alterazioni dell’umore e dell’emozione che si manifestano nella depressione (Drevets e coll., 2001; Manji e coll., 2001). E’ plausibile ipotizzare che un’alterazione della neurogenesi dell’ippocampo possa contribuire direttamente o indirettamente ad alcuni sintomi della depressione.

Vari trattamenti efficaci nella depressione incrementano la neurogenesi, tra questi la TEC (Scott e coll., 2000), l’esercizio fisico (Van Praag e coll., 1999; Ernst e coll., 2006) ed i farmaci antidepressivi (Malberg e coll., 2000) E’ interessante osservare che il tempo necessario per la remissione dei sintomi depressivi dopo trattamento con antidepressivi (alcune settimane) corrisponde al tempo necessario per la induzione della neurogenesi da parte della TEC e dei trattamenti antidepressivi in animali non depressi (Scott e coll., 2000;

Malberg e coll., 2000).

(41)

E’ ipotizzabile che la convulsione che si manifesta nelle aree limbiche possa stimolare la sintesi ed il rilascio dei fattori di crescita neuronale.

E’ stato dimostrato che gli ECS attivano sia i neuroni che le cellule gliali, inoltre inducono un rimodellamento sinaptico soprattutto a livello dell’ipotalamo e la attivazione degli astrociti nelle aree limbiche compreso l’ippocampo con il rilascio delle neurotrofine (Kragh e coll., 1993).

C) TEC E DISTURBO BIPOLARE

Vari studi hanno dimostrato l’efficacia della TEC nel trattamento del Disturbo Bipolare. Mukherjee e coll. (1994) hanno riportato un tasso di risposta dell’80% nel trattamento della mania e più di recente ne è stata dimostrata l’efficacia nel trattamento della depressione bipolare (Daly e coll., 2001) e degli episodi misti che non rispondono alla farmacoterapia (Devanand e coll., 2000; Gruber e coll., 2000;

Macedo-Soares e coll., 2005).

Sono state individuate alcune variabili del disturbo che ne influenzano

il decorso e la risposta ai trattamenti farmacologici ed alla TEC. In

particolare la comorbidità del disturbo bipolare con l’abuso di alcool e

(42)

con l’abuso di sostanze si associa ad una ridotta risposta ai trattamenti, ad un maggior numero di ricorrenze e ad una più alta instabilità timica interepisodica (Sonne e coll., 1999; Strakowski e coll., 2000). La gravità degli episodi del Disturbo Bipolare correla con una minore risposta al litio e alla TEC (Small e coll., 1988). Schnur e coll (1992) hanno dimostrato che i pazienti bipolari che durante l’episodio maniacale hanno più alti punteggi degli item sospettosità, irritabilità e rabbia hanno una minore risposta al litio e alla TEC.

Per quanto riguarda la risposta della depressione bipolare alla TEC sembra vi sia una correlazione con la durata dell’episodio in atto e con la resistenza alla terapia farmacologica. I pazienti con una più lunga durata dell’episodio depressivo hanno un decorso peggiore (Black e coll., 1993; Prudic e coll., 1996) così come i pazienti che non hanno risposto ad uno o più adeguati trials farmacologici nell’episodio indice (McCall e coll., 2000). Inoltre sembra vi sia risposta maggiore alla TEC nei pazienti depressi con sintomi psicotici rispetto ai pazienti senza sintomi psicotici (Parker e coll., 1992; O’Leary e coll., 1995;

Sobin e coll., 1996).

Daly e coll. (2001) hanno riportato un tasso di risposta e remissione

alla TEC analogo nella depressione unipolare e bipolare senza

differenze nei sottotipi bipolare I e bipolare II. Tuttavia nei pazienti

(43)

bipolari la velocità di risposta è più rapida e gli autori hanno riscontrato una differenza statisticamente significativa nel numero di trattamenti effettuati: i pazienti unipolari necessitano di un numero più elevato di trattamenti (9,68 ± 2,499) rispetto ai bipolari I (8,16 ± 2,43) e ai bipolari II (8,20 ± 2,63). Questi risultati sono stati confermati da Prudic e coll. (2004) che non hanno riscontrato differenze nelle percentuali di risposta/remissione in pazienti unipolari e bipolari sottoposti a TEC ma hanno riportato che i pazienti unipolari con episodi di più lunga durata e resistenti ai trattamenti farmacologici necessitano di un numero maggiore di trattamenti.

Poiché la TEC può indurre l’insorgenza di ipomania/mania nei

pazienti bipolari (Devanand e coll., 1988), gli autori hanno ipotizzato

che un viraggio ipomaniacale precoce possa essere responsabile del

rapido effetto antidepressivo osservato nei pazienti bipolari. Inoltre è

stato ipotizzato che nei pazienti bipolari ci sia un maggiore

incremento nella soglia convulsiva per trattamento, rispetto ai pazienti

unipolari, che indicherebbe un più rapido effetto anticonvulsivante.

(44)

SCOPO DELLO STUDIO

L’obiettivo di questo studio è quello misurare le concentrazione del BDNF plasmatico in un campione di pazienti Bipolari in fase depressiva resistenti ai trattamenti farmacologici.

Sono state ricercate le correlazioni tra livelli basali di BDNF e le caratteristiche cliniche e sintomatologiche dell’episodio in atto quali l’età di esordio, durata episodio attuale, numero di episodi, risposta, sottotipo diagnostico, presenza di sintomi psicotici. Inoltre sono state valutate le variazioni del BDNF prima e dopo un ciclo di TEC in relazione alla risposta clinica, alle caratteristiche cliniche e di decorso.

La valutazione delle condizioni psicopatologiche dei pazienti

prima, durante e alla fine del trattamento sono state effettuate mediante

la somministrazione di scale di valutazione clinica standardizzate.

(45)

MATERIALE E METODO

1) Caratteristiche dei pazienti

Sono stati valutati 15 pazienti Bipolari affetti da Episodio Depressione Maggiore, ricoverati presso i reparti di degenza e di Day Hospital della Clinica Psichiatrica dell’Università degli Studi di Pisa, trattati con Terapia Elettroconvulsivante.

L’indicazione ad effettuare il ciclo di TEC era fondata sul giudizio clinico degli specialisti operanti all’interno della struttura non partecipanti alla ricerca.

Le finalità dello studio sono state dettagliatamente illustrate a ciascuno dei partecipanti alla ricerca e la loro volontà di aderire allo studio è stata formalizzata mediante la firma di un consenso informato.

La diagnosi, secondo i criteri del DSM IV, è stata effettuata con

somministrazione della MINI versione 5.0.1; per la valutazione della

gravità dell’episodio depressivo è stata somministrata la Hamilton

Rating Scale for Depression- 17 items; i sintomi psicopatologici quali

ansia-depressione; -anergia; -disturbo del pensiero; -attività; -ostilità-

sospettosità sono stati valutati tramite la BPRS; per la valutazione

obiettiva del quadro psicopatologico complessivo, ogni medico

(46)

valutatore ha utilizzato la CGI nella sezione relativa alla gravità del disturbo in atto, e al miglioramento nelle valutazioni successive. La presenza di sintomi di tipo espansivo è stata valutata mediante la somministrazione della YMRS (Young Mania Rating Scale) e i sintomi cognitivi sono stati valutati mediante la somministrazione del Mini Mental State.

I pazienti sono stati giudicati “responders”, quando presentavano al termine del ciclo di TEC una riduzione del 60% del punteggio della HAM-D. E’ stata considerata remissione completa se il punteggio così calcolato era uguale o inferiore a 7.

I prelievi dei campioni di sangue per la valutazione dei livelli plasmatici di BDNF e le valutazioni diagnostiche e sintomatologiche sono state effettuate a T0 (il giorno prima dell’inizio del trattamento con TEC), a T1 (il giorno precedente la 4° applicazione di TEC) e a T2 (al termine del ciclo di TEC).

2)Trattamento con TEC

Prima di iniziare il ciclo di TEC, i pazienti vengono sottoposti alle seguenti valutazioni:

A) Valutazione medica: raccolta di una anamnesi generale con

esame obiettivo, esami ematochimici, ECG con visita cardiologia. L’

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Rx torace viene effettuato dai pazienti affetti da patologie cardiovascolari, polmonari e forti fumatori (> di 20 sigarette/die).

Qualora non fosse stato fatto in precede i paziente vengono sottoposti ad esame TC o RMN encefalo.

Non vengono sottoposti a TEC i pazienti affetti da patologie organiche quali: malattie cardiovascolari (infarto del miocardio recente, angina, scompenso cardiaco, ipertensione arteriosa non trattata), aneurismi o malformazioni vascolari, tumori cerebrali o altre lesioni cerebrali occupanti spazio, infarto cerebrale recente, patologie polmonari (broncopneumopatie croniche ostruttive, asma, polmonite), patologie dell’apparato osteoarticolare, epilessia, distacco retinico, diabete mellito e le donne in gravidanza.

B) Valutazione anestesiologica: è indagata la presenza di una anamnesi positiva di intolleranza all’anestesia, di reflusso gastro- esofageo, la presenza di trattamenti farmacologici in atto, e la presenza di forme allergiche. Di particolare importanza sono i valori di numero di dibucaina e pseudocolinesterasi perché un loro deficit può rallentare il metabolismo della succinilcolina con conseguente incremento della fase di apnea respiratoria.

Per l’esecuzione dell’anestesia si utilizza la seguente procedura:

somministrazione come preanestesia di un farmaco anticolinergico

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vagolitico (atropina solfato), 30-45 minuti prima di eseguire la TEC, alla dose di 0,02 mg/Kg per via im.. Per l’induzione dell’ anestesia e del rilassamento muscolare viene utilizzato il Tiopentale sodico, alla dose di 3-4 mg/Kg, e la succinilcolina, alla dose di 0,5-1 mg/Kg.

Dopo aver raggiunto una narcosi profonda con completo rilassamento muscolare si procede alla ossigenazione del paziente mediante ossigeno puro con maschera facciale a R.P.P.I. Dopo circa due minuti viene praticata la TEC.

E’ stato utilizzato un apparecchio MECTA, modello SPECTRUM 5000, capace di generare stimoli ad onda quadra bidirezionale. Per realizzare un contatto elettrico adeguato con il cuoio capelluto si applica uno strato di gel elettroconduttivo sulla superficie degli elettrodi.

La TEC viene somministrata secondo la tecnica bilaterale, posizionando gli elettrodi su entrambi i lati della testa nella zona fronto-temporale, con il punto centrale dell’elettrodo localizzato 3-4 cm al di sopra del punto mediano della linea che collega il meato acustico esterno all’angolo palpebrale esterno.

La quantità di energia necessaria ad indurre la convulsione viene

calcolata con il metodo dell’età (Petrides e Fink, 1996), secondo la

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formula joule = ½. Età. Le la crisi è considerata adeguata se la durata della convulsione registrata con EEG è superiore a 25 secondi e/o e quella motoria è maggiore 20 secondi. Nel caso di durata inferiore, dopo un intervallo di 20 secondi, viene incrementato i livello dell’intensità dello stimolo secondo tabelle definite nei protocolli internazionali, fino a produrre una convulsione adeguata.

Durante la somministrazione della TEC vengono monitorati i parametri cardio-respiratori mediante la registrazione ECGgrafica e l’impiego del Pulsoossimetro.

L’insorgenza della convulsione, la durata e altre informazioni riguardanti le caratteristiche di quest’ultima vengono registrate tramite l’Elettroencefalogramma.

I due elettrodi di registrazione dell’EEG vengono posti uno a livello frontale sinistro a circa 1 cm al di sopra del punto medio sopracciliare, e l’altro a livello mastoideo sinistro, al di sopra del processo osseo, dietro l’orecchio.

I pazienti effettuano sedute di TEC con cadenza bisettimanale. Il

numero complessivo di trattamenti per ogni paziente è stabilito in base

al giudizio clinico dal medico specialista curante che non partecipa alla

ricerca.

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