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La strumentalizzazione della logica “amico-nemico” nel rovesciamento del rapporto “eccezione (illiceità)-regola (liceità)”? Alcuni spunti di riflessione sulla tenuta del sistema, muovendo dalle disposizioni sull’addestramento nell’uso di armi.

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(1)

LA STRUMENTALIZZAZIONE DELLA LOGICA

“AMICO-NEMICO” NEL ROVESCIAMENTO DEL

RAPPORTO “ECCEZIONE (ILLICEITÀ)-

REGOLA (LICEITÀ)”?

ALCUNI SPUNTI DI RIFLESSIONE SULLA TENUTA

DEL SISTEMA, MUOVENDO DALLE DISPOSIZIONI

SULL’ADDESTRAMENTO NELL’USO DI ARMI

Roberto Wenin

S

OMMARIO

: 1. Introduzione e oggetto dell’analisi. 2. “Sussidiarietà

pro-cessuale” dell’art. 2-bis rispetto all’art. 270-quinquies c.p.? 3.

Strumentaliz-zazione della logica “amico-nemico” nel rovesciamento del rapporto

“ecce-zione (illiceità)-regola (liceità)”? 4. Perplessità circa lo strumento utilizzato:

il decreto legge. 5. Consenso e scelte legislative. 6. Riflessioni conclusive.

1. Introduzione e oggetto dell’analisi

Il 7 luglio 2005 a Londra una serie di attentati suicidi colpirono il

si-stema di trasporto della capitale, cagionando gravi danni e vittime. Tali

fatti rappresentarono per l’Italia «l’ultima spinta alla realizzazione di un

progetto che era già in cantiere da lungo tempo»

1

.

Con legge 31 luglio 2005 n. 155 fu convertito in legge il decreto 27

luglio 2005 n. 144, intitolato «Misure urgenti per il contrasto del

terro-rismo internazionale».

Nella relazione alla conversione fu precisato che l’iniziativa

legisla-tiva si prefissava, in primo luogo, di rendere più ampia ed efficace

Il presente contributo si inserisce nel progetto di ricerca «Diritto penale e

moder-nità. Le nuove sfide fra terrorismo, sviluppo tecnologico e garanzie fondamentali», Bando Post Doc 2011 PAT.

1 S.R

EITANO, Riflessioni in margine alle nuove fattispecie antiterrorismo, in Riv. it.

(2)

l’azione di contrasto al terrorismo internazionale, mediante specifiche e

mirate misure volte a perfezionare norme ed istituti già in vigore,

non-ché a potenziare gli strumenti d’indagine e di controllo.

In particolare, per lo scopo della presente riflessione, con tale legge di

conversione furono introdotti nel nostro ordinamento l’art. 270-quinquies

c.p., il quale sanziona la condotta di «addestramento ad attività con

fi-nalità di terrorismo anche internazionale», e l’art. 2-bis della legge n.

895 del 1967 che detta «disposizioni per il controllo delle armi».

Rispetto all’art. 270-quinquies c.p. si precisò che, dando seguito alla

Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione del terrorismo

2

,

scopo della previsione è di «perseguire coloro che sono in grado di

as-sicurare il cosiddetto know how dell’attività terroristica».

Dieci anni dopo, nel 2015, a seguito dei gravi fatti di terrorismo

av-venuti nel dicembre 2014 in Francia, il legislatore interviene

nuova-mente con decreto legge, d.l. 7 del 15 febbraio 2015, recante misure

urgenti di contrasto del terrorismo di matrice anche internazionale,

convertito poi con modifiche con legge 43 del 17 aprile 2015. La norma

incide anche sull’articolo 270-quinquies c.p. al fine di, come precisato

nella relazione accompagnatoria del disegno legge di conversione (C.

2893), adeguare l’ordinamento interno in particolare ai dettami della

risoluzione ONU n. 2178 dd. 24.09.2014. In tal senso si afferma che

sull’originaria fattispecie la quale postulerebbe «un rapporto

necessa-riamente duale tra addestratore e addestrato, viene innestata una nuova

fattispecie di reato che rende punibile anche l’auto-addestramento, cioè

la condotta di chi si prepara al compimento di atti di terrorismo,

attra-verso una ricerca e un apprendimento individuali e autonomi delle

“tecniche” necessarie a perpetrare simili atti». In realtà la norma pare

2 Più precisamente, nella relazione di conversione si precisa che «l’incriminazione

dell’addestramento al terrorismo è per altro imposta dalla recente Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione del terrorismo firmata, anche dall’Italia». La Convenzione, infatti, non fu mai ratificata dall’Italia. Vi furono due distinti progetti di legge di ratifica ed esecuzione della convenzione, nonché di adeguamento dell’ordina-mento italiano; l’uno presentato durante la XV legislatura (n. 1799) e l’altro, che ri-prendeva l’articolato e la relazione del precedente progetto, durante la XVI legislatura (n. 852). Entrambi i progetti furono frustrati dalla conclusione anticipata delle legislatu-re.

(3)

punire non già la sola condotta di auto-addestramento, ma anche il

semplice reperimento di informazioni, laddove ad esso facciano seguito

comportamenti univocamente finalizzati alla commissione delle

con-dotte di cui all’articolo 270-sexies c.p. Accanto a tale previsione viene

poi introdotta una circostanza aggravante per le ipotesi nelle quali le

condotte di addestramento siano perpetrate attraverso il ricorso a

stru-menti informatici o telematici.

Dispone dunque ora l’art. 270-quinquies:

Chiunque, al di fuori dei casi di cui all’articolo 270-bis, addestra o

co-munque fornisce istruzioni sulla preparazione o sull’uso di materiali

esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o

batte-riologiche nocive o pericolose, nonché di ogni altra tecnica o metodo

per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi

pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro

uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale, è punito

con la reclusione da cinque a dieci anni. La stessa pena si applica nei

confronti della persona addestrata, nonché della persona che avendo

ac-quisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento degli atti

di cui al primo periodo, pone in essere comportamenti univocamente

fi-nalizzati alla commissione delle condotte di cui all’articolo 270-sexies.

Le pene previste dal presente articolo sono aumentate se il fatto di chi

addestra o istruisce è commesso attraverso strumenti informatici o

te-lematici.

Con riferimento alla normativa in materia di armi, nella richiamata

relazione s’individua la ratio delle innovazioni nella volontà di

«mi-gliorare l’apparato di prevenzione di gravi reati». Particolare rilievo

veniva posto sul comma 5 dell’art. 8 che conteneva la proposta

d’intro-duzione dell’art. 2-bis, precisandosi che esso mirava a calibrare «la

fat-tispecie e la relativa sanzione con il disposto degli articoli 1, 2 e 5 della

legge 2 ottobre 1967, n. 895, riguardante le armi da guerra, quelle

chi-miche e batteriologiche e gli altri congegni micidiali».

Detta l’art. 2-bis:

Chiunque fuori dei casi consentiti da disposizioni di legge o di

regola-mento addestra taluno o fornisce istruzioni in qualsiasi forma, anche

anonima, o per via telematica sulla preparazione o sull’uso di materiali

esplosivi, di armi da guerra, di aggressivi chimici o di sostanze

batterio-logiche nocive o pericolose e di altri congegni micidiali è punito, salvo

(4)

che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da uno a sei

anni.

Sinteticamente riportate le ragioni poste a fondamento

dell’introdu-zione nel nostro ordinamento delle norme citate e le finalità perseguite

dal legislatore, occorre ora confrontarsi con la portata effettiva delle

in-novazioni, traendo così spunto per una rinnovata riflessione circa le

scelte incriminatrici, le tecniche di tipizzazione delle fattispecie penali,

il rapporto di regola/eccezione e i riflessi, a breve e lungo termine, sulla

tenuta e razionalità del sistema.

In primo luogo v’è da chiedersi quale sia l’effettiva portata delle due

previsioni e quindi gli eventuali margini di autonomia e

sovrapposizio-ne.

Limitando l’analisi ai profili più rilevanti, si può osservare come

en-trambe le norme sanzionino la condotta di addestramento e istruzione.

L’art. 270-quinquies c.p. sanziona oltre al soggetto attivo, istruttore

o addestratore, anche l’addestrato, nonché ora l’istruito. La punibilità

dell’addestrato – peraltro non imposta dalla Convenzione di Varsavia –,

a ragione, non aveva mancato di suscitare critiche, giacché punisce il

solo fatto dell’aver ricevuto un addestramento passivo

3

sia pur, come

vedremo, con fini specifici. Ciò che contraddistingue l’addestramento

dall’istruzione sarebbe dato dall’esistenza di un rapporto effettivo e

diretto tra addestrato e recluta

4

.

3 Cfr. M.D

ONINI, Lo status di terrorista: tra il nemico e il criminale. I diritti

fon-damentali e la giurisdizione penale come garanzia contro, o come giustificazione per l’uso del diritto come arma?, in S. MOCCIA (a cura di), I diritti fondamentali della

per-sona alla prova dell’emergenza, Napoli, 2009, p. 99, laddove precisa che la «punizione

della mera pericolosità soggettiva viene spacciata per diritto penale del fatto in quanto si dice che l’offesa è di pericolo ed è insita non nel soggetto, ma nell’addestramento che ha ricevuto». Solleva perplessità sulla compatibilità della fattispecie con i principi di colpevolezza per il fatto, materialità e offensività, anche F.RESTA, Ancora su

terrori-smo e stato della crisi, in Quaderni degli Annali della Facoltà Giuridica di Camerino,

1, 2013, p. 296, nota 483. Sul contrasto della norma, nel suo insieme, con il principio di offensività, sottoponendosi a pena condotte di carattere meramente preparatorio, V. MA -SARONE, Politica criminale e diritto penale nel contrasto al terrorismo internazionale.

Tra normativa interna, europea ed internazionale, Napoli, 2013, p. 265. 4 Cfr. F.R

OBERTI, Le nuove fattispecie di delitto in materia di terrorismo, in A.A. DA -LIA (a cura di), Le nuove norme di contrasto al terrorismo. Commento al Decreto-legge

(5)

Per quanto concerne la condotta materiale, l’oggetto

dell’addestra-mento e dell’istruzione differisce nelle due norme: mentre nel caso

del-l’art. 270-quinquies si fa riferimento alle armi da fuoco, neldel-l’art. 2-bis

si parla di armi da guerra, e ancora nell’art. 270-quinquies si parla di

sostanze chimiche e nel 2-bis di aggressivi chimici.

L’art. 2-bis contiene infine il riferimento ad altri congegni micidiali,

mentre l’art. 270-quinquies ricomprende qualsiasi altra tecnica o

meto-do per il compimento di atti di violenza ovvero sabotaggio di servizi

pubblici essenziali.

Rispetto all’elemento soggettivo la dottrina e la giurisprudenza

con-cordano nel richiedere con riferimento all’art. 270-quinquies un doppio

dolo specifico dato dalla volontà di compiere atti di violenza o di

sabo-taggio di servizi pubblici essenziali e dalla finalità di terrorismo

5

.

Da quanto esposto, emerge dunque un rapporto di reciproca

speciali-tà

6

fra le due disposizioni in commento, nel senso che la condotta tipica

dell’art. 270-quinquies parrebbe più ampia, ricomprendendo qualsiasi

arma da fuoco mentre, rispetto all’elemento soggettivo, l’art. 2-bis

an-drebbe a ricomprendere condotte non punite dalla norma del codice

penale prescindendo esso, infatti, dall’esistenza di uno scopo specifico

nell’attività di addestramento o istruzione.

27 luglio 2005, n. 144 convertito, con modificazioni, nella Legge 31 luglio 2005, n. 155 ed integrato dal Decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, nella Legge 21 febbraio 2006, n. 49 e sintesi dei lavori parlamentari, Milano, 2006, pp.

531 ss.; Cass. pen., 29670/2011, in Riv. pen., 2012, pp. 56 ss. Secondo Cass. pen. 38220/11, reperibile sul sito www.penalecontemporaneo.it, con nota di F.PICCICHÈ, Il problema

del dolo nel reato di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche interna-zionale: due sentenze a confronto, l’addestratore non si limiterebbe a trasferire

infor-mazioni, ma agirebbe somministrando specifiche nozioni, rendendo i destinatari idonei ad uno specifico scopo e l’addestrato si renderebbe disponibile alla ricezione non epi-sodica di queste nozioni specifiche.

5 Sulla posizione della giurisprudenza si veda, tuttavia, Cass. pen. 38220/2011, cit.

in nota 4, la quale ritiene la fattispecie in commento punibile a titolo di dolo generico, atteso che la finalità di terrorismo varrebbe a connotare gli atti di violenza e sabotaggio di servizi pubblici.

6 G. C

IVELLO, Armi ed esplosivi. L. 2.10.1967, n. 895, in M. RONCO,S.ARDIZZONE

(6)

In altre parole, il disvalore della condotta, assorbito nell’art.

270-quinquies dal fine che deve guidare la stessa, sarebbe incentrato

nel-l’art. 2-bis dall’oggettiva pericolosità della condotta, data dall’oggetto

al quale si riferiscono le informazioni

7

; in realtà l’unica differenza

par-rebbe aversi con riferimento alle armi da guerra

8

. Per quanto concerne

in particolare la distinzione fra sostanze chimiche (di cui all’art.

270-quinquies) e gli aggressivi chimici, il richiamo a questi ultimi in realtà,

se interpretato in senso stretto, appare nell’art. 2-bis pleonastico,

essen-do gli aggressivi chimici, per disposto dell’art. 1 l. n. 110/1975, armi da

guerra

9

: quindi l’ambito di applicazione dell’art. 270-quinquies appare

anche in tal caso oggettivamente più ampio ricomprendendo le sostanze

chimiche

10

, che non sono armi da guerra.

Posto che il disvalore della condotta è incentrato sulla qualifica di

arma da guerra, occorre dunque chiedersi come il legislatore abbia

provveduto a tipizzare la categoria “arma da guerra”. Il richiamato art.

1 della l. n. 110/1975, al comma primo precisa che:

Agli effetti delle leggi penali, di quelle di pubblica sicurezza e delle

al-tre disposizioni legislative o regolamentari in materia sono armi da

guerra le armi di ogni specie che, per la loro spiccata potenzialità di

of-fesa, sono o possono essere destinate al moderno armamento delle

trup-pe nazionali o estere trup-per l’impiego bellico, nonché le bombe di

qualsia-si tipo o parti di esse, gli aggresqualsia-sivi chimici biologici, radioattivi, i

7 Cfr. L.S

COTTO, Commento sub art. 8, D.L. 27.7.2005 n. 144, in LP, 2005, p. 496.

8 Ulteriore differenza sarebbe ravvisabile ad avviso di I.R

USSO, Sistema penale di

armi, esplodenti, munizioni, caccia e tiro, Roma, 2012, p. 176, con riferimento agli

esplosivi: i materiali esplosivi cui l’art. 2-bis intenderebbe riferirsi sarebbero solo quelli dotati del carattere di micidialità, rimanendovi esclusi, a differenza di quanto stabilito dall’art. 270-quinquies, gli esplodenti più tenui. Spetterebbe quindi all’interprete, di volta in volta, espletare un’intelligente indagine di fatto ed esprimere un delicato giudi-zio di merito, secondo le circostanze, la qualità e la quantità dell’esplosivo, la natura e la modalità delle informazioni offerte.

9 Cfr. I.R

USSO, op. cit. in nota 8, p. 177.

10 Secondo un’interpretazione in malam partem, che si qualifica estensiva, ma a

ri-guardo si potrebbero nutrire dei dubbi se non si tratti già di analogia, l’art. 2-bis avreb-be inteso riferirsi pure alle armi chimiche, utilizzando in modo improprio il termine aggressivi chimici: I.RUSSO, op. cit. in nota 8, p. 177.

(7)

gegni bellici micidiali di qualunque natura, le bottiglie o gli involucri

esplosivi o incendiari (leggasi ad esempio molotov)

11

.

La lettura della previsione solleva significative perplessità sul

rispet-to o meno del principio di determinatezza

12

: la giurisprudenza ha

preci-sato che deve essere il giudice a stabilire quale sia la natura dell’oggetto

e la disciplina cui debba conseguentemente farsi riferimento

13

, con

buo-na pace, parrebbe, degli ideali illuministici del diritto pebuo-nale, secondo i

quali il cittadino dovrebbe essere messo nella condizione di orientare

consapevolmente la propria condotta potendo discernere tra quanto è

le-cito e quanto all’inverso non lo è

14

. Medesime perplessità si pongono

11 Ex multis Cass. pen. 6132/2009, in Cass. pen., 2010, 324 (s.m.). Secondo diversa

giurisprudenza si tratterebbe in ogni caso di congegni micidiali – da ultimo Cass. pen. 1622/2013, ivi, 2013, 4153 (s.m.) – e come tali rientrerebbero comunque nell’ambito di applicazione dell’art. 2-bis.

12 Cfr. S.M

OCCIA, La ‘promessa non mantenuta’. Ruolo e prospettive del principio

di determinatezza/tassatività nel sistema penale italiano, Napoli, 2001, p. 38.

13 Cass. pen. 28911/2008, in Cass. pen., 2009, p. 1674 (s.m.). Va precisato che

l’iscri-zione nel catalogo comune dell’armi da sparo di cui all’art. 7 della l. n. 110/1975 (ora peraltro abolito dall’art. 14 co. 7 della l. n. 183/2011) tenderebbe a costituire accerta-mento definitivo della qualità dell’arma e criterio atto ad escludere, in negativo, la qua-lifica di arma da guerra, a meno che non vi siano state modifiche idonee ad aumentare l’offensività, cfr. Cass. pen. 9034/2009, ivi, 2010, p. 1134 (s.m.).

14 Cfr. sul punto S.M

OCCIA, La ‘promessa non mantenuta’…, cit. in nota 12, pp. 12

ss. In generale, con riferimento alla “crisi della legge”, F.PALAZZO, Sistema delle fonti

e legalità penale, in G.INSOLERA (a cura di), Riserva di legge e democrazia penale: il

ruolo della scienza penale, Bologna, 2005, p. 90, evidenzia come la garanzia della

li-bertà di autodeterminazione offerta dalla legge al cittadino abbia ormai assunto, in mol-ti casi, connotamol-ti davvero fitmol-tizi. Suonano ormai lontane e vuote le parole della Consul-ta, quando ricordava che «nelle prescrizioni tassative del codice il soggetto deve poter trovare, in ogni momento, cosa gli è lecito e cosa gli è vietato: ed a questo fine sono ne-cessarie leggi precise, chiare, contenenti riconoscibili direttive di comportamento»: Corte cost., sent. n. 364/1988, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 699. Evidenzia sempre PALAZZO, ibidem, p. 103, come non sia un caso che la Corte, salvo in ogni caso

l’obbli-go costituzionale di formulazione determinata della legge penale, abbia spostato lo stru-mento di garanzia dalla legalità alla colpevolezza, avendo preso atto delle obiettive difficoltà a realizzare l’ideale delle leggi poche, chiare e conoscibili dal cittadino. Nello stesso senso, di fatto, M.AINIS, L’eclissi della legge, in U.VINCENTI (a cura di),

(8)

con riferimento alle incertezze legate alla definizione del concetto di

micidialità dell’esplosivo, tale da distinguerlo dal mero materiale

esplo-dente

15

.

A fronte di tali lacune definitorie, destinate ad essere colmate in

ba-se ad un giudizio sul singolo caso, pare emergere con forza

l’impressio-ne che la norma, per usare l’espressiol’impressio-ne di Sgubbi, rischi di diventare

un «mero strumento di legittimazione legalistica di una scelta

repressi-va concreta»

16

, magari fondata su valutazioni del tipo di autore. Ciò è

tanto più grave nel contesto di un diritto penale che con riferimento al

terrorismo pare essere divenuto, secondo quanto evidenziato dalla più

15 Cfr. nota 8; I.R

USSO, op. cit. in nota 8, pp. 304 ss., laddove precisa che nessuna

legge penale elargisce una nozione compiuta degli esplosivi e che la valutazione giuri-dica di un prodotto esplodente è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito. Nello stesso senso la Suprema corte che, con riferimento ad una bomba carta, ha avuto modo di statuire che «il compito di accertare le caratteristiche del congegno e la sua micidiali-tà o meno, pur se potenziale e subordinata al modo di impiego, è riservata al giudice del merito (Cass. Sez. 1, 18 maggio 1993, n. 7376, rv. 195267) che deve apprezzare tutti gli elementi obiettivi del fatto, quali desumibili dagli atti sottoposti al suo vaglio» (Cass. pen. 6132/2009, cit. in nota 11).

16 F.S

GUBBI, Uno studio sulla tutela penale del patrimonio. Libertà economica,

di-fesa dei rapporti di proprietà e «reati contro il patrimonio», Milano, 1980, p. 239. È di

tutta evidenza che «un testo normativo svuotato di ogni contenuto finisce per concedere all’interprete la discrezionalità della stessa configurazione del reato. E ciò accade in spregio al principio di subordinazione del giudice alla legge, dando sempre nuovo corso ad una pressoché insopprimibile tendenza ad estendere la giurisdizione libera»: S. MOCCIA, La ‘promessa non mantenuta’…, cit. in nota 12, p. 39. Peraltro il rischio di

compromissione dei diritti del cittadino connesso alla violazione del principio di deter-minatezza attiene non solo al pericolo di un abuso giudiziario, ma altresì alla razionalità dell’intervento legislativo, infatti «le leggi penali “vaghe” compromettono i diritti di libertà del cittadino»: R.RAMPIONI, Il reato quale illecito di modalità e di lesione

tipi-che: l’impraticabilità di un “equivalente funzionale” al principio di riserva di legge, in

Riv. it. dir. proc. pen., 2013, p. 586; è ancora la Corte costituzionale, sent. n. 185/1992,

in Giur. cost., 1992, p. 1337, a ricordarci, richiamando il proprio precedente n. 364/1988, che il principio di determinatezza, per l’appunto, deve essere inteso «non soltanto quale garanzia contro l’arbitrio del giudice, ma anche quale presidio della libertà e sicurezza dei cittadini».

(9)

attenta dottrina, esso stesso uno strumento di lotta, se non di guerra

17

.

Se tuttavia, il diritto diviene strumento di lotta, ciò significa che lo

Sta-to chiede ai giudici di «attuare le finalità di lotta che ispirano le regole

da applicare. E se i giudici lottano anch’essi, va da sé che rischiano di

perdere la terzietà richiesta alla funzione giurisdizionale»

18

.

2. “Sussidiarietà processuale” dell’art. 2-bis rispetto all’art.

270-quinquies c.p.?

L’art. 2-bis rischia allora di divenire, rispetto all’art. 270-quinquies

c.p., norma sussidiaria in senso non tanto sostanziale bensì

eminente-mente processuale

19

: l’indeterminatezza nella descrizione

17 M.D

ONINI, Lo status di terrorista…, cit. in nota 3, p. 89; ID., Il diritto penale di

fronte al “nemico”, in AA.VV., Scritti per Federico Stella, vol. I, Napoli, 2007, pp.

102 ss.

18 M.D

ONINI, Lo status di terrorista…, cit. in nota 3, p. 89. Vedi anche M.DONINI,

Il diritto penale di fronte al “nemico”, cit. in nota 17, p. 102, dove precisa che «il

giudi-ce è sollecitato contemporaneamente ad attuare un programma di lotta nel presente e per il futuro, e ad emettere un dictum “imparziale” su violazioni passate». Nello stesso senso L.FERRAJOLI, Il “diritto penale del nemico”: un’abdicazione della ragione, in A. BER -NARDI,B.PASTORE,A.PUGIOTTO (a cura di), Legalità penale e crisi del diritto, oggi.

Un percorso interdisciplinare, Milano, 2008, pp. 167 ss. e P.MOROSINI, Continuità e

novità della giurisprudenza in tema di terrorismo, in Questione giustizia, 2006, pp. 691

ss., il quale facendo riferimento al rischio di una «funzionalizzazione bellicosa della macchina giudiziaria», evidenzia come l’analisi del modello di legalità antiterrorismo imponga «una riflessione di fondo sulla impostazione culturale e sul ruolo della giuri-sdizione nel circuito democratico in epoche di emergenza criminale».

19 Rileva R.R

AMPIONI, op. cit. in nota 16, p. 579, come «attualmente, l’ottica miope

della (pseudo) efficienza immediata impone formule flessibili anche (e soprattutto) a fini di semplificazione processuale». Evidenzia ancora S.MOCCIA, La perenne

emer-genza. Tendenze autoritarie nel sistema penale, 2a ed., Napoli, 2000, p. 16, come le

di-sfunzionalità di carattere strutturale legate all’ipertrofia del diritto penale finiscano per ripercuotersi negativamente sul processo, dando luogo ad una perversa spirale: «le dif-ficoltà processuali, di ordine prevalentemente probatorio, finiscono, poi, con l’ispirare scelte legislative, quanto meno discutibili relativamente ad alcuni principi elementari di garanzia, come quelli di materialità, offensività, determinatezza, e la stessa personalità della responsabilità penale».

(10)

to

20

, con conseguente sussunzione della condotta nel fatto tipico

rimes-sa al prudente apprezzamento del giudice di merito, porta in sé una

pe-ricolosa strumentalità rispetto a situazioni di difficile o mancato

rag-giungimento della prova circa il fine richiesto dall’art. 270-quinquies

21

,

il quale, peraltro, dovrebbe assorbire il disvalore/l’offensività della

con-dotta.

3. Strumentalizzazione della logica “amico-nemico” nel rovesciamento

del rapporto “eccezione (illiceità)-regola (liceità)”?

Ma, da una diversa ottica, strettamente connessa al profilo del

rap-porto regola/eccezione

22

, nella richiamata contrapposizione fra

“duel-lanti”, ispirata a criteri di difesa sociale di fronte ad un nemico

presen-tato come extraneus, si rischia, altresì, di perdere di vista quelle

incrina-ture che vanno ad intaccare i principi che dovrebbero ispirare un

ordi-namento liberaldemocratico, primo fra tutti quel principio la cui

attua-zione è divenuta oramai una «promessa non mantenuta»

23

: il principio

di determinatezza e di riflesso il principio di frammentarietà del diritto

penale.

20 Si è osservato che «la flessibilizzazione della fattispecie non è (solo) frutto di

in-fortuni tecnici o di oggettive difficoltà di formulazione ma risponde alle esigenze di quel «pensiero unico» il cui postulato è che la garanzia dei diritti e della sicurezza passa necessariamente attraverso l’espulsione da quei diritti degli esclusi, cioè dei «nemici della società» in senso lato…»: L.PEPINO, La giustizia, i giudici e il «paradigma del

nemico», in Questione giustizia, 2006, p. 854.

21 All’indomani dell’entrata in vigore della norma, già nei primi commenti si

evi-denziava come la richiesta del dolo specifico avrebbe sicuramente posto delicati pro-blemi di accertamento, soprattutto laddove la condotta di “divulgazione” non fosse poi stata accompagnata da insegnamenti ideologici a carattere religioso o politico: M.L EC-CESE, Il codice penale si allinea a Bruxelles. Ora chi predica l’odio rischia grosso.

Punite anche le attività di arruolamento e addestramento, in D&G, 2005, p. 95. 22 Per un’analisi sulle regole dell’eccezione con particolare riferimento al

terrori-smo si veda M.MECCARELLI,P.PALCHETTI,C.SOTIS (a cura di), Le regole

dell’eccezio-ne. Un dialogo interdisciplinare a partire dalla questione del terrorismo, Macerata,

2011.

23 Il riferimento è, evidentemente, di nuovo alla nota opera di S.M

OCCIA, La

(11)

La fonte principale di legittimazione della normativa in materia di

terrorismo è rappresentata dall’emergenza, caratteristica questa, la

qua-le, tuttavia, come tradizionalmente inteso, dovrebbe segnarne anche il

limite intrinseco

24

: «l’emergenza, nella sua accezione più propria, è una

condizione certamente anomala e grave, ma anche essenzialmente

tem-poranea. Ne consegue che essa legittima, sì, misure insolite, ma che

queste perdono legittimità, se ingiustificatamente protratte nel

tem-po»

25

.

Le norme che il legislatore italiano ha introdotto in “risposta” al

fe-nomeno terroristico sono, tuttavia, prive di tale carattere di

temporanei-tà, andando a modificare in maniera permanente le previsioni

codicisti-che; si assiste così a quel fenomeno che è stato definito di

«normalizza-zione dell’emergenza»

26

: «con essa le misure eccezionali, nate in

rispo-sta immediata ad una emergenza, vengono inserite nei testi di

legisla-zione ordinaria già vigente […] Tale fenomeno comporta che la

reces-sione dei diritti nel bilanciamento con la sicurezza, non essendo

confi-gurata come un regime d’eccezione, venga percepita, come “normale” e

si protragga oltre il periodo di emergenza»

27

.

Occorre tuttavia evidenziare, come parte della dottrina contesti, con

riferimento alle norme volte a fronteggiare fatti di terrorismo, l’utilizzo

della formula: “diritto emergenziale”. Si precisa, infatti, che proprio per

la natura nient’affatto transitoria di tali norme, in quanto volte a

contra-stare fenomeni criminosi che sarebbe illusorio immaginare come

me-ramente temporanei, e per l’idea impropria di una sospensione delle

ga-ranzie costituzionali che essa evoca, sarebbe da evitare la formula del

24 Cfr. A.C

APUTO, Verso un diritto penale del nemico?, in Questione giustizia,

2006, p. 636.

25 Corte cost., sent. n. 15/1982, in Giur. cost., 1982, p. 102. Evidenzia tuttavia

cor-rettamente A.CAPUTO, op. cit. in nota 24, pp. 636 ss., come non si possano ricondurre

alla medesima logica la normativa emergenziale degli anni Settanta e Ottanta e gli in-terventi del legislatore attuale, giacché quest’ultimi paiono essere sviluppati in un con-testo di “guerra infinita e preventiva”.

26 Cfr. V.M

ASARONE, op. cit. in nota 3, p. 178.

27 I. P

ELLIZZONE, Le misure anti-terrorismo internazionale e la «normalizzazione

del-l’emergenza», in Giur. cost., 2006, p. 1769. Parla di trasformazione dell’eccezione in

una «costante del sistema»: M.DONINI, Lo status di terrorista…, cit. in nota 3, p. 101;

(12)

“diritto emergenziale”

28

. In altre parole, si tratterebbe, nel caso delle

norme volte a fronteggiare il terrorismo, di un legittimo “doppio binario

permanente” inserito nel sistema penale, il quale imporrebbe di

con-frontarsi di volta in volta con la legittimità e necessità delle singole

nor-me eccezionali, in base ad un giudizio di bilancianor-mento

29

.

4. Perplessità circa lo strumento utilizzato: il decreto legge

Anche volendosi aderire alla posizione da ultimo richiamata, e, anzi,

proprio aderendo all’idea di un “diritto eccezionale permanente”, si fa

forte la perplessità circa lo strumento prescelto dal legislatore per

anda-re a disciplinaanda-re le fattispecie in oggetto, ossia il decanda-reto legge.

Il richiamo all’emergenza rischia, infatti, di divenire mero elemento

di forma, e più precisamente criterio formale di giustificazione del

ri-corso alla decretazione d’urgenza

30

, con progressiva marginalizzazione

28 F.V

IGANÒ, Diritto penale del nemico e diritti fondamentali, in A. BERNARDI,B. PA -STORE,A.PUGIOTTO (a cura di), op. cit. in nota 18, p. 121.

29 L’idea che pare sorreggere tale impostazione è quella di una legittima diversa

modulazione di talune garanzie e taluni diritti fondamentali secondo la gravità del peri-colo; idea fatta propria da vari autori, fra cui: S.BONINI, Lotta alla criminalità

organiz-zata e terroristica, garanzia dell’individuo, garanzia della collettività: riflessioni sche-matiche, in Cass. pen., 2009, p. 2220; A.PAGLIARO, «Diritto penale del nemico»: una

costruzione illogica e pericolosa, ivi, 2010, pp. 2470 ss.; F.PALAZZO, Contrasto al

terrorismo, diritto penale del nemico e principi fondamentali, in Questione giustizia,

2006, pp. 674 ss.; per completezza, si osservi che lo stesso M. DONINI, Diritto penale di

lotta vs. diritto penale del nemico, in A.GAMBERINI,R.ORLANDI (a cura di), Delitto

politico e diritto penale del nemico, Bologna, 2007, p. 177, ammette la legittimità di

norme di eccezione e di contrasto, possibilità che non concerne «l’eccezione a principi inderogabili […], ma una loro concretizzazione differenziata, ovvero l’eccezione anco-ra legittima a regole ordinarie, senza pensare che il diritto “normale” sia per ciò stesso l’unico costituzionalmente conforme»; contra, nella misura in cui in tali sottosistemi non «valgano, o valgano “parzialmente” i principi costituzionali», A. CAVALIERE,

Dirit-to penale “del nemico” e “di lotta”: due insostenibili legittimazioni per una differen-ziazione, secondo tipi di autore, della vigenza dei principi costituzionali, in A. GAM -BERINI,R.ORLANDI (a cura di), op. cit., p. 287.

30 Cfr. E.M

USCO, Consenso e legislazione penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, p.

(13)

dota-del ruolo dota-del parlamento, come evidenzia altresì la fulminea

conversio-ne in legge del decreto n. 155/2005. Che dei diritti e delle libertà dei

cittadini, intaccati dallo strumento penale, debba disporre, di fatto, in

via ordinaria il potere esecutivo, come è stato acutamente osservato,

rappresenta una situazione di “anormalità” politica e culturale, che si

pone in spregio allo spirito della Costituzione

31

.

Si giunge così ad un pericoloso paradosso nel quale la

giustificazio-ne dell’intervento normativo poggia sull’emergenza – con sottraziogiustificazio-ne

agli ordinari criteri che dovrebbero guidare l’attività normativa –, ma ci

si pone in realtà lo scopo di disciplinare un fenomeno che si percepisce

come “permanente”

32

, con conseguente stabilizzazione della disciplina

normativa; il risultato è quello di un diritto “emergenziale” privo dei

caratteri di temporaneità, in altre parole un “diritto ordinario” figlio

del-la “perenne emergenza”

33

.

ta di sufficiente credibilità: l’emergenza per definizione è qualcosa di temporaneo, e non è più tale la perpetuazione, artificiosa o vera che sia, di una situazione etichettata in tali termini». Sul ricorso alla decretazione d’urgenza in materia cfr. E.LO MONTE, Gli

interventi in tema di misure di prevenzione: il problema del congelamento di beni, in

A.A.DALIA (a cura di), op. cit. in nota 4, p. 408, nota 2.

31 Cfr. E.M

USCO, Consenso e legislazione penale, cit. in nota 30, p. 86; il quale si

dice stupito della diffusa rassegnazione e acquiescenza dei vari settori del diritto e della prassi. Si evidenzia, G.LOSAPPIO, Diritto penale del nemico, diritto penale dell’amico,

nemici del diritto penale, in A.GAMBERINI,R.ORLANDI (a cura di), op. cit. in nota 29,

pp. 262 ss., come alla luce di assemblee parlamentari spesso soggiogate dalla volontà del governo e al susseguente scemare del significato di garanzia del principio di legali-tà, non basti più il mero rifiuto di annoverare il decreto legge e decreto legislativo tra le fonti del diritto penale, ma si imponga l’acquisto di una razionalità pratica che si con-fronti con i limiti dei disegni costituzionali del secondo dopoguerra. In generale sul tema si veda: C.CUPELLI, La legalità delegata. Crisi e attualità della riserva di legge

nel diritto penale, Napoli, 2012.

32 Cfr. nota 25, dove si evidenzia come le scelte del legislatore paiano essere

ispira-te da una condizione di minaccia alla convivenza democratica, nell’ambito di una “guerra infinita e preventiva”.

33 Cfr. S.M

OCCIA, La perenne emergenza…, cit. in nota 19, passim. Evidenzia,

an-cora, M.DONINI, Il diritto penale di fronte al “nemico”, cit. in nota 17, p. 83, nota 7,

come sia proprio questa «la logica italiana dell’“emergenza”, che da situazione ecce-zionale si è trasformata da almeno vent’anni (contro il terrorismo, la mafia, Tangento-poli, il narcotraffico, etc.) in una realtà normativa permanente e quindi perenne,

(14)

“den-Ha quindi ragione, a prescindere dal profilo relativo

all’ammissibili-tà o meno di un trattamento diversificato, quella parte della dottrina,

di-nanzi richiamata, laddove evidenzia il rischio di un fuorviante richiamo

ad un concetto di emergenza temporanea.

Il risultato della confusione di piani finisce per incidere sui

contenu-ti, quale limitazione di libertà

34

, e sulla forma, senza tuttavia che sia

possibile tracciare una netta distinzione in tal senso per le evidenti

con-nessioni. Relativamente alla forma – accanto alle perplessità circa il

ri-corso alla decretazione di urgenza – si è precisato come si possa ormai

fare riferimento ad un «“tipo emergenziale di reato”. Questo viene ad

affiancarsi alle tradizionali fattispecie di reato modellate in senso

garan-tistico, formale e sostanziale, secondo gli schemi dello stato sociale di

diritto. Il tipo emergenziale presenta, invece, costantemente tali

caratte-ristiche: approssimazione, caoticità, rigorismo repressivo, sterile

simbo-licità. In esso, solitamente, alla caduta in termini di garanzia si abbina la

modestia dei risultati sul piano dell’effettività»

35

.

5. Consenso e scelte legislative

Si pone allora il quesito su quali siano le cause dell’inerzia sociale di

fronte al rischio di un’erosione dei principi fondamentali dello Stato di

diritto e della “società libera”

36

. A riguardo si è precisato che «la prima

tro” alla normalità del sistema». Cfr. V.MASARONE, op. cit. in nota 3, pp. 192 ss., che

parla di “guasto culturale” prodotto dalla logica dell’emergenza.

34 Precisa S.R

ODOTÀ, Libertà personale. Vecchi e nuovi nemici, in M.BOVERO (a

cura di), Quale libertà. Dizionario minimo contro i falsi liberali, Roma-Bari, 2004, p. 37: «se l’emergenza diviene “permanente”, non siamo tanto di fronte a un ossimoro, quanto piuttosto alla cancellazione delle condizioni che permettono di ricondurre limi-tazioni eccezionali a un quadro di legalità costituzionale, con l’ovvia conseguenza non solo di incrinare la “inviolabilità” della libertà personale, ma di metterne in discussione la natura stessa di diritto. Davanti a noi si spalanca uno spazio vuoto di diritti effettivi individuali e collettivi».

35 S.M

OCCIA, La perenne emergenza…, cit. in nota 19, p. 115.

36 Cfr. M.B

OVERO, La libertà e i diritti di libertà, in ID. (a cura di), Quale libertà,

cit. in nota 34, p. 20, «da qualche tempo i fondamenti della “società libera” – i principi di quella che Bobbio ha chiamato “ideologia europea”, che si è via via estesa e ha

(15)

pre-emergenza, nella più generale emergenza del terrorismo, è proprio la

difficile gestione dei suoi effetti emotivi, dal punto di vista sociale: il

terrorismo evoca la militarizzazione dello strumento giuridico-penale,

l’esasperazione del diritto penale del nemico e spinge collettivamente a

risposte di tipo eccezionale. Di più: traghetta quelle risposte verso la

normalità, trasformandole in strumenti ordinari e permanenti. In una

parola, il rischio più insidioso, a livello di sentimento sociale, è quello

di normalizzare l’emergenza»

37

.

La creazione di una contrapposizione, che rischia di essere

artificia-le, fra nemici ed amici

38

, nell’edificazione di un sistema ipertrofico,

ispirato ad un “panpenalismo” volto a realizzare una copertura

genera-lizzata delle condotte

39

, poggia su di un consenso artefatto, se non su di

una passiva rassegnazione, la quale pare espressione di una crisi più

profonda del rapporto fra Stato e cittadino

40

.

teso di divenire universale, appunto l’“ideologia della libertà” – mostrano inquietanti segni di erosione».

37 G.M. F

LICK, Dei diritti e delle paure, in S.MOCCIA (a cura di), op. cit. in nota 3,

p. 71.

38 Cfr. E.L

O MONTE, op. cit. in nota 30, p. 441.

39 Evidenzia E.M

USCO, Consenso e legislazione penale, cit. in nota 30, p. 88, come

una delle cause del rapporto tra il crescente bisogno di sicurezza ed il panpenalismo sia da ricercarsi nella «crisi […] del sistema di rappresentanza degli interessi sociali, nel passaggio da società articolate con forti meccanismi di controllo di tipo sociale a socie-tà complesse sempre più anonime, automatizzate, tecnologizzate: crisi che allarga ed aumenta il bisogno di sicurezza e sollecita – a livelli di psicologia collettiva e indivi-duali – il ricorso a rimedi e a strumenti di difesa “forti”, e quindi al meccanismo istitu-zionale tradizionalmente considerato il più idoneo a fronteggiare le (più gravi) rotture delle regole della convivenza civile».

40 Cfr. G.F

IANDACA,E.MUSCO, Perdita di legittimazione del diritto penale?, in

Riv. it. dir. proc. pen., 1994, pp. 36 ss., laddove precisano che il pericolo maggiore è

proprio che «risulti fortemente indebolita la credibilità complessiva del sistema penale e che perciò venga meno anche da questo punto di vista la fiducia istituzionale dei citta-dini. […] la possibilità di incorrere nella commissione di un reato finisce col dipendere sempre più dal caso». Nello stesso senso M.SBRICCOLI, Giustizia criminale, in ID.,

Storia del diritto penale. Scritti editi e inediti (1972-2007), tomo I, Milano, 2009, p. 42,

e ID., Caratteri originari e tratti permanenti del sistema penale italiano (1860-1990), in

ID., op. cit., pp. 664 ss., laddove evidenzia come l’ipertrofia determini un severo

inde-bolimento della normatività statale complessiva e lo “sfiancamento” della normatività penale; il dato di pericolo, dunque, non sta solo nell’ipertrofia del penale come

(16)

proble-La collettività per schermirsi dalle proprie paure non trova di meglio

che rifugiarsi nella richiesta di punizioni esemplari, senza preoccuparsi

se da ciò discenda una limitazione dei diritti fondamentali, sull’illusoria

supposizione che queste limitazioni tocchino gli “altri”. In sintesi, il

bi-sogno di tutela espresso dalla comunità si converte in domanda di pena.

Il potere statuale assecondando tali spinte irrazionali amplia la portata

del penalmente rilevante e vulnera, di fatto, gli spazi di libertà

41

.

Pare tuttavia dubbio che l’assecondare un consenso che trova la sua

genesi in un’esigenza di sicurezza che muove spesso da spinte

irrazio-nali possa realmente condurre ad un controllo dei fenomeni crimiirrazio-nali

che si desidera “combattere”: «con la ricerca di un siffatto consenso si

consuma piuttosto un rituale in funzione aggregante ed in chiave

stabi-lizzante che è strabico rispetto al problema che si intende risolvere,

per-ché si preoccupa degli effetti sulla società e non della funzionalità ed

efficienza della soluzione in termini politico-criminali»

42

. Da ciò

deri-verebbe una pesante perdita di realtà ad opera di tutti gli attori del

si-stema politico-sociale: «la legislazione penale diviene una fabbrica di

illusioni dentro la quale trovano insieme collocazione il popolo sciocco

ed ignavo e gli attori del sistema politico»

43

.

Se da un lato dunque il legislatore asseconda i timori della

popola-zione, ricorrendo spesso a leggi simboliche, al fine di «aggregare il più

ampio consenso presso l’opinione pubblica, accreditando fra i cittadini

una immagine di capacità ed efficienza»

44

, dall’altro pare però difficile

fugare il dubbio che vi sia una manipolazione del consenso stesso

45

. In

ma in sé, ma soprattutto nei segni di crisi che vengono dallo Stato che la produce e dalla sua inconsapevolezza.

41 E.L

O MONTE, op. cit. in nota 30, p. 439.

42 E.M

USCO, Consenso e legislazione penale, cit. in nota 30, p. 88.

43 E.M

USCO, Consenso e legislazione penale, cit. in nota 30, p. 88.

44 E.M

USCO, Consenso e legislazione penale, cit. in nota 30, p. 87; cfr. E. LO M ON-TE, op. cit. in nota 30, pp. 437 s.: «l’intervento legislativo assume nel caso di lotta al

terrorismo internazionale, non diversamente da quanto si è verificato per le associazioni eversive, i caratteri di messaggio rassicurante delle ansie diffuse».

45 Vi sarebbe, infatti, un tipo di consenso «ricercato per via politica con tutti i mezzi

delle moderne scienze della comunicazione mediale e quindi anche con lo strumento della manipolazione più sofisticata. Ebbene: proprio un consenso manipolato sta alla base della nascita e dello sviluppo progressivo del fenomeno della criminalizzazione a

(17)

particolare, il fenomeno terroristico diviene «“grande fonte di

solidarie-tà sociale”, oltre che efficace strumento di controllo sociale, attraverso

la stimolazione di forme di moralità collettiva e di esclusione»

46

. Si è

ancora precisato che la paura rappresenta un capitale in mano ai

politi-ci

47

, «uno strumento di persuasione da utilizzare con metodo sulla

popo-lazione, attraverso cui indurre all’accettazione di provvedimenti

restrit-tivi della libertà in cambio di promesse securitarie. Il processo […] non

è immediato né trasparente. Agisce progressivamente, attraverso una

strategia che si dipana nel tempo»

48

. Il pericolo più grave è proprio

quel-lo di un’enfatizzazione e strumentalizzazione delle paure e insicurezze

sociali al fine di «veicolare limiti alle libertà, secondo il criterio

dell’in-nesto all’apparenza innocuo e senza effetti collaterali: come un veleno

che – assunto in dosi insignificanti, ma continue – determina

l’assuefa-zione e, quindi, la tolleranza dell’organismo»

49

.

tappeto e della contemporanea perdita di effettività della repressione penale»:E.M U-SCO, Consenso e legislazione penale, cit. in nota 30, p. 85; cfr. C.PRITTWITZ, La

con-correnza diseguale tra sicurezza e libertà, in M.DONINI,M.PAVARINI (a cura di),

Sicu-rezza e diritto penale, Bologna, 2011, p. 117. Circa il ruolo dei mass media nella

rap-presentazione del crimine si veda G.FORTI,M.BERTOLINO (a cura di), La televisione

del crimine, Milano, 2006. In generale sul rapporto tra consenso sociale e diritto penale

cfr. M.ROMANO, Legislazione penale e consenso sociale, in Jus, 1985, pp. 413 ss. e

C.E.PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, pp.

849 ss. Per un’analisi linguistica assai critica della retorica politica nella lotta al terrori-smo nella recente esperienza statunitense si veda J.COLLINS,R.GLOVER (a cura di),

Linguaggio collaterale. Retoriche della “guerra al terrorismo”, Verona, 2006. 46 A.D

INO, I media e i «nemici» della democrazia, in Questione giustizia, 2006, n.

4, p. 839.

47 Sul rapporto tra «nomorrea penale» e paura si veda la tesi di dottorato di R.D

I-MATTEO, Il diritto penale tra principio di extrema ratio e realtà di overcriminalization.

Ragione discorsiva, razionalità empirica e democrazia penale: riflessioni intorno alla giustiziabilità del principio di sussidiarietà, Trento, 2010, pp. 69 ss.

48 A.D

INO, op. cit. in nota 46, p. 837; nello stesso senso: E.LO MONTE, op. cit. in

nota 30, p. 437, il quale fa riferimento a «precise scelte politico-criminali, che partono da lontano e si proiettano nel futuro e non, viceversa, una risposta, seppur irrazionale – e come tale comunque censurabile – finalizzata a fronteggiare l’emergenza terrorismo». Per un’analisi molto critica e provocatoria si veda H.PRANTL, Der Terrorist als

Gesetz-geber. Wie man mit Angst Politik macht, München, 2008. 49 G.M. F

LICK, op. cit. in nota 37, p. 76, che definisce tale effetto di «mitridatismo

(18)

Una delle fallacie del ragionamento – costituente il principale

“gri-maldello” nella ricerca del consenso sociale all’introduzione per

esi-genze di tutela della sicurezza di provvedimenti limitativi

50

, si suppone,

solo di libertà altrui – risiede nella presunzione circa l’esistenza di una

logica binaria, secondo la quale quella del cittadino e quella del

“nemi-co” sarebbero da reputarsi categorie del tutto eterogenee e

incomunica-bili; si è precisato a riguardo come per il principio dei vasi comunicanti,

gli strappi intervenuti in un settore del sistema tendano sempre ad

esten-dersi

51

: «le “perversioni” degli ordinamenti giuridici possono nascere in

un loro riposto angolo, ma poi irresistibilmente si diffondono e

conta-giano l’intero sistema»

52

.

È soprattutto l’argomentazione eticizzante della contrapposizione fra

amici e nemici

53

, fra bene e male, si ribadisce, a rappresentare lo

stru-mento principe per l’erosione di spazi di libertà, instillando l’idea di

un’inevitabile restrizione delle libertà in favore della sicurezza, in

ra-gione di un’asserita dicotomia fra sicurezza e libertà posta in termini di

incompatibilità

54

, sul presupposto che il probo cittadino non avrebbe

50 Cfr. P.M

OROSINI, op. cit. in nota 18, p. 688 che evidenzia come spesso si assista

ad uno sfruttamento dei governi, pronti, talvolta, ad alimentarlo ad arte, del bisogno di sicurezza, per giustificare un maggiore controllo sui cittadini; anche con limitazioni dei diritti in casi che con il terrorismo non hanno niente a che fare. L’altra fallacia, come si vedrà, è data dalla contrapposizione in termini assoluti fra libertà e sicurezza, che si asserisce figlia di una dicotomia insanabile; cfr.E.LO MONTE, op. cit. in nota 30, p.

436; A.CAPUTO, op. cit. in nota 24, pp. 630 ss.

51 L.P

EPINO, op. cit. in nota 20, p. 870. Nello stesso senso, circa il rischio che la

lot-ta al terrorismo porti all’introduzione nel sistema penale di distorsioni suscettibili di espandersi ad altri settori: F.RESTA, op. cit. in nota 3, p. 293.

52 S.R

ODOTÀ, op. cit. in nota 34, p. 56. Con particolare riferimento ai rischi di

“con-tagio” rispetto agli istituti processuali si veda L.MARAFIOTI, Emergenza e diritti nel

processo penale: un conflitto permanente, in S. MOCCIA (a cura), op. cit. in nota 3, pp.

109 ss.

53 Evidenzia D. P

ULITANÒ, Sicurezza e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen.,

2009, p. 556, come «i discorsi sulla sicurezza tendono pericolosamente a dividere il mondo in campi contrapposti: da un lato i cattivi (spesso brutti e sporchi) che mettono in pericolo la sicurezza, dall’altro lato i cittadini perbene, preoccupati della loro sicu-rezza».

54 Cfr. E.L

O MONTE, op. cit. in nota 30, p. 441; V.MASARONE, op. cit. in nota 3, pp.

(19)

nulla a temere e, anzi, una sua eventuale resistenza sarebbe quantomeno

sospetta

55

.

Il riflesso più evidente della “distorsione” evidenziata risiede nella

perdita da parte del diritto penale del suo carattere frammentario, per

diventare onnicomprensivo, totalizzante, con un «drastico

rovesciamen-to dei postulati tradizionali: frammentaria ora è la libertà. È la libertà –

cioè l’area di liceità penale – che sussiste in virtù di specifiche

eccezio-ni, di specifici privilegi»

56

.

sulla contrapposizione, erroneamente ritenuta irriducibile, fra difesa delle libertà indivi-duali e il perseguimento di un obiettivo di sicurezza. Il diritto alla sicurezza pare rappre-sentare «la parola d’ordine di politiche (anche del diritto penale) che fanno della sicurez-za la chiave di tutto: un’esigensicurez-za presentata come così fondamentale, da spostare sullo sfondo i problemi di garanzia liberale»: D.PULITANÒ, Lo sfaldamento del sistema penale

e l’ottica amico-nemico, in Questione giustizia, 2006, p. 741; nello stesso senso, M.D O-NINI, Sicurezza e diritto penale, in Cass. pen., 2008, p. 3562, il quale parla di sicurezza

come “parola d’ordine o parola magica”; cfr. F.PALAZZO, Contrasto al terrorismo…, cit.

in nota 26, p. 673, laddove evidenzia il rischio di un diritto alla sicurezza onnivoro ri-spetto a tutti gli altri diritti fondamentali, con l’esito finale di tale operazione mistificato-ria di uno scardinamento dell’intero sistema di tutela costituzionale; cfr. M. BOVERO,

Premessa. Il fantasma della libertà, in ID. (cura di), Quale libertà, cit. in nota 34, pp.

IX s.; A.CAVALIERE, Può la ‘sicurezza’ costituire un bene giuridico o una funzione del

diritto penale, in Critica del diritto, 2009, pp. 43 ss. In generale sul rapporto tra

sicurez-za e diritto penale si veda anche M.DONINI,M.PAVARINI (a cura di), op. cit. in nota 45.

Con riferimento alla dottrina tedesca si vedano i recenti contributi di K.GIERHAKE, Der

Zusammenhang von Freiheit, Sicherheit und Strafe im Recht. Eine Untersuchung zu den Grundlagen und Kriterien legitimer Terrorismusprävention, Berlin, 2013 e R. VOIGT (a

cura di), Sicherheit versus Freiheit. Verteidigung der staatlichen Ordnung um jeden

Preis?, Wiesbaden, 2012, e letteratura ivi citata.

55 Si tratta di un’argomentazione questa, spesso evocata con riferimento alle

possi-bilità offerte dalle nuove tecnologie in tema di controlli e alle connesse limitazioni della sfera della privacy, giustificate in ragione di asserite esigenze di tutela della collettività. Ammonisce a riguardo S.RODOTÀ, op. cit. in nota 34, p. 59: «lo “uomo di vetro” è,

storicamente, metafora totalitaria perché, reso un omaggio di facciata alle virtù civiche, nella realtà lascia il cittadino inerme di fronte a chiunque voglia impadronirsi di qual-siasi informazione che lo riguardi. Anzi, proprio adottando l’argomento del buon citta-dino che nulla ha da nascondere, si fa divenire automaticamente sospetto chiunque voglia mantenere una sfera di riservatezza, intimità, libertà».

56 F.S

GUBBI, Il reato come rischio sociale. Ricerche sulle scelte di allocazione

del-l’illegalità penale, Bologna, 1990, pp. 11 s.; nello stesso senso E.LO MONTE, op. cit. in

(20)

6. Riflessioni conclusive

Si è evidenziato come una delle cause dell’incertezza del diritto

pe-nale sia data dalla precarietà della norma, essa sarebbe «in un continuo

divenire: nasce come manufatto semilavorato che viene elaborato,

ap-provato, pubblicato, diventa sì vigente ma viene poi affidato alla realtà

pratica per il suo rodaggio. La legge nasce come sperimentale. La

leg-ge, poi, ha vita breve: talvolta diventa rapidamente desueta e

dimentica-ta, altre volte viene gettata via perché l’esperimento legislativo non è

riuscito oppure ha dati risultati opposti a quelli auspicati»

57

.

Potremmo dunque, di fronte ad una disapplicazione fattuale della

norma in commento

58

, giustificata per la sua intrinseca contraddittorietà

nella formulazione rispetto agli scopi

59

, licenziare la stessa come un

esperimento non riuscito del legislatore e come futili «esercizi di

retori-ca acretori-cademiretori-ca» le riflessioni che precedono, eppure non riusciamo ad

allontanare il timore circa una lenta erosione delle fondamenta stesse

dello Stato di diritto come tradizionalmente concepito, consistente nel

rovesciamento di quel rapporto garantistico di «regola

(libertà)/eccezio-ne (illiceità)»

60

.

57 F.S

GUBBI, Il diritto penale incerto ed efficace, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, pp.

1194 s.

58 Il riferimento è all’art. 2-bis, rispetto al quale non è stato possibile individuare

al-cuna pronuncia nelle principali banche dati; si sono reperite solo notizie giornalistiche sull’avvio di indagini. E qui si porrebbe anche la riflessione circa la strumentalità della norma in un’ottica non tanto sanzionatoria, ma preventiva, soprattutto con riferimento a strumenti d’indagine e processuali; riflessione che purtroppo non è possibile sviluppare in tale sede.

59 Cfr. E.M

ORI, Commento alla Legge 31 luglio 2005, n. 155, reperibile sul sito

www.earmi.it, il quale, in particolare, con riferimento alla diffusione telematica eviden-zia come il legislatore non abbia tenuto conto di cosa sia realmente internet e delle reali possibilità di controllo.

60 Nello stesso senso M.A

INIS, La legge oscura. Come e perché non funziona,

Ro-ma-Bari, 2010, p. 15, il quale evidenzia con riferimento alle leggi ineffettive: «si dirà: poco male, ciò significa soltanto che la loro approvazione risulta a conti fatti inutile, uno spreco d’energie parlamentari che avrebbero potuto meglio indirizzarsi. E invece le leggi inapplicabili producono un vero e proprio danno nei riguardi del sistema giuridi-co, della sua tenuta complessiva. Stanno lì, e dunque non può escludersi che prima o poi a qualcuno venga in mente di riesumarle per corroborare letture partigiane di questo

(21)

L’esperienza ha insegnato che le norme paiono vivere di vita

pro-pria, seguendo percorsi diversi da quelli che il legislatore volle loro

at-tribuire

61

; le norme penali hanno mostrato nel tempo di possedere una

straordinaria vitalità, capacità di adattamento e di sopravvivenza; esse

assumono talora la natura di “norme sanzionatorie dormienti”.

Senza voler apparire eccessivamente retorici, vi è da chiedersi cosa

si potrebbe mai opporre a quel pubblico ministero che, a fronte di una

rete pervasa da informazioni sulla preparazione e sull’utilizzo di

esplo-sivi

62

, decida un giorno di iscrivere nel registro degli indagati

63

uno

stu-dente universitario che nella noia di un pomeriggio avesse deciso di

o quell’istituto normativo[…]. In ogni caso esse si traducono in altrettante fonti di “ru-more” nell’ordinamento, sono agenti inquinanti, bolle d’aria che tolgono forza all’effi-cacia precettiva del diritto: come diceva Montesquieu, “le leggi inutili indeboliscono le leggi necessarie”».

61 Cfr. ad es. E.C

ESQUI, Conflitto politico-sociale e intervento penale: alcuni casi

esemplari, in Questione giustizia, 2006, p. 788, che nell’ottica della necessità di

conte-stualizzazione delle norme, evidenzia come «le norme nascono per vivere autonoma-mente dalle condizioni che le hanno determinate». L’affermazione in tal caso si pone in un’ottica garantistica, come impegno per l’interprete e vincolo nell’applicazione della legge. Sia pur in un diverso contesto e in un’ottica più che descrittiva, “fondativa”, cfr. A.M.SANDULLI, Natura, funzione ed effetti delle pronunce della Corte costituzionale

sulla legittimità delle leggi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1959, pp. 46 s.: «le norme

contenu-te in una legge non vanno consideracontenu-te come atti di volontà del legislatore, bensì come comandi giuridici, dotati di energia e di vita propria, i quali, una volta “calati” nel si-stema dell’ordinamento giuridico, del quale vengono a far parte integrante, rappresen-tano di questo le componenti, assolutamente svincolate dagli intenti di chi le ideò e le volle».

62 Per rendersene conto basti inserire in un qualsiasi motore di ricerca le parole

ar-mi, molotov, etc. In un articolo pubblicato sul sito del giornale “la Repubblica” nel 2008, nel riportare la notizia dell’arresto, avvenuto a Roma, di cinque ragazzi fra i 17 e 18 anni, tutti incensurati, sorpresi dalle forze dell’ordine mentre stavano lanciando con-tro un muro degli ordigni esplosivi costruiti sulla base delle informazioni reperite su

Youtube, si evidenziava che non era difficile trovare video tutorial sul sito in questione

e che uno tra i filmati più di successo in quel momento era proprio quello di un gruppo di ragazzi americani che spiegava come creare una molotov perfetta in sette semplici mosse.

63 Come ci ricorda M.A

INIS, La legge oscura…, cit. in nota 60, p. 85: «non può

escludersi che dopo anni d’oblio a qualcuno venga in mente di chiedere il conto della legge inapplicabile».

(22)

postare sul suo blog le istruzioni sulla preparazione di una molotov, o,

ancora, iscrivesse i responsabili di un forum di chimica (o di

appassio-nati di fuochi d’artificio), dal quale, in base all’analisi del personal

computer di un terrorista, risulti che questi abbia reperito le

informa-zioni per la preparazione dell’aggressivo chimico utilizzato in un

atten-tato

64

. Ma soprattutto, in caso di condanna, come potremmo giustificare

di fronte al cittadino l’inflizione di quella sofferenza legale che va sotto

il nome di sanzione penale, rimanendo coerenti ai principi di uno Stato

liberaldemocratico e alle moderne teorie sugli scopi della pena

65

?

La giurisprudenza ha mostrato negli anni una particolare sensibilità

nel ripudiare degenerazioni sistemiche, ergendosi spesso a garante dei

diritti fondamentali

66

, ma la difesa della democrazia, com’è stato

64 Nel 2002 uno studente finlandese di chimica di 19 anni, Petri Gerdt, provocò la

morte di sette persone, con numerosi feriti, in un attentato suicida presso un centro commerciale alla periferia di Helsinki. Nei giorni successivi al fatto l’Ufficio nazionale di investigazioni finlandese (NBI) provvide a mettere in stato di fermo due ragazzi per avere scambiato informazioni con l’attentatore tramite la chat room “Il foro per la chimica domestica”, gestito da un ragazzo di diciassette anni che si faceva chiamare “Einstein”; notizia tratta dal sito del “Corriere della Sera”.

65 Da un lato si pone un problema di coerenza cfr. C. S

OTIS, Le “regole

dell’incoe-renza”. Pluralismo normativo e crisi postmoderna del diritto penale, Roma, 2012, pp.

11 s.: «Non vi è, non vi sarà mai (meglio: non vi dovrà mai essere), alcuna giustifica-zione in grado di indicare razionalmente la qualità e la quantità di sofferenza da som-ministrare a chi ha commesso un crimine. Per questo, le ragioni della coerenza in diritto penale si fanno, tuttavia, ancora più pressanti: infliggere pene non è razionale, ma senza razionalità il carico di sofferenza inferta cresce esponenzialmente. E senza coerenza non vi può essere razionalità»; dall’altro, il problema del finalismo rieducativo, giacché, come si è precisato, affinché la pena possa anche solo aspirare a realizzare tale fine, occorre che il reo possa percepire l’inflizione di tale sofferenza legale «come una rispo-sta giustificata e necessaria in rapporto a lui, e soltanto a lui»: T.PADOVANI, Teoria

della colpevolezza e scopi della pena. Osservazioni e rilievi sui rapporti fra colpevolez-za e prevenzione con riferimento al pensiero di Claus Roxin, in Riv. it. dir. proc. pen.,

1987, p. 831.

66 La giurisprudenza ha mostrato la sua “resistenza” nel ripudiare un’eccessiva

anti-cipazione della punibilità, sforzandosi di individuare parametri concreti di pericolosità, in ossequio al principio di offensività. In tal senso si valuti lo sforzo profuso, proprio con riferimento al delitto di cui all’art. 270-quinquies c.p., nella sentenza Cass. pen., 29670/11, cit. in nota 4, per ancorare la punibilità ad una «oggettiva idoneità della

(23)

con-sato

67

, impone «una sfiducia istituzionalizzata», e il genoma del

penali-sta vede nel vincolo della norma un baluardo a difesa della libertà: «la

determinatezza non è una pruderie da intellettuali né da professori, ma

è una garanzia essenziale di difesa della libertà è, innanzitutto, difesa

dal possibile arbitrio giudiziale»

68

.

Ma è altresì lo stesso potere giudiziario, tramite la lesione dei

prin-cipi in oggetto, a venir esposto al pericolo di una compromissione della

sua funzione e credibilità, con conseguente «crisi di identità del

magi-strato»

69

, giacché il magistrato che applichi una norma priva dei

requi-siti di chiarezza, accessibilità e prevedibilità nei suoi effetti, «viola il

principio della sicurezza giuridica dei cittadini, che è un principio

car-dine di ogni società democratica»

70

.

Per porre rimedio a quell’inversione fra regola ed eccezione, più

volte richiamata, il primo passo non pare che poter essere non già

quel-lo di limitarsi a potare i rami secchi, ma più significatamene «di

disbo-scare quella selva che è diventato il diritto penale odierno, per aver

vo-luto soddisfare la pretesa di governare surrettiziamente – con la

pena-lizzazione pletorica – la società»

71

; prendendo al contempo realmente

coscienza del fatto che «l’esigenza del primato della politica criminale

richiede che la politica finalizzata alla prevenzione del delitto non si

dotta a realizzare l’evento costituente l’obiettivo della condotta». Per altre riflessioni sul punto si veda F.VIGANÒ, op. cit. in nota 28, p. 140.

67 Cfr. S.M

OCCIA, Brevi note in materia di prassi dei diritti fondamentali, in ID. (a

cura di), op. cit. in nota 3, p. 158, richiamandosi a Max Weber e Habermas.

68 Ibidem, p. 158.

69 Così il Procuratore generale della Corte Suprema di Cassazione, dott. Vitaliano

Esposito, il 30 gennaio 2009, in occasione dell’intervento all’Assemblea Generale della Corte sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2008. Reperibile sul sito www.corte dicassazione.it.

70 Ibidem. 71 E.M

USCO, Consenso e legislazione penale, cit. in nota 30, p. 91. Seguendo la

me-tafora di M.SBRICCOLI, Caratteri originari...,cit. in nota 40, p. 657, occorre sforzarsi di

distinguere la terra ferma dalla sua corona di atolli e scogli fatta di pericolosità e pre-sunzioni, prevenzioni soggettive, tutele anticipate, selettività, deterrenze e dissuasioni, modelli differenziati, illeciti minori e introvabili etc.; occorre riscoprire quello che l’au-tore citato definisce «il penale della civiltà: quello che ha impiegato millenni a portarci fuori dalla vendetta e qualche secolo a (cercare di) farsi luogo della giustizia costruita con la certezza, con la garanzia e con la libertà», ibidem, p. 658.

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