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DISTURBO DELLA SENSIBILITA' NEL BAMBINO CON EMIPLEGIA

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INDICE

INTRODUZIONE _________________________________________________________ 3

PARTE GENERALE______________________________ 5

EMIPLEGIA INFANTILE: INQUADRAMENTO 6

Capitolo - 1 - EPIDEMIOLOGIA___________________________________________________ 6 Capitolo - 2 - CLASSIFICAZIONE _________________________________________________ 8 Capitolo - 3 - QUADRO CLINICO _________________________________________________ 9 Capitolo - 4 - DISTURBI ASSOCIATI _____________________________________________ 11 Capitolo - 5 - EZIOPATOGENESI ________________________________________________ 15 Capitolo - 6 - NEUROPATOLOGIA _______________________________________________ 19 Capitolo - 7 - QUADRO NEURORADIOLOGICO____________________________________ 23

IL DISTURBO DELLA SENSIBILITA’ 28

Capitolo - 8 - FISIOPATOGENESI DEL DISTURBO DELLA SENSIBILITA’ ____________ 28 Capitolo - 9 - VALUTAZIONE DEL DISTURBO DELLA SENSIBILITA’ _______________ 34 Capitolo - 10 - DISTURBO DELLA SENSIBILITA’ NEL BAMBINO EMIPLEGICO________ 39

LA MANIPOLAZIONE 43

Capitolo - 11 - MANIPOLAZIONE NORMALE ______________________________________ 43 Capitolo - 12 - MANIPOLAZIONE NEL BAMBINO CON EMIPLEGIA __________________ 46 Capitolo - 13 - SCALE PER LA VALUTAZIONE FUNZIONALE DELL’ARTO SUPERIORE 49

CORRELAZIONE SENSITIVO-MOTORIA 51

Capitolo -14 - CORRELAZIONE SENSITIVO-MOTORIA NELL’EMIPLEGIA ____________ 51

MODELLI DI RIORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA

SENSORI-MOTORIO 54

Capitolo - 15 - RIORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA MOTORIO ______________________ 54 Capitolo - 16 - RIORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA SOMATOSENSORIALE___________ 56

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PARTE SPERIMENTALE ________________________ 60

Capitolo I - OBIETTIVO DELLO STUDIO 61

Capitolo II - SOGGETTI E METODO 63

SOGGETTI STUDIATI _________________________________________________________ 63 METODI _____________________________________________________________________ 64 ANALISI STATISTICA _________________________________________________________ 70

Capitolo III - RISULTATI 71

DESCRIZIONE DEL CAMPIONE_________________________________________________ 71 ANALISI STATISTICA _________________________________________________________ 78

Capitolo IV - DISCUSSIONE 85

ALLEGATI ______________________________________________________________ 94 ALLEGATO 1: CARATTERISTICHE DEI SOGGETTI STUDIATI ______________________ 95 ALLEGATO 2: SCORE PER L’ESAME DELLA SENSIBILITA’ ________________________ 96 ALLEGATO 3: SCORE NEURORADIOLOGICO ____________________________________ 97

RIASSUNTO_____________________________________________________________ 98

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INTRODUZIONE

L’emiplegia infantile è una paralisi di natura centrale, causata da un insulto che agisce sul sistema nervoso immaturo. Tipicamente il disturbo motorio domina il quadro clinico, ma evidenze sempre maggiori sostengono la rilevanza del contributo di un concomitante disturbo della sensibilità. Quest’ultimo è importante per definire la prognosi del disturbo motorio e il programma terapeutico di riabilitazione. In particolare, questo vale per l’arto superiore, dove le attività quotidiane e di relazione con l’ambiente, richiedono il maggior grado di integrazione sensitivo-motoria.

Dal punto di vista fisiopatologico, il disturbo della sensibilità nell’emiplegia dipende da una lesione centrale a livello dei nuclei di relais talamici delle informazioni sensoriali, delle connessioni talamocorticali ovvero delle aree somatosensoriali primaria e secondaria con le loro afferenze. L’interazione tra queste regioni anatomiche e le aree motorie spiega il motivo per cui il disturbo della sensibilità è spesso concomitante a quello motorio.

Le statistiche dei vari studi concordano sul fatto che, nella emiplegia, la prevalenza del disturbo della sensibilità è elevata, compresa secondo le casistiche tra il 65 e il 97% [1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12]. Purtroppo i vari studi sono difficilmente confrontabili per la diversa numerosità del campione e per la diversa metodologia utilizzata. Dalla revisione della letteratura, emerge che i disturbi più frequenti sono quelli della stereognosia (44-48%), della discriminazione tra due punti (30-45%), della propriocezione (8-66%), della sensibilità pressoria (≈43%), del riconoscimento della doppia stimolazione simultanea (≈40%). Risultano meno spesso alterate la grafestesia (≈8%), la sensibilità tattile (≈3%), e termica (≈3%).

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Anche gli studi che valutano la correlazione tra disturbo della sensibilità e deficit motorio sono difficilmente confrontabili, e riportano dati talora discordanti. Ad esempio, nello studio condotto da Cooper non viene trovato nessun tipo di correlazione tra disturbo della sensibilità e pattern di grasp [12]. Un altro studio abbastanza recente di Krumlinde-Sundholm e Eliasson descrive invece una associazione statisticamente significativa tra il disturbo della sensibilità e l’abilità unimanuale, valutata osservando il grasping. Una debole correlazione viene dimostrata inoltre con l’impiego spontaneo della mano in diverse attività bimanuali, che sembrano condizionate di più dal grado di spasticità [13].

I fattori che possono influenzare il disturbo della sensibilità nelle sue caratteristiche qualitative e quantitative sono molti e ancora non del tutto definiti. Sicuramente le caratteristiche della lesione ed in particolare il coinvolgimento di aree corticali deputate alla elaborazione delle informazioni afferenti sensitive giocano un ruolo importante, così come la riorganizzazione del sistema motorio, che può indurre una segregazione interemisferica delle aree per il controllo del movimento e di quelle somatosensoriali.

Alla luce di queste osservazioni, l’obiettivo dello studio illustrato nella tesi è stato quello di valutare la presenza del disturbo della sensibilità in un campione di ventidue bambini con emiplegia congenita ed acquisita e di ricercare una eventuale correlazione con la compromissione motoria, con il timing e la gravità della lesione e con il tipo di riorganizzazione del sistema motorio.

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EMIPLEGIA INFANTILE: INQUADRAMENTO

Capitolo 1 - EPIDEMIOLOGIA

L’emiplegia è una paralisi di natura centrale che interessa un emilato, quasi sempre di tipo spastico [14].

L’incidenza della emiplegia nel bambino è 0,5-0,7 per mille nati vivi [15]. Rappresenta il 26% delle forme cliniche di paralisi cerebrale infantile. La Paralisi cerebrale infantile (PCI) è una turba persistente ma non immutabile della postura e del movimento, dovuta ad una alterazione organica e non progressiva della funzione cerebrale, per cause pre- peri- post natali, prima che se completi la crescita e lo sviluppo [14]. Essa ha una prevalenza nella popolazione pediatrica del 2-4 per mille [16, 17].

Nei nati a termine, l’emiplegia definisce il 45% delle PCI [18, 19], mentre nei bambini pretermine rappresenta il 30% secondo Hagberg [20] e il 9% secondo Fedrizzi [19].

Si definisce emiplegia congenita il quadro che dipende da una lesione incorsa entro le prime quattro settimane di vita, e rappresenta il 79% delle forme di emiplegia. La forma acquisita rappresenta l’esito di fattori eziologici che hanno agito successivamente alle prime quattro settimane, ma comunque entro i primi tre anni di vita, e costituisce il restante 21% di PCI emiplegiche [21].

Nella popolazione descritta da Oskoui, l’età di comparsa dei sintomi mediamente è di diciotto mesi. Ovviamente la forma congenita presenta il quadro ad una età più precoce, intorno ai sei mesi, rispetto alla acquisita, poco prima dei cinque anni [21].

L’emiplegia mostra una differente distribuzione per sesso, presentando una prevalenza nel maschio circa del 60% e nella femmina del 40% [21, 22].

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Secondo alcuni studi il lato colpito più frequentemente dall’emiplegia è il destro [8, 22, 23, 24, 25], secondo altri il sinistro [21, 26]. La spiegazione al prevalente impegno dell’emisfero sinistro è stata indicata nella maggiore suscettibilità dell’emisfero dominante alla lesione precoce. Tale dato non trova conferma nello studio di Goodman, il quale mostra una associazione tra storia familiare di mancinismo ed emiplegia destra, come dire che l’emisfero affetto in questi soggetti presumibilmente è quello non dominante [27].

L’arto maggiormente affetto risulta nel 40% il superiore, mentre l’inferiore è coinvolto nel 30% dei bambini. Ugualmente coinvolti appaiono nel 30% dei bambini [26].

Il grado di interessamento dell’arto superiore può essere espresso secondo la classificazione di Claeys [28] come:

- lieve: se è possibile singolarizzare i movimenti delle dita - moderato: se l’utilizzo della mano è globale

- severo: se la mano non viene utilizzata

La distribuzione del disturbo per l’arto superiore secondo le suddette classi è la seguente: lieve circa dal 39 al 41% dei casi, moderato dal 42 al 50%; grave dall’8 al 19% dei bambini secondo le casistiche [19, 26]. Il gruppo di Bax riporta differenti distribuzioni per gravità secondo il sistema Gross Motor

Function Classification System: lieve nel 63%; moderato nel 34%; severo nel

3% [29].

Sembra esserci una correlazione tra lato plegico e gravità del deficit motorio all’arto superiore, infatti nel 75% dei casi di emiplegia destra il difetto motorio è indicato come grave, mentre è tale nel 60% delle forme sinistre [22].

Le forme acquisite mostrano, rispetto alle congenite, una compromissione maggiore dell’arto superiore [8].

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In generale, i bambini nati a termine con emiplegia congenita tendono ad avere una compromissione motoria più grave dei pretermine [8].

Capitolo 2 - CLASSIFICAZIONE

L’emiplegia infantile può essere suddivisa in quattro forme cliniche in base al timing lesionale, ossia al momento in cui si è verificata la lesione [26]:

• tipo I, lesione del 1° e 2° trimestre • tipo II, lesione del 3° trimestre • tipo III, lesioni perinatali • tipo IV, lesioni acquisite

Forma I comprende quadri malformativi cerebrali complessi e lesioni precoci. Essi sottendono difetti dell’organogenesi e istogenetici [30]. Si tratta di disordini della proliferazione o della migrazione neuronale, quali displasie corticali, schizencefalia, eterotopia, emimegalencefalia, cisti aracnoidee. In questo gruppo rientrano anche lesioni prenatali encefaloclastiche [26].

Forma II: dipende da lesioni della sostanza bianca periventricolare o da emorragie parenchimali (da infarcimento emorragico venoso). Sono lesioni tipiche del nato pretermine, ed in tali soggetti si verificano in epoca perinatale. Nel nato a termine, la lesione si colloca nel terzo trimestre di gestazione. Spesso le lesioni sono bilaterali, ma asimmetriche. Sembra prevalere la localizzazione lesionale destra [26].

Forma III: dipende dalla occlusione di una delle arterie cerebrali maggiori, principalmente la media, con estensione frequente cortico-sottocorticale. Le strutture diencefaliche, il talamo e i gangli della base sono coinvolte per

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interessamento dei rami più profondi, isolatamente ovvero in associazione con altre localizzazioni. L’interessamento del putamen esita nelle forme distoniche. L’interessamento è bilaterale nel 25% dei casi, in particolare nel caso di lesioni dell’emisfero sinistro [26].

Forma IV: risulta dagli esiti di una lesione di varia natura, che si verifica dopo le quattro settimane di vita. Le cause più frequenti sono: traumatismi, cardiopatie, vasculopatie di tipo malformativo, diatesi emorragiche o altri disordini emocoagulativi, infezioni e quadri genetici [26].

La frequenza relativa dei gruppi proposti da Cioni et al. è: 14% tipo I, 45% tipo II, 30% tipo III, 11% tipo IV [26].

Capitolo 3 - QUADRO CLINICO

I fattori che condizionano la clinica e la storia naturale della emiplegia sono dipendenti dal tipo di lesione e dal timing. Anche fattori genetici, ambientali, l’entità della lesione ne modulano le caratteristiche.

Il concetto di ‘periodo silente’ è stato utilizzato per descrivere l’intervallo temporale, in genere considerato esteso fino al primo anno di vita, tra timing della lesione e prima manifestazione clinica. Oggi la valutazione della motilità spontanea, attraverso i general movements [31, 32], fin dai primi giorni di vita ha permesso di ritenere obsoleta quella dizione. Infatti, il danno cerebrale precoce, altera da subito i circuiti per l’organizzazione motoria del bambino, esprimendosi spesso all’inizio con manifestazioni bilaterali e poi con asimmetrie sempre più evidenti man mano che vengono acquisite nuove competenze posturali (stazione seduta, statica eretta, locomozione orizzontale,

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deambulazione) ovvero abilità motorie più raffinate in particolare all’arto superiore [15].

Il bambino affetto da emiplegia presenta una riduzione del repertorio motorio dell’emilato affetto, con una limitazione nella dotazione di schemi motori elementari, che risulta in una incapacità di adeguamento a nuove relazioni spaziali o sequenze temporali.

La spasticità è l’alterazione del tono classicamente associata alla paralisi di tipo centrale, che però compare tardivamente, dopo l’anno dal verificarsi della lesione [33], e sembra poco significativa per la diagnosi e la prognosi funzionale del quadro [34, 35]. Se il danno colpisce le strutture dei gangli della base le manifestazioni saranno di tipo discinetico.

Considerando le forme di emiplegia descritte dal gruppo di Cioni in relazione al timing lesionale, è possibile riconoscere per ciascuna di esse un quadro clinico caratteristico.

Nella forma I l’arto superiore è colpito più dell’inferiore. Il braccio in genere è intraruotato, con la spalla depressa, l’avambraccio pronato e il gomito ed il polso flessi. Generalmente la mano è aperta con dita ‘a ventaglio’ o ‘a forchetta’; questi pazienti possono sviluppare una buona destrezza manuale anche attraverso l’opposizione del pollice con l’indice, ma senza una completa supinazione dell’avambraccio. L’arto inferiore si caratterizza per un atteggiamento della gamba in intratorsione, con il ginocchio leggermente flesso ma allineato [15].

Nella forma II l’arto superiore è in genere meno colpito del superiore. La mano è funzionale o con deficit minori, il polso è flesso mentre le dita sono estese, senza sottomissione del pollice è spesso possibile singolarizzare i movimenti delle dita; il gomito è esteso e la spalla permette un movimento pendolare nel cammino veloce. L’arto inferiore mostra un appoggio del piede in

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equino-valgo-pronazione, raramente equino-varo-supinazione, con cosce lievemente flesse e addotte, bacino antepulso e iperlordosi lombare compensatoria [15].

Nella forma III la disibilità complessiva è importante, soprattutto per la mano. La spalla è antepulsa, il gomito flesso e addotto, l’avambraccio pronato, il polso con deviazione ulnare, la mano chiusa a pugno con pollice sottoposto. L’arto inferiore può mostrare un equinismo importante del piede, con il ginocchio flesso e intraruotato, oppure il ginocchio può essere esteso o iperesteso; il piede è equino valgo-pronato o anche equino-varo-supinato. La tibia è intratorta [15]. Nella forma IV l’interessamento maggiore è a livello dell’arto superiore. La mano risulta molto impegnata. La spalla è flessa, il braccio abdotto, il gomito flesso, l’avambraccio pronato, il polso e le dita flessi, il pollice in particolare addotto o sottoposto alle altre dita o incarcerato tra indice e medio. L’arto inferiore impone schemi rigidi con abduzione e extrarotazione a partenza dall’anca (andatura falciante) ovvero sollevamento dell’emibacino, flessione accentuata dell’anca e secondaria del ginocchio (andatura steppante) [15].

Capitolo 4 - DISTURBI ASSOCIATI

Il difetto motorio domina il quadro di emiplegia, ma vari e diversamente frequenti sono i disturbi associati. E’ interessante notare che i disturbi associati, nella maggior parte dei casi, non hanno una relazione prevalente con la localizzazione emisferica destra o sinistra, a sottolineare la grande plasticità del cervello immaturo [25].

Le funzioni cognitive appaiono normali nella maggioranza dei bambini emiplegici con percentuale variabile dal 62% [22] al 79 % [26] e comunque il ritardo mentale, quando presente, è stato descritto come di grado lieve nel 75% dei casi [26]. Tuttavia alcuni studi segnalano una media totale di Q.I. inferiore

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rispetto ai controlli normali [36, 37, 38, 39, 40]. Inoltre in questi bambini concomita talvolta anche un disturbo dell’apprendimento [41], che il gruppo di Cioni riferisce come più frequente nelle forme IV di emiplegia [26]. Esistono evidenze riguardo una maggiore incidenza del difetto cognitivo nei bambini con lesione localizzata a livello dell’emisfero destro [42]. Secondo Nass questo fatto può essere spiegato con la presenza di un gradiente di maturazione sinistro-destro, per cui la lesione destra precoce produce effetti più gravi rispetto alla sinistra [42]. Inoltre più di recente è stato segnalato come dalle lesioni emisferiche destre risulti più spesso un ritardo specificamente nella comunicazione preverbale, fatto che avvalorerebbe il ruolo dell’emisfero destro quale sede di integrazione delle informazioni per fini comunicativi [39, 40]. Per le forme congenite di emiplegia è stata osservata una maggiore differenza nelle prestazioni cognitive tra bambini affetti e controlli con l’aumentare dell’età. [36, 37]. Banich spiega questo riscontro sostenendo che il recupero della funzione intellettiva nel cervello infantile leso garantirebbero lo sviluppo delle funzioni cerebrali precoci, ma non di quelle astratte e metacognitive, tipiche acquisizioni del periodo dell’adolescenza [43]. A supportare questi dati, si considera il fatto che nelle forme acquisite di emiplegia la relazione tra abilità intellettiva e tempo trascorso dalla lesione manca. Inoltre, il deficit cognitivo nelle forme acquisite è assai più raro rispetto alle congenite [26].

La sede cortico-sottocorticale della lesione sembra correlare con un Q.I. inferiore rispetto alle lesioni con localizzazione soltanto sottocorticale, più tipiche dell’ultimo trimestre di gestazione [36, 37, 44].

Nelle forme di emiplegia congenita la dimensione della lesione documentata attraverso neuroimaging non è in relazione con il livello intellettivo a differenza di quelle acquisite [43].

Tuttavia in ogni caso nel quale si associa epilessia, le prestazioni intellettive sono più scadenti per tutte le fasce d’età. In parte questo è dovuto

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all’interferenza dell’epilessia nel processo di riorganizzazione e in parte all’effetto dei farmaci antiepilettici [19].

Anomalie elettroencefalografiche si rilevano nel 80% dei bambini secondo

Sussova [45]; secondo Panteliadis in poco meno del 76%, dei quali soltanto il 38,9% ha evidenza clinica di crisi [46]. Secondo Cioni et al., le anomalie si riscontrano nel 50% dei bambini con forma II e IV, nel 74% di forma III, nel 84% di forma I [26].

Le alterazioni elettroencefalografiche sono più frequenti nelle lesioni emisferiche destre [45].

La prevalenza globale di epilessia nell’emiplegia è variabile dal 31,5% [46], al 52% [47], al 66% [48]. I parossismi clinici sono più frequenti nella emiplegia destra [45].

L’associazione con epilessia in riferimento alle forme di emiplegia del gruppo di Cioni, è più frequente nel tipo I e III per la localizzazione corticale delle lesioni, meno frequente invece nelle forme II e IV [26].

L’epliessia si manifesta nel 19,4% nei bambini con emiplegia di grado lieve, nel 47,5% dei pazienti con emiplegia severa o moderata [46]. Nel 26,5% dei bambini la prima crisi si manifesta entro il primo anno di vita, nel 36,7% dei casi tra il primo e il quinto anno di vita [46].

Metà dei bambini con emiplegia spastica hanno crisi di tipo parziale, l’altra metà di tipo generalizzato [47].

L’incidenza di epilessia correla con il ritardo mentale. Le crisi sono nel 29% dei bambini con cognitivo normale, nel 57% di quelli con compromissione cognitiva [26]. Secondo studi recenti l’associazione tra crisi epilettiche e emisfero lesionato, descrive un trend a favore della correlazione con la lesione dell’emisfero sinistro. Inoltre sembra che bambini nati a termine abbiano più spesso epilessia [21].

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Nel 78%-80% dei bambini si riscontra una comorbidità per la disfunzione

visiva [49, 50]. La anomalie della visione non sono dipendenti dal livello clinico

di severità della forma o da lesioni specifiche individuabili alla RM; non c’è nessuna evidenza per una costante correlazione tra tipo di difetto e localizzazione lesionale, considerando come sedi le radiazioni ottiche o la corteccia visiva primaria [49]. Sembra non sussistere alcuna relazione tra il timing della lesione e il difetto sensoriale visivo [50]. L’anomalia più frequente è la ridotta acuità visiva, mentre circa nel 50% si riscontrano deficit del campo visivo e nistagmo optocinetico [50].

Un altro disturbo associato di frequente è il quello della sensibilità, riscontrato addirittura nel 97% dei bambini emiplegici [17]. Il deficit della stereognosia rappresenta il disturbo più rappresentato secondo diverse casistiche, presente fino nella metà dei casi [12]. In particolare, il neglect, che coinvolge diversi aspetti della percezione, rappresenta insieme al disturbo della sensibilità un fattore di rilievo nell’outcome motorio del bambino, che grava sul danno alle strutture centrali più direttamente correlate col controllo volontario del movimento [15] (vedi capitolo 10).

Disordini psichici si riscontrano nel 50% dei bambini con emiplegia. Questa

situazione più frequentemente concorre con epilessia e prematurità precedente alle 34 settimane di gestazione. Il 6% dei bambini sviluppa ADHD, con un trend a favore delle lesioni dell’emisfero destro. Nel 7% dei bambini si riscontra un disturbo dell’apprendimento [21]. In precedenza già Uvebrant aveva segnalato disordini dell’attenzione e iperattività nel 5,4% dei bambini emiplegici, non concomitanti a disturbi neuropsicologici e dell’apprendimento [8]. Altri quadri riscontrati nel 25% dei bambini emiplegici sono: ansia, fobie, disturbo di separazione, disturbi psicosomatici; frequenti anche depressione, disordini del sonno e dell’appetito, inerzia e perdita di interessi. Nel 24% della popolazione emiplegica si ritrovano disordini del comportamento quali oppositività,

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aggressività, crisi di rabbia. Rari i comportamenti antisociali [51]. Più frequenti rispetto ai controlli anche atteggiamenti di tipo autistico tipo stereotipie nel gioco, impoverimento degli interessi e focalizzazione ossessiva verso alcuni specifici aspetti, talvolta ritenuti il risultato di fattori organici e psicosociali [51].

Capitolo 5 - EZIOPATOGENESI

L’emiplegia è definita congenita se si sviluppa a seguito di una lesione incorsa entro le prime quattro settimane di vita, mentre è definita acquisita se rappresenta l’esito di fattori che hanno agito successivamente alle prime quattro settimane, ma entro i primi tre anni di vita [21].

La forma congenita di emiplegia è quattro volte più frequente rispetto a quella acquisita [21].

La prematurità rappresenta un fattore di rischio molto importante per l’emiplegia congenita, insieme alla sofferenza perinatale.

Le entità etiologiche più spesso causa di emiplegia congenita o acquisita sono l’ischemia cerebrale, nel 38% dei casi, la leucomalacia periventricolare, nel 18% dei casi, l’emorragia intracranica, nel 16% dei casi, le disgenesie del tessuto cerebrale, nel 13% dei casi [21]. In particolare, facendo una distinzione tra la forma congenita e quella acquisita si osserva quanto segue; la prima è causata in ordine di frequenza da: ischemia cerebrovascolare, leucomalacia periventricolare, disgenesia corticale e emorragia intaventricolare. Anche il gruppo delle acquisite ritrova al primo posto per frequenza tra i fattori eziologici l’ischemia, seguita dall’emorragia, dai traumi e infine dalle infezioni [21].

Per la forma congenita di emiplegia, la distribuzione dei fattori etiologici è diversa nel gruppo dei nati a termine e in quello dei prematuri. Nei bambini pretermine ed in particolare quelli con età gestazionale minore di 32 settimane

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prevalgono i fattori perinatali, con frequenza del 79%; nei bambini nati a termine prevalgono i fattori eziologici che incorrono in epoca prenatale, con incidenza complessiva del 51% [19].

L’emiplegia congenita del neonato pretermine è più probabile se la

prematurità è di alto grado e se il neonato ha avuto un ritardo di crescita intrauterino o un basso peso alla nascita [20]. Inoltre l’immaturità dell’apparato respiratorio e del sistema cardiocircolatorio possono predisporlo al danno secondario del sistema nervoso centrale [52, 53].

Lesioni tipiche del prematuro sono la leucomalacia periventricolare/subcorticale e l’emorragia intraventricolare che provocano, da sole, il 34% delle forme emiplegiche di paralisi cerebrale [29].

L’incidenza della leucomalacia periventricolare supera in certe casistiche il 20% dei nati pretermine, considerando anche forme di estensione limitata [54]. Tale quadro dipende da una lesione ipossico-ischemica cerebrale, che si colloca a livello della parete esterna dei ventricoli laterali. La leucomalacia subcorticale è tipica del neonato di età gestazionale superiore alle 33 settimane. In questa epoca le zone a maggiore suscettibilità all’ipossia sono periferiche, a livello profondo, subcorticale [55, 56]. Questa diversa localizzazione della leucomalacia si spiega in termini di maturazione dell’encefalo. La vascolarizzazione terminale della sostanza bianca proviene da un sistema centripeto e da uno centrifugo rispetto ai ventricoli, che delineano una zona marginale ipovascolarizzata compresa tra i due circoli, più suscettibile al danno. Durante lo sviluppo cerebrale, questa zona di frontiera si sposta a livello subcorticale, per la regressione delle anastomosi leptomeningee, e per l’approfondimento dei solchi cerebrali, determinando così una diversa profondità della lesione a seconda del timing.

Il meccanismo patogenetico che sottende la leucomalacia coinvolge fattori anatomici vascolari, insieme con l’immaturità dell’autoregolazione del circolo, e

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la maggiore vulnerabilità cellulare nel momento della differenziazione e mielinizzazione [55, 56]. Il sistema di autoregolazione vasale fallisce nel pretermine non solo per la sua parafisiologica immaturità, ma anche per il danno indotto dal periodo di asfissia [57, 58, 59]. Tra queste, la pervietà del dotto arterioso di Botallo è motivo della riduzione del flusso cerebrale [19]. Di recente la leucomalacia periventricolare è stata posta in relazione con infezioni materne durante la gravidanza e con la tossiemia gravidica. Alcune citochine, ed in particolare IL-1, IL-6, TNF, liberate incorso di tossiemia possono contribuire a questo tipo di danno cerebrale particolarmente nel pretermine [60, 61, 62].

L’emorragia peri-intraventricolare è frequente nel pretermine di età gestazionale inferiore alle 32 settimane. L’incidenza del quadro è peraltro inversamente proporzionale all’età gestazionale [54]. Questa situazione è il risultato di un sanguinamento a livello della zona sottocorticale subependimale germinativa, vascolarizzata abbondantemente prima delle 32 settimane. I capillari che provvedono all’irrorazione hanno parete estremamnete fragile, e vengono drenati dalla vena di Galeno. La sede più frequente del sanguinamento è in prossimità della testa del nucleo caudato e del solco talamo-striato, presso o subito dietro al forame di Monro. Più di rado avviene a livello del corno occipitale o temporale, in corrispondenza di una zona leucomalacica. Il meccanismo patogenetico è ascrivibile al turbamento della regolazione del flusso indotto dall’asfissia, in concomitanza con puntate ipertensive a livello arteriolare, che contribuiscono alla rottura dei capillari. Nel prematuro, un fattore importante, che predispone a questo evento, è la fragilità intrinseca delle pareti capillari, insieme con i disturbi della funzionalità piastrinica e della coagulazione, dovuti all’immaturità [54, 63].

L’emiplegia congenita del neonato a termine ha come principale meccanismo

patogenetico quello dell’encefalopatia ipossico ischemica. La asfissia intrapartum può spiegare circa l’8% dei casi di emiplegia, spesso in

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concomitanza con altri fattori etologici (fattori circolatori, per i quali principalmente la localizzazione della lesione è a livello delle zone spartiacque tra le principali arterie cerebrali; fattori metabolici, cioè le differenze regionali nelle capacità glicolitiche anaerobie; neurotrasmissione eccitotossica che, insieme agli altri due fattori, rende più vulnerabile selettivamente certe regioni). La lesione può essere emorragica, con quadri di emorragia

intra-periventricolare, da sanguinamento di un residuo di matrice germinale o dei

plessi coroidei, favorita da asfissia, traumi, infezioni, diatesi coagulatorie. Rara l’emorragia subdurale, da malposizione fetale principalmente, per lacerazione del tentorio e rottura dei seni venosi, ovvero da diastasi dell’occipitale [54]. Nel caso invece di una lesione ischemica cerebrovascolare, le cause sono molteplici; essa si realizza attraverso l’embolismo ovvero la trombosi. L’embolizzazione si associa spesso a malformazioni cardiovascolari, come il dotto di Botallo pervio oppure a trasfusione feto-fetale. La trombosi è conseguenza più spesso di sepsi con CID, policitemia o disturbi della coagulazione. Nel 75% dei bambini sono state identificate condizioni predisponenti all’accidente cerebrovascolare. Tra queste risaltano gli stati protombotici ereditari: deficit di antitrombina III, proteina C, proteina S, e anomalie metaboliche quali iperomocisteinemia e iperlipidemie. Tra le cause genetiche: difetto di cistatione b-sintetasi e di metilentetraidrofolato-reduttasi. Di recente sono state descritte mutazioni del gene per il fattore V e per la protrombina. Tali situazioni sottostanti sono riscontrate nell’ 89% delle forme congenite di emiplegia.

La presenza di fattori di rischio materni per emiplegia congenita è documentata nel 17% dei nati a termine e nel 35% dei pretermine [18]. Himmelmann ha trovato più spesso associati ad emiplegia del bambino: febbre nella madre al secondamento e diabete materno [18]. In particolare, altre cause riportate sono: infezioni materne nel 39,5% dei casi [29], sanguinamenti,

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pre-eclampsia, traumi [26]. Infine non ci sono evidenze significative di maggior rischio per bambini piccoli ovvero grandi per l’età gestazionale [18].

Anche il tipo di gravidanza potrebbe essere considerato un fattore causale dell’emiplegia, visto che il 12% dei bambini con emiplegia sono nati da gravidanza multipla, contro l’1,5% della popolazione pediatrica generale [29].

L’emiplegia acquisita si sviluppa in poco meno del 70% dei casi, come

complicanza embolica di malformazioni cardiovascolari, come la pervietà del dotto di Botallo. Invece il meccanismo trombotico dipende più spesso da alterazioni geneticamente determinate o secondarie della coagulazione, analogamente a quello che succede per l’emiplegia congenita (soprattutto deficit di proteina C, sepsi e vasculiti). Altre condizioni che espongono ad un rischio elevato per ischemia cerebrale e emiplegia acquisita sono quadri genetici tipo: neurofibromatosi, malattia di Down (associata in particolare alla sindrome di moyamoya); anemia falciforme, per le crisi vaso-occlusive; malattie mitocondriali, tra le quali merita di essere menzionata la MELAS [21].

Capitolo 6 - NEUROPATOLOGIA

La lesione che subisce il sistema nervoso centrale nelle ultime settimane di gravidanza e nel periodo perinatale è la causa principale di difetto neurologico dell’età evolutiva [54, 63].

Il sistema nervoso centrale in quel periodo sta attraversando una serie di processi maturativi molto complessi: migrazione, organizzazione, sinaptogenesi, apoptosi e maturazione del circolo cerebrale. Questi eventi giustificano la dipendenza dal timing maturativo dell’esito di lesione: infatti possono essere descritti distinti quadri neuropatologici e clinici nel neonato prematuro e nel neonato a termine, per i quali la sensibilità all’ipossia è diversa. Nel prematuro tale vulnerabilità è

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massima nei neuroni, riducendosi negli oligodendrociti, poi negli astrociti e nella microglia; viceversa nel nato a termine.

Il risultato dell’azione dell’agente lesivo è comunque una alterazione tissutale che ostacola l’attività normale dei circuiti neuronali.

I principali quadri neuropatologici del prematuro, responsabili dell’ emiplegia, sono rappresentati da :

• leucomalacia periventricolare/subcorticale • emorragia intraventricolare

La leucomalacia consiste nella necrosi della sostanza bianca. Si definisce periventricolare se la lesione si localizza in prossimità della parete esterna dei ventricoli laterali. Frequentemente è coinvolta la sostanza bianca della zona del trigono, all’incrocio tra i corni temporale e occipitale, e quella adiacente al forame di Monro. La leucomalacia subcorticale si colloca invece a livello profondo. Indipendentemente dalla sede, residuano dall’infarto piccole aree di gliosi, associate o meno a calcificazioni. Lesioni piccole esitano in riduzione della mielina e dilatazione compensatoria dei ventricoli nella zona adiacente. Lesioni estese evolvono in cavità. Il quadro può complicarsi con lesioni di tipo emorragico nel pretermine di peso molto basso [55, 56].

L’evoluzione della lesione dal punto di vista neuropatologico è la seguenta: da 6 a 12 ore dopo l’episodio ipossico-ischemico si sviluppa la necrosi coagulativa, acellulare, a focolaio. Questa fase è seguita dal rapido rigonfiamento e dalla disintegrazione neuronale. La risposta microgliale compare nelle 24-48 ore successive. Per la fagocitosi del tessuto necrotico si formano le cavità cistiche non comunicanti con il ventricolo. Se non si formano le cisti, la lesione evolve verso la gliosi. Si denotano così una leucomalacia cistica e una leucomalacia

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L’emorragia intraventricolare ha sede a livello della matrice germinale dei ventricoli laterali, dove si trovano vasi venosi riccamente irrorati, fragili e suscettibili di rottura per aumento della pressione sistemica, ipossia e ischemia. Il sanguinamento rimane localizzato alla matrice germinale, con cisti periventricolari e frequente concomitanza di lesioni ischemiche, ovvero diffonde all’interno dei ventricoli, laterali e III, estendendosi al IV e agli spazi subaracnoidei. Volpe descrive tre gradi di gravità della emorragia intraventricolare [54]:

- grado I: emorragia della matrice germinativa con assente o ridotto sanguinamento intraventricolare (<10% dell’area ventricolare)

- grado II: emorragia intraventricolare (10-50% dell’area ventricolare)

- grado III: emorragia intraventricolare (>50% dell’area ventricolare, solitamente con distensione del ventricolo)

I principali quadri neuropatologici del nato a termine che svilupperà una paralisi cerebrale di tipo emiplegico sono:

• leucomalacia sottocorticale • necrosi neuronale selettiva • lesioni cerebrali parasagittali

• necrosi ischemica focale e multifocale • emorragia intracranica

- subdurale

- subaracnoidea

- peri-intraventricolare

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La leucomalacia subcorticale è tipica del neonato di età gestazionale superiore alle 33 settimane. In questa epoca le zone a maggiore suscettibilità all’ipossia sono periferiche, a livello profondo, subcorticale [55, 56].

La necrosi neuronale selettiva si localizza a livello della corteccia cerebrale. Le lesioni cerebrali parasagittali sono quelle più frequenti nel neonato a termine asfittico. Sono lesioni necrotiche, spesso bilaterali, della corteccia e della sostanza bianca sottocorticale, delle zone parasagittali e superomediali della convessità. La maggiore suscettibilità è quella delle zone spartiacqua tra l’arteria crebrale anteriore, media e posteriore. Il quadro neuropatologico è la sclerosi

nodulare a livello corticale e la leucomalacia sottocorticale, nelle sedi profonde

dei solchi.

La necrosi ischemica ha incidenza stimata di 1 caso ogni 4-5000 nati a termine [52, 64]. Si sviluppa in corrispondenza dei territori di distribuzione dei vasi cerebrali principali. Più frequente è l’interessamento dell’arteria cerebrale media o dei suoi rami, fino nel 80% dei casi, con un rapporto tra emisfero sinistro e destro di 3 a 1 [15]. Le aree necrotiche assumono diversa estensione, delineando quadri di poroencefalia, cavità unica, monolaterale o idranencefalia, lesioni massive e sostituzione con liquor di grandi parti di emisfero

La tendenza alla formazione di lesioni cistiche dipende alla scarsità di fibre mielinizzate e alla carente risposta gliale.

I quadri emorragici dal punto di vista anatomopatologico sono assimilabili a quelli dell’adulto.

Anche i quadri malformativi sono ulteriori substrati neuropatologici per l’emiplegia sia del prematuro che del neonato a termine. In particolare, si tratta di displasie corticali, schizencefalia, pachigiria e calcificazioni anomale. Questi quadri sono conseguenza di infezioni, tossicità da sostanze chimiche,

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radiazioni, agenti meccanici, anossia, anomalie cromosomiche, condizionati nell’esito dal periodo di vita intrauterina in cui l’agente causale agisce.

Le displasie sono usualmente limitate alla corteccia e possono presentare nel loro contesto aree cistiche e/o calcifiche. Il termine schizencefalia è impiegato per descrivere fessure anomale che percorrono gli emisferi dai ventricoli laterali alla corteccia. Tali fenditure possono essere unilaterali o bilaterali, tipicamente perisilviane. La corteccia adiacente è displastica con polimicrogiria per una estensione variabile dalla fessura [65].

La pachigiria costituisce una forma di lissencefalia di minore gravità. Consiste nella presenza di poche circonvoluzioni e grossolane, larghe e appiattite. I solchi sono poco profondi, più rappresentati quelli primari, pochi i secondari. Alcune zone cerebrali mancano totalmente di circonvoluzioni [66].

Capitolo 7 - QUADRO NEURORADIOLOGICO

Lo sviluppo delle tecniche di neuroimaging ha consentito uno studio più accurato delle lesioni alla base dell’emiplegia infantile e ha permesso di correlare le varie lesioni con i rispettivi quadri clinici [26, 30]. Anche se gli ultrasuoni possono confermare il sospetto di un quadro lesionale in fase precoce, tuttavia la risonanza magnetica (RM) è al momento attuale la metodica più precisa per la diagnosi etiopatogenetica e per la prognosi del disturbo motorio. La RM viene utilizzata per valutare con maggiore precisione gli esiti della lesione. Al contrario, nelle forme acute e nelle forme gliotiche di grado lieve, l’iperintensità in T2 della gliosi si confonde con quella della sostanza bianca non mielinizzata. Invece le lesioni cistiche si identificano come aree rotondeggianti con segnale analogo al liquor nelle immagini T1, DP e T2 dipendenti.

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I reperti neuroradiologici tipici del pretermine corrispondono prevalentemente a lesioni tipo:

• leucomalacia periventricolare/subcorticale • emorragia intraventricolare

Per quello che riguarda la leucomalacia periventricolare/subcorticale, a partire dal 6°-8° mese di vita il diverso segnale in T2 differenzia le aree nelle quali la mielinazzazione è in corso da quelle gliotiche. Dove c’è gliosi si ha il riscontro di iperintensità contigua all’ependima periventricolare, variabilmente esteso in senso caudo-rostrale e centro-laterale, a seconda della differente gravità. La regione colpita più spesso è quella paratrigonale, talvolta coinvolgendo le radiazioni ottiche. Queste ultime sono già mielinizzate al 1°-2° mese, con segnale ipointenso in T2, e possono essere utilizzate come riferimento nella diagnosi differenziale radiologica. Con la RM è possibile quantificare il ritardo della mielinizzazione, associato non frequentemente a forme lievi. A causa dell’insulto, infatti, a livello della matrice germinale viene rallentata la migrazione delle cellule gliali, che sono fondamentali per la mielinizzazione. Altre alterazioni che la RM può mostrare sono le irregolarità del profilo dei ventricoli, causate dalla retrazione del tessuto cicatriziale, che conferisce un aspetto festonato; alla RM si evidenzia inoltre l’ipotrofia, anche estesa, del corpo calloso, per la riduzione delle fibre di connessione interemisferiche. Anche le lesioni cistiche si mostrano chiaramente, separate dal ventricolo per la presenza di matrice ependimale, o conglomerate con esso, espandendone il volume.

Le lesioni emorragiche vengono documentate dalla RM a distanza di 2-3 giorni, in fase quindi subacuta. In particolare la metaemoglobina è iperintensa in T1 e

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T2, ma la sua intensità in T2 è maggiore di quella del liquor e della sostanza bianca non mielinizzata.

Nella fase stabilizzata della lesione, la RM permette di diagnosticare una cisti porencefalica comunicante secondaria, esito dello svuotamento della emorragia periventricolare entro il ventricolo stesso. Le neuroimmagini individuano inoltre una dilatazione ex-vacuo, rispetto ad un idrocefalo ostruttivo causato da coaguli ematici, dove anche i corni temporali sono dilatati. Il coagulo infatti, sia intraparenchimale, intraventricolare o periventricolare è riconosciuto per le caratteristiche di risonanza precedentemente citate per la metaemoglobina.

La RM è la sola indagine radiologica che permette di diagnosticare una emorragia subependimale o intraparenchimale pregressa. I depositi emosiderinici sono anintensi in T2.

La RM inoltre mostra fenomeni associati di infarcimento emorragico, che risulta per concomitanza di emorragia e ischemia su base ipossica.

I quadri neuroradiologici del neonato a termine correlati con pattern di distribuzione della lesione cerebrale secondo l’etiologia sono:

• encefalopatia ipossico-ischemica

• infarto cerebrale

Una lesione su base ipossico-ischemica nel neonato a termine asfittico può essere mascherata, nei primi 3-4 giorni dopo che l’evento è intercorso, dall’edema cerebrale. Successivamente la RM permetterà una diagnosi accurata dei diversi pattern lesionali. Nella lesione emorragica la RM è dirimente perché mostra il segnale tipico dell’emorragia in atto o pregressa nel contesto del plesso coroideo. Nella lesione ischemica infartuale la RM mostra la zona infartuata con un segnale aumentato in T2 e ridotto in T1. inoltre la demarcazione tra sostanza grigia e sostanza bianca è meno netta. L’infarto cerebrale più frequentemente

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interessa il territorio di distribuzione dell’arteria cerebrale media [67]. In base alla sede che si individua alla RM si accerta l’interessamento del ramo principale, corticale o lenticolo-striato dell’arteria cerebrale media [52].

Oltre ai quadri specifici per epoca gestazionale alla nascita, sia nel prematuro che nel nato a termine possiamo avere riscontro neuroradiologico di quadri malformativi che più spesso si associano alla emiplegia. Questi quadri possono essere unilaterali o bilaterali, isolati o associati tra loro, concomitanti a lesioni ipossico-ischemiche o emi-ipotrofia cerebrale. Si associano più di frequente alla emiplegia: displasie corticali, schizencefalia, pachigiria, inoltre più aspecifiche calcificazioni anomale e malformazioni cistiche.

In particolare la displasia corticale descrive una serie di quadri che sono caratterizzati da anomalie dei neuroni, con piccoli giri multipli sugli emisferi cerebrali. Il reperto più caratteristico alla RM è l’irregolarità del segnale e la sua scarsa definizione, che testimoniano la presenza di elementi istopatologicamente differenti associati a elementi cellulari perilesionali displastici e eterotopici immediatamente sottocorticali [65, 68]. La corteccia displstica appare come uno strato spesso, con pochi solchi. Sezioni sottili di 1,5 mm possono più agevolmente rilevare irregolarità lievi localizzate alla giunzione tra la sostanza grigia e la bianca. Talvolta si ritrovano calcificazioni della corteccia affetta. Inoltre si può osservare un allungamento anomalo dei tempi di rilassamento in T2 della sostanza bianca sottostante, per la presenza di gliosi [65].

Il termine schizencefalia descrive fessure rivestite di sostanza grigia che attraversano gli emisferi cerebrali, dai ventricoli alla corteccia. Si definisce

chiusa quando alle immagini sagittale T1 pesata e assiale T2 pesata si evidenzia

uno strato transemisferico di sostanza grigia che raccorda una fenditura corticale con una fossetta ventricolare. È aperta quando si osserva un ampio tratto ripieno

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di liquido cefalorachidiano, rivestito da sostanza grigia polimicrogirica, che dal ventricolo si estendende fino allo spazio subaracnoideo [65].

La pachigiria descrive una superficie cerebrale abnormemente liscia, caratterizzata da pochi giri, e ampi. È peraltro stato definito di recente associato a sindromi genetiche [68, 69, 70]. In generale, la pachigiria si identifica alla RM con corteccia cerebrale patologicamente liscia, con spessore aumentato della sostanza grigia e assottigliamento di quella bianca sottostante [65].

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IL DISTURBO DELLA SENSIBILITA’

Capitolo 8 - FISIOPATOGENESI DEL DISTURBO DELLA

SENSIBILITA’

Il sistema sensoriale pone l’individuo in relazione con l’ambiente ed è organizzato in modo che le informazioni recettoriali siano scomposte in dati discreti. La stimolazione dei recettori periferici genera un impulso che attraverso fibre nervose afferenti è trasportato ai centri nervosi superiori, per il riconoscimento cosciente, l’azione riflessa o altre conseguenze della attivazione periferica. Le informazioni sensoriali vengono utilizzate per destare sensazioni, controllare il movimento e mantenere lo stato di vigilanza.

I recettori rappresentano una interfaccia con l’ambiente interno ed esterno e rispondono con una certa specificità agli stimoli: gli impulsi generati infatti trasportano soltanto una modalità sensoriale.

La principale caratteristica di questo sistema è che ogni popolazione di recettori periferici ha una propria sistematica rappresentazione a livello centrale, in una maniera non direttamente conformata alla dimensione della periferia, ma piuttosto adattata all’importanza relativa di quella porzione anatomica ai fini percettivi: la mappa corporea dell’area somatosensoriale primaria produce un omuncolo con i piedi rappresentati sulla superficie mediale e la faccia sulla superficie laterale, dove si nota una rappresentazione maggiormente espansa di alcune parti anatomiche quali la mano e la bocca (Pemfield e Rasmussen, 1950). I lobi parietali sono la sede dei centri sensitivi, localizzati a livello delle aree 3a, 3b, 1 e 2 nel giro postcentrale, 5 e 7 nel lobulo parietale posteriore. Sono strettamente connessi con il giro precentrale nell’area 4, sede dei centri motori, costituendo una unità di funzione sensori-motoria (Figura 1).

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Figura 1

Le modalità sensoriali elementari identificate da Sherrington sono (Sherrington, 1906):

• Esterocezione (sensibilità somatica) - tatto

- tigmestesia (tattile generale) - topestesia (tattile discriminativa) • Termocezione

- recettori per il caldo - recettori per il freddo • Nocicezione

- dolore primo (rapido, pungente) - dolore secondo (lento e diffuso) • Propriocezione

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- chinestesia (senso di posizione) - pallestesia (sensibilità vibratoria) - tatto-pressione

- dolore profondo

• Enterocezione (sensibilità viscerale) • Sensi speciali - vista - udito - olfatto - gusto - sensazione vestibolare

La sensibilità esterocettiva, definita anche sensibilità superficiale, risponde a stimoli esterni che attivano recettori cutanei e delle mucose. Le fibre che trasportano questo tipo di sensibilità ascendono dai gangli delle radici dorsali, raggiungono il tratto spinotalamico controlaterale, il talamo e la corteccia.

La propriocezione origina dai tessuti profondi: muscoli, legamenti, tendini, ossa ed articolazioni. Le sensazioni propriocettive che possono essere esplorate sono il senso di movimento e di posizione, la vibrazione e la pressione. Gli impulsi propriocettivi ascendono le colonne posteriori, raggiungono i nuclei di relais talamici e infine la corteccia.

Un’altra distinzione che viene fatta nell’ambito della sensibilità tattile utilizza i termini di sensibilità tattile protopatica e epicritica (Head, 1920) per definire, da un lato, il riconoscimento sensitivo grossolano non ben localizzato, veicolato dalle dal fascio di fibre spinotalamico, dall’altro, la discriminazione fine e la localizzazione precisa dello stimolo, veicolata dal sistema dorsale lemniscale.

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Oltre a queste tipologie occorre considerare le modalità sensitive più complesse, che richiedono per essere identificate una integrazione corticale. Sono:

• Stereognosia • Barognosia • Topognosia • Grafestesia

• Discriminazione tra due punti • Competizione sensitiva (estinzione) • Somatotopagnosia

• Agnosia delle dita • Anosognosia

La stereognosia è la capacità di percepire la natura e la forma di un oggetto mediante il tatto. La stereognosia deriva dalla integrazione di diversi input sensitivi primari: la propriocezione e la discriminazione tattile della forma e della struttura superficiale dell’oggetto [12]. I livelli del riconoscimento stereognosico procedono dalla dimensione, alla forma bidimensionale e tridimensionale, fino alla trama.

La barognosia è il riconoscimento di peso.

La topognosia è l’abilità a localizzare una sensazione tattile.

La grafestesia è la capacità a riconoscere lettere o numeri tracciati sulla pelle. La discriminazione tra due punti consiste nella abilità a riconoscere come distinti due stimoli applicati in vicinanza l’uno dell’altro [71]. Sulla punta delle dita la soglia percettiva è di 2-4 mm; 4-6 mm sul dorso delle dita; 8-12 mm sul palmo; 20-30 mm sul dorso della mano [72]. Distanze maggiori occorrono per

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discriminare a livello dell’avambraccio, della parte prossimale del braccio, della coscia e della gamba. Questa sensibilità complessa è veicolata dal sistema delle colonna posteriori e la sua perdita con conservazione delle altre sensazioni tattili e discriminative può essere il segno più lieve di una lesione del lobo parietale [72].

La competizione, o estinzione sensitiva è l’incapacità di percepire la sensazione su un lato del corpo quando due aree corrispondenti vengono stimolate simultaneamente, ovvero separate da un breve intervallo di tempo.

La somatotopognosia è la perdita della capacità di identificare nello spazio, di orientare, le varie parti del corpo, anche nelle loro relazioni reciproche, per un difetto dello schema corporeo.

L’agnosia delle dita è l’incapacità di riconoscere, nominare le proprie dita e quelle di un’altra persona.

L’anosognosia è il non riconoscimento dell’esistenza della malattia, in senso lato e specificamente per l’emiplegia. E’ più frequente per lesioni del lobo parietale destro [72].

I dati di correlazione tra disturbo della sensibilità e localizzazione del danno derivano principalmente da studi condotti sull’adulto. Il disturbo della sensibilità è la manifestazione di un danno alle aree parietali o alle loro connessioni afferenti. La lesione corticale può definire due principali pattern di disturbo della sensibilità [73]. Nel primo risultano alterate le modalità sensoriali elementari, ad esempio dolore, temperatura e senso di posizione, per lesioni che coinvolgono l’opercolo parietale (area 43 di Brodmann), la parte anteriore del giro sopramarginale e della sottostante sostanza bianca [74] e la corteccia dell’insula [73]. Nel secondo sono compromesse le modalità sensoriali complesse, ‘corticali’ [73], ad esempio stereognosia, discriminazione tra due punti, grafestesia, … Le lesioni che definiscono questo quadro sono principalmente

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quelle della porzione posteriore-superiore del lobo parietale, corrispondente al giro postcentrale [73, 74].

Le sensazioni più grossolane quali temperatura e dolore sono veicolate dal sistema spinotalamico e quindi integrate a livello del talamo. Il talamo riceve le vie sensoriali prima che raggiungano la corteccia. Si ritiene che sia la stazione per l’apprezzamento quantitativo del dolore, del caldo, del freddo e del tatto profondo dove gli stimoli producono una forma grossolana, piuttosto che critica, di coscienza. Lesioni estese provocano un deficit grossolano di tutte le forme di sensibilità controlaterale, come risultato del coinvolgimento del nucleo ventrale posterolaterale (corpo) e posteromediale (faccia). E’ compromesso il tatto profondo, il senso di posizione e di movimento passivo, la pressione profonda, insieme con aumento della soglia per la sensibilità tattile superficiale, dolorifica e termica.

La corteccia è quindi fondamentale per gli aspetti più critici della sensazione: intensità, percezione, riconoscimento, localizzazione, relazioni spaziali, postura, posizione reciproca, forma, peso, qualità bidimensionali. Questi elementi richiedono integrazione tra vari stimoli, concetti e schemi pregressi.

In relazione alla sua vasta area di rappresentazione corticale, l’arto superiore e in particolar modo la mano risulta sempre sede del deficit sensitivo. Tale compromissione è stata anche definita ‘main parietale’[75] e può talvolta essere limitata alle singole dita [75, 76] o associata all’interessamento di altre porzioni corporee [77] con risparmio, spesso, del tronco [76]. Lesioni localizzate tra talamo e corteccia, soprattutto a livello del ramo posteriore della capsula interna, provocano un disturbo sensitivo più grave che quelle corticali isolate, per il decorso strettamente addossato delle fibre a quel livello.

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Capitolo 9 - VALUTAZIONE DEL DISTURBO DELLA

SENSIBILITA’

Le categorie della sensibilità sono esplorate con modalità diverse e specifiche per ciascun tipo. I test sono dotati di diversi livelli di accuratezza e richiedono un buon livello di collaborazione da parte del paziente, fatto ancora più vero per quello che riguarda la popolazione pediatrica. Inoltre è necessario, in generale, che il paziente sottoposto all’esame clinico della sensibilità non possa avvalersi dell’aiuto che gli verrebbe dalla sensorialità (essenzialmente la vista) per risolvere i quesiti clinici.

In particolare per le modalità elementari la valutazione richiede quanto segue. La sensibilità tattile viene esplorata attraverso l’applicazione a livello della superficie cutanea di uno stimolo leggero, che può essere un batuffolo di cotone, un pezzetto di carta, ovvero un tocco molto leggero con la punta delle dita. Lo stimolo dovrebbe essere tanto leggero da non produrre pressione sui tessuti sottocutanei. La soglia per la percezione dello stimolo è minore a livello delle pieghe cutanee. Invece la soglia aumenta dove lo spessore del sottocutaneo è maggiore, a livello del palmo della mano e della pianta del piede. È richiesto un buon grado di collaborazione da parte del paziente che deve riferire se avverte lo stimolo [72].

La sensibilità termica viene valutata utilizzando provette contenenti acqua calda e acqua fredda. Lo stimolo deve essere di 5-10°C per il freddo e di 40-45°C per il caldo, per non evocare, piuttosto, risposte dolorifiche. Si valuta se il paziente discrimina tra il caldo e il freddo ed, eventualmente, se percepisce variazioni di temperatura di 2-5°C, come atteso [72].

La sensibilità dolorifica superficiale si esplora con uno spillo, o un altro mezzo puntuto, in modo da evocare la massima risposta algica alla minima sollecitazione pressoria. Si può sottoporre lo stimolo dolorifico alternativamente

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con quello smusso e chiedere di riconoscerli. Inoltre valutare differenze nella percezione dell’intensità [72].

La sensazione di movimento e posizione possono essere valutate insieme. Si può applicare la mobilizzazione passiva delle dita, chiedendo di riconoscere la direzione dello spostamento. Si cerca di valutare l’angolazione minima del segmento alla quale il movimento passivo viene percepito. Durante l’esame le dita devono essere afferrate lateralmente dall’esaminatore, applicando la minima pressione per non elicitare la sensibilità tattile profonda. Le dita della mano non devono essere angolate più di 30° dalla posizione di riposo. Bisogna escludere le informazioni che possono provenire dal contatto di quel segmento corporeo con gli adiacenti. Il paziente non deve svolgere movimenti attivi [72].

La pallestesia viene valutata applicando stimoli evocati col diapason ad una certa frequenza di oscillazione, a livello di differenti distretti corporei [72].

Il senso di pressione origina dalle strutture sottocutanee. Si testa applicando col dito dell’esaminatore, o per mezzo di un oggetto smusso, una pressione energica, chiedendo al paziente se percepisce lo stimolo ed eventualmente se riesce a localizzarlo [72]. Per la valutazione della sensibilità pressoria viene talvolta utilizzato il monofilamento di Semmes-Weinsten. Sebbene questo test sia considerato attendibile per la valutazione del sistema nervoso periferico, tuttavia viene utilizzato anche nei pazienti con lesioni centrali, e delle vie ascendenti della sensibilità [12, 13, 78, 79, 80, 81]. Il filamento, di dimensioni diverse in prove successive, viene applicato, trattenuto e sollevato con timing standardizzati, a livello di diversi segmenti corporei, in particolare a livello delle dita della mano. Si ricava un punteggio stimando il livello soglia di pressione che il paziente può percepire [12, 13]. Il monofilamento può anche essere trascinato sulla superficie cutanea applicando ugualmente una certa pressione, al fine di valutare la sensibilità alla direzione dello spostamento [12].

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Per quello che riguarda le modalità ‘corticali’, esse possono essere esplorate avvalendosi dei metodi descritti di seguito.

La stereognosia valuta l’abilità nel riconoscere gli oggetti e le loro caratteristiche attraverso la manipolazione. Per valutare la capacità di riconoscere la dimensione si utilizzano oggetti simili, ma di grandezza diversa. Possono essere riconosciuti forme o oggetti familiari. Gli oggetti da riconoscere possono essere scelti in modo da essere parzialmente simili a due a due, per aumentare la difficoltà del test. Nel caso del bambino, devono essere oggetti abbastanza piccoli da entrare nella sua mano [13].

In studi condotti sul bambino, per quello che riguarda il riconoscimento stereognosico, è stato osservato come uno stesso oggetto, proposto in diversi formati, uno di dimensioni maggiori ed uno minori, viene riconosciuto più facilmente quando è più grande. Le maggiori dimensioni richiedono una esplorazione per mezzo dell’intera mano, suggerendo l’importanza del fenomeno recettoriale della sommazione spaziale [4].

Questo tipo di riconoscimento richiede tuttavia che sia possibile la manipolazione attiva dell’oggetto, che manca nel caso di un deficit motorio importante come può accadere nell’emiplegia [82]. Allora può essere l’esaminatore a muovere gli oggetti tra le dita del paziente, agevolando così l’esplorazione. Nel caso di una riduzione dell’abilità nella discriminazione stereognosica, oltre al ritardo o al fallimento nell’identificazione dell’oggetto, si rileva una riduzione dei movimenti di esplorazione, in parte causa, in parte conseguenza del disturbo della sensibilità [72].

In alcuni studi viene precedentemente sottoposto al bambino l’oggetto, sia alla manipolazione che alla vista. Questo deve essere tenuto in considerazione qualora si faccia un paragone tra risultati di test che hanno utilizzato una metodologia differente. Non meno, bisogna considerare che l’abilità di stereognosia si sviluppa dai 5 anni di età; perciò questo difetto nel bambino

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piccolo può indicare che ancora non è completata la maturazione delle vie sensitive piuttosto che un loro effettivo deficit [4].

Un aspetto più specifico della stereognosia è il riconoscimento delle forme geometriche. Sebbene talvolta i bambini emiplegici dimostrino una difficoltà maggiore in questo tipo di richiesta, tuttavia alcuni autori ipotizzano che non sia un test utile per la valutazione del disturbo della sensibilità. Si ritiene, infatti, che il riconoscimento delle forme geometriche dipenda dall’integrità di una serie di circuiti corticali diversi, e non necessariamente soltanto da quelli per l’integrazione somatosensoriale [13, 83].

La barognosia viene esplorata richiedendo di distinguere, attraverso la manipolazione, oggetti di forma e grandezza simili, ma di peso differente [72]. La topognosia implica la localizzazione dello stimolo tattile che viene applicato alla superficie cutanea [72].

La grafestesia richiede di riconoscere numeri o lettere tracciati a livello diverse porzioni corporee. A livello dei polpastrelli delle dita, di dimensioni centimetriche; a livello degli avambracci e delle gambe di dimensioni maggiori, perché qui la soglia per la discriminazione è più alta. È possibile utilizzare una punta smussa, come quella di una matita, oppure la punta delle dita dell’esaminatore [72].

La discriminazione tra due punti viene valutata in modo accurato utilizzando un compasso oppure un estensiometro a due punte calibrato. Un fermaglio da carta stirato e piegato variando la distanza tra le estremità è un mezzo meno esatto, ma facile e rapido da utilizzare per confrontare i due lati del corpo. Si preferisce utilizzare distanze tra le punte dapprima maggiori, riducendole progressivamente in applicazioni successive, fino a stabilire come soglia per la discriminazione la distanza minima alla quale lo stimolo viene riferito come duplice. In due lavori diversi Moeberg e Bolanos pongono l’attenzione sul fatto che la distanza minima percepita tra gli stimoli applicati riflette la densità dei

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recettori cutanei ed è diversa in differenti segmenti corporei; in particolare per la falange distale delle dita la distanza ottimale da testare è di 5 mm [84, 85]. Lo stimolo duplice può essere applicato alternativamente a quello a punta singola [72]. Per ovviare al problema del controllo della forza applicata dall’esaminatore e della vibrazione che involontariamente egli può imprimere nella somministrazione dello stimolo (elicitando una diversa modalità sensitiva e inficiando il test), è stato utilizzato da alcuni uno strumento più accurato, il disk-criminator. Esso permette di applicare stimoli appaiati, separati da distanze di 1-12 mm. Per la mano, si applicano gli stimoli procedendo in senso prossimo-distale, sulla superficie volare dell’ultima falange del pollice, dell’ indice e del mignolo [12].

Bisogna considerare come la discriminazione tra due punti è influenzata in certa misura dalla tensione muscolare [86] e dunque potrebbe essere anormale come fattore secondario all’ipertono nel bambino con paralisi cerebrale. Inoltre, si deve considerare che la discriminazione tra due punti esplora soprattutto la sensibilità al tocco passivo, che ha una soglia maggiore rispetto a quella del tocco attivo [87, 88].

La doppia stimolazione simultanea viene applicata per testare se due stimoli, applicati omolateralmente ovvero in segmenti corporei opposti, vengono identificati in entrambi i casi come duplici. Gli stimoli possono essere anche applicati separati da un breve intervallo temporale [72]. La mancata percezione nel lato plegico che talvolta si riscontra nella emiplegia è propria del fenomeno della competizione. Bender considera questo fatto la manifestazione di una reciproca dipendenza nell’attivazione degli emisferi cerebrali. Così, uno stimolo applicato al lato corporeo controllato dall’emisfero leso può essere percepito se applicato singolarmente, ma non quando viene somministrato insieme ad uno stimolo speculare, che afferisce all’emisfero conservato [89]. Il meccanismo per cui questo fenomeno si realizza sarebbe una competizione tra afferenze sensitive

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provenienti dai due emisomi, dove la più debole, considerata quella del lato plegico, viene prevaricata dalla controlaterale [89, 90].

Capitolo

10

-

DISTURBO

DELLA

SENSIBILITA’NEL

BAMBINO EMIPLEGICO

L’emiplegia deve essere considerata non soltanto come il risultato di un disturbo del controllo motorio, ma anche come una alterazione del sistema sensitivo [1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13]. Cooper evidenzia una prevalenza del disturbo della sensibilità dell’88,8% nei bambini con emiplegia [12]. Secondo lo stesso autore, l’incidenza dei disturbi della sensibilità non sembra dipendere né dal sesso né dall’età del bambino [12].

Sebbene una qualche forma di alterazione della sensibilità venga considerata comune in letteratura, come quadro concomitante al disturbo motorio, tuttavia i risultati riportati nei diversi studi sono difficilmente paragonabili, in quanto le modalità sensitive esplorate sono diverse e comunque indagate attraverso differenti test.

Tra i disturbi della sensibilità indagati, sicuramente la stereognosia risulta frequentemente compromessa. Studi pionieristici rilevano il difetto con frequenza variabile dal 47% [3] al 63% [4].Diversi studi più recenti descrivono la frequenza dell’astereognosia variabile dal 46 al 97% [7,8 10, 11, 13, 16, 92]. Cooper riferisce il disturbo della stereognosia anche per il lato conservato, fin nel 30% circa dei bambini osservati [12]. Anche Gordon documenta l’astereognosia nel lato non affetto [93, 94, 95].

Yekutiel ritiene che la stereognosia sia la migliore modalità per indagare la funzione sensoriale nel bambino con paralisi cerebrale [10].

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Alcuni autori hanno trovato una correlazione tra il disturbo della stereognosia, così come per la discriminazione tra due punti e la propriocezione, e la dimensione dell’arto plegico [11]. Il limite di queste osservazioni è che il campione di bambini considerato è eterogeneo per quello che concerne l’età, fatto che inevitabilmente condiziona il trofismo muscolare, in relazione all’accrescimento e all’evoluzione del quadro clinico di emiplegia.

Un altro disturbo frequentemente osservato nel bambino emiplegico è quello della discriminazione tra due punti. La prevalenza di questo aspetto è risultata variabile dal 30% al 45% [3, 4]. Secondo altri autori essa è compromessa circa nel 70-80% dei bambini con emiplegia, verosimilmente per la maggiore accuratezza diagnostica della metodologia seguita [10, 11]. Gli studi più mirati per rilevare questo disturbo sono quelli eseguiti da Cooper, che lo riporta con una percentuale pari al 57% [12], e da Krumlinde-Sundholm e Elliason, che documentano il disturbo (2PD 3mm) nel 75% dei bambini osservati [13]. Cooper sottolinea il fatto che questa modalità sensoriale non è alterata nel lato conservato [12]. Tale dato non sembra in accordo con quello riportato da Lesny [9]

Secondo alcuni studi la discriminazione tra due punti sembra correlare in modo più preciso con la effettiva funzione sensitiva [13, 93, 94, 95]. Tuttavia, il limite di questo tipo di esame della sensibilità è che non è applicabile precocemente, perché è una abilità che viene acquisita più tardivamente nei primi anni di vita [10].

Sebbene l’abilità nella discriminazione tra due punti correli positivamente con i risultati delle prove di sensibilità tattile e propriocezione [10], tuttavia questo non succede con la stereognosia e la sensibilità pressoria. In particolare alcuni bambini mostrano cioè, normale stereognosia ma difficoltà nella prova discriminativa. Un’ipotesi per spiegare questa dissociazione considera il ruolo di fattori non sensitivi, quali l’ipertono o la scarsa collaborazione; un’altra ipotesi

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