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MANIPOLAZIONE NEL BAMBINO CON EMIPLEGIA

BAMBINO EMIPLEGICO

Capitolo 12 MANIPOLAZIONE NEL BAMBINO CON EMIPLEGIA

Il difetto funzionale dell’arto superiore prevale soprattutto nelle forme di emiplegia che risultano da lesioni a localizzazione cortico-sottocorticale, nel territorio di distribuzione della arteria cerebrale media, che coinvolgono le aree motorie, premotorie e parietali [19].

Nei bambini con emiplegia risulta alterato lo sviluppo di strutture e circuiti cerebrali che modulano le efferenze necessarie per applicare gli schemi del movimento di manipolazione, ma anche di quelli che integrano le afferenze somatosensoriali necessarie per il suo corretto svolgimento. La corteccia ha un ruolo significativo nella generazione di pattern motori con proiezioni corticospinali monosinaptiche per il controllo della mano [113].

La lesione che sottende l’emiplegia induce la riduzione della forza per il movimento prevalentemente a livello distale, limitando insieme i movimenti di estensione del polso e fini delle dita. Un altro aspetto tipico della motilità dell’arto superiore è che l’ipotonia viene presto soppiantata dall’ipertono e dalla spasticità, più marcati per i flessori dell’arto superiore: bicipite, flessore lungo delle dita, pronatori, adduttore del pollice. Progressivamente il movimento della mano può essere vincolato da un atteggiamento persistentemente flesso del polso e da una adduzione costante del pollice, che sono la conseguenza della spasticità [34]. L’atteggiamento posturale prevalente dell’arto superiore è in intrarotazione, con flessione a livello del gomito, del polso e delle dita. Il meccanismo responsabile di questa situazione è l’interruzione dell’inibizione

corticale sull’attività dei nuclei della base e sulle afferenze labirintiche [34]. Spesso subentrano deformità articolari, principalmente al gomito, al polso e alle dita, che coinvolgono anche legamenti e tessuto connettivo. Il muscolo è sottoposto ad una spasticità fasica, così da perdere la possibilità di compiere movimenti di allungamento e accorciamento; l’ampiezza dei movimenti descritta come range of motion è limitata per la perdita delle proprietà elastiche, con conseguente riduzione della estensibilità e aumento della resistenza al lavoro [19]. Meno frequentemente a livello dell’arto superiore c’è una riduzione dell’accrescimento osseo, che tuttavia non correla con l’entità del difetto funzionale, più frequente nelle forme congenite di emiplegia; questo fatto secondo alcuni dipende dagli esisti periferici della sede corticale della lesione; secondo altri dalla alterazione secondaria della vascolarizzazione di quel distretto corporeo. Inoltre le attività manuali fini possono risentire dei mirror

movents, risultanti dall’ attivazione speculare e involontaria di una mano al

compito svolto dall’altra, che sia la plegica o la sana, e che interferiscono negativamente con la funzionalità particolarmente della mano affetta [19].

Dal punto di vista della manipolazione, essa avviene attraverso l’applicazione di schemi immaturi. In particolare, l’afferramento avviene con prensione cubito palmare: il movimento parte dalla spalla e si svolge in abduzione e con gomito semiflesso. Questo atteggiamento è dovuto alla incapacità di controllare individualmente il movimento di ciascun dito; ciò rende lo schema motorio impreciso, lento e alcuni tentativi inefficaci [4, 35]. Il meccanismo fisiopatologico che spiega questo comportamento è la impossibilità di convertire l’attivazione globale riflessa della muscolatura delle dita, tipica delle fasi precoci dello sviluppo, in una attivazione volontaria e coordinata di ciascuna singolarmente [110].

Nelle attività spontanee, in genere il bambino con emiplegia, in modo variabile con la gravità del disturbo motorio, mostra una pianificazione asimmetrica del

movimento, tendendo ad escludere le informazioni propriocettive ed esterocettive che afferiscono all’emisoma plegico: nella scelta del campo visivo e manipolatorio privilegia il versante sano, anche se non esiste nessun difetto visivo o sensoriale documentato. La selezione del pattern di attivazione da applicare nella vastità delle situazioni ordinarie privilegia forme ripetitive e stereotipate, che neppure l’insuccesso nel compito spinge ad abbandonare. Nel caso di una compromissione motoria lieve il bambino privilegia comunque la mano sana. Gli schemi motori dell’arto superiore sono ridotti, e non si modificano variando le prove richieste; quello che orienta la scelta della strategia nella performance è la possibilità di svolgere il compito il più rapidamente possibile, e di ottenere un risultato funzionale. Se però vengono modificate le richieste, è possibile far emergere pattern modulati e perfezionati dal punto di vista della efficienza. Altre volte invece il bambino emiplegico applica scorrettamente dei compensi funzionali che rendono la prestazione motoria scadente, pur magari ottenendo il risultato cercato; si tratta, per esempio, di sfruttare movimenti estrinseci dell’arto superiore per trattenere gli oggetti [19].

Il quadro finora descritto è suscettibile di modificazione nel corso del tempo. Dopo i cinque anni, la tendenza del bambino emiplegico è quella a diventare più abile nello svolgere compiti bimanuali utilizzando la mano sana, con esclusione di quella plegica che rende meno efficace e ritardato il risultato dal punto di vista funzionale. Quindi l’emisoma sano acquisisce nel tempo una specializzazione maggiore a spese del versante plegico, in particolare a livello dell’arto superiore. Questo comportamento è stato confermato da Taub, il quale ha osservato il fenomeno dell’apprendimento del non-uso in scimmie rese emiplegiche [114]. Un fenomeno analogo è quello che si osserva nell’adulto post-stroke. Le suddette osservazioni spiegherebbero la tendenza del bambino emiplegico a compensare con l’utilizzo dell’arto sano la scarsa efficienza di

quello plegico, anche dove il deficit motorio è lieve [92]. In particolare Fedrizzi osserva che, facendo eccezione per i bambini con lieve compromissione motoria i quali tuttavia conservano una buona funzione della mano plegica per tutta l’età evolutiva, anche senza essere sottoposti a riabilitazione, nei gradi di compromissione motoria media e grave, l’uso spontaneo della mano plegica è inferiore alle potenzialità della prensione e della manipolazione. Tale discrepanza peraltro si accentua nel tempo. Fedrizzi evidenzia come il miglioramento che eventualmente viene descritto si riferisce alla qualità della prensione, piuttosto che all’uso spontaneo, il quale rimane, comunque, prevalentemente invariato negli anni.

Capitolo 13 - SCALE PER LA VALUTAZIONE FUNZIONALE