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LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO PENITENZIARIO DEGLI AUTORI DI REATI SESSUALI

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE……….. 4

CAPITOLO I I REATI SESSUALI: PROFILI STORICI ED EVOLUZIONE NORMATIVA Premessa……….… 8

1. L’evoluzione dei reati sessuali nella storia………..…… 9

1.1 Le innovazioni successive all’ancien régime………..……… 13

1.2 L’evoluzione normativa italiana……… 15

2. Le norme e le ideologie del Codice Rocco.……….. 18

3. La nuova collocazione sistematica del delitto di violenza sessuale e il bene giuridico tutelato ( l. 66/96)……….... 22

3.1 Il superamento della distinzione fra “violenza carnale” e “atti di libidine violenti”………. 25

3.2 La struttura della condotta tipica………... 30

3.2.1 La violenza sessuale mediante”induzione”……… 33

3.2.2 Il nuovo concetto di atti sessuali……….….. 36

3.3 Gli aspetti di tutela peculiare dei minori………..…. 39

3.3.1 Corruzione di minorenne………. 43

3.4 Violenza sessuale di gruppo (cenni)………...……. 46

3.5 Il regime di procedibilità……….………..…….. 47

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4. Interventi legislativi successivi al 1996……….. 51

CAPITOLO II I SEX OFFENDERS NELLA PROSPETTIVA CRIMINOLOGICA : TIPOLOGIE E CARATTERISTICHE 1. La tipologia degli autori di reati sessuali……….…….….… 60

2. L’eziologia del comportamento sessuale deviante……….……. 63

2.1 I fattori personali……….……….………. 66

2.2 La capacità empatica………..………..… 70

2.3 Le esperienze pregresse………..……...… 73

3. Lo stupratore………... 75

4. Il pedofilo……….. 84

5. Le perversioni: fenomeni tanto clinici quanto sociali…………..….. 98

6. Tratti comuni ai sex offenders e reazioni rispetto al reato……… 102

CAPITOLO III I PERCORSI TRATTAMENTALI PER L’AGGRESSORE SESSUALE Introduzione………... 108

1. La situazione detentiva degli autori sessuali e le problematiche custodiali: l’ubicazione nelle stanze detentive………..…... 109

1.1 La gestione……… 113

1.2 Le dinamiche emozionali………. 116

2. I principi generali che presiedono agli interventi trattamentali 117 2.1 Il trattamento rieducativo alla luce degli artt. 13 e 13 bis O.P……….. 122

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2.2 Progetto W.O.L.F……… 127

2.3 Progetto For W.O.L.F……… 129

2.4 Progetto S.O.F.T………..… 132

3. Sex offenders ed esecuzione della pena: l’art.4 bis O.P…………. 135

4. Il divieto di sospensione dell’esecuzione della pena: l’art. 656 c.p.p……….. 144

5. Il contesto europeo: uno sguardo d’insieme ad alcuni modelli trattamentali e programmi di intervento……….…..… 148

5.1 Belgio………..……… 149 5.2 Olanda………. 151 5.3 Spagna………... 152 5.4 Inghilterra……….. 154 APPENDICE……….….… 157 BIBLIOGRAFIA……….… 165

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INTRODUZIONE

Le croniche degli ultimi anni hanno posto sempre più frequentemente al centro dell’attenzione mediatica gravi fatti aventi ad oggetto episodi di violenza sessuale nei confronti di donne e bambini.

I delitti sessuali sono descritti come fatti ferocemente brutali che uccidono l’anima di chi li subisce sino ad arrivare a trafiggere al cuore l’intera collettività.

L’autore dei reati sessuali è per tutti una persona spregevole, oggetto di pregiudizi e scetticismo verso il quale si indirizzano le paure del sentimento popolare e si fomentano moderne cacce alle streghe alimentate da pericolose campagne di legge e di ordine pubblico. In realtà non esistono “mostri” ma uomini che per molteplici motivi hanno commesso delle azioni brutali.

L’aggressione sessuale ha, difatti radici profonde che si evolve e si trasforma al ritmo dei cambiamenti sociali e culturali.

Il presente lavoro si prefigge l’obiettivo di analizzare partendo dall’impianto normativo e passando attraverso la ricostruzione criminologica della figura del sex offender, le risposte trattamentali che l’ordinamento italiano prevede affinché il reo sessuale possa rielaborare le proprie condotte e le motivazioni poste alla loro origine

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con l’obiettivo di restituire alla società una persona migliore in grado di controllare i propri impulsi.

La realizzazione di percorsi trattamentali specifici ed, in generale, una presa in carico strutturata dei sex offenders che salvaguardi alcuni imperativi etici come il rispetto della dignità della persona, il libero consenso e la riservatezza possono rappresentare l’unica possibile risposta alla domanda di tutela della collettività in un settore che, come quello dei reati sessuali, si presta alla richiesta di interventi drastici che poco hanno a che fare con la nostra cultura tradizionalmente garantista.

E’, difatti, necessario edificare un processo di civilizzazione della pena in modo che il tempo trascorso in carcere possa essere impiegato nella cura e nel trattamento e non solo nella neutralizzazione e nell’esclusione.

L’esecuzione della pena deve rappresentare una sorta di passaggio evolutivo in grado di consentire al ristretto di rielaborare il proprio agito deviante in modo che, una volta tornato in libertà, abbia strumenti utili al controllo della propria condotta, evitando così situazioni che potrebbero esporlo al rischio di recidiva.

Per facilitare il successivo reinserimento è, altresì, necessario predisporre interventi che consentano di proseguire sul territorio la

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presa in carico del soggetto come naturale continuazione del progetto trattamentale intrapreso all’interno dell’istituto penitenziario.

In tal modo si aiuta la società non solo a migliorare la propria sicurezza ma anche a porsi nei confronti di questi soggetti con un atteggiamento costruttivo, esorcizzando il marchio indelebile del male assoluto che a questi frequentemente viene attribuito.

Al termine del lavoro si è voluto riportare l’esperienza degli operatori che quotidianamente si relazionano con i detenuti sex offenders all’interno della Casa Circondariale di Prato.

La suddetta realtà rappresenta nel panorama italiano un esempio di coraggio e di impostazione metodologica che ha messo in campo saperi e conoscenze diverse e, soprattutto, capacità di ascolto in un contesto in cui fare ricerca e sperimentazione non è sicuramente cosa facile ma, variabile dipendente dallo spirito e dalla sensibilità dei responsabili, dalla volontà degli operatori e più in generale dal clima e dalla cultura penitenziaria che si riescono a diffondere nel suo insieme.

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CAPITOLO I

I REATI SESSUALI: PROFILI STORICI ED

EVOLUZIONE NORMATIVA

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Premessa.

Nel corso della storia la tutela contro gli abusi sessuali ha subito un’evoluzione continua in ragione della diversità degli usi, dei costumi e delle proibizioni in materia.

Ciò trova giustificazione nel fatto che il comportamento sessuale è relativamente variabile nel tempo e nello spazio poiché dipende, oltre che dall’impulso, anche dalla coscienza, dalla volontà del soggetto orientata da parametri culturali, sociali, religiosi e geografici.

Pertanto, partendo dall’assunto che l’atteggiamento sessuale è al tempo stesso istintivo e sociale1 , è facilmente intuibile come la fenomenologia delle condotte illecite abbia assunto nel tempo connotazioni diverse, che riflettono i cambiamenti verificatesi nel tessuto culturale e sociale di una data nazione. In particolare, la storia della violenza sessuale va di pari passo con l’immagine della donna: “in essa i cambiamenti sono paralleli a quelli dei sistemi di

oppressione esercitati sulla medesima, alla loro permanenza, al loro affinamento, ai loro spostamenti”2.

Nonostante questo contesto di estrema indeterminatezza, la storia insegna che i rapporti instauratesi tra le varie società e i delitti sessuali

1 VALCARENGHI M., Ho paura di me. Il comportamento sessuale violento, Milano, 2007, p.119

ss.; PAVISIC B., BERTACCINI D., I reati contro la libertà sessuale e la morale sessuale nel diritto penale croato, in Critica del diritto, 2002, 3-4, p. 303 ss.

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presentano comunque delle costanti, che possono essere così riassunte: in ogni collettività sono presenti norme regolatrici; queste norme sono diseguali, appalesandosi come severissime per la maggioranza e permissive per i potenti (che si riconoscono delle facoltà in materia); le norme esprimono un doppio binario di valutazione , differenziato per gli individui di sesso maschile e femminile3.

1. L’evoluzione dei reati sessuali nella storia.

La prima menzione scritta dello stupro risale al Codice di Hammurabi, re di Babilonia (2285-2242 a.c.). Nel rigo 129 possiamo leggere, infatti, che se la vittima della violenza era una donna sposata, vittima e aggressore dovevano essere puniti allo stesso modo come adulteri, tramite annegamento; il marito poteva però perdonare la moglie. Il rigo 130 prevedeva invece che se la vittima era una giovane non sposata, si dovesse giustiziare solo l’aggressore4.

Gran parte dei miti greci erano invece concentrati sulla discendenza nata dallo stupro (ad esempio alcune città vantavano un’ascendenza divina dovuta alla violenza di un dio su una ninfa che viveva nel luogo) e solo di rado prendevano in considerazione le conseguenze

3 MERZAGOA BETSOS I., Lezioni di criminologia :soma, psiche, polis, Cedam, Padova, 2001, p.

42 ss.

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della violenza sulla donna che ne era vittima. Nella Grecia del V e IV secolo a.c. era, poi, consuetudine il piacere erotico con preadolescenti ed adolescenti5.

I costumi sessuali dell’antica Roma erano simili a quelli dei Greci. Nella Roma tardo-repubblicana non era reato violentare donne di cattiva fama, mentre quando la vittima era una giovane donna libera , spesso i genitori preferivano una compensazione finanziaria ad un processo penale. La donna, proprietà della famiglia fino a quando il padre esercitava l’autorità genitoriale e, successivamente, proprietà del marito, non era titolare di diritti , quali la difesa dell’individuo e della libertà personale e sessuale.

Nella Roma imperiale erano, altresì, frequenti i rapporti tra adulti e

pueri serviles6.

Il concetto di peccato, che nacque con il cristianesimo antico e si affermò soprattutto nel cristianesimo medievale, cambiò la percezione del lecito e dell’illecito relativamente ai comportamenti sessuali, fino

5Le relazioni che intercorrevano tra i fanciulli (perlopiù maschi) ed i loro maestri avevano

caratteristiche particolari. Vi era una sorta di scambio intellettuale ed affettivo: l’uno lasciava che l’adulto si servisse del suo corpo, l’altro amava e istruiva il ragazzo per la vita che lo attendeva. Tale amore omosessuale tra adulto e fanciullo non veniva considerato come abuso sessuale , ma era, al contrario, socialmente accettato al punto che per un ragazzo era un “onore”essere amato da un adulto. Si veda GERBINO P., L’abuso sessuale dei minori nella storia, Rassegna Italiana di Criminologia,1, Gennaio 2004, p. 75-94.

6 Plutarco (scrittore e filosofo vissuto sotto l’Impero Romano) ricordava che la Bulla d’oro, che i

bambini liberi portavano al collo, serviva a distinguerli dagli schiavi al fine di preservarli dall’uso sessuale. Vedi Passato e presente dell’abuso sessuale, prof. C. ALFREDO MORO (Presidente del Centro Nazionale per la tutela dell’infanzia, già Presidente della Corte di Cassazione e del Tribunale dei Minori di Roma).

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a raggiungere forme di ossessività nella proibizione e nell’ associazione del piacere erotico con il demoniaco.

Il moto moralizzatore del cristianesimo portò ad una diffusa condanna, come crimini gravi, di tutte le unioni considerate contro natura, che non miravano cioè alla procreazione, come quelle con i bambini e con le persone della stessa identità di genere7.

Ciononostante, gli stupri e gli incesti erano molto frequenti, tant’è che il re di Francia Childeberto II stabiliva con un editto che “l’incestuoso,

dopo la scomunica ecclesiastica, venisse messo fuori dalla legge e considerato come uno straniero, con la conseguenza di venire prima o poi assassinato”8.

L’atto sessuale imposto ad una donna con violenza era inquadrato come reato, anche se nella pratica veniva punito raramente. Inoltre, la legislazione dell’ epoca, prevedeva una condanna anche per la donna che subiva lo stupro, nel caso in cui fosse stata riconosciuta colpevole di aver “provocato” l’aggressore. Per questo tipo di reato era prevista una semplice pena pecuniaria, mentre per i reati di sodomia e per le

7 L’insistenza con la quale vengono trattati i peccati sessuali emerge con evidenza dal Tariffario

delle Penitenze, istituito nel VII secolo e che fu messo per iscritto in particolari manuali chiamati “I penitenziali”. Così S. Girolamo dichiarava peccaminosa ogni forma di godimento sessuale e persino nel matrimonio il rapporto sessuale era consentito solo con lo scopo del concepimento. Anche solo il pensiero a contenuti di eccitazione erotica era considerato peccato e la lussuria era ossessivamente condannata. Si veda DETTORE D., e FULIGNI C., Psicologia e psicopatologia del comportamento sesuale, in CIAPPI S., PALMUCCI V., SCALA P., TOCCAFONDI I., Aggressori sessuali. Dal carcere alla società: ipotesi e strategie di trattamento, Giuffrè, Milano, 2006, p. 292.

8ARIES P. e DUBY G., Histoire de la vie privèe, Paris, Editions du Seuil, Trad. ital: La vita

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condotte che il poter clericale riteneva degradanti e peccaminose, si poteva giungere fino alla pronuncia della pena capitale.

Durante il Rinascimento continuò l’ondata repressiva della Chiesa e degli Stati, tant’è che il reato di devianza sessuale, nell’accezione sopra descritta, veniva punito ovunque anche con la condanna a morte. Nell’ancien régime, benché il reato di violenza sessuale fosse severamente perseguito dai testi giuridici del tempo, in concreto trovava scarsa punizione da parte dei tribunali e ciò a causa dell’atteggiamento di indulgenza e di comprensione mostrato dai giudici rispetto agli episodi di stupro. “La querela è poco ascoltata, i

fatti poco approfonditi, l’accusato poco interrogato”9, soprattutto quando la vittima era una donna adulta e di estrazione sociale non elevata (lo stupro delle serve comportava solo un risarcimento del danno) e in particolare quando non vi era traccia né di delitto né di ferita fisica grave .

La tesi della provocazione femminile avanzata dal reo risultava il più delle volte credibile e la macchia rappresentata dal delitto si riverberava sulla donna, implicitamente condannata per la violenza cui aveva partecipato, coinvolta nell’indegnità. La vittima temeva di

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perdere, e dunque le denunce erano rarissime e, ancor più rare, le condanne.

Nel diritto classico dell’ancien régime lo stupro costituiva un crimine contro la moralità, associato ai crimini contro i costumi, alla fornicazione, all’adulterio, alla sodomia, alla bestialità. Esso veniva accostato al ratto: lo stupro rilevava in quanto furto della proprietà altrui (materiale in particolare), con evidente negazione di qualsiasi diritto in capo alla vittima femminile10.

1.1 Le innovazioni successive all’ ancien règime.

Solo tra la fine del secolo XVIII e gli inizi del XIX, si manifestò un vero e proprio mutamento nel quadro giuridico: la generica figura di stupro semplice venne abbandonata11 ed il sistema penale repressivo dell’ antico regime lasciò il posto alla concezione illuministica che contrastava le ingiustizie, originate per lo più dall’aver considerato la società non come un’unione di uomini titolari di diritti egualitari, ma

10 CORBIN A., op. cit., p. 53 ss.

11“La depenalizzazione delle qualificazioni dello stupro semplice, diverse dalla violenza, deriva

essenzialmente dal disinteresse della scienza penalistica per comportamenti non riconducibili ad una precisa lesione del diritto e dalla rappresentanza della donna, quando è consenziente, non come vittima, ma come complice. Pertanto l’idea di fondo è che il consenso della donna ha un peso uguale a quello dell’uomo: la donna è correa nello stupro semplice, pertanto uguale deve essere la valutazione del giurista”. Così COLOMBO C., Violenza sessuale e vittime del reato. Breve excursus giuridico-scientifico, in Rivista Penale, 5/2005.

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come entità dominata da poche famiglie facoltose in grado di monopolizzare la legge12.

Così, una volta acquisita la consapevolezza della necessità di tutelare la vittima, della sua incapacità di difesa e dell’annientamento del suo libero arbitrio, il Codice di procedura penale francese del 1791 sostituì la parola ratto con la parola stupro, ponendo in primo piano la lesione della vittima piuttosto che il pregiudizio del proprietario (marito o padre )13.

Profondamente diverso appariva, invece , il panorama del XX secolo: la nuova uguaglianza uomo-donna trasformò l’atteggiamento delle vittime garantendo maggiore legittimità alle denunce e accuratezza nei processi e l’esito del crimine non era più la violazione della moralità, ma la lesione dell’integrità della vittima. La stessa incidenza dello stupro, assai irrisoria nell’epoca precedente, a partire dal 1910 crebbe costantemente a livello europeo, subendo una vera e propria impennata dalla metà degli anni Sessanta.

Nella percezione collettiva odierna la violenza sessuale assume senza dubbio i contorni di una condotta infamante e vile con conseguenze deleterie sulla vittima, sia dal punto di vista fisico che psicologico.

12 Si riporta a tal proposito il pensiero di Cesare Beccaria: “Il sistema penale repressivo si incrina,

la preminente tutela accordata all’ordine delle famiglie è costretta a fronteggiare le ingiustizie generate dall’aver considerato la società un’unione di famiglie piuttosto che di uomini”. Così BECCARIA C., Dei delitti e delle pene, F. Venturi, Torino, 1956, p. 56.

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Eppure il riconoscimento sociale di una tale ignominia è stato il frutto di un tortuoso iter culturale e giuridico, ostacolato in più occasioni da pregiudizi e ottusità, espressioni di una tradizione maschilista e patriarcale.

Come vedremo meglio in seguito, si è dovuto infatti attendere fino al 1996 (con la Legge n. 66) per la riforma dell’intero assetto normativo in materia, la cui innovazione più significativa attiene alla nuova qualificazione dei reati in esame che, da delitti contro la “moralità pubblica e il buon costume”, diventano delitti “contro la persona”. Non si è solo in presenza di una variazione formale, ma del riconoscimento della sessualità quale diritto della persona , svincolato da ogni appartenenza alla moralità o al buon costume, con l’effetto che compete solo al suo legittimo titolare disporne liberamente.

1.2 L’evoluzione normativa italiana.

Durante la vigenza del primo codice penale unitario, il Codice Zanardelli del 1889, i “delitti sessuali” erano contemplati nel Titolo VIII (Libro II, cap. I e II) rubricato “Dei delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie”14 .

14 BORGOGNO R., I delitti di prostituzione minorile, in AA.VV., I reati sessuali e sfruttamento

dei minori e di riduzione in schiavitù per fini sessuali, a cura di COPPI F., Giappichelli, Torino, 2007, p. 4 ss.

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Il titolo comprendeva i seguenti capi: il primo (artt. 331 – 339) dove erano dettate le norme contro la violenza carnale, gli atti di libidine violenti, la corruzione di minorenni, l’incesto, gli atti osceni in luogo pubblico, la distribuzione/esposizione/messa in vendita di scritture, disegni o altri oggetti osceni; il secondo (artt. 340 – 344) che configurava i delitti di ratto per fine di libidine o di matrimonio; il terzo (artt. 345 – 348) dedicato ai delitti di induzione e di costrizione alla prostituzione e di favoreggiamento e agevolazione al meretricio; il quarto (artt. 349 – 352) dove erano poste varie disposizioni comuni ai delitti nei precedenti capi (tra cui ipotesi di attenuazione o di aggravamento delle pene15 e cause speciali di non punibilità o di cessazione dell’esecuzione della pena e dei relativi effetti penali16); il quinto (artt. 353 – 358) che configurava i delitti di adulterio e di concubinato; il sesto (artt. 359 – 360) dove era collocato il delitto di bigamia; ed infine, il settimo (artt. 361 – 369) che prevedeva i delitti di supposizione e di soppressione di stato.

15 Tra queste si menziona la previsione della diminuzione della pena nel caso in cui i delitti di

violenza carnale, di atti di libidine violenti e di ratto fossero stati commessi sulla persona di una meretrice e, dall’altro, la più plausibile statuizione di un aumento di pena per il caso di morte o lesione della persona offesa quali conseguenze di tali delitti. Si veda BORGOGNO R., I delitti di prostituzione minorile, in AA.VV ., op. cit., a cura di COPPI F., p. 5.

16 Si tratta del c.d. “matrimonio riparatore”: il colpevole dei reati indicati nella nota precedente,

andava esente da pena se prima della pronuncia della condanna avesse contratto matrimonio con la persona offesa; cessavano invece l’esecuzione della condanna ed i suoi effetti penali se il matrimonio fosse stato contratto successivamente alla sentenza. Si veda BORGOGNO R., I delitti di prostituzione minorile, in AA.VV., op. cit., a cura di COPPI F., p.5.

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Come si evince dall’elencazione di cui sopra, nel Titolo in esame figuravano fattispecie molto diverse tra loro (ad esempio i delitti di violenza carnale e gli atti di libidine violenti da un lato, ed i reati di supposizione e di soppressione di stato, dall’altro), dove il “motivo sessuale” non costituiva di certo il filo conduttore.

Le ragioni di tale suddivisione vanno ricercate nella cultura del tempo, secondo cui gli illeciti ricompresi in detto Titolo contrastavano, comunque, seppur per le più svariate ragioni, con il corrente sentimento del buon costume e dell’ordine delle famiglie.

A riprova di ciò - come evidenziato dalla dottrina17 - nella Relazione

Ministeriale al progetto del 1887 si legge che “il buon costume18 e l’ordine delle famiglie19” sono beni giuridici essenziali della civile società, i quali si integrano reciprocamente e perciò si trovano accoppiati anche in relazione alla tutela che ad essi appresta la legge penale”.

Degna di nota, risulta altresì essere la previsione di due distinte ipotesi delittuose per “la violenza sessuale” (art. 331) e per ”gli atti di libidine violenti” (art. 333).

17 MANZINI V., Trattato di diritto penale italiano, V, Milano, Torino, Roma, 1986, p. 529. 18 Il “buon costume” andava inteso come “l’ordine etico – giuridico costituito dall’osservanza di

quei limiti che sono ritenuti necessari per la sicurezza, per la libertà e per la moralità dei rapporti sessuali”, così MANZINI V., op. cit., p. 529.

19 “L’ordine delle famiglie” era individuato “nell’istituto giuridico familiare regolato dallo Stato

nel pubblico interesse, considerato nel complesso di quelle norme che tendono ad assicurare la moralità sessuale nelle famiglie e in rapporto ad esse, e che impongono l ‘osservanza delle leggi giuridico – naturali della generazione”, vedi MANZINI V., op. cit., p. 530.

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Del primo delitto si rendeva responsabile chiunque con violenza e

minaccia avesse costretto una persona dell’uno o dell’altro sesso a congiunzione carnale. Del secondo delitto veniva, invece, imputato chi con violenza e minaccia avesse commesso su una persona dell’uno o dell’altro sesso atti di libidine non diretti a commettere il delitto di violenza carnale20 . In proposito è importante sottolineare come il codice Zanardelli richiedesse per la sussistenza di tali illeciti, che la congiunzione carnale o gli atti di libidine venissero imposti alla persona offesa e compiuti con violenza o minaccia, non essendo sufficiente il semplice dissenso della vittima.

Riassumendo, secondo il legislatore del Ottocento, le ragioni della tutela penale della persona offesa non andavano ravvisate nel riconoscimento, in capo alla medesima, della titolarità di un determinato bene, ma nell’interesse sociale o pubblico alla protezione di quel bene, accordando quindi alla persona solo una tutela secondaria, che discendeva appunto dall’interesse sociale.

2 . Le norme e le ideologie del Codice Rocco.

I delitti sessuali figuravano ovviamente anche nel Codice Rocco del 1930 ed erano collocati nel Titolo IX del II Libro dedicato ai “delitti

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contro la moralità pubblica ed il buon costume”. La nuova formulazione prevedeva la suddivisione dei reati sessuali in tre soli capi, comprendenti un numero ridotto di fattispecie e precisamente: il capo primo, rubricato “delitti contro la libertà sessuale”, menzionava i delitti di violenza carnale e di atti di libidine violenti (artt. 519 – 521), quelli di ratto a fine matrimonio e a fine di libidine (artt. 522 – 525) ed il delitto di seduzione con promessa di matrimonio (art. 526); il capo secondo, intestato “offese al pudore e all’onore sessuale” (artt. 527 – 538), comprendeva i reati di atti osceni, quelli di pubblicazioni e spettacoli osceni, il delitto di corruzione di minorenni, quello di istigazione e costrizione alla prostituzione e la tratta di donne e minori; mentre il terzo capo contemplava varie disposizioni comuni ai capi precedenti, tra cui l’inescusabilità dell’ignoranza da parte del colpevole dell’età della persona offesa (quando uno dei reati sopra menzionati era commesso a danno di un minore degli anni quattordici), le pene accessorie e altri effetti penali della condanna, la procedibilità a querela per i reati indicati nel capo primo e per il delitto di corruzione di minorenni ed era infine prevista, per questi ultimi, una causa speciale di estinzione del reato nel caso in cui

l’autore avesse contratto matrimonio con la persona offesa21.

21

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Analogamente al Codice precedente, oggetto della tutela penale erano

sempre i beni giuridici della moralità pubblica22 e del buon costume23

(concetti questi che sostituivano il vecchio binomio buon costume – ordine della famiglia) non considerando i delitti sessuali come vera e propria offesa alla persona in quanto tale24.

E' importante, altresì, sottolineare come la logica di necessaria finalità riproduttiva della sessualità che permeava il Codice Rocco, avesse per luogo tempo fatto sì che in giurisprudenza la violenza sessuale tra coniugi25, o nei confronti della prostituta, non si configurasse mai e ciò sulla base di una implicita concezione del corpo della donna “per

definizione disponibile e in proprietà reificata di un uomo o di tutti gli uomini”26.

,pag. 11.

22

La moralità pubblica viene individuata come “coscienza etica di un popolo in un dato momento storico, limitatamente alle manifestazioni dell’istinto sessuale che si impongono in contrasto con la coscienza etica comune”, BELTRANI S., MARINO R., Le nuove norme sulla violenza sessuale, Napoli, 1996, p. 25.

23

Il buon costume viene considerato come “abitudine di vita conforme alle regole del viver civile e dell’educazione sociale, con riguardo specifico alle abitudini di vita attinenti a manifestazioni della sessualità”, BELTRANI S., MARINO R ., op. cit., p. 25.

24 In tal senso si veda MANZINI V., Trattato di diritto penale italiano, VII, 4 ed. Torino, 1963, p.

271; ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale, II, Milano, 1957, p. 353.

25

La Relazione Ministeriale al Codice Penale stabiliva che per la realizzazione del reato di violenza sessuale vi dovesse essere una costrizione illegittima. Questo tipo di approccio aveva portato a sostenere che la costrizione del coniuge mediante violenza o minaccia alla congiunzione secondo natura e in condizioni normali non era possibile nel matrimonio, che tra i suoi fini, secondo quanto previsto dal diritto canonico, aveva il “remedium concupiscientiae”. PASQUALINI S., Lotte delle donne e valori della proposta di legge di iniziativa popolare, in Quaderno n.1/81, Centro di Documentazione Mario Barone, p.58 e ss.

26

PASQUALINI S., op. cit. p. 45 ss. L’autore afferma altresì che vi era una sorta di “scissione fra corpo e mente di donna, giacché il corpo della medesima era ipotizzato come priorità di un uomo, padre o marito che fosse ed era concepito come oggetto di scambio tra uomini: infatti la donna aveva statutariamente come destinazione un uomo, cioè il matrimonio. Lo dimostra il fatto che la pena per il ratto a fine di libidine era aggravata in caso di donna coniugata e questo era più gravemente punito rispetto a quello a fine di matrimonio”.

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Inoltre, anche nel Codice Rocco era prevista la distinzione tra il reato di “violenza carnale” (art. 519) e quello di “atti di libidine violenti” (art.521), dove la condotta costitutiva del reato era ravvisata, ancora una volta, nella violenza e nella minaccia del soggetto agente27, non essendo sufficiente il mero dissenso della persona offesa.

Infatti, secondo l’art. 519 rispondeva di violenza carnale chiunque,

con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione carnale;

mentre secondo l’art. 521 rispondeva di atti di libidine violenti

chiunque, usando dei mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due articoli precedenti, commette su taluno atti di libidine diversi dalla congiunzione carnale o costringe o induce taluno a commettere atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole su altri. In

sostanza, tale impostazione riproponeva gli stessi problemi interpretativi sorti durante la vigenza del Codice Zanardelli, poiché si trattava di definire le due distinte ipotesi di congiunzione carnale e atti di libidine violenti, nonché stabilire la linea di demarcazione tra gli stessi. Ciò inevitabilmente comportava indagini puntigliose, dove il soggetto passivo era costretto a sottostare ad esami, interrogatori confronti spesso dolorosi e deprimenti.

27Ad esclusione di alcune ipotesi in cui non si richiedeva l’esercizio di violenza o minaccia da

parte del soggetto agente ai fini della punibilità (ad esempio in considerazione dell’età della persona offesa o delle sue condizioni di salute).

(22)

Come vedremo, questa impostazione era destinata a cambiare sotto le spinte innovatrici della Costituzione e delle “battaglie intellettuali” condotte negli anni successivi.

3. La nuova collocazione sistematica del delitto di violenza sessuale e il bene giuridico tutelato ( l. 66/96).

In tema di condotte illecite sessualmente connotate il legislatore è intervenuto in maniera rivoluzionaria con l’approvazione della legge 15 febbraio 1996 n. 66 (nata dalla proposta di legge n. 2576 presentata il 23 maggio 1995 alla Camera dalle deputate di tutti i gruppi parlamentari) contenente, appunto, le nuove “Norme sulla violenza

sessuale”.

La nuova legge, che costituisce il frutto più recente di un annoso dibattito sulla modificazione della previgente normativa, ha innanzi tutto recepito le istanze provenienti dal movimento femminista italiano, che chiedeva a gran voce che il reato di violenza sessuale fosse considerato un reato contro la persona e non contro la moralità pubblica e il buon costume, secondo quanto stabilito dal Codice Rocco. La sede di trattazione di questi reati nel codice penale, che prima era costituita da un capo autonomo del titolo IX, relativo appunto ai delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, è ora

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la sezione II (Dei delitti contro la libertà personale) del capo III (Dei

delitti contro la libertà individuale) del titolo XII del libro II del

codice penale, relativo ai delitti contro la persona, dove la materia dei reati sessuali non è trattata in via autonoma ma insieme ad altri delitti. L’art. 1 della legge n. 66/96 ha, infatti, disposto l’abrogazione dell’intero Capo I (Dei delitti contro la libertà sessuale) del Titolo IX del libro II, e degli articoli 530 (Corruzione di minorenni), 539 (Età

della persona offesa), 541 (Pene accessorie ed altri effetti penali), 542 (Querela dell’offeso) e 543 (Diritto di querela) del codice penale28. Evidente è il significato culturale e ideologico della nuova collocazione: con essa il legislatore ha affermato che il vero bene leso non è una generica moralità sessuale di cui dovrebbe essere titolare la collettività, ma la singola persona, la cui sfera di libertà viene gravemente violata dai comportamenti sanzionati e la cui personalità finisce con l’essere fortemente compromessa da una violenza così intrusiva e devastante.

Con la modifica del pregresso impianto normativo, infatti, il legislatore ha inteso evidenziare l’adozione di un diverso angolo prospettico per la disciplina della materia in esame e, in particolare per la libertà sessuale.

28 AMBROSINI G., Le nuove norme sulla violenza sessuale ( L. 15 febbraio 1996, n.66), Torino,

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La libertà sessuale consiste nel diritto alla libera esplicazione delle proprie qualità e facoltà sessuali e nel diritto che nessuno aggredisca il corpo altrui per finalità sessuali; essa gravita senza dubbio nel contesto dei diritti della personalità.

La violazione di tale libertà era considerata in passato per il possibile impatto sul costume sessuale corrente e, pertanto, per le implicazioni e gli sviluppi superindividuali.

Attualmente, invece, il legislatore manifesta di voler riconoscere un valore in sé alla libertà sessuale, quale diritto personalissimo che non ammette violazioni. L’interesse primario oggetto di tutela penale,

pertanto, si concentra nell’esercizio della libertà di

autodeterminazione a fini sessuali e nella pretesa al rispetto della propria sessualità.

Del resto, anche la Suprema Corte si è in più occasioni soffermata sull’individuazione dell’interesse protetto quale si evince dalla mutata collocazione sistematica delle norme sulla violenza sessuale, puntualizzando che: << dal trasferimento della materia de qua dai reati contro la moralità pubblica e il buon costume a quelli contro la persona si evince che il centro della tutela è spostato dalla persona, vista come mero strumento al servizio del conseguimento del diverso fine della pubblica moralità, all’individuo in sé, diventato oggetto

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principale della protezione da parte dell’ordinamento giuridico. La collettività è interessata mediatamente, in quanto la protezione del singolo giova anche a tutti gli altri consociati >>29 e che: << la sfera

della sessualità cessa di appartenere al generico patrimonio collettivo della moralità o del buon costume e diviene diritto della persona umana di gestire liberamente la propria sessualità e la violazione di detto diritto costituisce offesa alla dignità della persona. Pertanto l’illiceità dei comportamenti deve essere valutata alla stregua del rispetto dovuto alla persona umana e della loro attitudine ad offendere la libertà di determinazione della sfera sessuale, sicché è disancorata dall’indagine sul loro impatto nel contesto sociale e culturale in cui avvengono, in quanto punto focale è la disponibilità della sfera sessuale da parte della persona, che ne è titolare. >>30

3.1 Il superamento della distinzione fra “violenza carnale” e “atti di libidine violenti”.

Un importante aspetto innovativo della legge è l’unificazione delle

fattispecie della violenza carnale, della congiunzione carnale

commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale e degli atti di

libidine violenta, nella nuova nozione di violenza sessuale che

29Cass. , Sez. III, 1 luglio 1996, in Cass. Pen., 1997, p. 1028. 30

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comprende ogni ipotesi di costrizione a compiere o subire “atti sessuali” e sostituisce con una sola norma, le ipotesi previste agli articoli 519 co. I, 520 e 521 c. p. (limitatamente ai fatti commessi con violenza o minaccia). La norma cui si fa riferimento è l’art. 609 bis c. p. che rappresenta, in un certo senso, il pilastro su cui poggiano tutte le altre disposizioni della legge in discussione, la fattispecie base dell’intera normativa.

Con l’unificazione dei delitti di violenza carnale e di atti di libidine violenti ed il venir meno della distinzione tra “congiunzione carnale” e “atto di libidine”, il legislatore ha dovuto anche, necessariamente, ridefinire il comportamento vietato. Ciò è stato fatto ricorrendo alla generica locuzione di “atti sessuali”, che la vittima è “costretta a compiere o subire”, sulla cui estensione ci si soffermerà in seguito. A sostegno della descritta innovazione possono individuarsi nei lavori preparatori della legge di riforma due ordini di giustificazioni: in primo luogo il legislatore si sarebbe proposto di poter prescindere, in sede giudiziaria, dalle modalità materiali del fatto, la cui analisi in passato costringeva spesso il giudice di merito ad indagini umilianti per la persona offesa e il giudice di legittimità ad astratti distinguo non sempre consoni al buon gusto, sottraendo, in questo modo, le vittime di reati così odiosi all’ulteriore e penoso stillicidio di domande e

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accertamenti intimi che, sotto il vigore della precedente disciplina, era imposto nei casi più problematici, dalla necessità di dirimere il dubbio circa la riconducibilità del fatto all’art. 519, co.I c.p., ovvero alla meno grave fattispecie di atti di libidine violenti di cui all’art. 521 c. p.. In secondo luogo, partendo dall’idea base dell’accentuazione dei profili personalistici, che sorregge il passaggio della disciplina in esame nel titolo dedicato ai delitti contro la persona, l’abolizione della precedente distinzione tra violenza carnale e atti di libidine violenti rappresenterebbe una sorta di conseguenza obbligata; una volta, infatti, che viene valorizzato l’aspetto della tutela della libertà di autodeterminazione dell’individuo nel campo della propria sessualità, perde di rilevo la distinzione tra condotte che, per quanto differenziate sotto il profilo materiale, incidono comunque, vulnerandolo, sullo stesso oggetto di tutela.

Con ciò si intende cioè affermare che, nell’ottica “progressista” presuntivamente accolta dalla legge di riforma, il corpo non sopporterebbe più di essere parcellizzato in vista di una tutela settoriale, ma pretenderebbe, semmai, una protezione unitaria, indipendente dalle varie tipologie di aggressione31.

31 VESSICHELLI M., Con l’aumento del minimo edittale a cinque anni, ora più difficile la strada

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Va, tuttavia, rilevato che tale innovazione avrebbe dovuto logicamente comportare una scelta sanzionatoria caratterizzata da una marcata differenza tra il minimo e il massimo edittale, in modo da consentire al giudice la massima aderenza al caso concreto cogliendone tutte le peculiarità, mentre le nuove norme incriminatici si caratterizzano per minimi edittali molto elevati (dai 5 anni dell’art. 609 bis c. p., ai 6 anni dell’art. 609 ter co. I c. p., del 609 quater co. I ultima ipotesi e del 609 sexies c. p., ai 7 anni del 609 ter co. II e dell’art 609 quater ult. co. c. p.), che sembrano dettati dalla finalità di evitare, nella normalità dei casi, il ricorso al patteggiamento, visto come un’offesa alla dignità della vittima di violenza sessuale.32

A tale elevatezza viene posto rimedio con la previsione, all’art. 609

bis co. III c. p., dei “casi di minore gravità” nei quali la pena è

diminuita fino a due terzi. La disposizione, nella sua formulazione generica, lascia ampio spazio alla discrezionalità del giudice ed è, quindi, necessario che la giurisprudenza intervenga per determinare corretti criteri interpretativi.

In sostanza, un modo idoneo ad evitare il pericolo di valutazioni soggettive, è quello di fare ricorso con puntuale motivazione ai criteri indicati dall’art. 133 c. p. non solo per determinare la gravità del reato

32 FORNO P., Valutazione e osservazioni critiche con riferimento ala tutela dei minori, in Minori

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in generale, ma anche per accertare la sussistenza della diminuente detta ed il grado della minore gravità.

Non v’è chi non vede, però, che tale operazione impone al giudice di prendere in considerazione, tra l’altro, ogni specifica modalità dell’azione, e di ricostruire la materialità dell’aggressione violenta in tutti i suoi dettagli. E’ pertanto evidente che, disattendendo le intenzioni originarie del legislatore (tutelare la privacy o l’intimità sessuale della persona offesa), la previsione di un severo regime sanzionatorio unificato accentua, anziché attenuare, l’esigenza di un puntuale accertamento circa le modalità concrete dell’azione, anche per evitare il rischio di irrogare pene assolutamente sproporzionate rispetto all’entità reale del fatto.

Pertanto, anche oltre le intenzioni del legislatore che sorreggono la scelta di unificazione di distinte fattispecie, la necessità di accertare l’accaduto e di modulare conseguentemente la pena, lascia immaginare ad ogni modo la sopravvivenza di ipotesi più gravi di violenza sessuale (riconducibili sostanzialmente alle vecchie condotte di violenza carnale) e di fattispecie meno gravi di integrazione del medesimo delitto ( in precedenza connotabili quali atti di libidine). Stringenti, in proposito, le critiche di parte della dottrina, che ha accolto la descritta unificazione normativa in termini poco

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entusiastici, valutando l’accorpamento dei due reati una << deliberata, irragionevole eliminazione della secolare diversità e distinzione tra il delitto di violenza carnale e quello di atti di libidine violenti con conseguente vanificazione della disposta unificazione >>33 .

3.2 La struttura della condotta tipica.

La condotta tipica prevista dall’art. 609 bis c.p. si sostanzia in una duplice modalità di esecuzione del reato consistente nel costringere taluno, con violenza, minaccia o abuso di autorità a compiere o subire atti sessuali, o nell’indurre taluno a compiere o subire atti sessuali, rispettivamente, mediante abuso delle sue condizioni di inferiorità fisica o psichica al momento del fatto ovvero traendolo in inganno per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Gli atti sessuali incriminati sono, pertanto, quelli che possono qualificarsi come violenti, abusivi, o fraudolenti.

Giova segnalare, con riferimento alla prima delle modalità esecutive menzionate, che il mantenimento della violenza e della minaccia tra i requisiti della condotta si pone lungo una linea di continuità (cfr. il previgente art. 519 c.p.), che testimonia l’adesione del legislatore al modello di incriminazione basato sulla costrizione della vittima,

33

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anziché a quello basato sulla mera mancanza di consenso della persona offesa.

Se da un lato la sottolineata centralità del bene tutelato nel delitto di cui all’art. 609 bis avrebbe preferibilmente preteso la punizione di un condotta realizzata nonostante la mancanza di consenso della persona offesa (valorizzando così il tema della libera autodeterminazione individuale a fronte di qualsiasi tipo di condizionamento, eventualmente anche non violento, a compiere o subire atti sessuali), dall’altro la modulazione della tutela penale intorno ai concetti di violenza e minaccia rispecchia l’oggettiva difficoltà, anche sul piano probatorio, di assumere a presupposto dell’incriminazione il mero dissenso, per quanto esplicitato, di uno dei partners.

La mancata adozione da parte del legislatore del modello di incriminazione basato sul mero dissenso della vittima accentua l’importanza di una attenta opera ermeneutica sulle modalità consumative del reato, al fine di evitare che il ricorso ad un concetto troppo ristretto di violenza e di minaccia comporti pericolosi deficit di tutela nei confronti del soggetto passivo, cui non deve, comunque, imporsi un onere di resistenza sproporzionato rispetto alle sue forze ed alla situazione concreta o dal quale possa scaturire un aggravamento del rischio per la sua incolumità personale.

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In merito al suddetto paventato rischio, dottrina e giurisprudenza prevalenti sembrano aver imboccato da tempo un percorso interpretativo volto a intendere con relativa elasticità i connotati strutturali della fattispecie, valorizzandone così l’aspetto protettivo della piena libertà del consenso.

Pertanto, per quanto attiene all’intensità della violenza e alla gravità della minaccia, è affermazione ricorrente che esse non debbano essere tali da annullare la volontà dell’offeso, essendo sufficiente che essa venga coartata, nemmeno richiedendosi che il soggetto passivo non possa ad esse resistere o comunque sottrarsi. La violenza deve consistere nell’esercizio di una qualsiasi forza fisica, anche se non spinta al massimo della brutalità ed irresistibilità; la minaccia, a sua volta, è integrata dal manifesto proposito di arrecare un danno alla vittima, alle altre persone o alle cose, al fine di coartare la volontà della vittima e farle accettare l’atto avuto di mira dall’agente.

Accanto alla violenza e minaccia, nella formulazione dell’art. 609 bis c.p. si è, poi, voluto dare autonomo rilievo, quale ulteriore modalità costrittiva, all’abuso di autorità.

Il significato di tale innovazione legislativa va individuato nell’esigenza di estendere la tutela penale anche a quelle ipotesi in cui, nonostante l’assenza di un comportamento violento o minaccioso in

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senso stretto da parte del soggetto agente, l’esistenza di una sua posizione di gerarchia, superiorità o preminenza (tanto di diritto pubblico che privato) nei confronti del soggetto passivo del reato faccia presumere che il consenso di quest’ultimo venga viziato nel suo formarsi dal timore delle conseguenze negative che, proprio in relazione al particolare ruolo rivestito dal colpevole, potrebbero derivargli in caso di rifiuto.

L’abuso di autorità (uso illecito, deviato, strumentale della autorità), si concretizza, per la dottrina prevalente, in una forma di “costrizione psichica”, ed è pertanto una modalità costrittiva diversa dalla semplice induzione prevista dal secondo comma dell’art 609 bis, distinguendosi, al tempo stesso, dalla violenza e minaccia.

3.2.1 La violenza sessuale mediante “induzione”.

Una ulteriore e importante novità della nuova legge è l’introduzione di un’altra modalità di realizzazione del delitto di violenza sessuale, consistente nell’induzione a compiere o subire atti sessuali, abusando della condizione di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Si tratta anche in questo caso della rivisitazione di una norma abrogata (l’art. 519, co. II n. 3 e 4

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c.p.) con sostanziale sua trasformazione. Quest’ultima norma prevedeva, infatti, nel suo secondo comma, quattro casi di violenza carnale presunta (nella quale cioè assume rilievo di per sé il compimento dell’atto, prescindendo dall’esistenza di una coazione):

1. quella commessa su minore infraquattordicenne,

2. quella commessa su persona infrasedicenne quando il colpevole è l’ascendente o il tutore ovvero un’altra persona a cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, d’istruzione, di vigilanza o di custodia;

3. quella in danno di persona malata di mente ovvero non in grado di resistere a cagione delle proprie condizioni di inferiorità psichica o fisica, anche se questa è indipendente dal fatto del colpevole;

4. quella in danno di persona che è stata tratta in inganno, per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nell’attuale art. 609 bis c.p. scompaiono tutte le ipotesi di violenza presunta. Le prime due, quelle in danno di minorenni, vengono trasferite in un’altra successiva disposizione e ricevono una disciplina più articolata di quella precedente. Invece, gli ultimi due casi indicati cessano di essere ipotesi di violenza “presunta” e divengono casi di

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violenza sessuale effettiva, che si consumano secondo la nuova modalità dell’induzione abusiva.

Con il termine “induzione” si fa riferimento a forme di costrizione morale, di violenza psichica consistenti in condotte dirette a suggestionare la vittima, ad operare su di lei una pressione morale. Nell’ipotesi del colpevole che si sostituisce ad altra persona, l’induzione consiste in quell’attività precedente del reo, che trae in inganno la vittima. In proposito, l’orientamento dominante è nel senso che, per sostituzione di persona si deve intendere la figura delineata dall’art. 494 c. p., dove l’induzione in errore sulla persona, oltre la sostituzione fisica, contempla l'ipotesi di attribuzione a sé o ad altri di un falso nome, di un falso stato, ovvero di una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.

Nella diversa ipotesi di vittima che si trovi in condizioni di inferiorità fisica o psichica al momento del fatto, l’induzione consiste nell’approfittare di tali condizioni per compiere atti sessuali. La grande importanza di quest’ultima norma è nella scomparsa di ogni riferimento alla persona malata di mente. In questo modo viene in sostanza riconosciuto il diritto alla libertà sessuale della persona malata di mente, la cui condizione viene implicitamente ricompresa

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tra quelle generali relative alle infermità fisiche o psichiche della persona offesa, che possono essere anche occasionali o temporanee. Le suddette innovazioni, realizzando auspici già da tempo formulati dalla dottrina, mirano a meglio coordinare le necessità di tutela della libertà sessuale dei soggetti malati di mente, con l’esigenza di assicurare loro, nei limiti segnati dalla loro obiettiva capacità di consapevole autodeterminazione, una normale vita sessuale, senza che il soggetto con il quale essi intrattengono relazioni carnali, debba immancabilmente sottostare al rischio dell’intervento penale.

3.2.2 Il nuovo concetto di atti sessuali.

Il nuovo volto del delitto di violenza sessuale si impernia sul concetto di atti sessuali, che rappresenta il fulcro della nuova fattispecie incriminatrice. Esso, infatti, secondo l’evidente intenzione del legislatore, è destinato a compendiare sotto la medesima espressione linguistica tanto la congiunzione carnale di cui all’abrogato art 519 c. p., quanto gli atti di libidine violenti, che costituivano oggetto della previsione di cui all’art. 521 c. p..

Se da un lato non vi possono essere dubbi circa la natura sessuale del congiungersi carnalmente con una persona, nella ricostruzione del concetto di atti sessuali le maggiori difficoltà interpretative si pongono

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in relazione alle manifestazioni più “sfumate” dell’istinto sessuale, quelle cioè, che nel vigore della precedente disciplina contribuivano ad alimentare l’articolata casistica relativa alla fattispecie di “atti di libidine violenti”. Si impone, pertanto, all’interprete, la delimitazione giuridica della soglia minima al di sotto della quale un atto non può considerarsi sessuale, l’individuazione, cioè, di quali tra i casi più lievi, possono rientrare o meno nell’ipotesi di violenza sessuale.

Alla luce dell’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale sviluppatasi sull’argomento, sembra possibile individuare tre diversi filoni interpretativi.

Secondo una prima opinione, con il nuovo art. 609 bis il legislatore avrebbe operato un’estensione dell’area della punibilità, e ciò in considerazione del fatto che la locuzione “atti sessuali” ben si presterebbe ad attrarre al suo interno anche modalità comportamentali tradizionalmente riconducibili al concetto di “molestie sessuali”34. Secondo un opposto orientamento, invece, la nuova norma avrebbe determinato, rispetto alle precedenti fattispecie, una contrazione

dell’area del penalmente illecito, dovuta essenzialmente

all’abbandono del riferimento alla “libidine”, concetto a chiara connotazione soggettiva, capace di impregnare anche atti di per sé

34 VESSICHELLI M., Con l’aumento del minimo edittale a cinque anni, ora più difficile la strada

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neutri, e alla scelta di una locuzione – atto sessuale- ritenuta idonea a consentire una più esatta selezione tra ciò che, su un piano strettamente scientifico e oggettivo, è riconducibile o meno alla sfera della sessualità35.

Infine, secondo il terzo filone ricostruttivo, la locuzione “atti sessuali” si limiterebbe semplicemente a sintetizzare sotto un’etichetta unitaria le condotte in precedenza afferenti alla fattispecie di violenza carnale e di atti di libidine violenti, con la conseguenza che l’effettiva portata applicativa della norma coinciderebbe perfettamente con quella

ricavabile dalla “sommatoria” delle precedenti incriminazioni36.

L’opzione interpretativa più corretta pare essere quella che scorge nella locuzione “atto sessuale” un mero significato di sintesi di un’ampia sfera di condotte in precedenza riconducibili alla fattispecie tanto di violenza carnale che di atti di libidine. Il concetto di “atto sessuale” deve continuare a designare quelle sole manifestazioni dell’istinto sessuale che si traducano in un atto o in un contatto corporeo (anche se, naturalmente, posto in essere dal soggetto passivo su se stesso o sulla persona di un terzo), mentre le residue espressioni

35

CADOPPI A., Commento all’art.18 della legge 3 agosto 1998, n.269, in AA.VV., Commentario delle norme contro la violenza sessuale e della legge contro la pedofilia, 2° ed., Cedam, Padova, 2006, p. 48 ss.

36AMBROSINI G., op. cit.; DEL CORSO S., La violenza sessuale a cinque anni dalla legge 66/96

, in AA.VV. , Norme contro la violenza sessuale, in Legisl. Pen., 1996, p.180; PISA P., Le nuove norme contro la violenza sessuale, in Diritto Penale e Processo, 1996, p. 281.

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della libido prive dell’indicata caratteristica ricadono nell’area del penalmente irrilevante, tranne che in esse non si ravvisino gli elementi strutturali di altri reati quali, ad esempio, la corruzione di minorenne, la violenza privata, gli atti osceni, ecc.

3.3 Gli aspetti di tutela peculiare dei minori.

Nell’ambito delle nuove disposizioni in materia di tutela della libertà sessuale, una particolare attenzione è riservata al minore, la cui protezione è accentuata proprio in ragione della sua inesperienza, dell’incapacità ad esprimere un consenso autenticamente libero e cosciente, degli effetti particolarmente dannosi per un equilibrato e armonico processo di sviluppo umano che precoci esperienze sessuali possono provocare.

Le nuove norme si pongono come obiettivo principale di individuare e reprimere quei comportamenti che ostacolano l’esercizio del diritto all’autodeterminazione, riconosciuto, in campo sessuale, a tutti gli individui, in modo da assicurare una tutela più tangibile rispetto a quella garantita loro dalla precedente normativa in materia.

La particolare rete di protezione predisposta per i minori dalla nuova normativa risulta dal coordinamento degli artt. 609 bis c.p. (violenza

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sessuale), 609 ter, co. I n. 1 e co II (circostanze aggravanti) e 609

quater c.p. (atti sessuali con minorenne).

In primo luogo la minore età è annoverata tra le circostanze aggravanti del delitto di violenza sessuale. La diretta conseguenza di ciò è che la pena minacciata per gli atti sessuali compiuti, con le modalità tipiche della violenza e della minaccia su persona infraquattordicenne varia da sei a dodici anni di reclusione. Va peraltro segnalato che l’aggravante relativa al minore infrasedicenne (609 ter, co. I n. 5 c.p.) si applica solo quando la violenza sia posta in essere da ascendente, genitore anche adottivo, tutore; quando il reato è commesso nei confronti di minori di anni dieci, la sanzione va dai sette ai quattordici anni di reclusione (art., 609 ter, co. II c. p.).

La legge del 15 febbraio 1996 n. 66 nel predisporre una nuova e più incisiva tutela contro i reati sessuali, ha disciplinato in modo particolare lo specifico aspetto della tutela dei minori non solo attraverso un più articolato intervento punitivo, ma anche mediante l’introduzione, con l’art. 609 quater c.p., dell’autonoma fattispecie criminosa degli “atti sessuali con minorenne”. Tale disposizione punisce chiunque compia atti sessuali con persona che al momento del fatto sia minore degli anni quattordici, ovvero minore degli anni sedici quando il colpevole ne sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il

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tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia

con quest’ultimo una relazione di convivenza37.

Proprio l’aspetto della sessualità con e tra minorenni è stato uno dei punti più controversi della nuova disciplina normativa e su di esso si sono avuti profondi contrasti tra i diversi schieramenti politici.

Il dibattito parlamentare su tale questione è stato molto acceso poiché, in sostanza si sono venute a contrapporre due esigenze di fondo difficilmente conciliabili fra loro: da un lato l’esigenza di garantire i minori che, in quanto soggetti immaturi, dovrebbero essere tutelati in maniera assoluta nella loro inviolabilità sessuale; dall’altro l’esigenza di salvaguardare in qualche modo anche il loro diritto alla sessualità. Essendo subito prevalso l’orientamento tendente a recuperare e ribadire la figura della c.d. “violenza presunta”, già prevista anche negli abrogati artt. 519-521 c.p., quale strumento di tutela avanzata di soggetti più deboli e di attuazione dell’art. 31 co. II Cost., i fautori dell’indirizzo più aperto alle esigenze di libertà (anche sessuale) dei minori, hanno inizialmente proposto di abbassare a 12 anni il limite al di sotto del quale il consenso prestato dal minore al rapporto sessuale

37 La legge 01.10.12 n.172 (legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote) ha modificato il co.

II dell’art.609 quater ampliando il novero dei soggetti attivi del reato a quanti, per ragioni cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia il minore era affidato o che abbiano con quest’ultimo una relazione di convivenza, tutti oggettivamente in grado di porre in essere l’abuso sanzionato dalla norma.

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doveva ritenersi invalido. Tale soluzione non ha però raccolto un numero sufficiente di consensi e quindi, confermatosi quale punto di partenza imprescindibile il limite di 14 anni, il dibattito si è incentrato sull’opportunità o meno di introdurre una qualche soluzione intermedia al fine di evitare una compressione troppo accentuata della personalità dei minori. Dopo lunghe ed animate discussioni ed a seguito di numerosi aggiustamenti avvenuti nel corso della navetta tra Camera e Senato, la soluzione di compromesso è stata raggiunta con la previsione di una particolare causa di non punibilità dei rapporti sessuali tra minorenni, a condizione che nessuno di essi abbia un’età inferiore a 13 anni e che la differenza di età tra gli stessi non sia superiore a tre anni.

Con tale soluzione di compromesso quindi si è da un lato, confermata l’incapacità a prestare un valido consenso dei minori di 13 anni e dall’altro è stato parzialmente riconosciuto il diritto del minore all’autodeterminazione delle proprie scelte in campo sessuale. La decisione di dare rilievo, in circostanze particolari, al consenso del minore ultratredicenne e cioè ad un soggetto che comunque resta incapace di agire, si inserisce nella più ampia tendenza al riconoscimento, nell’ambito del mondo giuridico, della capacità dei minori di autodeterminarsi.

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Questa tendenza scaturisce dalla necessità sempre più avvertita di adeguare il sistema giuridico italiano alla mutata realtà sociale e, quindi, anche alla evoluzione che si è avuta nel costume sessuale.

3.3.1 Corruzione di minorenne.

Arricchiscono il quadro normativo la riscrittura del reato di corruzione di minorenne e l’eliminazione delle varie ipotesi di ratto a fine di libidine (art. 523 c.p.) o di matrimonio (art. 522 c.p.), trattandosi di disposizioni ispirate alla vecchia cultura della tutela della libertà sessuale come protezione dei beni giuridici “moralità pubblica e buon costume”.

Il reato di corruzione di minorenni, abrogato nel testo proposto dall’art. 530 c.p., è stato reintrodotto con rilevanti modificazioni dall’art. 609 quinquies c.p.

L’ipotesi di reato prevista nel vecchio testo contemplava due diverse situazioni: il fatto di colui che “fuori dei casi preveduti dagli artt. 519, 520 e 521 c.p. (violenza carnale e atti di libidine violenti) “commette atti di libidine su persona o in presenza di persona minore dei sedici anni” e il fatto di chi “induce persona minore degli anni sedici a commettere atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri”.

(44)

La nuova ipotesi contempla, invece, solo il caso in cui siano compiuti atti sessuali in presenza di minore di anni quattordici al fine di farlo assistere ad essi. La nuova fattispecie presenta una formulazione più ristretta della precedente: persona offesa non è più il minore di sedici anni, ma quello di quattordici, essendosi così legittimata la consumazione di atti sessuali nei confronti o in presenza di minorenne, in età compresa tra i quattordici e i sedici anni, purché consenziente e non legato al soggetto attivo da uno dei rapporti indicati dall’articolo 609 quater n. 2 c.p.

Il legislatore ha inoltre abolito la causa di non punibilità prevista dall’articolo 530 c.p., costituita dal fatto che il minore fosse persona

già moralmente corrotta. La disposizione presupponeva

un’irreversibilità di personalità che non può essere riconosciuta ad un soggetto ancora in formazione capace di impensabili recuperi; la formula adoperata appariva poi inaccettabile in considerazione della diffusa consapevolezza culturale che il minorenne anche nelle

situazioni peggiori è vittima dello sfruttamento e della

strumentalizzazione di adulti38.

Nel caso di atti sessuali commessi in presenza di bambini, è da richiamare la dottrina formatasi sulla base del vecchio testo, che sul

38

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punto appare identico all’attuale, secondo cui non è necessario che il bambino abbia percepito con i propri sensi l’atto di libidine né che sia stato in grado di rendersi conto della natura dell’atto, bastando un’apprezzabile probabilità di tale percezione. La giurisprudenza formatasi sotto la vecchia norma aveva ritenuto la sussistenza del reato in questione nel caso di atti di libidine commessi in presenza del minore che dorme (Cass. 1. 3. 1967). Successivamente però con sentenza del 25/2/1969 ha ritenuto che il reato non sussistesse perché in tal caso il pericolo di corruzione non deve essere confuso con il pericolo di risveglio del minore.

E’ stato anche affermato che il reato sussiste tutte le volte che il minore abbia la possibilità di percepire l’atto lascivo nella sua materiale realtà, non potendo ravvisarsi un pericolo di corruzione nei casi in cui il minore sia talmente piccolo da non poter distinguere i fatti concreti che avvengono sotto i suoi occhi (Cass. 3. 3. 1969).

La legge 172/2012 recante la ratifica della Convenzione di Lanzarote per la tutela dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, ha ridisegnato l’architettura dell’art.609 quinquies c.p. introducendo una nuova fattispecie di reato per coloro che fanno assistere una persona minore di anni quattordici al compimento di atti sessuali, ovvero

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mostrano alla medesima materiale pornografico, al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali39.

3.4 Violenza sessuale di gruppo (cenni).

Di notevole rilievo è anche l’introduzione del reato di “violenza sessuale di gruppo” (art. 609 octies c.p.), caratterizzato dalla partecipazione di più persone riunite ad atti di violenza sessuale effettiva.

Tale reato è punito con la reclusione da sei a dodici anni, ma la pena è aumentata nel caso in cui concorra una delle aggravanti previste dall’art. 609 ter c.p. L’irrogazione di una pena così elevata viene mitigata per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato, per il quale la pena può essere diminuita.

La gravità e la crescente frequenza degli episodi di stupro collettivo rendono estremamente opportuna l’introduzione di questa norma. Del resto è agevole rilevare che la giurisprudenza va delineando severi orientamenti in relazione a questo delitto: ha chiarito, infatti, che si tratta di un’ipotesi autonoma di reato; che a configurarla è sufficiente la condotta tenuta da due persone riunite; che non trova qui

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