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Le perversioni: fenomeni tanto clinici quanto sociali

Ogni società stabilisce le sue norme relative al comportamento sessuale e non è facile stabilire un parametro unico di sessualità normale nonostante la presenza di alcuni divieti costanti.

Ogni epoca vive la sua sessualità e ogni società cerca di stabilire i criteri per definire un comportamento sessuale “normale” o “deviante”. La storia ci dice che con il modificarsi del tempo della società e dei valori in essa predominanti, cambiano anche i parametri in base ai quali si stabilisce se un comportamento sessuale sia da considerarsi “normale” o “deviante”.

La determinazione di normalità e anormalità viene operata sulla base di alcuni criteri, usati come modelli.

Il modello soggettivo, per cui vale il giudizio personale di ciascun individuo, che valuta se stesso come lo standard di riferimento; il giudizio è formulato indipendentemente da un riconoscimento sociale. Il modello culturale, in cui la normalità è definita culturalmente e designa i segmenti di comportamento elaborati socialmente da ciascuna cultura, mentre anormali sono quei comportamenti che non vengono adoperati e approvati da essa.

Il modello statico, per il quale è normale ciò che si colloca nell’ambito medio dei valori di una determinata variabile; in altre parole, normale

è la struttura o la funzione che si riscontra in un’alta percentuale di individui omogenei.

Il modello normativo, in base al quale viene stabilito un’ideale di comportamento e si considera la normalità degli individui in relazione del grado di approssimazione al predefinito ideale.

Il modello clinico, infine deriva il suo criterio di normalità dalla nozione di condotta intesa come l’insieme e la successione di operazioni attraverso le quali l’individuo riduce le tensioni motivazionali e realizza le sue potenzialità89.

Il comportamento deviante spesso è figlio di una perversione che il soggetto cova dentro di sé.

La perversione può essere definita come un comportamento psicosessuale che si esprime in forme atipiche rispetto alla norma. Il primo a parlare di perversioni in ambito sessuologico, fu lo psichiatra tedesco Richard Von Krafft-Ebing90, che scrisse il famoso trattato Psychopatia Sexualis nel 1986.

Nell’opera, l’autore definisce le perversioni, preferendo il termine “aberrazioni sessuali”, come il risultato di un processo graduale di degenerazione che, prodotto da cause ereditarie, porterebbe di generazione in generazione, all’estinzione della linea evolutiva. Lo

89CIAPPI S., PELLICCIARI L., VASELLI B., Lo sfruttamento sessuale dei minori. Breve analisi

di un fenomeno, in CIAPPI S., PALMUCCI V., SCALA P., TOCCAFONDI I., op. cit., p. 263.

90

stesso, inizialmente ritiene, quindi, che un’aberrazione sessuale abbia origine genetica, solo successivamente modificherà la sua visione dando maggiore rilievo ai fattori ambientali.

La teoria ambientale, invece, il cui massimo esponente è Iwan Bloch, partendo dal presupposto che in ogni cultura esistono delle idee elementari condivise da ciascun individuo derivanti da situazioni storiche, economiche, geografiche eccetera, ritiene le perversioni fenomeni riscontrabili in ogni età, classe sociale, cultura e civiltà. In ciascun essere umano sono presenti componenti “normali” e perverse e lo sviluppo di un disturbo dipende esclusivamente da fattori ambientali.

Sigmud Freud91 assume come criterio di riferimento il completo

sviluppo della libido, definendo come perversa “ogni condotta che si

discosta dalla norma o in ordine all’oggetto sessuale”. L’autore

teorizza che in ciascuno di noi sia presente un latente nucleo perverso. L’ attività perversa del bambino sopravviverebbe nell’età adulta in forma di piacere preliminare e servirebbe per rendere più intenso l’atto sessuale normale. Nella perversione vera e propria, invece, l’atto perverso diviene l’unico modo che permette al soggetto il soddisfacimento sessuale.

91 FREUD S., Tre saggi sulla teoria sessuale, in Freud S., Opere, vol.IV, Torino, Boringhieri,

Le perversioni o parafilie devono durare per almeno sei mesi ed essere presenti fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti, e intensamente eccitanti sessualmente.

Ogni condotta sessuale per essere definita parafiliaca ha necessità di causare disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, lavorativa o di altre aree importanti del funzionamento.

Tutti gli individui così detti normali hanno delle fantasie e mettono in atto delle pratiche sessuali che potrebbero apparentemente sembrare “perverse” ovvero ognuno di noi conserva un nucleo che possiamo anche definire “perverso” che si integra in un processo di personalità e di comportamento che risulta comunque normale.

La linea tra normalità e patologia nella sessualità è sempre legata ad aspetti quali la non esclusività, la non compulsione del comportamento e soprattutto al consenso reale dei partners sessuali. Parliamo, infatti, di “normalità” delle condotte sessuali quando tale comportamento si svolge innanzitutto tra soggetti realmente consenzienti e non crea disagio, sofferenza o problemi legali a nessuno dei partecipanti all’attività e non rappresenta una condotta esclusiva svolta come una compulsione non interferendo con lo svolgimento delle normali attività lavorative e/o sociali.

Allo stesso modo si può definire il comportamento sessuale patologico quando causa anche ad uno solo dei partecipanti all’attività disagio, sofferenza, interferenza con le attività lavorative e/o sociali, quando si compie una compulsione, quando crea danni, quando causa problemi legali.

Il soggetto che soffre di parafilie cerca spesso di mettere in atto processi difensivi in grado di giustificare il suo comportamento patologico.

Il pedofilo, spesso, cerca di giustificare la propria condotta parafiliaca

portando come esempio altre culture o società antiche,

“dimenticando” che egli vive in un contesto diverso da quelli che porta come prova che la sua condotta sia da definire “normale”. La negazione di vivere all’interno di un contesto socio-culturale che non sia in grado di giustificare un certo tipo di comportamento tanto da definire “patologico” è probabilmente un processo difensivo che va utilizzato nella valutazione diagnostica di tali pazienti.

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