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La nuova disciplina della conciliazione giudiziale nel processo tributario

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Academic year: 2021

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Indice

PREMESSA ... 3

LA CONCILIAZIONE GIUDIZIALE: UNO DEGLI ISTITUTI DEFLATIVI DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO... 7

Gli istituti deflativi del contenzioso tributario ... 7

Evoluzione normativa della conciliazione giudiziale ... 10

La natura giuridica della conciliazione giudiziale... 12

LA DISCIPLINA DELLA CONCILIAZIONE GIUDIZIALE PRIMA DEL DECRETO LEGISLATIVO 24 SETTEMBRE 2015, N°156 ... 15

Ambito di applicazione ... 15

Procedimento di conciliazione ... 21

La conciliazione in udienza ... 22

La conciliazione fuori udienza ... 24

Potere del giudice tributario ... 25

Il perfezionamento della conciliazione e conseguente estinzione del processo ... 28

Effetti della conciliazione ... 32

Le spese processuali ... 33

Le sanzioni amministrative ... 33

Sanzioni penali ... 34

Conciliazione giudiziale e rapporti tributari plurisoggettivi ... 35

LA CONCILIAZIONE GIUDIZIALE DOPO IL DECRETO LEGISLATIVO 24 SETTEMBRE 2015, N° 156 ... 39

Estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto ... 48

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Nuova conciliazione in udienza ... 56

Riduzione delle sanzioni ... 61

Pagamento delle somme dovute a seguito dell’avvenuta conciliazione ... 65

La nuova disciplina delle spese processuali ... 67

UN CONFRONTO TRA I CRITERI DIRETTIVI DELLA LEGGE DELEGA NUMERO 23 E LE MODIFICHE INTRODOTTE DAL DECRETO LEGISLATIVO NUMERO 156 ... 69

Pro e contro della nuova disciplina della conciliazione giudiziale ... 71

La continua evoluzione del rapporto Fisco – contribuente: un rapporto più moderno fatto di meno liti e più dialogo ... 77

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PREMESSA

Il legislatore, in particolare dal 1997, ha ritenuto di affermare in maniera sempre più chiara la necessità della collaborazione e del contraddittorio nel rapporto tra Fisco e contribuente. Con il passare del tempo è stata data sempre più importanza all’individuazione di forme di collaborazione tra contribuente ed Amministrazione Finanziaria.

In campo tributario, infatti, è maggiormente presente la necessità di una efficace e fattiva collaborazione tra Fisco e contribuente, soprattutto considerato che la mancanza di un confronto tra le parti non può che facilitare la creazione di situazioni conflittuali, che sfociano nella instaurazione di posizioni di contenzioso. Tutto ciò per rendere meno distante la fase del controllo da quella dell’effettiva riscossione delle imposte evase, ma anche per essere maggiormente in linea con le disposizioni contenute nello Statuto del contribuente1 e per assicurare il giusto

equilibrio tra la pretesa erariale, da un lato, i diritti del contribuente e l’effettiva capacità contributiva2 dall’altro.

Inoltre, vista l’alea di incertezza che caratterizza il contenzioso tributario (come peraltro tutti i contenziosi), sia per l’Amministrazione che per il contribuente gli strumenti di deflazione del contenzioso tributario assumo oggi sempre più rilevanza. In un contesto del genere il contraddittorio che si instaura tra contribuente ed Amministrazione finanziaria riveste un ruolo centrale ai fini della positiva o negativa conclusione della trattativa. Spesso, può essere preferibile evitare il contenzioso tributario in quanto, esso risulta oneroso e dall’esito incerto, sia per il contribuente che per l’Amministrazione.

Tali intese, tra contribuente e Amministrazione, consentono inoltre di perseguire numerosi obiettivi coerenti con il programma di sviluppo armonico dell’ordinamento fiscale, in particolare:

1 LEGGE 27 Luglio 2000, numero 212, Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente.

2 Articolo 53 Costituzione della Repubblica Italiana: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”

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a) si favorisce l’immediata definizione della pretesa tributaria con conseguente accelerazione dei tempi di incasso delle somme dovute dal contribuente;

b) vengono ridotti i costi amministrativi di funzionamento e di gestione dei rapporti con i contribuenti;

c) si riduce la massa del contenzioso tributario, così da permettere una maggiore speditezza della giustizia fiscale in sede giudiziaria;

d) viene incrementato lo spirito di collaborazione tra uffici tributari e contribuente, al fine di consentire una relazione non antagonistica ma cooperativa.3

La collaborazione tra contribuente e uffici fiscali costituisce dunque un elemento importante di funzionamento dell’ordinamento fiscale con riguardo alla fase di attuazione dei tributi.

A queste esigenze di collaborazione tra Amministrazione e contribuente rispondono i vari istituti deflativi del contenzioso tributario, che, sono accomunati dalla possibilità di instaurare un confronto tra ufficio e contribuente che può portare all’annullamento totale o parziale dell’atto, ovvero ad una definizione condivisa della pretesa impositiva e/o sanzionatoria.

Il contribuente dispone di numerose possibilità di definire in via amministrativa la pretesa dell’Ufficio mediante il ricorso a diversi istituti giuridici, che presentano caratteristiche, disciplina ed effetti differenti rispetto all’atto impositivo ed alle relative sanzioni.

Proprio per l’importanza che potrebbe avere la definizione in via amministrativa della pretesa tributaria, il legislatore, con gli istituti deflativi del contenzioso, in tutti quei casi nei quali il contribuente, trovandosi in una situazione di lite potenziale con gli Uffici, rinuncia al contenzioso e versa l’imposta, ha ritenuto di abbassare l’entità delle sanzioni e di concedere altri vantaggi come il pagamento dilazionato delle somme dovute.

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Uno degli strumenti deflattivi messi a disposizione del contribuente dal legislatore tributario è la conciliazione giudiziale attraverso la quale ciascuna delle parti, Fisco o contribuente, può proporre all’altra la definizione totale o parziale della controversia pendente di fronte alla commissione tributaria.

Uno dei criteri di delega più importanti della Legge 11 Marzo 2014, n.23, recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita, in materia di revisione della disciplina del contenzioso tributario, è rappresentato dal rafforzamento degli istituti deflativi.

La previsione recata nell’articolo 10, comma 1, lettera a), della Legge delega richiedeva al legislatore delegato di procedere al rafforzamento e razionalizzazione dell’istituto della conciliazione giudiziale nel processo tributario con il fine di deflazionare il contenzioso e di coordinare la disciplina del contraddittorio fra il contribuente e l’amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo, con particolare riguardo ai contribuenti nei confronti dei quali sono configurate violazioni di minore entità. Dunque una delega con una duplice finalità: da una parte si chiede un rafforzamento della disciplina dall’altra è richiesto di rimuovere le imperfezioni dell’istituto.

Appare quindi intuibile il filo conduttore che ha ispirato il legislatore nelle varie misure fiscali varate nel corso degli ultimi mesi4, ovvero l’idea di un sistema che

parte dalla condivisione della corretta interpretazione delle norme fiscali, passa attraverso definizioni più o meno spontanee del rapporto tributario per arrivare al contenzioso solo come extrena ratio5. L’intendo del legislatore è quello di

4 “In tempi recenti, l’ordinamento fiscale è stato interessato da una serie di interventi legislativi compositi ed articolati, permeati però, dalla medesima ratio legis, ovvero dall’intento del legislatore di realizzare una modernizzazione del rapporto Fisco-contribuente, nell’ottica di una più proficua collaborazione e di un più ampio dialogo. I passaggi normativi registrati sono molteplici (anche se non sempre coordinati tra loro): si è partiti, infatti, dalla L.27 marzo 2014, n.23 (c.d. legge di delega fiscale), passando attraverso la L.15 dicembre 2014, n.186 (c.d. legge sulla voluntary disclosure) e la L.23 dicembre 2014, n.190 (c.d. legge di stabilità per il 2015), approdando, da ultimo, alle bozze di decreti attuativi della delega fiscale, approvati, venerdì 26 giugno 2015, dal Consiglio dei Ministri.” M.Leo in Il Fisco N° 29/2015 pagina 2807.

5 M.Leo Verso un ordinamento fiscale più moderno, con meno liti e più dialogo, in Il Fisco N°29/2015.

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realizzare una modernizzazione del rapporto Fisco – contribuente nell’ottica di una più proficua collaborazione e di un più ampio dialogo.

Il presente lavoro si propone di analizzare le recenti novità apportate all’istituto della conciliazione giudiziale dal Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 156. Il Decreto di riforma ha operato una riscrittura della conciliazione giudiziale, introducendo una serie di modifiche alla disciplina, che in tal modo risulta articolata su tre norme: l’articolo 48, che rispetto alla previgente formulazione presenta la rubrica e il testo integralmente sostituiti, nonché i nuovi articoli 48-bis e 48-ter. Tra i criteri direttivi della riforma vi erano quello del rafforzamento e razionalizzazione dell’istituto nell’intendo di superare la criticità legata allo scarso utilizzo di tale istituto deflattivo.

Dopo un inquadramento generale dell’istituto in esame nell’insieme degli istituti deflativi del contenzioso tributario, della natura giuridica della conciliazione giudiziale e della sua evoluzione normativa si passa ad esaminare nel particolare l’istituto della conciliazione giudiziale, analizzandone il procedimento di conciliazione ed i relativi effetti nella formulazione precedente al Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 156.

Successivamente verranno introdotte le modifiche alla disciplina dell’istituto della conciliazione giudiziale dal Decreto Legislativo numero 156 nonché gli effetti che queste modifiche comportano.

L’ultimo capitolo del presente lavoro, sarà dedicato all’analisi, tenendo conto di quelli che erano i criteri direttivi della Legge 11 Marzo, n. 23, degli obiettivi raggiunti con le modifiche all’istituto della conciliazione giudiziale, nonché delle problematiche che rimangono ancora irrisolte nonostante la delega del legislatore. Per concludere verranno proposte alcune considerazioni sulla modernizzazione del rapporto Fisco – contribuente, frutto di numerose modifiche, volte a disincentivare l’accesso al contenzioso tributario, che nelle intenzioni del legislatore dovrebbe diventare la soluzione estrema a cui accedere in limitati casi; casi in cui la complessità della controversia difficilmente è compatibile con una definizione stragiudiziale.

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LA CONCILIAZIONE GIUDIZIALE: UNO DEGLI ISTITUTI

DEFLATIVI DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO Gli istituti deflativi del contenzioso tributario

Il sistema tributario contempla vari istituti deflativi del contenzioso, i quali, nel corso del tempo hanno subito progressive modifiche normative.

Un primo profilo di confronto tra i vari istituti esaminati è rappresentato dal momento di esperibilità, in quanto occorre distinguere ed individuare la specifica fase del procedimento impositivo nell’ambito della quale è possibile usufruire di questi istituti. Il procedimento di accertamento tributario può essere articolato in quattro fasi:

1) Esecuzione della verifica fiscale;

2) Redazione del processo verbale di constatazione; 3) Emanazione dell’avviso di accertamento;

4) Ricorso giudiziale da parte del contribuente.6

Il contribuente ha a disposizione strumenti diversi a seconda della fase in cui si trova il procedimento di accertamento tributario; nella fase della verifica fiscale il contribuente può ravvedersi attraverso l’istituto del ravvedimento operoso7.

Terminata la fase dalla verifica fiscale il contribuente può, all’atto della redazione

6 M.ADINOLFI-F.GRECO-F.MAZZOTTA-M.TOLLA-M.THIONE-F.RAPONE, Istituzioni di diritto tributario, Dike Giuridica editore, 2015, pagina 413.

7 La disciplina del ravvedimento operoso è contenuta nell’articolo 13 del D.Lgs. n.472/1997; è stata significativamente modificata con l’articolo 1, comma 637 della Legge 23 Dicembre 2014,

numero 190.

Il contribuente, che si renda conto di avere commesso errori nella redazione della dichiarazione, è ammesso a modificare l’atto dichiarativo. Così il contribuente può presentare una dichiarazione successiva a carattere integrativo e aggiuntivo al fine di correggere il contenuto della dichiarazione originaria mediante la modificazione di eventuali errori ovvero l’integrazione di omissioni che determinino una maggiore imposta. Attualmente il ravvedimento operoso può essere adottato dal contribuente per i tributi erariali fino alla scadenza dei termini di accertamento, a prescindere dalla circostanza che la violazione sia stata constatata ovvero che siano iniziate le attività istruttorie; la riduzione delle sanzioni è graduata in ragione del decorso temporale, secondo una logica di proporzionalità del danno rispetto all’interesse fiscale; la riduzione delle sanzioni può essere da un massimo di un decimo fino al minimo di un quinto. Per i tributi amministrati dall’Agenzia delle dogane ovvero gli enti locali l’istituto presenta il duplice limite della disciplina originaria: esso può essere utilizzato entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale era commessa la violazione ovvero entro un anno dall’omissione; inoltre esso non può adottarsi qualora siano iniziati accessi, ispezioni o verifiche.

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del processo verbale di constatazione8, fruire dell’istituto dell’adesione al processo

verbale di constatazione, beneficiando della riduzione delle sole sanzioni. Ricevuto l’avviso di accertamento il contribuente può, alternativamente, avviare la procedura di accertamento con adesione9; fruire dell’acquiescenza10

beneficiando della riduzione delle sanzioni oppure presentare istanza di reclamo con proposta di mediazione11. Esaminando quindi in un’ottica temporale gli istituti deflativi del contenzioso tributario si può osservare come la conciliazione

8 Art. 5-bis del decreto legislativo. n. 218/1997 introdotto dall’art. 83, comma 18, del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 9 Istituto giuridico che consente di avviare una procedura amministrativa in contraddittorio con il contribuente funzionale a realizzare una definizione concordata dell’imponibile e, soprattutto, dell’imposta dovuta. L’istituto è applicabile alle imposte dirette, all’IRAP, all’IVA ed alle principali imposte indirette, nonché ai tributi locali per i quali i regolamenti degli enti minori prevedono la possibilità di definire gli accertamenti mediate adesione. L’istituto produce l’efficacia preclusiva rispetto alle parti: l’atto definito con adesione non è impugnabile da parte del contribuente, né integrabile o modificabile ad iniziativa dell’ufficio, salvo limitati casi previsti dalla legge, in cui è ammesso l’esercizio, negli ordinari termini di decadenza, dell’ulteriore azione accertatrice. Si tratta delle ipotesi (previste solo ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA) di: sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito superiore al 50% del reddito definito e comunque non inferiore a € 75.000; definizione di accertamenti parziali; redditi derivanti da partecipazione in società o associazioni professionali, nel caso in cui venga successivamente accertato un maggior reddito nei confronti della società cui partecipa il contribuente che ha aderito. Rilevanti sono gli effetti premiali dell’accertamento con adesione, che operano sia sul piano amministrativo con una riduzione della misura delle sanzioni ad un terzo del minimo previsto dalla legge, sia sul piano penale rientrando l’avvenuta estinzione del debito a seguito dell’accertamento con adesione tra le circostanze attenuanti del reato. P.BORIA, Diritto tributario, Giappichelli editore, Torino, 2016, pagina 484.

10 L’articolo 15 del D.Lgs. 218/1997 ha introdotto la possibilità da parte del contribuente, di ottenere una riduzione ad un terzo delle sanzioni irrogate con l’avviso di accertamento nel caso in cui l’atto non venga impugnato, non sia presentata istanza di accertamento con adesione e si provveda al pagamento, entro il termine per la proposizione del ricorso, delle somme complessivamente dovute applicando la predetta riduzione. Fino al primo febbraio 2011, data di entrata in vigore della Legge 220/2010 (c.d. legge di stabilità), la riduzione delle sanzioni in caso di acquiescenza all’avviso di accertamento era addirittura prevista nella misura di un quarto. G.PALUMBO-M.E.CHININEA-F.BIGIARINI, Gli istituti deflativi del contenzioso tributario, II edizione, 2013, pagina 47.

11 Per le controversie di valore non superiore a € 20.000, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate, è stabilito il ricorso al reclamo ed alla mediazione tributaria quali rimedi amministrativi da esperire in via preventiva ogniqualvolta si intenda presentare ricorso, pena l’inammissibilità dello stesso. La finalità della procedura è quella di decongestionare il carico di lavoro delle Commissioni tributarie, riconoscendo al contribuente la possibilità di definire in via amministrativa le contestazioni di ammontare più modesto, mediante la presentazione obbligatoria di un’istanza di riesame che anticipa il contenuto del ricorso con la quale si chiede l’annullamento totale o parziale dell’atto contro il quale si intende proporre ricorso; nella stessa istanza è facoltà del contribuente inserire anche una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa.

P.BORIA, Diritto tributario, Giappichelli editore, Torino, 2016, pagina 495. D.Lgs. 546/1992, articolo 17-bis.

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giudiziale sia l’unico istituto di cui può usufruire il contribuente una volta che è stato instaurato il contenzioso tributario; dopo la proposizione del ricorso avverso un atto emanato dall’Amministrazione Finanziaria il contribuente, per cercare di pervenire ad una composizione concordata del contenzioso, non può far altro che proporre conciliazione giudiziale della controversia.

Un secondo profilo di confronto tra i vari istituti deflativi è individuabile nei benefici premiali connessi ai vari istituti. Si distingue quindi tra strumenti che consentono di sindacare l’entità del maggior tributo richiesto come l’accertamento con adesione, il reclamo e la mediazione e la conciliazione giudiziale, e gli altri strumenti che invece, comportando l’integrale accettazione degli accertamenti consentono un risparmio in termini di entità delle sanzioni.

I vari istituti dunque rispondono a logiche giuridiche diverse, soprattutto per quanto riguarda le modalità di esercizio degli stessi.

Ad esempio il ravvedimento operoso è un atto del contribuente che mira ad evitare un aggravio sanzionatorio, rispetto al quale non si ha l’intervento dell’Amministrazione Finanziaria.

Invece acquiescenza ed adesione al processo verbale di constatazione portano ad una definizione agevolata della pretesa impositiva e sanzionatoria condizionata alla rinuncia a qualsiasi confronto con l’ufficio e all’accettazione totale del contenuto dell’atto di accertamento o altro atto istruttorio.

La mediazione presenta le caratteristiche di un filtro amministrativo con finalità conciliative che opera in modo preventivo rispetto all’avvio del processo tributario per le controversie di valore non superiore a € 20.000.

Infine accertamento con adesione e conciliazione giudiziaria esprimono l’esigenza di pervenire ad una comune e condivisa rappresentazione del presupposto tra amministrazione e contribuente, di fronte alla non chiarezza delle norme,

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all’inadeguatezza dell’istruzione probatoria a seguito dell’instaurazione del contraddittorio tra ufficio e contribuente.12

Evoluzione normativa della conciliazione giudiziale

La conciliazione giudiziale entra a far parte del decreto legislativo 546 del 1992 a seguito della miniriforma del 199613; il testo originario dell’articolo 48 del decreto

legislativo 546/1992, che prevedeva l’istituto dell’esame preventivo della controversia14, è stato totalmente riscritto dall’articolo 12, comma 1 del D.L.

8.8.1996, numero 437, convertito con modificazioni nella Legge 556/1996. A seguito di queste modifiche viene definitivamente accantonato l’istituto dell’esame preventivo della controversia, precedentemente introdotto nel 1992, ed al suo posto viene inserito il diverso istituto della conciliazione giudiziale15.

L’istituto della conciliazione giudiziale, strumento predisposto a favorire la definizione concordata della controversia non ancora matura nella fase precontenziosa16, dalla sua introduzione nell’ordinamento ha subito numerose e

significative trasformazioni.

Nella formulazione originale17 il legislatore aveva previsto la conciliabilità delle

sole liti coinvolgenti questioni non risolvibili in base a prove certe e dirette18,

successivamente con il D.L. 26.9.1995, numero 40319 è stato modificato il presupposto di ammissibilità della conciliazione: è stato eliminato il riferimento

12 P.BORIA, Diritto tributario, Giappichelli editore, Torino, 2016, pagina 474. 13 Riforma varata con la Legge 24.10.1996, numero 556.

14 Emesso in attuazione dell’articolo 30, lettera b) della legge delega del 30.12.1991, numero 413. 15 Istituto già presente nell’ordinamento processuale tributario, a seguito dell’emanazione del D.L. 30.9.1994, numero 564, convertito nella Legge 30.11.1994, numero 656, che aveva introdotto l’articolo 20 bis nel testo del D.P.R. numero 636/1972.

16 MENCHINI – MICCINESI, Il nuovo processo tributario: commentario, 2004, Giuffrè, II edizione.

17 Articolo 20 bis del D.P.R. numero 636/1972, inserito dalla Legge numero 656/1994.

18 L’articolo 1 del D.P.R. 28 settembre 1994, numero 592, al secondo comma dispone: “ Le prove certe e dirette di cui all’articolo 20 bis, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, numero 636, che non consentono la conciliazione posso risultare dalle dichiarazioni presentate o dai documenti ad esse allegati, dai questionari, dalle scritture contabili, dai verbali conseguenti ad ispezioni e verifiche eseguite anche nei confronti di altri contribuenti, da qualsiasi atto o documento in possesso dell’ufficio o depositato in giudizio dal contribuente”

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alle prove certe e dirette e ne è stata stabilità l’operatività nei soli casi in cui fosse consentito l’accertamento con adesione del contribuente20.

Dunque, in seguito a quest’ultima modifica, poteva essere utilizzata solo in relazione ad alcune imposte, ancorché le più importanti, dato che solo alcune categorie di redditi potevano essere oggetto di accertamento con adesione e di conseguenza conciliabili.

L’assetto definitivo dell’istituto risulta dall’art. 14 del D.Lgs 19.06.1997, n. 218, emanato sulla base della delega conferita al Governo con l’art. 3 comma 120 lettera b, l. 23.12.1996, n. 662 con il quale vengono introdotte altre modifiche all’istituto. Modifiche che riguardano il pagamento delle somme dovute, possibile anche in forma rateale; viene modificato il momento di perfezionamento dell’accordo di conciliazione facendolo coincidere con il versamento delle somme dovute nei termini e con le modalità stabilite nell’accordo; è stata inoltre esteso l’ambito applicativo della conciliazione anche alle liti che sorgono a seguito del rifiuto espresso o tacito di rimborso da parte dell’Amministrazione.

Un’ulteriore modifica è stata apportata con l’articolo 1 delle Legge 30.12.2004, numero 311, che ha inserito il comma 3 bis all’articolo 4821, disciplinando il caso

in cui il contribuente ometta il pagamento di una delle rate e predisponendo il comportamento che l’Amministrazione deve tenere per iscrivere a ruolo le somme non riscosse.

Gli ultimi passi verso la definitiva disciplina, in vigore fino a pochi mesi fa, sono rappresentati dalla Legge di Stabilità 01.02.2011 riguardo l’applicazione delle sanzioni amministrative22.

20 Ai sensi degli articoli 2 bis e 2 ter del D.L. numero 564 del 1994 poi convertito dalla Legge numero 656 del 1994.

21 Articolo 48, comma 3 bis D.Lgs. 546/1992: “In caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate provvede all’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, applicata in misura doppia, sul residuo importo dovuto a titolo di tributo”.

22 Articolo 1 comma 19 Legge di Stabilità 2011: con riferimento ai ricorsi presentati dall’ 1.2.2011, in caso di conciliazione giudiziale di una controversia tributaria, le sanzioni si applicano nella misura del 40% (non più di un terzo) delle somme irrogabili in rapporto all’ ammontare del

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L’ultima modifica prevede che per la rateazione delle somme conciliate, superiori a 50.000 euro, non sia più dovuta la prestazione di una garanzia; in tal caso le conseguenze derivanti dal mancato pagamento delle rate successive alla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, consentono all’Amministrazione di iscrivere a ruolo le residue somme dovute e le sanzioni previste23.

Quindi si può osservare che mentre nella stesura originaria della norma erano previste delle controversie che non potevano formare oggetto di conciliazione, in base alla disciplina attuale sono conciliabili tutte le controversie devolute alla giurisdizione delle Commissioni tributarie24; inoltre è da evidenziare come il

legislatore delegante abbia operato un rovesciamento dell’ottica che aveva ispirato la Legge 495/1995, dove la conciliazione era proponibile nei casi in cui era ammesso l’accertamento con adesione del contribuente: adesso il ruolo di traino è assegnato alla conciliazione cui la disciplina dell’accertamento con adesione deve essere coordinata.

La natura giuridica della conciliazione giudiziale

La conciliazione, disciplinata nelle norme del processo tributario, ha la sua matrice nelle disposizioni che disciplinano l’analogo istituto del processo civile25; alla

conciliazione in materia civile viene solitamente attribuita un duplice effetto, processuale e negoziale.

L’effetto processuale consisterebbe nell’immediata ed irreversibile chiusura del processo con la sentenza che statuisce la cessazione della materia del contendere. L’effetto negoziale sarebbe da ricercare nelle reciproche concessioni tra le parti.

tributo risultante dalla conciliazione. La misura della sanzione non può, comunque, essere inferiore al 40%(non più a un terzo) dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative ad ogni tributo (nuovo art. 48, co.6, D. Lgs. 546/1992).

23 Modifica apportata dal D.L. 06.07.2011, numero 98, convertito con modificazioni nella Legge 15.07.2011, numero 111.

24 D.Lgs. 546/1992 articolo 2: oggetto della giurisdizione tributaria. 25 REGIO DECRETO 28 ottobre 1940, n. 1443, articolo 185.

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Per quanto riguarda l’istituto in esame se, gli effetti processuali possono essere tranquillamente assimilabili a quelli dell’istituto in ambito civile, lo stesso non può essere detto per l’effetto negoziale.

La difficoltà di inquadrare la conciliazione giudiziale all’interno di uno schema transattivo discende, dalla tendenziale indisponibilità, in capo all’amministrazione finanziaria dell’obbligazione tributaria26.

Tuttavia a seguito delle numerose modifiche introdotte nel testo dell’articolo 48, essendo via via spariti il riferimento alle “prove certe e dirette”, alle “prove certe” e da ultimo anche il rinvio ai casi in cui era ammesso l’accertamento con adesione, è mutato l’atteggiamento della giurisprudenza2728 e della dottrina29; superato

dunque l’ostacolo della indisponibilità dell’obbligazione tributaria, non si

26 Prima dell’emanazione della Costituzione il principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria era ritrovabile nell’articolo 13 della legge del registro approvata con Regio Decreto 30 Dicembre 1923, numero 3269, che formulava un divieto al Ministro delle finanze, ai funzionari da esso dipendenti es a qualsiasi altra autorità pubblica di concedere “alcuna diminuzione delle tasse e sovrattasse stabilite da questa legge, né sospendere dalla riscossione senza divenirne

personalmente responsabili”.

Con l’entrata in vigore della Costituzione, invece, l’esistenza di un principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria è desumibile dagli articoli 23, 53 comma 1, 97. NAPOLI “Sull’indisponibilità dell’obbligazione tributaria alla luce delle più recenti innovazioni legislative penali e fiscali” in Il Fisco numero 40 del 2003.

27 La conciliazione “è configurata come una forma di composizione convenzionale della lite tributaria nella sede del processo, e si pone in deroga al principio più generale della normale indisponibilità per l’erario del credito d’imposta” Cassazione, 6 ottobre 2001, numero 12314 in Bancadati Fisconline.

28 “La conciliazione giudiziale, di cui all’art. 48 del D.Lgs. n. 546 del 31/12/1992, attiene all’esercizio di poteri dispositivi delle parti onde, nella fattispecie a formazione progressiva prevista dalla citata norma, va escluso che taluni atti negoziali (nella specie la proposta di conciliazione) siano esenti dai requisiti propri del negozio alla cui formazione sono preordinati. In ragione della riconosciuta natura negoziale dell’accordo conciliativo indicato, la disciplina della sua eventuale rettifica per errore di calcolo deve rispondere ai criteri dettati in via generale per i contratti dall’art. 1430 c.c. con la conseguenza che non risulta rettificabile per errore di calcolo l’accordo conciliativo intercorso tra il contribuente e l’amministrazione fiscale avente ad oggetto somme dovute a titolo di reddito imponibile, imposte, sanzioni ed interessi laddove non appaiano evidenti i termini da prendere in esame per rilevare detto errore di calcolo, ovverosia non emergano chiaramente i presupposti giuridico-aritmetici in base ai quali dovrebbe computarsi il prelievo fiscale”. Cass. civ., sez. trib., n. 21235 del 03/10/2006, in Bancadati Fisconline.

29“…la dottrina maggioritaria, dopo aver preso atto dell’evoluzione dell’istituto e del venir meno

di ogni limite espresso alla conciliazione, si è progressivamente dimostrata propensa a riconoscere, dapprima larvatamente ma poi con sempre maggiore convinzione, una natura transattiva alla conciliazione giudiziale”. Consolo – Glendi, Commentario breve alle leggi del processo tributario, pag. 440.

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rinvengono ostacoli alla qualificazione giuridica della conciliazione quale negozio transattivo; come l’istituto della transazione30 essa riguarda essenzialmente diritti

disponibili tuttavia non è possibile operare una esatta equiparazione tra i due istituti; la transazione viene considerata come risultato della sola volontà negoziale delle parti, senza il presupposto dell’intervento di un terzo mentre appunto nella conciliazione il componimento della lite avviene a mezzo dell’opera di un terzo. Inoltre è diverso anche il risultato che si ottiene con i due istituti: il componimento raggiunto con la transazione si estrinseca solo attraverso reciproche concessioni delle parti, mentre il componimento conciliativo può consistere, oltre che in reciproche concessioni, anche in una rinuncia alla propria pretesa, o in un riconoscimento unilaterale della pretesa altrui.

In ogni caso il dibattito sulla natura dell’istituto non sembra destinato a cessare; anzi lo stesso pare trovare nuova linfa in un nuovo orientamento giurisprudenziale che, negando alla conciliazione giudiziale carattere negoziale, ne ha affermato la natura autonoma, pubblicistica e tributaristica e la ha definiti come una fattispecie a formazione progressiva e procedimentalizzata che comporta la sostituzione del rapporto giuridico tributario sostanziale, unilaterale e contestato, con uno certo e concordato.31

30 Articolo 1965 codice civile: La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro.

Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da

quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti. 31 Cass. Sez. Trib. 13.02.2009, n. 3560, in Bancadati Fisconline;

Cass. Sez. Trib. 21.04.2011, n. 9219, in Bancadati Fisconline; Cass. Sez. Trib. 25.11.2011, n. 24931, in Bancadati Fisconline.

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LA DISCIPLINA DELLA CONCILIAZIONE GIUDIZIALE PRIMA DEL DECRETO LEGISLATIVO 24 SETTEMBRE 2015, N°156

Ambito di applicazione

Possono formare oggetto di conciliazione tutte le controversie tributarie soggette alla giurisdizione delle commissioni tributarie provinciali di cui all’articolo 2 del D.Lgs numero 546/1992; in questo senso assume rilevanza l’estensione della giurisdizione alle Commissioni Tributarie ad ogni tipo di tributo32 che hanno

messo a tacere i dibattiti sulla conciliabilità o meno di quelle controversie in materia di tributi comunali e locali e delle liti concernenti tributi di competenza del Tribunale33.

In quanto istituto di natura processuale, possono formare oggetto di conciliazione giudiziale tutte le controversie tributarie, purché pendenti, al momento dell’accordo, dinanzi alle commissioni tributarie provinciali; ciò presuppone che vi sia un giudizio pendente, e che questo sia stato instaurato ritualmente, ovvero che il ricorso introduttivo sia ammissibile, che quindi abbia i requisiti previsti dall’articolo 18, comma 2, D.Lgs 546/119234, che sia stato presentato entro i

32 Articolo 2 del D.Lgs numero 546/1992, come modificato dall’articolo 12, secondo comma, Legge

448/2001, secondo cui: “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto

i tributi di ogni genere e specie, comprese quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio”.

33 In questo senso una parte della dottrina riteneva che l’applicazione della conciliazione alle cause tributarie pendenti davanti al giudice ordinario potesse trovare conforto negli articoli 185 e seguenti e nell’articolo 350 del codice di procedura civile, che prevedono l’istituto conciliativo, oltreché nella natura processuale dell’articolo 48, che ne consentirebbe una lettura ampia ed analogica, tale da permettere la conciliazione anche davanti al giudice ordinario. CAPUTO, Il fisco, 1999, pagina 2598.

Altri autori invece sostenevano la tesi opposta fondata sull’assoluta indisponibilità del credito tributario, e quindi sulla natura eccezionale dell’articolo 48, norma che derogherebbe ai principi applicabili alla materia e che quindi dovrebbe interpretarsi in modo restrittivo. TOSI, Il fisco, 1996, pagina 895.

34 Articolo 18, comma 2, D.Lgs 546/1992: “Il ricorso deve contenere l'indicazione: a) della commissione tributaria cui è diretto;

b) del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente

eletto nel territorio dello Stato, nonché' del codice fiscale e dell'indirizzo di posta elettronica certificata;

c) dell'ufficio nei cui confronti il ricorso è proposto; d) dell'atto impugnato e dell'oggetto della domanda; e) dei motivi.”

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termini per la proposizione35 e che il ricorrente si sia costituito in giudizio nei

termini prescritti36. Da questa constatazione, una parte della dottrina37, ha fatto

notare come sia impossibile accedere ad una conciliazione che investa anche il tema dell’ammissibilità del ricorso in quanto questo tema è oggetto del controllo del giudice tributario sotto il profilo della sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità per la conciliazione.

Non sono invece conciliabili le liti concernenti atti impositivi emessi dall’Agenzia delle entrate di valore non superiore a ventimila euro ex articolo 17 bis del D.Lgs 546/1992; questa disposizione rende gli istituti del reclamo e della conciliazione giudiziale alternativi per il contribuente. Inoltre, una recente dottrina, nonostante l’articolo 48 non contenga alcuna distinzione quanto alla tipologia degli atti impugnabili, ritiene non conciliabili le controversie aventi ad oggetto gli atti della riscossione, compresi quelli emessi ai sensi degli articoli 36 bis e ter del D.P.R. 600/197338: l’affermazione si basa sulla asserita inapplicabilità della disciplina

35 Articolo 21, comma 1, D.Lgs 546/1992: “Il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto impugnato. La notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo.”

36 Articolo 22, comma 1, D.Lgs 546/1992: “ Il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena d’inammissibilità deposita, nella segreteria della commissione tributaria adita, o trasmette a mezzo posta, in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento, l'originale del ricorso notificato a norma degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile ovvero copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale. All'atto della costituzione in giudizio, il ricorrente deve depositare la nota di iscrizione al ruolo, contenente l'indicazione delle parti, del difensore che si costituisce, dell'atto impugnato, della materia del contendere, del valore della controversia e della data di notificazione del ricorso.”

38 “Del pari dubbia sembra infine la conciliabilità delle controversie aventi ad oggetto gli atti della riscossione. Al riguardo, deve però distinguersi fra gli atti della riscossione in senso stretto e quelli di cui agli artt. 36 bis e 36 ter del D.P.R. n. 600/1973. Per i primi basta ricordare, al fine di escluderne la conciliabilità che, ove essi siano stati preceduti dai prescritti atti di accertamento, la controversia della lite che si instaura a seguito dell’impugnazione di tali atti ha la natura di un giudizio di opposizione all’esecuzione. Diverse sono invece le ragioni ulteriori per cui ci sembra di dovere escludere che possano rientrare nell’oggetto della conciliazione e dell’accertamento con adesione i ruoli formati ex artt. 36 bis e 36 ter del D.P.R. n. 600/1973. Infatti, essendo incerta la natura meramente liquidativa di altri atti, far leva solo su di essa condurrebbe a risultati non univoci. Il dato fondamentale ci sembra costituito, invece, dalla disciplina recata dal D.Lgs. n. 472/1997 che appare porsi in un rapporto di specialità con l’intera materia disciplinata dal D.Lgs. n. 218/1997. In pratica, la disciplina recata dal D.Lgs. n. 472/1997 scandisce in modo molto rigido i tempi della definizione. Vi è un momento anteriore all’emissione del ruolo in cui la definizione è consentita, sia pur nella ridotta forma dell’acquiescenza, ed un momento successivo a decorrere dal quale l’atto è in suscettibile di formare oggetto di altri interventi che non siano quelli derivanti

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dell’acquiescenza39 dopo la formazione del ruolo, e sulla esclusione di qualunque

ulteriore forma di intervento dell’amministrazione. La tesi parrebbe tuttavia in contrasto con la totale assenza di limiti espressi alla conciliazione.

Altrettanto difficilmente prospettabile appare l’ammissibilità di una definizione in via conciliativa delle liti aventi ad oggetto le sole sanzioni, in quanto ciò sembra porsi in contrasto con il procedimento previsto dall’articolo 16, comma 3 del D.Lgs 472/1997. Questa disposizione, che consente la definizione agevolata delle sanzioni mediante il pagamento di un quarto della somma dovuta in base all’atto di contestazione, disciplina anch’essa una fattispecie a carattere premiale, come rileva non solo l’abbattimento dell’entità della sanzione, ma anche la previsione della non applicabilità delle sanzioni accessorie.

Si tratta di un effetto premiale interamente predeterminato ex lege, il che sembra costituire espressione di un sistema che non lascia alcun margine di discrezionalità all’amministrazione in tema di riduzione delle sanzioni. Ne consegue l’assenza di qualsiasi spazio di intervento dell’amministrazione in sede giudiziale accompagnata, sotto un profilo prettamente pratico, dalla scarsa utilità concreta attribuibile all’estensione della conciliazione a liti, quali quelle sulle sanzioni, dove ben difficilmente si può sperare di ottenere, attraverso questo istituto e, quindi, attraverso una negoziazione con l’amministrazione, una riduzione maggiore di quella che potrebbe ottenersi in via automatica con la definizione agevolata. Un altro profilo da prendere in considerazione è quello che riguarda la conciliabilità o meno delle liti di rimborso; una delle precedenti versioni dell’articolo in esame prevedeva che la conciliazione non può dare luogo alla restituzione delle somme già versate all’ente impositore. Tale limite è, oggi, venuto meno e di conseguenza trovano possibilità di accordo conciliativo anche le liti che

dall’intervento del giudice o quelli operati in via di autotutela da parte dell’amministrazione finanziaria stessa. Se a ciò si aggiunge il carattere sicuramente eccezionale che riveste la possibilità di transazione delle somme iscritte a ruolo prevista dall’art. 3, comma 3, del D.L. n. 138 dell’08/07/2002, si trova un ulteriore conferma dell’impossibilità di esperire la conciliazione giudiziale anche rispetto a questa tipologia di atti”. P. Russo, Manuale di diritto tributario, Il processo tributario, Giuffrè, 2005 pag. 213.

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sorgono in seguito al diniego espresso o tacito di rimborso40; viene inoltre meno il

rischio che una sollecita riscossione frazionata in pendenza di giudizio risulti esuberante rispetto all’importo conciliato, con conseguente impossibilità di restituzione dell’eccedenza.

È stato tuttavia osservato, in senso opposto, che le liti di rimborso non sarebbero conciliabili in quanto l’articolo 48 statuisce che il processo verbale o il decreto presidenziale debbono indicare le somme dovute dal contribuente, esprimendo così l’intento del legislatore a tener fuori dall’ambito della conciliazione l’ipotesi in cui sia l’Amministrazione a dover corrispondere somme al contribuente41.

Le critiche della dottrina all’impossibilità di ottenere la restituzione di quanto già versato erano fondate non solo sul presupposto che ciò costituisse un intralcio a conciliare ma anche una lesione dei diritti costituzionali sanciti a favore del contribuente dagli articoli 3 e 53 della Costituzione. In conclusione, oggi è ritenuto possibile che la conciliazione si chiuda senza alcuna riscossione e, in tal caso, si deve ritenere perfezionata all’atto della sottoscrizione del processo verbale ovvero del decreto presidenziale con il quale viene pronunciata l’estinzione del giudizio. Altro tema di discussione per quanto riguarda l’ambito di applicazione della conciliazione giudiziale è stata la conciliabilità o meno delle questioni di diritto; le divisioni e le incertezze sulla natura giuridica dell’istituto, e il travagliato iter legislativo42 dell’istituto non hanno fatto che riflettersi sull’individuazione delle

40 La conciliabilità delle controversie di rimborso deriverebbe da una “valutazione di opportunità di fissare i presupposti della conciliazione in termini più ampi degli attuali e incentivarne l’adozione come strumento per la risoluzione delle liti in fase contenziosa”. Relazione governativa al D.Lgs 218/1997.

41 …considerata nel suo complesso, la disciplina della conciliazione giudiziale in senso stretto risulta avere il suo fulcro proprio negli effetti premiali, ossia nella riduzione delle sanzioni, che si riconnettono alla definizione raggiunta nei modi previsti. Alla conciliazione delle liti di rimborso è, per definizione, estranea la considerazione di ogni effetto premiale, talché, per un verso, essa può attuarsi con maggiore libertà di tempi e forme rispetto alla conciliazione delle controversie in materia di accertamento e, per altro verso, entrambe possono certamente ritenersi riconducibili al medesimo genus, ma non alla stessa species, fermo restando che la maggiore completezza della disciplina della conciliazione giudiziale tributaria in senso stretto consente l’applicazione analogica di alcune delle relative disposizioni anche alla conciliazione in materia di rimborsi. P.RUSSO, Manuale di diritto tributario, Giuffrè, 2005, pagina 211.

42 Non vi è dubbio che, inizialmente, il terreno elettivo della conciliazione fosse rappresentato dalle questioni di valutazione estimativa, come si desumeva dall’inciso circa la non risolvibilità

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questioni conciliabili, investendo inevitabilmente tutte quei giudizi che riguardassero, non il quantum dell’obbligazione, ma l’an. Successivamente, con la caduta di ogni limitazione espressa e la sempre più affermata natura transattiva della conciliazione, la conciliabilità delle questioni di diritto è stata accolta con più favore43. Ovviamente alla conciliabilità delle questioni di diritto si oppone tutta

quella parte della dottrina che nega la natura transattiva della conciliazione giudiziale44; per superare queste posizioni, anche troppo rigide in virtù di una

evoluzione normativa che ha visto scomparire ogni limite espresso alla conciliazione, si può rilevare che, molto spesso, l’utilizzo, da parte del legislatore, di concetti indeterminati45 rende pressoché impossibile distinguere tra questioni di

diritto e di fatto: non pare dunque irragionevole ammettere che, attraverso la conciliazione giudiziale, si addivenga ad una soluzione in relazione a questioni i cui profili del giudizio di fatto e di diritto, pur concettualmente distinguibili, si presentano così avvinti da non poter essere separati.46

Una volta definito il cosiddetto ambito oggettivo della conciliazione, si cercherà di chiarire l’ambito soggettivo di applicazione dell’istituto.

della controversia in base a “prove certe e dirette”, e dal rinvio ai casi in cui era possibile la definizione per accertamento con adesione. CONSOLO-GLENDI, Commentario breve alle leggi del processo tributario, CEDAM, 2012, III edizione, pagina 575.

43 A questo proposito LUPI in Diritto tributario, pagina 82 e seguenti, sostiene che le questioni di diritto possono presentarsi a soluzioni “intermedie”, come ad esempio accade quando si tratta di inerenza o pluriennalità nella deduzione dei costi d’impresa. Secondo l’autore, inoltre, una definizione potrebbe essere effettuata anche a fronte di una pluralità di questioni di diritto riguardanti lo stesso contribuente, che potrebbe accettare la rettifica su alcune di esse ove l’Amministrazione ne abbandonasse altre.

44 Ad esempio TESAURO sul rilievo che nelle questioni di diritto la giusta soluzione della lite non è data da soluzioni intermedie, la conciliazione, se ritenuta ammissibile, dovrebbe essere concepita come pura adesione di una parte al punto di vista dell’altra; per l’autore sono dunque conciliabili solo le questioni di fatto che concernono la quantificazione della base imponibile. In questo senso si sono espressi anche altri autori come DE MITA e TABET.

45 “Concetti come quelli di abitualità, inerenze, pubblicità e rappresentanza, esercizio normale dell’agricoltura, etc.” CONSOLO-GLENDI, Commentario breve alle leggi del processo tributario, CEDAM, III edizione, 2012.

46 Su questo tema POLANO in La conciliazione giudiziale, sostiene che le questioni di diritto e di fatto si possono presentare strettamente connesse in modo tale da non permettere di scindere la considerazione dei due aspetti.

PETRILLO invece, dopo aver riconosciuto l’influenza delle questioni di fatto su quelle di diritto giudica impossibile escludere de plano la conciliazione giudiziale su questioni di diritto.

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Facendo riferimento al dato testuale della norma47, “ciascuna delle parti”, può

proporre conciliazione. Si evince quindi dalla lettura della norma in esame che i soggetti che possono proporre conciliazione giudiziale sono quelli individuati come parti del processo; l’articolo 10 del D. Lgs 546/199248 individua le parti del

processo tributario nel ricorrente, il contribuente, e nel resistente, ovvero l’ufficio dell’Agenzia delle entrate, l’agente della riscossione e gli altri enti impositori. Il secondo comma dell’articolo 48 prevede che “il tentativo di conciliazione può essere esperito d’ufficio anche dalla commissione”. Il ricorrente sarà, la persona fisica o giuridica che ha presentato il ricorso49 in Commissione tributaria provinciale; nel caso in cui il valore della controversia superi € 2.582,28 è obbligato a farsi assistere da un difensore tecnico abilitato50.

La parte resistente verrà individuata negli Uffici finanziari e dagli enti locali avverso i quali è stato proposto ricorso; per quanto riguarda gli Uffici finanziari il soggetto legittimato ad accettare o proporre la conciliazione sarà il dirigente dell’Ufficio del Ministero delle finanze nei cui confronti è stato proposto ricorso; per quello che riguarda gli enti locali invece sono legittimati a conciliare per le materie di loro diretta competenza e, possono stare in giudizio anche mediante il

47 Articolo 48, comma 1, D.Lgs 546/1992

48“Sono parti nel processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l'ufficio dell'Agenzia delle entrate e dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, gli altri enti impositori, l'agente della riscossione ed i soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che hanno emesso l'atto impugnato o non hanno emesso l'atto richiesto. Se l'ufficio è un'articolazione dell'Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuata con il regolamento di amministrazione di cui all'articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è parte l'ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso.” Articolo 10 D.Lgs 546/1992.

49 Il ricorso deve essere stato presentato come prescritto dagli articoli 18, 20, 21, 22 del decreto legislativo 546/1992.

A riguardo la Suprema corte ha stabilito, con sentenza numero 4320 del 2002, che “la conciliazione giudiziale, ai sensi dell’articolo 48, d.lgs. n. 546/1992, presuppone non soltanto la formale contestazione della pretesa erariale nei confronti dell’Amministrazione, ma anche che i soggetti interessati siano parti di un processo tributario pendente, il quale difetta quando il contribuente non abbia mai depositato o spedito…l’originale del ricorso alla segreteria della Commissione tributaria”.

Cassazione, 6 ottobre 2001, numero 12314: “perché sia efficace la conciliazione, è necessario che sia instaurato il rapporto processuale tra le parti mediante deposito presso la segreteria della commissione del ricorso notificato”. In Bancadati Fisconline.

50 L’articolo 12 del D.Lgs 546/1992 specifica sia quali siano i soggetti abilitati alla difesa del contribuente, sia come venga determinato il valore della controversia.

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dirigente dell’ufficio tributi, ovvero attraverso il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato l’ufficio.

Procedimento di conciliazione

L’articolo 48 prevede essenzialmente i tempi ed i modi della conciliazione giudiziale, nonché i relativi effetti. Tale disciplina, pur essendo del tutto unitaria sotto il profilo degli effetti, evidenzia, dal punto di vista del procedimento, l’esistenza di un nucleo comune sul quale si innestano due diverse articolazioni definite “conciliazione ordinaria” o “conciliazione in udienza”, disciplinata dai commi 1, 2, 3 e 4 dell’articolo in esame e “conciliazione abbreviata” o “conciliazione fuori udienza”, comma 5, articolo 48.

Parlando quindi dei tratti comuni delle due tipologie dell’istituto va, in primo luogo, evidenziato che la conciliazione può essere perfezionata solo in primo grado e prima che sia iniziata la discussione del merito della controversia51; un secondo

carattere comune ad entrambe le forme di conciliazione è la realizzazione della stessa per effetto di un atto volontario bilaterale che intercorre tra la parte resistente e quella ricorrente, atto dal quale resta estranea la commissione tributaria.

Infine, in entrambe le ipotesi di conciliazione, l’accordo deve essere idoneo a definire la lite; tuttavia, essendo ammessa la conciliazione parziale, dovrà considerarsi valido anche l’accordo su una parte della lite purché comporti, comunque ed almeno, la definizione dell’an e/o del quantum della pretesa o di parte di essa.

51“L’istanza di conciliazione giudiziale della lite tributaria è priva di effetti e comporta l’inammissibilità della domanda di definizione del giudizio con pronuncia della cessata materia del contendere se non sono state rispettate le formalità procedurali, secondo le quali, la conciliazione può avere luogo solo davanti alla Commissione tributaria provinciale e non oltre la prima udienza mediante la redazione d’apposito processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute a titolo d’imposta.” C.T.R. Roma, n. 54 del 12/03/2002, in Bancadati Fisconline.

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La conciliazione in udienza

Esaminando la prima metodologia di conciliazione si deve evidenziare che, la proposta di conciliare può provenire, indifferentemente, da entrambe le parti, ma deve essere formulata nell’istanza di trattazione in pubblica udienza52, ai sensi dell’articolo 3353 del D.Lgs 546/1992; ovvero, a norma del secondo comma54, su

impulso della commissione provinciale, in tale ipotesi il tentativo di accordo viene esperito in udienza, evidentemente pubblica, previamente richiesta da una delle parti.

La proposta deve essere sottoscritta dal contribuente o dal rappresentante dell’ufficio55 e deve essere sufficientemente articolata, ossia deve contenere uno

schema di accordo e non può consistere in una mera dichiarazione di disponibilità alla conciliazione, in quanto, in caso contrario, verrebbero favoriti tentativi dilatori volti al differimento della trattazione del ricorso56.

Il termine ultimo per raggiungere l’intesa è rappresentato dalla prima udienza57;

tuttavia, la commissione ha la facoltà di disporre un differimento, a norma del

52 Articolo 48, comma 1, D.Lgs 546/1992: “Ciascuna delle parti con l’istanza prevista dall’articolo 33, può proporre all’altra parte la conciliazione totale o parziale della controversia.”

53 Si tratta dell’istanza con la quale si chiede la pubblica udienza, da depositare nella segreteria della commissione e da notificare alle altre parti costituite, fino a dieci giorni liberi prima della data di trattazione. Il requisito della contestualità non viene però ritenuto tassativo, reputandosi sufficiente che la proposta di conciliazione venga formulata, eventualmente, anche con un’istanza separata da quella con cui si chiede la pubblica udienza, purché entro i termini dell’articolo 33. CONSOLO-GLENDI, Commentario breve alle leggi del processo tributario, Cedam, 2012, III edizione.

54 Articolo 48, comma 2, D.Lgs 546/1992: “La conciliazione può aver luogo solo davanti alla commissione provinciale e non oltre la prima udienza, nella quale il tentativo di conciliazione può anche essere esperito d’ufficio dalla commissione”.

55 Sembra tuttavia pacifica, come sostengono autori come Tosi, Batistoni Ferrara, Russo, la superfluità della comparizione personale in udienza del contribuente, nonché la sua sottoscrizione della proposta di conciliazione, potendosi sopperire con l’attribuzione al difensore di una procura speciale alla conciliazione. CONSOLO-GLENDI, Commentario breva alle leggi del processo tributario, Cedam, 2012, III edizione.

56 Di contro, la commissione provinciale, poiché, ex articolo 48, comma 2, può promuovere un tentativo di conciliazione, può anche limitarsi ad invitare le parti a formulare una ipotesi di accordo. MENCHINI-MICCINESI, Il nuovo processo tributario: commentario, Giuffrè, 20014, II edizione.

57 Commissione tributaria provinciale di Padova, ordinanza del 22/06/1997, secondo cui, benché per prima udienza debba intendersi quella nel corso della quale si siano realmente concretate le attività difensive, con esclusione quindi delle udienze di mero rinvio, tale criterio non può essere

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quarto comma, concedendo alle parti un termine non superiore a sessanta giorni per presentare un accordo da trovare stragiudizialmente e da sottoporre poi al vaglio della commissione, ovvero secondo le modalità della conciliazione fuori udienza, si tratta dunque di un potere discrezionale accordato alla commissione in relazione a quelle ipotesi in cui è presumibile che la conciliazione possa raggiungersi, anche se essa non è avvenuta in udienza.

Se la conciliazione non ha luogo, è discussa la causa ai sensi dell’articolo 3458.

Se invece, l’accordo è raggiunto, viene redatto apposito verbale nel quale sono determinate le somme dovute a titolo di imposta, di sanzioni e di interessi; nel verbale deve essere indicato l’ammontare anche delle sanzioni, tenendo presente della riduzione applicata.

Il verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute59 mediante

versamento diretto in un’unica soluzione da effettuarsi entro venti giorni dalla data dell’udienza oppure in forma rateale, in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo o dodici rate trimestrali, se le somme dovute superano € 50.000.60

utilizzato ai fini della conciliazione giudiziale, considerato il suo scopo di favorire sollecite definizioni del contenzioso, evitando che la conciliazione stessa possa diventare un ulteriore motivo di rinvio; in Bollettino tributario, 1997, pagina 1381.

Tuttavia, autori come Glendi e Alemanno, hanno evidenziato come la minuziosa disciplina procedimentale dell’istituto favorisca strumentalizzazioni dilatorie con richieste di rinvii, anche del tutto ingiustificati; deve ritenersi inammissibile un rinvio sistematico ed automatico da parte del giudice, che andrebbe a scontrarsi con il principio di economicità e speditezza del processo. In realtà, una recente sentenza C07/9222, ritiene che la proposta conciliativa possa essere attuata anche successivamente alla fissazione dell’udienza di trattazione purché le udienze già tenute siano di mero rinvio; in Bancadati Fisconline.

58 Articolo 34, D.Lgs 546/1992, Discussione in pubblica udienza: “All'udienza pubblica il relatore espone al collegio i fatti e le questioni della controversia e quindi il presidente ammette le parti presenti

alla discussione.

Dell'udienza è redatto processo verbale dal segretario.

La commissione può disporre il differimento della discussione a udienza fissa, su istanza della parte interessata, quando la sua difesa tempestiva, scritta o orale, è resa particolarmente difficile a causa dei documenti prodotti o delle questioni sollevate dalle altre parti. Si applica l'art. 31, comma 2, salvo che il differimento sia disposto in udienza con tutte le parti costituite presenti.” 59 È stato osservato che la mancanza di queste puntualizzazioni non dovrebbe inficiare l’accordo, anche se l’analiticità del verbale è ritenuta opportuna per evitare contestazioni in sede di esecuzione, circa la liquidazione delle sanzioni e degli accessori. CONSOLO-GLENDI, Commentario breve alle leggi del processo tributario, Cedam, 2012, III edizione.

60 La rateazione delle somme dovute, qualunque sia l’ammontare, non è più subordinata alla prestazione di idonea garanzia: è infatti venuto meno ad opera dell’articolo 23, comma 19, lettera

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Va sottolineato che la conciliazione non si perfeziona con l’accordo delle parti, ma soltanto a seguito del versamento da effettuarsi nelle modalità e nei tempi sopradetti; ecco il motivo per il quale la conciliazione è stata definita come una fattispecie a formazione progressiva: la formazione dell’accordo costituisce un primo momento e nella quale si inserisce, come condizione sospensiva il pagamento integrale o della prima rata. Solo a seguito del pagamento, si produce infatti l’effetto sostanziale dell’istituto.

La conciliazione fuori udienza

Oltre al procedimento “ordinario”, al quinto comma dell’articolo in esame61, la

legge prevede anche un procedimento definito “abbreviato”, con cui si giunge ad una conciliazione preconcordata tra le parti; si tratta di una conciliazione che avviene fuori e prima dell’udienza, cioè di un accordo stragiudiziale delle parti sulla materia del contendere. Se la proposta di conciliazione è presentata prima della fissazione della data di trattazione, il presidente della commissione62, se

ravvisa la sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità, dichiara con decreto l’estinzione del giudizio; in questo caso, la proposta di conciliazione ed il decreto presidenziale fanno le veci del processo verbale redatto nel procedimento ordinario, con la differenza che il versamento dell’intero importo o della prima rata deve essere effettuato entro venti giorni dalla data di comunicazione alle parti del decreto di estinzione del giudizio. Nell’ipotesi in cui

a) del D.L. numero 98/2011, l’inciso “previa prestazione, se l’importo della rate successive alla prima è superiore a 50.000 euro, di idonea garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria ovvero rilasciata dai consorzi di garanzia collettiva dei fidi iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, numero 385”. L’innovazione è dettata dall’intento di agevolare il pagamento delle somme dovute dai contribuenti che siano impossibilitati ad effettuare il versamento diretto in un’unica soluzione, non costringendoli a sostenere i costi connessi al rilascio delle garanzie. Di contro, l’interesse alla tempestiva riscossione delle somme dovute risulta tutelato dalla previsione, in caso di mancato pagamento anche di una sola rata successiva alla prima, dell’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione.

61 Articolo 48, comma 1, D.Lgs 546/1992: “L’ufficio può, sino alla data di trattazione in camera di consiglio, ovvero fino alla discussione in pubblica udienza, depositare una proposta di conciliazione alla quale l’altra parte abbia previamente aderito.”

62 Nonostante la norma faccia riferimento al presidente della commissione, la competenza spetterebbe di norma al presidente della sezione. In questo senso Tosi, in Il Fisco, 1996, pagina 11122, e Batistoni Ferrara, Bollettino tributario, 1996, pagina 1574.

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la conciliazione non sia ritenuta ammissibile, il presidente della sezione fissa la data di trattazione della controversia, con provvedimento depositato in segreteria entro dieci giorni dalla data di presentazione della proposta di conciliazione.63

La proposta preconcordata che l’ufficio deve depositare deve contenere64

l’indicazione della commissione tributaria adita, i dati identificativi dell’ufficio finanziario e del ricorrente, la manifestazione della volontà di conciliare, con l’esatta indicazione degli elementi oggetto della proposta conciliativa ed i relativi termini economici, la liquidazione delle somme dovute in base alla conciliazione giudiziale65.

Potere del giudice tributario

Riguardo ai poteri del giudice tributario si è discusso se quest’ultimo dovesse intervenire sul contenuto, quindi sul merito, dell’accordo, oppure, come disciplinato dal comma quinto dell’articolo 48, se il potere del giudice fosse limitato a verificare che sussistano “presupposti e condizioni di ammissibilità”.

63 Sul piano del coordinamento della disciplina processuale, però, la conciliazione in esame pone difficoltà maggiori, perché il quinto comma prevede espressamente che il versamento della prima rata o dell’intero importo sia effettuato dopo la comunicazione del decreto, entro venti giorni da quest’ultimo, mentre la declaratoria di inammissibilità (che non dipende dall’omesso versamento) è prevista come alternativa al decreto e si accompagna alla fissazione della data di trattazione. Pertanto: o si ritiene che, almeno in questo caso, la conciliazione sia comunque perfezionata a prescindere dal versamento, diversamente da quanto accade non solo per la conciliazione in udienza, ma anche per l’accertamento con adesione e l’acquiescenza, con la conseguenza che dall’inadempimento nasca solo il diritto per l’amministrazione di riscossione coattiva delle somme dovute, previa iscrizione a ruolo, senza alcuna conseguenza sulla ormai dichiarata estinzione del giudizio; oppure, più coerentemente, si muove dalla necessità di far riprendere il processo in caso di omesso (pagamento e) perfezionamento; e allora si deve ammettere che il decreto sia reclamabile per omesso perfezionamento dell’adesione e che, in sede collegiale, l’estinzione non possa essere dichiarata se non dopo aver preso atto dell’avvenuto versamento delle somme, conseguente alla presa d’atto del collegio che la conciliazione è ammissibile e che ne ricorrono i presupposti. M.BASILAVECHIA, Gli istituti deflativi del contenzioso con particolare riferimento al reclamo-mediazione e alla conciliazione giudiziale.

64 Come precisato dalla circolare ministeriale 23 aprile 1996, numero 98/E.

65 La Corte di Cassazione con la sentenza numero 9223 del 15/02/2007 ha ritenuto perfezionata la conciliazione stragiudiziale quando le parti abbiano definito la base imponibile, non essendo necessaria la definizione esplicita delle sanzioni dal momento che la loro misura è indicata espressamente dal medesimo articolo 48, una succinta motivazione delle ragioni che hanno indotto l’ufficio a proporre la conciliazione, l’accettazione incondizionata del ricorrente della proposta e delle somme liquidate, la data, la sottoscrizione del titolare dell’ufficio e la sottoscrizione del ricorrente; in Bancadati Fisconline.

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