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Il Processo Tributario Telematico

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Consulenza Professionale alle Aziende

Tesi di Laurea

Il Processo Tributario Telematico

Relatore Candidato Prof. Nicolò Zanotti Francesca Simonelli

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2 INDICE

Introduzione

1° CAPITOLO: IL PROCESSO TRIBUTARIO TELEMATICO

1.1 LE MOLTEPLICI NORMATIVE

1.1.1 DPR 13 febbraio 2001, n° 123

1.1.2 Decreto direttoriale dell’8 luglio 2002. Il c.d. “Gruppo di lavoro” 1.1.3 Il Protocollo d’intesa

1.1.4 Decreto Ministeriale dell’Economia e delle Finanze 23 dicembre 2013, n° 163

1.2 IL DOCUMENTO INFORMATICO

1.2.1 Il Codice dell’Amministrazione Digitale 1.2.2 La firma digitale

1.2.3 La Posta Elettronica Certificata

1.2.3.1 I soggetti obbligati a munirsi di PEC 1.2.3.2 Il funzionamento della PEC

1.2.3.3 I vantaggi e i limiti della PEC

1.3 LA SPERIMENTAZIONE DEL PTT

2° CAPITOLO: Sistema Informativo Giustizia Tributaria (S.I.Gi.T)

2.1 I SOGGETTI ABILITATI

2.2 LE POLITICHE DI SICUREZZA PER L’APPLICAZIONE DEL S.I.Gi.T.

2.3 I SERVIZI DEL S.I.Gi.T. 2.3.1 La procura alle liti

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3 2.3.2 Notificazioni e comunicazioni

2.3.3 Il deposito degli atti.Compilazione della NIR (Nota d’Iscrizione a Ruolo)

2.3.4 Pagamento del contributo unificato

3° CAPITOLO: VARIE CRITICITA’ E IL LORO SUPERAMENTO

3.1 GIUDIZIO DI PRIMO GRADO

3.1.1 Presentazione del ricorso 3.1.2 Costituzione in giudizio 3.1.3 Tutela cautelare

3.2 APPELLO

3.2.1 Appello incidentale

3.3 RICORSO PER CASSAZIONE

3.3.1 Riassunzione del contenzioso

Conclusioni

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INTRODUZIONE

Questo elaborato vuole analizzare l’evoluzione che il processo tributario ha subìto nel corso degli anni, partendo dall’attribuzione delle controversie amministrative alle prime Commissioni comunali e consorziali, introdotte con la legge 14 luglio 1864, per arrivare all’attuale progetto di un processo tributario telematico.

Quest’ultimo è sicuramente un progetto ambizioso, che ha l’obiettivo di semplificare i rapporti esistenti tra la Pubblica Amministrazione (P.A.), i cittadini e le imprese e ha anche lo scopo di ottenere una consistente riduzione delle spese sia in termini di risparmi diretti (carta, spazi, costi di spedizione, ecc.) sia di risparmi indiretti (tempo, efficienza, quantità delle informazioni, ecc.)1.

Proprio in questa prospettiva nel 2009, successivamente poi nel 2012, hanno visto la luce i c.d. “Piani E-Governement” derivanti dall'accordo tra il Ministero della giustizia e il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione.

Tali piani hanno l'obiettivo di modernizzare i processi delle amministrazioni, incrementando la qualità, l’efficacia e l'efficienza dei servizi attraverso l’utilizzo delle morderne tecnologie ICT. 2

Quando si iniziò a parlare di E-Government qualcuno si aspettava immediati vantaggi in termini di riduzione dei costi, ma in realtà inizialmente si ottenne un incremento della spesa a causa degli ingenti investimenti necessari per la

1 Fonte: “Guida pratica al Processo Tributario Telematico”, di Domenico Chindemi e

Aurelio Parente.

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trasformazione degli apparati burocratici, per la formazione continua e capillare dei soggetti che fungono da intermediari con le categorie sociali interessate e, infine, per un convinto investimento nei sistemi3 in modo da poter raggiungere gli obiettivi prefissati.

Tale elaborato, però, si concentrerà non solo sull’evoluzione normativa del processo tributario telematico, ma analizzerà anche gli elementi tipici del nuovo documento informatico: la firma digitale e la PEC (posta elettronica certificata).

L’analisi, poi, non potrà prescindere da uno studio approfondito del S.I.Gi.T., che è il “Sistema Informativo della Giustizia Tributaria” ovverosia il portale in cui i soggetti abilitati si devono iscrivere per accedere ai servizi di tale piattaforma quali: la procura alle liti, notificazioni e comunicazioni, il deposito degli atti e il pagamento del contributo unificato.

Infine, sarà necessario concentrarsi sulle criticità legate ai vari gradi di giudizio del processo tributario telematico e la possibilità di superarle.

Il S.I.Gi.T. offre quelli che vengono denominati come “servizi pubblici in rete”, per i quali è necessario cercare di trovare la migliore definizione.

La dottrina francese e anche la dottrina italiana evidenziano il fatto che se una attività è erogata in regime di servizio pubblico, questa dovrà soddisfare tre principi: l’adattamento, ossia il costante adeguamento del servizio alle esigenze dell’utenza; la continuità, tale per cui gli utenti devono poter richiedere ed ottenere l’erogazione del servizio senza discontinuità e l’uguaglianza

3 Fonte: “Il diritto del futuro è anche e-governement e leggi on-line”, di R.M. Di Giorgi.

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nell’erogazione dei servizi, in modo tale da non discriminare gli utenti per motivi di carattere socio-economico o di localizzazione geografica.

Tale nozione giuridica, accolta nel codice dell’amministrazione digitale (CAD), può essere analizzata da un punto di vista SOGGETTIVO, in quanto la norma del codice (art. 63, comma 1) prevede che siano le “pubbliche amministrazioni centrali” che devono individuare “le modalità di erogazione dei servizi in rete in base a criteri di valutazione di efficacia, di economicità ed utilità”.

Esiste, però, anche un profilo OGGETTIVO che non è contenuto nella norma, ma che può essere riempito di significato facendo riferimento alla modalità telematica di erogazione dei vari servizi pubblici. Attraverso la rete, infatti, possono transitare soltanto “informazioni” (bits) e, quindi, il servizio pubblico in rete è costituito dall’insieme delle attività amministrative la cui erogazione ha luogo mediante trasferimenti ed elaborazioni di informazioni (bits).

Facendo fede a tale definizione, dunque, andrebbero prese in considerazione solamente le attività a carattere materiale dell’amministrazione e non l’attività giuridica dell’amministrazione che, invece, viene solitamente ricondotta nella categoria della “funzione amministrativa”.

Recentemente, invece, la nozione di servizio pubblico è stata estesa anche alle attività giuridiche della pubblica amministrazione e pertanto si definisce il “servizio pubblico in rete” come: “l’insieme delle attività giuridiche erogate dalle pubbliche amministrazioni centrali in modalità telematica, la cui erogazione è, per legge, un diritto soggettivo del beneficiario (oppure del richiedente il servizio, nel caso di servizi ad istanza di parte)”4.

4 Fonte: “La nozione giuridica di servizio pubblico in rete”, di G. Cammarota, www.amministrazioneincammino.luiss.it

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1° CAPITOLO. IL PROCESSO TRIBUTARIO TELEMATICO

1.1 LE MOLTEPLICI NORMATIVE

Lo studio del processo tributario deve necessariamente muovere dalle sue origini, procedere lungo l’avvicendarsi dei suoi innumerevoli mutamenti e giungere fino all’analisi dell’assetto attuale pur mantenendo lo sguardo rivolto alle prospettive future di mutamento.

Nel 1862 esisteva, per le imposte indirette, un doppio ordine di tutela in cui vi era una competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria fatta salva, però, la possibilità per i contribuenti di proporre un ricorso agli organi amministrativi speciali, verosimilmente i precursori delle recenti Commissioni tributarie.

I redditi tassabili venivano dichiarati direttamente dai contribuenti agli agenti, che procedevano alla verifica e sottoponevano le dichiarazioni al vaglio dei direttori demaniali, i quali determinavano l’imponibile in via definitiva dopo aver sentito l’agente e il contribuente ed eventualmente aver assunto nuove informazioni.

Con la legge sull’imposta di ricchezza mobile del 14 luglio 1864, n° 1830, veniva istituito un doppio ordine di Commissioni tributarie preposte essenzialmente all’accertamento dell’imposta di ricchezza mobile: quelle comunali, che accertavano i redditi e sindacavano le dichiarazioni dei contribuenti, e quelle consorziali, che deliberavano il reddito effettivo dei singoli contribuenti traducendolo in reddito imponibile.

I contribuenti, ancora una volta, compilavano in prima persona le schede di dichiarazione dei redditi per poi presentarle agli agenti, i quali formulavano pareri sulle schede ricevute ed eventualmente alcune proposte di accertamento nel caso in cui ritenessero che ci fosse la presenza di redditi non dichiarati.

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Ai contribuenti veniva data la possibilità di impugnare le decisioni emesse dalle Commissioni comunali di fronte a quelle provinciali, senza la possibilità però di un ulteriore ricorso al giudice orinario.

Il contenzioso amministrativo, però, fu abolito dalla Legge 20 marzo 1865, n° 2248 all. E, prendendo ispirazione dalla Costituzione Belga del 1831, che affermò che le liti relative alle imposte dovevano essere rivolte ad un’unica giurisdizione, quella ordinaria.

Analizzando in modo critico la situazione presente al tempo, si può facilmente notare come, in realtà, non vi era nessuna norma che equilibrasse la disparità esistente tra l’amministrazione e il cittadino ed inoltre non vi era la completa separazione tra la funzione giudiziaria e quella amministrativa.

Altro problema presente in questa fase storica era la presenza del principio del “solve et repete”, che imponeva ai contribuenti l’onere di pagare il tributo prima di agire in giudizio.

Nel 1866, con la legge 28 giugno n°3023, veniva rivisto l’assetto delle Commissioni tributarie che assunsero principalmente la funzione contenziosa, lasciando da parte quella di accertamento del reddito.

Inoltre la quantificazione dell’imposta non veniva più fatta in base al fabbisogno finanziario del singolo comune, ma veniva applicata un’aliquota in base all’imponibile. Questo, però, comportava per l’erario il rischio di perdere le entrate se non fossero stati dichiarati i redditi e dunque si rese necessario il deferimento integrale della funzione di accertamento agli agenti della finanza. Alle Commissioni comunali si attribuì il compito di decidere in primo grado, eventualmente i contribuenti potevano ricorrere in seconda istanza presso le Commissioni provinciali. Infine, fu istituita anche la Commissione centrale, che aveva il compito di dirimere i conflitti tra più comuni e decidere su quei casi in cui il contribuente si trovava ad avere redditi compresi nella tabella di due o più comuni.

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Il Testo Unico sull’imposta di ricchezza mobile, il R. D. del 24 agosto 1877 n° 4021, ha introdotto definitivamente il “doppio binario” di tutela.

Successivamente, con i r.d.l. 7 agosto 1936 n° 1639 e 8 luglio 1937 n°1516, si configurò una disciplina applicabile sia alle imposte dirette, sia alle maggiori imposte indirette: per le prime il ricorso all’autorità giudiziaria doveva essere preceduto dal ricorso alla commissione tributaria di primo grado, per le seconde tale ricorso poteva avvenire indipendentemente o anche cumulativamente al ricorso alle commissioni.

Furono mutuate dal processo civile le regole riguardanti il contraddittorio, i mezzi istruttori, il giudizio, l’appello e la revocazione.

Era un sistema complesso e disorganico che prevedeva un doppio livello di giudizio: il primo di natura amministrativa e il secondo di natura giurisdizionale. Inoltre, la dottrina maggioritaria qualificò le commissioni come giudici speciali nella speranza di trasferirgli i caratteri propri della giurisdizione ordinaria: in questo modo il risultato poteva essere quello di impedire la presenza di funzionari dell’amministrazione nell’organico delle commissioni anche se in realtà sussisteva un rapporto ancora troppo stretto tra le Commissioni e l’Amministrazione finanziaria.

Tale situazione, però, dovette essere del tutto riconsiderata con l’entrata in vigore della Costituzione del 1948 e in particolar modo con quanto disposto dall’art 1025, che istituì il divieto di costituire giudici straordinari o giudici speciali.

5 Art 102 Costituzione: “La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari

istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la

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Inoltre, la VI disposizione transitoria decretò che nel termine di cinque anni il legislatore avrebbe dovuto revisionare le giurisdizioni speciali esistenti

Ovviamente, a questo punto, la natura giuridica delle commissioni tributarie divenne un problema da affrontare perché se ne fosse stata riconosciuta la natura giurisdizionale, esse avrebbero potuto continuare ad operare previa revisione ai sensi della VI disposizione transitoria6. Se, al contrario, ciò non fosse successo si sarebbe dovuto ricondurre l’intero contenzioso tributario alla giurisdizione ordinaria in modo che le questioni di semplice estimazione non restassero prive di tutele giurisdizionale.

In tale situazione, comunque, la Corte di Cassazione continuò a sostenere la natura amministrativa delle commissioni tant’è vero che le attuali Commissioni tributarie sono le stesse di quelle esistenti già nel 1800, le quali sono solo state modificate nel tempo per adattarle al meglio.

Solamente negli anni Settanta il legislatore sentì la necessità di revisionare le norme riguardanti il contenzioso tributario, proprio in considerazione di questo principio costituzionale, ed emanò il D.P.R. 26 ottobre 1972, n° 636.

Quest’ultimo conteneva la nuova suddivisione in tre gradi di giudizio del processo tributario: il primo grado che si doveva svolgere di fronte alla Commissione tributaria provinciale, il secondo grado di fronte a una Commissione regionale e, per il terzo grado, fu istituita anche una Commissione

partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia “.

6 VI disposizione transitoria, che prevedeva che: “entro cinque anni dall’entrata in

vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti” rendendoli compatibili con la Costituzione stessa.

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tributaria centrale con sede a Roma. Contro la decisione di terzo grado era possibile proporre ricorso in Cassazione ex art 360 c.p.c.

Il perimetro della cognitio dei giudici tributari era delimitato da un limite “esterno” delle materie a loro affidate e, inoltre, da un limite “interno” degli atti impugnabili.

Per quanto riguarda il limite “esterno” si deve far riferimento a una norma del D.P.R. 636/1972 che prevedeva un’elencazione specifica di tutti i tributi che rientravano nella competenza delle Commissioni tributarie, ma ad esempio escludeva tutti i tributi locali.

Tale norma ha subìto un’evoluzione nel corso degli anni, fino ad arrivare alla formulazione attuale che si trova nell’art. 2 del D.lgs. 546/92.

Occorre partire dall’anno 1992, quando venne integrata un’estensione casistica, che inizialmente fu criticata perché si poteva pensare che andasse contro al principio dell’art. 102 della Costituzione, cosa che in realtà è stata smentita dalla Corte Costituzionale del 1997 in quanto ha previsto che questa elencazione poteva essere allungata a piacere, l’importante era restare nell’ambito dei tributi. Il legislatore poi, nel 2001, ha risolto il problema alla radice eliminando l’elencazione casistica e introducendo la formula “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie compresi quelli provinciali, regionali e comunali”.

Nel 2005 l’articolo è stato ulteriormente modificato e ampliato definendo che “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati”, quindi non aveva più importanza la terminologia “tributo” piuttosto che “canone”. Inoltre il legislatore, nella stessa circostanza, ha anche aggiunto un secondo comma che recita “appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche e del canone

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per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani, nonché le controversie attinenti l’imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni”.

Infine, oggi, si fa riferimento anche alle sanzioni tributarie e gli interessi e ogni altro accessorio.

Per quanto riguarda il limite “interno”, si deve fare riferimento all’art. 19 del D.Lgd. 546/92 che indica nello specifico i documenti impugnabili: quei documenti emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti dei contribuenti che possono essere impugnati attraverso il ricorso, in prima istanza, alla Commissione provinciale.

Infine è sicuramente importante evidenziare come, a seguito dell’emanazione di questo D.P.R. 636/72, la Corte Costituzionale, con due sentenze nel 1974 e nel 1976, riconobbe finalmente la natura giurisdizionale delle Commissioni tributarie in quanto sostenne che il legislatore non aveva istituito nuovi giudici speciali, ma che semplicemente aveva attuato quanto previsto dalla VI disposizione transitoria.

Pertanto i giudici della Corte Costituzionale esclusero definitivamente la natura amministrativa delle commissioni e posero le basi per il riconoscimento legislativo avvenuto poi con il d.lgs. 31 dicembre 1992, n° 546.

Quest’ultimo decreto legislativo, nonostante le modifiche che sono intervenute in anni successivi, rappresenta la configurazione attuale del sistema di giurisdizione tributaria e all’art 1, comma 2 prevede che: “I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”.

Mentre l’art 2 sottolinea la natura esclusiva della giurisdizione tributaria in quanto prevede che non sono ammesse forme di tutela giurisdizionale concorrenti

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o alternative e che oggetto di tale giurisdizione sono i tributi di ogni genere e specie comunque denominati7.

Questa prima analisi riguardante l’evoluzione e l’affermarsi della giurisdizione tributaria, giunta fino all’attuale disciplina del d.lgs. 546/1992, è stato non solo un preambolo necessario per comprendere quale sia stato il processo storico che ha portato a delineare lo schema operativo di un normale processo tributario, ma è anche il punto di partenza da cui iniziare l’analisi del più attuale Processo Tributario Telematico, che sicuramente ha molti punti in comune con il processo “ordinario”, ma che a mio avviso proietta il professionista incaricato dell’assistenza tecnica, il contribuente e gli organi giuridici verso maggiori possibilità di snellezza, rapidità ed efficacia.

Anche se l’argomento che sto per trattare è ancora ai suoi albori in quanto a utilizzo pratico, ci si dovrebbe auspicare una maggiore comprensione e apertura ad un cambiando sicuramente inizialmente faticoso, ma che ha serie e concrete possibilità di migliorare il Processo Tributario.

1.1.1. DPR 13 febbraio 2001, n° 123

Il “Processo Telematico” è stato introdotto nel nostro ordinamento con riferimento al processo civile telematico (PCT) per mezzo del D.P.R. 13 febbraio 2001, n° 123 rubricato “Regolamento recante la disciplina sull'uso di strumenti

7 Art 2, comma 1: “Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie

aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio.”

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informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti”.

Tale decreto del Presidente della Repubblica prevedeva un sistema fondato sul Sistema Informatico Civile, abbreviato con S.I.Ci.

L’art 1, lett. F definiva tale sistema come: “il sottoinsieme delle risorse del dominio giustizia mediante il quale l’amministrazione della giustizia tratta il processo civile”, laddove la lettera E dello stesso articolo definiva “il dominio giustizia” come “l’insieme delle risorse hardware e software, mediante il quale l’amministrazione della giustizia tratta in via informatica e telematica qualsiasi tipo di attività, di dato, di servizio, di comunicazione e di procedura”.

Il S.I.Ci. si componeva di tre elementi quali l’ufficio giudiziario, le parti del processo e gli atti da trasmettere e, secondo quanto previsto dall’art. 3 comma 1, esso doveva garantire l’identità dell’ufficio giudiziario e del procedimento, ma anche l’identità del soggetto che inserisce, modifica o comunica l’atto. Senza contare che la garanzia doveva comprendere necessariamente anche l’avvenuta ricezione dell’atto e l’automatica abilitazione del difensore e dell’ufficiale giudiziario

Al comma 2 dell’art 3, poi, venivano chiariti quali fossero i soggetti del processo telematico (i difensori delle parti e gli ufficiali giudiziari) e venivano elencate le attività loro consentite. Non erano stati inseriti nell’articolo, ma venivano comunque ritenuti soggetti del PCT, il giudice e il cancelliere.

Agli articoli 4 e 6, invece, venivano indicati rispettivamente la forma degli atti e dei provvedimenti del processo e l’attività di comunicazione e notificazione di tali atti.

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Secondo l’art 12, poi, la cancelleria formava il fascicolo informatico con i documenti informatici il quale, però, non era destinato a sostituire quello cartaceo ma entrambi dovevano coesistere ed essere pienamente coincidenti.

Questo sistema è stato in parte cambiato dal D.M. 44 del 2011, che riguardava “il Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione”, i cui obiettivi erano la creazione, da parte del Ministero della Giustizia, del Portale dei Servizi Telematici che servisse non solo a dare una spinta alla digitalizzazione dei dati, ma anche a incrementare una vera e propria semplificazione complessiva del processo telematico.

1.1.2. Decreto Direttoriale dell’8 luglio 2002. Il c.d. “Gruppo di lavoro”

Già dal 2002, poi, tra i piani triennali di automazione del Dipartimento per le Politiche Fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze, era presente un progetto per la realizzazione del Processo Tributario Telematico.

I piani di automazione avevano un elemento comune che consisteva nell’estensione dei servizi in rete ai flussi di dati fiscali, la connessione diretta al sistema informativo della fiscalità tra chi produce tale informazione e chi ne usufruisce e, infine, l’uso intensivo delle tecnologie web.

L’8 luglio 2002 fu istituito un apposito “Gruppo di Lavoro”, presso quello che allora era il Dipartimento per le Politiche Fiscali, composto da rappresentanti del detto Dipartimento, da rappresentanti del Consiglio di Presidenza della Giustizia

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Tributaria, da funzionari della società informatica So.Ge.I8 e da consulenti esterni. Esso aveva il compito di realizzare il progetto di trasferire on-line i servizi all’utenza interessata dal processo tributario ed ha lavorato non solo per definire un’infrastruttura tecnologica di supporto, ma anche per disciplinare l’uso degli strumenti informatici e telematici nel processo tributario.

È stato elaborato, dunque, un “Regolamento recante la disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo tributario”, in cui sono state stabilite le principali definizioni delle procedure attuate, le regole e le linee guida da seguire per la fruizione del servizio e quelle per la conservazione e l’archiviazione dei documenti informatici.

1.1.3. Il Protocollo d’intesa

Successivamente il progetto ha subìto alcune rivisitazioni fino a quella del 23 dicembre 2009 con la stipula del c.d. “Protocollo d'Intesa” avvenuta con il consenso di molti soggetti firmatari: il Ministero dell'Economia e delle Finanze, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, l’Agenzia delle Entrate, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma e l’Ordine degli avvocati tributaristi di Roma.

La finalità di questo importante protocollo d'intesa era sicuramente quella di assicurare un processo tributario trasparente, semplice e rapido promuovendo, previo avvio di una fase preliminare di sperimentazione, l’informatizzazione delle procedure inerenti il processo tributario per raggiungere un miglioramento

8 Società Generale d’Informatica S.p.A: è un’azienda italiana che opera nel settore

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della qualità del servizio di tale tipo di contenzioso.

Auspicava, inoltre, la possibilità di effettuare, per il raggiungimento del suddetto obiettivo, una sperimentazione, funzionale, tecnica ed operativa.

Infine, necessariamente, uno degli scopi era sicuramente quello di verificare il raggiungimento e la realizzazione degli obiettivi attesi dalla sperimentazione.

Con tale protocollo d’intesa è stata varata una fase sperimentale del processo tributario telematico limitato alla Commissione tributaria provinciale di Roma e alla Commissione regionale del Lazio, con riguardo specificatamente ai ricorsi e alle pratiche di difensori (avvocati e commercialisti), che dovevano essere iscritti alla So.Ge.I e che dovevano notificare a mezzo PEC all’Agenzia delle Entrate tutti i ricorsi introduttivi di primo e secondo grado.

Entrando più nello specifico, la sperimentazione prevedeva il deposito telematico dei ricorsi e di altri atti processuali presso le Commissioni tributarie provinciali e regionali con l’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche.

Tale sperimentazione, di cui si parlerà in seguito, è partita proprio nel 2009 ed è proseguita fino ad oggi con tutte le innovazione che in questi anni sono state apportate al sistema d’informatizzazione dei procedimenti.

1.1.4. Decreto Ministeriale dell’Economia e delle Finanze 23 dicembre 2013, n° 163

Momento fondamentale è stato il 23 dicembre 2013 quando è stato emanato il decreto ministeriale n° 163: “Regolamento recante la disciplina dell’uso di strumenti informatici e telematici nel processo tributario”.

Esso ha rappresentato il momento esatto in cui è stato definitivamente introdotto il Processo Tributario Telematico, evidenziando le regole che gli utenti sono

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tenuti a rispettare, nell’ambito di quelle generali del d.lgs. 546/1992, anche se, come si vedrà in seguito, per ottenere la reale applicazione dello stesso si dovrà ancora attendere l'emanazione delle regole tecniche.

Prima di approfondire la disamina di tale regolamento, però, merita fare un cenno ad alcune disposizioni contenute nella legge di delega 11 marzo 2014 n°23: con essa è stata conferita al Governo la delega per riscrivere il sistema fiscale al fine di renderlo “più equo, trasparente e orientato alla crescita” da attuare entro dodici mesi.

Alla lettera b) del primo comma dell’articolo 10 di tale legge sono elencati gli interventi necessari per incrementare la funzionalità della giurisdizione tributaria:

1) la distribuzione territoriale dei componenti delle commissioni tributarie;

2) l'eventuale composizione monocratica dell'organo giudicante in relazione a controversie di modica entità e comunque non attinenti a fattispecie connotate da particolari complessità o rilevanza economico-sociale, con conseguente regolazione, secondo i criteri propri del processo civile, delle ipotesi di inosservanza dei criteri di attribuzione delle controversie alla cognizione degli organi giudicanti monocratici o collegiali, con connessa disciplina dei requisiti di professionalità necessari per l'esercizio della giurisdizione in forma monocratica;

3) la revisione delle soglie in relazione alle quali il contribuente può stare in giudizio anche personalmente e l'eventuale ampliamento dei soggetti abilitati a rappresentare i contribuenti dinanzi alle commissioni tributarie;

4) il massimo ampliamento dell'utilizzazione della posta elettronica certificata per le comunicazioni e le notificazioni;

5) l'attribuzione e la durata, anche temporanea e rinnovabile, degli incarichi direttivi;

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6) i criteri di determinazione del trattamento economico spettante ai componenti delle commissioni tributarie; la semplificazione e

razionalizzazione della disciplina relativa al meccanismo di elezione del

Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, in particolare attraverso la concentrazione delle relative competenze e funzioni direttamente in capo al Consiglio medesimo e la previsione di forme e modalità

procedimentali idonee ad assicurare l'ordinato e tempestivo svolgimento delle elezioni;

7) il rafforzamento della qualificazione professionale dei componenti delle commissioni tributarie, al fine di assicurarne l'adeguata preparazione specialistica;

8) l'uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel processo tributario;

9) la previsione dell'immediata esecutorietà, estesa a tutte le parti in causa, delle sentenze delle commissioni tributarie;

10) l'individuazione di criteri di maggior rigore nell'applicazione del principio della soccombenza ai fini del carico delle spese del giudizio, con conseguente limitazione del potere discrezionale del giudice di disporre la compensazione delle spese in casi diversi dalla soccombenza reciproca; 11) il rafforzamento del contenuto informativo della relazione ministeriale sull'attività delle commissioni tributarie.

Tornando, invece, all’analisi del d.m. 163/2013, si nota innanzitutto un arricchimento del linguaggio procedimentale e processuale mediante l'inevitabile utilizzo di una nuova terminologia e di nuove sigle.

Inoltre, è previsto che gli atti e i provvedimenti del processo tributario possano essere formati come “documenti informatici” sottoscritti con firma digitale e che la loro trasmissione, comunicazione e il deposito possano avvenire con modalità informatiche.

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Infine, viene istituzionalizzata l'operatività del Sistema Informatico della Giustizia Tributaria (S.I.Gi.T.): un Ufficio dell'Amministrazione finanziaria, di cui si tratterà ampiamente nel secondo capito di questo elaborato.

Questo Regolamento, però, non esaurisce la disciplina del processo tributario telematico in quanto è espressamente previsto che ove, non sia diversamente stabilito, si applicano le disposizioni del CAD9 e viene fatto rinvio a futuri provvedimenti per definire le regole tecnico-operative.

Ritengo opportuno analizzare alcuni degli articoli più importanti di questo decreto ministeriale per poter anche evidenziare eventuali differenze o affinità con quanto previsto dal più tradizionale testo giuridico del D.Lgs 546/1992.

Partendo dall’art 2, si legge che tale norma sottolinea come in caso di scelta del canale telematico, tutti gli atti e i provvedimenti del processo devono essere trasmessi, comunicati, notificati e depositati sotto forma di documenti informatici e sottoscritti con firma elettronica.

L’articolo, inoltre, precisa che la scelta del canale telematico effettuata nel primo grado di giudizio obbliga le parti a mantenere questo indirizzo per tutto l’iter processuale, con l’unica eccezione del cambio del difensore, che allora permetterebbe di tornare ad utilizzare il canale tradizionale del contenzioso.

Nel caso in cui i sistemi informatici del dominio giustizia non siano funzionanti e sussista un’indifferibile urgenza10, il presidente del Tribunale lo può autorizzare

9 Codice dell’Amministrazione Digitale

10 Trib. Milano, sez. IX civile, ordinanza 12 gennaio 2015: “Il Tribunale rileva che la

parte ricorrente richiede l’autorizzazione al deposito della memoria ex art. 190 c.p.c. in formato cartaceo, segnalando il difetto di funzionamento del sistema; ritiene che il difetto di funzionamento del sistema possa desumersi anche dall’essere prevenute, nel

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21 il deposito cartaceo dei documenti.

Nel processo tradizionale i documenti, a partire dal ricorso introduttivo, passando per la nota di iscrizione a ruolo e giungere al fascicolo vero e proprio contenente deduzioni e controdeduzioni, devono essere depositati manualmente presso la Segreteria delle Commissioni Tributarie oppure possono essere inviati a mezzo posta in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento.11

Passando, poi, all’art. 4 si analizza la procura alle liti o l'incarico di difesa prodotti su supporto informatico, congiuntamente all'atto cui si riferiscono, devono essere sottoscritti con firma elettronica qualificata o firma digitale dal ricorrente e trasmessi esclusivamente mediante il S.I.Gi.T.. Inoltre, se gli incarichi vengono conferiti su supporto cartaceo, le parti, i procuratori e i difensori dovranno trasmetterne, congiuntamente all'atto cui si riferiscono, la copia per immagine su supporto informatico, attestata come conforme all'originale.

A differenza di quanto avviene con il precedente, ma ancora troppo attuale, procedimento in cui ai difensori deve essere conferito l’incarico con atto pubblico o scrittura privata autenticata. Dando lettura a una norma apparentemente lineare come questa, lo spirito critico con cui la si legge dovrebbe far luce su un punto,

medesimo giorno, più istanze di autorizzazione al deposito analogico, come è accaduto nel caso di specie, ricorda che il presidente può autorizzare il deposito degli atti con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza” (art. 16-bis, comma IV, d.l. 179/2012 come mod. in l. 221/2012 e succ. mod.). Per questi motivi AUTORIZZA il deposito non telematico e MANDA alla cancelleria per comunicare l’odierno provvedimento a tutte le parti costituite”.

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che ancora una volta va a sostegno della tesi secondo cui l’innovazione del Processo Tributario è senza dubbio alcuno vantaggiosa: se l’incarico deve essere conferito con gli atti descritti sopra, è vero anche che per comporre tali atti si ha la necessità di un pubblico ufficiale (un notaio, ad esempio) che rediga l’atto o che almeno attesti l’autenticità delle firme. Dunque, non solo la procedura è più complessa, ma richiede anche dei tempi più lunghi e sicuramente un maggior esborso economico.12

L’art. 5 tratta delle notificazioni e comunicazioni telematiche che sono eseguite mediante la trasmissione dei documenti informatici all'indirizzo di PEC di cui all'articolo 7, il quale precisa quali sono quelli validamente utilizzabili. Esse si intendono perfezionate quando il gestore della PEC del destinatario genera la ricevuta di avvenuta consegna. Qualunque comunicazione o notificazione dei documenti informatici, tramite PEC, si considera effettuata, ai fini della decorrenza dei termini processuali per il mittente, al momento dell'invio al proprio gestore attestato dalla relativa ricevuta di accettazione e, per il destinatario, al momento in cui la comunicazione o notificazione dei documenti informatici è resa disponibile nella casella di posta elettronica certificata. Il deposito dei documenti informatici presso la segreteria della Commissione tributaria si intende eseguito al momento attestato dalla ricevuta di accettazione

rilasciata dal S.I.Gi.T.

Le comunicazioni e le notificazioni fino ad oggi, invece, vengono fatte o mediante avviso materiale presso le segreterie delle Commissioni, che ne rilasciano immediatamente ricevuta, oppure sempre tramite il servizio postale in

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plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento.13

L’art. 6, poi, tratta dell'indirizzo PEC indicato nel ricorso introduttivo o nell'istanza di reclamo e mediazione notificati tramite PEC e prevede che esso equivale ad elezione di domicilio digitale ai fini delle comunicazioni e notificazioni telematiche.

Mentre l’art. 7 individua la regola generale secondo cui l'indirizzo di posta elettronica certificata è quello dichiarato dalle parti nel ricorso o nel primo atto difensivo ed è riportato nella nota di iscrizione a ruolo. Vengono poi specificati quali devono essere gli indirizzi di PEC validamente utilizzabili per le diverse categorie: a seconda che si tratti di professionisti iscritti in albi ed elenchi, o di società e imprese individuali o di enti impositori, l'indirizzo di PEC deve coincidere, rispettivamente, con quello comunicato agli ordini o collegi, o al registro delle imprese.

Questo Decreto Legislativo ha aperto le porte a un’evoluzione fortemente auspicabile nel campo della giustizia tributaria, che non vuole rivoluzionare completamente il vecchio sistema ma intende portare notevoli miglioramenti dal punto di vista della velocità di risoluzione del contenzioso, della sicurezza dei dati e dei minori costi.

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1.2. IL DOCUMENTO INFORMATICO

Per la prima volta il termine “DOCUMENTO INFORMATICO” venne utilizzato dal legislatore italiano nel 1993, quando fu introdotta in Italia la disciplina dei computers crimes14.

Nel 2010 a Torino, presso una ASL è stato messo appunto un sistema di transazione e conservazione dei referti sanitari digitali, basato su un algoritmo denominato Dipsa (acronimo di digitalizzazione dei processi sanitari ed amministrativi).

Per documento informatico si intendeva “qualunque supporto informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria o programmi specificatamente destinati ad elaborarli”.

Ovviamente questa è una definizione estremamente generica, che non chiarisce affatto che cosa debba intendersi, da un punto di vista tecnico e pratico, per documento informatico.

Il quadro normativo e giurisprudenziale è stato frammentario e disorganico fino all’emanazione del D.P.R. n. 513 del 1997, che ha riconosciuto validità agli atti informatici e alla firma digitale dando, all’articolo 1 lettera a), una nuova definizione di documento informatico: “rappresentazione informatica di atti,

14 Un crimine informatico è un fenomeno criminale che si caratterizza nell'abuso della

tecnologia informatica sia hardware che software, per la commissione di uno o più crimini.

La casistica e la tipologia è piuttosto ampia; alcuni crimini in particolare sono finalizzati allo sfruttamento commerciale della rete internet o a porre a rischio i sistemi informativi di sicurezza nazionale di uno Stato. (Fonte: www.wikipedia.org)

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fatti o dati giuridicamente rilevanti”, che poi è la definizione che tuttora si trova espressa all’art 1 lettera p) del Codice dell’Amministrazione Digitale15.

Quest’ultimo, inoltre, fornisce al documento informatico validità legale infatti all'art. 20, comma 1 si prevede che: “Il documento informatico da chiunque formato, la memorizzazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici conformi alle regole tecniche di cui all'articolo 71 sono validi e rilevanti agli effetti di legge, ai sensi delle disposizioni del presente codice”.

Il documento digitale, inoltre, ha la caratteristica di essere flessibile, riproducibile, trasmettibile e permette l’interattività con un sistema ipertestuale.

1.2.1. Il Codice dell’Amministrazione Digitale

Il codice dell'amministrazione digitale (CAD) è una norma della Repubblica Italiana, precisamente il decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82.

Venne emanato a seguito della delega al Governo contenuta all'articolo 10 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (Legge di semplificazione 2001) ed è entrato in vigore il 1º gennaio 2006.

Successivamente, nel corso degli anni, sono state apportate modifiche ed integrazioni al CAD per mezzo prima del d.lgs. 4 aprile 2006, n. 159 e poi del d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235.

L'emanazione del Codice ha suscitato impressioni contrastanti: da un lato, vi sono coloro che ne hanno accolto positivamente l'uscita considerandolo un importante atto di riordino della materia; dall'altro lato, una parte non minoritaria della dottrina si è mostrata alquanto scettica sull’effettiva portata innovativa del

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decreto principalmente perché con l’emanazione di un "codice" sarebbe degenerato l'intento iniziale di usare l'informatica come strumento per la semplificazione amministrativa, facendo diventare la digitalizzazione un fine a sé stante.

In ogni caso, l’entrata in vigore del CAD ha sancito definitivamente l'efficacia probatoria del documento informatico, attribuendo piena valenza giuridica ai documenti elettronici con firma digitale e alla posta elettronica certificata.

Come è stato sottolineato prima, il CAD ha permesso di dare una validità legale al documento informatico, ma proprio riguardo a quest’ultimo è necessaria una distinzione in relazione alla tipologia di sottoscrizione tra quelli privi di firma elettronica, quelli con firma elettronica semplice e, infine, quelli con firma digitale.

Quanto alla prima tipologia, l'art. 20, comma 1 bis del CAD, ha stabilito “l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, fermo restando quanto disposto dall’articolo 21”.

E quindi questo evidenzia in modo chiaro che il documento informatico esiste a prescindere dalla sottoscrizione, ma, in caso di contestazione, se manca la firma digitale sarà incombenza della parte produrre idonea documentazione a supporto della validità del documento in ordine alle caratteristiche di “qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità” dello stesso.

Per quelli dotati di firma elettronica semplice, invece, l'art. 21, co. 1 prevede che il documento in questione “debba essere liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità”, analogamente a quanto accade nel caso di assenza di sottoscrizione elettronica.

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Infine, i documenti muniti di firma digitale possiedono l'efficacia prevista dall'art. 2702 del codice civile che prevede che “La scrittura privata fa piena prova fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”.

Il Codice dell’Amministrazione Digitale è stato recentemente modificato e integrato dall’art 1 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (cd. Legge Madia), in materia di riorganizzazione delle Amministrazioni Pubbliche.

Tale riforma è stata emanata per promuovere la possibilità di creare una vera e propria “carta della cittadinanza digitale” ed è rivolta sia ai singoli cittadini che alle imprese.

Questa importante riforma contiene diversi obiettivi tra cui la definizione di uno standard minimo delle prestazioni in materia di servizi on line delle Amministrazioni pubbliche, che assicurino sicurezza, fruibilità, accessibilità e tempestività e la piena applicazione del principio del “digital first” (innanzitutto digitale), che fondamentalmente può essere visto come l’inversione dell’attuale schema che guarda al digitale solo come metodo alternativo

Sicuramente viene posta molta attenzione all'armonizzazione della disciplina a quanto previsto dall’Agenda Digitale Europea, che tra le innumerevoli novità ha previsto anche il “Sistema pubblico di identità digitale” (SPID), il quale permette con un unico PIN per accedere a molti dei servizi forniti dalla PA. Questo obiettivo, però, comporta necessariamente anche il bisogno del potenziamento della connettività a banda larga e ultra larga, la possibilità dell’accesso ad internet presso gli uffici pubblici e la connettività ad un wi-fi libero attraverso le credenziali SPID.

Non da ultimo occorre rammentare l’intenzione di incentivare l'elezione del domicilio digitale, in modo da coadiuvare l’interazione tra il cittadino e le amministrazioni.

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Ovviamente tutte queste modifiche potranno essere attuabili grazie anche a una modifica dell’anagrafe digitale ANPR, che ad oggi prevede solo l’indicazione di un indirizzo PEC quale domicilio digitale.

La ANPR, acronimo di Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente, è una delle piattaforme abilitanti indicate nella “Strategia per la Crescita Digitale 2014-2020” ed è destinata a prendere il posto delle altre 8000 anagrafi dei comuni italiani realizzando un'unica banca dati con le informazioni anagrafiche della popolazione residente a cui faranno riferimento non solo i Comuni, ma l'intera Pubblica Amministrazione.

I cittadini potranno verificare la propria posizione e/o richiedere certificazioni anagrafiche presso qualsiasi Comune e, inoltre, sarà possibile uno scambio di informazioni tra Comune e Comune, nell’ottica di semplificazione dei processi amministrativi.

1.2.2. La firma digitale

Per poter entrare più nello specifico del discorso riguardante la necessità di apporre una firma digitale per validare i documenti elettronici, occorre partire dalle definizioni contenute nel CAD: la prima è quella data dall’ art. 1, comma 1, lettera q) che tratta di firma elettronica, cioè “l'insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica”.

L’art 1, comma 1, lettera q-bis) invece definisce la firma elettronica avanzata: “insieme di dati in forma elettronica allegati oppure connessi a un documento informatico che consentono l’identificazione del firmatario del documento e garantiscono la connessione univoca al firmatario, creati con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo, collegati ai dati ai quali detta

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firma si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati”.

La lettera r) dello stesso articolo fornisce la definizione di firma elettronica qualificata come “un particolare tipo di firma elettronica avanzata che sia basata su un certificato qualificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma”, mentre la lettera s) dà quella di firma digitale che è “un particolare tipo di firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato e su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici”.

Come detto in precedenza, ex art 21 comma 1 del CAD16, la firma elettronica

“semplice” è liberamente valutabile in giudizio da parte del giudice e, dunque, sono le altre firme elettroniche a fornire l'efficacia probatoria ai documenti informatici.

Pertanto, invece, l'art. 21, comma 2 del CAD dispone che “Il documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, formato nel rispetto delle regole tecniche di cui all'articolo 20, comma 3, che garantiscano l'identificabilità dell'autore, l'integrità e l'immodificabilità del documento, ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del codice civile. L'utilizzo del dispositivo di firma (elettronica qualificata o digitale) si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria” e così stabilisce

16 Art 21, comma 1:”Il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, sul

piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità.”

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che sono queste tre tipologie di firma elettronica che possono validare i documenti.

In ultima istanza è necessario analizzare l’art 21 comma 2-bis: “Salvo quanto previsto dall'articolo 25, le scritture private di cui all'articolo 1350, primo comma, numeri da 1 a 1217 del codice civile, se fatte con documento informatico,

sono sottoscritte, a pena di nullità, con firma elettronica qualificata o con firma digitale. Gli atti di cui all'articolo 1350, numero 13), del codice civile soddisfano

17 “Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità:

1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili

2) i contratti che costituiscono, modificano o trasferiscono il diritto di usufrutto su beni immobili, il diritto di superficie, il diritto del concedente e dell’enfiteuta 3) i contratti che costituiscono la comunione di diritti indicati dai numeri precedenti;

4) i contratti che costituiscono o modificano le servitù prediali, il diritto di uso su beni immobili e il diritto di abitazione;

5) gli atti di rinunzia ai diritti indicati dai numeri precedenti; 6) i contratti di affrancazione del fondo enfiteutico;

7) i contratti di anticresi;

8) i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni; 9) i contratti di società o di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari per un tempo eccedente i nove anni o per un tempo indeterminato;

10) gli atti che costituiscono rendite perpetue o vitalizie, salve le disposizioni relative alle rendite dello Stato;

11) gli atti di divisione di beni immobili e di altri diritti reali immobiliari;

12) le transazioni che hanno per oggetto controversie relative ai rapporti giuridici menzionati nei numeri precedenti.”

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comunque il requisito della forma scritta se sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale.”

Detta firma digitale, dunque, è frutto di un procedimento informatico e crittografico per mezzo del quale viene generata e apposta sul documento informatico e così facendo permette non solo di rendere manifesta la volontà contenuta nel documento stesso da parte di colui che lo sottoscrive, ma anche di verificarne la provenienza e l’integrità da parte di chi lo riceve.

L'uso della tecnica della firma digitale richiede, però, una serie di azioni preliminari necessarie alla predisposizione delle chiavi utilizzate dal sistema di crittografia su cui si basa il meccanismo di firma digitale: innanzitutto, deve avvenire la registrazione dell’utente presso una terza parte fidata e che sia preposta ed autorizzata professionalmente a fare questo tipo di operazioni, chiamata Certification Authority (CA), successivamente avviene la generazione di una coppia di chiavi, una pubblica (Kp) ed una privata (Ks).

La chiave pubblica, poi, deve essere certificata da parte della CA e viene registrata.

Una volta compiute tali operazioni, l’utente è in grado di firmare elettronicamente un numero qualsiasi di documenti, sfruttando la sua chiave segreta, durante il periodo di validità della certificazione della corrispondente chiave pubblica. Questo periodo può essere interrotto prima del suo naturale termine dalla revoca della certificazione, che di norma viene effettuata su richiesta del proprietario nel caso in cui ritenga che la segretezza della sua chiave privata sia stata compromessa.

La firma digitale generata in qualunque Stato membro della Comunità deve essere riconosciuta dagli altri stati membri per rendere possibile il libero scambio e la verifica dei documenti informatici.

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A tale scopo è necessario che la firma digitale soddisfi i requisiti di firma elettronica avanzata (AdES, Advanced Electronic Signature) e di firma elettronica qualificata (QES, Qualified Electronic Signature), che sono contenuti nella Direttiva 1999/93/CE.

In Italia, a partire dal 1° luglio 2011, gli standard di firma digitale validi sono 3 e nello specifico sono il CAdES: acronimo di “Cryptographic Message Syntax Advanced Electronic Signature”. Fino all’entrata in vigore delle specifiche tecniche (16 aprile 2014), questo era il formato di firma più diffuso e utilizzato nei casi di file “.xml”. Questo tipo di firma, però, aggiunge anche un’estensione “.p7m” al file sottoscritto, che costituisce una specie di “busta crittografica” contenente: il documento sottoscritto, la firma e la chiave per la verifica.

L’altro standard di riferimento è il PAdES: acronimo di “PDF Advanced Electronic Signature”. È stata introdotta solo recentemente e si tratta di una firma che serve per firmare i documenti con estensione “.pdf”.

In conclusione si fa riferimento anche allo XAdES: acronimo di “XML Advanced Electronic Signature”. È la tipologia di firma utilizzata per firmare i file con estensione “.xml”.

Firmare un documento, in concreto, è un’attività semplice in quanto basta essere dotati di un Kit per Firma Digitale, il quale comprende: un dispositivo sicuro di generazione delle firme (detto Smart Card), un lettore di Smart Card e un software di firma e verifica.

È necessario, poi, che la firma apposta sul documento venga controllata attraverso il c.d. procedimento di validazione, che ha lo scopo di accertare che il documento non sia stato modificato dopo la firma, che il certificato del

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sottoscrittore sia garantito da un’Autorità di Certificazione18 e che il certificato non sia scaduto, sospeso o revocato.

Tale procedimento di validazione è composto da tre fasi: la prima è costituita dalla funzione “hash” del documento, che permette di trasformare un documento di qualsiasi lunghezza in una sequenza alfanumerica che produce una sorta di impronta digitale, detta “valore di hash”, grazie alla quale il documento si considera firmato digitalmente. Questa funzione, dal punto di vista strettamente giuridico, ha due caratteristiche: non è possibile, da una parte, che due testi abbiano lo stesso valore di hash o che si possa creare un testo differente che generi lo stesso hash e, dall’altra, è praticamente impossibile ricostruire il testo originario se si ha a disposizione solo il valore di hash.

Il secondo punto di questo procedimento fa riferimento alla validazione della firma attraverso chiavi asimmetriche, che vengono utilizzate da colui che sottoscrive il documento e dal destinatario dello stesso. Si parla di chiavi “asimmetriche” in quanto il sottoscrittore utilizza una chiave “privata”, mentre il destinatario utilizza quella “pubblica”. Dunque, il destinatario dovrà utilizzare un software di verifica che gli permetterà di utilizzare la chiave pubblica del

18 Tale Autorità deve essere inclusa nell’Elenco Pubblico dei Certificatori. L’elenco

pubblico completo ed aggiornato dei certificatori è disponibile via Internet al seguente indirizzo: http://www.agid.gov.it/identita-digitali/firme-elettroniche/certificatori-attivi Per dotarsi di strumenti per la gestione della firma digitale è necessario rivolgersi ai certificatori accreditati che garantiscono l’identità dei soggetti che utilizzano la firma digitale. L’Agenzia per l’Italia Digitale mette a diposizione l’elenco di certificatori accreditati a cui cittadini, amministratori e dipendenti di società e pubbliche amministrazioni possono richiedere la firma digitale, sottoscrive la lista dei certificati delle chiavi di certificazione e definisce le linee guida per la vigilanza sui gestori qualificati.

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sottoscrittore per decriptare la firma digitale, ottenere l’hash e confrontarlo con l’impronta, il fingerprint, generata al momento della sottoscrizione. Solamente se le due impronte coincidono si può ritenere attestata l’autenticità del documento.

Infine, i certificatori accreditati verificheranno i requisiti di sicurezza.

Tutto questo procedimento di validazione della firma digitale, però, non attribuisce al documento una data certa opponibile a terzi, che invece viene apposta dalla “marca temporale”19.

Quest’ultima consiste in un servizio offerto da un Certificatore Accreditato che permette di associare data e ora certe e legalmente valide ad un documento informatico, sia che esso sia firmato digitalmente, sia che non lo sia.

A maggior ragione, però, se la marca temporale viene apposta su un documento firmato digitalmente ha l’effetto di rendere la firma sempre valida anche se il relativo certificato risulta scaduto, sospeso o revocato, purché ovviamente la marca sia stata apposta in un momento precedente alla scadenza, la sospensione o la revoca.

Ad oggi, però, non esiste alcuna legge che imponga l’obbligo della marcatura temporale su un documento con firma digitale, quindi si può ritenere che sia solamente un onere dei paciscenti diretto alla tutela dei loro interessi contro un’eventuale scadenza o revoca.

Per completezza è necessario sottolineare come lo strumento necessario per la validazione temporale dei documenti digitali non sia unicamente la marca

19 Art. 20, comma 3 d.lgs. 82/2005 (CAD) specifica che: “La data e l'ora di formazione

del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle regole tecniche sulla validazione temporale.”

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temporale, ma possono essere anche: la segnatura di protocollo20, la procedura di conservazione dei documenti in conformità delle norme vigenti ad opera di un pubblico ufficiale o della pubblica amministrazione o, ancora, l’utilizzo della PEC ex art. 4821 del CAD.

Fino ad ora l’analisi circa la firma digitale si è concentrata sul fornirne una definizione, conoscere le varie tipologie e comprendere come sia possibile determinarne la validità attraverso il procedimento di validazione. A questo punto, però, rimane da approfondire un concetto molto importante: l’efficacia probatoria del documento informatico.

Innanzitutto, facendo riferimento all’ipotesi del documento informatico sottoscritto con firma digitale, è previsto, ai sensi dell’articolo 5 comma 1 del D.P.R. 513/199722 (successivamente anche solo “Regolamento”), che: “Il

20 Ai sensi dell’art. 9 d.p.c.m. 31 ottobre 2000

21 Art. 48 comma 1: “La trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di

una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante altre soluzioni tecnologiche individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito DigitPA.”

Comma 3: “La data e l'ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso ai sensi del comma 1 sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, ed alle relative regole tecniche, ovvero conformi al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 1.”

22 Regolamento contenente i criteri e le modalità per la formazione, l'archiviazione e la

trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici a norma dell'articolo 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59

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documento informatico, sottoscritto con firma digitale ai sensi dell'articolo 10, ha efficacia di scrittura privata ai sensi dell'articolo 2702 del codice civile”.

L’articolo 10, comma 2 stabilisce, poi, che “l'apposizione o l'associazione della firma digitale al documento informatico equivale alla sottoscrizione prevista per gli atti e documenti in forma scritta su supporto cartaceo” e, inoltre, al comma 5 prevede che “l'uso della firma digitale apposta o associata mediante una chiave revocata, scaduta o sospesa equivale a mancata sottoscrizione. La revoca o la sospensione, comunque motivate, hanno effetto dal momento della pubblicazione, salvo che il revocante, o chi richiede la sospensione, non dimostri che essa era già a conoscenza di tutte le parti interessate”.

Dunque, la verifica dell’efficacia probatoria del documento informatico è strettamente collegata con il disposto di cui all’’art. 2702 c.c. che, per disciplinare l’efficacia della scrittura privata stabilisce che “la scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”. Si intende “legalmente considerata come riconosciuta” ai sensi dell’art. 2703 c.c. che prevede quanto segue: “si ha per riconosciuta la sottoscrizione autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L'autenticazione consiste nell'attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare l'identità della persona che sottoscrive”.

Partendo, quindi, dall’analisi dell’art. 5 del Regolamento e aggiungendo tutte le informazioni ricavate degli articoli collegati, si può giungere alla conclusione che la dottrina è giunta, in questo modo, ad equiparare il documento informatico sottoscritto con firma digitale alla scrittura privata cartacea.

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Il codice civile, però, fa delle ulteriori precisazioni in merito al fatto che la scrittura privata ha efficacia di prova legale non solo se il documento è sottoscritto, ma anche se alternativamente ricorrono altri requisiti quali il riconoscimento della firma da parte di colui che ha prodotto la scrittura privata, l’autenticazione della scrittura ai sensi dell’art. 2703 c.c., se la parte contro cui la scrittura è prodotta è contumace o non c’è stato il tempestivo disconoscimento della firma oppure se ha avuto esito positivo il giudizio di verificazione esperito dalla parte producente la scrittura, che era stata tempestivamente disconosciuta.

La dottrina si è interrogata sulla possibilità, anche per la firma digitale, della presenza di queste ulteriori ipotesi o se, invece, il riferimento all’art. 2702 c.c. si limitasse unicamente al tipo di efficacia probatoria e, ovviamente, esistono opinioni contrastanti.

Ora, facendo un passo indietro, è bene analizzare il caso in cui il documento informatico, munito di tutti i requisiti previsti dal Regolamento, non venga sottoscritto con l’apposizione della firma digitale e, dunque, non possa essere equiparato alla scrittura privata.

In questo caso occorre far riferimento al secondo comma dell’art. 5, che prevede che “il documento informatico munito dei requisiti previsti dal presente regolamento ha l'efficacia probatoria prevista dall'articolo 2712 del codice civile e soddisfa l'obbligo previsto dagli articoli 2214 e seguenti del codice civile e da ogni altra analoga disposizione legislativa o regolamentare”.

Con particolare riguardo all’art. 2712 c.c. si ricava che “le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”. Tali documenti informatici non sottoscritti con firma digitale, pertanto, vengono equiparati alle fattispecie elencate nell’art 2712 c.c. e oltretutto prevedono l’onere del

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disconoscimento da parte di colui contro il quale il documento informatico non sottoscritto è prodotto.

In merito al tema del disconoscimento della firma digitale occorre distinguere tra due tipologie di disconoscimento: quello dell’uso, che è previsto dall’art 21, comma 2 del CAD “[…] L'utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria”; e quello della firma digitale che invece è un procedimento esperibile mediante quanto previsto dall’art. 214 c.p.c.23 nei casi in cui la firma digitale non sia stata autenticata da un notaio o altro pubblico ufficiale. Invece, se la firma digitale risulta autenticata in modo espresso o tacito, l’unica modalità di disconoscimento riconosciuta è la querela di falso.

1.2.3. La Posta Elettronica Certificata

Altro importante elemento di novità è la Posta Elettronica Certificata (PEC), che consiste in un sistema di posta elettronica, che utilizza i protocolli standard della posta elettronica tradizionale, nel quale al mittente viene fornita la prova legale del ricevimento (o meno) del messaggio da parte del destinatario.

La PEC è nata per trasmettere messaggi in formato elettronico, che possono contenere qualsiasi tipologia di informazione ed allegato, dei quali si voglia avere la certezza di recapito ed integrità. Quindi, in concreto, sostituisce la Raccomandata postale con ricevuta di ritorno, o raccomandata A/R, con la quale il mittente si vede recapitare una ricevuta che attesta la consegna del proprio

23 L’art. 214, comma 1 c.p.c. prevede che: “Colui contro il quale è prodotta una

scrittura privata, se intende disconoscerla, è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione”.

Riferimenti

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