• Non ci sono risultati.

ANALISI DEL POLIMORFISMO INSERZIONE/DELEZIONE DI 14 BP IN 3' UTR DEL GENE HLA-G IN COPPIE CON INFERTILITA', POLIABORTIVITA' E PATOLOGIA OSTETRICA DI TIPO REIETTIVO.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "ANALISI DEL POLIMORFISMO INSERZIONE/DELEZIONE DI 14 BP IN 3' UTR DEL GENE HLA-G IN COPPIE CON INFERTILITA', POLIABORTIVITA' E PATOLOGIA OSTETRICA DI TIPO REIETTIVO."

Copied!
61
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

ANALISI DEL POLIMORFISMO INSERZIONE/DELEZIONE DI 14bp IN

3’ UTR DEL GENE HLA-G IN COPPIE CON INFERTILITÀ,

POLIABORTIVITÀ E PATOLOGIA OSTETRICA DI TIPO REIETTIVO.

RELATORE:

Dott.ssa Lorella Battini

CANDIDATO:

Dalila Fiorino

(2)
(3)

3 Ai miei genitori

che mi hanno donato la Vita

e a mio fratello

(4)

4

Quando curi una malattia puoi vincere o perdere,

quando ti prendi cura di una persona vinci sempre.

(5)

5

INDICE

Riassunto………..6

Introduzione………...10

La Placenta………...12

Impianto, Sviluppo e Struttura………...12

HLA-G………....19

Il sistema HLA………...19

Struttura, isoforme e funzioni………...21

Infertilità………25

Definizione ed Eziologia………...25

Infertilità e HLA-G in letteratura………...26

Poliabortività………...28

Definizione de Eziologia………28

Poliabortività e HLA-G in letteratura………29

Preeclampsia………...30

Definizione e Fattori di Rischio……….30

Eziologia e HLA-G in PE………...31

Il nostro studio………...34 Obiettivi………...34 Materiali e metodi………..34 Risultati e Discussione………...45 Conclusioni………51 Bibliografia………52 Ringraziamenti………...58

(6)

6

Riassunto

La gravidanza è una condizione fisiologica molto particolare dal punto di vista immunologico. Per la sua unicità, la ricerca di base in questo settore potrebbe consentire una migliore comprensione dei diversi meccanismi patogenetici che riguardano questo campo, come l’infertilità, la poliabortività o le gravi sindromi associate alla gravidanza come la pre-eclampsia. Molti dei meccanismi fisiologici e patologici che riguardano la placenta non sono ancora stati chiariti, sebbene negli ultimi anni siano stati fatti grossi progressi nella ricerca in questo ambito.

Numerosi studi indicano che un ruolo importante spetta sicuramente alle molecole del Complesso Maggiore di Istocompatibilità (MHC), in particolare le molecole HLA-G sembrerebbero svolgere un ruolo determinante nei processi di immunoregolazione che portano al successo della gravidanza.

In particolare, il polimorfismo Ins/Del di 14bp della regione 3’ UTR dell’HLA-G sembrerebbe essere coinvolto in alcune patologie ostetriche. Infatti diversi studi hanno messo in evidenza una correlazione negativa tra la presenza del genotipo Ins/Ins di 14bp e la poliabortività e, l’infertilità. Ad oggi i risultati riportati dai diversi gruppi di ricerca non sono concordi e soprattutto non si conoscono nei dettagli i meccanismi patogenetici che stanno alla base delle diverse patologie.

Il nostro studio si propone di verificare se esiste un’associazione fra la presenza del polimorfismo Ins 14 bp dell’esone 8 dell’HLA-G e un’alterata placentazione ovvero di verificare se la presenza del polimorfismo Del sia protettivo.

Abbiamo arruolato 170 coppie che si sono presentate presso l'ambulatorio della “gravidanza fisiologica e a rischio” e percorso fertilità dell'Unità Ospedaliera di Ginecologia e Ostetricia 2 di Pisa. In base alla clinica sono state divise in 35 coppie con poliabortività, 39 coppie con infertilità, 17 coppie con gestosi precoce e 79 coppie che avevano portato a termine la gravidanza (controlli). Abbiamo arruolato anche 138 donatori di sangue cordonale allo scopo di confrontare le frequenze dei polimorfismi anche con la popolazione generale.

L’analisi è stata condotta su DNA genomico estratto da un campione di saliva prelevato a partire dalle cellule epiteliali di sfaldamento della mucosa buccale. In seguito, sul DNA estratto, dopo una verifica qualitativa e quantitativa,è stata effettuata l'amplificazione dell'esone 8 contenente il polimorfismo 14bp. Gli ampliconi sono stati successivamente sottoposti a

(7)

7 sequenziamento diretto e gli elettroferogrammi ottenuti analizzati in maniera automatica mediante un apposito sofware di interpretazione per la correttazione assegnazione dei genotipi. Le frequenze alleliche e del genotipo della regione 3’ UTR sono state ottenute tramite conta diretta. I singoli confronti delle frequenze alleliche e del genotipo tra le popolazioni sono state eseguite usando il test di Fisher.

Nella prima fase dello studio abbiamo effettuato un confronto fra le frequenze alleliche e genotipiche del totale delle pazienti con poliabortività, infertilità e gestosi precoce a confronto con quelle che avevano portato a termine la gravidanza. L'analisi statistica ha messo in evidenza una differenza significativa (p=0,0215) nella distribuzione dei genotipi. In particolare sembrerebbe che l’allele 14bp+ sia maggiormente presente nella popolazione delle pazienti. Dal momento che sappiamo che il genotipo dell’embrione dipende sia dal padre che dalla madre,allo scopo di stimare il carico genetico della componente materna nell’embrione a produrre la proteina HLA-G, nella seconda fase abbiamo effettuato lo stesso confronto ma questa volta sulle coppie, includendo quindi anche il genotipo del partner. Sulla base dei nostri risultati, l'introduzione del contributo genetico paterno, strettamente correlato al polimorfismo INS/DEL di 14bp della regione 3’ UTR, sembrerebbe non influenzare in maniera significativa l’esito favorevole o sfavorevole della gravidanza.

Da un'analisi più attenta abbiamo evidenziato che la popolazione di controllo non rispetta l'equilibrio di Hardy-Weinberg (HW). Di conseguenza per la valutazione della distribuzione delle frequenze alleliche e genotipiche abbiamo deciso di riferirci ad una popolazione generale. Nella terza fase abbiamo stratificato la nostra popolazione di pazienti in tre principali sottogruppi (Poliabortività, Infertilità, Gestosi Precoce) sulla base della patologia le abbiamo confrontate con la popolazione generale. Per quanto riguarda il confronto tra la distribuzione allelica e genotipica nella Poliabortività vs popolazione generale non abbiamo osservato nessuna differenza statisticamente significatività della distribuzione né degli alleli né dei genotipi. Al contrario, sia per l’infertilità sia per la gestosi precoce, abbiamo osservato una differenza nella distribuzione del genotipo 14bp+/14bp+ rispetto alla popolazione generale che è risultata statisticamente significativa (rispettivamente p=0.0012 e p=0.0058).

Sulla base dei dati ottenuti è possibile ipotizzare che sia l’infertilità che la gestosi precoce sono entrambe associate negativamente al genotipo INS/INS e che la conoscenza di questo genotipo nelle donne che vogliono diventare madri può avere delle implicazioni cliniche molto utili nella gestione delle donne che vogliono portare a termine con successo una gravidanza. Infine, il

(8)

8 nostro studio ha messo in evidenza per la prima volta che la gestosi precoce è probabilmente la patologia ostetrica più direttamente influenzata dal polimorfismo Ins/Del 14bp.

(9)
(10)

10

Introduzione

Il concepimento ha davvero qualcosa di magico e di miracoloso. È un processo complesso, in cui tutto deve necessariamente avvenire in sequenze ben precise e con meccanismi così perfetti che sembra incredibile possa avvenire nel corpo di ogni donna. E invece accade e segna l’inizio di un “viaggio” che, nella maggior parte dei casi in 9 mesi condurrà il frutto del concepimento a venire alla luce e in una minoranza di casi si interromperà dopo qualche settimana.

La gravidanza rappresenta un fenomeno fisiologico unico in natura, consistente nella simbiosi tra individui parzialmente diversi o semi-allogenici; il feto infatti porta un corredo genetico per metà di derivazione paterna. Questo tipo di coesistenza richiede una raffinata e complessa regolazione del sistema immunitario, sia materno che fetale, il cui scopo è ad un tempo quello di garantire una efficiente protezione contro eventuali infezioni e nello stesso tempo di consentire l’attecchimento dell’embrione nella mucosa uterina, l’invasione trofoblastica delle arteriole spirali e la normale crescita fetale. A differenza di quanto avviene nei trapianti di organo, nella gravidanza fisiologica scattano meccanismi di tolleranza immunitaria che consentono di non rigettare l’impianto fetale. Si tratta quindi di un processo bifasico: in un primo momento predomina una reazione locale di tipo infiammatorio indispensabile per l’adesione della blastula all’endometrio; in una seconda fase si realizza una complessa modulazione immunitaria in senso anti-infiammatorio che evita il rigetto dell’impianto fetale. Anni di studi e ricerche hanno solo in parte chiarito le modalità attraverso le quali si realizza questo riassetto immunologico. A tutt’oggi, la tolleranza nei confronti del feto da parte del sistema immunitario materno resta un enigma e, per certi aspetti un vero e proprio paradosso immunologico1,2.

Alla luce delle più moderne acquisizioni è stato dimostrato che:

1. il fetoha proprietà immunogene, previene la ricognizione e quindi il rigetto da parte del sistema immunitario materno

2. la risposta immunitaria maternanon è depressa ma specificamente modulata per evitare il rigetto dell’impianto fetale e si attua con meccanismi locali e sistemici

3. l’utero non rappresenta un sito “immunoprivilegiato”, essendo nota la possibilità di attecchimento della gravidanza anche in sedi extra-uterine 3,4

(11)

11 4. la barriera placentare non costituisce un muro di separazione inerte e passivo, quanto

piuttosto un alveare, un “campo di battaglia” di fenomeni reattivi e fenomeni di tolleranza immunitaria capaci di distinguere l’organismo fetale da organismi ostili 5,6.

(12)

12

La Placenta

Impianto, Sviluppo e Struttura

La placenta (dal greco πλακοῦς = schiacciata, focaccia) è una complessa struttura morfo-funzionale deputata alla regolazione degli scambi gassosi e nutritivi materno-fetali; si presenta a termine della gravidanza con una forma discoide di diametro massimo di circa 20 cm, con spessore non uniforme: è più alta al centro dove raggiunge i 2-4 cm per decrescere in periferia fino a 0,5 cm. Il suo peso, superiore a quello del feto fino alla 16-20^ settimana, raggiunge in media i 450-550 g.

É costituita da due componenti: una parte fetale derivata dal trofoblasto, il corion, che formerà i villi coriali e una parte materna, formata dall’endometrio dell’utero, che prende il nome di decidua. La placenta svolge la funzione di ancorare l’embrione all’utero, formando connessioni vascolari necessarie per il trasporto dei nutrienti e favorire lo scambio gassoso tra la circolazione sanguigna fetale e quella materna. Dispone inoltre di efficienti attività enzimatiche ed ormonali ed agisce, in modo ancora poco conosciuto, come una barriera immunologica fra l’ organismo “ospite” materno e quello “estraneo” fetale. Durante i 280 giorni di una normale gravidanza, la placenta si adatta continuamente alle richieste del feto, subendo rapide modifiche strutturali e funzionali, sino a separarsi dalla madre con l’espletamento del parto, per essere espulsa senza alcun danno, nonostante la sua estrema vascolarizzazione7.

Dopo il concepimento, che avviene nelle tube di Falloppio, l'ovulo fecondato, definito zigote, inizia il suo cammino di avvicinamento all'utero, durante il quale subisce una serie di divisioni. Dopo cinque o sei giorni, l’embrione ora costituito da una sfera cava formata da circa 100 cellule, detta blastocisti, raggiunge la cavità uterina.

Intorno al settimo giorno inizia l'impianto (o annidamento) della blastocisti nell'endometrio, grazie al rilascio di particolari enzimi proteolitici da parte della blastocisti stessa. Siamo nel dodicesimo giorno quando questa, dopo esservi penetrata, viene completamente avvolta dall'endometrio e continua il suo sviluppo8.

(13)

13

Fig. 1- Dal concepimento all’impianto: zigote, morula,blastocisti,annidamento.

In seguito sullo strato esterno dell’ovulo fecondato spuntano delle protuberanze spugnose, da cui a loro volta si sviluppa un tessuto irrorato da capillari, che forma i cosiddetti villi coriali. I villi saranno percorsi da vasi sanguigni, attraverso i quali l’ossigeno e il nutrimento vengono trasmessi al bambino. Lentamente, i vasi sanguigni si intersecano a formare un vero sistema circolatorio, che costituirà infine il cordone ombelicale. Nel sito di impianto dell’embrione, i villi coriali si moltiplicano e collaborano alla formazione della placenta, il cui compito sarà quello di sostenere la sopravvivenza e lo sviluppo del bambino durante i nove mesi di gestazione.

I villi coriali, si dividono in villi liberamente fluttuanti nello spazio intervilloso e in villi ancoranti che prendono contatto con la placenta attraverso le colonne di cellule trofoblastiche. Questi ultimi sono i villi che ancorano la placenta alla parete dell’ utero. Il villo coriale fluttuante è costituito da un asse mesenchimale centrale dove scorrono i vasi sanguigni, ed è ricoperto dal trofoblasto. Il trofoblasto consiste di uno strato di grandi cellule poliedriche esterno in continuo contatto con il sangue materno; nel corso della penetrazione all’interno dell’endometrio, il trofoblasto si va differenziando e dopo il superamento della membrana basale dell’endometrio alcune cellule del trofoblasto proliferano e si fondono per formare il sinciziotrofoblasto. Nel sinciziotrofoblasto si creano spazi di liquido separati da trabecole che gli fanno assumere l’aspetto di un materiale spugnoso. Il processo di fusione continuerà per tutta la durata dello sviluppo della placenta e darà luogo al citotrofoblasto dal quale le cellule

(14)

14 si differenziano e formano delle colonne pluristratificate all’interno delle trabecole dando origine ai villi primitivi.

Fig. 2- Differenziazione citotrofoblasto extravilloso (EVT)

Dalla cellula progenitrice del trofoblasto si differenzia il citotrofoblasto extravilloso (EVT) che a sua volta si differenzia in invasivo e proliferativo e in una terza forma di tipo migratoria che costituisce il piatto corionico e il corion laeve.

L’EVT interstiziale invade la decidua e il miometrio dove ha funzione di ancoraggio e di involucro deciduale. L’EVT endovascolare è associato alla trasformazione delle arterie spirali sia a livello della parete che dell’endotelio, con la formazione di una rete vascolare a bassa resistenza. L’invasione trofoblastica è il processo chiave sia per l’impianto che per la successiva placentazione e coinvolge anche le arterie spirali dell’endometrio.

Procedendo l’invasione trofoblastica del tessuto deciduale materno, si vengono a formare delle lacune vascolari tendenti a confluire tra loro, creando uno spazio continuo detto camera intervillosa. In essa, a causa dell’erosione delle arteriole spirali dell’endometrio, è presente sangue materno. Affinché questa invasione possa avvenire, il citotrofoblasto deve acquisire un repertorio di molecole di adesione simile a quello delle cellule endoteliali (vascular endothrlial cadhherin, membri della famiglia IgG, VCAM-1, PECAM-1 e le integrine αVβ3 e α1β1) e rimpiazza l’endotelio materno fino a raggiungere la tonaca la tonaca muscolare dei vasi,

(15)

15 modificandone alcune proprietà. Il diametro delle arteriole spirali può espandersi in modo da accogliere l’imponente aumento di flusso ematico necessario per supportare la rapida crescita fetale che avviene nella fase successiva della gravidanza. Si ha quindi la creazione di un sistema dalle proprietà peculiari: viene ridotta quella che è la forza muscolare dei vasi creando un sistema a bassa resistenza e ad elevato flusso9.

Il trofoblasto arriva ad invadere non solo lo strato superficiale della decidua, ma anche il miometrio, permettendo un saldo ancoraggio della placenta all’utero. Le zone centrali della placenta, che sono quelle più spesse, sono anche quelle con una più profonda invasione trofoblastica.

Nei primissimi stadi di sviluppo il trofoblasto forma dei tappi all’interno dei vasi materni, creando un ambiente a basso tenore di ossigeno. Ciò stimola ulteriormente l’angiogenesi, cioè la produzione di fattori che favoriscono lo sviluppo vascolare placentare, e si pensa che costituisca una protezione dallo stress ossidativo, legato cioè ai radicali liberi dell’ossigeno. L’ambiente placentare aumenta successivamente la tensione di ossigeno passando da meno di 20 mmHg prima delle 10 settimane a oltre 50 mmHg oltre le 15 settimane, quando avviene l’invasione trofoblastica più profonda delle arterie spirali a livello del miometrio.

La placenta a termine è delimitata da due facce: la faccia fetale o piatto coriale e la faccia materna o piatto basale. Tra il piatto coriale e quello basale si trova racchiuso uno spazio detto spazio intervilloso, i cui margini sono sigillati a seguito della fusione del piatto corionico e del piatto basale ai margini della placenta per formare il corion sottile.

(16)

16 Il corion sottile risulta costituito da tre strati: l’ amnios, il corion e la decidua capsularis. Lo spazio intervilloso è perfuso dal sangue materno che così bagna la superficie degli alberi villosi, complesse proiezioni a forma di albero che emergono dal piatto coriale nello spazio intervilloso stesso. All’ interno dei villi si trovano i vasi fetali che sono connessi con la circolazione fetale attraverso il piatto coriale e il cordone ombelicale.

La faccia fetale o piatto coriale è rivolta verso la cavità uterina e dunque verso il feto ed è ricoperta dall’amnios, un epitelio a singolo strato, e dal mesenchima amniotico, un tessuto connettivo avascolare. Il mesenchima amniotico è legato bassamente al mesenchima coriale e può essere facilmente rimosso dalla placenta al momento del parto. Nel piatto coriale si inserisce il cordone ombelicale in una posizione leggermente eccentrica.

Il piatto basale rappresenta la superficie materna della placenta. E’ una superficie definita artificialmente, che si evidenzia alla separazione della placenta dalla parete uterina al momento del parto7. Il piatto basale è composto da un insieme di trofoblasti fetali extravillosi a da tutti i tipi di cellule materne della decidua uterina, comprese le cellule dello stroma , cellule natural killer (NK), macrofagi e altre cellule di tipo immunitario10.

Un sistema di solchi piatti e profondi suddivide il piatto basale in 10-14 regioni detti cotiledoni materni o lobi materni, i quali sono in corrispondenza con la posizione degli alberi villosi emergenti dal piatto coriale e rivolti verso lo spazio intervilloso. Nella placenta a termine, dal piatto coriale emergono 60-70 alberi villosi detti cotiledoni fetali o lobuli fetali, in modo tale che ogni lobo materno sia occupato da uno a quattro lobuli fetali7.

(17)

17 Fig. 4-Struttura del cotiledone placentare composto da solchi (cotiledoni materni) e alberi villosi (cotiledoni fetali)

L’invasione del trofoblasto proliferativo nell’endometrio materno è resa possibile grazie ad un’interazione dinamica cellula-cellula e cellula-matrice, assimilabile ad una reazione di tipo infiammatorio, nella quale entrano in gioco cellule immunocompetenti, interleuchine, fattori chemiotattici e fattori di crescita10.

Un’alterazione di questo processo determina la comparsa di patologie dello sviluppo gestazionale quali la gestosi del terzo trimestre o preeclampsia , il ritardo intrauterino della crescita fetale e alcuni tipi di poliabortività11.

Laddove non sarà avvenuta una corretta invasione fino al loro tratto intramiometriale, segmenti anche estesi delle arterie spirali manterranno inalterata la loro reattività alle catecolamine ed altre sostanze vasocostrittrici, impedendo la formazione del sistema a bassa resistenza e alta capacità10. Addirittura, nella gestosi EPH, la reattività vascolare sembra aumentare. In questa patologia, a livello circolatorio l’ischemia placentare darà origine ad una lesione inizialmente circoscritta degli endoteli e del trofoblasto villoso; in seguito avremo un’immissione in circolo di mediatori derivati dal danno endoteliale, con attivazione della cascata coagulativa, un’aumentata liberazione di fattori vasocostrittori e diminuita liberazione dei fattori vasodilatatori, fino ad arrivare all’instaurazione di un circolo vizioso che non farà altro che peggiorare la situazione clinica12.

(18)

18 La gestosi/preeclampsia, ancor oggi killer numero uno dell’ostetricia, è una sindrome multifattoriale che attraverso la rottura della barriera placentare, conduce ad un drammatico processo immunologico di “rigetto fetale ” che colpisce fino al 10% delle gravidanze, con i più elevati indici di mortalità e disabilità materno/fetali11.

In questa prospettiva, la ricerca sull’immunobiologia placentare può aprire nuovi orizzonti di conoscenza “trasversale“ sui meccanismi di “tolleranza e di rigetto”, validi non solo per la prevenzione della patologia ostetrica ma anche per ottimizzare il destino dei trapianti d’organo e la terapia dei tumori. Numerosi dati indicano che la localizzazione anatomica del feto rappresenta un fattore critico per l’assenza di rigetto. Per esempio, gli animali in gravidanza sono in grado di riconoscere e rigettare allotrapianti singenici al feto localizzati in siti extrauterini senza compromettere la sopravvivenza del feto. Blastocisti fetali interamente allogeniche che mancano dei geni materni possono svilupparsi con successo in una donna gravida o pseudogravida. Quindi, per la sopravvivenza del feto non sono necessari specifici geni né materni né paterni. L’immunizzazione della madre con cellule che esprimono gli antigeni paterni non compromette la crescita della placenta e del feto. Molta attenzione è stata rivolta in questi ultimi anni alle molecole del Complesso Maggiore di Istocompatibilità (MHC), in particolare le molecole HLA-G sembrerebbero svolgere un ruolo determinante nei processi di immunoregolazione che portano al successo della gravidanza.

(19)

19

HLA-G

Il feto esprime geni ereditati dal padre che sono allogenici per la madre, ma normalmente i feti non vengono rigettati dalla madre. In sostanza, il feto è un trapianto naturale che risulta protetto dal rigetto. È chiaro che la madre è esposta agli antigeni fetali durante la gravidanza, poiché sono facilmente individuabili anticorpi materni contro le molecole MHC di origine paterna. Ovviamente, vi è stata una forte pressione selettiva che ha portato all’evoluzione di meccanismi che proteggono il feto dal sistema immunitario materno, ma questi meccanismi sono ancora poco conosciuti. A questo fenomeno è probabile che contribuiscano molteplici caratteristiche di tipo molecolare e di barriera della placenta, oltre a uno stato di immunosoppressione locale. Numerosi studi indicano che il mancato rigetto del feto è focalizzato fortemente a livello della regione di contatto fisico tra madre e feto. I tessuti fetali della placenta che più intimamente sono in contatto con la madre sono composti sia dal trofoblasto vascolare, sia dal trofoblasto al sito d’impianto, che infiltra diffusamente la mucosa uterina (decidua) al fine di ancorare la placenta alla madre. Le cellule del trofoblasto non esprimono le molecole MHC paterne classiche bensì una molecola di classe IB non polimorfa, chiamata HLA-G. Infatti, tra i vari meccanismi locali attraverso i quali il trofoblasto riesce ad evitare l’attacco da parte del sistema immunitario materno, un posto di rilievo spetta senza dubbio alla particolare configurazione delle molecole HLA espresse sulla sua superficie che sono coinvolte nella presentazione antigenica al sistema immunitario materno13. In sostanza la decidua uterina potrebbe essere un sito dove le risposte immunitarie sono funzionalmente inibite.

Il sistema HLA

Nell'uomo il sistema MHC è definito "Human Istocompatibilty Antigens" (HLA) e comprende un gruppo di antigeni ematici e tissutali (glicoproteine) codificate da un set di geni localizzati sul braccio corto del cromosoma 6. Tali molecole si trovano sulla superficie cellulare e agiscono come antigeni, potendo quindi innescare delle reazioni immunologiche; consente di distinguere il “self” dal “non self” ed è pertanto alla base del processo di rigetto degli organi trapiantati, in quanto riconosce un tessuto “estraneo” che non esprime lo stesso corredo di antigeni HLA sulla sua superficie (prima di un trapianto è fondamentale dunque la tipizzazione HLA).

(20)

20 Gli antigeni del sistema HLA sono divisi in due classi: classe I (comprendente i loci HLA-A,B,C, che codificano per molecole esposte su tutte le cellule nucleate); classe II (HLA-D, a sua volta diviso in tre sottoclassi DP, DQ, DR, che codificano per molecole presentate dalle cellule dell'immunità come cellule dendritiche, macrofagi, linfociti B).

Fig. 5-Mappa della regione del cromosoma 6 che codifica per HLA

Una delle principali caratteristiche di queste molecole (sia della classe I che II) è il polimorfismo allelico: attualmente sono infatti note più di 1300 varianti alleliche di HLA, ereditate per via Mendeliana in modo codominante, in modo tale che ciascun individuo esprima entrambi gli alleli (ereditati dalla madre e dal padre)14.

Le cellule del trofoblasto non esprimono le molecole MHC di classe I e II “classiche”, tranne che per bassi livelli di HLA-C. In contrasto, i trofoblasti invasivi esprimono le molecole MHC di classe Ib, di cui la più studiata è HLA-G13. Lo studio di Chifenti et al. ,condotto a Pisa, ha osservato la presenza dell’HLA-G sia nel citosol che all’interno del nucleo13bis

(21)

21

Struttura,isoforme e funzioni dell’HLA-G

Le molecole HLA-G sono molecole non-classiche HLA di Classe I che svolgono un ruolo cruciale nella regolazione del sistema immunitario. Numerosi studi hanno dimostrato un loro coinvolgimento nell’induzione della tolleranza materno-fetale15,16

.

Gli antigeni presenti sulla superficie dell'embrione o prodotti dall'embrione devono segnalare alle cellule immunitarie materne che si tratta di materiale biologico “self” e non di “non-self” o estraneo, in modo che nella gestante non si produca una risposta immunitaria che porti al rigetto dell'embrione17,18. L'HLA-G è l'antigene che l'embrione secerne proprio per inviare questo segnale. Anomalie nel meccanismo di segnalazione possono essere evidenziate attraverso l'analisi genetica dell' HLA-G materno e paterno19,20.

Il gene che codifica per questo allele mappa sul cromosoma 6 e, rispetto agli altri geni HLA della Classe I, mostra un basso polimorfismo. Le principali caratteristiche dell’antigene HLA-G sono15,21,22 :

 basso polimorfismo allelico

 ristretta distribuzione tissutale

 differente splicing dell’mRNA che genera sette isoforme proteiche

 possibile funzione biologica nell’induzione della tolleranza verso il “non self” ed antinfiammatoria.

Le sette isoforme proteiche di questo antigene sono ulteriormente classificate in una forma solubile (HLAG5,G6 e G7) ed in una forma ancorata alla membrana cellulare (HLAG1 -G2, -G3 e -G4)23,24.

(22)

22 Fig. 6-Le 7 isoforme proteiche dell’HLA-G classificate in forma solubile e forma ancorata alla membrana cellulare.

Numerosi studi hanno dimostrato che polimorfismi nella regione di regolazione 5’UTR e nella regione 3’UTR possono contribuire alla regolazione dell’espressione di HLA-G25,26

.

Le isoforme solubili contengono l’introne 4 che include un codone di stop ed anticipa l’arresto della traduzione dell’mRNA prima del dominio transmembrana.

Dal punto di vista clinico, il polimorfismo di inserzione/delezione di 14 bp in 3’UTR dell’esone 8 è risultato essere molto interessante in quanto correlato alla stabilità dell’mRNA ed alla quantità della proteina HLA-G prodotta. L’allele con un’inserzione di 14 base pairs (bp) è stato associato a livelli d’espressione di HLA-G più bassi rispetto all’allele con la delezione di 14bp26,27. Un possibile marker della regolazione dello sviluppo dell’embrione sembra essere la proteina sHLA-G (HLA-G solubile) poiché è stata trovata nel supernatante di colture di embrioni umani ottenuti tramite IVF (In Vitro Fertilasation). La concentrazione della proteina sHLA-G dipende dal genotipo sia della gestante che dell’embrione. Pertanto per stimare le potenzialità dell’embrione a produrre la proteina sHLA-G è utile che l’analisi delle varianti del gene HLA-G sia eseguita su entrambi i partners. Non solo ma alcuni studi hanno dimostrato che sHLA-G è contenuta a livello del liquido seminale pertanto potrebbe essere un importante fattore di fecondazione28,29,30.

(23)

23 A tutt’oggi le esatte funzioni delle molecole HLA-G sono note solo parzialmente, sebbene varie ipotesi siano state formulate. La più recente ed accreditata sostiene che HLA-G giuochi un ruolo nella resistenza del trofoblasto non-villoso alla lisi mediata dalle cellule NK uterine (uNK), presenti in grande numero a questo livello, inibendone l’attività citolitica e la migrazione attraverso la placenta31.

Fig. 7-Ciclo dell’HLA-G Trogocitosi, endocitosi, degradazione e infine reacquisizione forniscono una acquisizione temporanea e localizzata di nuove proprietà funzionali da dNK (Unk) dopo l'interazione con EVT.

Le cellule uNK rappresentano un subset cellulare specializzato e specifico dell’utero, costituendo circa il 70 % della popolazione leucocitaria nel primo trimestre di gravidanza; hanno funzioni NK-simili, ma fenotipo differente. Esprimono infatti meno recettori di attivazione rispetto alle cellule NK del sangue periferico e più recettori inibitori tra i quali CD85 e KIR2DL4 (Ig-like)32.

(24)

24 Si ritiene che il principale meccanismo che impedisce alle cellule uNK di attaccare il citotrofoblasto non-villoso, sia correlato all’interazione tra i recettori inibitori espressi sulla loro superficie con le molecole HLA-G, HLA-E ed HLA-C presenti sul trofoblasto. A seguito di questa interazione l’attività litica delle cellule uNK viene inibita e la produzione di citochine risulta modulata in senso Th233. In poche parole il riconoscimento HLA-G/uNK determina l’inibizione della citotossicità nei confronti del non-self e quindi la tolleranza verso il feto. L’importante contributo delle molecole HLA-G al successo della gravidanza è stato ampiamente dimostrato dalle seguenti osservazioni: la sua ridotta espressione si osserva in diverse situazioni patologiche come la preeclampsia/gestosi34 e in aborti spontanei ricorrenti35.

(25)

25

Infertilità

Definizione e Eziologia

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità una coppia è da considerarsi infertile quando non è in grado di concepire e di avere un bambino dopo un anno o più di rapporti non protetti. Vengono definite affette da infertilità secondaria quelle coppie che non riescono ad avere un bambino dopo una gravidanza coronata da successo.

La definizione di infertilità proposta dall’OMS trae origine da un noto lavoro di M. J. Whitelaw pubblicato nel 1960 che dimostrava sulla base di uno studio condotto su una popolazione omogenea degli Stati Uniti, come circa il 56% delle coppie sane concepiva entro il I° mese di rapporti sessuali, il 78% entro il 6° mese e ben l’86% delle coppie concepiva entro il 12° mese. E’ ben riportato in letteratura che la fertilità di una coppia correla con la frequenza coitale e con l’età della donna, mentre non è dimostrata alcuna correlazione con l’età dell’uomo; tra i fattori influenzanti la fertilità sono sicuramente riconosciuti:

1. il fumo di sigaretta

2. l’esecizio fisico con la dieta e le variazioni del peso corporeo , meno evidente per il maschio

3. fattori psico-emozionali

4. patologie mediche e chirurgiche tra le quali, per il versante maschile, sono primariamente chiamati in causa il varicocele, il criptorchidismo e le orchialgie acute (sia da torsioni funicolari che dalle meno conosciute “spermatorragie”, microrotture del tubulo epididimario descritte da Schoysman sin dal 1981)

5. farmaci (chemioterapici antiblastici, ma anche antibiobici, metoclopramide, cimetidina, fenotiazine, ecc.) ed agenti chimici (stupefacenti, prodotti dell’industria della plastica) e fisici (ipertermia, radiazioni)

(26)

26 Ormai è ben conosciuto che il problema infertilità, coinvolgente circa il 15-20% delle coppie, riconosce:

 per il 30-40% una causa maschile  per il 30-40% una patologia femminile  per il 20% un problema sanitario di entrambi  per il restante 10-20% una causa idiopatica36.

Infertilità e HLA-G in letteratura

Sulla base di quanto precedentemente discusso in merito alle cause dell'infertilità, ci siamo interrogati se tra le cause idiopatiche, quindi inspiegate, fossero implicati fattori genetici considerando che l’infertilità possiamo interpretarla come una forma di rigetto dell’impianto fetale precocissimo. Infatti l’'immunogenetica della riproduzione ha intensamente studiato ed ha prove che indicano che i fattori genetici possono influenzare l’esito della gravidanza umana37. Nello specifico esistono diversi studi in letteratura che evidenziano la correlazione tra una scarsa espressione di sHLA-G da parte della madre e fallimenti delle terapie IVF38,39. La concentrazione della proteina sHLA-G rilasciata dall’embrione e anche quella prodotta dalla mamma dipende in parte dal genotipo del gene HLA-G. In particolar modo da alcune varianti che alterano l’espressione del gene e/o che causano una degradazione maggiore del trascritto. Le differenze nella concentrazione dell’HLA-G sono quindi in buona parte determinabili dall’analisi del gene HLA-G40,26,41

. Nel quadro della diagnostica di infertilità di coppia, poiché il genotipo dell’embrione dipende sia dal padre che dalla madre, per stimare le potenzialità dell’embrione a produrre la proteina sHLA-G viene eseguita su entrambi i partners come spiegato sopra.

La difficoltà nel concepire naturalmente e i ripetuti fallimenti relativi al trattamento di riproduzione assistita (ART) hanno portato i ricercatori a investigare sulla possibile associazione genetica. Un esempio è lo studio condotto sul profilo dell’HLA-G in 33 coppie infertili che si sottopongono a ART a confronto con 120 coppie che hanno concepito naturalmente (controlli). I risultati riportano una elevata presenza di Polimorfismi a Singolo Nucleo (SNPs) nelle regioni 5’ UTR e 3’ UTR dell’HLA-G, i quali sono associati con la sua

(27)

27 regolazione e i suoi livelli di espressione. Allo stesso modo i livelli sierici di sHLA-G sono stati associati con determinati alleli HLA-G42.

Sebbene sia ormai nota la stretta associazione tra i meccanismi di rigetto del feto e i fattori immunologici locali, non esiste ancora un risultato scientifico certo e unanime che attesti quale sia il fattore/fattori determinanti e la modalità d'azione.

Nello specifico la molecola dell' HLA-G sembrerebbe essere quella maggiormente implicata nell'interazione e tolleranza materno-fetale. Rimane ancora dibattuto il ruolo di particolari polimorfismi genetici che in qualche modo dovrebbero favorire o sfavorire l'impianto dell'embrione. Sulla base di quanto riportato in letteratura, il polimorfismo di 14bp presente nella regione 3'UTR dell'esone sembrerebbe quello più interessante anche se ad oggi i dati sono contrastanti.

(28)

28

Poliabortività

Definizione ed Eziologia

L’aborto, la più comune complicanza della gravidanza, si definisce secondo l’OMS come l’interruzione spontanea della gravidanza entro le 22 settimane complete di amenorrea oppure entro 499g di peso fetale o una lunghezza minore o uguale a 25 cm. Sebbene il 15% delle gravidanze clinicamente riconosciute esiti in aborto, si ha motivo di ritenere che il 70% del numero totale delle gravidanze, comprese quelle non riconosciute clinicamente, evolva in aborto43.

Si distinguono tre tipi di aborto: occasionale, ripetuto e ricorrente. Si parla di aborto ripetuto quando, nella storia ostetrica di una donna, si verificano due episodi consecutivi di aborto entro la 20esima settimana di gravidanza. Questa condizione si riscontra in circa l’1% delle coppie in età fertile. L’aborto ricorrente è, invece, definito come la presenza di tre o più episodi consecutivi di aborto spontaneo44. Ampi studi indicano che non ci sono differenze nella frequenza dei fattori diagnostici tra donne con due o più aborti45. Sulla base di questi risultati la Commissione Pratica dell’ASRM (American Society for Reproductive Medicine) definisce gli aborti ricorrenti come due o più fallimenti di gravidanza46. Attualmente, si parla più genericamente di poliabortività.

La prevalenza della poliabortività è considerevolmente più bassa rispetto a quella degli aborti occasionali, che vanno da 0,8-1,4% a 2-3%, se si includono le gravidanze biochimiche (aborti così precoci che non sono neanche confermati da indagine istologica ed ecografica)47.

Le cause di poliabortività comprendono: 1. anomalie cromosomiche

2. patologie autoimmuni come ipotiroidismi non trattati e diabete mellito 3. anomalie anatomiche dell’utero

4. trombofilia ereditaria 5. infezioni

(29)

29 L’incidenza delle anomalie cromosomiche fetali, le quali vanno dal 29 al 60% in donne con poliabortività, diminuisce all’aumentare degli aborti. Questo dato fa supporre che ci potrebbero essere altri meccanismi che giocano un ruolo nella poliabortività49. La correzione dei disordini endocrini e il trattamento della Sindrome da Antifosfolipidi (APS), le più comuni cause autoimmuni delle complicanze in gravidanza, sono risultati efficaci nel controllo degli aborti48 rimarcando il possibile ruolo dell’immunità nella gravidanza. Ad ogni modo, la prevenzione per la poliabortività rimane una necessità medica insoddisfatta che spinge i ricercatori a trovare delle possibili risposte nell’immunobiologia.

Poliaborività e HLA-G in letteratura

L’utero e la placenta costituiscono un unico sito di modulazione immunologica dove il feto semi-allogenico viene tollerato dal sistema immunitario materno. Diversi anni di ricerca hanno identificato la molecola dell’HLA-G fisiologicamente espresse sull’EVT50, come una molecola operativa nel promuovere la tolleranza durante la gravidanza51.

Il locus dell’HLA-G contiene numerosi polimorfismi nelle regioni non codificanti, incluse quelle presenti nella regione 3’ UTR, che influenza l’espressione dell’HLA-G. Tra i polimorfismi della regione 3’ UTR, i più studiati sono le Inserzioni/Delezioni di 14bp che sono state associate alla stabilità dell’mRNA dell’HLA-G26

.

Numerosi sforzi sono stati fatti nel definire se le variazioni genetiche che influenzano l’espressione dell’HLA-G fossero associate con la tolleranza fetale e le complicazioni in gravidanza. Diversi studi condotti per definire l’influenza di 14bp Ins/Del nella poliabortività riportano risultati contrastanti52,53. Studi di meta-analisi recenti attribuiscono queste differenze nei risultati all’eterozigosità delle coorti analizzate e ai criteri utilizzati per selezionare i pazienti54,55. Tuttavia, Wang et al.54 riportano un’associazione tra 14bp Ins e aborti ricorrenti e comunque un rischio di aborto ricorrente indipendentemente dal numero di perdite di gravidanza. Fan et al.55, invece, riportano un’associazione solo in donne con 3 o più aborti. Anche in questo caso, così come per l’infertilità, il polimorfismo Ins/Del di 14bp nella regione 3’ UTR dell’HLA-G rimane ancora oggetto di studio nell’ambito della poliabortività allo scopo di definire il suo ruolo.

(30)

30

Preeclampsia

Definizione e Fattori di Rischio

La gestosi, definita anche pre-eclampsia (PE), è una seria complicazione della gravidanza caratterizzata dalla presenza di ipertensione arteriosa e proteinuria in donne precedentemente normotese e non proteinuriche56. A queste manifestazioni si associa, quasi costantemente, il difetto di crescita intrauterino del feto. Storicamente, i disturbi ipertensivi in gravidanza rappresentano una delle principali complicanze ostetriche. Numerosi sono gli aspetti che rendono peculiare questa condizione, primo fra tutti il fatto che la PE è una sindrome specifica della gravidanza. Inoltre, la sua espressione clinica, lungi dall’essere univoca, è caratterizzata da quella notevole variabilità che è propria delle sindromi multisistemiche. Infine, nonostante le sempre più accurate possibilità di studio, gli esatti meccanismi eziopatogenetici rimangono ignoti,precludendo, di conseguenza, la possibilità di un approccio causale a tale patologia57. La PE è una malattia della gravidanza che insorge dopo la 20a settimana, con una frequenza del 2-7%, caratterizzata da elevati valori pressori (superiori a140/90), edemi generalizzati e proteinuria (valore superiore a 300mg/l in un campione casuale o un’escrezione superiore a 300mg/24 ore). Raramente può complicarsi in eclampsia vera e propria con insorgenza di convulsioni e coma. La percentuale di mortalità perinatale è più alta nei feti di madri pre-eclamptiche e questi decessi possono essere il risultato di una morte intrauterina per insufficienza placentare e/o distacco di placenta. L'incidenza della PE viene stimata tra il 10% ed il 20% nelle prime gravide e il rischio di ricorrenza è compreso tra il 7,5% ed il 29%. I principali fattori di rischio sono:

 Età: le donne di età superiore a 35 anni presentano un'incidenza di gestosi superiore di circa 3 volte a quella delle donne giovani.

 Storia familiare: L'incidenza di PE è 4 volte più alta nelle sorelle di donne che hanno avuto la PE.

 Cattiva placentazione: il riscontro flussimetrico di elevate resistenze e/o di ridotta elasticità dei vasi uterini è indice di cattiva funzione placentare e quindi di aumentato rischio di gestosi.

 Ipertensione: il riscontro di pressione arteriosa elevata prima della 20a settimana di gestazione è stato associato al successivo sviluppo di PE.

(31)

31

 Nefropatia: una patologia renale preesistente aumenta l'incidenza di ipertensione fino al 48% nel 3° trimestre di gestazione. Anche l'infezione delle vie urinarie in gravidanza aumenta di 1,5 volte il rischio di PE.

 Fattori immunologici: quello dei fattori immunologici è un capitolo importante e innovativo nell'ambito dello studio dei fattori di rischio per Preeclampsia. In particolare, vari studi (tra cui uno studio caso-controllo di De Luca Brunori I. e Coll. “Increased HLA-DR Homozygosity associated with pre-eclampsia” pubblicato su Human Reproduction nel 2000) hanno sottolineato l'importanza del sistema HLA (Human Leucocyte Antigen)57bis.

 Primiparità: la relazione tra primiparità ed eclampsia suggerisce l'esistenza di un meccanismo immunologico che rende unica la prima placentazione. Alcuni Autori hanno suggerito l'esistenza di un meccanismo protettivo nei confronti degli antigeni paterni nelle gravidanze successive.

 Gemellarità: la gemellarità aumenta il rischio di gestosi di oltre tre volte. Il rischio aumenta con l'aumentare del numero di gemelli57.

Eziologia ed HLA-G in PE

L’evidenza che la PE si manifesta esclusivamente in gravidanza e si risolve con il parto, ha storicamente suggerito che l’indiziato eziopatogenetico più probabile sia l’elemento più caratteristico della gravidanza ovvero la placenta.

Risale a 50 anni fa la prima osservazione di ridotto flusso ematico nelle placente di donne ipertese: lo studio istologico di biopsie placentari ha fornito una giustificazione a tale fenomeno, dimostrando l’assenza delle modificazioni vascolari, legate al fisiologico processo di placentazione, nei casi affetti da PE.

Tali evidenze hanno suggerito che la mancata invasione trofoblastica delle pareti delle arterie spirali costituisca uno degli eventi chiave dell’eziopatogenesi di tale patologia. Ciascuno dei meccanismi di rimodellamento vascolare, a partire dalle più precoci modificazioni trofoblasto-dipendenti, potrebbe essere deficitario nelle donne destinate a sviluppare PE. In particolare in placente di donne preeclamptiche è stata evidenziata la mancata espressione di molecole di adesione simil-endoteliali, normalmente presenti sulla superficie delle cellule del trofoblasto endovascolare 58. Altre ipotesi patogenetiche riguardano un’alterazione della regolazione del processo di apoptosi dei trofoblasti, dell’espressione di HLA-G59

(32)

32 concentrazioni di ossigeno. Nelle prime settimane di gravidanza infatti, la condizione di ipossia fisiologica potrebbe essere uno dei meccanismi di regolazione genica del processo di invasione60. Il corso di questa patologia può essere quindi riassunto in due step principali: uno stadio iniziale, che avviene durante i primi mesi di gravidanza e resta per lo più localizzato a livello placentare, in cui l’insufficiente invasione trofoblastica determina una ridotta placentazione e quindi una condizione di stress ossidativo; un secondo stadio in cui il rilascio nella circolazione materna di fattori placentari del tessuto danneggiato (ad es. microparticles), determina una risposta infiammatoria sistemica e una disfunzione endoteliale che porta ai classici segni e sintomi della PE57,61.

Se la patogenesi della mancata invasione trofoblastica, sebbene ancora da definire, ha trovato una direzione interpretativa, l’eziologia rimane ad uno stadio puramente speculativo. Attualmente una delle ipotesi più accreditate è quella immunitaria, secondo la quale il riconoscimento da parte del sistema immunitario materno controlla il processo di invasione trofoblastica e se deficitario potrebbe causare un’alterazione di questo processo. Come abbiamo già accennato le cellule uNK sono dotate di una classe di recettori polimorfici chiamata KIR in grado di interagire con l’antigene HLA-G e determinare l’inibizione della citotossicità nei confronti del non-self e quindi determinano la tolleranza verso il feto26. Poiché alcune di queste non sono in grado di inibire sufficientemente il fenotipo citotossico pro infiammatorio delle uNK, ne risulterebbe un’attivazione della risposta infiammatoria che andrebbe a ripercuotersi sulla migrazione trofoblastica e sulla funzionalità endoteliale. Il possibile coinvolgimento della disfunzione endoteliale nella fisiopatologia della PE è supportato dall’evidenza di numerose alterazioni dei parametri di funzionalità endoteliale. In PE, infatti, i markers di infiammazione sistemica come i livelli sierici di IL-8, IL-6, TNF-α oppure l’attivazione del complemento, delle piastrine e dei leucociti sono più elevati rispetto alle gravidanze normali61. In realtà la gravidanza comporta fisiologicamente un’attivazione generalizzata del sistema immunitario innato che si realizza mediante leucocitosi, attivazione del sistema coagulativo, del complemento e delle piastrine. Tali considerazioni consentono di ipotizzare che la risposta infiammatoria sistemica della PE non sia intrinsecamente diversa da quella di una normale gravidanza, eccetto per il fatto che è più severa e scompensata57.

Appurato il ruolo dell’immunologia nella PE, anche per questa patologia è stato ed è tutt’oggi analizzato il polimorfismo Ins/Del della regione 3’ UTR dell’HLA-G. Sono stati trovati specifici allele associati con la PE62,63 e alcuni di questi hanno in comune la presenza

(33)

33 dell’inserzione 14bp in 3’ UTR dell’eaone 864,63

. L’inserione 14 bp si associa ad una riduzione dei livelli di mRNA dell’HLA-G26,64,65

e del sHLA-G nel siero66.

Numerosi studi effettuati su popolazioni diverse e su coorti diverse, sembrerebbero aver ottenuto lo stesso risultato: non esiste alcuna correlazione tra la PE e i polimorfismi 14bp+ e 14bp- nella regiore 3’ UTR dell’HLA-G.

(34)

34

Il nostro studio

Obiettivi

In questo studio ci siamo focalizzati sull'analisi di coppie che hanno manifestato problematiche di fertilità o disordini nel periodo di gestazione. Sulla base di quanto riportato in letteratura, sull'influenza di determinati fattori genetici implicati nella gravidanza, è stata effettuata un'accurata analisi del polimorfismo inserzione/delezione di 14 bp in 3’ UTR del gene HLA-G. I dati ottenuti sono stati confrontati con quelli ottenuti dalle coppie con esito favorevole della gravidanza. Inoltre, sono stati arruolati donatori di sangue cordonale allo scopo di stimare la frequenza del polimorfismo di 14bp nella popolazione generale. Il nostro elaborato si propone di verificare se esiste un’associazione fra la presenza del polimorfismo Ins 14 bp dell’esone 8 dell’HLA-G e un’alterata placentazione ovvero di verificare se la presenza del polimorfismo Del sia protettivo.

Materiali e Metodi

Soggetti analizzati ed estrazione di DNA genomico

In questo studio abbiamo arruolato 170 coppie che si sono presentate tra Marzo 2015 e Marzo 2017 presso l'ambulatorio della “gravidanza fisiologica e a rischio” e percorso fertilità dell'Unità Ospedaliera di Ginecologia e Ostetricia 2 di Pisa suddivise sulla base clinica dello stato della gravidanza, fisiologica e fisiopatologica. Nello specifico, dopo un’attenta anamnesi familiare, personale fisiologica e patologica abbiamo selezionato:

 79 coppie che avevano portato a termine la gravidanza con successo

 35 coppie con poliabortività

 39 coppie con infertilità

(35)

35 Tabella 1-Storia gravidica e caratteristiche delle coppie

Poliabortività Infertilità Gestosi precoce Controlli

Pazienti 35/91 39/91 17/91 79

Età media 38,7 36,1 31,5 38,5

Etnia caucasica Tutte Tutte Tutte Tutte

Aborti 126/152 13/17 0 0

Nati vivi 26/152 4/17 9 172

Morti prenatali 0 0 2 0

Al termine della visita e dopo aver ottenuto il loro consenso informato, è stato effettuato un prelievo di saliva utilizzando un apposito di estrazione del DNA KIT (Orangene DNA-DNA Genotek Inc, Ottawa, ON, Canada).

Il DNA genomico è stato estratto a partire dalle cellule epiteliali di sfaldamento della mucosa buccale presenti nella saliva. Per questa metodica sono sufficienti 200-500 µl di saliva che vengono introdotti mediante un collettore in un tubo di raccolta.

Fig.8 –DNA KIT per il prelievo di saliva.

Al momento della chiusura dell'imbuto di raccolta, da parte dell'operatore, mediate rottura di una membrana viene introdotto nel tubo un buffer di conservazione. A questo punto il campione raccolto può essere conservato per 2 settimane a 4°C o essere processato immediatamente. Per l'estrazione del DNA si procede utilizzando il metodo manuale del salting-out (metodo di Miller modificato). In breve, 300 µl di soluzione contenente le cellule di

(36)

36 sfaldamento viene trasferita in una eppendorf da 2 ml e sottoposta a centrifugazione per 1 min a 10.000 xg. A questo punto, al pellet vengono aggiunti 300 µl di soluzione WCLB (White Cell Lysis Buffer) lisante le cellule, contenente 0,01M di Tris (pH 8.0), 0.4 M NaCl, 0.002M EDTA (pH8.0), 20µl di SDS al 10%. La soluzione è incubata a 60°C per due ore: in questa fase le cellule vengono lisate rilasciando in soluzione il DNA. La precipitazione del DNA è effettuata mediante l'aggiunta alla soluzione di 200 µl di Sodio Acetato saturo; il campione viene agitato vigorosamente per circa 1 minuto e centrifugato a 12.000 g per 4 minuti. Alla fase acquosa, contenente il DNA, sono aggiunti 2 volumi di etanolo al 99.9% per la precipitazione definitiva. Il pellet di DNA, a questo punto visibile, è trasferito in una nuova eppendorf contenente 2 volumi di etanolo al 70% e centrifugato a 14.000 g per 1 minuto. Eliminare la soluzione di etanolo per inversione e lasciare asciugare il pellet per alcuni minuti. Il pellet di DNA è ricostituito con 100 µl di acqua.

La verifica della qualità e quantità dell’DNA estratto riveste un ruolo cruciale al fine di evidenziare un’eventuale degradazione o una contaminazione che può compromettere le successive fasi di analisi. Per l’analisi quantitativa ci siamo affidati al metodo della lettura spettrofotometrica, che sfrutta la capacità degli acidi nucleici di assorbire la luce UV con un massimo di assorbimento ad una lunghezza d’onda di 260 nm. La tecnica consiste nel preparare una cuvetta di quarzo in cui abbiamo posto 98 µl della stessa soluzione con la quale è stato eluito il DNA più 2 µl del DNA.

Tramite la legge di Lambert-Beer, relazione empirica che correla la quantità di luce assorbita da un mezzo alla concentrazione dello stesso e allo spessore del mezzo attraversato, abbiamo effettuato un'analisi quantitativa dell’DNA estratto.

L’assorbanza A (detta anche densità ottica, DO) per una soluzione viene dunque espressa come:

A= Ɛλl M

Dove Ɛλ è il coefficiente di estinzione molare e si ritiene un parametro costante per una data sostanza ad una lunghezza d’onda; nel caso dell’DNA il coefficiente di estinzione molare assume valore 50 ng/µl; M è la molarità della soluzione; l è il cammino ottico di norma 1 cm.

(37)

37

Fig.9 –Un fascio di luce di intensità I0 attraversa uno spessorel di una soluzione a concentrazione c e ne emerge con intensità I1

A questo punto per risalire alla concentrazione iniziale della soluzione bisogna tenere presente anche la diluizione effettuata. Nel nostro caso i valori ottenuti dalla misurazione spettrofotometrica dei campioni di DNA totale estratti da sangue intero presentavano un range compreso tra concentrazioni di 50 ng/µl e 100 ng/µl.

Per la determinazione della purezza abbiamo utilizzato il rapporto ottenuto tramite l’analisi spettrofotometrica:

- rapporto A260/A280: indica la presenza di eventuale contaminazione di proteine nel templato. Per il DNA un buon valore è rappresentato da un range che va da 1,6 a 1.9 circa, rapporti superiori indicano contaminazioni da proteine.

Un altro fattore molto importante nella valutazione degli acidi nucleici e ribonucleici è l’analisi qualitativa, che è stata effettuata mediante la corsa elettroforetica su gel di agarosio al 1.5-2% con l’ausilio del bromuro di etidio come agente intercalante, e successiva lettura delle bande ricercate mediante analisi ai raggi UV. Questo processo sfrutta le caratteristiche polianioniche degli acidi nucleici che, sottoposti ad un campo elettrico, migrano dal polo negativo al polo positivo attraverso il gel, che presenta una rete di pori in grado di separare le molecole in base alle loro dimensioni; infatti, più esse sono piccole, maggiore è la loro velocità di migrazione. Nei pozzetti del gel sono stati caricati 10 µl di una soluzione contenente 2 µl di DNA totale estratto,2 µl di Loading buffer (es. Blu di Bromofenolo/ Xilene Cianolo) e 6 µl H2O.

Alla fine della corsa elettroforetica, deve essere evidenziabile una banda di elevato peso molecolare a indice di presenza e di integrità del nostro DNA.

(38)

38 Tipizzazione molecolare del polimorfismo di 14bp della molecola HLA-G

L’analisi dei polimorfismi delle molecole HLA-G è comunemente effettuata mediante tecniche di biologia molecolare come la PCR (Polymerase Chain Reaction). La reazione consiste in una serie di cicli sequenziali costituiti da 3 fasi: denaturazione, annealing dei primer e sintesi o estensione del DNA. L’enzima usato in vitro è la Taq polimerasi ottenuta dal batterio termofilo Thermophilus aquaticus. Lo scopo della PCR è quello di amplificare e quindi di ottenere un numero elevato di copie ( fino a 10^13) di un determinato target. Successivamente questi ampliconi possono essere utilizzati da un punto di vista qualitativo per valutare la presenza /assenza di un determinato bersaglio o in maniera più approfondita, ad esempio mediante sequenziamento diretto, per l'analisi delle informazioni contenute nella sequenza di DNA.

(39)

39 Sequenziamento SBT

È una delle metodologie più moderne che ha permesso di aprire nuovi orizzonti negli studi di biologia molecolare applicata alle discipline mediche. Questa può essere eseguita mediante l'utilizzo di apparecchiature denominate "sequenziatori" che, impiegando gel di acrilamide o capillari, sono in grado di leggere la sequenza nucleotidica del template (stampo) ottenuto con la PCR. "Sequenziare" un frammento di DNA significa stabilire la successione dei nucleotidi che ne formano la molecola. Uno dei primi sistemi di sequenziamento fu sviluppato da Sanger nel 1975, il quale si basava sulla metodica di terminazione della catena di DNA mediato dai dideossinucleotidi trifosfato (ddNTP) ed è attualmente il metodo più usato per definire mutazioni specifiche. Queste sono molecole molto simili a deossiribonucleotidi (dNTPs) ma mancano dell’ossidrile nel carbonio in posizione 3', per cui possono essere incorporati in una catena di DNA in fase di sintesi ma ad essi non possono essere aggiunti altri dNTPs.

In pratica, la sintesi del DNA viene effettuata per esterificazione dell’ossidrile 3’ di un nucleotide, già incorporato mediante l’estremità 5’ fosfato, sul carbonio in alfa di un dNTP la quale si arresta al momento dell’incorporazione del ddNTP. Statisticamente si otterranno così tanti frammenti abortivi quante sono le volte in cui le basi corrispondenti sono rappresentate nel pezzo di DNA in questione. La dimensione dei frammenti viene poi stimata attraverso un'autoradiogafia, che consiste in un’elettroforesi del DNA marcato con radioisotopi o con molecole fluorescenti. I moderni sequenziatori si basano sul principio di sanger ma utilizzano per il rilevamento dei frammenti fluorocromi non pericolosi e strumentazioni in grado di effettuare un numero elevato di analisi.

(40)

40 Fig.11 - Schema metodo di Sanger automatizzato.

Tipizzazione HLA-G

PCR

L’analisi dei polimorfismi di 14bp INS/DEL dell'esone 8 del gene HLA-G è stata effettuata mediante sequenziamento diretto. La reazione di PCR è stata eseguita mediante l’utilizzo di primers locus-specifico in accordo a quanto riportato in letteratura 67. All'estremità 5' di ognuno dei primers è stata inserita una sequenza nucleotidica nota (primer universale M13) utilizzata successivamente per le reazioni di sequenziamento.

(41)

41 HLA-G 3’UTR PCR-Primers Amplicon size(bp) HLA-G1 Senso 5'-TGTAAAACGACGGCCAGTGTGATGGGCTGTTTAA AGTGTCACC-3' Antisenso 5'-CAGGAAACAGCTATGACCGGAAGGAATGCAGTTC AGCATGA-3' 209-223 Primer universale M13 forward M13F 5’-TGTAAAACGACGGCCAGT-3’ Primer universale M13 reverse M13R 5’CAGGAAACAGCTATGACC-3’

Tabella 2- Primers di PCR e Sequenziamento dell'esone 8 dell' HLA-G

Per allestire la reazione di PCR è stata preparata una mix con volume di 23µL, contenente:

 50-100 ng di DNA genomico

 dNTP

 buffer

forward e reverse primers

 Taq DNA polimerasi

A questa mix sono stati aggiunti 2 µL di DNA genomico estratto per un volume finale di 25 µL.

(42)

42 Il protocollo utilizzato per la reazione di PCR prevede le seguenti fasi:

1. Denaturazione a 95°C per 2 min 2. Denaturazione a 96°C per 30 sec

3. Annealing a 60°C per 30 sec Per 30 cicli 4. Estensione a 72°C per 50 sec

5. Estensione finale a 72°C per 10 min

L’ amplificato è stato poi controllato mediante elettroforesi su gel d’agarosio al 2% in presenza di bromuro di etidio, ad una concentrazione di 0,5 mg/ml e osservati in seguito ad esposizione con luce Ultravioletta (U.V). Il bromuro di etidio intercalato tra le coppie di basi del DNA diventa fluorescente per illuminazione con UV, emettendo una caratteristica fluorescenza rosso–arancio in corrispondenza delle bande di DNA. Per definire il peso molecolare degli ampliconi è stato caricato, parallelamente ai campioni, un marker di peso molecolare noto con cui effettuare il confronto.

Purificazione

I frammenti amplificati sono stati purificati mediante il sistema enzimatico ExoSap-IT (USB Corporation), che permette di rimuovere i primers e i dNTPs residui. L’ExoSap è composto da due enzimi idrolitici: l’Esonucleasi I che degrada i primers a singolo filamento ed altri singoli filamenti prodotti dalla PCR; e la SAP (Shrimp Alkaline Phosphatase) che defosforila i dNTPs residui.

Il protocollo di purificazione utilizzato è stato il seguente:

1. Dispensare 4 µL di ExoSap-IT ai 26 µL di reazione PCR. 2. Incubare a 37°C per 30 minuti.

3. Incubare a 80°C per 20 minuti per inattivare gli enzimi.

(43)

43 Reazione di sequenziamento

Una volta che gli ampliconi sono stati purificati, sono state allestite le reazioni di sequenziamento. Queste reazioni sono state eseguite utilizzando i primers universali M13F (5’TGTAAAACGACGGCCAGT3’) e M13R (5’CAGGAAACAGCTATGACC3’) mediante l’uso della chimica dei BigDye Terminator versione 3.1.

Il protocollo utilizzato per le reazioni di sequenziamento prevede: 1. Denaturazione a 95°C per 5 min

2. Denaturazione 95°C per 10 sec 3. Annealing 60°C per 10 sec 4. Estensione 60°C per 4 min

I frammenti ottenuti sono stati purificati mediante una procedura automatizzata (Agencourt CleanSEQ®), molto semplice e flessibile, che prevede l’utilizzo di biglie magnetiche. Il protocollo prevede che, in una prima fase, i frammenti di sequenza vengano fatti incubare per circa 3 min insieme ad una miscela di biglie magnetiche ed etanolo all’85 %. Successivamente, questa miscela viene trasferita su un magnete in modo da separare le biglie, a cui si sono adesi gli ampliconi, dai nucleotidi, Sali, ddNTPs ed ad altri contaminanti presenti in soluzione. Seguono dei lavaggi con etanolo all’85% ed infine, si effettua una eluizione con buffer (acqua deionizzata).

Fig.12 -Purificazione ampliconi con metodica Agencourt CleanSEQ

I frammenti ora purificati sono stati analizzati mediante elettroforesi capillare eseguita sullo strumento 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystems Foster City CA), utilizzando un capillare di 36 cm e un particolare polimero POP7.

(44)

44 Analisi delle sequenze

Le sequenze sono state esaminate in una prima fase mediante il software Sequencing Analysis per osservarne la qualità e successivamente sono state importate sul software SeqScape v2.7 per effettuarne l'allineamento con la regione dell'esone 8 della molecola HLA-G contenente il polimorfismo.

Il software SeqScape richiede un “project template (PT)” per il gene in questione. Un PT contiene in particolare una libreria (LIB) che per il nostro studio è stata creata con includendo le due varianti (inserzione o delezione di una frammento di 14bp).

Fig.13 -Rappresentazione grafica dei dati analizzati mediante il Software SeqScape. Le sequenze nucleotidiche sono confrontate con la sequenza di riferimento. Nella parte centrale del grafico è possibile visualizzare i picchi degli

elettroferogrammi.

(45)

45 Analisi statistica

Le frequenze alleliche e del genotipo della regione 3’ UTR sono state ottenute tramite conta diretta. I singoli confronti delle frequenze alleliche e del genotipo tra le popolazioni sono state eseguite usando il test di Fisher . Le differenze sono state considerate significative per valori di P < 0,05.

Risultati e Discussione

I° Scenario: Confronto tra pazienti che hanno portato a termine la gravidanza con successo- Pazienti con gravidanza a termine (PGT) "versus" pazienti con poliabortività (PP), infertilità (PI) e gestosi precoce (PG).

Nella prima fase dello studio abbiamo effettuato un confronto fra le frequenze alleliche e genotipiche del totale delle pazienti (PP+PI+PG) a confronto con le PGT.

Gli alleli presi in esame sono 14bp+ e 14bp-, mentre i possibili genotipi sono 14bp+/14bp+, 14bp-/14bp- e 14bp+/14bp-.

Dal confronto delle frequenze alleliche sembrerebbe che ci sia una leggera differenza nella distribuzione degli alleli nelle due popolazioni oggetto dello studio: per l'allele di 14bp+ si ha rispettivamente 0.56 vs 0.46 e per l'allele 14bp- 0.44 vs 0.54. L'analisi statistica dimostra che non esiste alcuna differenza statisticamente significativa per quanto riguarda la frequenza allelica (p=0,081).

Sulla stessa popolazione abbiamo effettuato un'analisi delle frequenze genotipiche. L'analisi statistica ha messo in evidenza una differenza significativa (p=0,0215) nella distribuzione dei genotipi. In particolare sembrerebbe che i genotipi 14bp+/14bp+ e 14bp+/14bp- siano maggiormente presenti nella popolazione delle pazienti.

Questo primo risultato ci porta ad ipotizzare che la diversa distribuzione genotipica nelle due popolazioni sia in realtà dovuta ad un evento di selezione.

(46)

46 Tabella 3-Calcoli delle frequenze alleliche e genotipiche della regione polimorfica 3’UTR dell’HLA-G in PP+PI+PG e PGT.

PP+PI+PG PGT Allele n (%) n (%) 14bp+ 102 (0,56) 73 (0,46) 14bp- 80 (0,44) 85 (0,54) Tot (n) 182 (1,00) 158 (1,00) Genotipi 14bp+/14bp+ 26 (0,29) 9 (0,11) 14bp-/14bp- 15 (0,16) 15 (0,19) 14bp-/14bp+ 50 (0,55) 55 (0,70) Tot (n) 91 79

Fischer's exact test PP+PI+PG vs PGT

Allele p=0,081

Genotipi P=0.0215

Abbiamo riportato i nostri calcoli su due grafici per dimostrare visivamente i risultati ottenuti. Nel primo grafico abbiamo messo in ascisse le popolazioni scelte per lo studio, ovvero PP+PI+PG e PGT, e in ordinata le frequenze alleliche.

Grafico 1-Distribuzione delle frequenze alleliche a confronto tra PP+PI+PG e PGT.

0,00 0,10 0,20 0,30 0,40 0,50 0,60 PP+PI+PG PGT 14bp+ 14bp-

Riferimenti

Documenti correlati

In the first case, that of European environmental policy Flynn, 1997, soft law is deemed to be part of a new regulatory trend within the European Union, one which places more

4 Dagoberto marciò tanto che arrivò a Beauvais, dove fu ricevuto con onore; men- tre era a tavola, giunse il figlio del duca di Borgogna, che gli raccontò tutta la storia di

We observe that the difFerent shifts for the core level of the surface and subsurface Si atoms, obtained for both in- terfaces, do not imply that these atoms are oppositely charged

59 - Rappresentazione del corpo estraneo (protesi dentaria) asportato in pancolonsco- pia. - Per concludere, abbiamo ritenuto utile riferire i l caso per mettere in evidenza non

Changes in the curves mean that the secondary structure of the oligonucleotide is less stable and is easily denatured by increasing the temperature or it also means that

In conclusion, we observed a novel and interesting interaction between irinotecan and HLA-G polymorphs and the more resistant association of irinotecan to HLA-G *01:05 N offer a

Table 1: Mean score (± standard deviation) of infection intensity and of histopathological lesions found in the different intestinal segments of 50 deceased

Un pensiero che associa fenomeni atmosferici violenti come il tuono e il fulmine all’ira del dio della Tempesta, carica comprensibilmente di un forte significato religioso