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Valutazione della funzionalita' renale dopo trattamento con antimoniato di N-metilglucamina in cani leishmaniotici, tramite valutazione della GFR ed SDMA

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Academic year: 2021

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Università degli studi di Pisa

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Valutazione della funzionalità renale dopo trattamento con antimoniato

di N-metilglucamina in cani leishmaniotici, tramite valutazione della

GFR ed SDMA

Candidato: Francesco Organni Relatore: Prof.ssa Grazia Guidi

Correlatore: Dott.ssa Ilaria Lippi

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INDICE

Riassunto……….……….1 Abstract………..2 1. CAPITOLO 1 Leishmaniosi canina…………..………3 1.1. Eziologia ed epidemiologia……….3

1.1.1. Morfologia del parassita………..……….4

1.1.2. Ciclo biologico……….….4

1.2. Vettore……….6

1.2.1. Cenni tassonomici e morfologici……….6

1.2.2. Comportamento del vettore………..7

1.3. Patogenesi e forme cliniche………..8

1.3.1. Sintomatologia e lesioni tipiche………9

1.3.2. Lesioni cutanee……….9

1.3.3. Lesioni oculari………..11

1.3.4. Implicazioni ematologiche e linfonodali………13

1.3.5. Implicazione renale………..…………..……15

1.4. Diagnosi……….………..18

1.4.1. Diagnostica di laboratorio di base……….18

1.4.2. Esami diagnostici diretti………..….18

1.4.3. Esami diagnostici indiretti………24

1.5. Stadiazione del paziente leishmaniotico………...28

2. CAPITOLO 2 Funzionalità renale nel paziente leishmaniotico……….………29

2.1. Stadiazione IRIS in caso di CKD ………..……….30

2.2. Valutazione della funzionalità renale tramite GFR ………..………….…32

2.3. Valutazione della funzionalità renale tramite SDMA………..…….33

2.4. Terapia e profilassi………...35

2.4.1. Terapia specifica per la leishmaniosi canina………..…35

2.4.2.Terapia per la proteinuria……….…39

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3. CAPITOLO 3

Parte sperimentale………..43

3.1. Scopo del lavoro ……….43

3.2. Materiali e metodi……….44

3.3. Risultati……….51

3.4. Discussioni e conclusioni………..………69

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Riassunto

Parole chiave: leishmaniosi canina, antimoniato di N-metilglucamina (Glucantime®), funzionalità renale, GFR (Glomerular Filtration Rate), SDMA (Simmetric DiMetilArginina).

Scopo dello studio: valutare l’influenza del trattamento della leishmaniosi canina con antimoniato di N-metilglucamina (Glucantime®) sulla funzionalità renale, sfruttando la valutazione della velocità di filtrazione glomerulare (GFR) tramite clearance plasmatica dello ioexolo e l’utilizzo dell’SDMA (Simmetric DiMetilArginina).

Materiali e metodi: sono stati inclusi nello studio 8 cani leishmaniotici valutati tramite positività anticorpale con test IFAT. Una volta eseguita una visita clinica, è stata valutata la funzionalità renale di questi soggetti attraverso la valutazione dell’azotemia, la velocità di filtrazione glomerulare tramite clearance plasmatica dello ioexolo e marker di funzionalità renale (SDMA). È stato eseguito anche un profilo emocromo-citometrico, un profilo emato-biochimico ed un esame urinario. I soggetti sono stati sottoposti a terapia antiprotozoaria con antimoniato di N-metilglucamina alla dose di 60mg/kg/die per trenta giorni. Dopo tale

protocollo terapeutico sono stati eseguiti gli stessi esami pre-terapeutici. I dati sono stati sottoposti a confronto statistico tramite il t-student test.

Risultati: la valutazione statistica dei parametri ematobiochimici, emocromo-citometrici, urinari, della GFR e dell’esame dell’SDMA porta a concludere che non solo la terapia con Glucantime® non possiede una nefrotossicità tale da ridurre la funzionalità renale in soggetti leishmaniotici, ma che confrontando i dati dei soli soggetti nefropatici, tale sicurezza

terapeutica si estende anche ai cani leishmaniotici affetti da insufficienza renale, in quanto non è risultata differenza significativa tra pre e post trattamento dei parametri di funzionalità renale (p>0,05). Si osserva inoltre una variazione statisticamente significativa del tracciato elettroforetico da associare al potere leishmanicida della terapia, con un calo delle proteine sieriche totali (p=0,0253), delle γ globuline (p=0,0145) e un aumento delle α2 (p=0,0467). Sebbene questo sia il primo studio prospettico che studia l’impatto sulla funzionalità renale data dall’ antimoniato di N-metilglucamina con l’utilizzo di metodiche di valutazione renale avanzate (GFR e SDMA), si ritengono necessari ulteriori studi di conferma con un numero più ampio di casi.

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Abstract

Keywords: Canine Leishmaniasis, Meglumine antimoniate (Glucantime®), renal function, GFR (Glomerular Filtration Rate), SDMA (Simmetric DiMetilArginine).

Aim of this study: assess the influence of the Leishmaniasis’ treatment (Glucantime®) on kidneys’ function, evaluating GFR through the plasma clearance of ioexolo and through the using of SDMA (Simmetric DiMetilArginina)

Materials and methods: 8 dogs Leishamania-positive (IFAT test) were included in this trial; after the clinical observations, their renal function was evaluated through the evaluation of azotemia, GFR (plasma clearance of ioexolo) and SDMA (renal function marker). Also, CBC (blood cells counts), chem panels and UA (urine analyses) were performed.

The study subjects were treated for 30 days with Meglumine antimoniate (60mg/kg/die); after this treatment protocol, all the clinical examinations were repeated and the data were statistically compared with a T-test.

Results and discussion: This study has shown that Glucantime has no statistically significant effect on the renal function in positive dogs; this also applies to Leishmania-positive dogs affected by renal failure. It is further noted that a statistically significant

variation appeared in the protein electrophoresis’ patterns due to the Leishmania treatment; in particular, total serum proteins (p=0,0253) and γ globulines (p=0,0145) were decreased while α2 (p=0,0467) increased. Since this was the first prospective study about the impact of Meglumine antimoniate on the renal function using advanced methods of renal function evaluation (GFR, SDMA), further trials with a larger number of subjects are required to confirmed these results.

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PARTE GENERALE

CAPITOLO 1

LEISHMANIOSI CANINA

1.1 EZIOLOGIA ed EPIDEMIOLOGIA

La leishmaniosi è una malattia zoonotica causata da un parassita protozoo appartenente al genere Leishmania, ed è trasmessa tramite la puntura di alcune specie di flebotomi[1]. La leishmaniosi è una zoonosi molto importante a livello mondiale e in medicina umana viene classificata clinicamente in tre forme: viscerale (conosciuta nell’uomo come Kala-azar, maggiormente endemica nel sub-continente indiano e in Africa orientale; di particolare importanza perché endemica anche in Europa meridionale dove è causata principalmente da Leishmania infantum e diffusa in particolare nei bambini negli anni compresi dal 1995 al 2007 ), cutanea (è la forma più comune con una prevalenza del 95% dei casi totali mondiali) e mucocutanea (la forma più caratteristica degli stati sud-americani come Bolivia, Brasile e Perù)[1].

In passato si è cercato di introdurre anche in veterinaria una classificazione analoga cercando di distinguere la forma cutanea da quella viscerale in base alla sintomatologia clinica, ma esse sono ad oggi, considerate forme evolutive diverse della medesima malattia, che prende il nome di “Leishmaniosi canina generalizzata” [2].

Le due specie considerate responsabili di leishmaniosi canina sono la “Leishmania infantum” (Leishmania donovani infantum, tipica dei paesi che si affacciano sul bacino del mediterraneo, del Portogallo, del Medio Oriente e dell’Africa) e la “Leishmania chagasi” (Leishmania donovani chagasi), tipica del continente americano[2].

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4 Nonostante si continui nella pratica a separare tassonomicamente Leishmania Infantum e Leishmania chagasi per indicare la diversa origine geografica, i due nomi sono attualmente considerati come sinonimi della stessa specie[3].

In passato si riteneva, che a livello europeo il parassita fosse presente soltanto nei paesi che si affacciavano nel mediterraneo, mentre diverse segnalazioni e studi epidemiologici, riportano la presenza dello stesso anche in paesi più strettamente continentali come ad esempio la Svizzera e la Germania. Sul territorio italiano è considerata generalmente endemica, con una spiccata prevalenza in Liguria, nelle regioni centro-meridionali e insulari [3]. La sua presenza è riportata anche nella parte nord-continentale del paese [4].

È comunque chiaro che l’epidemiologia della leishmaniosi sia in rapida ascesa in tutto il mondo, specialmente grazie a tre fattori di rischio: modificazioni ambientali, anche quelle provocate dall’uomo (in particolare il riscaldamento globale, che permettendo un’estensione della stagione riproduttiva del flebotomo vettore e una minore inibizione sulle larve dello stesso nei periodi invernali, favorisce una maggiore capacità di diffusione del parassita nelle zone attualmente temperate), lo stato immunitario dell’ospite e l’insuccesso nel trattamento

[5].

1.1.1 Morfologia del parassita

Leishmania infantum è un protozoo (Classe Zoomastighoporasida , Ordine Kinetoplastida, Famiglia Trypanosomatidae), la cui classificazione tassonomica inter-speciale e intra-speciale ha sempre costituito un problema per i micro-biologi, tanto da portare allo sviluppo di tecniche avanzate per il suo riconoscimento. In passato la classificazione degli organismi del genere leishmania veniva eseguita essenzialmente tramite dei caratteri tipici del genere in oggetto e che possono essere distinti in intrinseci (propri del parassita) ed estrinseci (correlati all’azione invasiva del parassita)[6]. Successivamente, su suggerimento dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), si è iniziato ad usare la tecnica dell’analisi elettroforetica degli isoenzimi che divideva così le leishmanie in zimodemi e che per anni ha costituito la tecnica più utilizzata[7]. Ad oggi l’elettroforesi enzimatica multilocus (MLEE) è considerata la tecnica di riferimento per l’identificazione di Leishmania, sia a livello specifico che intraspecifico[5].

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5 Il parassita è caratterizzato dal Kinetoplasto (una particolare struttura mitocondriale contenente DNA extra-nucleare) e dal corpo basale, dal quale origina un unico flagello; sulla base di questi tre organelli si distinguono i tre morfotipi in cui la leishmania si può presentare: amastigote, promastigote e paramastigote[8].

La forma amastigote (amastigos, privo di flagello) ha localizzazione tipicamente intracellulare e si presenta di forma rotondeggiante od ovoidale con diametro compreso tra 2 e 6,5µm con un grande nucleo in posizione eccentrica[3]. Il Kinetoplasto è di tipo bastoncellare e adiacente al nucleo; non è presente un flagello libero, ma un suo abbozzo chiamato rizonema[8].

La forma promastigote rappresenta la morfologia infettante trasmessa dal flebotomo ed è costituita da un corpo allungato che raggiunge le dimensioni di 15µm, caratterizzato da un flagello libero che fuoriesce direttamente dall’estremità libera del parassita e che raggiunge le stesse dimensioni del corpo[8]. È fatta eccezione per i promastigoti metaciclici, dove il flagello si presenta sensibilmente più lungo del corpo[8].

La forma paramastigote, è la forma di transizione tra le precedente ed è presente durante il ciclo nel flebotomo[9,10]. Le dimensioni e la forma sono riconducibili a quelle della forma amastigote ma presenta un flagello libero di circa 15µm che si immerge nel citoplasma delle cellule[8].

1.1.2 Ciclo biologico

Le Leishmanie sono parassiti dixeni, che completano il loro ciclo biologico tra un ospite invertebrato (flebotomo) ed uno vertebrato (l’ospite serbatoio è il cane ma si riportano infezioni anche in uomo, gatto e roditori)[2]. Ancestralmente l’ospite era solo l’invertebrato, l’ospite mammifero sembrerebbe un’acquisizione evolutiva per trasferimento accidentale durante il pasto di sangue dell’insetto ematofago[11]. Il ciclo inizia quando una femmina di flebotomo durante il suo pasto di sangue su un vertebrato infetto, ingerisce amastigoti contenuti nei macrofagi dell’ospite o liberati dallo stesso durante l’azione di suzione del flebotomo[12,13]. A livello dell’intestino del flebotomo gli amastigoti si trasformano in promastigoti secondo un meccanismo che ancora oggi appare poco chiaro e, avvolti da una membrana peritrofica prodotta dalle cellule epiteliali addominali dell’intestino medio del

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6 flebotomo, iniziano a moltiplicarsi asessualmente per scissione binaria e partecipando attivamente alla digestione del pasto di sangue dell’ospite[12]. Finita la digestione e la riproduzione, escono dalla membrana peritrofica, andando a colonizzare l’intestino dell’ospite, agganciandosi ai microvilli intestinali con l’aiuto del flagello e di emodesmosomi[12]. Parte di questi promastigoti inizia una migrazione (sotto stimoli probabilmente termici) verso la proboscide del flebotomo; andandosi a trasformare in paramastigoti nel tratto compreso tra esofago e faringe[12]. Durante il successivo pasto di sangue i paramastigoti penetreranno all’interno dell’ospite vertebrato, dove verranno fagocitati dai macrofagi[12]. A questo livello, i paramastigoti si trasformano in amastigoti e, all’interno di un vacuolo parassitoforo, iniziano a moltiplicarsi per scissione binaria fino a portare a rottura il macrofago. Gli amastigoti vengono fagocitati da altri macrofagi ed il ciclo si ripete. Nel cane i macrofagi infetti tendono a depositarsi a livello del derma, facilitando la loro assunzione da parte del flebotomo[12]. La trascrittomica nello studio di interazioni parassita-vettore ha permesso di evidenziare l’esistenza di uno “scambio genetico” tra ceppi e specie differenti che infettano contemporaneamente lo stesso vettore, andando poi a trasmettere all’ospite vertebrato un corredo genetico ibrido del parassita; questo, sembra in parte differire da quello che è ufficialmente il ciclo classico della Leishmania (che prevede una riproduzione strettamente asessuata)[14]. La trasmissione di L. infantum senza il morso del flebotomo, è stata riportata sia nell’uomo che nel cane tramite trasfusioni di sangue e attraverso trasmissione verticale (via uterina) dalla madre alla progenie[15]. Esiste la rara possibilità di trasmissione del parassita tramite un altro vettore, quale la zecca marrone[16].

1.2 VETTORE

1.2.1 Cenni tassonomici e morfologici

I flebotomi sono insetti ematofagi che seguono la seguente classificazione tassonomica: ordine Diptera, famiglia Psychodidae, generi Phlebotomus, Sergentomyia, Warileya, Lutzomyia e Brumptomyia[17]. Il genere Phlebotomus è considerato il vettore di Leishmania nel vecchio mondo, mentre il genere Lutzomyia, quello del continente americano[2]. Hanno una lunghezza di circa 2-3mm, il corpo e le ali ricoperte da fitta peluria e un colore giallo chiaro o aranciato; il torace forma con l’addome un angolo di quasi novanta gradi, che rende il

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7 genere facilmente distinguibile da insetti simili quali le zanzare, anche ad occhio nudo. Il dimorfismo sessuale è spiccatamente marcato dall’importante sviluppo dell’apparato sessuale del maschio. La femmina di flebotomo, necessita del pasto di sangue di un vertebrato per far giungere le uova a maturazione in quanto dittero ematofago.

1.2.2 Comportamento del vettore

I flebotomi sono anche conosciuti come pappataci (pappano tacendo, in silenzio) a causa del comportamento silenzioso della femmina durante il volo e la puntura. La puntura può essere indolore, ma generalmente accompagnata da reazione algica, flogistica locale e da papula, specialmente in caso di puntura da più flebotomi e in soggetti provenienti da zone prive dell’insetto (in queste persone sono riportati anche sintomi sistemici quali reazioni allergiche accompagnate da febbre e cefalea). Sono tipicamente insetti notturni, che iniziano la loro attività al calare del sole con picchi di massima attività da mezzanotte ad un’ora prima del sorgere del sole; nelle zone temperate la loro attività è presente soltanto nelle stagioni più calde ed interrotta da occasionali giornate fredde[17].

Le specie di flebotomo indicati come vettori di Leishmania infantum a livello europeo sono (in ordine decrescente di importanza): P. perniciosus, P. ariasi, P. perfiliewi, P. neglectus, P. tobbi (solo le prime quattro sono presenti sul territorio italiano)[18]. Una specie di flebotomo può essere considerato un vettore, solo se la sua distribuzione geografica coincide con quella del parassita, se è dimostrata la sua antropofilia e la sua zoofilia, se è stato trovato infetto in natura con L.infantum e se è stato sperimentalmente provato di essere in grado di trasmettere il parassita[17].

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1.3 PATOGENESI E FORME CLINICHE

Non tutti i cani che vengono infettati da Leishmania infantum sviluppano la malattia (leishmaniosi)[19,20]. Risulta quindi essenziale differenziare soggetti infetti da quelli malati per non misdiagnosticare e sovra-diagnosticare la leishmaniosi canina, specialmente nei soggetti che vivono in regioni endemiche[21]. I cani che non sviluppano la malattia vengono definiti “resistenti”, I soggetti che invece sviluppano la leishmaniosi canina vengono definiti “suscettibili” (o “sensibili”)[22,23].

L’efficace protezione immunitaria contro L. infantum è mediata dalle T-cells e dalle citochine da esse prodotte[20]. In particolare, nei cani la resistenza all’infezione, sia essa naturale che sperimentale, è legata alla risposta Th1 (linfociti T-helper di tipo 1) e alla produzione da parte dei linfociti ematici periferici di IL-2 (interleuchina-2), TNF (tumor necrosis factor), IFN-γ (interferon-γ), su stimolazione antigenica parassita-specifica. In questi soggetti, i macrofagi parassitati sono lisati dai linfociti-T citotossici CD8+ [16].

Nei soggetti sensibili, invece, la risposta è prevalentemente Th2-CD4+, con produzione di IL-4 (interleuchina-4) e IL-10 (interleuchina-10), con conseguente riduzione dell’attività leishmanicida da parte dei macrofagi infetti e stimolazione dei linfociti B, con conseguente risposta prettamente umorale con produzione di immunoglobuline-G (IgG)[2,24].

I fattori che indirizzano un soggetto verso un tipo di risposta immunitaria rispetto ad un’altra non sono ancora del tutto chiari, ma alcuni studi sembrano dimostrare l’esistenza di una componente genetica nella resistenza al protozoo. Esiste un progetto chiamato “LUPA”, iniziativa che parte dal “Seventh Framework Project of the European Union”, che intende dimostrare la resistenza o la suscettibilità di alcune razze o line di sangue ad alcune patologie, tra le quali il cancro, l’ipotiroidismo, il diabete, l’epilessia e la leishmaniosi[24]. In uno studio di popolazione (Gradoni 1989) era stata evidenziata una notevole bassa incidenza della patologia nelle razze “toy”, inizialmente imputata ad una possibile resistenza genetica ma poi attribuita allo stile di vita prettamente domestico di queste razze e quindi ad una minore esposizione al flebotomo vettore[25].

Anche la genetica del protozoo è stata studiata per cercare di capire una maggiore o minore resistenza del parassita all’interno dell’ospite ed in particolare da quando nel 2005 fu sequenziato il genoma di L. infantum. Secondo recenti studi infatti la patogenicità e la

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9 resistenza nell’ospite di L. infantum sarebbe da attribuire ad alcuni geni, quali il gene “LinJ.28.0340” ed il gene “A2”, secondo un meccanismo non ancora del tutto chiaro. È stata evidenziata anche la capacità da parte del Genere Leishmania di “manipolare” l’espressione genica dell’ospite vertebrato; è stato recentemente dimostrato ad esempio che L. donovani è in grado di stimolare il metabolismo lipidico dei macrofagi infetti andando ad agire sull’espressione dei geni macrofagici, o di regolare la risposta immunitaria innata dell’ospite[14].

1.3.1 Sintomatologia e lesioni tipiche

La sintomatologia della leishmaniosi canina è estremamente varia, così come la patogenesi delle sue lesioni[25]. Le lesioni principali nei cani parassitati sono in genere a carico dei tessuti ricchi di tessuto linfo-reticolare: cute, occhio, linfonodi, milza, fegato e reni.

1.3.2 Lesioni cutanee

Le lesioni cutanee da leishmaniosi canina rappresentano probabilmente uno dei motivi principali che spinge il proprietario a portare il proprio cane in visita, e sono tipicamente costituite da dermatite desquamativa, ulcerativa e/o nodulara[26,27,28]. È interessante, come in uno studio, sia stata evidenziata a livello della cute dei cani sintomatici, una riduzione delle fibre collagene di tipo I ed un aumento di quelle di tipo III, in modo proporzionale alla gravità delle lesioni dermatologiche[29].

La dermatite desquamativa rappresenta la lesione cutanea più comune in caso di leishmaniosi canina; la sua distribuzione sull’animale può essere localizzata, generalizzata, regionale, simmetrica o asimmetrica[30]. Le scaglie, tipicamente di aspetto psoriasiforme, possono essere più o meno aderenti alla cute sottostante e sono localizzate principalmente su testa, regione perioculare, padiglioni auricolari, dorso e arti posteriori e non sono pruriginose[30]. La lesione (Figura 1), è il risultato di un’efficace risposta immunitaria locale e

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10 sembra essere attribuita, almeno parzialmente, all’adenite sebacea secondaria; teoria rafforzata dalle analogie cliniche con la malattia primaria[31].

Figura 1. Lesioni da dermatite desquamativa generalizzate e asimmetriche-particolare di testa e collo. Foto tratta da raccolta privata dell’Ospedale Didattico Veterinario “Mario Modenato”.

La dermatite ulcerativa si presenta inizialmente sotto forma di lesioni alopeciche eritematose che successivamente evolvono in ulcere vere e proprie (le cosiddette “ulcere indolenti”), di forma circolare o a carta geografica; possono essere caratterizzate da essudato purulento, emorragico-purulento o da croste emorragiche. La distribuzione coinvolge tipicamente i margini dei padiglioni auricolari, le superfici palmari e podaliche degli arti e in generale tutti i punti di pressione; si osserva nel 15,3-40% dei cani colpiti[31]. I meccanismi patogenetici comprendono: il massivo rilascio di parassiti nel derma (l’imponente numero di amastigoti rilasciati dai macrofagi può essere causa della flogosi e dell’infiammazione locale), il trauma locale (determina infiltrazione di cellule infiammatorie e spiegherebbe le lesioni nei punti di appoggio) e il danno vascolare (sono le ulcere a carta geografica a suggerire vasculiti da deposito di immuno-complessi)[32,33,34].

I noduli cutanei, presenti nel 2,3-9% dei casi di cani con leishmaniosi, si evidenziano principalmente nel Boxer, misurano da 1 a 10cm di diametro, non sono ulcerati e non pruriginosi, possono essere singoli o multipli[31,32]. Queste lesioni sono lo specchio di una inefficace risposta cellulo-mediata alla malattia, che quindi esita in una massiva infiltrazione del derma da parte di macrofagi parassitati (noduli) incapaci di eliminare gli amastigoti[31,32]. Il

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11 rinvenimento di noduli è stato messo in relazione ad una scarsa risposta alla terapia anti-Leishmania[32].

La dermatite papulare è caratterizzata dalla presenza di papule eritematose, non pruriginose, che tendono a confluire e probabilmente legate all’inoculazione del protozoo durante il pasto del flebotomo[35]. La dermatite papulare in caso di leishmaniosi canina costituisce un indice prognostico favorevole in quanto associata ad una adeguata risposta immunitaria cellulo-mediata[35].

I noduli ulcerati nella sede di inoculazione del parassita costituiscono delle lesioni piuttosto rare, localizzate principalmente nella regione della testa e caratterizzate da noduli di circa 1cm o meno, non pruriginose, ma lievemente doloranti, che in genere si risolvono spontaneamente nel giro di pochi mesi[36].

L’ipercheratosi dei cuscinetti plantari e/o del tartufo è caratterizzata da un abnorme accumulo di cheratina, che conferisce all’epidermide una consistenza spessa, dura, anelastica e fissurata; la lesione è riscontrabile nel 66,7% dei cani malati[31].

L’onicogrifosi, riscontrata in un percentuale variabile che va dal 24 al 90% dei cani malati, può esitare in zoppia ed è caratterizzata da ipertrofia e curvature anomala di una o tutte le unghie[31]. La lesione, più evidente nei cani che assumono uno stile di vita domestico, è istologicamente caratterizzata da dermatite mononucleare lichenoide e da una vacuolizzazione cheratinocitica basale, che colpisce il letto ungueale; è possibile una sua parziale remissione se il soggetto viene posto ad una corretta terapia anti-Leishmania[31,37].

1.3.3 Lesioni oculari

L’incidenza delle lesioni oculari in caso di leishmaniosi canina riportata in letteratura, assume valori assai discordanti fra loro, dal 16 all’80,5%; questa grande variabilità è probabilmente dovuta al fatto che non tutti i soggetti sono stati sottoposti ad una visita oftalmologica specializzata e che quindi, specialmente nelle forme più leggere e paucisintomatiche, tali lesioni siano state spesso sotto-diagnosticate[38]. Le lesioni oculari

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12 hanno accezione quasi sempre bilaterale ma si riportano anche casi di monolateralità; sono colpiti principalmente cani meticci e si nota una spiccata prevalenza nel genere maschile[38]. Possono essere colpiti tutti i distretti oculari e i meccanismi patogenetici ipotizzati sono legati ad azione diretta del parassita (con reazioni infiammatorie granulomatose locali e forme infiltrative non suppurative) e al deposito di immunocomplessi a livello locale[39,40].

La congiuntivite, presente nel 17-34,1% dei casi, si presenta con chemosi, iperemia ed ispessimento congiuntivale e sembra dovuta all’importante presenza parassitaria locale[38,41,42]. Delle formazioni nodulari biancastre possono talvolta formarsi sulla congiuntiva a livello del limbo e possono aggettare sulla cornea[41].

L’edema congiuntivale spesso precede la congiuntivite e la sua intensità può essere tale da impedire la corretta visualizzazione della camera anteriore e posteriore dell’occhio; si considera associate alla neovascolarizzazione della sede anatomica[38].

La cheratocongiuntivite secca è considerate una complicazione della localizzazione corneo-congiuntivale della leishmaniosi canina ma il meccanismo patogenetico non è stato ancora chiarito[38]. L’incidenza nei soggetti malati varia dal 2 al 26,8% e nelle forme corniche può evolvere in cheratite ulcerative[43].

Spesso si ha interessamento di sclera, cornea e congiuntiva; andando a determinare una lesione definite “episclerocheratocongiuntivite”[41].

Con una casistica minore, tra le lesioni a carico dell’occhio in corso di leishmaniosi canina, sono riportate anche l’uveite, la corioretinite, l’atrofia del nervo ottico e l’insorgenza di strabismo[38].

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13 1.3.4 Implicazioni ematologiche e linfonodali

L’ematologia, accompagnata dall’esame bioptico del midollo osseo e dalla citologia linfonodale e splenica, sembra assumere un ruolo fondamentale nella diagnosi della leishmaniosi canina[44]. L’anemia non rigenerativa e la linfoadenomegalia periferica generalizzata, in cani provenienti da zone endemiche, può aumentare il sospetto diagnostico della malattia[26].

L’anemia normocitica normo-cromica, è un reperto diagnostico di frequente riscontro nel caso di questa patologia e si ritiene legata ad una riduzione dell’emopoiesi dovuta all’insufficienza renale cronica causata dall’infezione da Leishmania[26]. Altre cause di anemia sono riferibili all’emolisi dovuta alla circolazione di auto-anticorpi e immunocomplessi[45]. Oltre all’anemia, nell’emogramma di un cane leishmaniotico è possibile osservare sia un quadro di leucopenia che di leucocitosi[46].

Nonostante il numero degli amastigoti liberi nel sangue periferico dei cani infestati sia basso, è raccomandato un accurato iter diagnostico al fine di eliminare il rischio di trasmissione ematogena nei cani utilizzati come donatori di sangue[45].

Anomalie della coagulazione sono un reperto clinico frequente, tipicamente espresso sotto forma di epistassi mono o bilaterale (Figura 2), ma occasionalmente anche ematuria e diarrea emorragica; nel cane sintomatico si può riscontrare trombocitopenia, trombocitopatia, prolungamento del tempo di protrombina (TT) e di quello di tromboplastina parziale attivata (APTT)[45]. Il meccanismo patogenetico che porta a tali coagulopatie è ancora parzialmente incerto e dibattuto; la teoria più accreditata vede come cause principali, “ulcerazioni della mucosa e/o difetti dell’aggregazione piastrinica secondari ad iperazotemia e, solo occasionalmente, ad altre anomalie primitive o secondarie dell’emostasi, nonché a vasculite o sindrome da iperviscosità”[45].

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Figura 2. Paziente leishmaniotico con epistassi[45].

La linfoadenomegalia periferica, talvolta tanto grave da simulare un linfoma multicentrico od una erlichiosi, è spesso associata alla leishmaniosi canina ed è attribuita ad una ipertrofia delle regioni corticale e midollare dei linfonodi (Figura 3), che occasionalmente si rilevano infiltrati da macrofagi infetti da amastigoti di Leishmania infantum[47,48]. L’interessamento linfatico di drenaggio regionale in caso di leishmaniosi canina è stato evidenziato anche in uno studio del 2008, dove si è dimostrata una carica parassitaria molto elevata nella parotide e nei linfonodi cervicali, nei soggetti che presentavano lesioni cutanee sul muso e sui padiglioni auricolari[49]. Si è visto che la linfoadenomegalia, nello stadio avanzato della patologia ed in particolare nei pazienti nefritici, può regredire anche fino ad uno stadio di ipoplasia linfonodale; la causa è da attribuire alla cachessia che spesso accompagna la malattia[50].

Figura 3. Paziente leishmaniotico con linfoadenomegalia periferica dei linfonodi poplitei[45].

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15 L’interessamento splenico è una caratteristica quasi costante dei cani parassitati; in genere la lesione si limita a splenomegalia che può essere apprezzata mediante la palpazione (specialmente nei soggetti magri), e attraverso l’aiuto della diagnostica per immagini. Negli organi lesionati talvolta si riscontra splenite iperplastica della polpa bianca, con infarcimento splenico di IgG, plasmacellule, linfociti e macrofagi (che non raramente presentano nel loro citoplasma forme parassitarie)[51].

Con meccanismi patogenetici analoghi ai precedenti ma con lesioni generalmente più lievi, possono essere colpiti anche altri organi, quali: tonsille, timo, midollo osseo, apparato gastro-intestinale (ispessimento delle placche di Peyer) e fegato[51].

1.3.5 Implicazione renale

Abbiamo già introdotto il fatto che nei soggetti infetti da Leishmania infantum che successivamente sviluppano malattia, si nota una risposta immunitaria prettamente umorale, a discapito di quella cellulo-mediata e che questo tipo di risposta immunitaria non solo non è protettiva in caso di leishmaniosi, ma può partecipare attivamente e con ruolo preponderante nella patogenesi di alcune lesioni associate alla malattia. Lo stato immunopatologico che si sviluppa, è caratterizzato da immunodepressione generalizzata e da una enorme quantità di immunocomplessi (IC) circolanti, formati dalle immunoglobuline-G e dagli antigeni leishmaniotici, i quali sono responsabili di alterazioni patologiche d’organo quali vasculite, uveite, poliartrite e glomerulonefrite (GN)[52-53]. La deposizione di immuno-complessi si esplica principalmente a livello glomerulare e favorisce l’attivazione della via classica del complemento, la cui funzione principale è data dalla solubilizzazione degli immunocomplessi e dalla fagocitosi di questi da parte dei macrofagi e dei granulociti neutrofili[54]. Le componenti C3 e C5a del complemento, favoriscono, richiamando cellule dell’immunità naturale, l’insorgenza di un fenomeno flogistico locale, che può risultare dannoso per tutto il nefrone[54]. Le lesioni più precoci nella nefropatia da leishmaniosi canina sono costituite quindi da glomerulonefriti proteinuriche che, con il tempo e per continuità, evolvono anche in un danno tubulo-interstiziale, per esitare poi in insufficienza renale[55]. Le glomerulo-nefriti (Figura 4) diagnosticate in caso di infezione da Leishmania infantum (che in Italia costituisce la

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16 causa più comune di GN) sono rappresentate da: GN mesangiale, GN membranosa, GN membrano-proliferativa e glomerulosclerosi focale e segmentale[54,55]. È stato osservato che una sensibile riduzione degli IC circolanti, può avere azione nefroprotettiva [55].

Figura 4. Glomerulonefrite membranoproliferativa indotta da leishmaniosi canina[55].

La proteinuria costituisce un reperto di facile riscontro in caso di nefropatia causata da leishmaniosi canina. In un rene sano le proteine con peso molecolare superiore a 69 kD, non vengono filtrate liberamente e permangono perciò nel torrente ematico; quelle invece con peso inferiore a 69kD vengono liberamente filtrate (nonostante tale filtrazione venga inibita dalle cariche negative poste sulla superficie della membrana basale del glomerulo renale) ma il loro riscontro a livello dell’urina finale è comunque minimo, in quanto quasi totalmente riassorbite[56]. Con un danno glomerulare, la quantità di proteine nell’ultrafiltrato aumenta in maniera proporzionale; questo aumento è tuttavia compensato in caso di assenza di lesioni tubulari, almeno fin quando non si raggiunge la soglia di saturazione dei recettori tubulari per le proteine[56]. In un cane affetto da leishmaniosi il danno, come in precedenza descritto, è presente sia a livello glomerulare che tubulare e quindi non solo questo meccanismo compensatorio viene meno, ma a livello urinario si possono riscontrare proteine di origine sia glomerulare che tubulare.

Si riporta qui di seguito una tabella riassuntiva (Tab.1) dei reperti clinici generali e specifici di particolari distretti dell’organismo in corso di leishmaniosi canina[54].

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17

LOCALIZZAZIONE SINTOMI

Generale  Stato di nutrizione scadente/cachessia

 Ipotrofia muscolare

 Letargia

 Pallore delle mucose

 Epistassi

 Linfoadenomegalia

 Epato-splenomegalia

 Zoppie e tumefazioni articolari

 Febbre Cutanea e muco-cutanea  Dermatite desquamativa  Dermatite ulcerativa  Dermatite papulare  Dermatite nodulare  Onicogrifosi  Ipercheratosi naso-plantare

Oculare  Lesioni palpebrali

 Lesioni congiuntivali

 Lesioni cherato-congiiuntivali

 Lesioni orbitali granulomatose

Renale  PU/PD (poliuria/polidipsia)

 CKD

 AKI

 Ipostenuria

 Proteinuria

Altro  Gastrointestinali, neurologici, etc.

Tab.1 reperti clinici generali e specifici di particolari distretti dell’organismo in corso di leishmaniosi canina

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18

1.4 DIAGNOSI

1.4.1 Diagnostica di laboratorio di base

Anche se non specifiche per la diagnosi della leishmaniosi canina, in tabella 2 sono riassunte le principali alterazioni in corso di malattia. Sono riportati i più comuni esami laboratoristici che costituiscono quelli ai quali un soggetto con alterazioni cliniche indotte da leishmania viene sottoposto a livello ambulatoriale.

ESAMI DI BASE RISCONTRI COMPATIBILI CON LEISHMANIOSI CANINA

Esame

emocromo-citometrico

 Anemia scarsamente o non rigenerativa  Possibile anemia rigenerativa

 Leucocitosi neutrofilica e monocitaria con linfopenia ed eosinofilopenia (leucogramma da stress)

 Leucopenia

 Eventuale trombocitopenia Profilo coagulativo di

base

 Iperfibrinogenemia

 Possibile allungamento PT e aPTT Profilo biochimico  Iperproteinemia

 Ipoalbuminemia  Iperglobulinemia

 Alterato (o invertito) rapporto Albumine/Globuline  Iperazotemia

 Aumento degli enzimi epatici Elettroforesi delle

sieroproteine

 Ipoalbuminemia

 Aumento di globuline α2  Gammopatia poli/oligoclonale

Analisi delle urine  Urine ipostenuriche (Peso specifico 1008-1012) o scarsamente concentrate (PS <1030)

 Proteinuria (determinata con striscie reattive e PU/CU)

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19 L’iperazotemia, valutabile con l’aumento dell’urea e della creatinina a livello sierico, costituisce un’alterazione di frequente riscontro nei pazienti leishmaniotici ed è indice di coinvolgimento renale da parte della malattia. Nel cane infatti, la creatininemia è utilizzata come indice di funzionalità renale, ma anche come parametro principale di stadiazione dell’insufficienza renale cronica (Chronic Kidney Disease: CKD) secondo le linee guida dettate dall’International Renal Interest Society (IRIS) [55]. Una corretta valutazione di tale parametro si ha nel paziente stabile, ben idratato e a digiuno da almeno dodici ore al momento del prelievo ematico[57]. L’innalzamento dei valori di urea e creatinina oltre ad essere aspecifico per il tipo di lesione, rappresenta comunque una valore tardivo di danno renale, in quanto si presenta quando il 75% o più dei nefroni, risultano oramai danneggiati[58]. Anche se utilizzata come principale indice di funzionalità renale, la concentrazione di creatinina plasmatica risulta correlata con una proporzionalità inversa non lineare alla velocità di filtrazione glomerulare (Glomerular Filtration Rate: GFR); negli stadi inziali della malattia si possono infatti constatare drastiche variazioni della GFR accompagnate a minime variazione della creatininemia, per assistere poi a leggere variazioni della GFR accompagnate a importanti aumenti della creatininemia negli stadi avanzati della malattia renale[55].

Il tracciato elettroforetico in corso di leishmaniosi canina, mostra un cospicuo aumento delle proteine totali (oltre gli 8g/dl e talvolta perfino oltre i 13g/dl) e riguarda esclusivamente la frazione globulinica ed in particolare la frazione delle IgG e in parte delle IgM, che abbiamo visto non essere protettive in maniera efficace verso questa particolare patologia. In corso di malattia si può assistere anche ad una diminuita sintesi epatica dell’albumina, ad una sua maggiore eliminazione a livello renale, e ad un suo minor assorbimento a livello intestinale. Per queste ragioni si osserva spesso una notevole diminuzione del rapporto Albumine/Globuline (A/G), che nella maggior parte dei casi scende sotto 0,5. Osservando il tracciato elettroforetico si osserverà quindi, un calo del picco delle albumine, accompagnato da un aumento del picco delle globuline (in particolare gammaglobuline) (Figura 5). Un aumento delle globuline β (talvolta difficilmente separabile dalle globuline γ) e un picco oligo/monoclonale delle globuline γ, sono in genere associate ad uno stadio cronico della malattia. Nel caso in cui la malattia sia caratterizzata da CKD, nel tracciato elettroforetico si noterà un cospicuo calo delle albumine, ed uno spiccato aumento delle globuline α-2[58].

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20

Figura 5. Tracciato elettroforetico in caso di leishmaniosi canina. Si osserva uno spiccato aumento delle proteine γ.

In Tab.3 sono riportati i valori del tracciato elettroforetico considerati fisiologici nel cane.

Proteine totali 6-8 g/dl Rapporto A/G 1-1.5 Albumine 50-60% 3-4.8 g/dl Globuline alfa-1 2-4.5% 0.12-0.36 g/dl Globuline alfa-2 2-4.1% 0.24-0.80 g/dl Globuline beta 10-22.5% 0.6-1.8 g/dl Globuline gamma 8-15% 0.48-1.2 g/dl

Tab.3 Valori considerati normali in un tracciato elettroforetico di un cane[58].

Il rilevo di proteinuria è di facile riscontro in pazienti leishmaniotici e, a differenza dei valori di creatininemia che rappresentano la funzionalità renale, è indice di danno renale; ne consegue che per la spiccata capacità dei reni di compensare ad eventuali danni, si possa assistere ad una nefropatia proteinurica, anche in assenza di segni di insufficiente funzionalità renale[55]. È stato dimostrato, ponendo a confronto le principali tecniche di prelievo delle urine, che al fine della valutazione della proteinuria non ci sono differenze significative e pertanto il prelievo urinario può essere preso indifferentemente per cistocentesi, cateterismo urinario e minzione spontanea; a patto che il sedimento si riveli inattivo[59]. Il valore della

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21 proteinuria viene valutato mediante il rapporto tra le proteine urinarie e la creatinina urinaria (PU/CU) stabilito su campioni urinari con sedimento urinario inattivo. Tale esame quantitativo delle proteine presenti nell’urina non trova però parere unanime tra i vari autori nello stabilire un valore univoco di cut-off oltre in quale definire la presenza di proteinuria; in generale i valori di PU/CU < 0,5 sono considerati come indicatori di proteinuria non significativa, quelli di PU/CU compresi fra 0,5 e 0,7 necessitano di ulteriori approfondimenti clinici, mentre valori di PU/CU > 0,7 sono indicativi di proteinuria[60]. Tale valore non fornisce informazioni di tipo qualitativo sul danno. Un esame elettroforetico eseguito su campione urinario, fornisce un tracciato che rispecchia quello su campione sierico[58]. La stadiazione IRIS prevede una sotto-stadiazione per la CKD in funzione della proteinuria. La proteinuria rappresenta un utile indice prognostico dei cani leishmaniotici nefropatici[24].

1.4.2 Esami diagnostici diretti

Si presentano qui di seguito i principali test impiegati nella diagnostica della leishmaniosi canina, attraverso la ricerca del parassita all’interno dell’ospite.

Microscopia ottica

Una diagnosi definitiva può essere effettuata osservando gli amastigoti di L.infantum attraverso il microscopio ottico, mediante campioni citologici idonei di quelli che sono i tessuti più significativi (midollo osseo, linfonodi, cute o sangue periferico)[61]. Sottoposti alla colorazione di Giemsa, gli amastigoti, sia essi individuati liberi che all’interno di macrofagi, monociti o neutrofili, appaiono come corpi ovalari o rotondeggianti con diametro di circa 2-4µm, il cui citoplasma appare leggermente blu, il nucleo rosso ed il kinetoplasto viola[61]. Una scala logaritmica, i cui valori vanno da 0 a +6, in funzione del rapporto del numero degli amastigoti con quello dei leucociti rilevati in un campo visivo, può essere utilizzata per stimare la densità della presenza del parassita[47]. La sensibilità di questa valutazione risulta mediamente del 30-75%[61].

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22 Istopatologia

Viene eseguita una colorazione con ematossilina-eosina, su campioni bioptici di cute, milza, linfonodi e sezioni di midollo osseo; sia per la scarsa sensibilità (circa 32%) che per i costi ed i rischi anestesiologici legati al prelievo, questa metodica è scarsamente utilizzata[61].

Immunoistochimica

L’immunoistochimica (IHC) sfrutta l’immunoperossidasi o l’immunofluorescenza diretta dei tessuti con ulteriore mezzo diagnostico da applicare all’istopatologia classica[61]. La sensibilità (60-92%) e la specificità (circa 100%) per questo test sono molto alte; tuttavia il costo decisamente elevato la rende poco utilizzata nella pratica veterinaria[61].

Esame colturale

Il terreno colturale EMTM (terreno di Tobie, modificato da Evans) può essere seminato con gli stessi campioni indicati per la microscopia, avendo cura di prelevarli con la massima sterilità. In caso di positività, le forme metacicliche di L. infantum saranno visibili nei 4-10 giorni dopo l’inoculum e potranno essere messi in evidenza tramite microscopia ottica. Il campione può essere considerato negativo dopo vari passaggi negativi. L’esame colturale presenta sensibilità e specificità notevoli; i tempi di risposta ed il costo elevato lo rendono tuttavia inconciliabile con le esigenze della pratica clinica[62].

Xenodiagnosi

Consiste nell’esporre in ambiente controllato il soggetto al pasto di sangue di flebotomi appositamente allevati in condizioni di laboratorio, e nel successivo dissezionamento degli insetti alla ricerca microscopica di promastigoti. La sensibilità e la specificità sono piuttosto

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23 elevate ma la complessità di tale metodo diagnostico lo rende maggiormente adatto nella ricerca, piuttosto che nella pratica clinica[62].

PCR (Polymerase Chain Reaction)

La PCR è una tecnica molecolare che permette di amplificare sequenze genomiche “multicopia” andando, con una coppia di primers, ad identificare piccolissime quantità di DNA del parassita[54]. La sequenza bersaglio, complementare ai primers e sulla quale essi sono costituiti, è costituita generalmente dal DNA dei microcircoli del Kinetoplasto[63]. La sensibilità di questa tecnica, eseguita a partire da aspirati linfonodali, è molto elevata (95,6-100%), al punto che alcuni autori arrivano a suggerire che essa possa essere considerata il “golden diagnostic test”[64]. Il suo costo tuttavia, che risulta il più elevato tra i metodi più usati nella clinica quotidiana, rende questa tecnica non utilizzabile in prima istanza[65].

PCR real-time

È un tipo di PCR che (eseguita a partire da tre campioni tissutali diversi) fornisce una stima quantitativa dell’infezione; viene in genere eseguita più volte durante la malattia per verificare l’efficacia di un farmaco ed a scopo prognostico[54,24].

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24 1.4.3 Esami diagnostici indiretti

Si presentano qui di seguito i principali test impiegati nella diagnostica della leishmaniosi canina, attraverso la ricerca degli anticorpi diretti verso L. infantum all’interno dell’ospite.

Test IFAT

Il test IFAT (Indirect Immuno-Fluorescent Antibody Test) viene eseguito ponendo il siero in esame (mediante diluizioni seriali in funzione delle quali viene stabilito il titolo anticorpale) su vetrini in cui sono presenti promastigoti di Leishmania. Gli anticorpi eventualmente presenti nel siero si legano ai promastigoti presenti sul vetrino; tale positività è messa in evidenza, con l’aiuto di un microscopio ottico a fluorescenza, utilizzando anti-anticorpi fluorescenti (Figura 6). La sensibilità e la specificità dell’IFAT sono prossime al 100% tanto da spingere l’OIE (Organizzazione Internazionale delle Epizoozie) a considerarlo il metodo sierologico di riferimento (“gold standard”) nella diagnosi della leishmaniosi canina[54,66]. False positività sono comunque descritte, anche a carico di altri test sierologici come il test ELISA ed i kit immunocromatografici, specialmente nel continente americano, per cross-reattività anticorpale con Trypanosoma cruzi o con altre specie di Leishmania[46]. È importante che il laboratorio esegua sempre delle titolazioni “end point” e cioè fino all’ultima titolazione positiva. Non esiste una normativa univoca che definisca un valore di cut-off della titolazione anticorpale oltre il quale un soggetto possa essere definito infetto; La maggior parte dei laboratori tuttavia considera negativo un cane con titoli IFAT inferiori ad 1:40 e positivo uno con titoli superiori ad 1:80 (o ad 1:40 a distanza di 6 mesi dalla fine della stagione di massima trasmissione)[54,62]. Alcuni cani permangono sieronegativi per un periodo variabile, dopo l’inoculazione di L. infantum[46]. Esistono kit commerciali IFAT, ma le preparazioni antigeniche eseguite in laboratorio sono generalmente più efficaci[61].

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25

Figura 6. Positività di un test IFAT per Leishmania infantum[35].

Test ELISA

Per eseguire il test ELISA (Enzime-linked immunosorbent assay) il siero in esame è posto in micro-piastre rivestite di antigeni (generalmente estratti solubili di promastigoti o proteine ricombinanti purificate) di Leishmania. In caso di positività si può apprezzare una reazione colorimetrica, quantificabile mediante uno spettrofotometro[46,54]. La sensibilità e la specificità di questo test sono ottime, ed aumentano quando si utilizzano test basati sull’associazione di più antigeni diversi ed in funzione della loro tipologia; in questo modo aumenta il numero di epitopi che possono fissare eventuali anticorpi presenti[54].

Test rapidi immunocromatografici

I test rapidi immunocromatografici sono test economici dal semplice utilizzo che sfruttando strisce in nitro-cellulosa impregnate dell’antigene ricombinante rK-39 (talvolta rK-36) sul quale viene posta una goccia di siero, fornendo al clinico il risultato in pochi minuti (sfruttando la comparsa di una o due strisce colorate)[61]. Lo svantaggio di questa tecnica diagnostica è legato alla sua scarsa specificità (34-61%) che può portare ad un numeroso gruppo di soggetti erroneamente diagnosticati come positivi[61]. Il relativo basso costo, la

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26 facilità d’uso ed i brevi tempi d’attesa, rendono tuttavia questo test ampliamente usato a livello ambulatoriale[61].

Immunodiffusione

La tecnica dell’immunodiffusione è una tecnica che prevede l’eventuale doppia immunodiffusione in gel (1% agarosio e 3% glicole polietilenico), usando siero prelevato dal cane in oggetto e antigeni solubili di Leishmania; le bande che si formano sono indice di positività del test[61]. La specificità (98-100%) e la sensibilità (69-100%) di questo test sono considerate piuttosto elevate[61].

Altre tecniche (agglutinazione diretta, counter-immunoelettroforesi, Western blotting, test di Montenegro..) sono state sviluppate per la diagnosi indiretta di leishmaniosi canina ma qualitativamente inferiori od eccessivamente complessi nella loro esecuzione, sono stati soppiantati dai test precedentemente esposti o destinati esclusivamente alla ricerca sperimentale[61]. Una tecnica diagnostica standard ideale deve essere altamente sensibile e specifica, riproducibile, economica, veloce, facile da eseguire in un laboratorio locale senza apparecchiature eccessivamente sofisticate e dovrebbe evidenziare tutti i cani infetti da Leishmania in uno stadio iniziale, senza usare procedure invasive[61,64]. Non esistendo il test perfetto viene proposto qui di seguito un esempio di iter diagnostico di leishmaniosi canina (schema 1), che sfrutti al meglio le caratteristiche dei vari test[46].

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Schema 1. Algoritmo dell’approccio diagnostico in cani con segni clinici e/o alterazioni clinico-patologiche compatibili con leishmaniosi[46].

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28

1.5 STADIAZIONE DEL PAZIENTE LEISHMANIOTICO

Abbiamo già osservato che il quadro clinico della leishmaniosi canina è estremamente complesso e polimorfo. Tale quadro clinico è destinato a modificarsi con i diversi stadi della malattia tanto da rendere difficoltoso l’inquadramento evolutivo della patologia. Forniamo qui di seguito una classificazione schematizzata del paziente, al fine di aiutare il clinico in tale procedura che, seppur difficoltosa, si rivela essenziale per impostare la gestione e l’eventuale terapia di tali soggetti.

1. Cane esposto: soggetti clinicamente sani nei quali i test diagnostici parassitologici, cito-diagnostici e molecolari risultino negativi, ma nei quali sia evidenziabile una positività anticorpale specifica (con titoli anticorpali che non superino di 4 volte il valore soglia del laboratorio di riferimento)[54]. Tali soggetti sono in genere cani che soggiornano o hanno soggiornato in aree endemiche per il parassita[54].

2. Cane infetto: soggetti nei quali è evidenziabile la presenza di L. infantum, tramite metodi diretti e indiretti[54]. La sola positività della PCR eseguita su materiale cutaneo in assenza di lesioni specifiche, durante la stagione di massima trasmissione, non è sufficiente a definire un soggetto che vive in una zona endemica, “cane infetto” [54]. 3. Cane malato: soggetto che mostra una o più lesioni riportate in Tab.1, purché

chiaramente correlabili all’infezione in atto, o alterazioni emato-biochimiche ed urinarie correlabili con l’infezione da L. infantum in atto[54].

4. Cane malato con quadro clinico grave: può essere definito tale un soggetto malato se è già stato sottoposto a terapia anti-Leishmania e non mostra una remissione della sintomatologia, se è affetto da nefropatia proteinurica, se è affetto da CKD, se è affetto da gravi malattie oculari che possano comportare la perdita di funzione, se è affetto da gravi malattie articolari che possano invalidare la funzione motoria, se è affetto da altre severe malattie concomitanti[54].

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29

CAPITOLO 2

FUNZIONALITA’ RENALE NEL PAZIENTE LEISHMANIOTICO

Il cane leishmaniotico risulta un paziente che si presenta in visita con un una sintomatologia tendenzialmente multiforme, che spazia da dermopatie, passando da oculopatie, da gastro-enteropatie, da sintomi sistemici, a nefropatie[25]. È proprio la nefropatia che rappresenta in genere la sintomatologia più grave e che, se il soggetto non viene sottoposto alla giusta terapia medica, può portare alla morte dello stesso. Questa varianza sintomatica può fuorviare il clinico, che spesso è guidato verso la giusta diagnosi dalla coesistenza di più sintomi clinici, dall’anamnesi propria e ambientale del soggetto o, più semplicemente, dal riscontro di anomalie emato-biochimiche emblematiche di questa patologia quali, ad esempio, un tracciato siero-elettroforetico tipico. La diagnosi deve comunque essere confermata da test diagnostici specifici, il cui gold standard è rappresentato dall’ IFAT[54,66]. L’insorgenza di nefropatie in corso di leishmaniosi canina, è legata all’instaurarsi di glomerulonefriti per accumulo di immunocomplessi (IC). Questo deposito di IC favorisce l’attivazione del complemento, le cui componenti C3 e C5a inducono un processo flogistico locale nefrolesivo per stimolazione chemiotattica delle cellule dell’immunità naturale[54]. Senza un intervento farmacologico, questo fenomeno è destinato ad autoalimentarsi, con l’istaurarsi in breve tempo di CKD (Malattia Renale Cronica)[54]. La CKD viene ufficialmente classificata secondo quattro stadi (approfonditi nel paragrafo seguente), principalmente in funzione della creatinina sierica[67]. L’estrema complessità clinica di questa patologia e la difficoltà che ne deriva di capirne l’evoluzione in un determinato soggetto al fine di impostare una corretta terapia, ha portato allo sviluppo di un sistema di stadiazione del paziente leishmaniotico su cinque livelli (A,B,C,D,Ea,Eb), messo a punto dal “Gruppo di Studio sulla

Leishmaniosi Canina”, che coadiuva il clinico nella gestione clinica e che verrà in seguito approfondito.

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30

2.1 STADIAZIONE IRIS IN CORSO DI CKD

Uno dei maggiori fattori prognostici della CKD (Chronic Kidney Disease – Malattia Renale Cronica) è costituito dallo stadio di avanzamento della malattia. Uno dei metodi per tale stadiazione è rappresentato dal protocollo di stadiazione IRIS (International Renal Interest Society) che si basa sulla concentrazione plasmatica di creatinina e che si prefigge lo scopo di aiutare il clinico nello scegliere un appropriato trattamento e monitoraggio del paziente, oltre che a fornire un utile indice prognostico. Tale classificazione, relativa al cane, è riportata nella seguente Tab.3[67].

Tab.3 Stadiazione IRIS della CKD

Per avere una stadiazione più accurata, che prenda in considerazione un approccio multiforme al paziente, viene eseguita una sotto-stadiazione in funzione della proteinuria e Stadio Creatinina sierica

mg/dl

Descrizione

1 <1.4 Non azotemico. Presenti solamente altre anormalità di renali ( come una inadeguata concentrazione urinaria non legata ad una causa non renale nota, anomalie alla palpazione renale o nella diagnostica per immagini del rene, proteinuria di origine renale, anomalie bioptiche renali, incremento della creatininemia in più campioni presi in serie)

2 1.4-2 Blanda azotemia renale (all’interno dei limiti di riferimento per molti laboratori ma la bassa sensibilità della concentrazione della creatinina come test di screening, induce un forte sospetto in che tali animali, possa essere presente un’insufficiente escrezione renale). La sintomatologia clinica in questo stadio è solitamente blanda o assente.

3 2.1-5 Moderata azotemia renale. Possono essere presenti alcuni segni clinici extra-renali.

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31 una sotto-stadiazione in funzione della pressione arteriosa sistemica. Nella Tab.4 si riporta tale stadiazione in funzione del rapporto PU/CU[67].

Valutazione del rapporto PU/CU Sotto-stadio

<0.2 Non proteinurico

0.2-0.5 Proteinuria borderline

>0.5 Proteinurico

Tab.4 Sottostadiazione IRIS della CKD in funzione della proteinuria

A differenza degli altri parametri, la valutazione della pressione arteriosa sistemica risulta essere soggetta ad estrema variabilità, sia per errori di misurazione, che per fattori intrinseci (taglia, razza, sesso, età, temperamento del soggetto..) che estrinseci (rumori, manualità cruente.. che possono far agitare il soggetto). Per ridurre tali influenze è necessario tenere conto dei fattori intrinseci del soggetto al momento della valutazione dei risultati, far ambientare il cane, eseguire più misurazioni in serie e considerare una media delle stesse. Si riporta nella Tab.5 la sotto-stadiazione IRIS relativa alla pressione arteriosa sistemica[67].

Pressione arteriosa sistolica

mmHg

Sotto-stadiazione Rischio di un futuro danno organico

<150 Normoteso Minimo

150-159 Minimamente iperteso Basso

160-179 Iperteso Moderato

>180 Gravemente iperteso Alto

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32

2.2 VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITA’ RENALE TRAMITE GFR

Come abbiamo già visto, la valutazione della concentrazione plasmatica della creatinina, oltre ad essere un indice tardivo di mancata funzionalità renale, costituisce anche un parametro non linearmente proporzionale alla velocità di filtrazione glomerulare (GFR: Glomerular Filtration Rate). La valutazione della GFR come indicatore quantitativo di funzionalità renale è ritenuta, grazie alla sua sensibilità e precocità, il “gold standard test”[68]. Le metodiche per la valutazione della GFR nel cane, possono essere classificate in: scintigrafia renale, clearance urinaria e clearance plasmatica[68].

Nella metodica che sfrutta la scintigrafia renale, non sono necessari prelievi ematici o urinari di alcun tipo, ma si richiede l’utilizzo di composti radioattivi (come il 99m Tc-DTPA), di particolare autorizzazioni, e di strumentazioni complesse e costose[68]. L’iniezione dell’analita radioattivo comporta un isolamento del soggetto per le 24 ore successive, per ragioni di sicurezza umana. La complessità ed il costo di tale metodica, la rendono poco utilizzata ed incompatibile con la clinica ambulatoriale[68].

La metodica che sfrutta la clearance urinaria, è quella che fornisce il valore di GFR ideale, più vicino a quello reale[69]. Viene tipicamente sfruttata la clearance dell’inulina, un polimero del fruttosio che, una volta somministrato per via parenterale, non viene metabolizzato, non viene riassorbito né secreto dal rene, ma solo liberamente filtrato[69]. In tale metodica, che può durare anche 24 ore e prevede l’utilizzo di gabbie metaboliche, risulta necessario raccogliere tutta la produzione urinaria. Per fare questo si deve applicare un catetere urinario che, oltre a essere una fonte di stress per l’animale, rappresenta un fattore di rischio per l’istaurarsi di infezioni urinarie ascendenti[68]. Tali ragioni restringono l’utilizzo clinico di tale metodica[69].

La clearance plasmatica dello ioexolo rappresenta una metodica più indicata per la valutazione della GFR della clearance delle creatinina che veniva usata in passato[71]. È stato visto inoltre come la GFR valutata mediante clearance plasmatica dello ioexolo dopo singola somministrazione endovenosa, sia identica alla GFR valutata mediante clearance urinaria dell’inulina[72]. Uno dei maggiori svantaggi di questa metodica è che richiede un elevato numero di prelievi ematici (undici); per tale motivo è stata messa a punto una metodica semplificata che utilizza solo cinque prelievi plasmatici (più uno al tempo zero) elaborata

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33 dall’Università degli Studi di Pisa[68]. In tale studio si è evidenziato come la stima della GFR così ottenuta si discosti in maniera trascurabile dal valore reale, riducendo tuttavia la durata del test a sole tre ore[68].

2.3 VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITà RENALE TRAMITE SDMA

L’SDMA (Symmetric DiMethylArginine) rappresenta un marker endogeno ideale per la valutazione della funzionalità renale[73]. La molecola è formata dalla metilazione post-traslazionale dell’arginina ed è rilasciata nella circolazione a seguito di eventi proteolitici; il suo ruolo biologico all’interno dell’organismo non è stato ancora chiaramente definito[73]. L’SDMA è una piccola proteina (202 dalton), la cui clearance è simile a quella della creatinina, con escrezione prettamente renale, mediante libera filtrazione[73]. È stato dimostrato che il suo valore è legato in maniera proporzionalmente inversa alla GFR, valutata con la clearance plasmatica dello ioexolo e il suo aumento nel cane è nettamente più precoce di quello della creatinina (fino a 9.5 mesi)[74,75]. Mentre la concentrazione della creatinina plasmatica risulta influenzabile da molti fattori extra-renali (come ad esempio la massa muscolare), il valore della concentrazione dell’SDMA è nettamente più stabile e non viene influenzato da fattori extra renali quali patologie concomitanti o la massa muscolare; questo rende la metodica particolarmente adatta anche nei pazienti geriatrici dove si può assistere ad una perdita importante della massa muscolare[73,74]. Può essere prelevato indipendentemente siero o plasma, e la concentrazione di SDMA vi rimane stabile nel tempo per circa 5 anni se mantenuta ad una temperatura compresa tra -20 e -80°C, e analizzato tramite spettrofotometria di massa (che rappresenta il gold standard per la misurazione dell’SDMA)[73]. La precocità dell’SDMA rispetto alla creatinina, ha spinto l’IRIS ad includere tale parametro nella sua classificazione della CKD[67].

 Un persistente aumento dell’SDMA oltre 14µg/dl spinge a considerare una diminuita funzionalità renale anche con valori di creatinina <1.4mg/dl (IRIS CKD 1).

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34  Un paziente stimato come “IRIS CKD 2” in funzione dei sui valori di creatinina sierica, nel quale si riscontri un valore di SDMA >25µg/dl e uno scarsa stima del BCS, deve considerato come “IRIS CKD 3”.

 Un paziente stimato come “IRIS CKD 3” in funzione dei sui valori di creatinina sierica, nel quale si riscontri un valore di SDMA >45µg/dl e uno scarsa stima del BCS, deve considerato come “IRIS CKD 4”[67].

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35

2.4 TERAPIA E PROFILASSI

2.4.1 TERAPIA SPECIFICA PER LA LEISHMANIOSI

La leishmaniosi canina risulta generalmente fatale in cani e persone se non sottoposta ad opportuna terapia medica[15]. L’attuale terapia tuttavia porta ad una remissione della sintomatologia clinica, spesso temporanea e che non previene recidive, rendendo la totale guarigione parassitologica un evento eccezionale[25,76]. Si riportano qui di seguito i principali farmaci utilizzati nella pratica clinica.

Antimoniato Di N-metilglucamina

L’antimoniato di N-metilglucamina (meglumina) è considerato il farmaco di prima scelta per la lotta alla leishmaniosi canina[77]. È un composto di antimonio pentavalente, la cui formula chimica è C7H18NO8Sb. L’azione del farmaco è ancora poco chiara ma si basa principalmente

sull’inibizione di alcuni enzimi indispensabili per alcuni processi metabolici della Leishmania, quali la glicolisi (fosfofruttochinasi e deidrogenasi piruvica) e l’ossidazione degli acidi grassi[76]. L’emivita del farmaco è piuttosto breve (21 minuti per via endovenosa, 42 minuti intramuscolare e 122 minuti sotto-cute), subendo un’eliminazione prettamente renale (80-95%) nelle 6-9 ore successive la somministrazione[76]. Si sa tuttavia poco sulla farmacocinetica della sostanza in quanto si è visto essere diversa da quella umana, dove si sono concentrati maggiormente gli studi[78]. L’efficacia del farmaco somministrato per via sottocutanea, si è dimostrata sovrapponibile a quella per via endovenosa[79]. Nonostante siano riportati sintomi gastroenterici e febbre, i più comuni effetti collaterali legati alla somministrazione di questa sostanza, sono dovuti alla sensazione algica e al rigonfiamento locale in sede di inoculo[76]. Talvolta il trattamento con i sali antimoniati, specialmente se eseguito in soggetti nefropatici, è stato accusato di influire negativamente sulla funzionalità renale, attraverso un danneggiamento del parenchima renale[78,80]. Si sa poco sull’impatto del farmaco sul rene ed effetti nefrotossici sono riportati nell’uomo[78]. In medicina umana si riportano infatti decessi avvenuti in pazienti affetti da leishmaniosi, senza nefropatie apparenti, trattati con

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36 antimoniato di N-metilglucamina e deceduti per insorgenza di insufficienza renale acuta per necrosi tubulare dovuta al farmaco; si ipotizza che tale fenomeno nell’uomo sia dovuto all’effetto antagonista che il farmaco esercita sull’ormone neuroipofisario[81]. Uno studio italiano, ha evidenziato, tramite microscopia ottica, importanti lesione tubulari al parenchima renale (confermate poi dalla microscopia elettronica) in soggetti leishmaniotici trattati esclusivamente con Antimoniato di N-metilglucamina (Glucantime®), non presenti nei soggetti trattati con altri farmaci (Miltefosina); nel primo gruppo di soggetti non era comunque evidenziabile alcuna sintomatologia clinica legata ad insufficienza renale[78]. Il trattamento più comune prevede una somministrazione di 100mg/kg/die SID per 4 settimane (alcuni autori riportano 50-150mg/kg/die) in monoterapia o in associazione con Allopurinolo[76]. Considerando l’istolesività del farmaco, si possono somministrare 50mg/kg BID senza modificazione degli effetti terapeutici, specialmente con volumi giornalieri superiori a 2-3ml[76,82]. Un tentativo, con risultati promettenti, di somministrare la sostanza tramite microsfere cave formate da micro-strati fosfolipidici (liposomi) è stato eseguito per aggirare le problematiche legati alle somministrazioni parenterali, senza tuttavia giungere allo sviluppo di una preparazione commerciale[82].

Allopurinolo

L’allopurinolo, usato in associazione farmacologica o in monoterapia, determina spesso un miglioramento sintomatico del soggetto senza portare (specialmente in monoterapia) ad una guarigione parassitologica[76]. Analogo strutturale dell’ipoxantina, deve la sua capacità leishmanicida all’inibizione dell’enzima xantina ossidasi, che svolge funzione di catalizzatore nella reazione di trasformazione dell’ipoxantina in xantina e di questa in acido urico, sfruttando l’incapacità del protozoo di produrre purine ex-novo. Una volta all’interno degli amastigoti, l’allopurinolo viene trasformato per reazione chimica in 4-amino-pirazolo-pirimidina, tossico per il parassita[76]. È stata inoltre evidenziata la capacità del farmaco di mantenere sotto controllo la proteinuria in pazienti leishmaniotici, attraverso la riduzione degli immuno-complessi circolanti[55]. I dosaggi più comuni vanno da 5 mg/kg SID a 20mg/kg BID[82].

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