Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in
Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia
Tesi di Laurea
L’USO DELLE ENDOPROTESI DI SPALLA NELLA
RICOSTRUZIONE DELL’OMERO PROSSIMALE
DOPO RESEZIONE ONCOLOGICA
Relatore
Prof. Rodolfo Capanna
Candidato
Lorenzo Becatti
I
NDICE
RIASSUNTO ... 4 1 INTRODUZIONE ... 6 1.1 NEOPLASIE OSSEE ... 6 1.1.1 TUMORI PRIMITIVI ... 6 1.1.1.1 EPIDEMIOLOGIA ... 7 1.1.1.2 EZIOPATOGENESI ... 8 1.1.1.3 CLINICA ... 9 1.1.1.4 CLASSIFICAZIONE ... 10 1.1.1.4.1 OSTEOSARCOMA ... 12 1.1.1.4.2 CONDROSARCOMA ... 14 1.1.1.4.3 SARCOMA DI EWING ... 15 1.1.2 TUMORI METASTATICI ... 162 DIAGNOSI NEOPLASIE MALIGNE... 17
2.1 DIAGNOSI E STUDIO PREOPERATORI TUMORI PRIMTIVI ... 18
2.2 DIAGNOSI E STUDIO PREOPERATORI TUMORI METASTATICI ... 24
3 TRATTAMENTO ... 27
3.1 TECNICHE DI RESEZIONE LIMB SALVAGE ... 29
3.2 MODALITÀ DI RESEZIONE ... 31 3.3 TECNICHE DI RICOSTRUZIONE ... 31 3.3.1 ALLOTRAPIANTO ... 32 3.3.2 ENDOPROTESI ... 33 3.3.3 APC ... 34 3.3.4 ARTRODESI ... 34 3.3.5 VASCULARIZED ALLOGRAFT ... 35
3.4 TERAPIA ADIUVANTE, NEOADIUVANTE E CONTROLLO LOCALE ... 37
3.5 FOLLOW-UP ... 38
4 ENDOPROTESI DI SPALLA ... 39
4.1 INDICAZIONI E CONTROIDICAZIONI LIMB SALVAGE ... 40
4.2 INDICAZIONI ENDOPROTESI ... 41
4.3 TECNICA CHIRURGICA DI IMPIANTO DI ENDOPROTESI ... 42
4.4 FALLIMENTI ENDROPROTESI ... 44
4.5 FUNZIONALITÀ ENDOPROTESI ... 45
4.7 SCELTA DELLA TECNICA RICOSTRUTTIVA... 48
4.8 CASI CLINICI ... 50
5 CONCLUSIONI ... 62
RIASSUNTO
I tumori ossei possono essere distinti in tumori primitivi, a loro volta suddivisi in benigni e maligni, o metastatici. Le neoplasie ossee sono patologie rare che colpiscono qualsiasi fascia di età e sono dotate di ampia variabilità clinica e prognostica, che ne rendono difficile la diagnosi e la scelta del trattamento più adeguato. La scelta terapeutica viene effettuata dopo lo studio e l’analisi della patologia eseguiti mediante tecniche radiologiche e analisi istologica previa biopsia.
Dopo aver attentamente studiato ed analizzato la patologia tramite le tecniche strumentali e il prelievo bioptico si può procedere alla scelta della terapia. Il trattamento di queste patologie richiede, generalmente, l’utilizzo combinato della chemioterapia e della resezione chirurgica della lesione tumorale. Al giorno d’oggi l’asportazione della lesione è effettuata, nella maggior parte dei casi, tramite tecniche conservative, che permettono successivamente la ricostruzione della zona colpita e quindi il ripristino della sua funzionalità, limitando le complicanze. La chirurgia è attualmente il cardine della terapia, in quanto, oltre ad arrestare la progressione locale del tumore tramite la resezione della lesione, grazie alle tecniche ricostruttive, sempre più spesso si riesce anche a mantenere la funzionalità della zona coinvolta.
L’omero prossimale è uno dei siti dove più frequentemente insorgono neoplasie primitive e tra i più coinvolti da metastasi provenienti da altri distretti. Il trattamento chirurgico dei tumori dell’omero prossimale si avvale nel 95% dei casi della tecnica di resezione conservativa “limb salvage” e della successiva ricostruzione della zona per ripristinare la funzionalità dell’arto. Al giorno d’oggi sono molte le tecniche ricostruttive disponibili: le più utilizzate sono le endoprotesi a stelo lungo, le megaprotesi e il trapianto di innesti, semplici o compositi.
La scelta della tecnica ricostruttiva deve sempre essere effettuata tenendo conto di alcuni parametri quali, età e condizioni generali del paziente, a stadio e grado
tumorale e, infine, qualità intrinseche dell’osso coinvolto. Devono inoltre essere prese in considerazione le strutture anatomiche che vengono risparmiate durante la resezione tumorale.
La tecnica ricostruttiva è impegnativa e di difficile esecuzione ed ha come principale obiettivo quello di garantire la stabilità dell’articolazione, limitare le complicanze e i fallimenti. La megaprotesi è la soluzione più comunemente utilizzata. Essa è la tecnica relativamente più facile da utilizzare e che si associa a minor tassi di fallimenti e reinterventi. Garantisce inoltre il ripristino di movimenti basilari dell’arto che permettono lo svolgimento delle comuni attività quotidiane
1 INTRODUZIONE
1.1 NEOPLASIE OSSEE
I tumori ossei rappresentano uno dei capitoli più importanti e sicuramente più difficili dell’ortopedia moderna; questi derivano dalla proliferazione di uno o più tipi di cellule che entrano nella costituzione del tessuto scheletrico in una fase più o meno avanzata della loro maturazione. Come tutte le neoplasie, tale neoformazione è atipica, afinalistica, autonoma e progressiva.
Le neoplasie che interessano l’osso racchiudono al loro interno casistiche con un’ampia varietà clinica e prognostica.
Possono essere suddivise in base alla loro origine in:
1. TUMORI PRIMITIVI, divisi a loro volta in base alla natura della lesione in benigni e maligni
2. TUMORI SECONDARI o metastatici
1.1.1 TUMORI PRIMITIVI:
I tumori primitivi ossei sono diversi nelle loro caratteristiche macroscopiche e microscopiche e, nella loro storia naturale, variano da quelli innocui a quelli a evoluzione rapidamente fatale. Risulta quindi fondamentale, data la variabilità prognostica, una diagnosi corretta, una stadiazione precisa e un trattamento adeguato.1
1.1.1.1 EPIDEMIOLOGIA
L'incidenza esatta dei tumori ossei non è nota, perchè molte lesioni benigne non vengono sottoposte a biopsia e vengono quindi sottostimate.
I tumori ossei maligni rappresentano lo 0,2% delle neoplasie maligne totali in Nord America e in Europea. I più frequenti tumori ossei maligni sono L’OSTEOSARCOMA (35%), il CONDROSARCOMA (25%), e il SARCOMA DI EWING (15%). La loro incidenza presenta una distribuzione bimodale in rapporto all'età, con un primo picco che si sviluppa intorno alla seconda decade, mentre il secondo picco tra la sesta e la settima.
Come avviene nella maggior parte degli altri tumori primitivi, il tasso di incidenza dei tumori ossei maligni è notevolmente variabile da paese a paese. Si riscontra, ad esempio, un inspiegabile aumento nel tasso di incidenza dei tumori ossei in Cina, dove la percentuale dei tumori maligni arriva allo 0,7%.2,3
Le neoplasie benigne sono invece molto più frequenti4. I 4 tumori benigni più frequenti sono L’OSTEOCONDROMA, il TUMORE A CELLULE GIGANTI, la DISPLASIA FIBROSA e il CONDROMA, che rappresentano circa il 60% totale delle lesioni benigne. Queste lesioni colpiscono caratteristicamente la fascia di età giovanile, con più del 60% delle diagnosi effettuate prima dei 30 anni.
Sia i tumori benigni che maligni hanno una prevalenza maggiore nel sesso maschile.
Le neoplasie ossee sia benigne che maligne, possono insorgere in qualsiasi sede dello scheletro.
Se si escludono i pazienti con tumori a distribuzione multifocale, i tumori benigni interessano più frequentemente il femore, la tibia e l’omero, mentre i tumori maligni si sviluppano più frequentemente nel femore (25%), tibia (15%), pelvi (10%) e omero (9%).
Considerate nel loro insieme, queste neoplasie colpiscono tutte le età e insorgono praticamente in ogni segmento osseo, tuttavia. il più delle volte, si sviluppano
durante le prime decadi di vita e hanno una certa tendenza a originare nelle ossa lunghe degli arti.
Tuttavia tumori specifici colpiscono determinati gruppi di età e determinate sedi anatomiche. La sede di tumore fornisce quindi importanti informazioni diagnostiche. 1
1.1.1.2 EZIOLOGIA E PATOGENESI
Un’importante aspetto da considerare è che, sino ad oggi, la cellula di origine dei tumori mesenchimali non è nota, e che, a differenza dei tumori epiteliali che si sviluppano con un processo di carcinogenesi multistep, non è stata identificata una lesione precancerosa.
Secondo l’ipotesi attualmente più accreditata le alterazioni molecolari riguardanti le cellule staminali mesenchimali possono indurre programmi di differenziazione neoplastica e, quindi, indurre la sarcomatogenesi.
I tumori ossei sono idiopatici e sporadici, tuttavia possono insorgere in quadri sindromici, come nella sindrome di LI FRAUMENI e nel RETINOBLASTOMA EREDITARIO, che sono legati a mutazioni dei geni che codificano per le proteine P53 e RB. Nonostante questo ruolo importante della genetica, le caratteristiche istopatologiche non differiscono da quelle dei casi sporadici.5,6
Inoltre, anche se la maggior parte delle malattie primitive dell’osso si presentano de novo, c’è una forte associazione tra lo sviluppo di queste lesioni con fattori di rischio, tra cui i più conosciuti sono la malattia di Paget, la terapia radiante e la displasia cartilaginea.
Il rischio di sviluppare un tumore primitivo è naturalmente legata alle condizioni di base dei pazienti, ma possiamo schematicamente INDIVIDUARE 3 CLASSI DI RISCHIO:
1. I pazienti AD ALTO RISCHIO sono coloro affetti dalla malattia di Ollier, dalla sindrome di Maffucci, dalla sindrome del retinoblastoma familiare, dalla sindrome di di Rothmund-Thomson.
2. Le condizioni associate a RISCHIO INTERMEDIO sono invece la osteocondromatosi multipla, la malattia di Paget e l’osteite da radiazione. 3. Infine le condizioni associate a BASSO RISCHIO sono la displasia fibrosa, infarto osseo, osteomielite cronica, impianti protesici, osteogenesi imperfetta, tumore a cellule giganti, osteoblastoma e condroblastoma.4,7
1.1.1.2 CLINICA
Dal punto di vista clinico i tumori ossei hanno manifestazioni varie ed aspecifiche.
Le lesioni benigne sono spesso asintomatiche e vengono diagnosticate con reperti occasionali. Tuttavia molti tumori possono presentarsi con dolore o come una massa a lento accrescimento e talvolta con un’improvvisa frattura patologica.1
Secondo un recente studio il sintomo più comune nei pazienti con sarcoma osseo è il dolore profondo (88%), che in alcuni casi viene descritto come ingravescente (41%). Il dolore muscoloscheletrico quindi, nonostante le numerose condizioni che possono provocarlo, deve essere investigato, in particolar modo quando descritto come ingravescente. Inoltre deve porre il dubbio diagnostico la inspiegata difficoltà di questi pazienti alla mobilizzazione dell’arto superiore o inferiore.
Il dolore notturno e la tumefazione, che si presentano nel 34% dei casi 49% rispettivamente, sono altre due condizioni che devono porre il sospetto diagnostico e devono quindi essere attentamente analizzate.
Infine, sintomo meno frequente, ma non per questo meno importante, è la
frattura patologica, che si presenta come prima manifestazione nel 7% dei
pazienti.
Sempre nello stesso studio viene posta particolare enfasi su come questa diagnosi venga spesso ritardata, in quanto la maggior parte vengono inviati a
consulenza specialistica solamente 4 mesi dopo la comparsa dei sintomi, con solamente un 10% di questi che vi vengono subito indirizzati. Per facilitare e migliorare le tempistiche della diagnosi, sarebbe quindi necessario aggiornare le linee guida, consigliando, alla comparsa dei sintomi sopracitati, una pronta indagine diagnostica e una rx di controllo8.
1.1.1.4 CLASSIFICAZIONE
La classificazione istopatologica è stata ampiamente accettata perchè risponde alla necessità di utilizzare criteri e categorie diagnostiche riproducibili, prerequisito fondamentale per stabilire il potenziale invasivo di un tumore e, di conseguenza, la terapia più adatta da utilizzare. I tumori ossei vengono quindi classificati sulla base dell’origine cellulare, che risulta essere un criterio facilmente applicabile per i tumori che formano cartilagine o ossa, mentre di difficile utilizzo, per tumori come il sarcoma di Ewing che non hanno una linea cellulare di differenziazione riconoscibile che li possa ricollegare ad un tessuto normale.
Considerando tutti questi aspetti, la attuale classificazione della WHO riguardante i tumori ossei, ha abbandonato il concetto dell’istogenesi e della cellula di origine tumorale, per concentrarsi invece sulla combinazione di parametri che includono morfologia, fenotipo e genotipo.
I tumori primitivi, sia maligni che benigni, sono quindi stati raggruppati in 15 differenti categorie, che racchiudono la serie ossea, la cartilaginea, la fibrosa, la fibroistiocitica, la ematopoietica, la vascolare, la adiposa, a cellule giganti, la notocorda, muscolo liscio, la neurale, sarcoma di ewing/ tumori neuroectodermici, miscellanea, lesioni articolari.
A differenza della classificazione usata per i tessuti molli, dove vengono riconosciute solamente lesioni maligne e benigne, nella attuale classificazione vengono riconosciuti anche tumori a comportamento intermedio, localmente aggressivo e a rara metastatizzazione, come il tumore a cellule giganti.4
CLASSIFICAZIONE WHO Osteochondroma Chondroma Enchondroma Periosteal chondroma Multiple chondromatosis Chondroblastoma Chondromyxoid fibroma Chondrosarcoma
Central, primary, and secondary Peripheral Dedifferentiated Mesenchymal Clear cell Osteoid osteoma Osteoblastoma Osteosarcoma:
Conventional (chondroblastic fibroblastic osteoblastic) Telangiectatic
Small cell
Low grade central Secondary Parosteal Periosteal
High grade surface Desmoplastic fibroma Fibrosarcoma
Benign fibrous histiocytoma Malignant fibrous histiocytoma Benign fibrous histiocytoma Malignant fibrous histiocytoma
EWING SARCOMA/PRIMITIVE Ewing sarcoma
NEUROECTODERMAL TUMOUR Neurilemmoma
Plasma cell myeloma Malignant lymphoma Giant cell tumour
Malignancy in giant cell tumour
NOTOCHORDAL TUMOURS Chordoma
Haemangioma Angiosarcoma Leiomyoma Leiomyosarcoma Lipoma Liposarcoma
NEURAL TUMOURS Neurilemmoma
Adamantinoma Metastatic malignancy LIPOGENIC TUMOURS MISCELLANEOUS TUMOURS OSTEOGENIC TUMOURS FIBROGENIC TUMOURS FIBROHISTIOCYTIC TUMOURS FIBROHISTIOCYTIC TUMOURS HAEMATOPOIETIC TUMOURS GIANT CELL TUMOUR
VASCULAR TUMOURS
SMOOTH MUSCLE TUMOURS CARTILAGE TUMOURS
1.1.1.4.1 OSTEOSARCOMA
È un tumore mesenchimale maligno caratterizzato dalla produzione da parte delle cellule maligne di tessuto osteoide o tessuto osseo immaturo.9,10
È il più frequente tumore maligno osseo primitivo con un’incidenza annua del 0,2-0,3/100 000/anno e che aumenta negli adolescenti fino a 0.8–1.1/100 000/anno nella fascia di età tra i 15 e i 19 e rappresentando >10% dei tumori solidi maligni totali11. Gli osteosarcomi insorgono in tutti i gruppi di età, ma presentano una distribuzione bimodale in rapporto all'età, il 75% compare in pazienti sotto ai 20 anni. Se paragonato con gli altri sarcomi extra ossei è relativamente raro, con una incidenza annua negli USA di 900 casi l'anno.12
Il più delle volte l'osteosarcoma si presenta nelle regioni anatomiche a più alto grado di crescita visto che la proliferazione rende le cellule osteoblastiche inclini ad acquistare mutazioni che possono portare a mutazioni.
Il sito più frequentemente colpito risulta essere il femore (42%, con il 75% di questi nella porzione distale), la tibia (19%, di cui il 90% nella regione prossimale), e, infine l’omero (10%, di cui il 90% nella regione prossimale).13
Tuttavia qualsiasi segmento osseo può essere colpito e, nei soggetti oltre i 25 anni di età, l'incidenza nelle ossa piatte e nelle ossa lunghe è pressochè uguale.
Dal punto di vista patogenetico, è significativa la presenza di mutazioni molto frequenti, che interferiscono con la funzione di RB e P53. Si osservano anche anomalie di ink4a che codifica che p14 e p16. 1
I fattori di rischio conosciuti sono precedenti terapie radianti, la malattia di Paget, e anomalie della linea germinale, come la sindrome di Li-Fraumeni (P53), la sindrome di Werner, la sindrome di Rothmund-Thomson, sindrome di Bloom e retinoblastoma eretdiatario (RB)11
A seconda della morfologia, sono descritti diversi sottotipi di osteosarcoma, classificati in base a:
2. GRADO DI DIFFERENZIAZIONE TUMORALE. La classificazione di Broder14 suddivide in due gradi in base a determinate caratteristiche tumorali quali indice mitotico, pleomorfismo cellulare e rapporto nucleo/citoplasma :
-Basso grado (G1 e G2) con bassa percentule di diffusione metastatica <25%,
-Alto grado (G3 e G4) con alta percentule di diffusione metastatica >25.
3. MULTICENTRICITÀ O MONOCENTRICITÀ
4. PRIMITIVO O SECONDARIO A PATOLOGIE PREESISTENTI 5. CARATTERISTICHE ISTOLOGICHE:
Classico-Intramidollare/Centrale Alto Grado osteoblastico
condroblastico fibroblastica
A Piccole Cellule Teleangectasico
Basso Grado Centrale Di Superficie
parostale periosteo di alto grado
Le immagini radiografiche spesso mostrano una grande massa destruente, con aspetti osteolitici e osteoblasitci, a margini infiltrativi. Il tumore spesso invade la corticale e solleva il periostio, dando luogo a una formazione reattiva di osso periostale.
L'ombra triangolare compresa tra la corticale e le estremità sollevate del periostio è chiamata TRIANGOLO DI CODMAN, caratteristica, ma non patognomonica di questo tumore.
Alla prima diagnosi si presenta spesso come un tumore di alto grado, nel 10-20% dei casi sono presenti metastasi polmonari evidenti. La diffusione
metastatica, essendo l’osteosarcoma un tumore di origine mesenchimale, avviene nella maggior parte dei casi per via ematica.
Tra coloro che muoiono per la neoplasia, il 90% presenta mestastasi a polmoni, ossa, cervello e altre sedi.
1.1.1.4.2 CONDROSARCOMA
I condrosarcomi costituiscono in gruppo di tumori con ampio spettro di caratteristiche cliniche e anatomopatologiche.
La caratteristica che li accomuna tutti è la produzione di cartilagine neoplastica.
Sono classificati in base alla sede, in CENTRALI e PERIFERICI. I centrali rappresentano il 90% dei condrosarcomi
Istologicamente sono classificati come CONVENZIONALI (IALINI), a
CELLULE CHIARE, DIFFERENZIATI, e MESENCHIMALI.
I pazienti affetti da condrosarcoma hanno in genere un'età oltre i 40 anni, solamente le varianti a cellule chiare e quella mesenchimale colpiscono pazienti più giovani.
Il condrosarcoma tende a formarsi nelle porzioni centrali dello scheletro, compresi bacino, spalle e coste, mentre, diversamente a quanto accade nel condroma, interessa raramente la porzione distale dell'arto. Quindi, la presenza di una lesione condromatosa nello scheletro assiale è un’indicazione a procedere a ulteriori indagini diagnostcihe strumentali per escludere l’origine maligna della lesione.
Il tipo di crescita nodulare della cartilagine produce una marcata frastagliatura della superficie endostale, visibile nelle immagini radiografiche. A seconda della velocità di crescita e dell'aggressività del tumore, può causare un ispessimento della corticale o una sua erosione. Vi è un grado di correlazione diretta fra il grado e il comportamento biologico del tumore.
La maggior parte dei condrosarcomi è di tipo indolente e di basso grado, con un’alta sopravvivenza a 5 anni.
1.1.1.4.3 SARCOMA DI EWING
Il sarcoma di Ewing, insieme al tumore neuroectodermico fanno parte dei tumori della famiglia di Ewing e costituiscono le neoplasie maligne a piccole cellule rotonde primitive dell'osso e dei tessuti molli.
Il sarcoma di Ewing e il PNET sono varianti dello stesso tumore e si distinguono solamente per il loro grado differenziazione neurale. I tumori con differenziazione neurale vengono classificati come PNET, mentre quelli indifferenziati come Ewing.
Il sarcoma di Ewing /PNET ha l'età di incidenza più bassa tra i tumori ossei, dato che l'80% compare sotto ai 20 anni.
La maggior parte di questi tumori presenta una traslocazione che coinvolge il gene EWS sul cromosoma 22 e un gene che codifica per un fattore di trascrizione della famiglia ETS. Il gene ETS più spesso interessato è FL11 come parte della traslocazione (11,22) (q24, q12).
I geni di fusione dovuti a queste traslocazioni producono fattori di traslocazione chimerici, che alterano l'espressione di una rete di geni target con conseguente alterata proliferazione cellulare e sopravvivenza.
Altri studi recenti suggeriscono che la cellula progenitrice del sarcoma Ewing/PNET sia una cellula staminale mesenchimale multipotente.
Il sarcoma di Ewing/PNET si formano in genere nella diafisi delle ossa lunghe tubulari, soprattutto femore e ossa piatte del bacino. Questo sottotipo tumorale ha una alta capacità di metastatizzazione, spesso infatti, in particolare quando è il bacino ad essere interessato, la malattia è già avanzata e diffusa a distanza.
Il sarcoma di Ewing coinvolge molto frequentemente i tessuti molli, infatti la lesione si presenta tipicamente come una tumefazione in accrescimento e la sede colpita risulta molle, calda ed edematosa. In alcuni casi sono anche presenti anche manifestazioni sistemiche che simulano un'infezione come febbre, innalzamento VES, anemia e leucocitosi.
Le immagini radiografiche rivelano un tumore destruente, osteolitico e a margini infiltrativi con caratteristica reazione periostale a “buccia di cipolla”.
L'introduzione della chemioterapia ha significativamente migliorato la prognosi, con la sopravvivenza a 5 ani passata dal 5% al 75%
1.1.2 TUMORI SECONDARI O METASTASI.
Lo scheletro è un frequente target della malattia metastatica e talvolta, può essere il primo o il solo sito coinvolto nella malattia metastatica avanzata, contribuendo con notevoli comorbidità al peggioramento delle condizioni del paziente.
Il tumore della MAMMELLA, della PROSTATA, del POLMONE e il MIELOMA MULTIPLO in particolare metastatizzano frequentemente all’osso, causando osteoporosi del sito interessato, con conseguente dolore, frattura,
ipercalcemia, e peggioramento del performance status.
Tutti i tumori maligni comunque possono metastatizzare all’osso generando tipicamente lesioni multifocali, ad eccezione dei carcinomi del rene e della tiroide che producono caratteristicamente lesioni solitarie. La metastasi proveniente dal rene ha un’altra particolarità, ovvero quella di causare gravi sanguinamenti. Per ovviare a questo problema si procede a embolizzazione arteriosa selettiva della metastasi o crioterapia.
Le metastasi ossee interessano comunemente lo scheletro assiale, tramite la via di diffusione ematogena, dovuta al drenaggio venoso degli organi viscerali direttamente nello scheletro assiale. Fu dimostrato infatti da Batson in alcuni studi post mortem che il sangue venoso degli organi pelvici e dalla mammella, non confluisca solo nella vena cava, ma anche nel plesso venoso vertebrale di
Batson. Questa modalità di diffusione spiegherebbe quindi la propensione del carcinoma prostatico e mammario di metastatizzare allo scheletro assiale. 15
Le metastasi possono comunque colpire qualsiasi parte dello scheletro e le ossa più frequentemente coinvolte dopo quelle dello scheletro assiale sono il femore prossimale e l'omero.
Altre possibili vie di diffusione sono la propagazione diretta, la via linfatica e la intra rachidea. Ciò che condiziona in ultima analisi l’attecchimento della metastasi all’osso è l’interazione tra le caratteristiche molecolari e cellulari delle cellule tumorali con il microambiente osseo.
2 DIAGNOSI NEOPLASIE MALIGNE
La diagnosi dei tumori ossei è difficile, sia per la loro rarità, sia perché la classificazione e l’inquadramento istologico sono particolarmente complessi. La diagnosi di queste lesioni si avvale in primo luogo della ricerca dei sintomi e dei fattori di rischio, indagati tramite l’anamnesi e l’esame obiettivo del paziente, dello studio delle consuete indagini strumentali di primo e secondo livello, quali RX, TC e RMI, ed infine, della biopsia della lesione sospetta.Un’adeguata diagnosi è necessaria per una corretta stadiazione in quanto la terapia deve essere personalizzata per ogni paziente. Solitamente vengono utilizzati trattamenti combinati di chemioterapia e di chirurgia, che a sua volta, a seconda del grado di estensione della malattia, può essere mutilante o conservativa.
È necessario quindi porre una corretta diagnosi e valutazione del grado di estensione della malattia prima di procedere con la terapia definitiva.
2.1 DIAGNOSI E STUDIO PRE OPERATORIO DEI
TUMORI PRIMITIVI
Per quanto riguarda i tumori primitivi ossei, la presenza di un dolore persistente in qualsiasi osso che si prolunga per alcune settimane, deve immediatamente porre il sospetto diagnostico, e necessita quindi uno studio approfondito. Il dolore ingravescente compare quando il tumore espande il periostio, o se acuto, quando è presente una frattura patologica. Il gonfiore invece è un segno che si presenta solamente se il tumore ha progredito attraverso la corteccia, con interessamento dei tessuti molli, come succede frequentemente nel sarcoma di Ewing.11 Sia il dolore che la tumefazione, però, sono sintomi che compaiono tardivamente, soprattutto quando il tumore ha coinvolto le ossa del bacino.
La diagnosi differenziale deve essere posta, nei bambini e negli adolescenti con lesioni di natura benigna, e in tutti i pazienti deve essere esclusa la malattia metastatica.
L’età del paziente è una delle principali variabili da tenere in considerazione per il sospetto diagnostico. Nei bambini sotto a 5 anni, una lesione destruente è molto comunemente associata a una metastasi da neuroblastoma o granuloma eosinofilo; sopra i 5 anni il sospetto principale è il sarcoma osseo; sopra ai 40 anni la diagnosi più probabile è la malattia metastatica o un mieloma.
L’iter diagnostico terapeutico dei sarcomi ossei è particolarmente complesso,
per cui, quando si sospetta un tumore osseo maligno, prima di procedere alla biopsia, deve essere sempre consigliato un consulto in centri di riferimento specialistici per patologia neoplastica ossea.
Deve essere raccolta una dettagliata anamnesi. Tramite l’anamnesi patologica prossima si ricava la tipologia dei sintomi, la loro durata e intensità, la presenza o meno di dolori notturni o fratture. Tramite l’anamnesi patologica remota e familiare vanno indagati precedenti lesioni benigne o maligne, la familiarità per tumori ossei primitivi e precedenti radioterapie. Traumi recenti non escludono la diagnosi.
Dopo l’anamnesi deve essere sempre svolto un accurato esame obiettivo, ponendo l’attenzione sul volume della lesione, la localizzazione e la mobilità, il gonfiore in relazione all’osso coinvolto e lo studio dei linfonodi regionali. Il primo esame dI imaging che deve essere sempre eseguito è l’Rx in due piani, che però è dotato di bassa sensibilità. Spesso quindi si procede a tecniche di imaging di secondo livello più sensibili come TC e RMN.
La risonanza magnetica (RMI) è da preferire per valutare l’invasione dei tessuti molli, della midollare ossea e per fare planning pre operatorio della resezione e individuare quindi quali muscoli devono essere resecati e quali possono essere risparmiati. Inoltre risulta essere la migliore tecnica per investigare tumori degli arti e della pelvi, deve quindi essere il primo esame effettuato dopo l’rx. Tramite la RMI deve essere analizzato il compartimento direttamente interessato e l’articolazione adiacente.
La TC viene usata per studiare il coinvolgimento dell’osso, quindi per valutare il rischio della frattura, la distruzione della corticale e le neo formazioni ossee.
TC e RM hanno quindi un ruolo complementare in quanto le alterazioni della corticale e le calcificazioni della matrice vengono studiate meglio con la TC, mentre la RM è da preferire per valutare l’invasione dei tessuti molli.
PROBLEMI DIAGNOSTICI X-Ray CONVENZIONALE MRI TC MALIGNO? BENIGNO TRATTAMENTO BIOPSIA stadiazione Appropriato management
Infine, presso il centro di riferimento specialistico, deve essere eseguita la biopsia della lesione sospetta dal chirurgo che deve eseguire la resezione definitiva del tumore, o da un membro radiologo del team chirurgico. I principi della biopsia che devono essere rispettati sono:
1. I tessuti normali circondanti la lesione devono subire la minor contaminazione possibile
2. In molte situazioni le agobiopsie sono un’appropriata alternativa alla biopsia open
3. Deve essere garantito un adeguato campionamento di aree rappresentative per l’istologia
4. I campionamenti devono essere sottoposti a culture microbiologiche garantendo un’accurata diagnosi differenziale
5. I campionamenti devono essere analizzati da un anatomo patologo esperto in collaborazione al radiologo.
Il modulo di richiesta dovrebbe contenere dettagli sufficienti per il patologo, tra cui: il sito del tumore, l’età del paziente e l’imaging del radiologo. Tramite la biopsia siamo in grado quindi di descrivere le caratteristiche istologiche del sottotipo tumorale in accordo con la classificazione della WHO del 2013. Il referto dovrebbe descrivere l'estensione della diffusione tumorale locale, inclusa la partecipazione di compartimenti anatomici specifici, e indicare la distanza del tumore dal margine di resezione più vicino misurato. Devono inoltre essere registrati i risultati delle indagini ausiliare rilevanti (immunoistochimica). Una volta posta diagnosi di tumore primitivo maligno, va effettuato lo studio del GRADO e dello STADIO tumorale al fine di scegliere la terapia più adatta da utilizzare.
Lo studio del grado istologico è uno dei metodi utilizzati per capire il comportamento biologico e la probabilità di diffusione di un tumore. I criteri utilizzati per il corretto grading, sono quindi simili a quelli esposti da BRODER, e per i tumori ossei sono, la cellularità della matrice, l’indice mitotico e il rapporto nucleo citoplasma delle cellule. Tramite queste caratteristiche il
tumore viene classificato come di basso grado G1 o altro grado G2. Il significato del grado istologico del tumore risulta però essere poco utile per la variabilità dei risultati all’interno di una singola osservazione e per il fatto che molti tumori risultano essere in range intermedio ai due gradi.
La stadiazione tumorale permette invece di stabilire la prognosi del paziente tramite la valutazione del grado di differenziazione e l’estensione della malattia, locale o a distanza. Il metodo di stadiazione TNM, comunemente utilizzato per i carcinomi, non può essere utilizzato per i sarcomi ossei in quanto la loro diffusione linfatica è relativamente rara. La stadiazione dei sarcomi ossei viene quindi effettuata tramite l’utilizzo combinato della classificazione di Enneking e della classificazione di AJCC/UICC.
La stadiazione clinica si avvale quindi dei dati ottenuti dall'esame fisico, dagli esami di laboratorio, dal tessuto bioptico e da tecniche di imaging quali TC del torace e la PET scan. Quest’ultima ha la caratteristica di valutare il metabolismo delle cellule tumorali ed è quindi dotata di una alta sensibilità di per l’individuazione delle metastasi a distanza (0,5 cm).
La diffusione metastatica dei tumori ossei primitivi avviene per via ematica, linfatica o tramite invasione dei tessuti circostanti. Nella maggioranza dei casi, visto che i sarcomi ossei derivano da cellule di origine mesenchimale, la diffusione per via ematica risulta essere la principale via di metastatizzazione, mentre nel reticolo sarcoma e nel sarcoma di Ewing, la via di diffusione linfatica risulta essere prevalente. In questi due sottotipi tumorali infatti metastasi linfonodali vengono riscontrate rispettivamente nel 100% e nel 50% dei casi, comparendo prima delle metastasi di origine ematica.16
CLASSIFICAZIONE DI ENNEKING
È il sistema di stadiazione chirurgico utilizzato per i sarcomi ossei. La stadiazione del tumore risulta critica per il controllo individuale della malattia del paziente e come afferma l’International Union Against Cancer gli obiettivi della stadiazione dovrebbero essere:
1. aiutare nella pianificazione del trattamento 2. fornire informazioni sulla prognosi
3. utile nella valutazione dei risultati del trattamento 4. agevolare un’efficace comunicazione interistituzionale 5. contribuire alla continua ricerca di tumori maligni
Questa classificazione chirurgica prende in analisi, il grado di malignità tumorale, l’estensione della malattia e la presenza o assenza della malattia ed è suddiviso in tre stadi:
Lo stadio III rappresenta qualsiasi tumore che ha dato metastasi a distanza. Lo stadio I e II vengono differenziati in base al grado di malignità tumorale in alto e basso grado, inoltre ogni stadio viene poi suddiviso in A e B ovvero in compartimentale ed extra compartimentale in base all’estensione locale della malattia. Ogni stadio indica quindi l’estensione della resezione che deve essere effettuata per garantire margini di resezione adeguati.
IA Low T1—intracompartmental M0—none
IB Low T2—extracompartmental M0—none
IIA High T1—intracompartmental M0—none
IIB High T2—extracompartmental M0—none
III Any Any M1—regional or distant
Negli stadi I e II deve essere sempre effettuata la resezione chirurgica ad ampi margini tramite la tecnica limb salvage o amputazione. Negli stadi più avanzati, in particolar modo nello stadio IIB la resezione della lesione deve essere accompagnata dalla terapia adiuvante chemioterapica.
Nei pazienti allo stadio III, può essere provato un approccio chirurgico aggressivo coadiuvato dalla terapia adiuvante, mentre nei casi non responsivi alla chemioterapia è indicata solamente una resezione palliativa.
In definitiva questo sistema di stadiazione risulta essere pratico, riproducibile in grado di fornire indicazioni prognostiche17, risulta però incompleto visto chesi
basa quindi sulla storia naturale dei tumori mesenchimali, e quindi non è applicabile per i tumori originati dal midollo o dal sistema reticolo endoteliale, come i linfomi, il plasmocitoma, il sarcoma di Ewing e i carcinomi metastatici. Inoltre questo sistema non prende in considerazione l’estensione tumorale, considerata da alcuni come un’importante fattore prognostico
CLASSICAZIONE AJCC/UICC
Questo sistema di stadiazione si basa sulla valutazione del grado e dell’estensione tumorale e sulla eventuale localizzazione a distanza. La differenziazione tra stadio I e II è data dal grado tumorale, mentre ogni stadio è suddiviso a sua volta in A o B a seconda dell’estensione tumorale > o < gli 8 cm. Lo stadio III include le metastasi non visibili, mentre lo stadio IV include le metastasi esclusivamente polmonari (IVA) ed extra polmonari (IVB). Lo stadio IVB nei pazienti con osteosarcoma comporta una peggior prognosi
Stage Grade(G) Size (T) Lymphonode
(N) Metastasis(M)
IA G1—low T1<8 cm N0 none M0—none
IB G1—low T2 >8 cm N0 none M0—none
IIA G2—high T1 <8 cm N0 none M0—none
IIB G2—high T2 >8 cm N0 none M0—none
III Any G Any T Skip metastasis Skip metastasis
IVA Any G Any T N0 none M1—lung
metastasis
IVB Any G Any T N1 lymphnode
metastasis or N0
M1—non-lung metastasis
2.2
DIAGNOSI E STUDIO PRE OPERATORIO
DELLE METASTASI
Per la diagnosi di METASTASI OSSEE, i pazienti con tumore primitivo già diagnosticato devono essere sottoposti a screening e a monitoraggio, mentre devono essere indagate in pazienti che si sottopongono a visita per la prima volta.15
I sintomi della malattia metastatica ossea infatti, possono essere il primo indizio di un tumore maligno, e la natura della metastasi ossea può aiutare a diagnosticare il tumore primitivo. I pazienti che hanno già una diagnosi tumorale, in particolar modo per i tumori riguardanti la mammella, la prostata, il polmone, la vescica, il rene, la tiroide, il melanoma e il mieloma multiplo devono essere monitorati per la possibile comparsa di metastasi ossee.
Le metastasi ossee colpiscono più frequentemente lo scheletro assiale, coinvolgendo in ordine decrescente la colonna vertebrale, le coste, la pelvi, il femore e l’omero prossimale.18
Il primo sintomo di metastasi dello scheletro è tipicamente il dolore osseo, che inizialmente può presentarsi come intermittente, ma che peggiora gradualmente fino a diventare costante. Il dolore tipicamente peggiora nelle ore notturne, provocando disturbi del sonno e fatigue. Questo tipo di dolore deve essere posto in diagnosi differenziale con l’artrite, la fibromialgia e altre condizioni caratterizzate da dolore esteso. Il dolore lombare, accompagnato da intorpidimento, debolezza e difficoltà ad urinare, può essere un’altra forma di presentazione, visto che le metastasi spesso compaiono al rachide, causando una compressione del midollo spinale e conseguente danno alle radici nervose. Un dolore forte e improvviso, può essere invece dovuto a una frattura che spesso è causata da un trauma minore o dallo svolgimento di un’attività quotidiana. Questo è dovuto al fatto che la metastasi ossea crea una debolezza del sito osseo coinvolto. Naturalmente queste tipologie di fratture ossee devono essere messe in diagnosi differenziale con le fratture vertebrali da osteoporosi.
Un’ulteriore modalità di presentazione di queste metastasi è l’ipercalcemia accompagnata da tutti i sintomi che questa comporta.
La malattia è quindi caratterizzata dal peggioramento delle condizioni generali, dal dolore, ridotta mobilità e progressiva diminuzione dell’indipendenza funzionale, e infine, un alto rischio di frattura.
Oltre all’anamnesi e all’esame obiettivo, un ulteriore ausilio per la diagnosi di metastasi ossee viene conferito dall’imaging. Tradizionalmente la radiografia e la scintigrafia ossea erano le opzioni più comunemente usate, mentre oggigiorno sta aumentando l’utilizzo di PET scan, TC e RMI.
Le metastasi ossee possono essere lesioni di natura osteolitica, osteoblastica o miste. Alla radiografia sono visibili lesioni osteolitiche e osteoblastiche, rispettivamente come spot radio trasparenti e radio opache. Il problema principale di questa tecnica diagnostica è che queste imagini compaiono solo tardivamente, ovvero quando la lesione ha portato a compromissione più del 50% del tessuto osseo locale. La radiografia può risultare utile anche per individuare fratture nei pazienti che presentano dolore osseo improvviso. La scintigrafia con tecnezio bifosfonato è sempre stata considerata il gold standard per l’indentificazione delle metastasi, che compaiono come immagini “hot spot”. Rispetto alla radiografia le lesioni son visibili più precocemente, ma spesso non sono visualizzabili le lesioni puramente osteolitiche. Questa tecnica risulta inoltre essere sensibile ma non specifica, visto che risulta positiva anche in casi di precedenti traumi, infezioni e malattie degenerative articolari come l’artrite.
Da qui la necessità di individuare tecniche sempre più specifiche e sensibili. La
PET scan ha dimostrato di migliorare la localizzazione di metastasi già
identificate tramite la scintigrafia e, grazie all’identificazione di piccoli depositi di cellule tumorali, di trovarne di nuove non altrimenti visibili. Dato che la PET viene anche utilizzata per la stadiazione di tumori primitivi, ha sostituito nella pratica clinica la scintigrafia.
La TC risulta sempre un’esame fondamentale, in quanto è l’esame migliore per studiare il coinvolgimento dell’osso. È ad esempio molto utile nel valutare le metastasi che interessano il corpo vertebrale per individuare le lesioni osteolitiche che devono essere trattate con stabilizzazione
L’utilizzo combinato di PET e TC ha invece dimostrato un’altissima specificità e sensibilità nell’individuare precocemente metastasi nei pazienti con tumore prostatico ad alto rischio, e si è dimostrata utile nella stadiazione di metastasi ricorrenti nel carcinoma della mammella.
La RMI è al giorno d’oggi il gold standard per la ricerca di complicanze di metastasi midollari del rachide, e si è dimostrata molto utile nel confermare lesioni metastatiche sospette al livello della spalla, anca e pelvi.
Per completare la diagnosi, possiamo utilizzare anche markers ematici che aumentano tipicamente nei pazienti con metastasi ossee, come l’ipercalcemia e la fosfatasi alcalina. Inoltre alcuni markers specifici per i tumori primitivi vengono usati anche per il monitoraggio dei pazienti metastatici, come il PSA nel carcinoma prostatico.
Nei casi più complicati può essere richiesta anche una biopsia ossea, ma questa evenienza accade raramente.
3 TRATTAMENTO
Effettuata la diagnosi e lo studio pre operatorio completo della patologia si procede con il trattamento che, normalmente, si avvale della terapia adiuvante e della chirurgia, a sua volta seguito dall’impostazione di un regolare follow up tramite cui controllare la possibile evoluzione della malattia.
Il trattamento delle neoplasie ossee si è profondamente evoluto a partire dagli anni 70’ portando a un netto miglioramento della prognosi di questi pazienti. Prima dell'avvento della chemioterapia, il 90% dei pazienti con OSTEOSARCOMA sviluppava metastasi a distanza dopo resezione chirurgica completa, per la presenza di metastasi sub cliniche al momento della diagnosi.12Con la terapia moderna invece i pazienti con diagnosi di osteosarcoma non metastatico hanno una prognosi a lungo termine del 70%, e anche per coloro che hanno sviluppato metastasi esclusivamente polmonari o che hanno una malattia metastatica multifocale la prognosi a lungo termine rimane elevata, rispettivamente del 50% e del 25%. 12,19-22
In passato più del 90% dei pazienti veniva sottoposto all’amputazione della zona colpita, mentre, al giorno d'oggi, nel 95% dei casi si procede con resezione
conservativa “limb salvage” della lesione e successiva chirurgia ricostruttiva, in
modo da mantenere la funzionalità della zona colpita. Quindi l'obiettivo primario rimane garantire il controllo locale della malattia tramite completa estirpazione del tumore, ma, quando possibile, si cerca di procedere con la chirurgia conservativa e il salvataggio dell’arto.
Sebbene l’approccio alle forme maligne PRIMITIVE sia di tipo multidisciplinare (chemioterapia, radioterapia), la chirurgia rappresenta il cardine della terapia.
Per ottenere la guarigione dalla malattia deve essere effettuata una chirurgia che preveda l’asportazione del tumore con margini di resezione adeguati. I margini chirurgici si definiscono adeguati quando sono radicali o ampi; non adeguati quando sono marginali o intralesionali.
I margini sono ampi quando è stato asportato in blocco il tumore, la sua pseudocapsula reattiva periferica e parte di tessuto normale (>2 cm) in tutti i piani.
Margini inadeguati sono: - il margine marginale (asportazione in blocco del tumore passando attraverso la sua pseudocapsula reattiva periferica) che lascia in situ digitazioni neoplastiche e satellitosi - Il margine intralesionale (asportazione eseguita attraverso la massa tumorale) che lascia in situ parti macroscopiche di tumore.
Secondo la Musculoskeletal Tumor Society l’asportazione locale della malattia con margini adeguati è ottenuta grazie ad un’ampia escissione locale del tumore tramite una delle seguenti tecniche: l’amputazione o la chirurgia conservativa “limb salvage”. Risulta quindi fondamentale lo studio pre operatoria, tramite cui viene valutata la possibilità di ottenere margini di resezione adeguati tramite la tecnica conservativa. Se non sono presenti le condizioni necessarie si procede invece con l’amputazione.12
Al giorno d’oggi i pazienti con tumori che coinvolgono gli arti, vengono nella maggior parte dei casi (95%)sottoposti a resezione litmb salvage della lesione con successiva ricostruzione dell’arto colpito, in accordo con il principio di ottenere, oltre al controllo locale della malattia, un buon outcome funzionale. L’outcome funzionale dipende oltre che dalla qualità della tecnica ricostruttiva, anche dall’ampiezza della resezione, dalla quantità di tessuto muscolare resecato e dalle eventuali complicanze insorte nel post operatorio.
ADEGUATI (>2CM)
MARGINALE INADEGUATI (<2CM)
INTRALESIONALE MARGINI
Per i tumori che coinvolgono lo scheletro assiale come la colonna e il bacino, può essere utilizzata la tecnica di resezione conservativa, ma la prognosi è notevolmente peggiore rispetto ai tumori che interessano gli arti, sia per la più difficile resezione tumorale di queste regioni anatomiche, sia perché i tumori che interessano queste zone sono caratteristicamente più voluminosi, e spesso coinvolgono strutture vascolari e nervose, rendendo più difficili le tecniche di ricostruzione.
Per quanto riguarda il trattamento delle METASTASI OSSEE la maggior parte dei pazienti e necessita di una associazione di terapia adiuvante e chrirurgica. La terapia adiuvante, grazie al progresso degli ultimi anni ha prolungato la sopravvivenza di questi pazienti, mentre la terapia chirurgica spesso risulta fondamentale per prevenire le fratture patologiche o per trattarle quando sono già comparse. La scelta della terapia chirurgica deve essere presa tenendo in considerazione vari aspetti, come l’età del paziente, le condizioni generali, il sottotipo e lo stadio del tumore primitivo. I pazienti con prognosi peggiore e scarse condizioni generali vengono trattati solamente con terapia palliativa, mentre i pazienti con prognosi migliore, possono essere selezionati per una resezione della lesione che permette la riduzione del dolore e la diminuzione della ricorrenza locale. In una percentuale di questi pazienti la metastasi ossea può essere considerata come un tumore primitivo, in quanto il trattamento porta a un effettivo aumento della sopravvivenza. 18
3.1 TECNICHE DI RESEZIONE LIMB SALVAGE
È la tecnica di resezione comunemente utilizzata per le lesioni degli arti inferiore e superiore, che permette contemporaneamente, sia di asportare la lesione maligna con adeguati margini di resezione, sia di migliorare l'outcome funzionale, senza pregiudicare il mantenimento del controllo locale della malattia ed evitando chirurgie mutilanti come l’amputazione.La resezione limb salvage è una procedura che, rispetto all'amputazione, garantisce minor margine di sicurezza, che potrebbe incrementare il fallimento del controllo locale della malattia. Studi retrospettivi hanno però sottolineato
come non ci sia differenza tra limb salvage e amputazione per la sopravvivenza a lungo termine “disease free”, a patto che i pazienti sottoposti a questo tipo di intervento vengano adeguatamente selezionati.23
Le INDICAZIONI a procedere con questa tecnica sono:
1. tumori degli arti o dello scheletro assiale
2. possono essere ottenuti ampi margini di resezione 3. l’estensione ai tessuti molli è moderata
4. il fascio vascolonervoso non è coinvolto 5. metastasi assenti o solitarie
6. segni di infezioni assenti
7. buona cooperazione del paziente24
Risulta invece ancora discordante il ruolo della chemioterapia neoadiuvante, che spesso rende possibile il salvataggio dell’arto in pazienti che alla diagnosi non presentano i criteri necessari e sufficienti per sottoporsi a questa tipo di resezione. Alcuni gruppi di studi affermano che aumenti il rischio di ricorrenza locale, altri negano questa evenienza, indicando percentuali di ricorrenza simili all'amputazione.
I FATTORI PROGNOSTICI più importanti per il controllo locale di questa tecnica risultano quindi essere il grado di necrosi tumorale indotta tramite chemioterapia e lo stato dei margini chirurgici25,26
Sebbene i risultati parlino di un migliore outcome funzionale ottenuti tramite questa tecnica, non ci sono però dati sufficienti per affermare che porti effettivamente ad un migliore outcome psico funzionale e ad una migliore qualità di vita.
3.2 MODALITÀ DI RESEZIONE
A seconda del sito anatomico e dell'estensione della lesione ossea, possono essere effettuate 3 tipologie di resezione: intra articolare, extra articolare e intercalare. La selezione della tecnica di resezione da eseguire risulta fondamentale per ottenere margini di resezione negativi.
1. Per i sarcomi che interessano le metafisi delle ossa lunghe adiacenti all'articolazione si effettua un’incisione attraverso l'articolazione e si effettua una resezione osteoarticolare. Questa modalità di RESEZIONE INTRA ARTICOLARE viene usata frequentemente per i tumori che coinvolgono l'arto inferiore.12
2. Per i sarcomi che invadono le strutture ligamentose articolari e si estendono oltre la capsula articolare è necessaria LA RESEZIONE EXTRA ARTICOLARE.
3. Se invece, è interessata solamente la diafisi di un osso lungo. è possibile procedere con una RESEZIONE INTERCALARE che risparmia le articolazioni.
Infine, molto raramente, il tumore può interessare l'osso nella sua intera lunghezza, rendendo necessaria la resezione di entrambe le articolazioni, prossimale e distale.
3.3 TECNICHE DI RICOSTRUZIONE
I pazienti sottoposti a resezione “limb salvage” devono poi essere sottoposti a tecniche di ricostruzione, tra cui, le più frequentemente utilizzate sono la megaprotesi, l’allotrapianto (OA), l’allograft prosthetic composite (APC), l’artrodesi e i vascularized grafts.
La scelta della tecnica ricostruttiva deve essere personalizzata per ogni paziente, dopo aver attentamente analizzato la localizzazione anatomica e l’integrità dei tessuti circostanti, lo stadio della malattia e l’estensione della resezione, la diagnosi istologica, la probabilità e la natura delle complicanze associate al tipo
di ricostruzione, l’età del paziente e la sua spettativa di vita e infine la disponibilità dei materiali necessari per compiere la ricostruzione.12,27
3.3.1 ALLOTRAPIANTO OSTEO ARTICOLARE (OA)
Mentre, per l'ampiezza della lesione, gli autotrapianti possono essere scarsamente utilizzati nei pazienti sottoposti a resezione tumorale, gli
allotrapianti osteo articolari possono essere efficacemente utilizzati come un
metodo di ricostruzione duraturo. L'AO fornisce infatti un reticolo strutturale adatto alla crescita degli elementi ossei propri del paziente, con il normale tessuto osseo dell'ospite che lentamente invade il sito dell’osteosintesi.28-32
Dopo aver correttamente stabilito la quantità di osso da rimpiazzare i trapianti vengono prelevati dalla banca dell'osso. Nonostante l'osso sia una struttura relativamente non antigenica, per migliorare l'outcome clinico si cerca di utilizzare antigeni compatibili con l’MHC di tipo 2 dell’ospite.33
Il trapianto, grazie ai seguenti vantaggi rispetto all'endoprotesi, garantisce MIGLIORI RISULTATI FUNZIONALI:
1. mantenimento del bone stock
2. mantiene le porzioni di tessuto non direttamente coinvolte 3. fornisce un sito d’attacco per l'inserzione dei tendini muscolari
Sempre rispetto all'endoprotesi questa tecnica porta con sé anche notevoli
svantaggi. Il trapianto infatti deve avere il tempo di fissarsi al tessuto dell'ospite
e quindi non può essere sottoposto a carico per lunghi periodi, inoltre comporta una maggiore incidenza di complicanze (15-20%), come fratture, pseudo artrosi oltre a infezioni profonde difficilmente trattabili.34
Naturalmente i trapianti che vanno a sostituire ampie resezioni hanno una probabilità più alta di non essere completamente invasi da osso autologo, condizione che porta col tempo a fratture del trapianto (18%).
La difficoltà della tecnica operatoria e le frequenti complicanze portano quindi a risultati funzionali soddisfacenti solo nel 70% dei casi.30,35 Il rischio di andare incontro alle frequenti complicanze viene quindi accettato in pazienti GIOVANI, in cambio di un possibile miglior risultato funzionale.
3.3.2 ENDOPROTESI
Inizialmente le endoprotesi usate per ricostruire i difetti ossei dopo resezione tumorale erano costruite a partire dalle specifiche caratteristiche del paziente.
Al giorno d'oggi le protesi modulari consentono la ricostruzione senza dover ricorrere ad un impianto personalizzato, infatti le componenti della protesi possono essere assemblate al momento della chirurgia a seconda dell’ampiezza della resezione.
Quando vengono resecate ampie porzioni di osso vengono utilizzate le MEGAPROTESI, mentre quando sono presenti solo piccole porzioni resecabili possono essere impiantate ENDOPROTESI A STELO LUNGO che garantiscono un miglior mantenimento del bone stock.
Le magaprotesi sono particolarmente adatte per la ricostruzione delle articolazioni e quindi vengono più frequentemente impiantate alla spalla, all’anca e al ginocchio.36,37 Vengono utilizzate sia nella chirurgia ortopedica
oncologica che in quella non oncologica come ad esempio nell’artrite reumatoide severa e nei traumi con frattura estremamente comminuta non sintetizzabile.
Rispetto all'allotrapianto, l'endoprotesi porta generalmente a una perdita del bone stock e a un peggior outcome funzionale, mentre garantisce una pronta stabilità articolare e permette un carico precoce o immediato.
La complicanza principale è l'infezione che occorre nel 2-5% dei casi e spesso risulta difficilmente trattabile costringendo alla rimozione dell'impianto o all'amputazione.27 Le altre complicanze di natura meccanica invece sono molto
L’endoprotesi risulta quindi essere tra le tecniche ricostruttive la più studiata e la più frequentemente utilizzata grazie al fatto che comporta il MINOR NUMERO DI COMPLICANZE e una minor difficoltà operatoria. Ne è quindi consigliato l’utilizzo in persone anziane o con basso performance status che non hanno grandi pretese funzionali post trattamento, e talvolta anche nei giovani dove risulterebbe troppo complesso o con una prognosi troppo incerta, andare ad utilizzare la tecnica del trapianto.
3.3.3 ALLOGRAFT-PROSTHETIC COMPOSITES.
Per le ricostruzioni degli arti dopo resezione della lesione, possono essere utilizzate le APC, ovvero associazioni di allotrapianti e endoprotesi, con queste ultime che vengono cementate al di sotto del trapianto.
Questa tecnica di ricostruzione ha dei vantaggi nei confronti sia dell'allogaft che dell'endoprotesi usati singolarmente.
Al contrario delle protesi forniscono un sito d’attacco per l'inserzione dei tendini muscolari, (infatti nonostante sia stata fatta una grande quantità di ricerca per migliorare l'attacco delle unità muscolari alla porzione protesica risulta ancora un problema tipico di questa ricostruzione), inoltre sono più resistenti alle fratture e al collasso rispetto ai semplici allotrapianti. La ricostruzione tramite APC garantisce quindi eccellenti risultati funzionali, ma l'operazione risulta molto complessa e di lunga durata e viene quindi riservata a pazienti GIOVANI con una buona prognosi.38
3.3.4 ATRODESI
L'artrodesi o la fusione dell'articolazione è un'importante tecnica chirurgica utilizzata per i tumori del rachide. Questa tecnica permette di evitare i fallimenti da pseudo artrosi delle tecniche ricostruttive che porterebbero a dolore
persistente. Nella colonna vertebrale quasi tutte le artrodesi richiedono un
innesto osseo, proveniente il più delle volte da osso autologo della cresta iliaca.
L'artrodesi può essere considerata anche in pazienti con tumori che coinvolgono gli arti, come nei casi in cui il tumore maligno coinvolge ampie porzioni di tessuto molle circostante l'articolazione e quando viene a mancare spazio nel caso in cui non si riesca chiudere la cute. 39
Quindi, quando l'artroplastica non può essere utilizzata, l’artrodesi riesce comunque a mantenere una funzionalità duratura. In definitiva le più comuni articolazioni dove questa tecnica viene utilizzata sono l'anca, il ginocchio e la spalla. In particolar modo le artrodesi di spalla e anca riescono a mantenere una buona funzionalità grazie all'eccellente capacità compensatoria delle rimanenti articolazioni dell'arto interessato.
Anche se tramite l'operazione si raggiunge l'ottenimento di margini liberi, il processo di riabilitazione è lungo e complicato, e obbliga il paziente ad un cambiamento dello stile di vita.
Questa procedura in definiva è la tecnica più semplice che comporta il minor numero di infezioni e di complicanze meccaniche, mentre conduce solitamente a scarsi risultati funzionali
3.3.5 VASCULARIZED GRAFTS
Gli innesti ossei vascolarizzati vengono utilizzati in pazienti GIOVANI e super selezionati.
Sono particolarmente vantaggiosi per il trattamento di allotrapianti andati incontro a pseudoartrosi e nel trattamento di pazienti sottoposti a radioterapia, che hanno caratteristicamente una inadeguata vascolarizzazione del sito interessato.40
Possono essere utilizzati varie tipologie di innesti vascolarizzati, e vengono suddivisi in base al peduncolo vascolare in liberi o peduncolati41.
Sicuramente l’innesto vascolare più utilizzato è la fibula, ovvero il Free vascularised fibular bone grafts (FVFGs), che ha dimostrato un’estrema efficienza nella gestione di ampie porzioni resecate (>6CM) dove gli innesti non vascolari convenzionali avevano fallito. Questa tecnica consiste nel modellare un innesto omoplastico corrispondente al segmento osseo resecato, alesandone il canale midollare e aprendo sulla superficie corticale dello stesso una finestra di dimensioni variabili. Il perone autoplastico viene prelevato nella sua porzione diafisaria, per via extraperiostea unitamente alla sua vascolarizzazione costituita dall’arteria e dalla vena peroniera che vengono isolate e sezionate a livello del terzo prossimale di gamba, in corrispondenza della biforcazione tra il tronco tibio-peroniero ed i vasi tibiali posteriori. Il perone ora libero viene inserito all’interno dell’innesto con il peduncolo vascolare che fuoriesce dalla finestra aperta nell’innesto stesso. L’impianto così costituito viene posto nella sede da ricostruire con gli estremi del perone inseriti in posizione endomidollare a livello dei monconi ossei residui. I vasi peronieri vengono quindi suturati con tecnica microchirurgica a vasi precedentemente isolati nella sede da ricostruire. Generalmente si preferisce eseguire anastomosi terminoterminali sia dell’arteria che della vena.
Questa tecnica è particolarmente utilizzata nelle grandi resezioni intercalari sia a livello del femore che della tibia, dove i monconi ossei residui sono di piccole dimensioni. La presenza di osso vitale nell’impianto, garantisce una rapida fusione delle osteotomie anche in assenza di una sintesi particolarmente rigida. Per le stesse ragioni questa tecnica trova maggiori indicazioni nell’età pediatrica dove permette di ottenere ricostruzioni diafisarie con minima sintesi e maggiori possibilità di evitare epifisiodesi inutili.
La procedura chirurgica per l'impianto di un innesto vascolarizzato è lunga e l'anastomosi vascolare è tecnicamente impegnativa. Il tasso di complicanze risulta infatti molto alto, mentre se l’operazione va a buon fine l’outcome funzionale è eccellente.
Fortunatamente, le complicazioni del donatore nel sito da dove viene estratto il trapianto sono rare
3.4 TERAPIA ADIUVANTE, NEOADIUVANTE E
CONTROLLO LOCALE
1. Più dell’80 % dei pazienti con osteosarcoma o sarcoma di Ewing trattati solamente con la chirurgia sviluppa la malattia metastatica nonostante un buon controllo locale. È stato ipotizzato che metastasi subcliniche siano molto frequenti al momento della diagnosi anche in assenza di metastasi conclamate. La chemioterapia ADIUVANTE è in grado di eradicare questi depositi di cellule metastatiche quando l’espansione tumorale è ancora limitata. Di conseguenza il trattamento chemioterapico adiuvante è considerato di routine per il controllo dei tumori ossei primitivi.
2. Inizialmente la terapia chemioterapica NEOADIUVANTE veniva effettuata per guadagnare il tempo necessario per la costruzione di protesi personalizzate e veniva quindi somministrata in attesa della chirurgia definitiva. A causa del suo successo nel ridurre il volume tumorale, al giorno d’oggi viene utilizzata frequentemente per rendere alcuni pazienti possibili candidati alla chirurgia limb salvage. Un altro vantaggio della terapia neoadiuvante è di poter testare in vivo la sensibilità del tumore alla chemioterapia adiuvante, in modo da impostare una corretta terapia post operatoria. La sensibilità viene quindi valutata tramite un sistema di classificazione della Memorial Sloan Kettering.
Infine, la risposta del paziente alla chemioterapia neoadiuvante è uno dei maggiori fattori prognostici. I pazienti con una completa assenza di cellule tumorali nel campione di resezione dopo terapia neoadiuvante risponde bene alla stessa terapia anche dopo l’intervento chirurgico. Questione dibattuta è invece quando il tumore residuo mantiene il 10% o più delle cellule tumorali dopo la terapia, dove potrebbe essere consigliata una modifica del regime terapeutico dopo la chirurgia.
Al giorno d’oggi quindi la terapia neoadiuvante è sempre utilizzata, tranne nei casi in cui la procedura chirurgica non possa essere in alcun modo condizionata dal trattamento pre operatorio. In questi casi viene quindi, la chemioterapia viene somministrata post operazione.
3. I sarcomi ossei sono invece generalmente resistenti alla RADIOTERAPIA, ad eccezione del Sarcoma Di Ewing. Secondo alcuni studi, in pazienti trattati sia chirurgicamente che con terapia adiuvante chemioterapica, la radioterapia non migliora la sopravvivenza e aumenta il rischio di tumori secondari.
Per questo motivi la radioterapia non viene quasi mai utilizzata e viene tenuta in considerazione solamente nei tumori non resecabili, nelle varianti a piccole cellule dell’osteosarcoma e in alcuni casi nel sarcoma di Ewing12
3.5 FOLLOW UP
Uno stretto follow up deve essere progettato sia in base al grado che al sottotipo tumorale per individuare precocemente la ricorrenza locale della malattia o la sua evoluzione metastatica, quando un trattamento precoce è ancora possibile e potenzialmente efficace. Generalmente il follow up LOCALE viene effettuato tramite rx e risonanza, mentre quello SISTEMICO, tramite tc total body, rx torace e PET.
1. Per i TUMORI DI ALTO GRADO, il follow up dovrebbe includere sia l’esame fisico del sito tumorale che la valutazione della funzionalità e le eventuali complicanze della tecnica ricostruttiva. Sebbene non esistano rigide regole sui tempi di controllo, è indicato un follow up abbastanza stretto dopo la conclusione della chemioterapia ogni 2-3 mesi per i primi due anni, ogni 3-4 mesi fino al terzo quarto anno, ogni sei mesi fino al decimo anno, e successivamente ogni 6-12 mesi.
2. Per i TUMORI DI BASSO GRADO la frequenza del follow up è consigliato il follow up ogni 6 mesi per i primi due anni e successivamente 1 volta l’anno.
Metastasi tardive e deficit funzionali possono verificarsi dopo i primi 10 anni, la sorveglianza deve quindi essere mantenuta per tutta la vita.
4 ENDOPROTESI DI SPALLA
L'omero, in particolar modo la porzione prossimale, risulta essere uno dei siti anatomici più frequentemente interessati nei tumori ossei. Analizzando le varie tipologie di tumore che interessano questa sede emerge che l’omero è il terzo sito più frequentemente colpito dall'osteosarcoma e dal condrosarcoma, il quarto più frequentemente leso dal gigantocellulare, dunque uno dei siti a più alta incidenza di metastasi. 42,43
Andando ad analizzare le precise incidenze dei vari sottotipi istologici al livello dell’omero prossimale, vediamo come siano simili alla maggior parte delle altre sedi dello scheletro. L’osteosarcoma è infatti il tumore maligno più frequente (40%), seguito dal condrosarcoma (20%) e dal sarcoma di Ewing (10%).44
Mentre per quanto riguarda le metastasi, il tumore primitivo che più frequentemente metastatizza all'omero prossimale è il carcinoma renale.
In tutti questi casi può essere utilizzata la tecnica di resezione limb salvage e successiva ricostruzione tramite una delle tecniche attualmente disponibili.
Nonostante la tecnica di resezione limb salvage sia di difficile esecuzione, risulta essere eseguita in circa il 95% dei pazienti con sarcomi di alto e basso grado, mentre l’amputazione risulta necessaria sempre più raramente (5%), visto che numerosi studi hanno provato che il tasso di ricorrenza locale sia uguale in queste due tecniche.45
La ricostruzione, come abbiamo già accennato nei paragrafi precedenti, è un procedimento impegnativo e difficoltoso, dovuto sia all’ampia porzione di osso da sostituire, sia al fatto che durante la resezione, per ottenere margini adeguati, vengono spesso sezionati e resecati ampie porzioni del muscolo deltoide, la capsula articolare, il nervo ascellare, la glena. Attualmente sono disponibili varie modalità d ricostruzione, tra cui le più utilizzate sono l’endoprotesi, l’AO e l’APC oltre a tecniche meno comuni come l’atrodesi, la reverse shoulder artroplasty (RSA) e i vascularized allograft, ovvero la claviculo pro humeri (CPH) e la vascularized fibula (FVFGs).46 La scelta della tecnica ricostruttive da utilizzare deve essere sempre basata sulle specifiche caratteristiche del
paziente, come le condizioni generali, lo stadio e il grado tumorale e le qualità intrinseche dell’osso coinvolto.
Ricordiamo che, dopo la resezione tumorale, e quindi dopo aver trattato la progressione locale del tumore, l’obiettivo delle tecniche ricostruttive sia di
ripristinare la funzionalità dell’arto e di limitare le complicanze47
4.1 INDICAZIONI E CONTROINDICAZIONI LIMB
SALVAGE DELL’OMERO PROSSIMALE
Le INDICAZIONI per tecnica limb salvage (anche detto limb sparing) dell’omero prossimale sono i sarcomi ossei di alto e basso grado, i sarcomi dei tessuti molli di basso grado che secondariamente invadono l’osso e le metastasi solitarie dell’omero prossimale. Prima di procedere a questo intervento chirurgico va sempre valutata la storia naturale del tumore e la sua esatta localizzazione.
CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE sono l’invasione tumorale del fascio vascolo nervoso e una massiva invasione della adiacente parete toracica.
CONTROINDICAZIONI RELATIVE sono invece una limitata invasione della parete toracica, la contaminazione del campo chirurgico con cellule tumorali provenienti dall’ematoma conseguente a una biopsia mal eseguita o a una frattura patologica, una precedente infezione e il coinvolgimento tumorale dei linfonodi.
Recentemente sono stati trattati anche pazienti con fratture patologiche dopo chemioterapia neoadiuvante e immobilizzazione, riscontrando ottimi risultati clinici e una buona guarigione della frattura.
Quando vengono meno le indicazioni alla procedura “limb salvage” si ricorre quasi sempre all’amputazione