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Indice
Introduzione p. 4
I. Il fascismo in Italia 8
1. Nascita e affermazione del fascismo 8
1.1 Dagli ultimi decenni dell’Ottocento alla nascita del fascismo 8
1.2 Dalla nascita del fascismo alla sua svolta autoritaria 14
II. Fascismo e antifascismo 23
1. Combattere l’antifascismo: metodi e organismi di repressione fascista 23
1.1 Gli oppositori del regime al confino 23
1.2 Nascita e sviluppo del Casellario Politico Centrale (CPC) 28
1.3 Il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato (TSDS) 31
2. L’antifascismo di fronte al fascismo 41
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2.2 Antifascismo dall’alto 43
2.3 I principali giornali clandestini antifascisti 46
2.4 Il fenomeno del fuoruscitismo 49
2.5 La Concentrazione d’azione antifascista 53
2.6 L’antifascismo in Spagna 60
III. La città di Pisa tra la fine dell’Ottocento e la caduta del fascismo 66
1. Pisa tra lotte sociali e dittatura fascista 66
1.1 Studi e ricerche storiografiche 66
1.2 Lotte sociali e Camera del Lavoro a Pisa tra XIX e XX secolo 68
1.3 Pisa dall’ascesa del fascismo alla caduta del regime dittatoriale 72
IV. Elementi per una cronologia del sovversivismo pisano 83
1. Sovversivismo e antifascismo a Pisa nel Casellario Politico Centrale 83
1.1 Eversivi pisani tra la seconda metà dell’Ottocento e il 1900 83
1.2 Sovversivi pisani tra gli inizi del Novecento e l’ascesa del fascismo 93
1.3 Individui pisani schedati tra il 1922 e la caduta del fascismo 102
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Conclusione 121
Appendice 143
Bibliografia 161
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Introduzione
Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento la Toscana subì trasformazioni economiche, sociali e produttive di minore entità rispetto ad altre regioni italiane, soprattutto quelle del Nord, a causa delle diffusa e radicata istituzione della mezzadria, soltanto di tanto in tanto interrotta in alcune zone nelle quali a prevalere erano le piccole e medie industrie; inoltre, al contrario delle regioni settentrionali, la Toscana non conobbe grandi stravolgimenti e cospi-cue ondate di scioperi alla fine del XIX secolo, così che «in the Giolittian era when there was turmoil in the countryside elsewhere in the peninsula, the Tuscan provinces remained untou-ched by agricultural strikes, land occupations, and the counter measures of landlords»1.
Tale apparente e in parte effettiva tranquillità sociale nelle terre della Toscana viene ri-condotta dallo storico statunitense Snowden al particolare sistema agricolo qui presente, ovvero alla mezzadria che prevedeva una distribuzione (apparentemente) eguale tra il padrone e il con-tadino dei beni ricavati dalla terra, resa possibile grazie all’investimento compiuto dal signore nell’acquisire la terra e i mezzi necessari a far fruttare il raccolto mentre da parte sua il conta-dino forniva la forza lavoro e le braccia necessarie per coltivare il terreno.
In industry and in the northern countryside where wage labour prevales, there was continual class conflict, and costant danger to social order. Not so in Tuscany where peasant and landlord were equal partners united by a common interest in the greatest productivity of the soil2.
Tuttavia, tale egualità era più teorica che pratica poiché il contadino spesso era costretto a lavorare per conto del signore alcuni giorni all’anno senza percepire una retribuzione oppure doveva portare una parte del raccolto spettante al signore al mercato così da venderla per conto del padrone; inoltre, gli accordi stipulati tra il signore e il contadino erano soltanto verbali e non scritti, fornendo quindi al signore il pretesto e la possibilità di mutarli a proprio favore e piacimento ogniqualvolta lo avesse desiderato, così come sul volere del signore erano basate le distribuzioni delle terre ai contadini che le avrebbero coltivate. Benché quindi nelle aree rurali
1 Frank M. Snowden, Fascist devolution in Tuscany 1919-1922, Cambridge University Press, Cambridge 1989, p.
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della Toscana mancasse una situazione di aperta conflittualità tra il mezzadro e il padrone, tut-tavia non raramente si riscontravano furti e bracconaggi ai danni del signore3.
Con l’unificazione dell’Italia e l’espansione del mercato la situazione della mezzadria toscana iniziò a mutare a causa della creazione di un sistema di mercato mondiale capitalistico in seguito al quale dalla fine dell’Ottocento i capitali e i guadagni provenienti dall’agricoltura furono sempre più convogliati verso l’industrializzazione e la costruzione di infrastrutture all’interno del Paese appena unificato. Inoltre, tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del No-vecento, con l’aumentare della dipendenza del contadino dai nuovi mezzi di produzione mec-canizzati diminuì la sua dipendenza e autonomia, scalfite ulteriormente dalla nascita e dallo sviluppo di una nuova classe sociale rappresentata dai contadini semi-proletarizzati. Proprio a causa di tali modifiche all’interno del mondo contadino toscano, il tradizionale e peculiare si-stema di vita isolata mezzadrile venne a cadere4.
Nella città di Pisa, la quale rappresenterà oggetto di studio in un capitolo appositamente dedicatole, l’industrializzazione avvenne in modo molto lento, protraendosi per diversi decenni tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento; negli ultimi decenni del XIX secolo, diver-samente da quanto avvenne per le altre città italiane, le quali, a causa della crisi agraria, si riempirono di contadini provenienti dalle campagne in cerca di impiego, a Pisa tale inurbamento avvenne in maniera più ridotta anche se ciò non impedì il verificarsi di importanti cambiamenti demografici, primo fra tutti lo sviluppo di quartieri periferici a discapito di un centro ancora poco popolato (sono da ricordare in particolare i quartieri di Porta a Mare, delle Piagge, di San Marco e di Porta Fiorentina), nei quali prese sempre più piede una crescente attività artigianale e operaia, mentre il centro città continuò a ricoprire il ruolo di meta turistica e sede universita-ria5.
Questa nuova conformazione geografica della città di Pisa portò ad una crescente coe-sione politica di stampo sovversivo all’interno dei quartieri periferici abitati sempre più da anar-chici, repubblicani, nazionalisti e, in misura minore, socialisti; tale montante ideologia sovver-siva contraria all’ordine monarchico trovò terreno fertile per il proprio sviluppo e la propria penetrazione nella città grazie alle numerose associazioni e organizzazioni di tipo assistenziale
3 Ivi, pp. 8-10.
4 Ivi, p. 32.
5 Gigliola Dinucci, La Storia della CdL di Pisa tra dimensione nazionale e specificità territoriali, in Gigliola
Dinucci (a cura di), La Camera del Lavoro di Pisa (1896-1980). Storia di un caso, ETS, Pisa 2006, pp. 12-14; Alessandro Marianelli, EPPUR SI MUOVE! Movimento operaio a Pisa e provincia dall’Unità d’Italia alla
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e cooperativo esistenti nei diversi quartieri cittadini, favorite dalla caduta del governo nazionale della Destra storica e dalla vittoria alle elezioni amministrative del 1876 del fronte progressista6.
Un altro aspetto specifico dell’assetto associativo del territorio pisano […], è la grande diffusione, nei sobborghi della città come nei centri vicini, di società di tipo generale e territoriali, fondate non tanto sul mestiere, sulla condizione lavorativa, quanto piuttosto su legami di tipo comunitario, più rispondenti dunque alla composita e per certi versi ancora fluttuante, fisionomia lavorativa degli strati sociali pre-senti nel territorio7.
Anche per quanto riguarda la costituzione di leghe e organizzazioni a difesa dei lavoratori essa avvenne nel territorio pisano in tempi successivi rispetto ad altre regioni italiane, quasi nello stesso periodo di costituzione della prima Camera del Lavoro avvenuta soltanto alla metà degli anni Novanta dell’Ottocento; secondo due letture contrapposte, il passaggio dalle asso-ciazioni di mutuo soccorso alle leghe avrebbe rappresentato per una delle due interpretazioni una tappa, quasi fisiologica, del processo di trasformazione, mentre per l’altra corrente storio-grafica avrebbe significato l’inizio di una nuova fase diversa e più matura rispetto a quella precedente8.
Gli scioperi di maggior rilievo nella città di Pisa, sia per durata sia per intensità, degli ultimi quindici anni dell’Ottocento, videro protagoniste le donne, in particolare le lavoratrici tessili decise e motivate nel rivendicare migliori condizioni economiche e lavorative, le cui rimostranze si scagliarono anche contro le tessitrici domestiche, additate come causa della ri-duzione dei loro salari; inoltre, ancora alla fine del secolo XIX esistevano rapporti quasi pater-nalistici e familiari tra i lavoratori e i proprietari, specie nelle piccole industrie sia urbane che periferiche.
Un altro aspetto peculiare della città di Pisa per quanto concerne il movimento operaio era rappresentato da una forte mescolanza tra aspetto economico e aspetto politico, caratteristica che continuerà a sopravvivere anche negli anni della Camera del Lavoro fino alla sua soppres-sione definitiva, avvenuta negli anni Venti a causa del dilagare delle violenze fasciste9.
6 G. Dinucci, La storia della CdL di Pisa tra dimensione nazionale e specificità territoriali, in G. Dinucci (a cura
di), La Camera del Lavoro di Pisa (1896-1980), op. cit. p. 16.
7 Ivi, p. 18.
8 A. Marianelli, EPPUR SI MUOVE!, op. cit., p. 34; G. Dinucci, La storia della CdL di Pisa tra dimensione
nazionale e specificità territoriali, in G. Dinucci (a cura di), La Camera del Lavoro di Pisa (1896-1980), op. cit.,
p. 20.
9 G. Dinucci, La storia della CdL di Pisa tra dimensione nazionale e specificità territoriali, in G. Dinucci (a cura
di), La Camera del Lavoro di Pisa (1896-1980), op. cit., pp. 24-28; A. Marianelli, EPPUR SI MUOVE!, op. cit. pp. 37-39.
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A causa della scarsità di lavori inerenti al periodo fascista per quanto riguarda la città di Pisa, in accordo con il relatore Professor Fulvetti, abbiamo deciso di concentrare l’attenzione sui fascicoli del fondo Casellario Politico Centrale presente all’interno dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma, consultando 178 fascicoli di sovversivi su un totale di 85810.
Il seguente lavoro è suddiviso in quattro capitoli, i primi due di storia generale e gli ultimi due di storia locale con al centro le vicissitudini attraversate dalla città di Pisa tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e la svolta totalitaria del regime fascista. Nel primo capitolo vengono ricostruite molto brevemente le principali vicende sociali e in piccola parte politiche che riguar-darono l’Italia tra fine Ottocento e l’affermazione del fascismo in seguito alla sua presa del potere nel 1922; nel secondo capitolo, invece, suddiviso in due paragrafi, vengono descritti nel primo di essi gli strumenti repressivi utilizzati dal fascismo per limitare l’operato dei suoi op-positori, mentre nel secondo paragrafo sono esposte alcune tra le principali azioni messe in atto dall’antifascismo per tentare inizialmente di arginare e successivamente di abbattere il governo di Mussolini. Nel terzo capitolo, basandomi sulle scarse fonti storiografiche disponibili, tento di tratteggiare un quadro abbastanza puntuale della situazione sociale della città di Pisa tra fine XIX e inizio XX secolo per poi descrivere i principali avvenimenti che accompagnarono la città dall’arrivo del fascismo fino alla sua caduta il 25 luglio del 1943. Infine, nell’ultimo capitolo cerco di aggiungere nuove informazioni alla narrazione precedente attraverso la consultazione di alcuni fascicoli del Casellario Politico Centrale, tentando di estrapolare da essi informazioni di natura generale partendo dalle singole esperienze degli individui schedati come sovversivi.
10 Da ora in poi per abbreviazione nelle note utilizzerò la dicitura ACS per quanto concerne l’Archivio Centrale
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Capitolo I
Il fascismo in Italia
1. Nascita e affermazione del fascismo
111.1 Dagli ultimi decenni dell’Ottocento alla nascita del fascismo
Lungi dal fornire un quadro esaustivo e completo della storia italiana tra la fine dell’Ot-tocento e gli inizi del Novecento, ritengo comunque importante descrivere per sommi capi la situazione politica e soprattutto sociale, con tutti i cambiamenti che ne derivarono, che l’Italia attraversò in un momento di rilevanti mutamenti a livello internazionale come fu quello tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.
Come è ben noto, in seguito all’unificazione del Paese la situazione economica e sociale era lontana da una stabilità anche solo apparente e le divisioni interne tra Nord, Centro e Sud vennero accentuate e approfondite dallo sviluppo industriale che agevolò soprattutto il così detto triangolo industriale composto dalle città di Genova, Torino e Milano; mentre al Nord iniziò a svilupparsi e a diffondersi un modello produttivo industriale discretamente avanzato e bisognoso di manodopera specializzata, al Centro prevaleva ancora il vecchio sistema agricolo della mezzadria poco meccanizzato e al Sud permanevano i grandi proprietari terrieri legati ai
11 Per una bibliografia, per quanto del tutto incompleta, sulle origini del fascismo: Paolo Alatri, Le origini del
fascismo, Editori Riuniti, Roma 1971; Norberto Bobbio, Dal fascismo alla democrazia. I regimi, le ideologie, le figure e le culture politiche (a cura di Michelangelo Bovero), Baldini&Castoldi, Milano 1997; Giovanni De Luna,
Marco Revelli, Fascismo e antifascismo. Le idee, le identità, La Nuova Italia, Scandicci (FI) 1995; Angelo Del Boca (a cura di), Le guerre coloniali del fascismo, Laterza, Bari 1991; Emilio Gentile, Fascismo e antifascismo. I
partiti italiani fra le due guerre, Le Monnier, Firenze 2000; Luigi Lacchè (a cura di), Il diritto del duce. Giustizia e repressione nell’Italia fascista, Donzelli, Lavis (TN) 2015; Claudio Longhitano, Il Tribunale di Mussolini: storia del Tribunale Speciale 1926-1943, ANPPIA, Roma 1995; Gaetano Salvemini, Le origini del fascismo in Italia. Lezioni di Harvard, Feltrinelli, Milano 1966; F. M. Snowden, Fascist devolution in Tuscany 1919-1922, op. cit.;
Ignazio Silone, Il fascismo. Origini e sviluppo, SugarCo Edizioni, Gallarate (Varese) 1992; Giovanna Tosatti,
L’anagrafe dei sovversivi italiani: origine e storia del Casellario politico centrale, in «Le carte e la storia», anno
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propri lavoratori spesso mediante rapporti clientelari di lunga data, i quali non facevano altro che limitare i contadini nel mettere in atto le proprie rimostranze e proteste per ottenere miglio-ramenti lavorativi, impedendo in tal modo un avanzamento economico e produttivo di quei territori12.
Un momento importante per i futuri sviluppi sociali del Paese fu la costituzione del Partito Socialista Italiano avvenuta durante il Congresso nazionale di Genova nel 1892 grazie all’rato di Filippo Turati, incontro al quale parteciparono una miriade di piccole associazioni ope-raie e sindacali soprattutto del Nord Italia; com’è facile intuire, in seguito alla nascita di questo nuovo attore politico le tensioni sociali e gli scioperi aumentarono dal punto di vista qualitativo e quantitativo, riuscendo ora a coagularsi e a trovare un sostegno stabile su di una forza politica che si andava sempre più diffondendo e radicando nel Paese13.
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento le tensioni sociali, gli scioperi e le manifestazioni si fecero sempre più frequenti a causa di una diffusa crisi agricola e industriale e sfociarono nel 1894 nella proclamazione dello stato d’assedio in Sicilia da parte del governo di Crispi a causa del fenomeno dei Fasci dei lavoratori, gruppi di individui che rivendicavano la modifica dei patti agrari e la diminuzione delle tasse, e nella diffusione di tali proteste nel resto d’Italia, soprattutto nel Nord-Ovest della Toscana, e più precisamente in Lunigiana. Altri duri e sangui-nosi scontri sociali avvennero negli ultimi anni del secolo fino al famoso episodio che vide coinvolta la città di Milano tra l’8 e il 9 maggio del 1898 quando divenne teatro della feroce reazione dell’esercito italiano il quale non esitò a prendere a cannonate la folla in seguito all’or-dine del generale Fiorenzo Bava-Beccaris14.
A causa dei continui disordini sociali che si protrassero anche ai primi anni del nuovo secolo, nel quindicennio precedente l’entrata dell’Italia nella Prima Guerra mondiale, il governo guidato prima da Giuseppe Zanardelli e dal 1903 da Giovanni Giolitti, si impegnò nel dare vita ad una nuova politica sociale che portò alla nascita, nel 1902, dell’Ufficio del Lavoro, il cui compito principale fu quello di agevolare i rapporti in ambito lavorativo, al miglioramento della legislazione che regolava l’impiego delle donne e dei bambini, alla messa in pratica delle leggi
12 Zeffiro Ciuffoletti, Umberto Baldocchi, Stefano Bucciarelli, Stefano Sodi, Dentro la storia. Eventi,
testimo-nianze, interpretazioni. Dai primi del Settecento ai primi del Novecento, Casa editrice G. D’Anna, Firenze 2008,
p. 534.
13 Ivi, p. 542; Alberto Mario Banti, L’età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all’imperialismo,
La-terza, Roma-Bari 2009, pp. 411-412, 434. Dal grafico di p. 434 possiamo vedere in modo evidente che tra la fine della prima metà degli anni Novanta dell’Ottocento e i primi anni del Novecento si verificò un più o meno accen-tuato aumento del numero di scioperanti, al quale corrispose nello stesso periodo un accrescimento dei salari dei lavoratori operai.
14 Z. Ciuffoletti, U. Baldocchi, S. Bucciarelli, S. Sodi, Dentro la storia. Eventi, testimonianze, interpretazioni. Dai
primi del Settecento ai primi del Novecento, op. cit., p. 547; A. M. Banti, L’età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all’imperialismo, op. cit., p. 521.
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sull’obbligatorietà delle assicurazioni nell’industria e alla nascita dell’Istituto Nazionale Assi-curazioni (INA), avvenuta nel 1912; l’introduzione di una nuova politica di aiuto e assistenza e il minor utilizzo da parte del governo della forza per dirimere i conflitti sociali portò ad un aumento degli scioperi, al quale seguì un accrescimento dei salari, il quale a sua vola comportò un innalzamento della domanda dei beni di consumo, sempre più disponibili anche per le fami-glie appartenenti alle classi sociali inferiori15.
L’ultimo grande sussulto a livello sociale in Italia prima dello scoppio del conflitto mon-diale, dopo il sostanziale fallimento del primo sciopero generale proclamato nel 1904 al quale nel 1906 seguì la nascita della Confederazione Generale del Lavoro (CGL) di orientamento socialista, si ebbe nell’estate del 1914, e più precisamente durante la così detta “Settimana rossa” (7-14 giugno), nella la quale le masse popolari delle regioni centro-settentrionali prote-starono e scioperarono contro il governo in seguito all’uccisione di tre manifestanti avvenuta ad Ancona nei giorni precedenti, proteste che precedettero di poche settimane quelle successive riguardanti l’entrata o meno del Paese nel conflitto mondiale e che portarono alla divisione tra neutralisti e interventisti16.
Con lo scoppio della Prima Guerra mondiale e la successiva entrata nel conflitto dell’Ita-lia, la situazione economica del Paese peggiorò drasticamente e a farne le spese furono soprat-tutto i lavoratori salariati impossibilitati ad accrescere il proprio guadagno adeguandolo agli alti tassi di inflazione. I braccianti, contadini salariati, nonostante l’aumento di offerte causato dalla partenza per il fronte di molti contadini, non riuscirono a strappare ai datori di lavoro condizioni economiche a loro favorevoli anche a causa dell’opposizione da parte del Partito socialista nei confronti degli scioperi che avrebbero potuto nuocere all’andamento bellico della nazione. I mezzadri invece, a differenza dei salariati, non risentirono direttamente dell’alto tasso di infla-zione per il fatto che i loro guadagni venivano pagati in natura e non con il denaro; piuttosto le minacce che incombevano sui mezzadri erano altre, e in particolare la privazione di braccia da lavoro in seguito alla coscrizione e l’erosione dei capitali appartenenti al proprietario terriero con la conseguente diminuzione degli investimenti.
Dopo la conclusione della Prima Guerra mondiale, l’Italia, nonostante si trovasse tra le potenze vincitrici del conflitto, subì una crisi interna, politica, sociale ed economica che l’avvi-cinarono più agli Stati sconfitti piuttosto che a quelli vincitori; le cause della grave crisi che
15 A. M. Banti, L’età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all’imperialismo, op. cit., pp. 518, 522-528. 16 Umberto Sereni, Nel segno del Liberato Mondo: vicende, culture, uomini e donne del movimento operaio a Pisa
tra Otto e Novecento, in G. Dinucci (a cura di), La Camera del Lavoro di Pisa (1896-1980), op. cit., pp. 151-152;
Federico Paolini, Cronologia del movimento sindacale pisano, in G. Dinucci (a cura di), La Camera del Lavoro
di Pisa (1896-1980), op. cit., p. 554; Z. Ciuffoletti, U. Baldocchi, S. Bucciarelli, S. Sodi, Dentro la storia. Eventi, testimonianze, interpretazioni. Dai primi del Settecento ai primi del Novecento, op. cit., p. 558.
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colpì il Paese furono molteplici ma possono essere riassunte in alcun punti essenziali: 1) la riforma elettorale che portò al suffragio universale maschile con conseguente allargamento del numero degli elettori e che introdusse il sistema di voto proporzionale; 2) la nascita dei partiti di massa, in particolare del Partito Socialista Italiano e del Partito Popolare Italiano, costituito nel gennaio del 1919 dal sacerdote siciliano Don Luigi Sturzo, la quale destabilizzò il vecchio fronte liberale ancora legato ad una politica di tipo clientelare e sostenuto grazie alla fama e all’apprezzamento di cui godevano singole personalità.
Caposaldo dei nuovi partiti organizzati fu l’affermazione del primato del partito, attraverso il po-tenziamento del ruolo degli organi dirigenti centrali. […] Il primato del partito doveva servire a preser-vare l’unità e l’identità dell’organizzazione, la coerenza della sua linea politica e l’autonomia della sua fisionomia rispetto alla varietà delle posizioni dei singoli militanti, delle correnti e delle tendenze in-terne17.
3) L’agitazione nelle campagne con la conseguente occupazione delle terre da parte dei contadini che reclamavano la divisione della terra dopo essere tornati dal fronte e più in generale il problema del ricollocamento degli ex combattenti all’interno della società e dell’economia italiana; 4) i numerosi scioperi e le proteste che portarono all’occupazione di molte fabbriche da parte della classe operaia italiana, fomentata e incoraggiata da quanto avvenuto in Unione Sovietica e desiderosa di mettere in pratica la rivoluzione bolscevica; 5) infine, il forte senti-mento nazionalista e patriottico conseguente agli accordi di Londra, stipulati alla fine di aprile del 1915 con le potenze dell’Intesa, attraverso i quali vennero promesse all’Italia Trento, Trieste e la Dalmazia, concessioni che tuttavia videro l’opposizione, alla Conferenza di pace di Parigi indetta a partire dal gennaio del 1919, del presidente statunitense Wilson, deciso assertore dell’autodeterminazione dei popoli e per questo contrario all’annessione all’Italia di una re-gione a maggioranza slava come era la Dalmazia. Questo rifiuto portò Gabriele D’Annunzio a occupare Fiume, dal settembre del 1919 al Natale del 1920, allorquando l’esercito italiano co-strinse gli occupanti a lasciare la città dalmata18.
Come appena accennato, una delle più gravi conseguenze della guerra fu il rientro a casa di centinaia di migliaia di uomini e il loro conseguente reinserimento all’interno del tessuto
17 E. Gentile, Fascismo e antifascismo, op. cit., pp. 26, 29, 32, 35, citazione pp. 29, 35.
18 Paolo Alatri, L’antifascismo italiano, Editori Riuniti, Firenze 1961, vol. I, pp. 61-64; Alberto Mario Banti, L’età
contemporanea. Dalla Grande Guerra a oggi, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. 90-94; Roberto Bianchi, Bocci-Bocci. I tumulti annonari nella Toscana del 1919, Leo S. Olschki Editore, Città di Castello 2001, pp. 9, 13. Per gli
svol-gimenti storici che riguardarono in parte il poeta decadente cfr. P. Alatri, Le origini del fascismo, op. cit., p. 150; invece per quanto concerne il decadentismo e il futurismo di Filippo Tommaso Marinetti come precursori del fascismo cfr. N. Bobbio, Dal fascismo alla democrazia, op. cit., pp. 42, 46.
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lavorativo e sociale del Paese; poiché la maggior parte dei soldati impiegati durante la guerra erano contadini, questi ultimi iniziarono a reclamare ciò che era stato loro promesso dallo Stato, in particolare la distribuzione di terre incolte. Tuttavia, quando compresero che tali promesse non sarebbero state mantenute, i contadini si ribellarono.
Oltre alle proteste dei contadini, l’immediato dopoguerra italiano conobbe anche le rivolte annonarie contro il carovita esplose nell’estate del 1919, più precisamente tra il giugno e il luglio, che precedettero il biennio rosso costellato da scioperi e proteste di tipo sociale e lavo-rativo; tali proteste di carattere annonario non furono certamente una novità all’interno della storia italiana dato che durante tutto il conflitto mondiale, a causa della crescente inflazione, il potere d’acquisto della popolazione diminuì in modo rilevante. Tuttavia, a differenza delle ri-volte occorse durante la guerra, nell’estate del 1919 le autorità e la polizia non furono minima-mente in grado di porre un freno ai moti sia a causa della scarsità di agenti da impiegare dovuta anche ai numerosi fuochi di protesta che sempre più velocemente e diffusamente si accende-vano in giro per l’Italia sia per la massiccia partecipazione popolare, discretamente ben orga-nizzata dai capi che guidarono le proteste19.
La prima grande protesta esplose l’11 giugno del 1919 a la Spezia e si diffuse prima a Genova e successivamente alle zone e alle città limitrofe; tra le cause principali di tale esplo-sione vi furono le tensioni tra produttori e commercianti, l’opposizione di alcuni commercianti verso il Comune e l’imposizione del calmiere, le mancate prese di posizione da parte dell’au-torità dopo le ennesime sollecitazioni della popolazione e la scelta dei consumatori di unirsi allo sciopero operaio. Le proteste si diffusero presto in Toscana giungendo in Lunigiana, in Versilia, nella provincia di Pisa (dove lo sciopero generale scoppiò il 16 giugno) fino ad arrivare in quella di Grosseto.
Nel suo insieme l’ondata di giugno mostrò la forte impronta impressa dall’iniziativa del mondo sovversivo, socialista e anarchico. Fu un movimento non coordinato centralmente, ma in buona misura ʻgovernatoʼ località per località dai dirigenti delle Camere del Lavoro, o di altri organismi periferici, e determinato da un tipo di azione delle folle che, semplificando, potremmo dire ʻspontaneaʼ20.
A differenza di quanto avverrà per gli scioperi di luglio, in questa prima fase di proteste annonarie di metà giugno la partecipazione delle donne fu molto ridotta a causa di un ritorno ai ruoli precedenti dopo la fine della guerra. Come detto, dopo la metà di giugno i moti annonari
19 R. Bianchi, Bocci-Bocci, op. cit., pp. 18-20.
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conobbero una breve tregua fino al 30 dello stesso mese quando esplosero nuovamente per arrivare al culmine alla metà di luglio, protraendosi fino agli ultimi giorni del mese quando vi fu lo sciopero generale a favore delle rivoluzioni russa e ungherese del 20 e 21 luglio.
Se l’ondata di giugno aveva investito prevalentemente zone già conosciute per il loro ribellismo e per la radicata presenza di forze politiche sovversive, tra luglio e agosto i moti arrivarono a toccare quasi tutte le grandi città e campagne, coinvolgendo regioni molto eterogenee fra loro21.
I rivoltosi prendevano di mira le botteghe di beni alimentari di prima necessità e dopo aver requisito la merce imponevano prezzi ritenuti equi e giusti; nella maggior parte delle oc-casioni, prima di procedere alle requisizioni dei beni, i capi della folla tentavano un dialogo con il proprietario del negozio al quale, se accettava, veniva rilasciata una ricevuta che attestava la consegna della merce per la distribuzione, altrimenti se rifiutava di collaborare la folla assaliva il suo negozio, asportandone le merci con la forza. Alcuni assalti a negozi durarono molto tempo oppure si ripeterono più volte sullo stesso obiettivo ma la maggior parte delle volte furono molto rapidi e veloci per paura di un intervento delle forze dell’ordine.
Il comportamento dei soldati di fronte alle proteste oscillò tra la simpatia con i manife-stanti e il dovere di obbedire agli ordini superiori; tuttavia, furono pochi i soldati che si unirono ai moti, partecipandovi direttamente, poiché spesso la loro simpatia verso la popolazione che stava manifestando per una giusta causa, la quale toccava in maniera indiscriminata anche i soldati e la quasi totalità della popolazione italiana, non si trasformò in una presa di posizione netta a favore delle proteste, ma rimase su un piano empatico e di vicinanza umana con quanto stava accadendo. Le prese di posizione da parte delle autorità locali furono diverse in base ai territori e alle personalità coinvolte dato che alcuni prefetti preferirono tentare la via pacifica del dialogo e delle trattative con i capi dei rivoltosi, altri anticiparono le proteste abbassando i prezzi dei generi alimentari mentre altri ancora si opposero fermamente e con forza ai manife-stanti22.
Intanto, il 23 marzo del 1919 a Milano, in piazza San Sepolcro, si era tenuta la riunione costitutiva dei Fasci Italiani di Combattimento presieduta da Ferruccio Vecchi, alla quale ave-vano partecipato circa 120 persone, il cui programma politico assumeva al proprio interno un carattere fortemente rivoluzionario di stampo liberale e democratico, molto vicino in alcuni suoi punti a quello socialista. Infatti, esso propugnava il suffragio universale per donne e uomini, la
21 Ivi, pp. 96-97, citazione p. 97.
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libertà religiosa e di parola, un equo sistema di tassazione, l’opposizione a forme di imperiali-smo e l’appoggio alla libertà religiosa e di parola, un equo sistema di tassazione, l’opposizione a forme di imperialismo e il sostegno alla libertà e sovranità dei popoli.
Ai suoi inizi il fascismo sorse quindi come un movimento che si schierava a sinistra del Partito Socialista con il fine di staccare le masse proletarie da un socialismo che rivelava sempre di più la sua inconcludenza rivoluzionaria. […] Fu tuttavia lo scacco elettorale subíto da Mussolini nelle elezioni del novembre del 1919 per mettere allo scoperto il vero volto del fascismo. […] L’autunno del 1920 segnò il passaggio del fascismo da movimento rivoluzionario a movimento apertamente reazionario23.
1.2 Dalla nascita del fascismo alla sua svolta autoritaria
In questo clima di tensioni sociali e incertezze politiche, il 16 novembre 1919 si tennero le prime elezioni post-belliche dalle quali il vecchio liberalismo uscì nettamente ridimensionato grazie alla vittoria riportata dal Partito socialista seguito da quello popolare, senza però che nessuno dei due ottenesse la maggioranza dei seggi in Parlamento necessaria per governare il Paese in modo autonomo senza dover ricorrere ad accordi politici con altri partiti; inoltre, come accennato, il neonato movimento dei Fasci di Combattimento guidato da Benito Mussolini subì una cocente sconfitta alle elezioni del novembre 1919 in seguito alle quali non ottenne neanche un seggio in Parlamento, sconfitta che portò il movimento fascista ad un radicale mutamento delle proprie idee e dei propri modi di agire24.
Con l’inizio del 1920, e soprattutto a partire dalla primavera dello stesso anno, l’appoggio delle squadre fasciste alla borghesia industriale e agraria si trasformò in aperta avversione del socialismo e in vere e proprie operazioni punitive contro gli oppositori che diventeranno nei mesi e negli anni seguenti una delle principali caratteristiche del fascismo italiano; tra il 1920
23 Renzo Vanni, La Resistenza dalla Maremma alle Apuane, Giardini, Pisa 1972, citazione pp. 17-18; Zeffiro
Ciuffoletti, Umberto Baldocchi, Stefano Bucciarelli, Stefano Sodi, Dentro la storia. Eventi, testimonianze,
inter-pretazioni. Dalla Grande guerra alla Shoah, Casa editrice G. D’Anna, Firenze 2008, p. 122; P. Alatri, Le origini del fascismo, op. cit., p. 44; Renzo Vanni, Fascismo e antifascismo in Provincia di Pisa dal 1920 al 1944, Giardini,
Pisa 1967, pp. 19-20.
24 A. M. Banti, L’età contemporanea. Dalla Grande Guerra a oggi, op. cit., pp. 91 (vedi tabelle), 97; E. Gentile,
Fascismo e antifascismo, op. cit., p. 13; Z. Ciuffoletti, U. Baldocchi, S. Bucciarelli, S. Sodi, Dentro la storia. Eventi, testimonianze, interpretazioni. Dalla Grande guerra alla Shoah, op. cit., p. 122; P. Alatri, Le origini del fascismo, op. cit., pp. 44-45; R. Vanni, Fascismo e antifascismo in Provincia di Pisa dal 1920 al 1944, op. cit., p.
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e il 1922 i fascisti compirono svariate incursioni in paesi e città guidate da un’amministrazione socialista o popolare, costringendole ad abbandonare il proprio posto per essere sostituite da personalità fasciste, spesso del tutto inadeguate a guidare la vita politica di quel determinato territorio25.
Un sostegno importante al fascismo provenne anche dal nuovo governo guidato da Gio-vanni Giolitti ed entrato in carica nel giugno del 1920, il quale, desideroso di sconfiggere il socialismo ritenuto pericoloso per una eventuale rivoluzione di stampo bolscevico, non lesinò aiuti e apprezzamenti verso il fascismo, ritenuto un attore importante per porre un freno agli scioperi operai e per ristabilire l’ordine sociale.
Fino all’autunno del 1920 il fascismo non aveva contato nulla: da allora fino al principio del ’21 divenne una milizia armata della borghesia reazionaria, una specie di milizia sussidiaria di cui il governo conservatore si serviva nella lotta contro il socialismo […]. Il governo Giolitti fu anche l’inventore […] dell’immunità per i delitti commessi “a scopo nazionale”, cioè dai fascisti contro i socialisti, ciò che diede la prima sanzione legale ma anticostituzionale alle violenze sanguinarie dello squadrismo26.
In questa situazione di caos e di violenze fasciste si tennero le elezioni del 15 maggio 1921 che videro una nuova vittoria del Partito socialista e una riaffermazione del Partito popo-lare, anche in questo caso, tuttavia, senza che nessuno dei due partiti ottenesse la maggioranza dei seggi in Parlamento; il Partito socialista, probabilmente l’unico presente sulla scena politica italiana che avrebbe potuto raggiungere la maggioranza assoluta non riuscì in questo compito a causa della scissione al suo interno, avvenuta il 21 gennaio del 1921 a Livorno, dell’ala comu-nista guidata da Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, in seguito alla quale venne costituito il Partito Comunista d’Italia. Ad aggravare ulteriormente la situazione politica e sociale italiana contribuì il grande risultato del movimento fascista di Mussolini il quale riuscì ad ottenere ben 35 seggi alla Camera dei deputati, grazie all’adesione al Blocco nazionale, il quale ottenne il terzo posto in quanto a numero di seggi e di voti ricevuti27.
25 P. Alatri, Le origini del fascismo, op. cit., pp. 45, 53; I. Silone, Il fascismo, op. cit., pp. 143, 145; Leo Valiani,
Dall’antifascismo alla Resistenza, Feltrinelli, Milano 1959, pp. 45-46; Paolo Nello, Liberalismo, democrazia e fascismo. Il caso di Pisa (1919-1925), Giardini, Pisa 1995, p. 99; R. Vanni, La Resistenza dalla Maremma alle Apuane, op. cit., pp. 19-20.
26 P. Alatri, Le origini del fascismo, op. cit., pp. 53, 59-60, citazione pp. 59-60; R. Vanni, La Resistenza dalla
Maremma alle Apuane, op. cit., p. 20.
27 E. Gentile, Fascismo e antifascismo, op. cit., p. 15; Z. Ciuffoletti, U. Baldocchi, S. Bucciarelli, S. Sodi, Dentro
la storia. Eventi, testimonianze, interpretazioni. Dalla Grande guerra alla Shoah, op. cit., p. 124; R. Vanni, Fa-scismo e antifaFa-scismo in Provincia di Pisa dal 1920 al 1944, op. cit., p. 64; P. Alatri, Le origini del faFa-scismo, op.
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Intanto, il 3 agosto 1921 tra il movimento fascista e il partito socialista venne raggiunto un accordo con il quale il governo promise di porre un freno alle violenze da parte delle squadre fasciste; tuttavia, tale accordo rimase fin da subito sulla carta visto che ben presto ripresero le violenze e i soprusi da parte delle camicie nere. Per porre un freno al dilagante fenomeno del fascismo tra l’agosto e il settembre del 1921 a Roma furono costituiti i gruppi antifascisti degli “Arditi del Popolo” il cui compito sarebbe stato quello di rispondere con la violenza alle vio-lenze perpetrate dai fascisti, la cui efficacia tuttavia fu molto limitata a causa dell’intervento della polizia volto a disarmare tali gruppi; infine, il 7 novembre 1921 a Roma durante il Con-gresso dei Fasci di combattimento il movimento fascista venne trasformato in partito (non senza divergenze all’interno del movimento tra favorevoli e contrari) e Mussolini dichiarò decaduto il patto con i socialisti, di fatto mai entrato in vigore28.
L’ultimo vero tentativo di opposizione attiva e aperta al fascismo fu compiuto con la costituzione, avvenuta il 20 febbraio 1922, dell’Alleanza del lavoro composta da CGL (Confe-derazione Generale del Lavoro), USI (Unione Sindacale Italiana), UIL (Unione Italiana del Lavoro), sindacato dei ferrovieri e quello dei lavoratori marittimi, la quale si pose il fine di combattere il capitalismo e la reazione antibolscevica degli industriali attraverso l’annienta-mento del fascismo mediante un’azione attiva svolta in strada contro le squadre fasciste e in Parlamento; tuttavia, questo accordo aveva ben poche possibilità di vedere realizzati i propri propositi a causa della mancanza di unione tra gli aderenti, debolezza venuta alla luce nei primi giorni di agosto del 1922 in seguito alla proclamazione da parte dell’Alleanza del lavoro di uno sciopero generale, tenutosi il 31 luglio in seguito al quale la repressione fascista si protrasse per alcuni giorni.
La prova degli ultimi di luglio e primi di agosto 1922 fu decisiva per i fascisti, non soltanto perché poterono constatare l’efficienza della loro organizzazione armata, ma anche perché ebbero la conferma definitiva che tutta la struttura dello Stato si piegava oramai a facilitare il compito delle squadre mentre dai banchi del Parlamento e del governo vi erano uomini che stavano a guardare, alcuni conniventi, altri compiaciuti, altri infine tolleranti ma sempre e comunque in una posizione di assenteismo e di rinuncia,
28 R. Vanni, La Resistenza dalla Maremma alle Apuane, op. cit., p. 29; Id., Fascismo e antifascismo in Provincia
di Pisa dal 1920 al 1944, op. cit., p. 64; Andrea Polcri, Le cause della Resistenza italiana, Istituto Editoriale
Internazionale, Milano 1977, pp. 15-16; E. Gentile, Fascismo e antifascismo, op. cit., p. 46; R. Vanni, Fascismo e
antifascismo in Provincia di Pisa dal 1920 al 1944, op. cit., pp. 72, 76; Amministrazione provinciale di Pisa, Pisa dall’antifascismo alla liberazione, ETS, Pisa 1992, p. 104; Enzo Collotti, L’antifascismo in Italia e in Europa 1922-1939, Loescher Editore, Torino 1975, p. 98.
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quando non addirittura di intervento favorevole, che consentiva ai fascisti stessi di condurre a termine il loro piano senza apprezzabili difficoltà29.
Nella seconda metà di luglio del 1922 il presidente del consiglio Luigi Facta, in seguito ad un voto di sfiducia promosso dai popolari, rassegnò le proprie dimissioni salvo poi essere di nuovo incaricato dal re Vittorio Emanuele III di formare un nuovo governo data la difficoltà e la mancanza di accordo tra i partiti politici nello scegliere un nome adatto per svolgere tale compito30.
La situazione sociale e politica continuò a rimanere incerta e precaria ancora per tutta l’estate e l’inizio di autunno del 1922 allorquando Mussolini decise di imprimere al partito fascista l’accelerata finale così da giungere al potere da solo e incontrastato, facilitato anche dalle innumerevoli crisi e dai molti contrasti che si andavano creando all’interno dei partiti dell’opposizione. Per quanto concerne il Partito socialista, ancora scottato dalla scissione dei comunisti, subì un ulteriore smembramento durante il Congresso di Roma tenutosi ai primi di ottobre del 1922 nel quale i massimalisti chiesero e ottennero l’allontanamento dei riformisti ritenuti troppo eccessivamente vicini ai ceti borghesi nella speranza di sconfiggere il fascismo; l’espulsione dei riformisti portò alla costituzione del loro Partito Socialista Unitario (in seguito divenuto Partito Socialista Unitario dei Lavoratori Italiani) guidato da Giacomo Matteotti31.
La decisione di compiere un atto simbolico di grande stile e impatto, ovvero una minac-ciosa marcia su Roma da parte delle camicie nere fasciste venne presa nel Congresso fascista che si tenne a Napoli tra il 24 e il 25 ottobre 1922, dal quale uscì la volontà di richiedere la costituzione di un nuovo governo nel quale potessero sedere anche ministri fascisti; nonostante il fallimento dei colloqui tra Giolitti e Mussolini, incontri e discussioni in tal senso non manca-rono fino ad arrivare al 27 ottobre allorquando Mussolini comunicò a Costanzo Ciano, in par-tenza per Roma, la sua volontà di veder attribuiti ai fascisti almeno cinque ministeri importanti. In quelle ore convulse, Mussolini si servì abilmente di Salandra, facendogli credere che vi fosse
29 P. Alatri, Le origini del fascismo, op. cit., pp. 145-145, 155, citazione p. 158; I. Silone, Il fascismo, op. cit., pp.
170-172; P. Alatri, L’antifascismo italiano, op. cit., vol. I, p. 107; Amministrazione provinciale di Pisa, Pisa
dall’antifascismo alla liberazione, op. cit., p. 104; U. Sereni, Nel segno del Liberato Mondo: vicende, culture, uomini e donne del movimento operaio a Pisa tra Otto e Novecento, in G. Dinucci (a cura di), La Camera del Lavoro di Pisa (1896-1980), op. cit., p. 191.
30 P. Alatri, Le origini del fascismo, op. cit., pp. 111, 120, 126-131, 135, 143-144; A. M. Banti, L’età
contempo-ranea. Dalla Grande Guerra a oggi, op. cit., p. 101; R. Vanni, Fascismo e antifascismo in Provincia di Pisa dal 1920 al 1944, op. cit., p. 94; G. Salvemini, Le origini del fascismo in Italia, op. cit., pp. 364-369.
31 Santi Fedele, Storia della concentrazione antifascista 1927/1934, Feltrinelli Editore, Milano 1976, p. 10; E.
Gentile, Fascismo e antifascismo, op. cit., p. 36; A. M. Banti, L’età contemporanea. Dalla Grande Guerra a oggi, op. cit., p. 102.
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la possibilità di giungere ad un accordo che desse vita ad un nuovo governo guidato da entrambi, in modo da assicurarsi le simpatie dei liberali e dei democratici più indecisi32.
Nello stesso 27 ottobre il primo Ministro Facta decise di rassegnare le proprie dimissioni nelle mani del Re non appena quest’ultimo fosse tornato a Roma dalla sua residenza estiva di San Rossore mentre in serata le squadre fasciste cominciarono a dirigersi verso la Capitale; alle 5 di mattina del 28 ottobre, dopo essersi riunito in un clima molto teso, il Consiglio dei ministri decise di proclamare lo stato d’assedio, frettolosamente recapitato mediante Facta al Re in modo da farlo ratificare dopo che era già stato inviato alle autorità periferiche. Tuttavia, inaspettata-mente, il Re rifiutò di firmare il decreto che sanciva lo stato d’assedio, benché fino a poche ora prima avesse ribadito la sua contrarietà al fascismo, aprendo in questo modo definitivamente la strada alla presa del potere da parte di Mussolini.
Secondo quanto affermato da lui stesso, Vittorio Emanuele III rifiutò di firmare lo stato d’assedio perché convinto dell’impossibilità di arginare l’ascesa dei fascisti e perché si riteneva non più in grado di raccogliere attorno a sé le forze che si opponevano al fascismo. Il re affermò successivamente che era stato il generale Armando Diaz a invitarlo a non firmare cosa che si è rivelata falsa poiché i due in quella giornata convulsa del 28 ottobre non ebbero modo di incon-trarsi, così come falsa si rivelò l’affermazione che Facta nutrisse dei seri dubbi sulla possibilità che le forze armate fossero state in grado di resistere ai fascisti, poiché Pugliesi, comandante della divisione di Roma, aveva sostenuto di poter impedire l’ingresso dei fascisti nella Capi-tale33.
Facta tentò di compiere un ultimo, disperato, tentativo per convincere il Re a ratificare lo stato d’assedio, ma anche stavolta vide opporsi un netto rifiuto. Prima ancora di capitolare, i liberali e nazionalisti sperarono di poter affidare la formazione del nuovo governo a Salandra, opzione che tramontò del tutto quando Mussolini dichiarò di non essere interessato ad entrare in un governo presieduto da non fascisti e di voler tornare a Roma solo nel caso in cui avesse ricevuto l’incarico ufficiale di formare il nuovo governo direttamente da Vittorio Emanuele III. Nella stessa direzione voluta da Mussolini spingevano anche gli industriali e i finanzieri del Nord che preferivano questa soluzione a quella Salandra-Mussolini, così che la mattina del 29 ottobre Cesare Maria De Vecchi, Ciano e Dino Grandi comunicarono a Salandra che Mus-solini non aveva intenzione di formare un governo insieme a lui; per questo Salandra rassegnò
32 I. Silone, Il fascismo, op. cit., pp. 136-141; P. Alatri, Le origini del fascismo, op. cit., pp. 228-229, 234; R. Vanni,
Fascismo e antifascismo in Provincia di Pisa dal 1920 al 1944, op. cit., p. 105.
33 G. Salvemini, Le origini del fascismo in Italia, op. cit., pp. 385-390; P. Alatri, Le origini del fascismo, op. cit.,
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il proprio mandato nelle mani del Re, indicando Mussolini come l’uomo giusto su cui far rica-dere la scelta per la formazione del nuovo governo. Così, la mattina del 30 ottobre 1922 Mus-solini ricevette dal re l’incarico di formare il nuovo governo con la partecipazione di esponenti fascisti nei principali ministeri34.
Risulta molto complicato stilare un bilancio complessivo delle vittime sia di parte fascista sia di parte antifascista durante i primi anni di violenza fascista fino alla presa del potere nell’ot-tobre del 1922; come è facile presumere, mentre da parte antifascista si è cercato di accrescere le cifre dei caduti per mano dei fascisti, da parte fascista, invece, si è cercato di attenuare la portata delle proprie operazioni. Tuttavia, alcuni studiosi hanno tentato di fornire cifre il più vicine possibili alla realtà, come fatto da Silone, il quale ha indicato la cifra di circa 360 fascisti rimasti uccisi a fronte di circa 2 mila morti tra antifascisti e apartitici35.
Dopo la presa del potere da parte di Mussolini, il Partito Nazionale Fascista, attraversò un periodo di crisi interna dovuto alla contrapposizione tra fascisti della prima ora e coloro che avevano aderito al nuovo movimento politico soltanto in un secondo momento, quando oramai la vittoria contro il socialismo e l’ascesa al governo dell’Italia parevano obiettivi facili da rag-giungere in poco tempo; proprio da questi dissidi interni
scaturì in molte province, durante il 1923, il fenomeno del dissidentismo, che diede origine alla formazione di gruppi fascisti sediziosi e alla costituzione di fasci autonomi. Contro i dissidenti, la rea-zione fascista fu spesso violenta, con aggressioni personali […]. Il dissidentismo fu un fenomeno molto eterogeneo. Ne furono animatori e protagonisti esponenti del fascismo agrario ed esponenti della piccola borghesia urbana, fascisti moderati e fascisti integralisti, fascisti cultori della violenza e fascisti cultori della legalità36.
Uno dei primi provvedimenti del nuovo governo di Mussolini volto alla limitazione delle libertà individuali e collettive venne emanato alla metà di luglio del 1923 (seguito un anno dopo da un’altra legge che inaspriva ulteriormente la precedente) e prevedeva una forte limitazione alla libertà di stampa e alla pubblicazione di giornali e articoli, in modo da permettere alle
34 R. Vanni, Fascismo e antifascismo in Provincia di Pisa dal 1920 al 1944, op. cit., p. 110; I. Silone, Il fascismo,
op. cit., pp. 127-142; P. Alatri, Le origini del fascismo, op. cit., pp. 245-248.
35 I. Silone, Il fascismo, op. cit., p. 202.
36 E. Gentile, Fascismo e antifascismo, op. cit., p. 80; per quanto concerne il caso particolare di Pisa, di cui
tratte-remo più avanti cfr. Mauro Canali, Il dissidentismo fascista. Pisa e il caso Santini 1923-1925, Bonacci Editore, Roma 1983; Renzo Castelli, Fascisti a Pisa, ETS, Pisa 2006; P. Nello, Liberalismo, democrazia e fascismo, op. cit.
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autorità fasciste di sequestrare e sopprimere quei giornali il cui contenuto era considerato con-trario alle idee del governo oppure pericoloso per l’ordine pubblico37.
Le violenze compiute dalle squadre fasciste, adesso legalizzate e sostenute direttamente dalle autorità e dalle forze dell’ordine, i cui vecchi dirigenti venivano via via sostituiti da per-sonale di fidato orientamento fascista, non cessarono con la presa del potere dell’ottobre del 1922, anzi conobbero un incremento e una ripresa in grande stile mano a mano che ci si stava avvicinando alle elezioni politiche indette per il 6 aprile 1924, alle quali avrebbe fatto il suo esordio la nuova legge elettorale varata alla fine di luglio del 1923 la quale prevedeva l’attribu-zione di un premio di maggioranza pari ai 2/3 dei seggi in Parlamento alla lista che avrebbe ottenuto almeno il 25% di voti38.
Durante la campagna elettorale e le elezioni stesse, i brogli, le intimidazioni e le violenze da parte dei fascisti assunsero un carattere endemico e quasi giornaliero, spingendo così una parte non trascurabile degli elettori a votare per la Lista Nazionale all’interno della quale pre-valevano i fascisti; com’è noto, le elezioni furono vinte proprio dalla Lista Nazionale che ot-tenne il 65% dei voti e il 70% dei seggi.
Poche settimane dopo le elezioni e più precisamente il 30 maggio, il deputato socialista Giacomo Matteotti tenne un discorso alla Camera dei deputati nel quale denunciò i brogli e le violenze compiute dai fascisti durante la campagna elettorale e le stesse elezioni, chiedendo l’annullamento dei risultati elettorali; a questa denuncia ne seguì un’altra, pronunciata da Gio-vanni Amendola il 6 giugno 1924. In seguito al proprio discorso, Matteotti venne rapito il 10 giugno da un gruppo di fascisti e ucciso poco dopo, anche se il ritrovamento del cadavere av-venne soltanto due mesi più tardi39.
In seguito all’assassinio di Matteotti, il fascismo subì una grave crisi interna durante la quale venne anche prospettato l’arresto del Duce mentre non pochi furono coloro che si affret-tarono ad abbandonare il partito; la situazione si rivelò quindi favorevole ad un’azione portata avanti dalle opposizioni in modo da operare per provocare la caduta del regime fascista, le quali
37 Adriano Dal Pont, Alfonso Leonetti, Massimo Massara, Giornali fuori legge. La stampa clandestina antifascista
1922-1943, Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti, Roma 1964, p. 18; N. Bobbio, Dal fascismo alla democrazia, op. cit., pp. 54-55; Celso Ghini, Adriano Dal Pont, Gli antifascisti al confino 1926-1943, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 26.
38 R. Vanni, Fascismo e antifascismo in Provincia di Pisa dal 1920 al 1944, op. cit., p. 133; A. M. Banti, L’età
contemporanea. Dalla Grande Guerra a oggi, op. cit., p. 106; Vittorio Amadori, Resistenza non armata. La gio-ventù cattolica pistoiese e il fascismo, Istituto Storico provinciale della Resistenza di Pistoia, Bologna 1986, p. 45.
39 P. Alatri, L’antifascismo italiano, op. cit., vol. I, pp. 275, 277; A. M. Banti, L’età contemporanea. Dalla Grande
Guerra a oggi, op. cit., p. 107; R. Vanni, Fascismo e antifascismo in Provincia di Pisa dal 1920 al 1944, op. cit.,
p. 133; P. Alatri, Le origini del fascismo, op. cit., pp. 92-94; A. Dal Pont, A. Leonetti, M. Massara, Giornali fuori
legge, op. cit., p. 76; E. Gentile, Fascismo e antifascismo, op. cit., p. 108; P. Nello, Liberalismo, democrazia e fascismo, op. cit., p. 139.
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tuttavia vollero fare affidamento sul Re che invece preferì non agire, consentendo in questo modo al governo di riassestarsi e superare la crisi sia interna che esterna. Per risollevare le proprie sorti e il morale dei propri aderenti, il regime mise in atto e sostenne un’ondata di vio-lenze e distruzioni che dimostrarono al Paese come la crisi fosse stata superata sia a causa della connivenza del Re sia a causa della debolezza delle opposizioni40.
Nel clima di costernazione e di riprovazione per quanto avvenuto a Matteotti, tra la metà e la fine di giungo del 1924 i deputati dell’opposizione, eccetto i comunisti, decisero di abban-donare l’aula parlamentare e di riunirsi in separata sede per protesta contro quanto avvenuto al deputato socialista, dando vita alla così detta “secessione dell’Aventino” senza riuscire tuttavia ad approfittare della situazione per abbattere il governo di Mussolini il quale, nel famoso di-scorso del 3 gennaio 1925 alla Camera dei deputati, considerato da molti come l’ammissione ufficiale del futuro carattere totalitario e autoritario del regime fascista, si assunse le colpe degli atti compiuti dalle squadre fasciste41.
Continuando nella sua politica di fascistizzazione degli apparati statali e degli organismi ad essi collegati, il governo fascista siglò il 2 ottobre 1925 un accordo con la Confindustria, passato alla storia come “il patto di Palazzo Vidoni”, dal nome della sede in cui venne firmato, attraverso il quale essa riconobbe come unica organizzazione sindacale quella fascista della Confederazione delle Corporazioni fasciste; questo accordo funse da preludio ad una legge emanata alcuni mesi più tardi, e più precisamente il 3 aprile 1926, che consentiva l’esistenza soltanto ai sindacati riconosciuti dal governo fascista e inoltre vietava la serrata e lo sciopero come strumenti di protesta42.
Il 25 novembre 1926 il regime fascista emanò una legge che, tra le altre cose, reintrodusse la pena di morte, rese ancora più pesanti le sanzioni per i reati politici e istituì il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, un organo giudiziario il cui fine era, come vedremo meglio più avanti, quello di rintracciare e mettere a tacere i focolai di opposizione al regime fascista;
40 R. Vanni, Fascismo e antifascismo in Provincia di Pisa dal 1920 al 1944, op cit., p. 142; Simona Colarizi, I
democratici all’opposizione. Giovanni Amendola e l’Unione nazionale (1922-1926), il Mulino, Bologna 1973, pp.
113-115; Aurelio Lepre, L’anticomunismo e l’antifascismo in Italia, il Mulino, Bologna 1997, p. 37.
41 S. Colarizi, I democratici all’opposizione, op. cit., pp. 119, 134-135; E. Gentile, Fascismo e antifascismo, op.
cit., p. 155; Romano Canosa, I servizi segreti del duce. I persecutori e le vittime, Mondadori, Milano 2000, p. 16; R. Vanni, Fascismo e antifascismo in Provincia di Pisa dal 1920 al 1944, op. cit., p. 157; P. Alatri, L’antifascismo
italiano, op. cit., vol. I, p. 293.
42 A. M. Banti, L’età contemporanea. Dalla Grande Guerra a oggi, op. cit., p. 109; I. Silone, Il fascismo, op. cit.,
pp. 184-186, 247-248; N. Bobbio, Dal fascismo alla democrazia, op. cit., pp. 54-55; Z. Ciuffoletti, U. Baldocchi, S. Bucciarelli, S. Sodi, Dentro la storia. Eventi, testimonianze, interpretazioni. Dalla Grande guerra alla Shoah, op. cit., p. 132.
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questa legge era stata preceduta da un’altra emanata il 9 novembre del 1926 con la quale ven-nero considerati decaduti i deputati dell’opposizione, la maggior parte dei quali avevano aderito alla secessione dell’Aventino43.
Un’ulteriore limitazione alle libertà individuali provenne dalla costituzione, avvenuta alla fine del 1927, dell’OVRA, acronimo che probabilmente indicava l’“Organizzazione per la vi-gilanza e la repressione dell’antifascismo”, una vera e propria polizia segreta impegnata a sta-nare e denunciare gli antifascisti più pericolosi per il regime e per l’ordine pubblico. Caratteri-stica di questo nuovo organismo era la sua minuziosa attività di controllo e di reperimento di documenti e prove al fine di conoscere nel miglior modo possibile l’organizzazione delle op-posizioni antifasciste prima di procedere all’arresto dei sospettati; fondamentale per questo compito fu il ruolo ricoperto dai “fiduciari” ovvero spie del regime fascista infiltrate all’interno delle organizzazioni antifasciste oppure antifascisti stessi avvicinati e convinti dalla polizia a collaborare con il governo dietro pagamento44.
L’ultimo colpo d’ascia per abbattere il vecchio sistema liberale venne inferto alla metà di maggio del 1928 allorquando venne promulgata una nuova legge elettorale con la quale si per-metteva l’esistenza di un’unica lista nazionale composta dal Gran Consiglio del fascismo, la-sciando agli elettori soltanto la possibilità di approvarla oppure, a loro rischio e pericolo, re-spingerla; nelle elezioni tenutesi il 24 marzo del 1929 con il nuovo sistema elettorale, la Lista Nazionale, come previsto dai dirigenti fascisti, vinse quasi in maniera plebiscitaria con il 98% dei voti favorevoli. Anche in questo caso, come nel 1924, i brogli e le intimidazioni nei con-fronti degli elettori furono all’ordine del giorno45.
43 C. Longhitano, Il Tribunale di Mussolini, op. cit., pp. 51, 53; A. M. Banti, L’età contemporanea. Dalla Grande
Guerra a oggi, op. cit., p. 109.
44 R. Canosa, I servizi segreti del duce, op. cit., pp. 22, 49-52; E. Gentile, Fascismo e antifascismo, op. cit., p. 177;
E. Collotti, L’antifascismo in Italia e in Europa 1922-1939, op. cit., pp. 294-295; C. Longhitano, Il Tribunale di
Mussolini, op. cit., pp. 23, 69; C. Ghini, A. Dal Pont, Gli antifascisti al confino 1926-1943, op. cit., pp. 31-36.
45 E. Gentile, Fascismo e antifascismo, op. cit., p. 183; N. Bobbio, Dal fascismo alla democrazia, op. cit., p. 55;
Z. Ciuffoletti, U. Baldocchi, S. Bucciarelli, S. Sodi, Dentro la storia. Eventi, testimonianze, interpretazioni. Dalla
Grande guerra alla Shoah, op. cit., p. 142; A. M. Banti, L’età contemporanea. Dalla Grande Guerra a oggi, op.
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Capitolo II
Fascismo e antifascismo
1. Combattere l’antifascismo: metodi e organismi di repressione fascista
1.1 Gli oppositori del regime al confino
La pratica di adottare la punizione del confino di polizia non è stata un’invenzione del regime fascista poiché essa era già stata introdotta in alcune leggi emanate negli anni immedia-tamente successivi all’Unità d’Italia, nelle quali veniva istituzionalizzato il domicilio coatto; tuttavia, fu soltanto sotto il governo fascista che il confino venne utilizzato in modo massiccio e diffuso per colpire gli oppositori del regime di Mussolini. La sostanziale differenza tra domi-cilio coatto, utilizzato prima dell’avvento del fascismo, e confino di polizia, risiedeva nel fatto che nel primo caso si impediva all’individuo di scegliere dove risiedere, senza però che il con-dannato perdesse i diritti di libero cittadino, mentre il confino era una misura di più ampia portata con la quale si volevano limitare, anzi quasi potremmo dire ingabbiare, gli oppositori politici in modo da poterne sorvegliare il maggior numero possibile con il minor sforzo possi-bile, sia economico che di personale46.
In Italia il domicilio coatto, predecessore del confino di polizia, fu introdotto nel 1863 per frenare il fenomeno del brigantaggio, diffuso soprattutto nel Sud del Paese e prevedeva l’ob-bligo di permanenza in una località per un determinato lasso di tempo; tale misura era stata emanata in tempo di crisi e avrebbe dovuto avere carattere temporaneo ed eccezionale. La mi-sura del confino, che veniva comminato dalle autorità di polizia e non da quelle giudiziarie, venne invece introdotta nel 1926 con la promulgazione delle leggi eccezionali con le quali, tra
46 C. Ghini, A. Dal Pont, Gli antifascisti al confino 1926-1943, op. cit., pp. 43-45; C. Poesio, Il confino di polizia,
la «Schutzhaft» e la progressiva erosione dello Stato di diritto, in L. Lacchè (a cura di), Il diritto del duce, op. cit.,
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le altre cose, come abbiamo già detto, furono aboliti i partiti, venne inasprito il reato di espatrio clandestino e furono dichiarati decaduti i deputati dell’opposizione47.
Le principali restrizioni applicate all’individuo colpito dal confino riguardarono il divieto di allontanarsi dall’abitazione di residenza senza previa autorizzazione da parte dei sorveglianti (anche se dal punto di vista pratico questo divieto non era applicato spesso dato che la maggior parte dei confinati viveva in vere e proprie colonie soprattutto in piccole isole non lontane dalla costa come Ventotene, Ponza, Lipari e Tremiti); orari prestabiliti da rispettare per l’uscita e per il rientro nella colonia; il divieto di possedere armi; il divieto di partecipare a riunioni e di frequentare caffè e osterie; l’obbligo di presentarsi alla sorveglianza di Pubblica Sicurezza ogni-qualvolta essa lo avesse richiesto; infine, l’obbligo di portare sempre con sé la carta di perma-nenza, un documento che andava a sostituire la carta d’identità che veniva ritirata in seguito alla condanna al confino. Inoltre, la censura della corrispondenza, dei libri e dei giornali inviati dalle famiglie o dagli amici divenne ben presto la normalità così come il divieto di parlare lingue straniere e di affrontare argomenti di carattere politico48.
Ogni colonia dipendeva da un direttore responsabile, funzionario di polizia con il grado di com-missario, e da un vice direttore. La direzione disponeva di un apparato burocratico per i vari servizi […]. Vi era, inoltre, tutto l’apparato poliziesco di vigilanza e sorveglianza per impedire le fughe e il passaggio clandestino di notizie dalla colonia all’esterno e viceversa.
Per quanto riguarda l’assistenza medica essa ricalcava quella presente nelle carceri con una cronica insufficienza di personale e di medicinali, anche per la cura delle malattie più dif-fuse. Annualmente i confinati ricevevano un cambio di vestiario e potevano farsi raggiungere dalla moglie, la quale doveva sottostare alle medesime limitazioni a cui era soggetto il marito; inoltre, almeno inizialmente, non di rado si ebbero unioni matrimoniali tra i confinati e le donne del luogo. Le confinate venivano invece inviate presso famiglie private e mantenute a spese dell’amministrazione, mentre agli uomini veniva fornito un sussidio che a stento riusciva a co-prire tutte le spese minime necessarie per la sopravvivenza.
47 C. Poesio, Il confino di polizia, la «Schutzhaft» e la progressiva erosione dello Stato di diritto, in L. Lacchè (a
cura di), Il diritto del duce, op. cit., pp. 96-99; C. Ghini, A. Dal Pont, Gli antifascisti al confino 1926-1943, op. cit., pp. 29, 36; R. Canosa, I servizi segreti del duce, op. cit., p. 26; Aldo Garosci, Storia dei fuorusciti, Laterza, Bari 1953, p. 27; Guido Quazza, Il secondo periodo dell’antifascismo, in Leonardo Rapone, Antifascismo e società
italiana (1926-1940), Edizioni Unicopli, Abbiategrasso (MI) 1999, p. 53.
48 C. Ghini, A. Dal Pont, Gli antifascisti al confino 1926-1943, op. cit., pp. 47-49, 52-54, la citazione successiva
si trova a p. 52; C. Poesio, Il confino di polizia, la «Schutzhaft» e la progressiva erosione dello Stato di diritto, in L. Lacchè (a cura di), Il diritto del duce, op. cit., pp. 108-110.
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Un’arma silenziosa, quella del confino sia perché le commissioni amministrative decidevano ra-pidamente senza fare scalpore né avere un’eco sulla stampa […] sia perché colpiva indiscriminatamente tutti […]. Per quanto riguarda il confino, sulla base della denuncia del questore e del rapporto dei cara-binieri, si riuniva, all’interno della prefettura, una commissione provinciale che si pronunciava per l’eventuale provvedimento di confino o di ammonizione49.
Inoltre, il provvedimento di confino fu ben lungi dal rispettare il principio del nullum
crimen, sine lege poiché l’accusa non si basava su prove concrete ma su un semplice sospetto.
Rispetto al detenuto comune, eccetto per quanto riguardava gli spostamenti e le occasioni per ritrovarsi insieme con i propri compagni di sventura, il confinato si trovava in una situazione peggiore dal momento che non aveva subito un normale processo penale e non aveva la certezza della durata della pena; anche le condizioni igieniche alimentari erano più svantaggiose rispetto ai carcerati, quantomeno a quelli non politici.
Simile esperienza di vita, come appena accennato, era provata da coloro che venivano incarcerati per reati politici, anch’essi privati delle essenziali libertà individuali e mantenuti con il minimo necessario sia per quanto concerne il cibo che per il vestiario. Tuttavia, per quanto il carcere e il confino fossero esperienze traumatiche per coloro che le subirono, furono anche, e soprattutto, esperienze di incontri, di scambio di opinioni, di riflessioni personali, di dibattiti, di studio, di letture e commenti di gruppo, di formazione culturale. Da una parte vi era infatti l’esigenza di rimanere collegati con l’esterno e con la vita politica in cui si era vissuto per anni o anche decenni, dall’altra parte la riflessione del singolo che portava alla costruzione di una più resistente personalità capace di creare rapporti civili con i compagni di carcere o di con-fino50.
La maggior parte degli individui che venne inviata al confino era composta da oppositori politici ma anche da imputati assolti dal TSDS, dagli individui colpiti dall’ammonizione e da coloro che avevano finito di scontare una prima volta la pena stessa del confino;
a cominciare dalla guerra civile di Spagna e dall’intervento fascista a fianco di Franco, tutti i condannati dal Tribunale speciale, considerati dirigenti dell’antifascismo, allorché avevano finito di scontare la loro pena, venivano spediti direttamente al confino. […] Al confino si poteva finire anche per offese al capo dello Stato, per canti sovversivi, discorsi o frasi di critica al fascismo o come tali
49 C. Poesio, Il confino di polizia, la «Schutzhaft» e la progressiva erosione dello Stato di diritto, in L. Lacchè (a
cura di), Il diritto del duce, op. cit., p. 100.
50 Franco Cambi, Antifascismo e pedagogia (1930-1945). Momenti e figure, Vallecchi, Firenze 1980, pp. 33-36;
E. Gentile, Fascismo e antifascismo, op. cit., p. 358; C. Ghini, A. Dal Pont, Gli antifascisti al confino 1926-1943, op. cit., p. 74; G. De Luna, M. Revelli, Fascismo e antifascismo, op. cit., p. 52.
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intesi, pronunciati in treno o al caffè, per aver issato bandiere o drappi rossi sui luoghi di lavoro in occasione di ricorrenze “sovversive”, e per cento altri motivi dettati dalla fantasia dei componenti delle commissioni provinciali.
Non rari furono anche i casi in cui dei fascisti vennero spediti al confino per sottrarli alle leggi in seguito a comportamenti negativi all’interno del partito o a reati comuni non ascrivibili alla sfera politica51.
È necessario distinguere nettamente tra le colonie di confinati, la maggior parte delle quali si trovavano su piccole isole, e coloro che venivano inviati in solitaria o in piccoli gruppi nell’entroterra della penisola; in questo secondo caso la sorveglianza era meno stretta ma allo stesso tempo le possibilità di creare gruppi culturali e di discussione erano ridotte al lumicino. Di ben altra entità si rivelò la vita dei confinati nelle colonie, all’interno delle quali vennero ricreati veri e propri circoli culturali se non associazioni clandestine per l’aiuto ai più disagiati, per il reperimento di libri e giornali sovversivi o anche per le più semplici mansioni di procac-ciamento e distribuzione dei viveri.
La caratteristica più evidente, e sicuramente tra le più importanti dell’esperienza umana e culturale compiuta dagli individui al confino, fu la costituzione e, in alcuni casi anche la cir-colazione, di ricche e variegate biblioteche destinate all’educazione degli antifascisti presenti nella colonia, da quella più elementare a quella più complessa; un altro campo organizzativo di cui gli individui residenti nelle colonie del confino si occuparono fu, come accennato, quello dell’approvvigionamento e della distribuzione del cibo mediante mense da loro stessi organiz-zate e gestite, grazie anche ai rapporti diretti che spesso si venivano ad instaurare con la popo-lazione locale, in particolare per l’acquisto del cibo all’ingrosso. Grazie alla costituzione di mense, i confinati poterono superare momenti difficili dal punto di vista economico a causa della riduzione del sussidio giornaliero che il regime fascista versava loro, il quale passò, alla fine del 1930, da 10 a 5 lire al giorno52.
Durante gli anni nei quali rimase in vigore la pena del confino, le colonie videro molte manifestazioni e proteste da parte degli antifascisti, i quali rivendicarono per sé e per i propri compagni maggiori diritti e condizioni di vita più accettabili; quando una protesta veniva sedata dall’apparato di vigilanza i suoi partecipanti erano condannati ed era loro prolungata la pena del confino oppure, in alcuni casi, erano mandati in carcere per alcuni mesi per poi essere di nuovo inviati al confino di polizia. Furono due le agitazioni collettive che rimasero memorabili
51 C. Ghini, A. Dal Pont, Gli antifascisti al confino 1926-1943, op. cit., pp. 58-60, 64, la citazione precedente si
trova a p. 60.