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Caratterizzazione del burden di patologie amianto correlate in una popolazione di lavoratori ex esposti

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

CARATTERIZZAZIONE DEL BURDEN DI

PATOLOGIE AMIANTO CORRELATE IN UNA

POPOLAZIONE DI LAVORATORI EX ESPOSTI

Candidato

:

Relatore:

Stefano Calafà Prof. Rudy Foddis

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2

INDICE

1 INTRODUZIONE

1.1

Mineralogia e merceologia dell’amianto

1.2

Interazioni tra amianto ed organismo

1.3

Patologie legate all’amianto

1.4

Normativa sull’amianto

1.5

Sorveglianza sanitaria

2 SCOPO DELLA TESI

3

MATERIALI E METODI

3.1

Casistica in esame

3.2

Intervista per i pazienti non più in sorveglianza

3.3

Tabulazione dei dati

3.4

Analisi statistica

4 RISULTATI

4.1

Descrizione della coorte in sorveglianza

4.2

Descrizione della casistica

4.3

Patologie iniziali

4.4

Patologie insorte

4.5

Motivo riferito dell’interruzione del follow-up

4.6

Correlazioni statistiche

5 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

6

BIBLIOGRAFIA

(3)

3

RIASSUNTO

Fino ai primi anni Novanta, l’amianto è stato ampiamente sfruttato per una grande varietà di impieghi, sia in ambito industriale che in ambito civile, con il risultato che la dimensione numerica della popolazione esposta a questo cancerogeno risulta considerevole. L’esposizione all’amianto determina l’insorgenza di alterazioni biologiche o vere e proprie condizioni patologiche prevalentemente a carico dell’apparato respiratorio, sia a livello pleurico che del parenchima polmonare. Queste condizioni possono essere natura beni-gna come nel caso delle placche, degli ispessimenti pleurici e dell’asbestosi, o di natura maligna, come nel caso del carcinoma polmonare e del mesote-lioma maligno della pleura. Trattandosi in gran parte di patologie di natura cronica ed evolutiva, la messa al bando dell’amianto, avvenuta con la legge 257/92, non ha determinato in pratica una immediata riduzione degli indici epidemiologici relativi. Inoltre, per quanto attiene gli effetti stocastici dell’asbesto, si osserva ancor oggi un costante incremento di incidenza tumo-rale per le patologie maligne amianto-correlate.

Con la presente tesi ci si è dati l’obiettivo di indagare l’attuale stato di salute di una casistica di lavoratori ex esposti all’amianto seguiti presso la U.O. di Medicina Preventiva del Lavoro dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pina e di studiare i benefici che la presenza di un protocollo di sorveglianza sa-nitaria può fornire in termini diagnostici, preventivi e medico-legali, rispetto al-la sua assenza.

I risultati ottenuti confermano l’opportunità di istituire percorsi sanitari mirati per la popolazione dei soggetti con pregressa esposizione ad amianto.

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1 INTRODUZIONE

1.1 MINERALOGIA E MERCEOLOGIA DELL’AMIANTO

L’ amianto è un minerale naturale a struttura microcristallina e di aspetto fi-broso appartenente alla classe chimica dei silicati e alle serie mineralogiche del serpentino e degli anfiboli.

Secondo il D. lgs. 81/2008, rientrano nella definizione di amianto o asbesto, sei tipi di composti. Alla serie degli anfiboli, ovvero silicati di calcio, ferro e magnesio, appartengono:

- La Crocidolite, formula chimica Na2(MgFe)7Si8O22(OH)2, comunemente

detta amianto blu e considerata una varietà fibrosa del minerale ribecki-te; il nome deriva dal greco e significa ‘fiocco di lana’ (n. CAS 12001-78-4)

- L’ Amosite, (MgFe)7Si8O22(OH)2, detta amianto bruno, rappresenta il

nome commerciale dei minerali grunerite e cummingtonite, e deriva dall’acronimo di ‘Asbestos Mines of South Africa’. (n. CAS 12172-73-5) - L’Antofillite, (MgFe)7Si8O22(OH)2, dal latino ‘chiodo di garofano’ (n.

CAS77536-67-5)

- L’Actinolite, Ca2(MgFe)7Si8O22(OH)2, dal greco ‘pietra raggiata’ (n.

CAS77536-66-4)

- La Tremolite, Ca2Mg5Si8O22(OH)2, dal nome della Val Tremola in

Sviz-zera (n. CAS 77536-68-6)

La serie del serpentino, ovvero dei silicati di magnesio, comprende il Crisotilo, dal greco ‘fibra d’oro’, comunemente detto amianto bianco e di formula chimi-ca Mg3Si2O5(OH)4 (n. CAS 12001-29-5) .

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5

Figura 1.1 Tipi di amianto. Figura 1.2 Produzione e importazione in Italia.

PROPRIETA’

Le fibre di amianto sono molto addensate ed estremamente sottili, circa 1300 volte più di un capello umano. La struttura fibrosa conferisce al materiale una elevata resistenza meccanica, una notevole flessibilità e spiccata capacità di essere filato e tessuto. L’amianto resiste al fuoco e al calore, all’azione di agenti chimici e biologici, all’abrasione, all’usura termica e meccanica. È do-tato inoltre di proprietà fonoassorbenti e termoisolanti e si lega facilmente con materiali da costruzione come calce, gesso e cemento e con diversi polimeri, tra cui PVC e gomma .

PRODUZIONE E IMPIEGHI

In virtù delle sue proprietà chimiche, l’amianto risulta un minerale praticamen-te indistruttibile e molto versatile. Facilmenpraticamen-te reperibile in natura, viene estrat-to dalla roccia madre in miniere a cielo aperestrat-to mediante procedimenti di ma-cinazione e arricchimento viene poi ottenuta la materia prima, con costi di produzione relativamente contenuti. La produzione mondiale complessiva di amianto nel mondo tra il 1900 ed il 2000 è stata di circa 173 milioni di tonnel-late, raggiungendo il culmine negli anni Settanta con valori di 4,5 milioni di tonnellate prodotte all’anno ed iniziando a decrescere a partire dai primi anni

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Ottanta. L’Italia è stata fino alla fine degli anni Ottanta il secondo produttore europeo di amianto dopo l’Unione Sovietica: dal dopoguerra agli al 1992, so-no state prodotte 3.748.550 tonnellate di amianto grezzo e nel periodo 1976-1980 la produzione ha toccato quota 160.000 tonnellate all’anno (1)

. Tutte le sue caratteristiche hanno contribuito a fare dell’amianto un materiale estre-mamente vantaggioso e sfruttato in moltissimi campi, per cui negli anni è sta-to largamente impiegasta-to nell’industria, nell’edilizia, nei mezzi di trasporsta-to e nei prodotti di uso domestico. Le principali applicazioni dell’amianto fino ad oggi sono state:

- Nell’industria: come materia prima per la realizzazione di manufatti, come isolante termico nei cicli industriali ad alte temperature (centrali termiche e termoelettriche, stabilimenti chimici, siderurgici, del vetro, della ceramica e del laterizio), come isolante termico nei cicli industriali a basse temperature (impianti di refrigerazione, frigoriferi, impianti di condizionamento), come isolante termico e barriera antifiamma nelle condotte per impianti elettrici, come materiale fonoassorbente.

- Nell’edilizia: per il rivestimento di strutture metalliche per aumentarne la resistenza al fuoco, nelle coperture sotto forma di lastre piane o ondula-te, nelle tubazioni, nei serbatoi, nelle canne fumarie, nella preparazione di intonaci, nei pannelli per controsoffittature, nelle pavimentazioni. - Nei prodotti di uso domestico: in alcuni elettrodomestici (asciugacapelli,

forni, stufe, ferri da stiro), nelle prese e nei guanti da forno, nei teli da stiro, nei cartoni posti a isolamento di stufe, caldaie, termosifoni, tubi di evacuazione fumi.

- Nei mezzi di trasporto: nei freni, nelle frizioni, negli schermi parafiam-ma, nelle guarnizioni, nelle vernici e nei mastici antirombo, nella coi-bentazione di treni, autobus e navi.

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A seconda del loro impiego, le fibre di amianto possono essere libere o de-bolmente legate ad altri materiali, per cui si parla del cosiddetto ‘amianto in matrice friabile’, oppure fortemente legate in una matrice solida e stabile, per cui si parla in tal caso di ‘amianto a matrice compatta’. Le fibre possono inol-tre essere presenti in percentuali variabili nei vari composti unitamente gli altri materiali. Secondo una definizione proposta dall’EPA nel 1982, si dice matri-ce friabile quel materiale che può essere ridotto in briciole o polvere attraver-so la semplice pressione manuale. Contrariamente, la matrice compatta risul-ta essere quel materiale che può essere ridotto in briciole o polvere solo tra-mite l’utilizzo di attrezzi meccanici come dischi abrasivi, frese e trapani. Que-sta distinzione risulta fondamentale in quanto, a fronte di molti vantaggi tecni-ci, l’amianto presenta un inconveniente non trascurabile, conseguenza della sua stessa natura fibrosa. Durante i processi di estrazione, lavorazione e manipolazione, esso può infatti liberare fibre sottilissime potenzialmente ina-labili.

Le matrici friabili, nelle quali l’amianto si trova legato debolmente ad altri ma-teriali ed è presente in percentuali elevate, tendono facilmente ad usurarsi, perdendo la loro integrità e disperdendo fibre nell’ambiente. Fanno parte di questa categoria i ricoprimenti a spruzzo, i rivestimenti isolanti, le funi, le cor-de, i nastri e i tessuti in generale, nonché carte, cartoni e affini. Tutti questi prodotti hanno un’alta probabilità di rilasciare fibre nell’ambiente. Le matrici compatte, nelle quali l’amianto è presente in percentuali inferiori ed è più for-temente legato agli altri materiali, hanno bassissima tendenza a liberare fibre se integri. Di questa categoria fanno parte il cemento-amianto e le mescole di amianto con altri materiali come il vinil-amianto, noto anche come linoleum. Tuttavia, se usurate, o sottoposte ad abrasioni, tagli o perforazioni, diventano anch’esse potenziale sorgente di dispersione di fibre nell’aria, quindi la loro pericolosità dipende dal loro stato di conservazione (2) .

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Figura 1.3 Coperture edili in fibrocemento. Figura 1.4 Tubazioni in fibrocemento.

1.2 INTERAZIONE TRA AMIANTO ED ORGANISMO

La penetrazione delle fibre di amianto nell’organismo umano avviene princi-palmente per inalazione, quindi attraverso le vie respiratorie, anche se è pos-sibile persino tramite l’ingestione di acqua contaminata per usura delle tuba-zioni degli acquedotti. Per quanto riguarda l’albero respiratorio, le polveri mi-nerali presentano cinque modalità di deposizione:

 L’ impatto inerziale. Si verifica per particelle di diametro aerodinamico medio superiore a 4 µm che non sono in grado di modificare il proprio moto rettilineo e impattano sulla mucosa per inerzia..

 La sedimentazione gravitazionale. Si verifica per particelle di diametro compreso tra 2 e 6 µm allor che riducono la loro velocità nelle porzioni più periferiche dell’albero bronchiale. Minore è il loro diametro e più pe-rifericamente esse si depositeranno.

 La diffusione. È tipica delle particelle di diametro inferiore a 0,5 µm e massima al di sotto di 0,1, che si depositano nei bronchioli terminali e negli alveoli. Una variante della diffusione è la diffusione elettrostatica, che è tipica delle particelle elettricamente cariche.

 L’intercettamento. Interessa soprattutto le particelle che si discostano da una geometria sferoidale e che sono invece assimilabili a fibre.

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L’intercettamento è la modalità di deposizione tipica delle fibre di amianto, in particolare delle fibre con rapporto lunghezza/diametro superiore a tre e dia-metro inferiore a 3,5 µm, che possono raggiungere le diramazioni più distali dell’albero respiratorio fino agli alveoli. Rifacendosi ad una definizione di fibra respirabile dell’OMS del 1985, “ai fini della misurazione dell’amianto nell’aria…si prendono in considerazione unicamente le fibre che abbiano una lunghezza superiore o uguale a 5 µ, un diametro inferiore a 3µm e un rappor-to lunghezza/diametro superiore a 3:1”. Le fibre di anfibolo hanno lunghezza variabile e diametro di 1,5-4µm con sub-unità fibrillari di 0,1-0,2. Quelle di cri-sotilo possono essere lunghe fino a 7cm e hanno diametro di 0,75-1,5µm con sub-unità di 0,02-0,04.

Figura 1.5 Fibre di crocidolite. Figura 1.6 Fibre di crisotilo.

Per quanto riguardo i meccanismi di depurazione dell’apparato respiratorio sono presenti:

 La clearance muco-ciliare. Nella trachea e nell’albero bronchiale la clearance muco-ciliare provvede alla rimozione delle particelle di dia-metro superiore a 10µm nell’arco di tempo di 24-40 ore. Il battito delle cilia vibratili consente al muco delle vie respiratorie di raggiungere la glottide e di essere deglutito ed eliminato dal tratto GI insieme alle par-ticelle esogene. Quando il muco è abbondante, la tosse ne favorisce

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l’espulsione con l’espettorato, sul quale si possono effettuare rileva-menti quantitativi e qualitativi dei minerali presenti. La tosse, respirazio-ne nasale, lo starnuto e la broncocostriziorespirazio-ne riflessa rappresentano altri presidi naturali di difesa delle vie aeree.

 La clearance polmonare o macrofagica è deputata alla rimozione dagli alveoli delle particelle respirabili, ma avviene nell’arco di alcuni mesi. I macrofagi alveolari fagocitano le particelle esogene e si avviano ad un triplice destino: raggiungono le vie aeree ciliate ed entrano nel percorso di clearance muco-ciliare; penetrano nell’interstizio polmonare e qui muoiono liberando le particelle oppure lo attraversano fino a raggiunge-re le vie di eliminazione linfatica o ematica; muoiono negli alveoli libe-rando le particelle esogene insieme ad ossidanti e proteasi presenti nel loro citoplasma.

L’efficacia e la velocità dei meccanismi di clearance dell’apparato respiratorio riducono la quota di particelle minerali depositate nel polmone ed il loro po-tenziale patogeno.

Le fibre di amianto presentano alcune singolari proprietà che le rendono par-ticolarmente pericolose. Il fenomeno di sfaldamento longitudinale, il che signi-fica che, per azione meccanica, da una fibra di 1 micron di diametro possono originare 2 fibre da 0,5 micron, 4 fibre da 0,25, 8 fibre da 0,125 e così via, se-condo un andamento esponenziale che moltiplica la loro quantità e riduce le loro dimensioni. Biopersistenza è definita la loro capacità di permanere per periodi estremamente lunghi ni tessuti resistendo all’azione dei fluidi biologici (extracellulari a pH7 e lisosomiali a pH 5) che tentano di scioglierle per ridurre la loro presenza allo stato biologicamente attivo (durability). Le fibre di ser-pentino possono permanere nei polmoni per mesi o anni, quelle di anfibolo addirittura decenni. Le fibre di amianto inoltre possiedono un’elevata reattività

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chimica di superficie, che consente l’interazione reciproca, con composti ina-nimati e con cellule e tessuti, attraverso due meccanismi: radicalico, che pre-vede la formazione di radicali liberi, anch’essi molto reattivi, ed elettrofilo, ov-vero di addizione a doppio legame. Le conseguenti alterazioni bioumorali e cellulari prodotte a livello alveolo-interstiziale innescano, con meccanismi an-cora non del tutto chiari, fenomeni di tipo flogistico e/o fibrotico e degenerativi in senso neoplastico.

L’associazione tra asbesto e insorgenza di tumori risale al 1935, quando Lynch e Smith descrissero un caso di carcinoma polmonare in un paziente con asbestosi (3). L’effetto cancerogeno delle fibre di amianto è dimostrato de-finitivamente da tutta una serie di studi clinici, epidemiologici e sperimentali (4,

5, 6)

.

Nel 1960 Wagner et al. Identificarono nell’asbesto il fattore eziologico di 32 casi di mesotelioma pleurico nei minatori della regione di Città del Capo in Sud Africa (7).

Studi condotti in laboratorio su differenti specie di roditori e con varie tecniche di esposizione, hanno dimostrato che l’asbesto causa tumori negli animali. In particolare, tutti i tipi di asbesto risultano cancerogeni e l’incidenza dei tumori varia in relazione alle dimensioni delle fibre inalate più che alla tipologia di fi-bra. Nei modelli animali sono causati dall’asbesto il carcinoma polmonare ed i mesoteliomi della pleura, del peritoneo e di altre sierose, con incidenza e modalità di presentazione sovrapponibili a quelli osservati nell’uomo (8)

. Espe-rimenti in vitro hanno indicato che l’asbesto è capace di trasformare linee cel-lulari in coltura determinando mutazioni geniche ed aberrazioni cromosomi-che (9). Gli stessi esperimenti hanno dimostrato che l’asbesto è capace da so-lo di provocare l’insorgenza di neoplasie, per cui ha le caratteristiche di un cancerogeno completo o per lo meno di iniziante (10). Oltre al carcinoma

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monare e al mesotelioma, l’esposizione all’amianto è stata associata anche all’insorgenza di tumori faringo-laringei, tumori gastro-intestinali, tumori renali e tumori ovarici.

La International Agency for Research on Cancer (IARC), è parte della World Health Organization (WHO) ed si propone di studiare gli effetti dell’esposizione di alle sostanze sull’uomo e di ricercare le cause del cancro. La IARC classifica l’amianto come ‘cancerogeno di classe 1’ per l’uomo, ov-vero cancerogeno certo, per la sua capacità di indurre carcinoma del polmo-ne, mesotelioma e carcinomi della laringe e delle ovaie. Negli Stati Uniti, il National Toxicology Program (NTP), comprendente parti di diverse agenzie statali come il National Institute of health (NIH), il Center for Disease Control and Prevention (CDC) e la Food and Drug Administration (FDA), ha dichiara-to l’amiandichiara-to come ‘nodichiara-to per essere un cancerogeno nell’uomo’. L’ US Envi-ronmental Protection Agency (EPA), che redige un database contenente dati relativi agli effetti delle sostanze sulla salute dell’uomo, noto come Integrated Risk Information System (IRIS), classifica l’amianto come cancerogeno nell’uomo (11)

.

Va precisato che il rischio di insorgenza di patologie connesse all’esposizione all’amianto, dipende dalla concentrazione, dalle dimensioni, dalla forma, dalla solubilità delle fibre e dalla durata dell’ esposizione. Il crisotilo, maggiormente impiegato dall’industria, ha una struttura più flessibile ed incurvata, che con-sente all’apparato mucociliare delle vie aeree superiori di intrappolarlo; inol-tre, anche qualora raggiunga le diramazioni bronchiali più profonde, viene più facilmente degradato e rimosso dai tessuti in virtù della sua maggior solubili-tà. Gli anfiboli sono meno usati dall’industria ma sono più pericolosi, special-mente la crocidolite e specialspecial-mente nell’indurre mesoteliomi. Le fibre di amianto anfibolo sono dritte e rigide e si dispongono facilmente nel verso dei

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flussi d’aria delle vie respiratorie raggiungendo la profondità del polmone, l’interstizio e la pleura. Sia le fibre di serpentino sia quelle di anfibolo sono fi-brogeniche e a maggior quantità di fibre inalata corrisponde maggior rischio di sviluppare la patologia amianto-correlata, eccezione fatta per il mesotelio-ma, correlato principalmente all’inalazione di anfiboli. Una ulteriore possibilità della fibra di amianto, che già di per sé è iniziatore e promotore del cancro, è quella di trasportare con se nelle vie aeree profonde anche altri cancerogeni, come quelli del fumo di sigaretta. La suscettibilità individuale gioca un ruolo importante nella genesi di patologie legate all’amianto: alcuni genotipi sono associati ad un maggior rischio di sviluppare asbestosi (MnSOD-9Ala/Ala e GSTP1 105 Ile/Ile) mentre altri sono associati ad un ruolo protettivo (GSTT1); le età estreme della vita sono associate ad un maggior rischio, probabilmente per la maggior prevalenza di concomitanti patologie croniche nell’anziano e per l’immaturità dei meccanismi difensivi nei giovani; il genere femminile è maggiormente suscettibile, così come i soggetti con concomitanti malattie croniche.

1.3 PATOLOGIE LEGATE ALL’AMIANTO

CARCINOMA DEL POLMONE

Il carcinoma del polmone rappresenta il 90-95% delle neoplasie polmonari ed è attualmente il carcinoma diagnosticato con più frequenza nel mondo e la prima causa di mortalità per cancro (12). In Italia, le stime AIRTUM (Associa-zione Italiana Registri Tumori) parlano di 38.200 nuove diagnosi all’anno, che rappresentano l’11% di tutte le diagnosi di tumore nella popolazione (15% delle nuove diagnosi nell’uomo e 6% nelle donne). Negli ultimi anni si osser-vata una leggera diminuzione di incidenza negli uomini, ma non nelle donne, nelle quali è invece in aumento. Il cancro del polmone rappresenta in effetti oggi una delle prime cause di morte nei paesi industrializzati, Italia compresa.

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Nel nostro paese è la prima causa di morte per tumore negli uomini e la terza nelle donne con quasi 34.000 morti totali ogni anno (13). Il carcinoma del pol-mone insorge in genere tra i 40 e i 70 anni di età, con un picco tra i 50 e i 60 anni. Solo il 2% dei casi riguarda soggetti di età inferiore ai 40 anni.

Eziologia e patogenesi: il carcinoma del polmone insorge in seguito al repen-tino accumulo di mutazioni genetiche che trasformano l’epitelio bronchiale senza atipie in epitelio neoplastico e sono ormai ben noti i fattori ambientali che determinano la trasformazione neoplastica.

Fumo di sigaretta. L’evidenza statistica e l’osservazione clinica hanno stabili-to un nesso inequivocabile tra fumo di sigaretta e carcinoma del polmone. L’87% dei casi di carcinoma del polmone si verifica nei fumatori o nei soggetti che hanno smesso di recente. In numerosi studi retrospettivi era presente un’associazione invariabile tra frequenza del carcinoma al polmone e quantità di sigarette fumate al giorno, tendenza ad inspirare il fumo e durata dell’abitudine al fumo. Rispetto al non fumatore, il fumatore medio ha un ri-schio 10 volte aumentato di sviluppare il carcinoma del polmone e i forti fu-matori (40 sigarette al giorno o più per molti anni) hanno un rischio aumentato addirittura di 60 volte. Le donne sembrano più suscettibili all’azione cancero-gena del fumo rispetto agli uomini. Indagini epidemiologiche hanno inoltre dimostrato una correlazione tra fumo di sigaretta e i carcinomi di cavo orale, faringe, laringe, esofago, pancreas, cervice uterina, rene e vescica. Il fumo passivo, o la presenza nell’ambiente di fumo di tabacco costituiscono analo-gamente un fattore di rischio per l’uomo, per il quale non esiste un livello di esposizione sicuro. L’evidenza clinica è data in gran parte dall’osservazione delle alterazioni istologiche nell’epitelio di rivestimento del tratto respiratorio nei fumatori abituali. Vi è una correlazione lineare tra l’intensità dell’esposizione al fumo di sigaretta e le variazioni dell’epitelio, che iniziano

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con la metaplasia squamosa e progrediscono con la displasia squamosa ed il carcinoma in situ fino al carcinoma invasivo. I carcinomi polmonari dei fuma-tori contengono spesso un’impronta molecolare caratteristica ovvero un mag-gior rapporto G.C rispetto al rapporto T:A nel gene p53; questo rappresenta probabilmente una conseguenza dell’azione del benzo[a]pirene, uno dei tanti cancerogeni presenti nel fumo di sigaretta. In un lavoro sperimentale è stata dimostrata la presenza di più di 1200 sostanze nel fumo di sigaretta, com-prendenti sia induttori (idrocarburi aromatici policiclici) sia promotori (derivati del fenolo.

Rischio industriale. Alcune esposizioni professionale aumentano il rischio di carcinoma polmonare. Le radiazioni ionizzanti ad alte dosi sono cancerogene come è dimostrato dalla maggiore incidenza di casi di carcinoma polmonare nei minatori dell’uranio, nei quali il tasso d’incidenza è superiore di 4 o 10 vol-te rispetto alla popolazione generale rispettivamenvol-te se essi sono non fuma-tori o fumafuma-tori. Il rischio di carcinoma polmonare è aumentato nei lavorafuma-tori esposti all’asbesto. È il tipo di carcinoma più frequente nei lavoratori dell’asbesto, specialmente quando l’esposizione è associata al fumo di siga-retta. I lavoratori dell’asbesto che non fumano hanno un rischio aumentato di 5 volte rispetto alla popolazione di controllo mentre quelli che fumano addirit-tura di 50-90 volte (14). Il periodo di latenza per lo sviluppo del cancro è di cir-ca 10-30 anni Secondo uno studio di review della letteratura scientificir-ca del 2014 emerge una relazione lineare tra esposizione all’asbesto e rischio relati-vo di carcinoma del polmone (15). Non sembra comunque esistere correlazio-ne tra asbesto ed un particolare istotipo di carcinoma polmonare. Il radon, un gas radioattivo ubiquitario, rappresenta negli ambienti chiusi un fattore di ri-schio, come dimostra la maggior incidenza di casi di carcinoma polmonare tra i minatori. Si ritiene che il meccanismo sia la deposizione di particelle sogget-te a decadimento radioattivo nei bronchi. La pericolosità del radon potrebbe

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espletarsi anche in ambiente domestico laddove le abitazione sorgessero su un suolo particolarmente ricco di tale gas (16).

Genetica molecolare. I carcinomi polmonari possono essere divisi genetica-mente in due vaste categorie: carcinomi a piccole cellule e carcinomi non a piccole cellule. Nei carcinomi a piccole cellule le alterazioni genetiche di maggior riscontro sono a carico dei oncogeni e geni oncosoppressori: C-KIT (40-70% dei casi), MYCN e MYCL (20-30% dei casi), p53 (90%), 3p (braccio corto del cromosoma 3 comprendente i geni oncosoppressori FHIT e RASF1A, nel 100% dei casi), RB (90%) e BCL2 (75-90%). Nei carcinomi non a piccole cellule si riscontrano alterazioni di: EGFR (25%), KRAS (10-15%), p53 (50%) p16 (70%). Studi recenti dimostrano inoltre che in molti carcinomi polmonari sono alterati i geni PTEN, LKB1, TSC, C-KIT. L’attività telomerasi-ca è aumentata in nell’80% dei telomerasi-carcinomi polmonari. Alcune mutazioni, come la perdita di 3p, possono essere riscontate nell’epitelio bronchiale normale di soggetti con cancro, nonché nell’epitelio bronchiale di fumatori senza cancro, suggerendo vaste aree della mucosa respiratoria subiscano mutazioni da esposizione a cancerogeni (effetto campo). Non si è ancora riusciti ad indivi-duare con certezza i marcatori di suscettibilità. Uno di essi potrebbe essere il polimorfismo del gene codificante CYP1A1. Alcuni soggetti portatori di speci-fici alleli potrebbero essere maggiormente in grado di metabolizzare i procan-cerogeni presenti nel fumo di sigaretta e quindi potrebbero avere maggior ri-schio di sviluppare il carcinoma.

Lesioni precancerose e classificazione. Si riconoscono tre tipi di lesione epi-teliale precancerosa:

- Displasia squamosa e carcinoma in situ - Iperplasia adenomatosa atipica

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Non è attualmente possibile distinguere le lesioni che progrediranno da quelle che non progrediranno rimanendo localizzate. La sequenza può impiegare anni per completarsi fino al carcinoma invasivo o anche non giungervi mai.

La classificazione più recente dei carcinomi polmonari è quella OMS, che comprende quattro tipi istologici fondamentali:

- Adenocarcinoma (uomini 37%, donne 47%)

- Carcinoma squamocellulare (uomini 32%, donne 25%) - Carcinoma a piccole cellule (uomini 14%, donne 18%) - Carcinoma a grandi cellule (uomini 18%, donne 10%)

Per comune pratica clinica comunque, i carcinomi del polmone vengono di solito divisi in carcinomi a piccole cellule, frequentemente metastatici e alta-mente responsivi alla chemioterapia nelle fasi iniziali, e carcinomi non a pic-cole cellule, meno frequentemente metastatici e meno responsivi alla chemio-terapia. La relazione più stretta con il fumo di sigaretta si ha per il carcinoma squamocellulare e per quello a piccole cellule.

Morfologia. I carcinomi del polmone originano in genere nell’ilo del polmone o in sua prossimità. Il 75% delle lesioni origina dal primo, secondo o terzo ordi-ne di bronchi, anche se un numero crescente di casi ha origiordi-ne ordi-nelle dirama-zioni periferiche, prevalentemente adenocarcinomi. Una volta che la sequen-za metaplasia-displasia-CIS si completa fino al carcinoma invasivo, il neopla-sma in accrescimento può invadere il lume del bronco penetrarne la parete infiltrandosi fino al mediastino o alla carena, oppure ancora può crescere co-me una grande massa intraparenchimale a cavolfiore comprico-mendo il tessuto circostante. In quasi tutti i casi il tessuto neoplastico è di colore grigiastro e di consistenza dura, sebbene nei tumori più voluminosi possano trovarsi zone focali di necrosi o emorragia di colore rosso e di consistenza molle o cavitate. Può verificarsi estensione alla superficie o alla cavità pleurica e la diffusione

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ai linfonodi tracheali, bronchiali o mediastinici, sebbene con lievi differenze nei vari tipi istologici, supera di solito il 50% dei casi. La diffusione a distanza avviene tramite le vie linfatica ed ematica, ed è di solito estesa e precoce, con l’eccezione del carcinoma squamocellulare. Le sedi di metastasi più fre-quenti sono il fegato (30-50% dei casi), l’encefalo (20%), il tessuto osseo (20%), il surrene (in oltre il 50% dei casi) ed il polmone controlaterale.

Diagnosi. Il carcinoma polmonare è una delle forme più insidiose ed aggres-sive di cancro e viene di solito diagnosticato in pazienti attorno ai 50 anni d’età con sintomatologia che perdura da vari mesi. I principali sintomi d’esordio sono la tosse (75%), il calo ponderale (40%), il dolore toracico (40%) e la dispnea (20%). Il sospetto clinico può essere poi confermato trami-te ricerca di cellule neoplastiche nel BAL, broncoscopia con eventuale biop-sia, agoaspirato sotto guida radiologica. Completano l’iter diagnostico le in-dagini radiologiche (TC, PET), che hanno anche valore stadiativo. Non di ra-do il tumore viene scoperto durante esami strumentali a carico di altri distretti a causa della sua diffusione secondaria.

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T1 tumore < 3 cm senza coinvolgimento pleurico o del bronco principale (T1a < 2 cm, T1b 2-3 cm)

T2 tumore di 3-7 cm o con interessamento del bronco principale a 2 cm dalla carena, interes-samento della pleura viscerale o atelettasia lobare (T2a 3-5 cm, T2b 5-7 cm)

T3 tumore > 7 cm o con interessamento della parete toracica, del diaframma, della pleura me-diastinica, del pericardio, del bronco principale a 2 cm dalla carena, atelettasia dell’intero polmone, o nodulo/i tumorali separati nello stesso lobo

T4 tumore con invasione del mediastino, del cuore, dei grossi vasi, della trachea, dell’esofago

dei corpi vertebrali o della carena, oppure noduli tumorali separati in un lobo ipsilaterale dif-ferente

N0 nessuna metastasi linfonodale rilevabile

N1 interessati linfonodi omolaterali ilari o peribronchiali

N2 interessati linfonodi mediastinici o sottocarenali omolaterali

N3 metastasi ai linfonodi controlaterali mediastinici o ilari, ai linfonodi scaleni ipsilaterali o con-trolaterali o ai linfonodi sovraclaveari

M0 metastasi a distanza assenti

M1 metastasi a distanza presenti (M1a, nodulo tumorale separato nel polmone controlaterale, M1b metastasi a distanza)

Tabella 1.1 Sistema TNM per stadiazione di carcinoma polmonare.

Stadiazione. Segue i criteri TNM, considerando estensione del tumore primi-tivo, coinvolgimento linfonodale e presenza di metastasi.

(20)

20 Stadio 1a T1 N0 M0 Stadio 1b T2 N0 M0 Stadio 2a T1 N1 M0 Stadio 2b T2 N1 M0 oppure T3 N0 M0 Stadio 3a T1-T3 N2 M0 o T3 N1 M0

Stadio 3b qualsiasi T N3 M0 oppure T3 N2 M0 oppure T4 qualsiasi N M0

Stadio 4 qualsiasi T qualsiasi N M1

Tabella 1.2 Raggruppamento della stadiazione TNM.

Patologia secondaria. La crescita del tumore nel lume bronchiale può causa-re una occlusione parziale, e quindi enfisema focale, oppucausa-re una occlusione totale con atelettasia. Altre conseguenze possono essere una grave bronchi-te suppurativa o ulcerativa, una bronchiectasia, un ascesso polmonare o una polmonite lobare. L’invasione del nervo laringeo ricorrente può dare disfonia, l’invasione dei gangli del simpatico può causare una sindrome di Horner omo-laterale mentre l’invasione del nervo frenico può causare paralisi del dia-framma Possono anche verificarsi distruzione costale e invasione esofagea con disfagia, compressione o invasione della vena cava superiore con com-promissione circolatoria. L’estensione alla pleura o al pericardio può causare pleurite o pericardite con versamenti importanti. Il carcinoma polmonare può essere associato a numerose sindromi paraneoplastiche, che possono anche manifestarsi come primo campanello d’allarme nel paziente: l’ iponatriemia da ADH, sindrome di Cushing da ACTH, l’ipercalcemia da PTH, peptide correla-to all’ormone paratiroideo e prostaglandina E, l’ipocalcemia da calcicorrela-tonina, la ginecomastia da gonadotropine. Altre manifestazioni sistemiche del carcino-ma polmonare sono: la sindrome miastenica di Lambert-Eaton (data da au-toanticorpi stimolati dal tumore contro i canali neuronali del calcio), la

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neuro-21

patia periferica, l’acanthosis nigricans, le reazioni leucemoidi e l’osteoartropatia polmonare ipertrofica.

Prognosi. La prognosi è infausta nella maggior parte dei pazienti con carci-noma polmonare. L’incidenza globale di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è solo del 15%, nonostante gli sforzi per tentare una diagnosi preco-ce ed i miglioramenti della chirurgia, della radioterapia e della chemioterapia con i nuovi farmaci a bersaglio molecolare. Alla luce di molti importanti studi clinici, solo il 20-30% dei casi risulta localizzato e quindi suscettibile di un trat-tamento chirurgico. Ove la malattia sia localizzata, il tasso di sopravvivenza può arrivare al 48%. La prognosi è lievemente migliore negli adenocarcinomi e nei carcinomi squamocellulari, avendo essi una crescita più lenta, rispetto ai tumori indifferenziati, che invece vengono diagnosticati quando si trovano in stadi ormai avanzati. Nonostante la grande diffusione del tumore non è at-tualmente disponibile una procedura di screening per fare diagnosi precoce: la maggior parte dei casi diagnosticati si presentano già come tumori avanzati e questo pregiudica fortemente la possibilità di guarigione o le aspettative in termini di sopravvivenza. Le opzioni terapeutiche, ormai consolidate e pro-gredite, sono la chirurgia, la radioterapia (neoadiuvante o adiuvante), la che-mioterapia e la terapia con farmaci a bersaglio molecolare (neoadiuvante o adiuvante), associate secondo vari protocolli sulla base dello stadio di malat-tia a cui si interviene. Nonostante i progressi in campo diagnostico e terapeu-tico, il carcinoma polmonare rimane sempre una patologia a prognosi infausta nella maggior parte dei casi (17).

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22

MESOTELIOMA

Il mesotelioma maligno origina dalle cellule mesoteliali della pleura viscerale o parietale, del peritoneo o della tunica vaginale.

Epidemiologia. Negli ultimi decenni l’incidenza del mesotelioma maligno ha presentato uno spiccato e progressivo aumento in vari paesi industriali. Que-sto è uno dei motivi del grande interesse che tale tumore, un tempo ritenuto un’entità eccezionale, ha suscitato nel mondo medico e nell’opinione pubbli-ca. Si può tuttavia calcolare che solo per il 15% della popolazione mondiale siano disponibili dati attendibili di incidenza/mortalità e che anche nei casi in cui i dati sono disponibili essi provengono da fonti eterogenee (18, 19, 20). È or-mai con certezza assodato il nesso di causa tra insorgenza di mesotelioma ed esposizione all’amianto (21, 22, 23, 24)

. Se confrontiamo i dati sull’epidemiologia del mesotelioma con quelli dell’esposizione all’amianto, emerge una evidente relazione tra le due variabili. In alcuni paesi, come la Gran Bretagna e la Svezia, si rileva un tipico disegno a doppia curva: la curva che rappresenta l’incidenza del mesotelioma rispecchia esattamente quella del consumo di amianto avvenuto qualche decennio prima (25, 26).

Figura 1.9 Grafico a doppia curva: incidenza di mesotelioma attesa dopo il consumo di amianto.

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Vari studi hanno dimostrato una stretta relazione tra consumo stimato di amianto e incidenza di mesotelioma nei Paesi industrializzati e la relazione è ancora più evidente osservando le spiccate variazioni dell’incidenza che il tumore mostra all’interno dei singoli paesi (27, 28)

. Alcuni paesi tuttavia, pur mostrando una intensa attività di produzione e consumo di amianto, non mo-strano particolari aumenti di incidenza di mesotelioma: ne sono esempi a Russia, Singapore, Hong-Kong e la Thailandia, paese nel quale non è mai stato registrato questo tumore (29, 30, 31). Questa anomalia è spiegabile con la mancata diagnosi del tumore che resta, nonostante la mole di studi, difficile da individuare. Nei casi di una reale bassa incidenza, bisogna comunque te-ner presente del lungo tempo di latenza del tumore e questo discorso è tanto più valido quanto più recente è stato il processo di industrializzazione del paese. Interessante prospettiva per il futuro sarebbe quella di capire se gli ef-fetti dell’ esposizione all’amianto siano gli stessi su popolazioni cosi diverse geneticamente e culturalmente. Interessanti sono alcuni studi secondo cui il crisotilo sarebbe un cancerogeno meno forte degli anfiboli nell’indurre meso-telioma con una proporzione di 1 a 500: tuttavia è da evidenziare ai fini della salute pubblica che il crisotilo è stato il tipo di amianto maggiormente impie-gato dall’industria (32, 33)

. Attualmente è inoltre in corso un dibattimento scienti-fico circa il ruolo delle fibre ultrafini (diametro <0,2 e lunghezza di pochi mi-cron) nell’induzione del mesotelioma: secondo alcuni autore spetterebbe ad esse un ruolo di esclusività ma l’ipotesi più accettata suggerisce invece un ruolo contributivo delle fibre di ogni dimensione alla genesi del tumore (34, 35,

36)

. Uno studio italiano del 1993 ha analizzato l’intero ventennio 1969-1988 ri-levando in tale arco di tempo un aumento dei tassi di mortalità nelle provincie di Alessandria, Savona, Genova, La Spezia, Livorno, Gorizia, Trieste e Ta-ranto (37). Un altro studio ha esaminato la mortalità per tumore pleurico nel decennio 1988-1997, riscontrando tra le varie provincie variazioni dei tassi di

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mortalità nei maschi di 40 volte: da un tasso minimo di 3 per milione nella provincia di Isernia ad un tasso massimo di 116 per milione nella provincia di Gorizia (38).La mortalità rappresenta un’ indicatore affidabile dell’incidenza del mesotelioma, anche in conseguenza della sopravvivenza inferiore ad un an-no dalla diagan-nosi (39, 40). Essa presentava nel 2001 un tasso standardizzato pari a 2,45 su 100.000 abitanti negli uomini e di 1,1 nelle donne, con una di-stribuzione sovrapponibile a quelle delle aree dove l’amianto è stato più utiliz-zato a scopi industriali (Trieste, Monfalcone, la Spezia, Genova, Livorno, Ta-ranto, Ancona per la cantieristica navale, Casale Monferrato e Broni per la produzione di cemento-amianto, Reggio Emilia per la manutenzione di rotabili ferroviari) (41, 42). La sorveglianza epidemiologica dei casi incidenti di mesote-lioma in Italia è svolta dal Registro Nazionale Mesoteliomi (ReNaM), articola-to su base regionale attraverso i Centri Operativi Regionali (COR); il regola-mento per il modello e le modalità di tenuta del registro è definito dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n.308 del 10 Dicembre 2002. La la-tenza per i casi di mesotelioma, definita come il periodo trascorso tra l’inizio dell’esposizione e la data della diagnosi, varia negli studi pubblicati da 15 a più di 40 anni, con casi documentati di anche 60 anni (43, 44). Secondo le pre-visioni, in Italia, in relazione all’elevato consumo di amianto degli anni Ottan-ta, non si avrà un calo dei casi di mesotelioma prima del decennio 2010-2020

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. È da evidenziare che la rarità del mesotelioma maligno può essere in buona parte determinata dai lunghi tempi di latenza, durante i quali i soggetti possono andare incontro a morte per il sopraggiungere di altre patologie o di altre neoplasie, come il carcinoma polmonare, fortemente correlato al fumo di sigaretta che invece non sembra influire sull’insorgenza del mesotelioma stesso.

Citogenetica. Le evidenze scientifiche accumulate negli ultimi anni hanno di-mostrato che le più frequenti anomalie citogenetiche risiedono in progressive

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25

multiple delezioni associate ad inattivazione di geni oncosoppressori. La anomalie più frequenti sono le delezioni dei bracci corti dei cromosomi 1, 3 e 9 e dei bracci lunghi dei cromosomi 6, 13, 15 e 22, nonché la perdita numeri-ca di entrambi i cromosomi 22. Si può asserire che alla base dello sviluppo e della progressione del mesotelioma vi sia un processo di oncogenesi recessi-va (46). Le regioni più spesso coinvolte sono 9p21, che codifica per p16INK4a e p14ARF , la cui attività viene abolita da una mutazione omozigote e induce effetto inibitorio sui pathway di p53 ed RB (47, 48). La perdita di alleli, la muta-zione e un meccanismo di splicing aberrante di NF2 su 22q12 sono spesso presenti (49, 50). Mutazioni di p53, Hras, Nras e Kras sono rare (51, 52). Sulle cel-lule mesoteliali esposte all’asbesto e sulle celcel-lule di mesotelioma EGFR è spesso autofosforilato e iperespresso (53, 54, 55) e questo ha portato ad ipotizza-re l’intervento di molecole inibitorie a scopo terapeutico (56)

. Sebbene l’amianto sia ritenuto la causa principale del mesothelioma, un ruolo da pos-sibile concausa è stato proposto per l’SV40 (Klein G, Powerrs A et al. Asso-ciation of SV40 with human tumors)) Visto che questo virus è in grado di tra-sformare colture cellulari umane potrebbe in effetti agire in sinergia con l’amianto nell’ insorgenza del tumore (57)

.

Morfologia. Il mesotelioma maligno è una lesione diffusa che si estende am-piamente nella cavità pleurica ed è di solito associata a cospicui versamenti pleurici e a invasione di strutture toraciche. Il polmone colpito viene avvolto da uno spesso strato di tessuto tumorale soffice, gelatinoso, d colore grigia-stro.. Microscopicamente, il mesotelioma maligno può essere epitelioide (60% dei casi), sarcomatoide (20%) o misto (20%).Il mesotelioma epitelioide consiste in cellule cuboidi, colonnari o appiattite che formano strutture tubolari o papillari simili all’adenocarcinoma e può essere talvolta difficile da differen-ziare istologicamente da un adenocarcinoma polmonare. Il tipo sarcomatoide di mesotelioma assume l’aspetto di un sarcoma a cellule fusate simile al

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fi-26

brosarcoma. Il tipo misto contiene aspetti sia del tipo epitelioide sia del tipo sarcomatoide (17).

Diagnosi. Il mesotelioma esordisce clinicamente con sintomi legati al versa-mento pleurico: dolore toracico e dispnea. Una sintomatologia generica con febbre, astenia e anoressia (quest’ultima specialmente nelle localizzazioni peritoneali) può essere presente, insieme ad alterazioni degli esami emato-chimici come anemia e piastrinosi, All’esame obiettivo si rilevano sul lato dell’emitorace colpito (destro nel 60% dei casi), ottusità alla percussione della base polmonare, riduzione del murmure vescicolare e dell’espandibilità. Nel 25% dei casi sono palpabili masse sulla parete toracica. Il percorso diagno-stico passa poi attraverso l’esecuzione di indagini radiologiche: la radiografia del torace risulta scarsamente dirimente, mentre TC e PET mostrano mag-giormente nel dettaglio la neoplasia ed i suoi rapporti con le strutture adiacen-ti, assumendo così anche valore stadiativo..Il passo successivo consiste nella toracentesi o nella biopsia pleurica a cielo coperto con esame istologico del tessuto prelevato. Le caratteristiche che conducono alla diagnosi istologica di mesotelioma sono: colorazione positiva per il mucopolisaccaride acido, man-canza di colorazione per l’antigene carcinoembrionario e per altri antigeni glicoproteici epiteliali (marcatori generalmente espressi dal carcinoma), forte colorazione per le proteine di cheratina accentuata in sede perinucleare, colo-razioni positive per la calretinina, per il prodotto di suscettibilità del gene WT-1, per la citocheratina 5/6 e D2-40; alla microscopia elettronica, rilevamento di lunghi microvilli e abbondanti tonofilamenti, assenza di corti microvilli e corpi lamellari. Risultati migliori in termini di accuratezza diagnostica si hanno con la toracotomia e con la Videotoracoscopia assistita (VATS) (58).

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Figure 1.10 ed 1.11 Quadri TC ed Rx di mesotelioma pleurico maligno.

Stadiazione. I criteri più condivisi sono quelli IMIG del 1995, che hanno rile-vanza sul piano terapeutico e prognostico (59).

Prognosi. La maggior parte dei pazienti con mesotelioma, trattato o non trat-tato, muore per complicanze dovute all’inesorabile progressione locale in quanto l’aumentato carico tumorale gradualmente annulla lo spazio pleurico sostituendosi al versamento e causando insufficienza respiratoria,, polmonite, disturbi miocardici con aritmie. Il mesotelioma può diffondere per via transdia-frammatica al peritoneo causando occlusione intestinale e, tardivamente, può dare metastasi extratoraciche a fegato, reni, surreni e polmone controlaterale. La sopravvivenza mediana varia da 6 a 18 mesi e non è significativamente in-fluenzata dalle terapie disponibili (60). Inoltre è dimostrato che i seguenti fattori presenti al momento della diagnosi sono associati ad una prognosi sfavore-vole: trombocitosi, leucocitosi, anemia, febbre di origine ignota, istotipo sar-comatoide o misto, età tra i 65 ed i 75 anni, performance status scaduto e sesso maschile; sono invece associati a prognosi più favorevole: istotipo epi-telioide, stadio 1 di malattia, età inferiore a 65 anni, performance status 0-1, assenza di dolore toracico e presenza di sintomi da più di sei mesi dalla dia-gnosi (61, 62, 63).

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T1a Tumore limitato alla pleura parietale, mediastinica o diaframmatica ipsilaterale

T1b Tumore coinvolgente la pleura parietale, mediastinica o diaframmatica ipsilaterale con isolati foci tumorali a livello della superficie della pleura viscerale

T2 Tumore coinvolgente tutte le superfici pleuriche ipsilaterali, associato a invasione del diaframma, foci tumorali confluenti sulla pleura viscerale, o estensione nel sottostante parenchima polmonare T3 Tumore coinvolgente tutte le superfici pleuriche ipsilaterali, associato ad interessamento della

fa-scia endotoracica, estensione nel grasso mediastinico, isolati foci tumorali resecabili sulla parete toracica, o invasione pericardica non transmurale

T4 Tumore coinvolgente tutte le superfici pleuriche ipsilaterali con diffusa estensione alla parete tora-cica, diretta estensione al peritoneo, alla colonna, agli organi mediastinici, alla pleura controlatera-le, alla superficie interna del pericardio o al miocardio vero e proprio

N0 Assenza di interessamento linfonodale

N1 Metastasi a linfonodi broncopolmonari ipsilaterali o ai linfonodi ilari N2 Metastasi ai linfonodi subcarenali o mediastinici ipsilaterali

N3 Metastasi ai linfonodi mediastinici controlaterali, o ai linfonodi della catena mammaria interna, o qualsiasi linfonodo sovraclaveare

MX Presenza di metastasi non valutabile M0 Assenza di metastasi a distanza M1 Presenza di metastasi a distanza

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Stadio 1a T1a N0 M0 Stadio 1b T1b N0 M0 Stadio 2 T2 N0 M0

Stadio 3 Qualsiasi T3 M0; qualsiasi N1 M0; qualsiasi N2 M0 Stadio 4 Qualsiasi T; qualsiasi N3; qualsiasi M1

Tabella 1.4 Raggruppamento della stadiazione.

È inoltre stato dimostrato che SV40 influenza negativamente la prognosi (64). In particolare due indici sono stati elaborati dai database di due importanti gruppi diricerca: il Cancer and Leukemia Group B (CALGB) e l’ European Organization for Research and Treatment of Cancer (EORTC); sul piano cli-nico entrambi si sono dimostrati tra i mezzi prognostici più utili.

Mesotelina. Recentemente ha suscitato notevole interesse lo studio della mesotelina, una proteina fortemente espressa dalle cellule mesoteliali normali e in misura maggiore nei mesoteliomi maligni. Un primo studio ha dimostrato che il dosaggio nel siero di SMRP (peptidi solubili derivati dal clivaggio della mesotelina) presentava una sensibilità maggiore dell’83% nel discriminare tra mesoteliomi e soggetti con pregressa esposizione all’asbesto o altre patolo-gie pleuropolmonari (65). I risultati di un secondo studio mostrano valori di SMRP significativamente più elevati nel siero di pazienti con mesotelioma ri-spetto ai pazienti con tumore polmonare o altre patologie benigne e controlli dalla popolazione generale; la miglior efficacia diagnostica (77%) è stata os-servata con un cut-off di 1,0 nM/l, con una sensibilità del 68% e una specifici-tà dell’80%; si è inoltre osservato che l’ SMRP potrebbe costituire un fattore prognostico poiché pazienti con valori inferiori a questo cut-off mostrano una sopravvivenza significativamente maggiore rispetto a quelli con valori supe-riori. Un’ altra proteina, l’osteopontina, ha dimostrato di avere un ruolo nella discriminazione di pazienti con mesotelioma da pazienti con patologie benigni

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o individui sani esposti all’asbesto, con una sensibilità e una specificità supe-riori al 78% (66).

ASBESTOSI

L’asbestosi rientra nella categoria delle pneumoconiosi, patologie professio-nali legate all’inalazione di polveri minerali, sostanze organiche o inorganiche, fumi e vapori nell’ambiente di lavoro.

Patogenesi. La comparsa di asbestosi, dipende dall’interazione delle fibre inalate con macrofagi e cellule parenchimali, ed avviene secondo un mecca-nismo deterministico, ovvero è tanto più probabile quanto più elevata è l’esposizione all’asbesto. Le lesioni iniziali si presentano alle biforcazioni delle piccole vie aeree e dei dotti, dove le fibre si incuneano e penetrano. Sia i ma-crofagi alveolari sia quelli interstiziali tentano di fagocitare e di eliminare le fi-bre e vengono attivati al rilascio di mediatori chemiotattici e fibrogenetici (PDGF, fibronectina, IGF1, IL1, TNFα). La lunghezza delle fibre gioca un ruo-lo importante in quanto sono le fibre di lunghezza superiore a 5-8 µ che non possono essere fagocitate dai macrofagi che iniziano il processo flogistico. La deposizione cronica di fibre e il rilascio continuo di mediatori portano infine ad infiammazione interstiziale polmonare generalizzata e a fibrosi interstiziale.

Anatomia. L’asbestosi è caratterizzata da presenza di fibrosi interstiziale pol-monare diffusa e corpuscoli asbestosici. Essi hanno l’aspetto di corpi fusifor-mi o bastoncellari di colore marrone dorato e con centro traslucido e consi-stono in fibre di asbesto ricoperte da materiale proteinaceo contenente ferro, derivato probabilmente dalla ferritina dei macrofagi. Si formano quando i ma-crofagi tentano di fagocitare le fibre di amianto. L’asbestosi inizia come fibrosi attorno ai bronchioli terminali e ai dotti alveolari e si estende ai sacchi alveo-lari e gli alveoli adiacenti. Il tessuto fibroso distorce l’architettura normale del

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polmone, creando spazi cistici allargati delimitati da spesse pareti fibrose, co-si che le zone colpite assumono infine l’aspetto a favo d’api (polmone termi-nale, esito comune a tutte le fibrosi interstiziali diffuse del polmone). Contra-riamente alla silicosi, l’asbestosi inizia nei lobi inferiori e nelle zone subpleuri-che e la progressione della malattia porta poi a coinvolgimento dei lobi medi e superiori (17). L’ evoluzione dell’asbestosi, in accordo con il “Report of the asbestosis committee of the college of american pathologists” del 2010, può essere stadiata come segue:

a) Grado 0: fibrosi peribronchiolare non apprezzabile o limitata alle pareti. b) Grado 1: lieve proliferazione di fibre attorno a bronchioli e primo ordine

di alveoli adiacenti.

c) Grado 2: estensione della fibrosi con coinvolgimento di dotti alveolari e/o due o più ordini di alveoli adiacenti al bronchiolo respiratorio, senza coinvolgimento di almeno alcuni alveoli tra i bronchioli adiacenti.

d) Grado 3: ispessimento fibrotico delle pareti di tutti gli alveoli tra almeno due bronchioli respiratori adiacenti.

e) Grado 4: alterazioni di tipo honeycombing (polmone a nido d’ape).

Tutte le pneumoconiosi sclerogene tendono ad evolvere verso un quadro anatomo-patologico di fibrosi polmonare massiva, facilitata da alti livelli di esposizione e lunga durata, che radiologicamente diviene visibile alla TAC come immagine a vetro smerigliato.

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Figure 1.12 e 1.13 Immagini Rx e TC di asbestosi con tipico aspetto a vetro smerigliato.

Evoluzione clinica. Clinicamente l’asbestosi si manifesta con un quadro fun-zionale di tipo restrittivo: ridotta espansione del parenchima, ridotta capacità polmonare totale, flusso massimo espiratorio nella norma o ridotto proporzio-nalmente e riduzione della capacità di diffusione alveolo-capillare del monos-sido di carbonio (DLCO). I pazienti presentano dispnea (dapprima da sforzo, poi anche a riposo), tachipnea, tosse produttiva, crepitii all’auscultazione to-racica ed eventuale cianosi in assenza di sibili ed altre evidenze di ostruzio-ne. Possono essere presenti ipertensione polmonare e cuore polmonare per la fibrosi delle arterie polmonari e delle arteriole. I sintomi compaiono rara-mente prima di dieci anni dopo la prima esposizione, e compaiono più fre-quentemente dopo venti anni. La morte è causata dall’instaurarsi progressivo di insufficienza respiratoria e cuore polmonare (insufficienza cardiaca destra). La prognosi dell’asbestosi complicata da tumore polmonare o mesotelioma è particolarmente infausta.

Indagini radiologiche. Al radiogramma standard si paleseranno prevalente-mente opacità irregolari (s, t, u nella classificazione ILO-BIT), che in fase ini-ziale saranno piccole, con scarsa profusione e localizzazione nei campi pol-monari medi e inferiori, per poi colpire nei casi gravi anche quelli superiori.

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Possono presentarsi anche ispessimenti o placche pleuriche, calcifiche o meno, strie B (linee radiopache orizzontali a livello dei seni costofrenici) e le strie A (localizzate nella porzione centrale del polmone, oblique dalla periferia all’ilo), segni compatibili sia con edema interstiziale polmonare che con fibrosi polmonare. Tutti questi reperti possono essere riscontrati anche con la TAC, in particolare con la HRTC (High Resolution Computed Tomography), che è in grado di evidenziare opacità puntiformi, linee curvilinee sottopleuriche, bronchiectasie da trazione, ispessimenti interstiziali intralobulari, ispessimenti settali interlobulari, bande parenchimali a partenza da ispessimenti pleurici, placche pleuriche, immagini a vetro smerigliato e polmone a nido d’ape. In accordo con la American Thoracic Society (2004) si può sospettare la pre-senza di asbestosi (in prepre-senza di altri elementi diagnostici) con quadri radio-grafici ILO-BIT a partire da 1/0. La HRTC è sicuramente più sensibile, poten-do rilevare segni di fibrosi interstiziale che nel 15-20% dei radiogrammi stan-dard sarebbero classificati come 0/0 o 0/1). Attualmente, i criteri ICOERD rappresentano il gold standard nell’interpretazione dei risultati della HRTC.

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Di seguito vengono riportati due esempi di linee guida per indirizzare alla dia-gnosi di asbestosi.

Criteri di Helsinki. Includono il risultato del lavoro di una Consensus Confe-rence che riunisce i principali esperti in materia, la cui ultima emanazione ri-sale al 2014 e comprende alcune considerazioni condivise:

“L’asbestosi è definita come una fibrosi interstiziale diffusa del polmone derivante da esposizione a polvere d’amianto”. Non esistono caratteri-stiche cliniche o istologiche patognomoniche della malattia che consen-tano di porre diagnosi di certezza in assenza di anamnesi lavorativa positiva o identificazione nei polmoni di fibre d’amianto.

“L’asbestosi è generalmente associata a livelli relativamente elevati di esposizione”. È consolidato però che fibrosi lievi possono verificarsi per livelli di esposizione più bassi.

“Una diagnosi istologica di asbestosi richiede l’identificazione di una fi-brosi interstiziale diffusa” in campioni polmonari tecnicamente adeguati “oltre alla presenza di 2 o più corpuscoli di amianto, in un tessuto con sezione di almeno 1cm2, o un conteggio di fibre di amianto libere o rive-stite che rientri nel range registrato per asbestosi da quello stesso labo-ratorio”. È comunque accettabile eccezionalmente, considerare una diagnosi di asbestosi senza la presenza di corpuscoli di amianto in pre-senza di fibre non rivestite.

Criteri diagnostici American Thoracic Society 2004.

a) Presenza di alterazioni strutturali evidenziate da una o più delle se-guenti indagini: RX torace, TAC, HRCT, diagnosi istologica basata sui criteri del 1986.

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b) Evidenza di pregressa esposizione all’amianto tramite uno o più dei se-guenti criteri: storia di esposizione ad amianto di durata e latenza plau-sibili, presenza di placche pleuriche (marker di esposizione), presenza di corpuscoli dell’asbesto nel tessuto polmonare.

c) Esclusione di diagnosi differenziale di altre condizioni cliniche patomi-metiche.

d) Evidenza di funzionalità respiratoria compromessa, attraverso il rilievo di uno o più dei seguenti elementi clinici: segni e sintomi di compromis-sione funzionale, deficit restrittivo o misto alle PFR, alterazione della DLCO, test da sforzo alterato, presenza di cellularità infiammatoria nel BAL (aumento dei neutrofili e dei linfociti con elevato rapporto CD4/CD8).

PLACCHE PLEURICHE

Le prime evidenze di associazione tra esposizione all’amianto e insorgenza di patologia pleurica benigna risale al 1933, quando Gloyne descrive il ritrova-mento autoptico di placche ialine in soggetti con asbestosi polmonare (67). Nei decenni successivi numerosi altri studi hanno sostanzialmente consolidato il nesso causale tra amianto e placche pleuriche (68).

Anatomia. Le placche pleuriche sono lesioni acellulari e avascolari ben circo-scritte, costituite da collagene denso fibroso, spesso calcificato. Di forma irre-golare, sviluppano in genere nella parte anteriore o postero-laterale della pleura parietale e sulla cupola del diaframma, più spesso bilateralmente in modo asimmetrico; non sono invece presenti agli apici polmonari, nei seni costofrenici e sulla pleura mediastinica hanno aspetto liscio con colorito avo-rio simile alla cartilagine ialina articolare sebbene a volte possano presentarsi come lesioni nodulari o mammellonate. Al loro interno è possibile riscontrare

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fibre di amianto e corpuscoli asbestosici. Non necessariamente sono asso-ciate ad un concomitante quadro di asbestosi polmonare.

Patogenesi. Le alterazioni alla base della formazione delle placche pleuriche costituiscono sono conseguenza della generica risposta delle cellule mesote-liali ad una serie di insulti stressogeni come traumi, esposizione a titanio (69) o infezione tubercolare (70): in questi casi le placche sono di solito piccole e uni-laterali. Le placche bilaterali sono invece tipicamente associate all’esposizione a tutti i tipi di asbesto e sono endemiche in aree dove esiste un’esposizione ambientale ad asbesto o a fibre non-asbestiformi insolubili (zeolite, erionite) (71). In particolare agli asbesti anfiboli sembrano avere un potenziale patogeno maggiore in virtù della bassa solubilità delle fibre nei tessuti (72). Non è del tutto chiaro come le fibre raggiungano la pleura parieta-le. Alcune ipotesi indicano che esse attraversano lo spazio pleurico (73), altre che si spostano secondo la rete linfatica (74) e altre ancora indicano il passag-gio dei soli mediatori flogistici per la rarità con cui le fibre riescono ad attra-versare la lamina elastica interna (75): l’interazione coi macrofagi della pleura innesca poi il rilascio di mediatori dell’infiammazione. In un esperimento del 1984 condotto da Sahn e Anthony si dimostrava come l’iniezione intrapleurica di asbesto in conigli sani e conigli neutropenici determinava rispettivamente la comparsa di placche pleuriche e fibrosi pleurica, precedute da un versamento pleurico (76). Tuttavia non esiste un criterio che consenta di prevedere con esattezza lo sviluppo di placche pleuriche in un soggetto esposto all’amianto poiché la suscettibilità individuale ed i livelli di esposizione sono determinanti: le placche possono essere assenti in a soggetti con forti esposizioni e pre-senti in altri con livelli relativamente bassi. Nel 1980, uno studio di R. Jones evidenziò che mentre l’asbestosi e l’ispessimento pleurico diffuso sono rela-zionati proporzionalmente all’ esposizione cumulativa, l’ insorgenza di plac-che pleuriplac-che appare legata al tempo trascorso dalla prima esposizione, in

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maniera più simile al mesotelioma (77). Uno studio più recente eseguito su pa-zienti esposti all’asbesto con carcinoma polmonare indica una relazione posi-tiva tra presenza di placche pleuriche e concentrazione polmonare di corpu-scoli dell’asbesto (78)

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Clinica. Le placche pleuriche, quando isolate, sono lesioni benigne asintoma-tiche, compatibili con una aspettativa di vita normale. Compaiono dopo un lungo periodo di latenza di almeno dieci anni e vengono solitamente diagno-sticate radiologicamente e classificate secondo i criteri ILO. Può essere de-scritto negli anni un loro aumento dimensionale o un incremento della loro calcificazione. In genere la presenza di sole placche pleuriche non si associa ad un decadimento dei parametri di funzionalità polmonare (79) mentre l’associazione di forti esposizioni a fumo di sigaretta e asbesto si associa allo sviluppo di quadri patologici restrittivi (80). Inoltre è possibile che la presenza di placche pleuriche possa costituire un fattore di rischio per lo sviluppo di carcinoma polmonare ed un criterio addizionale per la definizione di una po-polazione ad alto rischio da sottoporre a screening con TC (81). Tuttavia non c’è attualmente unanime accordo in quanto secondo alcuni studi le placche pleuriche non rappresentano un fattore di rischio indipendente per patologie maligne asbesto-correlate (82). Quello che sembra essere ormai certo è inve-ce che le placche possono rappresentare un efficainve-ce marker di avvenuta esposizione all’asbesto negli studi di popolazione.

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Figure 1.15 e 1.16. Rx e TC di un paziente con placche pleuriche, indicate dalle frecce.

ISPESSIMENTI PLEURICI DIFFUSI

Sono noti in letteratura diversi studi che dimostrano l’aumentata incidenza di ispessimenti pleurici diffusi in soggetti esposti all’amianto rispetto alla popola-zione normale (83), sebbene ispessimenti siano descritti come sequele di altre patologie, ad esempio infettive o traumatiche, della pleura. Allo stadio iniziale l’ispessimento della pleura è visibile come una perdita della sua normale translucenza dovuta alla deposizione di uno strato di tessuto connettivo fibro-so non ialinizzato; successivamente la fibrosi si espande e si sviluppano aree di fusione della pleura parietale con quella viscerale. Occasionalmente il pol-mone può essere quasi totalmente avvolto da uno strato fibroso dello spesso-re anche di un centimetro. Secondo i risultati di uno studio condotto nel 1987 da Rockoff (84), esiste una più stretta relazione tra l’esposizione cumulativa e l’insorgenza di ispessimenti pleurici diffusi, rispetto a quanto osservato per le placche, in accordo con quanto suggerito dalle teorie patogenetiche: l’accumulo subpleurico di fibre è infatti correlato direttamente all’esposizione cumulativa ed alla probabilità di cambiamenti degenerativi nella pleura visce-rale, mentre la rara penetrazione di fibre attraverso lo spazio pleurico appare meno prevedibile e maggiormente dipendente dalla suscettibilità individuale. Inoltre, diversamente dalle placche pleuriche, l’ispessimento diffuso della

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pleura può incidere negativamente sulla dinamica ventilatoria: secondo i risul-tati di un lavoro di Wright del 1980, l’ispessimento pleurico diffuso in assenza di compromissione del parenchima polmonare, determina l’insorgenza di un quadro restrittivo con riduzione dei volumi polmonari e alterazione degli scambi gassosi (85). Non ci sono invece attualmente evidenze che dimostrino una correlazione tra ispessimenti pleurici diffusi ed incremento di incidenza di patologie maligne. La diagnosi è radiologica.

VERSAMENTO PLEURICO

Dopo il primo caso di versamento pleurico bilaterale descritto da Eisenstadt nel 1965 (86) in un lavoratore esposto all’asbesto, diversi studi hanno sostan-zialmente confermato l’associazione tra esposizione all’asbesto, in particolare del tipo anfibolo, e incremento dell’incidenza di versamento pleurico (87)

. Si tratta solitamente di un versamento monolaterale asintomatico o paucisinto-matico che talvolta può causare dolore pleuritico. Le analisi di laboratorio evi-denziano spesso una natura essudatizia, talvolta emorragica. Tuttavia, la diagnosi non è semplice poiché il versamento decorre spesso in maniera asintomatica e si riassorbe spontaneamente nell’arco di qualche mese; inoltre non è radiologicamente visibile a meno che non superi i 200ml. Una volta riassorbito il versamento, talvolta l’aspetto radiografico dello spazio pleurico torna normale, ma nella maggior parte dei casi si hanno sequele permanenti come obliterazione del seno costo-frenico o ispessimento pleurico diffuso; sono frequenti le recidive dopo il primo episodio, talvolta anche multiple. Non sono attualmente noti con chiarezza i fattori che determinano lo sviluppo di placche pleuriche piuttosto che versamento o ispessimenti pleurici, anche perché spesso questi aspetti coesistono o si susseguono suggerendo che si tratti di manifestazioni diverse della reazione della pleura a stimoli dannosi. Probabilmente il tipo di manifestazione dipende da una interazione tra fattori

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genetici dell’ospite e fattori ambientali come il tipo d esposizione e il tipo d fi-bra inalata.

Figura 1.17 Immagine Rx di versamento pleurico destro.

ATELETTASIA ROTONDA

In questa condizione una porzione del polmone collassa e si avvolge su se stessa. Ciò avviene nelle regioni del polmone adiacenti ad una parte ispessita della pleura viscerale che esercita una trazione sul parenchima o ad un ver-samento pleurico benigno ricorrente. Alla radiografia del torace e soprattutto alla TAC è riconoscibile una struttura con aspetto a coda di cometa che si ve-rifica in seguito ad un affastellamento di vasi e bronchi verso l’ilo. Le altera-zioni funzionali conseguenti a questa lesione sono di solito minime.

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1.4 NORMATIVA SULL’AMIANTO

L’amianto in Italia è stato messo al bando nel 1992 con la legge n. 257 che sancisce il divieto di estrazione, impiego, importazione, commercializzazione e produzione di manufatti contenenti amianto. Dal 1992 le uniche esposizioni lavorative che comportano una esposizione attuale ad amianto sono quelle relative alla rimozione del materiale impiegato precedentemente. Oggigiorno, la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori attualmente esposti all’amianto sono disciplinati dal D. Lgs. 81/08, che dedica all’amianto l’intero Capo III del Titolo IX del decreto (art. 246-265). Questa parte del Testo Unico definisce tra l’altro come deve essere condotta la valutazione dei rischi da amianto, quali sono le misure di prevenzione e protezione e le misure igieni-che di minima, come deve essere erogata la informazione e la formazione dei lavoratori, delinea la sorveglianza sanitaria, gli obblighi di istituire cartelle sa-nitarie e di rischio ed i registri di esposizione. Fissa inoltre i valori limite all’art. 254 alla soglia di 0,1 fibre per centimetro cubo d’aria.

1.5 SORVEGLIANZA SANITARIA

Con sorveglianza sanitaria s’intende un’attività di prevenzione basata sul con-trollo sanitario dei lavoratori esposti a rischio con l’obiettivo di proteggere la loro salute e prevenire le malattie professionali. A proposito della sorveglian-za sanitaria relativa all’esposizione ad amianto, oltre a coloro i quali conti-nuano tuttora ad essere esposti in quanto impegnati in operazioni di manu-tenzione di impianti o bonifica di siti ancora contenenti amianto, sono da con-siderare anche i lavoratori che sono stati esposti all’amianto in passato. Per quanto riguarda i lavoratori tutt’oggi esposti, la sorveglianza sanitaria è disci-plinata dal D. lgs. 81/08: ha carattere ripetitivo o periodico con scadenza pre-fissata, finalizzata alla prevenzione ed alla tutela della salute, obbligatoria ai

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