• Non ci sono risultati.

Tutela della concorrenza ed efficienza del servizio postale

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Tutela della concorrenza ed efficienza del servizio postale"

Copied!
105
0
0

Testo completo

(1)

Indice

Introduzione...3

Capitolo 1: I FALLIMENTI DEL MERCATO E LA TUTELA DELLA CONCORRENZA...6

1.1 La concorrenza imperfetta...8

1.2 Regolamentazione, politiche per la concorrenza e la disciplina antitrust...12

1.3 La tutela della concorrenza nell'UE...14

1.3.1 La normativa Europea...17

1.4 I Servizi di Interesse Economico Generale...18

1.4.1 SIEG e tutela della concorrenza...23

1.4.2 Il servizio postale come Servizio Universale...28

1.5 Il processo di liberalizzazione e le privatizzazioni...31

1.5.1 La liberalizzazione del Servizio Postale e la privatizzazione di Poste Italiane...34

1.5.2 La disciplina europea per le liberalizzazioni...38

1.5.3 La regolamentazione pro-concorrenziale del servizio postale...40

Capitolo 2: POSTE ITALIANE: L'INNOVAZIONE COME STRATEGIA VINCENTE...47

2.1 Il ruolo delle poste in Italia...49

2.1.1 L'impatto delle liberalizzazioni...53

2.2 La modernizzazione del business...55

2.2.1 L'innovazione tecnologica di canale e di prodotto...60

2.2.2 La differenziazione di business...66

2.3 Il vantaggio competitivo a livello internazionale...73

2.3.1 La Poste e DP-DHL...74

2.3.2 PostNL e TNT Express (Ex TNT Group)...78

2.3.3 Royal Mail...81

(2)

Capitolo 3: ANTITRUST E PROBLEMATICHE DELLA

LIBERALIZZAZIONE...86

3.1 Il processo di liberalizzazione: cosa resta da fare...90

3.1.1 Il settore postale: cosa resta da fare...93

3.1.2 Il settore bancario e BancoPosta...94

3.2 H3G contro Poste Italiane...96

3.3 Nexive contro Poste Italiane...97

Conclusioni...100

Bibliografia...103

(3)

Introduzione

Una delle principali cause di fallimento del mercato è rappresentato dalla concorrenza imperfetta, ovvero quella situazione in cui le imprese posseggono un certo grado di potere di mercato e sono in grado di influenzare il prezzo e la quantità di beni prodotti a discapito del benessere del consumatore. Le ragioni per cui nei mercati possono venire a crearsi situazioni di concorrenza imperfetta sono molteplici; generalmente si fa riferimento alle barriere all'ingresso che, impedendo a nuove imprese di entrare liberamente sul mercato, riducono il numero di operatori presenti sul mercato. Basti pensare ad un'impresa che dispone in esclusiva di una risorsa chiave per la produzione. Tipiche situazioni di concorrenza imperfetta sono: il monopolio, l'oligopolio e la concorrenza monopolistica.

Pertanto, lo Stato interviene nell'economia per tutelare la concorrenza attraverso dei meccanismi di regolamentazione, sia incentivando l'ingresso di nuove imprese nel mercato e rimuovendo eventuali barriere all'entrata, sia attraverso la regolamentazione della condotta delle imprese. L'autorità preposta alla tutela della concorrenza in Italia è l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm). Lo Stato, inoltre, interviene laddove vi siano dei servizi di interesse economico generale (cosiddetti SIEG). Rientrano nei SIEG quei servizi che il mercato non fornirebbe liberamente alle condizioni che gli Stati ritengono coerenti con l’interesse generale. Tipici esempi di SIEG sono i servizi postali, di trasporto, gestione dei rifiuti ecc.

Trattandosi di attività economiche, i SIEG sono soggetti alle norme che disciplinano la concorrenza. Tuttavia il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dagli Stati può entrare in conflitto con quello di promuovere la concorrenza: in questo caso la fornitura dei SIEG può essere sottratta alle regole della concorrenza, nella misura in cui ciò sia strettamente indispensabile a garantire il raggiungimento degli obiettivi ad essi assegnati.

Nella presente tesi viene preso in considerazione l'universalità del Servizio Postale. Partendo dalla recente liberalizzazione, si mette in evidenza quali sono le

(4)

caratteristiche del servizio postale e quindi quali i problemi in termini normativi a cui i legislatori si sono trovati davanti per garantire da un lato la concorrenza e dall'altro l'universalità del servizio offerto. Tale caratteristica infatti aveva giustificato la fornitura pubblica ed in monopolio del servizio, che oggi invece viene abolito.

La liberalizzazione del settore si è declinata nella liberalizzazione dei prodotti postali, trasformando così il fruitore del servizio, da utente a consumatore che può scegliere a quale fornitore rivolgersi per poter soddisfare il proprio bisogno. Tale bisogno, tuttavia, continua ad essere identificato come universalmente ed uniformemente soddisfacibile e quindi garantito nella sua fruizione attraverso la capillarità degli uffici postali di Poste Italiane. I costi che però devono essere sostenuti dall'ex monopolista per adempiere a questo compito sono sempre più significativi, soprattutto in un contesto postale sempre più debole ed in una situazione economica nazionale difficile. Poste Italiane, essendo stata per molti anni caratterizzata da inefficienza ed associata a luogo dove parte della politica assegnava posti di lavoro in cambio di voti in sede elettorale, ha dovuto fare i conti, in sede di riorganizzazione, con tale passato e quindi ha dovuto sostenere uno sforzo più significativo per modificare l'atteggiamento verso di sé e i propri prodotti.

La ristrutturazione a cui si fa riferimento è quella realizzata da Corrado Passera in qualità di amministratore delegato della società, nominato dal Governo nel 1998 con il compito di risanare il bilancio dell'azienda e con esso l'organizzazione nel suo complesso. Così, il 28 febbraio 1998 l'Ente Poste Italiane venne quindi trasformato in Poste Italiane S.p.A. Affiancando agli investimenti, su prodotti, formazione del personale e tecnologia, la riduzione dell'organico necessario alla fornitura dei servizi da Poste Italiane offerti, nel 2001 la società è riuscita a raggiungere un sostanziale pareggio di bilancio, che le ha permesso così di guardare a nuovi settori, quale quello assicurativo.

Raggiunti questi obiettivi, tuttavia, il contesto internazionale ne ha messo un altro sul tavolo: la liberalizzazione. Entro il 2011 infatti tutti i paesi aderenti all'Unione Europea hanno dovuto liberalizzare il mercato postale, aprendo quindi alla concorrenza la fornitura del servizio di raccolta, smistamento e recapito delle lettere.

(5)

assicurativo, BancoPosta per il settore bancario e prodotti telefonici tramite PosteMobile. L’operatore offrendo diversi servizi e prodotti ha potuto adottare una gestione orientata al principio di efficienza produttiva. Tuttavia, ciò ha fatto emergere nuovi problemi dal punto di vista concorrenziale, si pensi al caso H3G o Nexive che hanno denunciato all'Autorità garante l'abuso della posizione dominate da parte di Poste Italiane.

(6)

Capitolo 1

I fallimenti del mercato e la

tutela della concorrenza

L’analisi economica dimostra, tramite il primo teorema dell’economia del benessere, come in condizioni di concorrenza perfetta l’equilibrio raggiunto dal mercato sia un ottimo Paretiano. Ovvero, se consideriamo l'equilibrio raggiunto in concorrenza perfetta, non è possibile raggiungere un'altra situazione economica in cui tutti gli agenti migliorano la propria condizione rispetto all'equilibrio di concorrenza perfetta. Questo risultato lascerebbe poco spazio ad un intervento da parte dello Stato: esso dovrebbe limitarsi a garantire una struttura sociale e legale in cui il mercato possa operare. Il secondo teorema dell’economia del benessere afferma inoltre che, in concorrenza perfetta, modificando le dotazioni iniziali è possibile per il mercato concorrenziale raggiungere tutte le possibili situazioni di Pareto efficienza. Ovvero, il risultato del mercato è sempre efficiente e, anche qualora lo si reputi iniquo, si possono modificare le dotazioni iniziali e far operare il meccanismo di mercato per raggiungere qualunque risultato efficiente si desideri. Di conseguenza, "al massimo", l' "interferenza" dello stato dovrebbe tradursi nella riallocazione delle risorse iniziali per far poi operare indisturbate le forze di mercato (Acocella 2011).

I primi due teoremi dell'economia del benessere escludono, per tanto, che l'intervento pubblico possa rendere più efficiente (in senso economico) il funzionamento

(7)

dell'economia. Tuttavia, qualora le ipotesi su cui si fondano i teoremi non siano verificate, allora è possibile che tali teoremi non siano più validi. In questo caso lo stato potrebbe intervenire per correggere tale inefficienza. La terminologia economica si riferisce a queste situazioni col nome di fallimenti del mercato e queste sono dovute ad una serie di fattori strutturali dell’economia che rendono non verificate le ipotesi alla base dei teoremi dell’economia del benessere.

In presenza di fallimento di mercato i due teoremi non possono essere applicati ma l’impianto teorico di riferimento rimane comunque valido: in questo caso lo Stato può intervenire svolgendo una funzione allocativa ovvero la sua funzione è quella di intervenire nell’ottica di favorire il raggiungimento di soluzioni efficienti dal punto di vista economico. Lo stato, esercitando la funzione allocativa, va direttamente a influire sul processo di produzione e consumo.

Ciò che emerge dai meccanismi economici è che il mercato, in particolare quando vi è concorrenza, è lo strumento più efficace ed efficiente per garantire la produzione e il consumo dei beni materiali. Questa idea, anche al di fuori dell'analisi teorica si traduce in una visione diffusa in cui il settore privato tende ad essere più "efficiente" di quello pubblico sulla base di questo ragionamento si potrebbe concludere che il "pubblico" dovrebbe astenersi da interferire con l'attività economica. Tuttavia esistono dei casi specifici in cui il privato, da solo, non è efficiente ed è in questi casi che si rende necessario l'intervento pubblico.

L'inefficienza della concorrenza imperfetta si manifesta quando la concorrenza perfetta viene meno, le imprese posseggono un certo grado di potere di mercato e sono in grado di influenzare il prezzo: in questo caso un'impresa può scegliere un prezzo più alto del costo marginale offrendo quindi una quantità minore di quella offerta in concorrenza perfetta. In maniera approssimativa, potremmo dire che il potere di mercato comporta un aumento dei prezzi e una conseguente riduzione della produzione: questa riduzione della produzione è inefficiente (Acocella 2011).

(8)

1.1 La concorrenza imperfetta

Le ragioni per cui nei mercati possono venire a crearsi situazioni di concorrenza imperfetta sono molteplici: in genere esistono barriere all’ingresso, che impediscono a nuove imprese di entrare liberamente sul mercato e che riducono quindi il numero di operatori presente sul mercato. In altri casi possono essere le spese di trasporto a impedire la perfetta concorrenza fra imprese situate in luoghi diversi. In presenza di concorrenza imperfetta, l’efficienza economica non viene raggiunta spontaneamente e lo Stato può incrementare il benessere degli individui intervenendo per correggendo queste imperfezioni. Le principali politiche che lo Stato può mettere in atto riguardano il favorire l’entrata nel mercato di altre imprese, il rimuovere barriere all’ingresso e il vigilare affinché gli operatori economici non mettano in atto comportamenti collusivi. I governi delle nazioni moderne hanno creato degli enti indipendenti a cui hanno delegato il ruolo di promozione della concorrenza e della regolamentazione del mercato. In Italia, l’ente preposto a tale ruolo è l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nota anche, in maniera informale, come Antitrust (Acocella 2011).

Un caso a parte fra le forme di concorrenza imperfetta si ha quando si osserva un monopolio naturale. Tale situazione emerge quando la produzione di un certo bene mostra costi medi decrescenti ovvero quando i costi medi si riducono all'aumentare del volume di produzione. Il monopolio naturale in tale circostanza risulterebbe estremamente conveniente (ed efficiente): vi sarebbe un'unica impresa a produrre la totalità di un certo bene, così facendo riuscirebbe ad abbattere i costi medi di produzione e perciò sembrerebbe efficiente che esista una sola impresa, ma se vi fosse una sola impresa si avrebbe un monopolio e i prezzi sarebbero più alti del livello efficiente.

Si ha quindi un dilemma: l'esistenza di una sola impresa è efficiente dal punto di vista dei costi ma è inefficiente dal punto di vista dei prezzi. Lo Stato deve quindi intervenire o regolamentando i prezzi (fissando un livello dei prezzi efficiente) o producendo in prima persona tale bene. Le reti sono un classico esempio di monopolio naturale:occorre sostenere un costo iniziale molto grande per crearle ma fornire un'unità di bene aggiuntiva incrementa i costi di pochissimo: i costi medi sono quindi

(9)

decrescenti.

Ogni qualvolta i mercati sono imperfetti, sia che si tratti di monopolio, di oligopolio, o di qualche altra forma di concorrenza imperfetta, il beneficio marginale (BMG), non sarà uguale al costo marginale sociale (CMGS), anche in assenza di esternalità. Prendiamo il caso del monopolio. Un monopolista produce una quantità inferiore all’output socialmente efficiente. Come già noto, la sua curva di domanda è decrescente, per cui il ricavo marginale è inferiore al ricavo medio, a sua volta uguale al prezzo. Il profitto del monopolista è massimo quando il ricavo marginale uguaglia il costo marginale, quindi in corrispondenza dell’output q

1 e del prezzo P1 nella figura. Ma poiché il prezzo è superiore al ricavo marginale, in equilibrio il prezzo deve essere anche superiore al costo marginale. Se non ci sono esternalità, il prezzo coincide con il beneficio marginale sociale e il costo marginale privato con quello sociale e quindi l’output socialmente efficiente sarà q

2, dove BMGS = p = CMG,. Poiché q2 > q1, il monopolista produce meno dell’ottimo sociale.

Fig.1

Fonte: Acocella 2011.

Per analizzare la perdita di benessere associata al monopolio usiamo i concetti di surplus del consumatore e del produttore. Il surplus netto del consumatore è il beneficio complessivo (o «utilità») derivante dal consumo di un dato bene al netto della spesa totale. Il surplus del produttore è dato dal profitto. I due concetti vengono

(10)

illustrati nella figura 2 nella quale è illustrata un’industria che può operare alternativamente in concorrenza perfetta o in monopolio alle stesse condizioni di costo. Surplus del consumatore: In concorrenza perfetta l’industria produrrà un output Q

c al prezzo p

c, dove il costo marginale e i ricavo marginale si eguagliano: CMG = p = RME, cioè si posizionerà nel punto a. Come sappiamo, il surplus lordo del consumatore è dato dall’area sotto la curva di domanda, la somma di tutte le aree da 1 a 7. Questo perché ogni punto sulla curva di domanda indica l’ammontare massimo che il consumatore è disposto a pagare per ottenere quella data unità del bene, vale a dire il beneficio marginale del consumo del bene. L’area sotto la curva di domanda quindi rappresenta il totale di tutti questi benefici marginali, da un livello di consumo nullo fino a Q

c, cioè il beneficio totale di tutti i consumatori. La spesa totale dei consumatori è p

cQc (area 4+5+6+7). Il surplus netto del consumatore si ottiene come differenza tra il surplus lordo e la spesa totale: in altre parole, il triangolo formato dall’area 1+2+3.

Surplus del produttore: Il surplus del produttore, o profitto, è la differenza tra il suo ricavo totale e il suo costo totale. Il costo totale è l’area sotto la curva CMG, supponendo che non vi siano costi fissi (area 6+7). Infatti ogni punto sulla curva del costo marginale indica quanto costa produrre l’ultima unità. L’area sotto la curva CMG quindi mostra tutti i costi marginali dal punto in cui l’output è nullo fino a Q

c, cioè il costo totale. Il ricavo totale è uguale alla spesa dei consumatori e quindi uguale a P

C Q

C (area 4+5+6+7). Il surplus del produttore è quindi l’area tra il prezzo e la curva CMG (area 4+5).

Benessere sociale:Il benessere sociale, che comprende sia il surplus del consumatore che quello del produttore, è l’area tra la curva di domanda e la curva CMG, come indicato dall’area ombreggiata 1+2+3+4+5.

(11)

Fig. 2

Fonte: Acocella 2011

Cosa accade quando l’industria opera in regime di monopolio? L’impresa produce in corrispondenza del livello di output per cui CMG = RMG, quindi Q

m al prezzo pm; essa si posiziona nel punto b sulla curva di domanda. Il ricavo totale è p

mQm (area 2+4+6). Il costo totale è l’area sotto la curva CMG (area 6). Il surplus del produttore, quindi, è dato dall’area 2+4. È chiaramente maggiore del surplus in concorrenza perfetta, dal momento che l’area 2 è maggiore dell’area 5: i profitti di monopolio sono maggiori dei profitti di concorrenza perfetta.

Il surplus netto del consumatore, tuttavia, è molto minore. Con un consumo pari a Q m, il surplus lordo dei consumatori è dato dall’area 1+2+4+6, mentre la spesa è data dall’area 2+4+6. Il surplus netto è semplicemente la differenza tra le due aree, vale a dire l’area 1. Mentre in concorrenza perfetta l’area 2 era parte del surplus netto del consumatore, in monopolio essa è parte del profitto del monopolista. Il benessere sociale in monopolio è quindi costituito dalle aree 1+2+4 ed è inferiore rispetto al caso di concorrenza perfetta. La monopolizzazione dell’industria ha generatouna perdita di benessere pari alle aree 3+5. Il guadagno del produttore è inferiore alla perdita del

(12)

consumatore. Tale riduzione di benessere è detta perdita secca (Acocella 2011).

1.2 Regolamentazione, politiche per la

concorrenza e la disciplina antitrust.

Con politiche per la concorrenza si intendono gli interventi da parte dell’attore pubblico che mirano ad incrementare e stimolare la concorrenza nel mercato. Un modo per intervenire è attraverso la "regolamentazione". Con tale termine si indica l’intervento che lo stato o un ente pubblico mette in atto disciplinando e/o modificando il comportamento degli operatori privati in un settore economico o in determinate circostanze. Con la regolamentazione lo stato interferisce e condiziona l’operato delle imprese. La regolamentazione si può esplicitare in vari modi. I principali sono:

1. regolamentare l’entrata nel mercato per garantire la concorrenza effettiva; 2. regolamentare la condotta delle imprese per garantire la concorrenza effettiva; 3. regolamentare i prezzi (tariffe) delle imprese;

4. oppure regolamentare la produzione delle imprese.

Le prime due forme di regolamentazione possono esplicitarsi in due momenti distinti: imponendo comportamenti ispirati alla concorrenza quando un’effettiva concorrenza non sia possibile (ex-ante) oppure vigilando sul rispetto delle regole della concorrenza e sanzionando comportamenti difformi da esse (ex-post). Di fatto gli interventi ex-ante costituiscono la regolamentazione in senso stretto poiché vanno a disciplinare e condizionare immediatamente il comportamento delle imprese. Gli interventi ex-post invece vigilano e sanzionano i comportamenti scorretti. In molti casi questa distinzione non è così netta e le due forme di intervento si accavallano. Alcune forme di regolamentazione ex-ante vengono svolte da autorità indipendenti che regolano i singoli settori economici (Autorità per l’energia elettrica e del gas, Autorità di regolazione del settore dei trasporti ecc.). Altre forme di regolamentazione ex-ante e tutta la regolamentazione ex post sono svolte da un’ autorità indipendente che si occupa di vigilare e sanzionare tutti i settori e di applicare la disciplina antitrust. In Italia questa attività è svolta da l’ Autorità Garante per la Concorrenza e Mercato

(13)

(AGCM). A livello europeo è svolta dalla Commissione Europea , Direzione Generale ( DG ) della Concorrenza (Acocella 2014).

Tra i comportamenti che vengono presi in considerazione dalla regolamentazione della condotta vi sono:

• la formazione di cartelli e accordi di collusione ;

• lo sfruttamento della propria posizione e del proprio potere di mercato per imporre condizioni non-concorrenziali (abuso di posizione dominante);

• l’acquisizione e la fusione di altre imprese che comporterebbero una presenza troppo monopolista in un mercato (eccesso di concentrazione).

Gli accordi fra imprese dello stesso settore al fine di incrementare il potere di mercato dell’insieme delle imprese costituiscono collusione. Di fatto le principali forme di collusione riguardano la formazione di cartelli che portano a:

• accordi sui prezzi

• accordi per spartirsi il mercato • accordi su quote produttive.

Con la collusione, le imprese arrivano ad agire come un unico monopolista e traggono le rendite e i profitti che si generano in questa situazione, riducendo il benessere e l’efficienza del sistema economico. La disciplina antitrust vieta esplicitamente tutti quegli accordi che abbiano come oggetto oppure effetto il venire meno delle condizione di concorrenza. Gli accordi di questo genere sono nulli e non hanno valore legale e vengono sanzionati pesantemente dall’apposita autorità.

La disciplina antitrust sanziona direttamente sia gli accordi espliciti (es. contratti) sia i comportamenti impliciti di collusione. Gli accordi espliciti volti a falsare la concorrenza vengono sanzionati e sono considerati nulli. I comportamenti impliciti, pur in assenza di un accordo formale, consistono in un sistematico comportamento accomodante fra le imprese di un settore. Nella pratica è indubbiamente difficile rilevare accordi impliciti. Si fa riferimento ad indizi gravi, precisi e concordanti come lo scambio anomalo informazioni fra le imprese, insieme ad un sistematico comportamento imitativo.

Gli abusi di posizione dominante rappresentano un'altra situazione che viene sanzionata. Con ‘posizione dominante’ si intende una posizione di potenza economica

(14)

grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato. La Commissione non vieta e sanziona la posizione dominante in sé, ma l’abuso che un’impresa può farne (prezzi eccessivi, prezzi escludenti, vendite abbinate) ( Acocella 2011).

1.3 La tutela della concorrenza nell' UE

In un libero mercato, dove i beneficiari ultimi del commercio sono i consumatori, la concorrenza obbliga le imprese ad offrire continuamente la miglior gamma possibile di prodotti e ai prezzi più convenienti. Tuttavia, a volte le imprese cercano di limitare la concorrenza e, pertanto, si rende necessario l’intervento della Commissione europea affinché garantisca il corretto funzionamento dei mercati.

Tutti i Paesi membri hanno autorità nazionali garanti della concorrenza, le quali sono autorizzate ad applicare le norme di concorrenza dell’UE. La Commissione è chiamata a vigilare affinché il diritto della concorrenza dell’UE sia fatto rispettare allo stesso modo in tutti Paesi. La concorrenza è un elemento cardine di un’economia di mercato aperta poiché stimola la performance economica delle imprese e offre ai consumatori una scelta più ampia di prodotti/servizi, di migliore qualità e a prezzi più competitivi. La politica della concorrenza rappresenta quell’insieme di politiche e leggi finalizzate ad assicurare che la concorrenza non subisca limitazioni sul mercato tali da arrecare danno alla società (Acocella 2011).

La Commissione, inoltre, incoraggia i Governi ad aprire, attraverso le liberalizzazioni, alla concorrenza i servizi essenziali (distribuzione di elettricità e acqua, trasporti, telecomunicazioni), generalmente forniti dall’autorità pubblica, per assicurare ai consumatori prezzi più convenienti. Tuttavia, qualora uno Stato affidi determinate funzioni di servizio pubblico ad un’impresa privata, occorre assicurarsi che il processo di liberalizzazione non lasci l’ex monopolista in una posizione di indubbio svantaggio; A volte lo Stato e le amministrazioni locali sostengono con denaro pubblico un’impresa, o un gruppo di imprese che, di fatto, ne ricavano un indebito vantaggio (rispetto alle altre imprese concorrenti di altri Paesi UE). In altre parole, le sovvenzioni falsano la concorrenza e distorcono il vantaggio. Il compito della Commissione è

(15)

vigilare affinché gli Stati sovvenzionino le imprese solo nei casi in cui a trarne vantaggio sia l’intera economia.

La politica della concorrenza nasce in America, con lo Sherman Act (1890, entrato in vigore nel 1911) che, alla luce della forte instabilità sul mercato venutasi a generare alla fine del XIX secolo, proibiva e puniva le restrizioni al commercio, come gli accordi sul prezzo, e l’abuso di posizione dominante.

Con la creazione della CECA si realizzò la prima Europa sovranazionale; sulla scia della normativa antitrust statunitense, si giunse al Trattato di Parigi(1951) che intendeva limitare il potere economico della Germania, garantendo l’accesso agli altri Paesi agli input di carbone e acciaio; perseguire obiettivi di efficienza sul mercato, incoraggiati dal successo dell’economia statunitense successivamente all’adozione dello Sherman Act.

In particolare: l’art. 65 proibiva gli accordi tra imprese che, direttamente o indirettamente, generavano una restrizione o distorsione alla normale concorrenza all’interno del Mercato Comune; l’art. 66 proibiva l’abuso di posizione dominante, disciplinava fusioni e concentrazioni. In particolare, tali fusioni e concentrazioni potevano essere autorizzate dall’Alta Autorità a patto che le nuove entità risultanti non avessero avuto il potere di influenzare i prezzi, non avessero ristretto la produzione e la distribuzione, non avessero creato un’artificiale posizione di privilegio sul mercato. A partire dal 1958, in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Roma(1957) che ha istituito la Comunità Economica Europea (CEE), l’Unione Europea si è dotata di una normativa comune a tutela della concorrenza.

Il Trattato di Roma, infatti, noto anche come Trattato della Comunità Europea (TCE), aveva l’obiettivo di istituire un sistema in grado di garantire che la concorrenza non fosse falsata nel mercato interno, nonché di promuovere il progresso economico ed il benessere sociale dei cittadini europei.

Il TCE rappresenta ancora la base legale per molte decisioni prese dall’UE, pur avendo subito notevoli modifiche nel tempo, soprattutto in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 2009 che ne ha cambiato il nome (in ‘Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea’, TFUE) e la numerazione degli articoli (Barucci 2010).

(16)

Attualmente i principali obiettivi della Politica della concorrenza europea e le principali disposizioni riguardano:

Il Benessere Sociale, dato dal surplus dei consumatori e surplus dei produttori, con una particolare attenzione alle imprese più piccole le quali, spesso, sono destinatarie di particolari aiuti che garantiscono la loro sopravvivenza anche quando non operano in modo efficiente. Infatti, talvolta la normativa sulla concorrenza è applicata con meno rigore al fine di favorire la loro crescita dimensionale, di renderle più competitive e di consentire loro di affrontare con maggiore probabilità di successo la concorrenza. L'efficienza economica per cui la politica antitrust ha l’obiettivo di stimolare l’efficienza industriale, l’allocazione ottima delle risorse, il progresso tecnico e favorire una maggiore flessibilità nell’adattarsi ai cambiamenti ambientali. Tali obiettivi sono perseguibili con la creazione di un mercato interno competitivo in cui sono vietati: accordi di prezzo, abusi di posizione dominante, fusioni anticompetitive, i diritti di monopolio ingiustificatamente garantiti dallo Stato.

L'integrazione del mercato europeo, perseguibile attraverso un mercato unico in cui, prevalendo l’interesse per il sistema unito, non sono giustificate forme di discriminazione nazionale.

Il rispetto delle politiche della concorrenza è subordinato al benessere sociale e al progresso economico.

In particolare, sono previste esenzioni dal divieto di intese per i cosiddetti cartelli di crisi, ovvero per gli accordi in cui le imprese si impegnano in reciproche riduzioni della capacità produttiva e dell’output. L’esenzione è concessa solo se l’accordo consente di raggiungere elevate performance sociali ed economiche.1

Le cosiddette “piccole e medie imprese” rappresentano un aspetto particolare della disciplina poiché l’Unione Europea riconosce a esse un grande potenziale per l’innovazione, la creazione di lavoro e la crescita economica. Ed infatti, sono autorizzate a stipulare accordi, ammesso che la loro entità non sia significativa, e possono essere destinatarie di aiuti di Stato (Miraglia 2015).

1 Ad esempio, venne autorizzato l'accordo tra Ford e Volkswagen poiché, conseguentemente all'intesa, vennero creati nuovi posti di lavoro e venne ridotta la disparità tra alcune aree dell'unione, favorendo una maggiore coesione.

(17)

1.3.1 La Normativa Europea

Le fonti delle principali disposizioni della normativa europea sulla concorrenza sono: Gli art. 81 e 82 TCE, ora 101 e 102 TFUE riguardante gli accordi anticoncorrenziali e abuso di posizione dominante e il Regolamento sulla disciplina delle concentrazioni n. 4064/89, non disciplinate nel TCE.

L'Art. 81, par.1 e 2, vieta (e dichiara nulli) gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza, pregiudicando il commercio tra gli Stati membri. È vietato, dunque, l’esercizio congiunto del potere di mercato che scaturisce da accordi consistenti nel fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o vendita, e altre condizioni di transazione, limitare la produzione, lo sviluppo tecnologico e gli investimenti,ripartire i mercati e le fonti di approvvigionamento, applicare condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, subordinare la conclusione di un contratto all’accettazione, da parte dei contraenti, di prestazioni che non hanno alcun nesso con l’oggetto del contratto stesso.

Art. 81, par. 3 : sono esenti dai divieti (di cui al paragrafo 1) gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate che migliorano la produzione e distribuzione di beni e/o promuovono il progresso tecnico ed economico. Pur essendo ammessi, tali accordi non possono:

- imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili al raggiungimento degli obiettivi di miglioramento e/o progresso;

- dare alle imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti in oggetto.

Art. 82 dispone che è incompatibile con il mercato europeo lo sfruttamento abusivo, da parte di una o più imprese, di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di esso. Con ‘posizione dominante’ si intende una posizione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato, e ha la possibilità di tenere comportamenti indipendenti nei confronti del concorrenti, dei clienti e dei consumatori. La giurisprudenza ha stabilito che un’impresa che detiene il 40% del

(18)

mercato rilevante, anche se non opera in monopolio, di fatto gode di una posizione dominante.

La disciplina antitrust non sanziona la posizione dominante in sé, ma l’abuso che l’impresa ne fa. Costituiscono abusi di posizione dominante l’imposizione (da parte dell’impresa dominante sul mercato) di prezzi eccessivi e di prezzi escludenti che risultano, rispettivamente, troppo alti è troppo bassi rispetto ai costi medi sostenuti. L’imposizione sia prezzi eccessivi, sia di prezzi escludenti scoraggia l’ingresso di nuovi potenziali entranti e, pertanto, pregiudica la concorrenza sul mercato. Infine, sono vietate le vendite abbinate, che costringono direttamente o indirettamente gli acquirenti interessati ad un certo bene ad acquistarlo necessariamente in abbinamento ad un secondo bene o servizio. A causa di questa pratica, vengono danneggiate le imprese concorrenti che producono/erogano il secondo bene/servizio. Dunque, sono proibite tutte quelle pratiche abusive che hanno per oggetto o effetto:

Fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o vendita, e altre condizioni di transazione, limitare la produzione, lo sviluppo tecnologico e gli investimenti, ripartire i mercati e le fonti di approvvigionamento, applicare condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, subordinare la conclusione di un contratto all’accettazione, da parte dei contraenti, di prestazioni che non hanno alcun nesso con l’oggetto del contratto stesso.

Per effetto di fusioni orizzontali e verticali, gli agenti economici generano una modifica nella struttura del mercato, con il rischio che emergano posizioni dominanti a danno della concorrenza effettiva per cui il regolamento sulla disciplina delle concentrazioni n. 4064/89, successivamente sostituito dal Regolamento CE n.139/2004 che ne ha innovato i criteri sostanziali utilizzati nella valutazione delle fusioni ha stabilito che le concentrazioni, pertanto, sono oggetto di disciplina antitrust, ed in particolare di disciplina preventiva: se una concentrazione si ritiene ‘eccessiva’ al punto tale da ledere il funzionamento competitivo del mercato, allora tale concentrazione necessita di una preventiva autorizzazione da parte delle autorità competenti.

L’impostazione procedurale del vecchio regolamento (mantenuta nel nuovo, ma con maggiore flessibilità), richiedeva che le operazioni di concentrazione di dimensione

(19)

comunitaria venissero notificate alla Commissione; la Commissione, pervenuta la notificazione, avrebbe proceduto con la valutazione per cui, se ritiene che l’operazione di concentrazione notificata non leda il funzionamento competitivo del mercato, decide di non opporvisi e la dichiara compatibile e se l’operazione di concentrazione notificata suscita gravi perplessità in merito alla sua compatibilità con il mercato comune, la Commissione decide di avviare la procedura.

Il controllo delle concentrazioni è caratterizzato dalla presenza di rigide scadenze, dal momento che le imprese necessitano di apprendere il prima possibile l’esito della valutazione della Commissione circa l’operazione notificata.

A livello nazionale per la normativa italiana sulla concorrenza la l.n. 287/90 costituisce il riferimento normativo e riproduce in gran parte il contenuto della disciplina antitrust comunitaria.

All’art.1, vengono definiti: l’ambito di applicazione per cui le disposizioni della legge si applicano a intese restrittive della libertà di concorrenza (art.2); abuso di posizione dominante (art.3);operazioni di concentrazioni (art. 5 e 6).

Per quanto riguarda i rapporti con l’ordinamento comunitario qualora l’AGCM ritenga che una fattispecie non rientri nell’ambito di applicazione della legge, ne informa la Commissione europea e trasmette tutte le informazioni in suo possesso; inoltre, l’interpretazione delle norme è effettuata in base ai principi dell’ordinamento europeo in materia di disciplina della concorrenza.2

(20)

1.4 I Servizi di Interesse Economico

Generale

Nel diritto comunitario sono definiti servizi di interesse generale (SIG) i servizi che le autorità pubbliche degli Stati membri considerano di interesse generale e pertanto sono oggetto di specifici obblighi di servizio pubblico (OSP). Il termine riguarda sia le attività economiche che i servizi non economici.

I servizi di interesse economico generale (SIEG), sono una sotto-categoria dei SIG, caratterizzata dall’essere attività prestate dietro corrispettivo economico (che dunque potrebbero essere in linea di principio fornite da imprese), ma che al tempo stesso non sarebbero concretamente assicurate da queste senza un intervento statale, o lo sarebbero ma a condizioni (in termini di qualità, sicurezza, accessibilità economica, parità di trattamento o accesso universale) difformi da quelle giudicate conformi a obiettivi di interesse generale (Acocella 2011).

L’importanza dei SIEG per il benessere della collettività è tale che l’art. 14 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) prevede che: “in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l’Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i loro compiti. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono tali principi e fissano tali condizioni, fatta salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finanziare tali servizi”.

Agli Stati e alle loro articolazione territoriali (regioni, province, comuni) è lasciata dunque ampia libertà nel fissare l’asticella dei servizi che essi stessi considerano essenziali: al fine di assicurare “coesione sociale e territoriale”, gli Stati “provvedono ” affinché tali servizi siano resi disponibili in adeguata quantità, qualità e diffusione territoriale, e a prezzi abbordabili, stabilendo le condizioni di fornitura e

(21)

finanziamento. Rientrano nei SIEG quei servizi che il mercato non fornirebbe liberamente alle condizioni che gli Stati ritengono coerenti con l’interesse generale. Trattandosi di attività economiche, diversamente dai SIG, i SIEG sono soggetti alle norme che disciplinano la concorrenza. Tuttavia il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dagli Stati può entrare in conflitto con quello di promuovere la concorrenza: in questo caso la fornitura dei SIEG può essere sottratta alle regole della concorrenza, nella misura in cui ciò sia strettamente indispensabile a garantire il raggiungimento degli obiettivi ad essi assegnati. Di qui la possibilità di imporre obblighi di servizio pubblico (OSP) e obblighi di servizio universale (OSU): “Il concetto di servizi di interesse economico generale riguarda in particolare alcuni servizi forniti dalle grandi industrie di rete, quali i trasporti, i servizi postali, l’energia e la comunicazione. Tuttavia, il termine si estende a qualsiasi altra attività economica soggetta a obblighi di servizio pubblico” (Commissione europea, Libro bianco sui Sieg). Per OSP si intendono “i requisiti specifici imposti dalle autorità pubbliche al fornitore del servizio per garantire il conseguimento di alcuni obiettivi di interesse pubblico, ad esempio in materia di trasporti aerei, ferroviari, stradali e di energia. Tali obblighi possono essere imposti sia a livello comunitario che nazionale o regionale”.

Gli OSU sono invece “un tipo di OSP che stabiliscono le condizioni per assicurare che taluni servizi siano messi a disposizione di tutti i consumatori e utenti di uno Stato membro, a prescindere dalla loro localizzazione geografica, a un determinato livello di qualità e, tenendo conto delle circostanze nazionali, ad un prezzo abbordabile. La definizione di OSU specifici è stabilita a livello europeo come componente essenziale della liberalizzazione del mercato nel settore dei servizi, quali le telecomunicazioni, i servizi postali e i trasporti”.

Da chiarire preliminarmente: nessuno “obbliga” un’impresa a fornire tali servizi, l’obbligo risiede nel fatto che l’impresa che si propone deve soddisfare determinate condizioni imposte dal concedente.

Fermo restando che la delimitazione del perimetro dei servizi essenziali e delle condizioni di offerta viene lasciata agli Stati membri, la loro definizione dovrebbe assumere sostanzialmente natura residuale, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità: sono soggette a deroghe al diritto della concorrenza e assoggettabili a

(22)

obblighi di servizio pubblico quei servizi che il mercato, guidato dalla logica del profitto, non assicurerebbe spontaneamente a condizioni – per quantità, diffusione territoriale, accessibilità e abbordabilità - che gli Stati considerano conformi all’interesse pubblico (Bosetti 2015). “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità” (TFUE, art. 106, comma 2).

Gli obblighi di servizio universale riguardano direttamente i servizi finali, in quanto unici a fornire un diretto contributo al benessere dei consumatori, mentre i servizi delle infrastrutture sono sottoposti alle regole del servizio universale in quanto input dei servizi finali. Così, potranno essere assoggettati a obblighi di servizio universale la raccolta e la distribuzione della posta, i collegamenti ferroviari e aerei, la fornitura al pubblico di energia e di servizi di telecomunicazioni; e, di conseguenza, la disponibilità delle infrastrutture e l’accesso ad esse, come mezzo indispensabile per garantire l’offerta dei primi.

Va però aggiunto che il perimetro dei SIEG è mobile nel tempo. In passato tutti i servizi di pubblica utilità erano svolti in regime di SIEG e OSP: dall’elettricità al gas, ai servizi di trasporto aereo e ferroviario. Con i processi di liberalizzazione, il progresso tecnologico e lo sviluppo della domanda, parte consistente di questi servizi sono diventati via via redditizi e quindi forniti spontaneamente dal mercato: è il caso della fornitura dell’elettricità e del gas, di grandissima parte dei servizi aerei, di buona parte dei servizi ferroviari, ecc. (Barucci 2010).

(23)

1.4.1 SIEG e tutela della concorrenza

Sebbene si sia ristretta, l’area dei SIEG seguita però ad essere consistente, soprattutto nei servizi pubblici locali e regionali (idrici, dei rifiuti, del trasporto); per altri servizi (elettricità, gas, telecomunicazioni), che sono ampiamente redditizi e in concorrenza, l’universalità riguarda la fornitura a prezzi abbordabili a fasce di popolazione e in localizzazioni che un’impresa liberamente non garantirebbe. Per i primi (i SIEG) è frequente il ricorso all’affidamento in blocco di diritti esclusivi a fornire il mercato; per i secondi all’obbligo di offerta anche ad utenti che le imprese liberamente non fornirebbero3.

Perché la garanzia del servizio universale può comportare limitazioni sia al principio di libera prestazione che a limitazioni alla concorrenza?

Una prima risposta viene immediata e scaturisce dalla nozione stessa di obblighi di servizio universale: obblighi imposti in capo ad imprese che, evidentemente, non assicurerebbero spontaneamente tali servizi in quantità, diffusione territoriale e abbordabilità adeguate; ne segue che per farlo pretenderanno compensazioni in contropartita. Il servizio universale interferisce dunque – per definizione – con il libero operare del mercato. Una seconda risposta, più articolata, è che per garantire tali servizi lo Stato può essere costretto a introdurre limitazioni alla concorrenza con la concessione di diritti esclusivi di fornitura: limitazioni che tuttavia debbono essere strettamente proporzionate all’obiettivo che si vuole raggiungere (Bonomi 2015). Sotto l’aspetto economico-finanziario, la concessione di diritti esclusivi è giustificata:

a) se sussistono condizioni di monopolio naturale (un unico operatore può offrire gli stessi servizi al costo più basso per la collettività);

b) in alternativa, se consente di realizzare economie di risorse pubbliche, a causa di

cream skimming (letteralmente: scrematura della parte profittevole dei servizi) che

altrimenti verrebbe operato da concorrenti. In sintesi: se al gestore sono affidati in monopolio sia servizi redditizi sia servizi in perdita, potrà parzialmente sussidiare i secondi con gli extraprofitti ricavati dai primi, cosicché riceverà dallo “Stato” una compensazione pari alla perdita netta, derivante dalla somma algebrica degli extra-profitti e delle perdite; se invece fosse consentito a concorrenti di entrate sul mercato, 3 Dipartimento Politiche Europee, Politicheeuropee.it

(24)

essi si posizionerebbero solo sui servizi redditizi, sottraendo clienti al gestore e per tale via obbligando lo “Stato” ad accrescere le compensazioni versate a questo (Del torre 2014).

Quanto sopra conduce ad affrontare due aspetti: le modalità di affidamento dei servizi e le modalità di compensazione per gli obblighi di servizi pubblico imposti ai fornitori. Per quanto riguarda le modalità di affidamento dei SIEG, se viene accertato che la libera concorrenza nel mercato non garantisce il perseguimento dei fini assegnati ai SIEG, l’assegnazione ad un’impresa del diritto di fornire in esclusiva, per un determinato periodo di tempo, un servizio di interesse economico generale dovrebbe seguire la via maestra della concorrenza per il mercato - l’affidamento in concessione attraverso una procedura a evidenza pubblica (una gara): a parità di quantità e di qualità del servizio che si impegna ad erogare, prevale fra i contendenti chi si impegna a fornirlo a prezzi più bassi o a richiedere al soggetto pubblico concedente compensazioni minori. Vince il migliore.

Come second best si può procedere all’affidamento diretto ad una società a capitale misto pubblico e privato, ma con procedura di gara per la scelta del socio privato a cui attribuire compiti gestionali (procedura cd. a doppio oggetto). La società affidataria non è selezionata con gara ma lo è il socio che ha responsabilità gestionali. Insomma, non proprio concorrenza per il mercato ma un’accettabile approssimazione ad essa. Questo era quanto previsto come obbligo dalla normativa italiana prima che fosse abrogato dal referendum popolare del 2011 - quello cosiddetto “sull’acqua bene pubblico” ma che in realtà riguardava tutti i servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, trasporti), che dunque sono stati travolti da esso (Acocella 2011).

Venendo meno la normativa nazionale, il referendum ha riconsegnato la materia degli affidamenti a quella comunitaria la quale, pur considerando come via preferenziale modalità di affidamento basate su procedure competitive, in forza del citato articolo 14 del TFUE (che riconosce “la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finanziare tali servizi”), permette altre forme:

a) la gestione diretta dei servizi da parte delle amministrazioni pubbliche (i servizi sono forniti per via interna dalle amministrazioni stesse);

(25)

Per gestione in house si intende l’affidamento diretto della fornitura a società che hanno le seguenti caratteristiche:

(i) siano interamente di proprietà dell’ente (regione, provincia, comune) concedente (vale a dire, imprese su cui l’ente esercita un “controllo analogo” a quello che esercita su una propria struttura interna);

(ii) la massima parte della propria attività si esaurisca in quella oggetto dell’affidamento.

In sostanza, l’effetto combinato di queste due caratteristiche è che, pur essendo un soggetto giuridicamente distinto dall’amministrazione concedente, la società in house si configura come un “pezzo” di essa, come un suo braccio operativo.

Per i SIEG la giurisprudenza comunitaria ha fissato alcuni paletti cui va subordinata la legittimità delle compensazioni e la loro sottrazione alla fattispecie di aiuti di Stato: gli obblighi debbono essere definiti in modo chiaro, i parametri di compensazione debbono essere previamente stabiliti in modo obiettivo e trasparente, la compensazione non può eccedere i costi insorgenti per lo svolgimento dei servizi.4

Le compensazioni possono essere di vario tipo. Occorre al riguardo distinguere due situazioni diverse in cui sono forniti i servizi:

• Servizi in affidamento

• Mercati aperti alla concorrenza

Nel primo caso (servizi idrici, rifiuti, trasporto locale) si tratta di servizi in affidamento con diritti esclusivi (unico operatore sul mercato) o con diritti speciali (numero limitato di operatori affidatari); in primo luogo (per diffusione) vengono le compensazioni finanziarie a carico dello Stato (o di regioni, province, comuni) – la copertura dello sbilancio fra ricavi e costi efficienti (non dunque i costi effettivamente sostenuti dall’impresa) – così da indennizzare le imprese incaricate della gestione di tali servizi come se fossero efficienti. Va chiarito che: la condizione che i costi siano efficienti si presume sia verificata se l’affidamento è dato per gara (vince il più 4Normalmente il divario fra costi incrementali di lungo periodo e ricavi incrementali, ossia i costi che l’impresa non sosterrebbe se non fornisse quel servizio, al netto dei ricavi che ottiene), qualora la scelta dell’impresa non avvenga mediante procedura competitiva, l’importo della compensazione va stabilito sulla base dei costi di un’impresa media, gestita in modo efficiente.

(26)

efficiente); se invece l’affidamento è diretto sussiste l’obbligo di verifica; l’importo della compensazione deve coprire solo i costi insorgenti dall’obbligo di servizio pubblico (Del torre 2014).

Nel caso di un’impresa che svolga più servizi – alcuni “di mercato” e altri in obbligo di servizio pubblico - non possono quindi essere imputati, ai fini del calcolo della compensazione, quei costi che l’impresa seguiterebbe comunque a sostenere in caso di cessazione dell’obbligo (principio dei costi evitabili). Più precisamente, l’importo massimo della compensazione sarà pari alla differenza fra i costi e i ricavi cessanti (Vedi riquadro).

Nel secondo caso, ossia nei mercati aperti alla concorrenza ma con segmenti soggetti a obblighi di servizio universale, si procede attraverso:

Esempio:

Un’impresa offre il servizio A sul libero mercato e il servizio B in obbligo di servizio universale. Se l’impresa cessasse di offrire il servizio B (supponiamo) i suoi ricavi si ridurrebbero di 400 e i suoi costi di 600: ebbene la compensazione dovrà essere non maggiore di 200; la compensazione in forma monetaria può essere riconosciuta all’unica impresa affidataria (beneficiaria dunque di un diritto esclusivo) oppure a un limitato numero di affidatari (con diritti speciali), accollando a ciascuno di essi una quota proporzionale di obbligo di servizio e di compensazione.

La compensazione può non essere in denaro ma sotto forma di concessione della riserva di operare in monopolio – in aggiunta al mercato in OSP– anche su un mercato profittevole, nel quale dunque altri operatori sarebbero interessati ad entrare, così da coprire con gli extraprofitti realizzati su questo mercato le perdite che subisce sull’altro. Riprendendo l’esempio precedente: se l’impresa – lasciata in monopolio – ottiene sul mercato A extra-profitti pari a 200, con essi potrà coprire le perdite insorgenti dall’obbligo di servizio sul mercato B (il mercato A sussidia il mercato B): ne segue che nessuna compensazione monetaria a carico dello Stato sarà necessaria.

(27)

1) Costituzione di un fondo di solidarietà a carico delle imprese, alimentato da tutti gli operatori presenti sui segmenti redditizi del mercato. Il fondo andrà a coprire le perdite dell’operatore (degli operatori) incaricati del servizio universale.

2) Soluzione non dissimile è quella del calcolo della media delle tariffe. Il prezzo medio dei servizi sui mercati A e B è lo stesso ed è orientato al costo medio di offerta. In questo caso possiamo immaginare due alternative: (i) il prezzo praticato sul mercato B è più basso della media, ma viene compensato da un prezzo più elevato sul mercato A; (ii) i prezzi sono uguali, ma il costo medio di offerta sul mercato B è più elevato di quello sul mercato A (si pensi, alla fornitura di elettricità a case isolate di montagna). In tutti e due i casi ( i, ii ) si ha un sussidio a carico del consumatori del mercato A e a favore di quelli del mercato B.

Infine, gli aiuti a carattere sociale concessi a singoli consumatori di cui all’art. 107, comma 2, lettera a), del TFUE. In questo caso parte del prezzo è coperto con risorse pubbliche devolute direttamente a singole categorie di consumatori o alle imprese che liberamente si offrono di fornire servizi ad esse. Ad esempio, tali contributi possono essere accordati ai residenti nelle isole per ridurre il costo del biglietto (aereo, marittimo) verso il resto del paese; ovvero, tutte le compagnie aeree/marittime che svolgono i collegamenti ricevono un contributo a passeggero avente titolo al beneficio. Il vantaggio di questo sistema è di non limitare la concorrenza, posto che il beneficio viene accordato a tutti i consumatori e a tutte le compagnie che esercitano i collegamenti interessati. Lo svantaggio è che la misura è appropriata allorché il prezzo viene altrimenti considerato non sostenibile (“non abbordabile”), non anche allorché l’offerta di servizi (l’offerta di collegamenti, nel caso descritto) sia quantitativamente insufficiente (Acocella 2011).

(28)

1.4.2 Il servizio postale come Servizio

Universale

L'organizzazione del servizio postale è sempre stata effettuata dall'antichità all'età moderna dall'autorità statale. Un'eccezione, tuttavia, è riscontrabile tra il XV e XVI secolo, quando le difficoltà di collegamento, avevano portato ad aprire il settore dei trasporti postali ai privati (Bonomi 2015). Nel XIX secolo, gli Stati ripresero in mano l'organizzazione del servizio postale, fornendolo attraverso aziende statali operanti in regime di monopolio, e lo rilanciarono attraverso una serie di riforme e di miglioramenti tecnico-organizzativi. Da allora il servizio postale è stato realizzato in modo pubblico da quasi tutti gli Stati europei fino alle direttive di liberalizzazione che hanno iniziato a metterne in discussione la fornitura. In quella occasione, infatti, il servizio postale viene fatto rientrare all'interno della classe dei servizi di interesse economico generale (SIEG). Essi sono definiti dalla legislazione come quei servizi che le autorità promuovono e tutelano nell'interesse dello sviluppo economico e vengono contrapposti ai servizi di interesse generale, che, per la loro rilevanza sociale, devono essere forniti dalle autorità pubbliche a titolo gratuito o a titolo di controprestazione. La contrapposizione mette in luce come al servizio postale venga riconosciuto un ruolo sociale anche se esso non presenta caratteri che ne giustifichino una fornitura pubblica. Esso quindi rientra all'interno del concetto di servizio di interesse economico generale solo per le modalità in cui deve essere effettuata la sua fornitura, cioè coprendo l'intero territorio nazionale, indipendentemente dalla profittabilità dell’area, a prezzi accessibili a tutti e rispettando standard di qualità prefissati (Bosetti 2015).

L’universalità del servizio postale, è, dunque, il principale motivo che ha spinto i legislatori delle diverse Nazioni ad escludere la posta dalle regole del mercato tradizionale. Se infatti esso fosse stato condotto secondo queste regole, le aree meno densamente popolate, e quindi con bassi utilizzi della rete postale, o quelle di difficile fornitura a causa della loro posizione geografica, non sarebbero state servite perché poco profittevoli. La fornitura da parte degli Stati, attraverso la costituzione di aziende pubbliche monopoliste, rappresentava quindi la soluzione migliore. Quando una produzione effettuata da una sola impresa è più efficiente di una realizzata da più

(29)

imprese, allora si è in presenza di un monopolio naturale. La condizione che ne determina la presenza è che il costo di produzione sia inferiore se realizzato da un’unica impresa, rispetto al costo a cui più imprese potrebbero produrre la totalità della quantità di mercato (Malerba 2012).

Il servizio postale però non presenta costi fissi così impegnativi da giustificare l'assegnazione del diritto di monopolio naturale. La fase cruciale della sua catena del valore, il recapito, è, infatti, quella che comporta da un lato costi poco variabili, ma dall'altro si basa su una rete che è facilmente replicabile. Il fatto che quindi il servizio sia stato fatto rientrare all'interno di questa categoria deriva dagli oneri connessi agli obblighi di universalità a cui il fornitore è sottoposto. Fornire le aree a più bassa densità di traffico significa, infatti, sostenere una perdita nel bilancio che solo parzialmente può essere ripianata dai surplus derivanti dalle aree a più alta densità. La garanzia di essere l'unico fornitore di quelle prestazioni sull'intero territorio nazionale è l'unico modo per assicurare il funzionamento e l'equilibrio del sistema.

Questo approccio, che ha guidato i legislatori nell'individuare il servizio postale come un servizio pubblico e quindi fornibile in regime di monopolio, è anche la base di partenza della normativa di liberalizzazione europea. L'individuazione, infatti, di alcune aree riservate, all'interno delle quali far rientrare i servizi postali universali, garantirebbe il mantenimento del servizio postale sia come servizio di interesse generale, sia come servizio fornito in concorrenza (Direttiva 97/67/CE).

La direttiva europea, perciò, deve delineare cosa deve essere fornito indipendentemente dalla convenienza economica. A tal fine è possibile declinare il servizio in due dimensioni: una orizzontale, stabilita dall'Unione Europea, e una verticale, lasciata a discrezione degli Stati membri. La prima si esplica nella frequenza con cui deve essere effettuato il recapito dall'operatore (almeno cinque volte a settimana), la seconda, invece, riguarda le scelte che i singoli paesi possono prendere relativamente all'ampliamento o meno dei requisiti stabiliti dalla direttiva 6/2008. Per esempio, la bulk mail, cioè la posta di grandi quantità indirizzata direttamente ai centri di smistamento, viene esclusa dall'obbligo di universalità da molti Paesi europei, quali Germania, Belgio, Olanda e Regno Unito, che la lasciano così alla concorrenza di mercato (Bosetti 2015).

(30)

La rete postale può essere divisa in due gruppi indipendenti dal punto di vista organizzativo e funzionale: la rete di accettazione e distribuzione della posta e quella degli uffici postali. Mentre la prima rientra all'interno della dimensione orizzontale, in quanto deve essere realizzata seguendo gli standard qualitativi fissati, per gli uffici postali non ci sono regole di densità minima prevista, essendo a discrezione dell'azienda la loro dislocazione sul territorio. L’unico paese europeo che aveva tentato di introdurre degli standard di densità sugli uffici postali era la Germania che aveva portato ad avvalorare la tesi di inadeguatezza di una simile misurazione.

Infatti, la dislocazione degli uffici postali sul territorio nazionale difficilmente segue principi di profittabilità e quindi non può essere valutata secondo un unico parametro. La rete degli uffici postali, inoltre, genera vantaggi sia per il fornitore del servizio sia per la comunità che si reca all'ufficio per usufruirne. L'ubiquità degli uffici sul territorio, quindi, genera delle esternalità positive, difficilmente quantificabili e quindi parametrizzabili. L'universalità implica, inoltre, costi tali per il fornitore, da essere stati per anni considerati la giustificazione economica della modalità di fornitura prescelta. Essa, infatti, genera costi fissi nella fase finale della catena del valore postale, cioè il recapito, ai quali si aggiungono le mancate entrate derivanti dall'offrire il servizio ad un prezzo uniforme e basso (Malerba 2012).

La sostenibilità economica del fornitore va, quindi, a dipendere per lo più dai volumi di posta che riesce a fare transitare lungo la sua rete. Nei paesi con un numero di invii particolarmente ampio, perciò, il fornitore risente meno dell'onere economico del servizio universale, poiché riesce a suddividerlo su un maggiore volume di fornitura. Quelli, invece, come l'Italia, con una domanda del servizio postale debole, sostengono un onere maggiore.

I servizi postali ricoprono una posizione di particolare rilevanza all'interno dell'Unione Europea a causa del volume di affari che sono in grado di generare e del livello occupazionale che sono capaci di garantire. I guadagni che hanno prodotto (90 miliardi di euro, cioè circa l'1% del PIL europeo nel 2004) e il numero di persone addette nel settore (1,6 milioni nel 2006) sono sempre stati, infatti, così significativi da aver spinto la Comunità europea ad interrogarsi, già nel 1992, sulla necessità di cambiarne l'organizzazione. Il “Libro Verde sullo sviluppo del mercato unico dei servizi postali”

(31)

rappresenta, infatti, il primo passo verso questo obiettivo. Esso, evidenziando le inefficienze che caratterizzavano la maggior parte dei fornitori unici nazionali, introduceva quella che, nelle legislazioni successive, sarebbe diventata la “liberalizzazione graduale e controllata del mercato postale” (Bosetti 2015).

Il legislatore, infatti, stabiliva che il mercato postale dovesse aprirsi alla concorrenza, sulla base del miglioramento nella qualità dei servizi che questa comportava. Essa permetteva agli utenti di scegliere il fornitore che offriva il migliore rapporto qualità-prezzo, portando gli operatori ad innalzare il livello di efficienza della propria performance. Il mercato postale seguiva però anche dei principi di solidarietà e di parità di trattamento che non erano facilmente accomunabili con la struttura di mercato auspicata dall'Unione. Questa è, quindi, la ragione per cui il processo di liberalizzazione si è sviluppato su più anni, in modo lento e progressivo (Barucci 2010).

1.5 Il processo di liberalizzazione e le

privatizzazioni

A partire dai primi anni 90', lo stato italiano ha portato avanti un intenso processo di dismissioni di imprese e di immobili. Il fenomeno assume connotati assai rilevanti sia dal punto di vista storico – sino ad allora le privatizzazioni si contavano sulle dita di una mano – sia nel confronto internazionale : se consideriamo il periodo 1979-2008, l'Italia si colloca al secondo posto (205 miliardi di dollari ai valori correnti) per controvalore delle imprese dismesse dopo Regno Unito (215), prima di Francia (198) e Spagna (72) ; se invece prendiamo in considerazione il periodo 1992-2000, l'Italia risulta essere al primo posto per importo complessivo delle dismissioni e per la loro incidenza sul PIL (Mocavini 2015). Ricostruire un quadro completo delle privatizzazioni è compito assai arduo in quanto i promotori delle operazioni sono più di uno – governo, holding partecipate dallo Stato, enti locali, fondazioni bancarie.

(32)

I proventi da dismissioni presentano un profilo a due gobbe con l'intensificarsi delle cessioni nei trienni 1997-1999 e 2003-2005. Questa evoluzione temporale è un segnale della non piena volontà da parte dello Stato di chiudere l'esperienza delle partecipazioni statali. Infatti se l'intento fosse stato questo, avremmo dovuto osservare un profilo delle dismissioni crescente e senza interruzioni, con una brusca discontinuità nel momento in cui lo stock di partecipazioni fosse venuto a esaurirsi. Il processo di privatizzazione italiano ha contribuito significativamente al risanamento dei conti pubblici, all’accrescimento delle dimensioni del mercato finanziario, al rilancio delle imprese in corso di privatizzazione e alla minor presenza dello stato nell’economia.

L’utilizzo degli incassi delle privatizzazioni per l’abbattimento del debito pubblico ha contribuito a ridurre di circa 20.000 miliardi la spesa per interessi sul debito pubblico. In termini di ampliamento del mercato dei capitali italiano, risultati rilevanti sono stati indubbiamente conseguiti (Barucci 2010). Complessivamente le società privatizzate che al 31 ottobre 2000 facevano parte del Mib erano 13 e rappresentavano oltre il 55% della capitalizzazione delle società appartenenti all’indice (corrispondente a circa il 41% della capitalizzazione di borsa). Tra il 1992 ed il mese di ottobre 2000 la capitalizzazione di borsa delle società italiane si è incrementata dall’11,5% del Pil a circa il 73,1% e le azioni alienate dal settore pubblico hanno avuto un ruolo fondamentale in questo incremento. In generale il rendimento dei titoli di società privatizzate, pur essendo caratterizzato da un ampio divario fra rendimenti minimi e massimi, è stato elevato e superiore a quello dei titoli di stato. Inoltre l’elevato coinvolgimento dei piccoli risparmiatori ha contribuito alla trasformazione del loro portafoglio.

Per quanto riguarda le ricadute in termini di efficienza e di produttività, vi sarebbe stato un significativo miglioramento della performance di produttività e redditività di alcune aziende pubbliche nel periodo che precede la privatizzazione (Barucci 2010). La credibilità del cambiamento proprietario avrebbe generato una forte pressione nel management che ha avvertito la possibilità di sostituzione come evento concreto. L’incombenza del passaggio del controllo al privato ha generato un radicale mutamento nell’atteggiamento gestionale, con ricadute positive sui risultati. Nel

(33)

periodo immediatamente successivo alla privatizzazione, invece, non si sono registrati miglioramenti.

In Italia, si è assistito a forti resistenze all’uscita completa dello stato dalle public

utilities: attualmente resta da cedere il controllo delle tre società (Eni, Enel e Poste

Italiane). Con la loro completa cessione l'Italia potrebbe diventare il paese con il rapporto privatizzazioni/Pil più alto.

È però opportuno che la privatizzazione sostanziale, ovvero la perdita del controllo pubblico, che assicura una maggiore efficienza produttiva, sia accompagnata dalla liberalizzazione del mercato in cui opera l’azienda, per favorire la realizzazione di un elevato livello di efficienza allocativa. I guadagni di efficienza possono essere massimizzati solo quando le privatizzazioni si accompagnano alle liberalizzazioni. A tale proposito, recentemente la commissione bilancio ha ribadito che “le operazioni di privatizzazione” devono essere “correlate ad incisive politiche di liberalizzazione”. È quindi opportuno che la cessione del controllo di Eni, Enel e Poste Italiane avvenga dopo che siano stati resi contendibili quei segmenti del ciclo produttivo che possono essere aperti a più operatori. A questo fine è necessario a) separare verticalmente il segmento monopolistico dalle altre fasi del ciclo produttivo; b) frammentare orizzontalmente i segmenti concorrenziali; c) evitare che, anche dopo separazione e frammentazione, il gestore della rete rimanga integrato con i segmenti competitivi, e approfitti di tale integrazione adottando comportamenti di esclusione nei confronti dei concorrenti (Cimato 2016).

In altre parole nei servizi di pubblica utilità “occorre stabilire una netta separazione tra le attività svolte in monopolio naturale e le attività che possono essere svolte in regime di concorrenza, per evitare che l’ex monopolista pubblico si avvalga del controllo delle prime per estendere la posizione dominante sulle seconde. Sotto questo profilo riveste un ruolo essenziale la garanzia per tutti gli operatori di accedere, in condizioni di parità, alla rete o, comunque, alle infrastrutture”5.

(34)

1.5.1 La liberalizzazione del Servizio Postale e la

privatizzazione di Poste Italiane

Il gruppo Poste Italiane è oggi la più grande infrastruttura di servizi presente in Italia. L'azienda ha acquisito questo ruolo grazie ad azioni di ristrutturazione e di investimento che nel corso degli anni si sono susseguite in un'ottica di risanamento e rinnovamento. La sua storia è simile a quella di tutti gli altri fornitori universali ex monopolisti, anche se le modalità di formazione dello Stato Italiano influirono sulla sua costituzione. Come la Nazione, infatti, anche il servizio postale era gestito in modo frammentato, poiché ciascuno Stato lo forniva in autonomia (Malerba 2012).

Con l'unificazione dell'Italia anche il sistema postale venne riunito ed affidato ad un unico ente che, per conto dello Stato, aveva il compito di realizzare i servizi postali e telegrafici. Nel 1889, esso venne portato direttamente sotto il controllo del Governo, che in questo modo poteva gestirne lo sviluppo. Il Ministero delle Poste e dei Telegrafi, del cui nome rimane ancora oggi una traccia nella sigla che contraddistingue gli uffici postali, aveva una duplice funzionalità, cioè quella di gestire ma, soprattutto in quell'epoca, creare la rete postale, e quella di amministrare le chiamate telefoniche. Con l'avvento del Fascismo, il settore postale diventava strategico per la propaganda del regime e per la gestione della censura; ragioni queste ultime che spinsero l'azienda sotto l'egida di un altro Ministero, il Ministero delle Comunicazioni, all'interno del quale si trovavano, con lo stesso scopo, l'Azienda di Stato per i servizi telefonici e l'Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche (successivamente RAI).

Dal dopoguerra in poi il settore si è evoluto significativamente. I momenti di principale sviluppo possono essere così riassunti:

 la ricostruzione post-bellica,

 la crisi degli anni Settanta-Ottanta e la conseguente riorganizzazione avvenuta negli anni Novanta,

 il recepimento della direttiva europea per l'apertura del mercato.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, infatti, la ricostruzione investì gran parte dei settori, tra cui quello postale che, ulteriormente potenziato, assunse le dimensioni e le caratteristiche, per quanto riguarda la rete, più o meno simili a quelle attuali.

Riferimenti

Documenti correlati

(29) La presente direttiva non dovrebbe precludere agli Stati membri di mantenere o emanare norme più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambien- tale, né

(1) A norma dell’allegato XX della direttiva 2004/17/CE, gli enti aggiudicatori trasmettono gli avvisi di cui agli arti- coli 41, 42, 43 e 63 della direttiva, all’Ufficio delle

La presente direttiva non pregiudica la facoltà delle parti di concordare, fatte salve le pertinenti disposizioni della normativa nazionale applicabile, termini di pagamento

1. Nel caso in cui sia necessaria una valutazione ambientale ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, deve essere redatto un rapporto ambientale in cui siano individuati, descritti

Il Corso di Laurea Magistrale, strutturato in modo da garantire una ripartizione equilibrata tra conoscenze teoriche e pratiche (nel rispetto della Direttiva 2005/36/CE del

iv) prima dell'inizio delle operazioni di smaltimento, il richiedente abbia adottato o adotti idonei provvedi- menti, sotto forma di garanzia finanziaria o altra equi- valente,

Nel caso di cui al paragrafo 3, lettera b), non prima di 15 giorni dalla data in cui ha inviato al notificante la sua relazione di valutazione e non oltre 105 giorni dalla data

Gli Stati membri adottano piani d’azione nazionali per definire i propri obiettivi quantitativi, gli obiettivi, le misure e i tempi per la riduzione dei rischi e degli