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Libertà e Stato in Hegel

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTA’ E FORME DEL SAPERE

CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA

Laurea Magistrale in Filosofia e Forme del sapere

Tesi di laurea

Libertà e Stato in Hegel

Candidato

Relatore

Lisa Collodoro

Prof. Alfredo Ferrarin

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A Elena Chionne Che per prima mi parlò di filosofia

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Indice

INTRODUZIONE 4

INDICE DELLE ABBREVIAZIONI 18

PARTE PRIMA: IL DIRITTO Scritti jenesi minori § 1. Die Verfassungs Deutschlands e lo scritto sul diritto naturale 20 Diritto naturale e positivo: dagli scritti giovanili alla fenomenologia § 1. Il testo hegeliano 29

§ 2 Il diritto positivo 38

§ 3. Dramma nell’etico e passaggio alla Fenomenologia A) Le Eumenidi, Apollo e Atena 44

B) Antigone e Creonte 46 C) Statuto giuridico 49 § 4. Il diritto astratto 50

PARTE SECONDA: IL SOGGETTO § 1. Introduzione: Eleusis 56 § 2. Premessa metodologica: sull’unità di pensiero teorico e pratico 64 § 3. La perdita dell’unità immediata: la mediazione dialettica 68 § 4. La necessità della determinatezza: l’azione 74 § 5. La moralità nei Lineamenti di filosofia del diritto 81

PARTE TERZA: LO STATO § 1. Hegel e lo stato moderno 94 § 2. La società civile: il momento dell’egoismo universale? 103

§ 3. Lo stato nei Lineamenti di filosofia del diritto 115

§ 4. Cambiamento e sistema: gli individui cosmico-storici 123

CONCLUSIONE 131

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INTRODUZIONE § 1. Intento del lavoro

In questa introduzione daremo un quadro generale della complessità di argomenti e problematiche che si aprono con e nella filosofia del diritto, il presente lavoro sarà articolato in tre parti. Nella prima verranno brevemente analizzate le due opere più direttamente politiche (lo scritto sulla costituzione della Germania e l’articolo sul diritto naturale) in modo da dare un breve resoconto della posizione da cui parte Hegel a proposito della relazione tra diritto naturale e diritto positivo e sul ruolo che questi immagina debba avere lo Stato nello scritto sulla Costituzione. A dispetto del parere di B. Croce, secondo cui Hegel filosofo politico interesserebbe esclusivamente al biografo, ma non allo storico della filosofia1, cercherò di dare a questa prima parte un taglio più

storico-genetico, in modo da evidenziare la cultura filosofica e politica cui Hegel si contrappone in prima battuta e che per certi versi rimane il suo bersaglio polemico degli scritti successivi, e di confrontare la nozione di diritto presentata in questi scritti con quella della prima parte dei Lineamenti.

Il quarto paragrafo dei Lineamenti definisce il sistema del diritto come il regno della libertà realizzata: partendo da questo spunto, nella seconda parte del lavoro cercherò di spiegare qual è la libertà che ha in mente Hegel, in particolare in questo testo2 e qual è il soggetto

a cui si applica. Nella prima parte, sul diritto astratto, Hegel definisce la “persona”, ma questa definizione non è adeguata alla concreta libertà alla quale si mira: è un soggetto astratto di un diritto astratto. Per delineare la genesi del soggetto farò riferimento, partendo da un breve poema indirizzato a Hölderlin, in particolare alla Fenomenologia, ai

Lineamenti di filosofia del diritto e all’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio.

1 B. Croce, Saggio sullo Hegel, Laterza, Bari, 1913.

2 Il rapporto tra stato e libertà negli scritti politici hegeliani viene analizzato in una conferenza tenuta nel

1970 da C. Cesa il quale sviluppa l’argomentazione delineando, almeno in questa prima fase, un concetto piuttosto limitativo di «libertà». Si può riassumere la sua posizione nei seguenti punti: 1) la libertà cui Hegel si richiama è essenzialmente quella dell’autogoverno locale, che non si pretende universale, ma che accetta di convivere con i costumi del popolo e delle comunità a cui si applica (ivi, p. 154); 2) l’ordinamento statale che la rende possibile deve avere come suoi momenti fondanti la rappresentanza politica, la pubblicità dei dibattiti e la libertà di stampa (ivi, p. 162-163); 3) la libertà di cui è questione, con le sue due matrici religiose nel cristianesimo e sociali nell’imporsi della mentalità borghese (ivi, p. 155) si incarni e diventi reale paradossalmente in una serie di libertà civili, ma che per Hegel non si diano propriamente diritti politici.

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La terza parte sarà dedicata allo Stato, ultima parte dell’eticità. Con particolare attenzione saranno valutate le tensioni che si creano rispetto alla società civile che lo precede come secondo momento dell’eticità e cercherò di discutere e verificare la tesi di fondo per cui lo Stato debba essere il luogo di attualizzazione e di possibilità della libertà, tematizzata nella seconda parte e il luogo di massimo sviluppo del soggetto.

§ 2. Breve presentazione dei testi

Denken? Abstrakt? – Sauve qui peut! Rette sich, wer kann!3

Con queste parole si apre un breve scritto risalente al 1807 il cui scopo polemico è diretto contro il pensiero astratto, in quanto più facile, vuoto e distaccato dal mondo. Per quanto composito sia il pensiero hegeliano e in costante ricerca di nuovi spunti, la «fame» di concreto e di reale sono, in ogni scritto, la costante ricerca del suo filosofare.

Sulla filosofia del diritto Hegel tenne corsi sia ad Heidelberg (semestre invernale 1817-1818) sia a Berlino (semestri invernali 1818-1819, 1819-1820, 1821-1822, 1822-1823, 1824-1825), e i Lineamenti sono il compendio che redasse per i suoi studenti tra il 1820-1821 e recano come sottotitolo “Diritto naturale e scienza dello stato”. L’opera è divisa in tre parti: 1– Il diritto astratto (§§34-104); 2 – La moralità (§§105-141), e 3 – L’eticità (§§142-310).

Nell’utilizzare il termine «diritto» (Recht) sia nel sottotitolo che nella prima partizione dell’opera, Hegel ha in mente due significati diversi, uno più ampio e uno più ristretto. Il sistema del diritto è «il regno della libertà realizzata, il mondo dello spirito prodotto movendo dallo spirito stesso, come una seconda natura»4 e «non è da intendere solo

come il ristretto diritto dei giuristi, ma come tale che comprende tutte le determinazioni

3 Hegelnachlaß Stiftung preußischer Kulturbesitz, Werke Bd. VIII. 4 FD, §4, p. 27.

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di libertà»5, quindi di fatto tutte le determinazioni della filosofia pratica. Come nota

Bobbio nella raccolta di saggi dal titolo Studi hegeliani, quando Hegel intende riferirsi al diritto in senso proprio è solito aggiungere una determinazione, ad esempio «diritto dei giuristi», «diritto giuridico». Il diritto astratto si compone a sua volta di tre sezioni: La

proprietà (§§41-71), Il contratto (§§72-81) e L’illecito (§§82-104). Da questa ulteriore

suddivisione appare chiaro che il diritto propriamente inteso per Hegel comprende quello che nell’accezione corrente è il diritto privato, mentre il diritto pubblico è trattato nella terza sezione dell’eticità; il diritto penale è a sua volta disarticolato in due parti, una prima sotto la categoria del «torto», all’interno del diritto astratto (privato), un’altra, relativa all’amministrazione della giustizia, inserita all’interno della discussione della società civile. Una ulteriore suddivisione riguarda i poteri dello stato: il potere giudiziario è trattato all’interno della società civile; il potere esecutivo suddiviso in governativo ed

amministrativo elaborati il primo nella sezione dello stato, il secondo introdotto nella

società civile (nei paragrafi relativi alla polizia); il legislativo viene scisso dalla trattazione della legge e collocati il primo nello stato, il secondo nella società civile. La trattazione del diritto, dell’economia e dello stato sono trattati da Hegel in cinque altri testi, alcuni sotto forma di appunti destinati ai corsi universitari, altri in forma abbozzi non destinati alla pubblicazione: 1) System der Sittlichkeit (1802); 2) Jenenser Realphilosophie I (corso del 1803-1804); 3) Jenenser Realphilosophie II (corso del 1805-1806), 4) Philosophische Propedeutik; 5) Encyklopädie der Philosophischen Wissenschaften im Grundrisse (Heidelberg, 1817)6. Una

certa ambiguità percorre questi scritti in merito al diritto – ambiguità che si mantiene anche nei Lineamenti, sia dal punto di vista terminologico sia nella sistemazione degli argomenti: il diritto perde la sua autonomia di categoria giuridica e in quanto privato diviene il luogo di istituzionalizzazione dei rapporti economici (la gestione dei rapporti di proprietà) mentre in quanto pubblico diventa «il momento formale della politica»; momento di uguaglianza formale il primo, di disuguaglianza sostanziale il secondo; terreno del riconoscimento l’uno e dell’organizzazione l’altro7. I due momenti (economia e

5 Enc. §486 - «als das beschränkte juristische Recht».

6 La costanza con cui Hegel si è riferito alla trattazione sistematica della filosofia politica è tale da motivare

l’opinione di autorevoli interpreti, quali ad esempio Avineri, secondo cui: «non (si) può non giungere alla conclusione che Hegel non solo fu costantemente assillato dallo stesso ordine di problemi, ma, in un certo modo, non cessò mai di tentar di scrivere lo steso libro: abbiamo di fronte a noi i primi abbozzi, per così dire, della Filosofia del diritto», da La teoria hegeliana dello stato, p. 101.

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politica) sono collegati e vivificati dal riferirsi entrambi ad un popolo, quale totalità etica. La tesi di Bobbio è che non si tratti di un misconoscimento da parte di Hegel dell’importanza del diritto, ma che queste posizioni si inseriscano nella critica alla «concezione privatistica del diritto che egli attribuisce, a torto o a ragione, ai giusnaturalisti. Egli rifiuta insomma la dottrina che eleva il diritto privato a categoria suprema del sistema del diritto e che a causa di ciò non riesce a spiegare la realtà dello stato, cioè la realtà di una totalità che è prima delle sue parti».8 Vengono alla luce in

questo commento due questioni molto rilevanti all’interno del pensiero hegeliano che sono, da un lato, la critica al giusnaturalismo e al diritto naturale, dall’altro la questione dello stato come organismo e come totalità etica. Ci soffermeremo a trattare la prima questione in un paragrafo dedicato al saggio sul diritto naturale (Über die wissenschaftlichen

Behandlungsarten des Naturrechts, seine Stelle in der praktischen Philosophie und sein Verhältnis zu den positiven Rechtswissenschaften – Kritisches Journal der Philosophie,

Novembre-Dicembre1802).

Veniamo alla seconda parte dell’affermazione, quella che riguarda lo stato come totalità

che è prima delle sue parti che ha concorso a creare l’immagine di un giovane Hegel

rivoluzionario9 e odiatore dei tiranni che nella maturità berlinese si trasforma nello

«preussischer Staatsphilosoph», teorico della pura potenza e del diritto del più forte. La polemica su questo aspetto ha di fatto ritardato una ricerca il più neutra possibile sugli scritti e sulle posizioni hegeliane10. Al di là della polemica, ritengo possano esser fatte le

seguenti considerazioni.

La necessità che lo stato funzioni come un tutto unitario ha dato luogo allo sviluppo di due metafore per così dire «classiche», quella dell’organismo e quella del meccanismo, diventate poi canone di riferimento per autori che sono stati definiti conservatori i primi e progressisti i secondi. Rousseau, nella dedica alla Repubblica di Ginevra relativa al

Discorso sulla disuguaglianza, auspica: «Avrei voluto nascere in un paese dove il sovrano e

il popolo non potessero avere che un solo ed unico interesse, perché tutti i movimenti

8 Crf. N. Bobbio, Hegel e il diritto, in Studi hegeliani, p. 47.

9 Per una trattazione di Hegel rivoluzionario rimando ai seguenti saggi: C. CESA, Hegel e la rivoluzione

francese, G. LUKACS, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, J. RITTER, Hegel e la rivoluzione francese, H. MARCUSE, Ragione e rivoluzione.

10 Rimando per questo aspetto alla disamina di Cesa, in Considerazioni sulla teoria hegeliana della guerra, pp.

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del meccanismo politico non tendessero mai ad altro che al bene comune […]11» (corsivo mio);

segnalando che in questo momento l’accezione di “meccanismo” ha un carattere positivo. Anche per Kant nella Critica del Giudizio, il meccanismo non ha una connotazione negativa, anzi è quel «qualcosa di coattivo senza il quale lo spirito, che nell’arte dev’essere libero, e solo infonde vita nell’opera, non avrebbe alcun corpo e dileguerebbe del tutto12»: cioè il meccanismo è la regola, la condizione di possibilità per

la manifestazione dello spirito, senza il quale anche la produzione artistica sarebbe lasciata al caso e non potrebbe configurarsi come produzione secondo finalità.

L’accezione del termine si ribalta drasticamente entro la seconda metà del secolo: meccanicizzazione e burocratizzazione vengono ad essere assimilati per descrivere lo stato di Federico II, lo Sturm und Drang mescola esigenze reali di rinnovamento ed emancipazione a motivi irrazionalistici che vedono nella disciplina e nella regola una limitazione e un livellamento verso la mediocrità13. Con la pubblicazione delle Riflessioni,

di Burke, la retorica anti-meccanicistica assume una chiara connotazione politica poiché la «meccanica saggezza di Stato» è ciò che impedisce il vivificarsi delle istituzioni nella figura del monarca e la pretesa di ingabbiare in un sistema uniforme di leggi e principi l’infinita ricchezza del reale14. Nel 1747 viene pubblicato in Germania la traduzione

tedesca de L’homme-machine, di La Méttrie, autore che godeva del favore di Federico II, suscitando però lo sdegno di varie personalità culturali del momento fra cui anche Lessing.

L’immagine dello Stato-macchina è contestata da varie prospettive, sia in ottica progressista che reazionaria. Kant, ambiguo riguardo al giudizio su La Méttrie, prova a ribaltare l’interpretazione dell’espressione: è meccanicistica, per lui, la rinuncia a progettare la costruzione di un ordinamento sociale secondo ragione, il meccanicismo sta nella mancanza di progettualità. Anche Fichte, sulla stessa via, tenta di addossare al

11 Cfr. ROUSSEAU, Scritti politici I, p. 120. 12 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, p. 179.

13 Sulle connessioni tra arte e politica, pur in saggi che trattano di momenti diversissimi tra loro, si

confrontino: SIANI, Il destino della modernità. Arte e politica in Hegel, e C. MEIER, L’arte politica della tragedia

greca.

14 In questo testo di Burke il richiamo all’ordine naturale diventa il manifesto richiamo del

conservatorismo. Il «divino metodo della natura» diventa il metro di paragone della società attuale e i rivoluzionari vengono additati come «apostoli dell’uguaglianza» impegnati nel blasfemo rovesciamento dell’«ordine naturale delle cose». Cit. Reflections, p. 79 e p. 120.

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pensiero conservatore il meccanismo del sistema statale: se da qualche parte ha da essere rinvenuto, il «meraviglioso meccanismo della subordinazione delle classi» è la perfetta descrizione dello stato pre-rivoluzionario e non dello Stato moderno! Malgrado questi tentativi interpretativi, è la controrivoluzione ad averla vinta. La metafora della macchina negli scritti di Novalis, Müller, Schlegel, Görres15 prende il significato dell’istituzione

senza vita e oppressiva, artificiosa che «tutto dirige, al cui potere si deve piegare qualsiasi cosa umana o divina16». «Meccanico» è in qualche modo diventato sinonimo di

«rivoluzionario», contrapposto a naturale, l’«umano» deve lottare contro i «freddi e dispotici concetti».17

Questa panoramica rende brevemente la complessità della polemica intorno all’organizzazione dello stato rispetto alla vitalità e autonomia dell’individuo – e sulla questione dello Stato-macchina interviene Hegel nel suo scritto sulla Costituzione della Germania, come avremo modo di vedere successivamente. Tutta la critica filosofica si trova d’accordo nell’ammettere che il filosofare hegeliano prenda le mosse dalla riflessione kantiana e riconosca pienamente che la grande scoperta del moderno consista nella scoperta della infinita interiorità dell’individuo, nella scoperta del soggetto18.

Tuttavia sono note le critiche mosse fin dai primi scritti jenesi al primato del soggetto in ambito teoretico (e politico di conseguenza) relativi alle posizioni di Kant, Fichte, Schelling e Reinhold.

La morale kantiana è formale, nell’interpretazione polemica che ne dà Hegel, produttrice di una moralità priva di contenuto e per tanto immorale necessita di un superamento che ha luogo nell’etica oggettiva: l’astrazione del Sollen si invera nella volontà che si manifesta nell’azione, si realizza nella decisione e nella risoluzione; la volontà infatti «non è compiutezza e universalità prima della sua determinazione e prima dell’eliminazione e idealizzazione di questa determinazione; ma è volontà soltanto in quanto sia quest’attività che si concilia in sé e sia intorno a sé»19. Il tentativo hegeliano è quello di superare

15 GÖRRES, Rheinischer Merkur (1814-1816); NOVALIS, Scritti filosofici; SCHLEGEL, Ideen (1800). 16 Cit. da LOSURDO, Hegel e la Germania, p. 167.

17 Per tutta questa ricostruzione cfr. Losurdo, op. cit.

18 «Il diritto della particolarità del soggetto di trovarsi appagato, o, ciò che è lo stesso, il diritto della libertà

soggettiva costituisce il punto critico e centrale della differenza tra l’antichità e l’età moderna», cfr. Lineamenti,

§137.

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l’unilateralità dell’individuo inserendolo, comprendendolo e valutandolo all’interno della totalità etica in cui vive. «Gli ordinamenti e le istituzioni etiche non sono per l’uomo qualcosa di esteriore, ma costituiscono la sua Wirklichkeit. E tuttavia la Sittlichkeit si differenzia dall’ethos aristotelico, poiché le è essenziale quel principio della libertà autocosciente che gli antichi non conoscevano»20 e questo rappresenta la sintesi

hegeliana che supera, mantenendo, sia la filosofia pratica classica che quella kantiana da cui pure prende avvio.

Come si è detto all’inizio dell’introduzione la moralità, cioè la sfera dell’interiorità soggettiva e dell’intenzione propria dell’uomo è la seconda parte dei Lineamenti a cui segue l’eticità con le sue tre parti: 1. La famiglia, 2. La società civile e 3. Lo stato, cioè l’esteriorità della moralità, il compiersi e realizzarsi istituzionale del sentimento, della vita lavorativa e sociale e dello spirito nazionale. La disposizione di queste due parti non è stata sempre la stessa nelle varie opere (per brevità) pratiche di Hegel. Questa evoluzione è delineata nel dettaglio da un saggio di Menegoni, che sottolinea come ancora nella

Fenomenologia la moralità abbia una collocazione successiva all’eticità, in cui quindi la

dimensione dell’interiorità e dell’individuo sembri avere la precedenza rispetto al momento oggettivo, privilegiato dalle parti sistematiche. Sostiene l’autrice che questa ambiguità rispetto alla considerazione della morale e del ruolo che questa debba svolgere sia da riferire al ruolo essenzialmente critico che assume la moralità nell’impianto della discussione hegeliana: a questa infatti spetta il compito di critica alla morale inautentica, «quella intellettualistica ed ipocrita del Privatmensch» di contro alla morale autentica che guarda all’«uomo come ad un intero, ed appartiene alla concezione etico-politica classica21». Le figure di Cristo e di Socrate come portatrici di una concezione morale

nuova che dischiude l’interiorità sono protagoniste della tragedia nell’etico: su di loro incombe il destino tragico di dover perire insieme alla società di cui fanno parte perché rappresentano il principio superiore all’interno di un mondo che non è ancora pronto per accoglierlo. In questi anni, l’assunzione della tragedia greca ad esempio espositivo, in questi anni (nello scritto sul Diritto naturale e nella Fenomenologia, in particolare) e l’analisi del destino danno lo spunto per assistere allo scontro di due principi in permanente e

20 F. Menegoni, Moralità e morale in Hegel, p. 13. 21 Ivi, p.272.

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irrisolta tensione: l’universale e il particolare; è proprio il sottolineare questa natura bifronte che «spiega come durante il periodo jenese si assista al variare di segno di entrambe, a seconda che domini il punto di vista dell’universalità propria dell’eticità assoluta e della ragione o quello dell’intelletto, con la particolarità del mondo dei bisogni e del sistema di comportamenti ad esso connesso. Nel primo caso la moralità è di segno negativo ed il suo contenuto, che appare come il riflesso opaco dell’eticità dell’individuo, è subordinato al sistema del diritto, del quale è parte. Nel secondo caso invece la moralità, regolatrice dei rapporti tra singoli, va oltre la formalità astratta del diritto e appare connotata da valenza positiva»22. Nei Lineamenti la moralità viene intesa come libertà

formale, rimane al livello dell’arbitrio, sebbene con questo non se ne debbano sminuire i meriti. La moralità resta un passaggio superiore rispetto all’immediatezza della persona cui manca il momento dell’interiorità e della coscienza, che, pur rimanendo su un piano formale rappresenta un primo livello di mediazione. La persona del diritto vuole senza coscienza. La moralità è la sfera dell’individuo e della vita privata: per quanto non vadano universalizzati, questi aspetti sono le nozioni di base da cui potrà svilupparsi una soggettività insieme legale, morale ed etica.

Prima e irrinunciabile espressione di libertà, la moralità viene superata dall’eticità, il livello superiore e più concreto di esplicazione della libertà, dominio dell’agire mondano dell’uomo, unità del sapere di sé insieme all’oggettività del sistema dei diritti e dei doveri stabiliti dalle istituzioni. Sono queste ultime ad avere il compito di elaborare un sistema governativo che riesca, da un lato, a salvaguardare l’integrità dell’intero e, dall’altro, a tradurre la scoperta filosofica del soggetto e della sua libertà in termini giuridici e legislativi e politici, in una dinamica di riconoscimento reciproco tra istituzioni e individui23. Ben consapevole di non poter effettuare un corto circuito

storico-istituzionale per ripristinare il primato del tutto sulle parti, è in quest’ottica di sintesi che

22 Ivi, p. 274.

23 Per quanto riguarda la critica al soggettivismo morale e alla duplice valenza della sua critica, mi affido

alle parole di Peperzak: «Hegel’s hostility against all forms of moral subjectivism is similar to the hostility he attributes to Plato. While recognizing the modern principle of individual subjectivity, he fears that the unilateral emphasis placed upon this principle by professors and intellectuals will degenerate into anarchy. Modern individualism is supported by the most popular philosophies, all of which are at least at some degree, agnostic, relativistic, subjectivistic, and antiplatonic. If it were not possible to know how the will, as practical reason, determines itself to accomplish universally valid actions there would be no solution to the problems of morality and politics.», cit. Modern Freedom, p. 379.

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Hegel si muove per far fronte ad un individualismo che non gli sembra minimamente corrispondere alla piena attuazione di quella libertà che i moderni per primi hanno postulato come universale.

Per quanto si possa discutere della vocazione conservatrice, liberale o rivoluzionaria di Hegel, mi sembra a questo punto ragionevole affermare che l’accusa di essere il filosofo «della Restaurazione e di voler sopprimere la libertà e l’autonomia del singolo in nome di un’etica di ceto o di Stato» possa considerarsi faziosa e, in ogni caso, poco accurata24.

Alla seconda parte sulla moralità, segue il passaggio all’eticità, ossia, come dichiara il primo paragrafo, l’idea della libertà, in cui idea è da intendere come bene vivente che ha nell’autocoscienza il suo sapere, volere e realtà grazie all’agire. La sua articolazione in famiglia, società civile e Stato procede, come sempre, da un grado minore ad uno maggiore di esternazione e realizzazione. Di questa sezione, le parti che sono state maggiormente discusse sono, la terza già del decennio immediatamente seguente la pubblicazione, e la seconda cui è stata dedicata molta attenzione nella seconda metà del Novecento. La discussione a proposito della società civile si arricchisce degli studi degli economisti classici che Hegel ha avuto modo di affrontare negli anni immediatamente precedenti alle lezioni, riflessione che emerge con particolare evidenza nel «Sistema dei bisogni» (§§189-208). Entrano in questi capitoli, la discussione della gestione della giustizia, della polizia, e della formazione di un corpo militare a difesa dello stato. Se la società civile rappresenta il momento dell’individualità sociale, lo stato è il momento dell’universale: non mancano stridori nel tentativo di conciliare questi due momenti, su cui ci soffermeremo diffusamente più avanti.

I Lineamenti sono preceduti da una introduzione che, prendendo le mosse dalla contingenza storica interna all’università, designa il posto che spetta al diritto filosofico e alla scienza. Hegel si trasferisce nella capitale prussiana nell’ottobre del 1818 chiamato

24 A proposito di questo, lo stesso Peperzak, che si mantiene sempre lontano da ogni strumentalizzazione

del pensiero hegeliano, fa notare che «da una lettura superficiale della Prefazione alla Filosofia del diritto e di vari passi del corpo dell’opera può nascere l’impressione che Hegel sia un ostinato difensore dell’ordine esistente, e che egli si prodighi in una difesa dell’operato del governo prussiano. […] Una spiegazione di certe affermazioni contenute della Filosofia del diritto alla luce delle idee rivoluzionarie della giovinezza di Hegel e dei successivi apprezzamenti della Rivoluzione francese, di Napoleone, dei diritti fondamentali e del costituzionalismo dev’essere parte di ogni interpretazione che non trascuri l’aspetto genetico delle idee di Hegel sullo Stato e il diritto», cit. Filosofia e politica, p. 31.

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presso l’Università di Berlino dal barone di von Altenstein, il liberale ministro dell’educazione e della sanità del governo prussiano. L’estate precedente, una serie di manifestazioni studentesche che rivendicavano sovranità popolare, libertà e uguaglianza, monarchia costituzionale, libertà di espressione mescolate al nazionalismo che si era sviluppato a seguito delle guerre napoleoniche, avevano messo a capo alla fondazione delle Burschenschaften, associazioni ginniche di studenti. Il clima politico è piuttosto teso e rivendicazioni liberali anche minime vengono additate come potenzialmente dannose per lo stato. Il culmine della tensione viene raggiunto il 23 marzo dell’anno successivo, il 1819, quando uno studente di teologia di Jena, Carl Ludwig Sand, pugnala e uccide Kotzebue, scrittore prolifico e molto famoso, di ideali francamente reazionari, corrispondente letterario dello Zar, critico della rivoluzione francese, di Napoleone, delle corporazioni studentesche e delle associazioni ginniche. A questo avvenimento fanno seguito lo scioglimento delle Burschenschaften, la sospensione dall’insegnamento di alcuni docenti ritenuti coinvolti nella diffusione di idee sovversive e un controllo molto più stretto della censura.

A causa della spietata repressione delle associazioni studentesche, le loro gesta si sono ammantate di una postuma aureola di santità. Tuttavia, oltre agli ideali di libertà e di lotta per l’unità della Germania che abbiamo ricordato prima, le Burschenschaften escludevano gli stranieri dalle proprie fila, si rifiutavano di ammettere gli ebrei, parteciparono ai moti antisemiti di Francoforte del 1819, alla festa della Wartburg diedero fuoco ad una pila di libri: erano quindi espressione non solo dell’ala estrema del nazionalismo tedesco, ma anche di un profondo sciovinismo. Lo stesso Fries, che Hegel cita nella prefazione, è autore di un violento libello antisemita, Sul pericolo per il benessere e il carattere dei tedeschi

rappresentato dagli ebrei (Über die Gefährdung des Wohlstandes und Charakters der Deutschen durch die Juden, in Heidelberger Jahrbücher, 1816).

La posizione di Hegel di fronte alla comunità politica e accademica non è, come sottolinea Peperzak, né quella del potente «filosofo di Stato», la cui opinione venga ascoltata con soggezione, né quella di un professore influente, la cui opinione venga guardata con maggiore riguardo rispetto a quella dei suoi colleghi. Malgrado goda della

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profonda stima di Altenstein25, e ne abbia piena coscienza, la sua non è una posizione

privilegiata.

Di fronte a questo clima politico-culturale l’approccio di Hegel è molto pragmatico. L’introduzione che inquadra l’opera sul diritto si divide in due parti: una prima relativamente all’opposizione di buona e cattiva filosofia – identificando quest’ultima in quella che separa forma e contenuto, che pretende di identificare la libertà con la divergenza e la fuga dal reale, che si dichiara presente ed accessibile ad ogni cuore, confondendosi così con la contingenza soggettiva e l’arbitrio26; una seconda in cui

esamina i rapporti fra filosofia e realtà. È in questa seconda parte che si leggono alcune delle più celebri (e fraintese) affermazioni hegeliane, quali, ad esempio, quella della razionalità del reale27 e la definizione della filosofia come nottola di Minerva, che si leva

sul far del tramonto28. Entrambe si riferiscono al ruolo della filosofia nel suo rapporto

col reale. La filosofia è la comprensione del reale, la penetrazione del razionale. Non si rivolge ad un vuoto dover essere, analizza ciò che è. Quando Hegel scrive che ciò che è

razionale è reale, non intende giustificare tutto quello che ha una esistenza, tutto il

contingente29. L’espressione non postula tanto la razionalità dell’attuale, quanto l’attualità

25 Riporto le parole della lettera che Altenstein scrive ad Hardenberg nel giugno del 1822 perché gettano

luce sull’uomo Hegel, qui tratteggiato con evidente simpatia e stima: «Non penso di poter essere sufficientemente esauriente riguardo all’eccellente valore di Hegel come uomo, docente, studioso. Come studioso il suo valore è noto. Egli è certamente il più profondo e solido filosofo in Germania. Ma ancor più decisivo è il suo valore come persona e come docente. Ha avuto un’influenza decisamente benefica sulla gioventù. Con coraggio e serietà e una profonda conoscenza della sua disciplina, egli ha contrastato una radicata corruzione col solido esercizio della filosofia ed ha mostrato alla gioventù l’errore dei suoi modi. Egli è molto rispettabile nelle sue intenzioni e convinzioni, ed anche coloro che diffidano della filosofia riconoscono ciò, come pure la sua influenza positiva in generale». Briefe II, p. 495. Cit. in PEPERZAK, Filosofia e politica.

26 In questo contesto Hegel cita anche il discorso tenuto da Fries alla Wartburg nell’ottobre 1817 per la

festa in onore della duplice ricorrenza dell’affissione delle 95 tesi luterane nell’ottobre 1517 e della battaglia di Lipsia, ottobre 1813, in cui Napoleone veniva sconfitto dagli alleati.

27 «Ciò che è razionale è reale, ciò che è razionale è reale», FD, p. 14.

28 Il pensiero della realtà appare soltanto dopo che questa ha fatto il suo corso e si è assestata in esso:

solamente dopo che la realtà si è formata e fermata alla filosofia è dato il potere di capirla, osservandola, di leggere nelle sue maglie. Tutto il capoverso dimostra una indubitabile precedenza della realtà sulla filosofia: solo nella piena maturità di tutte le sue espressioni la realtà si lascia comprendere dalla filosofia perché questa non può parlare prima dell’esposizione della totalità delle possibilità che una certa realtà possiede. La filosofia parla, espone spiega ciò che è in atto, non vede né capisce la pura possibilità. Per questo arriva dopo, sul far del tramonto.

29 Cfr. Avineri: «la frase chiave è qui, naturalmente, l’affermazione che “tutto ciò che è reale è razionale”;

una frase che riassume il tentativo di Hegel di emancipare la filosofia dall’eredità delle dicotomie kantiane. Già nel 1821, essa cominciava ad essere intesa come una giustificazione globale dei poteri esistenti, ed è chiaro che, dato il suo vigore epigrammatico, era facile isolarla da contesto», La teoria hegeliana dello stato, p.150.

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del razionale, cioè il fatto che il razionale abbia in sé il potere di tradursi in atto (nel senso scolastico di actualitas o in quello greco di energeia), in questo contesto la ragione è la potenza attualizzata, realizzata, nel mondo. In questa funzione il pensiero filosofico sarà maturo quando sarà arrivato alla piena comprensione del tempo storico di cui è espressione, cosa che di necessità succede alla fine della sua epoca, cosa che non le toglie però, come sottolinea Bodei, la possibilità di essere leva per il cambiamento, quando il reale si manifesta come espressione di uno stadio di razionalità inferiore a quello cui è giunto lo Spirito – in cui il Geist hegeliano è da intendersi secondo la metafora della circolazione sanguigna che apre l’Ésprit des Lois: un concetto «non opposto alla materia e che neppure designa una sorta di fantasma: è ciò che, circolando, tiene in vita l’intero organismo, il sistema, appunto»30.

Autorevoli sono gli interpreti che non sono rimasti convinti da questo tentativo di comprensione totale del reale. Così Adorno ha in più luoghi criticato il dominio del sistema in favore dell’individuo: Hegel sceglie l’universale, titola un paragrafo della Dialettica

negativa nella sezione di confronto con Hegel.

«La filosofia ha in base alla sua condizione storica il suo vero interesse là dove Hegel, d’accordo con la tradizione, manifestava il suo disinteresse: nell’aconcettuale, nell’individuale e particolare; in ciò che sin da Platone fu liquidato come caduco e irrilevante e sul quale Hegel appose l’etichetta dell’esistenza pigra. Il suo tema potrebbero essere le qualità da essa degradate a quantité négligeable, in quanto contingenti»31.

La critica adorniana identifica il logos e la rivendicazione del suo primato logico sul reale con il dominio e l’oppressione della società sul singolo, in una condizione che «è assolutamente incompatibile con la felicità – non solo del singolo – anche dell’intero»32:

il dominio dell’universale logico sul particolare e della società quale è stata fino a questo momento sull’individuo sarebbero pertanto fenomeni paralleli.

Quella adorniana è una critica si può dire metodologica applicabile a tutto il pensiero hegeliano. Una critica più puntuale sul testo che prendiamo in esame la fa Marx nella

30 Cfr. Bodei, presentazione ai Tre studi su Hegel adorniani. 31 Adorno, Dialettica negativa, p.10.

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Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico. Come dice il titolo la critica marxiana non

riguarda la parte del diritto privato, ma il diritto pubblico, quindi la parte relativa alla società civile e allo Stato, nella suddivisione hegeliana. Il punto critico riguarda la separazione che viene a crearsi fra diritto civile e politico. Una società così creata rimane un «mostro mistico» in cui «l’affare generale è bell’e pronto, senza che esso sia l’affare reale del popolo. L’affare reale del popolo è effettuato senza l’azione dello stesso. L’elemento di classe è l’illusione che l’affare generale sia affare generale, affare pubblico, o l’illusione che l’affare del popolo sia affare generale»33. Questo perché relegando la gestione dello

Stato ad una classe in particolare, quella dei funzionari pubblici, la dimensione politica viene, secondo Marx, eliminata dalla coscienza generale e la «realtà cosciente, verace, degli

affari generali è soltanto formale, o soltanto il formale è affare generale».34 Lo Stato resta una pura

astrazione formale in cui la divisione in classi crea uno stato (Stand) che ha mansioni pubbliche, incaricato di concretizzare il benessere generale, la cui definizione però resta di sua pertinenza, con il rischio che «l’interesse privato sia il loro affare generale»35. Per

Marx quindi, la divisione tra la società civile e lo Stato, e la divisione della prima in classi, fa sì che lo Stato sia uno Stato privato, a cui mancano tutte le caratteristiche che rendono concreto, pubblico e universale lo scopo e la pratica statale36.

Di fatto, sia la critica di Marx che quella di Adorno muovono dal presupposto che la dialettica hegeliana si interrompa ad un certo punto, oppure fallisca nel suo tentativo di ricomprendere il particolare nell’universale. Mentre l’accusa adorniana è volta alla salvaguardia del singolo nei confronti di un sistema che ne limiterebbe l’espressione, quella di Marx è un’accusa di astrazione nei confronti del suo maestro. Se il diritto deve essere la manifestazione della libertà, e se questa acquisisce concretezza nella presa di possesso dei diritti-poteri politici, i quali riassumono e superano quelli familiari e sociali, il fatto di lasciare la società divisa in Stände di cui solo ad una parte è lasciata la gestione pubblica contraddice la piena concretizzazione della libertà per il popolo nel suo insieme,

33 Marx, Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico, p. 147. 34 Ivi, p.149.

35 Ivi, p. 149.

36 A questa critica più tecnicamente politica, Marx ne fa seguire anche una “umanistica”, in cui sostiene

che la divisione in classi separi non solo la società civile dall’elemento politico, ma anche l’uomo dal suo essere generale. Cfr. ivi, p. 201.

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la limita ad una parte di esso, lasciandola del tutto astratta e inaccessibile per il resto della popolazione37.

«Il confronto insistente con Hegel insegna che nel suo pensiero – come del resto in ogni grande filosofia – non si può prendere ciò che piace e scartare ciò che dà fastidio. È questa cupa costrizione, non un ideale di completezza, che dà alla pretesa sistematica di Hegel la sue serietà e sostanzialità. La sua verità è nello scandalo, nel non plausibile. Salvare Hegel – perché Hegel si può solo salvare, non rinnovare – significa affrontare la sua filosofia là dove fa più male; dove la sua falsità è palese, strapparle la verità.»38

È con questa intenzione e con umiltà che si apre il confronto con il pensiero hegeliano sul diritto: non con la pretesa di distinguere ciò che è vivo da ciò che morto di Hegel, ma con la speranza di riscoprire dei metodi e dei contenuti validi per l’analisi del reale-presente, che si presenta sempre quanto mai complesso, caotico e indecifrabile.

37 Le critiche marxiane son molto articolate e riguardano tutta l’ultima parte dello scritto hegeliano: 1.

«L’opposizione di Stato e società civile è dunque fissata, lo stato non risiede nella, ma fuori della società civile, esso la tocca soltanto coi suoi “delegati”, cui è affidata la “gestione dello Stato” entro queste sfere. Mediante questi “delegati”, l’opposizione non è soppressa, ma è divenuta opposizione legale, fissa.», ivi, p. 120; 2. Hegel capovolge il concetto di sovranità popolare: «Lo Stato è un astratto. Solo il popolo è il concreto. Ed è notabile che Hegel, che lo fa senza esitazione per l’astratto, ascriva al concreto soltanto con esitazioni e riserve una qualità vivente come quella della sovranità.», ivi, p. 64; 3. Sul ruolo della monarchia rispetto alla democrazia: «La democrazia è la verità della monarchia, la monarchia non è la verità della democrazia. La monarchia è necessariamente democrazia come inconseguenza verso se stessa, l’elemento monarchico non è un’inconseguenza nella democrazia. La monarchia non può, la democrazia può esser concepita per se stessa. Nella democrazia nessuno dei suoi elementi acquista un significato diverso da quello che gli spetta. Ciascuno è realmente solo un momento dell’intero demos. Nella monarchia una parte determina il carattere del tutto: l’intera costituzione si deve modificare secondo un punto fisso. La democrazia è il genus della costituzione. La monarchia ne è una specie, e una specie cattiva. La democrazia è “contenuto e forma”. La monarchia deve essere soltanto forma, ma essa altera il contenuto. Nella monarchia il tutto, il popolo, è sussunto sotto uno dei suoi modi di esistere, la costituzione politica; nella democrazia, la costituzione stessa appare semplicemente come una determinazione, cioè autodeterminazione del popolo. Nella monarchia abbiamo il popolo della costituzione; e nella democrazia la costituzione del popolo. La democrazia è l’enigma risolto di tutte le costituzioni. Quivi la costituzione è non solo in sé, secondo l’essenza, ma secondo l’esistenza, secondo la realtà, e ricondotta continuamente al suo reale fondamento, all’uomo reale, al popolo reale, e posta come

opera propria di esso.», ivi, p. 69; ma non è questo il luogo per dare una spiegazione completa del testo

marxiano.

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INDICE DELLE ABBREVIAZIONI

Diff. = Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling

CG = La costituzione della Germania

DN Sulle maniere di trattare scientificamente il diritto naturale

FS = Fenomenologia dello Spirito

FD = Lineamenti di filosofia del diritto

Enc. = Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio

FilS = Lezioni di filosofia della storia

SF = Lezioni di storia della filosofia =

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PARTE PRIMA: IL DIRITTO

Lange schon vom engen Haus umschlossen, Schlummre dann im Frieden mein Gebein! – Habe ich doch der Hoffnung Kelcht genossen,

mich gelabt am holden Dämmerschein! Ha! Und dort in wolkenloser Ferne Winkt auch mir der Freiheit heilig Ziel!

Dort, mit euch, ihr königlichen Sterne, klinge festlicher mein Saitenspiel!

[Dormano dunque in pace le mie ossa Da tempo chiuse in una casa angusta

Mi basta avere delibato il calice Della speranza in una dolce aurora.

Laggiù, sull’orizzonte senza nubi, la meta santa della Libertà fa cenno: là il mio canto si sollevi più solenne, con voi, regali stelle.]

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SCRITTI JENESI MINORI: Die Verfassung Deutschlands e l’articolo sul

Diritto naturale

Deutschland ist kein Staat mehr39. Con queste parole si apre in tutti le versioni che ci sono

giunte l’introduzione allo scritto sulla costituzione della Germania. Si tratta di una constatazione immediata, che non ammette repliche e rappresenta anche la considerazione che ha portato Hegel alla necessità di riflettere sulle questioni storico-politiche del periodo.

Si tratta di uno scritto composto tra il 1798 e (probabilmente) il 1802, fra Francoforte e Jena, rimasto per lo più in forma di abbozzo e mai dato alle stampe durante la vita dell’autore. È uno scritto polemico, non sistematico in cui molte argomentazioni sono solo abbozzate, talvolta contradditorie, dal quale tuttavia mi sembra si possano estrapolare alcune considerazioni genetiche relative ai problemi di cui ci stiamo occupando, cioè la libertà e lo stato.

Chi si aspetti di trovare delineato in questo testo un abbozzo di legge fondamentale rimane deluso: come nota Bobbio40, «costituzione» è inteso in senso istitutivo41. Il testo

è volto all’analisi dei motivi per cui la Germania non è al presente uno stato e si chiude

39 «La Germania non è più uno stato». Cfr. CG, introduzione. 40 Cfr. BOBBIO, Studi hegeliani.

41Si tratta, in questo come in molti altri luoghi hegeliani, di una rielaborazione di un concetto antico.

Nota infatti Strauss, in Diritto naturale e storia, come il concetto greco di πολιτεία, normalmente tradotto con «costituzione», non rispecchia esattamente il senso giuridico che noi siamo soliti attribuire a questo termine, nell’accezione di «legge fondamentale». Molto più vicino all’accezione in cui Hegel utilizza qui il termine «Verfassung», si tratta di qualcosa che è contrapposto alle leggi, intese come accordo fra costituenti di un popolo, e superiore ad esse: la costituzione, la πολιτεία è la fonte di tutte le leggi. Non ciò che determina i limiti e il contenuto del potere dello stato, ma il potere stesso dello stato, il modo in cui questo è distribuito fra i componenti della comunità. Insomma la distribuzione e l’organizzazione del potere all’interno della comunità che è poi ciò da cui è determinato il modo di vivere della comunità stessa. Si tratta del modo di vivere in e di una comunità, qualcosa di molto vicino e determinante le vite dei singoli cittadini. La costituzione è lo Spirito della comunità, cioè l’insieme di valori, lavori, istituzioni, riconoscimenti, incarichi che la comunità si dà, o riceve in dote dalla sua evoluzione storica e filosofica. L’espressione che più si avvicina al senso che si vuole esprimere è quella di Ancien Régime per esprimere tutto l’insieme di relazioni politico-sociali-istituzionali che connotavano l’epoca storica precedente alla rivoluzione francese. Di fatto, per altro, il riconoscere questa connessione fra l’ordinamento dello stato e la vita dei singoli è quel che ha fatto sì che molte delle maggiori opere di politica seguano la ripartizione argomentativa in monarchia, aristocrazia e democrazia (e varianti).

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con l’invocazione di un novello Teseo che, anche utilizzando la forza riporti l’unità (e con essa un principio di universalità) nel caos che domina le istituzioni42.

La consapevolezza di questa disunione l’ha data «l’esperienza della guerra con la repubblica francese; e si è accorta della sua situazione politica tanto nella guerra tanto nella pace che pose fine a questa guerra»43, e solamente la riflessione sugli avvenimenti

può portare da un lato alla pacificazione con essi e dall’altro alla possibilità di porre presupposti diversi: «poiché non ciò che è ci rende impetuosi e sofferenti, bensì il fatto che non sia come dev’essere; se però riconosciamo che esso è come è necessario che sia, cioè non per arbitrio o per caso, con ciò riconosciamo anche che esso deve essere così»44.

Due sono le caratteristiche antropologiche di cui Hegel accusa i tedeschi. La prima è una forte tendenza all’idealizzazione del reale, nella presunzione che questo debba seguire il corso delle loro intenzioni e dei pensieri «e quando, senza dubbio per lo più, le cose vanno diversamente, s’insuperbiscono dei loro concetti, come se in essi regnasse la necessità, mentre in ciò che accade soltanto il caso»45. E quando, tra il come le cose

dovrebbero andare – o come sono prescritte dalla legge, sia questa morale o istituzionale – e come effettivamente occorrono non solo non c’è regolare corrispondenza, ma non ve n’è alcuna, questo è il primo sintomo del dissolvimento dello Stato. Un vuoto coacervo di prescrizioni senza vita è ciò che resta dell’ordinamento tedesco.

La seconda critica che viene mossa al popolo tedesco è quella dell’attaccamento alla libertà germanica, il Trieb zu Freiheit. Questa interpretazione delle caratteristiche antropologiche dei popoli germanici rimane costante nel pensiero del filosofo, tanto che

42 Maier nel suo saggio Hegels Schrift über die Reichsverfassung, (in Politische Vierteljahrsschrift, 1963)

ridicolizza questo appello al novello Teseo sostenendo che sia la parte meno convincente di tutto lo scritto hegeliano, tale addirittura da screditare la profondità dell’analisi che ne caratterizza l’interpretazione degli avvenimenti storici. Questo giudizio mi sembra esagerato laddove effettivamente non è un testo cui, in primo luogo Hegel, ha mai dato una veste ufficiale. In secondo luogo, poi, mi sembra un’invocazione che può essere ascritta al carattere pamphlettistico dell’opera, cui si possono per altro annoverare nobili predecessori – si pensi solo al VI canto del purgatorio dantesco.

43 Cfr. CG, p.34. 44 CG, p.36.

45 «Denn zwischen die Begebenheiten und das freie Auffassen derselben stellen sie eine Menge von

Begriffen und Zwecken hinein und verlegen, daß das, was geschieht, diesen gemäß sein soll. Und wenn [es] ohne Zweifel meist anders ist, so überheben sie sich ihrer Begriffe, als ob in diesen die Notwendigkeit, demjenigen aber, was geschieht, nur der Zufall herrschte, weil ihre Begriffe ebenso beschränkt als ihre Ansicht der Dinge ist, die sie nur als einzelne Begebenheiten, nicht als ein System derselben,

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nelle lezioni di filosofia della storia, di redazione molto più tarda, si legge: «la libertà è stata in Germania il vessillo fino ai tempi più recenti»46. La critica a questa forma di

libertà, che in quanto formale e astratta è più simile al capriccio e all’ostinazione che non alla concreta libertà è il pendant di tutto lo scritto: «die Hartnäckigkeit des deutschen Charakters hat sich nicht bis dahin überwinden lassen, daß die einzelnen Teile ihre Besonderheiten der Gesellschaft aufgeopfert, sich alle in ein Allgemeines vereinigt und die Freiheit in gemeinschaftlicher freier Unterwürfigkeit unter eine oberste Staatsgewalt gefunden hätten»47.

L’interpretazione della libertà in senso privatistico, come libera volontà, porta al predominio del sentimento: «qui esistono dunque solo la volontà in genere come volontà formale e la libertà soggettiva come ostinazione48» e, poco più oltre: «dove il sentimento

è l’intera forma delle cose, esso appare come un che di senza carattere e di ottuso». La conseguenza politica di questo primato è il fatto che i diritti dei singoli vadano a scapito del potere dello stato, dell’universale: «das deutsche Staatsgebäude ist nichts anderes als die Summe der Rechte, welche die einzelnen Teile dem Ganzen entzogen haben, und diese Gerechtigkeit, die sorgsam darüber wacht, daß dem Staat keine Gewalt übrigbleibt, ist das Wesen der Verfassung»49.

Il diritto è diritto privato, «anarchia legale», un sistema di «diritto contro lo Stato», mantenimento della finzione per cui il singolo è un libero quanto più svincolato dalla sua realtà istituzionale, nella follia che rappresenta la «affermazione del suo isolamento»50,

tanto che Hegel può provocatoriamente affermare: Fiat iustitia, pereat Germania!51

Una finta e impenetrabile grandezza permea le istituzioni che pretendono di stabilire dall’alto ogni minimo dettaglio della vita dei cittadini, come se, dice Hegel, la decisione di sostituire una vetrata rotta di una scuola dovesse occupare un posto nella discussione

46 Cfr. Lezioni di filosofia della storia, p. 291.

47 «L’ostinazione del carattere tedesco non si è lasciata sopraffare sino al punto che le singole parti

sacrificassero le loro particolarità alla società, si riunissero tutte in un universale e trovassero la libertà nella comune libera sottomissione sotto una forza statale suprema». CG, p. 38.

48 Cfr. Lezioni di filosofia della storia, p. 290.

49 «L’edificio statale tedesco non è null’altro che la somma dei diritti che le singole parti hanno sottratto

al tutto; e questa legalità che veglia sollecitamente a che allo Stato non rimanga più alcun potere, è l’essenza della costituzione». CG, p. 42

50 CG, p. 242. 51 CG, p. 45.

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del governo centrale. È questa mania di controllo che priva di iniziativa, genialità e infine vitalità i cittadini. Con motivazioni analoghe Humboldt, nel suo Idee per un saggio sui limiti

dell’attività dello Stato argomenta a favore della maggiore libertà possibile nella vita privata

del cittadino: «di una meticolosità troppo forte da parte dello Stato risentono ancora di più il vigore dell’attività in generale e il carattere morale»52. Il rigoglio di leggi superflue e

minuziose da un lato aumenta la necessità di personale statale dipendente dal governo e

non dalla nazione, dall’altra «diminuisce la libertà dei sudditi», unica garanzia della vitalità

del corpo statale, che scaturisce dalla «partecipazione della volontà individuale agli affari universali»53.

È in quest’ottica che Hegel si inserisce nella polemica contro lo Stato-macchina, della cui complessità abbiamo fatto cenno nell’Introduzione. Hegel si serve di questa espressione in questo scritto per definire uno stato che, privo di vita, pretende, come una molla, di stabilire un filo diretto tra la decisione presa da un governo centrale e tutta la serie di ripercussioni a cascata che questa decisione, tramite meccanismi intermedi, provoca sulla vita del singolo. La critica riguarda, per tanto, l’aridità che colpisce uno stato così governato (di cui a suo parere la Germania dà un triste esempio) e la mancanza di libertà che questo garantisce ai cittadini54; la mancanza di vitalità e libertà si rendono

52 Cfr. HUMBOLT, Scritti filosofici, p.143. 53 Cfr. Hegel, CG, p. 64.

54 La contrapposizione con lo stato come organismo, corpo vivente, si trova nell’introduzione al testo,

in un brano dal forte accento emotivo in cui Hegel si abbandona ad un momento di malinconica rievocazione di un tempo perduto, in cui lo spirito germanico aveva sì portato con sé il concetto della libertà, ma ne aveva permeate le istituzioni: «Die Organisation dieses Körpers, welche die deutsche Staatsverfassung heißt, hatte sich in einem ganz anderen Leben gebildet, als nachher und jetzt in ihm wohnt; die Gerechtigkeit und Gewalt, die Weisheit und die Tapferkeit verflossenen Zeiten, die Ehre und das Blut, das Wohlsein und die Not längst verwester Geschlechter und mit ihnen untergegangener Sitten und Verhältnisse ist in der Formen dieses Körpers unterdrückt. Der Verlauf der Zeit aber und der in ihr sich entwickelnden Bildung hat das Schicksal jener Zeit und das Leben der jetzigen voneinender abgeschnitten», CG, p. 37. Bisogna però notare che la frase successiva dello stesso capoverso si riferisce allo Stato come «Gebäude», come «edificio» e che per tanto la contrapposizione non riguardi tanto, come per altri romantici, una contrapposizione tra naturale e artificiale, tra autoproducentesi e costruito, quanto piuttosto al meccanicismo che si contrappone alla libertà dei singoli, che Hegel vuole a tutti i costi salvare anche laddove ritiene necessaria la formazione di uno Stato forte. Inoltre, che peraltro nella sintesi tra universale e particolare, l’interesse di quest’ultimo sia fine fondamentale giustifica la ricerca della sintesi e si evince anche da un passo poco più oltre quello appena citato, in cui si legge: «er müßte vielmehr sie Einsicht hervorzubringen suchen, daß eine Handlungsweise, die allgemein sein sollte, dem besonderen Interesse jedes Einzelnen gemäß wäre. Es ist durchaus anerkannter und bekannter Grundsatz, daß dieses besondere Interesse die wichtigste Rücksicht ist; sie kann nicht als mit den Rechten und Pflichten oder der Moralität in Widerspruch stehend betrachtet werden, sondern im Gegenteil, jeder einzelne Stand muß als besonderer Staat sich nicht einem Allgemeinen aufopfern, von

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responsabili dell’inefficienza, della non effettualità di uno stato così concepito: «lo Stato-macchina non può quindi sperare in nessuna azione vitale, nessun sostegno che deriverebbe dal sentimento di sé del cittadino»55.

Ciò che differenzia uno Stato da una moltitudine è la «comune difesa della totalità della sua proprietà»56. Questa affermazione da un lato consente a molti interpreti57 di collegare

Hegel alla tradizione giusnaturalista, dall’altro, tracciando un orizzonte di finalità così ampio, sta alla base delle successive affermazioni hegeliane: allo Stato che ha in mente Hegel non pertiene l’omogeneità. La religione, le lingue, la contribuzione fiscale, i diritti civili, il grado di libertà, i ceti, la forma dell’amministrazione, persino le leggi possono essere diversi; financo l’«identità, che era un tempo la colonna fondamentale dell’unità di un popolo, è ora da annoverarsi tra le accidentalità, la cui composizione non impedisce ad una moltitudine di formare una forza statale». È il potere, lo spirito e l’arte delle organizzazioni statali moderne che tiene unita la nazione, e il caleidoscopio delle usanze, dei costumi e dei dialetti non ne mina affatto le fondamenta, anzi ne è parte costitutiva in quanto espressione di quella libera vitalità delle comunità locali che non ha alcun senso irreggimentare58.

dem er keine Hilfe zu erwarten hat, sondern der Landesfürst, der Magistrat einer Reichsstadt hat die heilige Pflicht auf sich, für sein Land und Untertanen zu sorgen». CG, p.186.

55 Rossi, Da Hegel a Marx, p. 305. 56 CG, p. 53.

57 Su questo punto mi riferisco in particolare a C. Cesa e N. Bobbio.

58 «In unseren Zeiten mag unter den Gliedern ein ebenso loser oder gar kein Zusammenhang stattfinden

in Rücksicht auf Sitten, Bildung und Sprache; und die Identität derselben, dieser ehemalige Grundpfeiler der Verbindung eines Volks, ist jetzt zu den Zufälligkeiten zu zählen, deren Beschaffenheit eine Menge nicht hindert, eine Staatsgewalt auszumachen. […] Die Verschiedenheit der Sprache und der Dialekte, welche letztere die Trennung zugleich noch gereizter macht als die gänzliche Unverständlichkeit, die Verschiedenheit der Sitten und der Bildung in der getrennten Ständen, welche die Menschen fast nur an der äußeren Gestalt sich kenntlich macht, – solche heterogene und zugleich die mächtigsten Elemente vermag, wie in großgewordenen römischen Reiche die überwiegende Schwere der Gewalt, so in den modernen Staaten Geist und Kunst der Staatsorganisationen zu überwältigen und zusammenzuhalten, so daß Ungleichheit der Bildung und der Sitten ein notwendiges Produkt sowie eine notwendige Bedingung, daß die modernen Staaten bestehen, werden.», CG, p. 59. È molto interessante notare come la connotazione del «molteplice» sia cambiata nella storia del pensiero. Aristotele nella Politica sostiene che la dimensione più adatta per la polis sia quella che si può abbracciare con lo sguardo per consentirne maggiore coesione: l’obiettivo di questa cautela è volto garantire una maggiore unità, di intenti, lingue e usanze. Indicazioni simili sono date nelle Leggi e nella Repubblica, in cui Platone pone maniacale attenzione all’uniformità dell’educazione della popolazione. La «differenza» è tollerata solo nella misura in cui è strettamente necessaria e irreggimentata nelle diverse classi, non viene compresa e superata, ma immediatamente subordinata e gerarchizzata. La spontaneità creatrice che il moderno attribuisce alla ragione, al libero gioco delle facoltà, all’immaginazione e che ha ripercussioni nel modo di intendere l’ambito politico delle società corrispondenti, non solo non trova spazio nel mondo antico, ma è anche

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Per quanto riguardal il tema della difesa, questo viene ripreso alla fine del IV paragrafo: «die Stärke eines Landes weder in der Menge seiner Einwohner und Krieger, noch seiner Fruchtbarkeit, noch seiner Größe besteht, sondern allein in der Art, wie durch vernünftige Verbindung der Teile zu einer Staatsgewalt alles dies zum großen Zweck der gemeinsamen Verteidigung gebraucht werden kann»59,(corsivo mio). In questo passo

siamo molto lontani dall’inizio del capitolo XVII del Leviatano, in cui Hobbes fonda sulla sicurezza dei singoli l’accordo che fonda lo Stato60. Innanzitutto perché Hegel

ritiene massimamente fuorviante la spiegazione contrattualistica della fondazione degli stati. Come abbiamo detto all’inizio la consapevolezza dell’inesistenza dello Stato tedesco è emersa dopo la guerra con la Francia, per tanto, in questo contesto la prospettiva non è di protezione del singolo, ma di conservazione dello Stato e dell’ordinamento etico-politico che questo incarna. Si palesa però in queste parole un problema che a mio avviso non trova soluzione nemmeno negli scritti sistematici, ovvero il fatto che con la formazione dello stato non si riesca comunque a raggiungere una forma completa di universalità, giacché gli stati tra loro si comportano esattamente alla stregua di particolarità che non hanno una sintesi. Di questo aspetto discuteremo più diffusamente nel capitolo relativo allo stato.

Tutta questa serie di considerazioni – una concezione astratta e privatistica di libertà, uno Stato-macchina che nell’eccessiva tendenza alla legiferazione si preoccupa di dettagli insignificanti, una moltitudine che non riesce a sapersi unità – fanno sì che lo stato non

vivamente osteggiato. Platone, con la sagace ironia che caratterizza i suoi scritti, dice, a proposito della democrazia: «S.: Ma dove c’è licenza, è chiaro che lì ognuno può organizzarsi una forma di vita secondo le proprie scelte. A.: Chiaro. S.: Multiformi tipi di uomo, penso, si potranno dunque trovare soprattutto in questa costituzione. A.; Come no? S.: C’è il caso – dissi io – che questa sia la più bella delle costituzioni: come un mantello variopinto, ricamato con ogni sorta di fiori, così anch’essa può apparire bellissima, ricamata com’è con ogni tipo di carattere. E forse – dissi io – molti la giudicherebbero appunto bellissima, alla maniera dei bambini e delle donne quando ammirano le cose colorate», Repubblica, 557c-d.

59 «La forza di una regione non consiste né nella moltitudine dei suoi abitanti e dei suoi guerrieri, né nella

sua fertilità, né nella sua grandezza, bensì soltanto nel modo in cui, attraverso un’unione razionale delle parti in un solo potere statale, tutto ciò può essere impiegato al grande scopo della difesa comune», CG, p. 110.

60 «La causa finale, il fine o il disegno degli uomini (che per natura amano la libertà e il dominio sugli

altri), nell’introdurre quella restrizione su se stessi sotto la quale li vediamo vivere negli Stati, è la previdente preoccupazione della proprio conservazione e di una vita perciò più soddisfatta; cioè a dire il trarsi fuori da quella miserabile condizione di guerra che è un effetto necessario delle passioni naturali degli uomini quando non ci sia alcun potere visibile che li tenga in soggezione e li vincoli con la paura di punizioni […]», Hobbes, Leviatano, Laterza, p. 139.

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abbia alcun potere effettivo, in quanto questo si trova diviso nelle mani dei singoli61, che

sia solamente uno Stato nel pensiero: «Die Auflösung des Problems, wie es möglich wäre, daß Deutschland kein Staat sei und doch ein Staat sei, ergibt sich [dadurch] sehr leicht, daß es ein Staat ist in Gedanken und kein Staat in der Wirklichkeit, daß Formalität und Realität sich trennen, die leere Formalität dem Staat, die Realität aber dem Nichtsein des Staates zugehört62». La realtà dello stato consiste nel suo potere, nella capacità di

adempiere effettivamente allo scopo per cui è preposto, cioè nell’utilizzo di tutte le sue ricchezze (i suoi abitanti e il suo territorio) per la difesa comune attraverso la vernünftige

Verbindung (l’unione razionale). Alla Wirklichkeit dello Stato servono per tanto: delle

risorse, una comunanza di intenti, e un’organizzazione (governativa) razionale che insieme fondi e produca la coscienza di unità. La mancanza di uno di questi aspetti crea quella frattura fra pensiero ed essere che è la molla della riflessione hegeliana e produce il paradosso dell’irrealtà dello stato di cose presenti63.

L’incapacità di dare una soluzione a questo paradosso consente a Maier di affermare, in un suo saggio, che: «Hegel, in questo scritto, non riuscì ancora a conciliare la contraddizione da lui constatata, e invece di riconoscere la realtà nel diritto ed il diritto nella realtà (come fece più tardi nella filosofia del diritto e nella storia) pose, tra i due termini, una radicalizzata contrapposizione: questo deve essere stato un motivo essenziale, forse quello decisivo, perché lo scritto sulla costituzione della Germania non fu mai, lui vivo, dato alle stampe»64.

La ricostruzione storica delle vicende e dei rapporti che intercorrono tra i regni di Prussia-Brandeburgo (regno di Prussia dall’incoronazione del Grande Elettore Federico

61 «Das der Staat nur ein Gedankending ist, liegt darin, daß er als Staat keine Macht hat, sondern daß die

Macht in den Händen der Einzelnen», CG, p.137.

62 «La soluzione del problema di come sia possibile che la Germania non sia uno Stato e tuttavia sia uno

stato, è risultata evidente: essa è uno stato nel pensiero e non è uno stato nella realtà; e cioè formalità e realtà si separano e la pura formalità appartiene allo stato, mentre la realtà al non-essere dello stato», CG, p. 119.

63 Difficilmente il lettore contemporaneo a queste parole hegeliane rivolte alla Germania del suo tempo

non pensa all’Europa attuale. Certo nessuna guerra locale rende tanto cogente l’elaborazione di una strategia per l’unità, eppure le critiche di lontananza, irrealtà politica, mancanza di forza istituzionale da un lato contro ad un’ingerenza forte nelle politiche monetarie dei singoli stati rendono abbastanza fecondo il parallelo. Basterà l’educazione a dare consapevolezza ai cittadini di quell’unità che dall’alto non si è ancora creata? In nome di quale universale siamo uniti? A cosa mira la difesa comune? Sono domande che restano aperte e che hanno urgente bisogno di una risposta ponderata, concreta e credibile.

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di Brandeburgo, nel 1702), il Palatinato (varie volte devastato dalla Francia di Luigi XIV), le lotte con l’Austria per il dominio sulla Slesia, la riconquista dell’Ungheria dopo la cacciata dei Turchi Ottomani arrivati alle Porte di Vienna, la spartizione della Polonia è incredibilmente accurata. Molta attenzione è posta anche alle vicende religiose che sottendono alla creazione degli stati tedeschi secondo quei confini e denotano una profonda cura dell’autore per lo studio degli avvenimenti storici del suo tempo e la profonda consapevolezza di vivere in un momento di grandissima svolta.

Quindi, ricapitolando brevemente: la Germania non è uno stato esistente nella realtà, ma uno stato solo pensato ed il motivo di questo risiede nel fatto che un concetto falso e astratto di libertà ha preso il sopravvento e che il diritto si presenta come diritto dei singoli contro lo Stato. In secondo luogo, l’organizzazione statale toglie vita e coscienza ai suoi sudditi attraverso una stupida e inefficace legiferazione minutissima, che definisce l’estremo particolare tralasciando del tutto il generale. Lo stato che Hegel auspica è, al contrario, una monarchia costituzionale in cui sovrano e cittadini non si relazionino come due personalità, ma attraverso «le leggi, ossia l’universalità», cui è affidata anche la mediazione tra universale e particolare: «den Widerspruch, daß der Staat die höchste Gewalt sei und daß die Einzelnen durch sie nicht erdrückt seien, löst die Macht der Gesetze»65. La lezione che guerra e miseria dovrebbero aver impartito agli stati europei

è la necessità della rinuncia al grido cieco alla libertà e l’apertura alla comprensione che l’anarchia deve andare scissa dalla libertà e «das eine Regierung notwendig zur Freiheit [ist], hat sich tief eingegraben, ebenso tief aber, daß zu Gesetzen und zu den wichtigsten Angelegenheiten eines Staates das Volk mitwirken muß»66.

«La diffidenza nella potenza delle leggi è qualcosa che proviene dalla mancanza di saggezza, qualcosa che oscilla tra la necessità di dare allo stato la potenza suprema, e la paura che il singolo venga schiacciato da essa. Sulla saggezza di questa questione poggia tutta la saggezza degli stati.»

65 CG, p.138. É, a mio avviso, in questa affermazione che Bobbio trova l’appiglio testuale per sostenere

che a partire dagli scritti politici di questo periodo la nozione di «legge» acquisisce sempre maggiore rilevanza nella trattazione filosofica hegeliana. Cfr. N. BOBBIO, Studi hegeliani.

66 «Il grido libertà non farà alcun effetto; l’anarchia si è scissa dalla libertà, e l’idea che un solido governo

sia necessario per la libertà si è ormai saldamente (propongo “profondamente”, più incisivo e letterale) incisa; altrettanto saldamente (di nuovo, “profondamente”) però quella che il popolo deve collaborare alle leggi e agli affari importanti dello Stato». CG, p. 215.

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È con questa nota sul diritto e sulle leggi che ci apprestiamo ad analizzarne il concetto nel prossimo capitolo.

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