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Il fumetto nel mondo arabo: significato e cronistoria di un mezzo di comunicazione occidentale in Medio Oriente

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Academic year: 2021

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I

L

F

UMETTO NEL MONDO ARABO

:

SIGNIFICATO E CRONISTORIA DI UN

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(3)

INDICE

Prefazione Esiste davvero un fumetto Islamico? ... 5

Parte prima - Il fumetto nel mondo Islamico ... 7

Cap. I - Definizione del campo di studio: Medio Oriente, fumetto, arte Islamica ... 8

1.1 Medio Oriente, mondo arabo e mondo Islamico... 8

1.2 Fumetto e illustrazione ... 11

1.3 Arte e fumetto nella cultura Islamica ... 19

Cap. II - Dalle origini del fumetto al 1967 ... 29

2.1 – Dallo scontro con la modernità al primo fumetto mediorientale ... 29

2.2 Al-"Samir" Al-Saghir, "Sinbad: la culla del fumetto arabo tra Egitto e Libano... 35

2.4 – Il nasserismo: dall'alba del movimento alla Guerra dei Sei giorni ... 43

Cap. III - L'evoluzione del fumetto nel continuo scontro tra est e ovest ... 47

3.1. Il continuo scontro tra Medio Oriente e Occidente: la guerra dei Sei giorni e la questione palestinese ... 47

2.2 Politica e religione: i fumetti nel mondo arabo dopo la Guerra dei Sei giorni ... 50

Cap. IV - I fumetti arabi nel XXI secolo ... 68

4.1 – Satrapi, Abirached, Sattouf: i fumettisti arabi conquistano il mondo ... 68

4.2 – Uno sguardo al futuro tra esperimenti e nuove pubblicazioni ... 74

4.3 – Internet e Primavere arabe: quale rapporto? ... 79

Parte Seconda - Il fumetto sul mondo Islamico ... 86

Cap. V - Islam e fumetti occidentali ... 87

5.1 – Comic, graphic novel, graphic journalism ... 87

5.2 Joe Sacco: graphic journalism e Medio Oriente ... 91

5.3 - «Storione» dal Medio Oriente: da Guy Delisle a Zerocalcare, il successo del “fumetto di realtà” ... 94

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(5)

P

REFAZIONE

E

SISTE DAVVERO UN FUMETTO

I

SLAMICO

?

Più o meno questa era la domanda che, nel corso dell'anno che ho impiegato per portare a termine questo lavoro, mi veniva rivolta più spesso da chi mi chiedeva su cosa stessi scrivendo la tesi. Ogni volta che accadeva, arrivava un'ulteriore conferma di quanto poco fosse conosciuto questo mondo e quanto poco spazio abbia ricevuto in Italia e in tutto il mondo occidentale. Non che ci sia da stupirsi: in Italia a scuola non si studiano Pratt né il Corriere dei piccoli, non le opere di Jacovitti o Bonvi né il lavoro di Manara o Crepax. Figurarsi come si potrebbe conoscere quello che ha significato e tuttora significa il fumetto in Medio Oriente, dalle produzioni locali ai fumetti importati. Opere giunte da quell'occidente che nel corso della storia ha segnato in modo indelebile la sottomissione degli stati arabi dapprima attraverso il colonialismo, poi semplicemente sfruttandone le risorse e controllandone dall'alto la situazione geopolitica.

Come si potrebbe conoscere qualcosa di fumetto e di Medio Oriente, quando tanto la letteratura a fumetti quanto la storia del Medio Oriente vengono sistematicamente ignorate da un sistema di istruzione superiore che porta liceali a diplomarsi senza sapere nulla della cultura araba, di Islam, del conflitto tra Israele e Palestina? Quel mondo occidentale che un certo tipo di retorica conservatrice definisce sotto assedio pretende di confrontarsi con l'Islam interpretandolo secondo schemi occidentali e conducendo la discussione secondo una dicotomia giusto/sbagliato che può soltanto esacerbare il conflitto e peggiorare le relazioni tra due culture che stanno vivendo un momento di grande difficoltà.

Lungi da voler presentare questo saggio come un'esaustiva guida alla cultura fumettistica mediorientale, spero solo che riuscirà a dare un piccolo contributo tanto alla conoscenza del mondo arabo-Islamico, quanto agli studi di settore in ambito fumettistico. Nel portare avanti il lavoro ho infatti notato che in Italia non esiste una vera e propria cronistoria della produzione fumettistica nel mondo Islamico, né una lettura della stessa alla luce della situazione politica al tempo vigente. Con questo studio si cerca dunque di fornire una bozza di storiografia del fumetto arabo, sicuramente

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migliorabile da chi vorrà e saprà approfondire i numerosi dettagli che inevitabilmente emergono. Del resto, stiamo parlando di più di mezzo secolo di storia di un medium la cui bibliografia è limitata e frammentata, sparsa tra pubblicazioni di vecchia data, interviste e articoli ben nascosti sul web.

Nell'ambito dello scontro tra Est e Ovest che viviamo quotidianamente, ho voluto dedicare la parte principale dello studio al fumetto nel mondo islamico, inteso come pubblicato da autori islamici. In chiusura, poi, ho voluto soffermarmi su una seconda parte avente ad oggetto il fumetto sul mondo Islamico, inteso come pubblicato da autori occidentali.

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P

ARTE PRIMA

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I

D

EFINIZIONE DEL CAMPO DI STUDIO

:

M

EDIO

O

RIENTE

,

FUMETTO

,

ARTE

I

SLAMICA

1.1 Medio Oriente, mondo arabo e mondo Islamico

Prima di poter analizzare la funzione e la storia del fumetto all'interno della società Islamica è doveroso chiarire le ragioni per le quali il lavoro prende come punto di riferimento principale proprio il mondo Islamico nel suo complesso e non due ambiti ad esso strettamente collegati, ma indiscutibilmente differenti, quali sono il mondo arabo e quell'area geografica che chiamiamo Medio Oriente. Proprio per via della loro interrelazione, d'altra parte, tutti e tre i concetti ricorreranno frequentemente all'interno dello studio, rendendo di primaria importanza l'assoluta chiarezza nella loro interpretazione.

Partendo innanzitutto dal criterio geografico, l'espressione «Medio Oriente» nasce a fine Ottocento1, quando la diplomazia inglese e quella francese identificavano così l'area che andava dalle coste orientali del Mediterraneo e del Mar Rosso fino alle coste indiane. Il termine, coniato dal militare statunitense Alfred Thayer, era utilizzato in contrapposizione al «Vicino Oriente», espressione che ha «un'estensione più ristretta comprendendo, grosso modo, le terre che vanno dall'Egitto all'Iraq (asse ovest-est) e dalla Turchia allo Yemen (asse nord-sud)»2. L'«Estremo Oriente», invece, era allora identificato con i territori oltre le coste indiane. Per quanto riguarda la situazione odierna, tornerà particolarmente utile la definizione di Campanini, che identifica il «Medio Oriente» con l'area comprendente «tutto il territorio che va dal Marocco all'Iran»3, pur sottolineando egli stesso come la definizione, proprio a causa della storia complessa della regione e dei numerosi fattori politico-sociali che entrano in gioco, sia inevitabilmente «carica di risvolti negativi e di imprecisioni»4. Dal momento che, pur in questo contesto di relativa difficoltà interpretativa, risulta di fondamentale importanza circoscrivere con chiarezza una zona che si rivelerà di interesse

1

M. Campanini, Storia del Medio Oriente Contemporaneo, Bologna, Il Mulino, 2014, p. 8

2

ibidem

3 M. Campanini, Storia dell'Egitto Contemporaneo, Roma, Edizioni Lavoro, 2005, p. 8. 4 ibidem

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primario in questo studio, parlando di «Medio Oriente» farò riferimento dunque a quell'area che spesso viene definita anche Grande Medio Oriente, zona che si estende dall’Africa mediterranea (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto) all’Asia centrale e meridionale (Pakistan, Afghanistan), includendo a nord la Turchia e il Sudan a sud5.

Figura 1 - Mappa del Medio Oriente

Lo stesso concetto di Medio Oriente tuttavia contiene in sé molti soggetti differenti per organizzazione politica, appartenenza religiosa e organizzazione sociale. Proprio per questo motivo l'analisi non avrebbe potuto limitarsi a un filtro di tipo geografico. Se è vero infatti che è impossibile parlare di Medio Oriente senza parlare di Islam, «unica categoria interpretativa che può rispondere al criterio della trasversalità»6 all'interno della realtà mediorientale, è altrettanto innegabile che parlando di Islam non si parla soltanto di Medio Oriente. La religione ormai da tempo ha travalicato i confini geografici all'interno dei quali è nata, diffondendosi nel corso dei secoli in pressoché tutto il globo. Ad oggi, il numero degli aderenti all'Islam nel mondo supera il miliardo e mezzo7 e appare in continua espansione, continuando a diffondersi principalmente attraverso i flussi migratori in Europa Occidentale e negli Stati Uniti. Secondo le stime del Pew Research Center, infatti, l'Islam è la religione in più rapida crescita: nel 2050 i musulmani saranno il

5

Fig. 1 - http://www.wtcde.com/external/WCPages/WCMedia/Images/MENA_region_map_72543714.jpg

6

M. Campanini, Storia dell'Egitto contemporaneo, p. 9.

7 Cfr. The Future of World Religions: Population Growth Projections, 2010-2050, in «Pew Research Center», Aprile

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73% in più nel mondo rispetto al 20108, rappresentando in termini percentuali il 29% della popolazione mondiale contro il 23% odierno9 e segnando, entro tale data, l'affermazione dell'Islamismo quale religione più praticata in alcuni paesi di cultura storicamente occidentale come Australia, Regno Unito, Francia, Nuova Zelanda e Olanda10. Entro fine secolo, poi, se il trend verrà rispettato e in assenza di eventi esterni che ne alterino lo sviluppo, l'Islam diventerà la religione più praticata al mondo11. A questo proposito è importante sottolineare che, nel 2015, soltanto il 15% dei musulmani presenti nel mondo viveva in Medio Oriente12. Nel 2011, la popolazione di religione Islamica rappresentava l'82,1% in Albania, il 41,6% in Bosnia Herzegovina, il 34,9% in Macedonia, il 18,5% in Montenegro, l'11,7% in Russia ed era superiore al 5% in Germania, Francia, Belgio, Olanda, Austria e Svizzera13. Se è vero, insomma, che sarebbe impossibile tracciare una storia del fumetto in Medio Oriente senza considerare l'Islam, è altrettanto innegabile che sarebbe impossibile scrivere del fumetto nel mondo Islamico facendo riferimento soltanto alla realtà mediorientale. Si vedrà, ad esempio, quale rapporto privilegiato intrattenga il fumetto algerino con la Francia, o come la cultura del fumetto occidentale sia stata inizialmente recepita e poi parzialmente rifiutata all'interno del mondo Islamico. In termini tragicamente concreti, i recenti avvenimenti di “Charlie

Hebdo” sono un esempio lampante dell'impatto del fumetto sulla cultura Islamica e delle sue

ricadute al di fuori del Medio Oriente.

Allo stesso modo, sarebbe limitante parlare soltanto di fumetti del mondo arabo o arabo-Islamico. Per quanto sia personalmente dell'idea, citando ancora Campanini, che «il cuore dell'Islam rimanga l'arabismo e, viceversa, che il cuore dell'arabismo sia l'Islam»14, la religione conta tra i credenti una componente non araba sempre più cospicua che sta assumendo una rilevanza particolarmente importante all'interno del califfato dell'I.S.15, nel quale si arruolano quotidianamente integralisti

8 Cfr. The Future of World Religions..., in «Pew Research Center», Aprile 2015, p. 1 9

Ibidem

10 ibidem 11 ibidem

12 Cfr. A. Martorana, L'Islam ed i musulmani: i cinque miti da sfatare, in «International Business Times», 2015.

http://it.ibtimes.com/lIslam-ed-i-musulmani-cinque-miti-da-sfatare-1384595.

13 "Religious Composition by Country, 2010-2050", in "Pew Research Center", 27 gennaio 2011.

http://www.pewforum.org/2011/01/27/table-muslim-population-by-country/

14

M. Campanini, Storia dell'Egitto contemporaneo, p. 9.

15

L'I.S., o «Islamic State», è il gruppo jihadista salafita che segue una lettura fondamentalista e violenta del Corano. Entrato in scena nel 2014, negli ultimi due anni si è espanso in Iraq e Siria rendendosi tristemente noto per attentati terroristici, uccisioni di massa, esecuzioni capitali e rapimenti.

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votati alla jihad16 provenienti da ogni parte del mondo a prescindere dalla loro etnia. Inoltre, una definizione incentrata sull'arabismo escluderebbe di fatto l'Iran, paese di importanza fondamentale per la storia del fumetto nei paesi Islamici. Proprio per questi motivi ritengo dunque appropriato fare riferimento al concetto di mondo Islamico in un'accezione differente rispetto a quella di un mero insieme di paesi, regioni e società. Una visione del genere, infatti, escluderebbe dal nostro campo di studio tutto ciò ha luogo al di fuori di tali territori e, allo stesso tempo, risulterebbe ambigua anche a livello puramente concettuale, presupponendo «l'esistenza di un'effettiva unità culturale dei musulmani»17. Considererò piuttosto il mondo Islamico nel suo complesso, inteso quale cultura che affonda le proprie radici nella società e trova nella stessa la propria realizzazione: «una rete di relazioni sociali i cui confini, ammesso che si possano determinare, non sono marcati da entità politiche o sociali, dal momento che l'Islam abbraccia qualcosa di più che paesi e stati»18. In questa analisi, quindi, risulterà centrale il ruolo che ha giocato – e tuttora gioca – il fumetto all'interno di società Islamiche di varia matrice ed etnia.

Al contempo, qualunque società musulmana è inevitabilmente differente dalle altre tanto per contesto geografico e composizione etnica, quanto per l'eterogeneità teologica interna che la caratterizza. Se infatti la stragrande maggioranza dei musulmani è sunnita (oltre il 90%), le minoranze giocano comunque un ruolo fondamentale tanto nella civiltà Islamica quanto nello scacchiere internazionale: l'Islamismo sciita in Iran rappresenta il 93% della popolazione e in Libano ha dato vita al partito fondamentalista Hezbollah, da più di tre decadi al centro della vita politica della regione. A sua volta, la minoranza alawita da più di mezzo secolo governa la Siria col la famiglia Assad. Il presente studio volge pertanto verso l'identificazione della funzione svolta da fumetto e illustrazione all'interno della cultura Islamica nel suo complesso, affrontando, laddove necessario, il ruolo giocato dalle divisioni religiose. L'analisi, principalmente incentrata sul ruolo giocato dalla bande dessinnée nei paesi a maggioranza Islamica, si rivolgerà verso altre regioni in qualunque momento sia necessario considerare l'influenza esercitata al loro interno dal mondo Islamico.

1.2 Fumetto e illustrazione

16 Letteralmente «sforzo teso verso uno scopo», volto sia all'automiglioramento del credente sia, secondo le

interpretazioni più integraliste, alla guerra verso i non musulmani. Nonostante non sia esplicitamente declinata in questo modo nel Corano, negli anni ha acquisito un significato prevalentemente militare.

17 R. Schulze, Il Mondo Islamico nel XX secolo. Politica e società civile, Milano, Feltrinelli Editore, 2004, p. 9. 18 ibidem

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Il secondo e fondamentale concetto da definire prima di intraprendere uno studio di questo genere è quello relativo alla parola «fumetto». Prima ancora di dedicarci alla classificazione tecnica di questo tipo di medium19 o alla sua storia, infatti, è importante capire di fronte a che cosa ci troviamo a livello puramente concettuale. Segnato da una vita di stenti e nato come intrattenimento puro e fenomeno culturale del tutto marginale, il fumetto soffre sin dalla sua nascita di un'idea che lo vuole relegato a «cultura popolare» intesa come prodotto di intrattenimento leggero e arte minore20, la quale incredibilmente trova ancora oggi diversi sostenitori21: anche nella lingua italiana, del resto, persiste in senso figurato l'utilizzo del termine fumetto per indicare un'opera narrativa banale e di scarso valore22.

Innanzitutto, lo stesso concetto di cultura di popolare deve essere chiarito. La cultura popolare, in italiano, è nient'altro che la cultura «folk, pre-industriale o comunque sopravvissuta all'industrialismo»23. Ciò che nella nostra lingua equivale alla popolar culture anglosassone, invece, è quella che chiamiamo «cultura di massa», associata – appunto – all'idea di cultura inferiore24, rivolta a un pubblico vasto e indifferenziato, non necessariamente composto da persone istruite, e prodotta da un'industria preposta – quella culturale – che, guidata da esigenze economiche, fabbrica prodotti in serie senza curarsi di differenziarli l'uno dall'altro, quasi dovesse ripercorrere l'iter della letteratura ottocentesca – quella sì, popolare – dei romanzi d'appendice appositamente strutturati per risultare accessibili, prevedibili e ripetitivi. Insomma, la cultura di massa rappresenta un prodotto artificiale, costruito ad hoc, che va a sostituirsi alla cultura del popolo, spontanea, tipica delle società tradizionali. Negli anni '30 si profetizzava persino che la diffusione e proliferazione della cosiddetta cultura di massa avrebbero necessariamente avuto come conseguenza l'abbattimento del

19 Con “medium” farò riferimento, nel corso dell'opera, al singolo mezzo di comunicazione e di informazione facente

parte di quelli che complessivamente sono chiamati, con espressione inglese, media.

20 Cfr. La riscossa del fumetto, in «Treccani riviste», 2014.

http://www.treccani.it/riviste/cultura/La_riscossa_del_fumetto.html#

21 Cfr. A. Vertaldi, Finkielkraut considère la bande dessinée comme un art mineur, in «Le Figaro», 13 Giugno 2014.

http://www.lefigaro.fr/bd/2014/06/13/03014-20140613ARTFIG00324-finkielkraut-considere-la-bande-dessinee-comme-un-art-mineur.php

22 Si vedano, tra le altre, le definizioni date dai dizionari Garzanti

(http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=fumetto%201) e Corriere

(http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/F/fumetto.shtml).

23

Cfr. Wu Ming, La cultura di massa e la cultura popolare, in «Apogeonline», 27 Settembre 2007. http://www.apogeonline.com/webzine/2007/09/27/19/200709271901

24 Passim C. Bisoni, Il campo del popolare: definizioni e ri-definizioni, in «AMS Acta Alma Mater Studiorum,

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livello culturale, facendolo giungere al minimo denominatore comune e rendendo le persone succubi della capacità di persuasione dell'industria25. I lavori dei più conosciuti studiosi della Scuola di Francoforte26 del resto erano pervasi da un totale pessimismo nei confronti della cultura di massa, alla quale si giungeva persino a negare una vera ragione di esistenza che non fosse quella dell'asservimento al potere: Max Horkheimer e Theodor Adorno non esitavano ad accomunare nazismo e società statunitense in quanto «basate entrambe sulla perpetuazione dell'ordine gerarchico, sfruttamento, controllo e repressione ideologica»27, dove a cambiare erano soltanto i modi attraverso i quali veniva attuato l'assoggettamento delle masse: «per il nazismo, terrore e propaganda politica. Per il sistema democratico americano, un impiego raffinato e capillare dei mass media e della cultura di massa»28.

A tanto arrivava l'odio nei confronti della cultura di massa, ritenuta da buona parte degli studiosi dell'epoca responsabile dell'alienazione dell'uomo negli pseudobisogni creati artificiosamente dall'industria della cultura e complice tanto di una semplificazione delle coscienze quanto di un livellamento dei comportamenti individuali. Negli stessi anni, in realtà, Edward Shils e altri studiosi predicavano già che la cultura di massa non aveva tali effetti disastrosi, ma che valorizzava piuttosto l'individualità, diversificando i materiali di cultura popolare e accrescendone la qualità grazie all'incremento del livello di benessere e tempo libero, entrato a far parte della quotidianità della società occidentale durante il secondo dopoguerra facendo sì che, per la prima volta nella storia, le persone potessero «creare e consumare i loro stessi prodotti culturali»29. Inevitabilmente si assistette ben presto alla «contrapposizione sterile tra coloro che tendevano a sopravvalutare il potere di condizionamento delle coscienze e di incidenza sulle strutture della realtà operato dai mass media e coloro che miravano a rappresentare un'immagine mitizzata del loro servizio sociale», presentando i mezzi di comunicazione come fondamentali fattori di democrazia ed egualitarismo, nonché strumento di acculturazione di strati sociali sino ad allora emarginati30.

La storia stessa, così come i successivi studi in materia, riveleranno come entrambe queste posizioni fossero viziate da un carattere fortemente astratto31: proprio i nuovi fenomeni sociali di

25 Cfr. A. Lanza, Il secondo Novecento, Torino, EDT, 2014, p. 209.

26 Scuola di filosofia sociale nata nel 1923 nella città tedesca di Francoforte ed esauritosi negli anni '70. Tra i suoi

esponenti principali vi furono Max Horkheimer, Theodor Adorno, Herbert Marcuse e Jurgen Habermas.

27 A. Lanza, op. cit., p. 7. 28 ibidem 29 ivi, p. 210. 30 ivi, p. 9. 31 ibidem

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contestazione del sistema e l'utilizzo alternativo dei mass media permettono oggi di «rivalutare la capacità del destinatario di sottrarsi al bombardamento ideologico dei mezzi di comunicazione»32, permettendoci di affermare, citando Henry Jenkins, che «viviamo in un mondo di infinite nicchie e sottogeneri»33. Purtroppo questo non significa che determinate idee sulla cultura di massa siano svanite: il problema è piuttosto che c'è una concezione sbagliata di ciò che è cultura di massa. Insomma, «il dibattito italiano sulla cultura pop novanta volte su cento riguarda la spazzatura che ci propina la televisione, come se il popular fosse per forza quello»34.

All'interno di questa cornice, dovettero arrivare gli anni Sessanta in Italia affinché il fumetto riuscisse a ribellarsi all'editoria tradizionale e diventare oggetto di un dibattito intellettuale. Ad avviarlo fu Umberto Eco, come l'autore stesso non mancava di ricordare35: nel 1964 uscì infatti

Apocalittici e Integrati, opera di importanza capitale nello studio dei mass media nel nostro paese.

Proprio al fumetto Eco dedicò pagine senza le quali, riportando le parole di Matteo Stefanelli, «la nostra conoscenza del mezzo non avrebbe ricevuto lo slancio che ci ha condotti fino a qui»36. In Italia si iniziò allora a pubblicare traduzioni di saggi dedicati al linguaggio dei fumetti, portando nel nostro paese quelle argomentazioni tese a «dimostrare che i fumetti avevano un linguaggio autonomo, che erano dunque un genere, che potevano dare esiti artistici, che non rovinavano la mente ai piccoli e non si limitavano a insufflare perverse psicologie negli adulti, che potevano sfuggire ai condizionamenti mercantili da cui erano nati»37. Il fumetto è insomma specchio dei tempi al pari della letteratura, del cinema o del teatro, così come lo sono i videogiochi o il cinema d'animazione, in grado di plasmare tanto l'immaginario collettivo quanto la formazione culturale di più generazioni, sebbene con modi e intensità diversi a seconda del mezzo e del periodo. La premessa fondamentale dalla quale è necessario partire prima di affrontare qualunque studio, quindi, è proprio che il fumetto è innanzitutto un mezzo di comunicazione dotato della medesima dignità degli altri, in grado di veicolare qualunque tipo di significato con un proprio linguaggio peculiare, di rappresentare la realtà così come di veicolare significati astratti, di esprimersi in modo

32 ibidem

33 Wu Ming, art. cit. 34 ibidem

35 Cfr. l'intervista a Umberto Eco a cura di Antonio Gnoli, «Da Manzoni a Topo Gigio, le storie della mia vita», in «la

Repubblica.it», 3 gennaio 2012. http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2012/01/03/news/intervista_umberto_eco-27522936/

36

M. Stefanelli, Apocalittici e integrati, 1964-2014, in «Fumettologica», 6 marzo 2014. http://www.fumettologica.it/2014/03/apocalittici-e-integrati-1964-2014/

37 U.Eco, 4 modi di parlare di fumetti, in «Fucine mute», 1 ottobre 1999.

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tanto realistico quanto simbolico, di utilizzare un codice ora vicino al popolo, ora lontano dallo stesso. Come vedremo il fumetto svolge tuttora un ruolo fondamentale a livello di alfabetizzazione, aiutando i più piccoli a familiarizzare con la lettura, arricchendo il loro lessico e creando personaggi che entrano a far parte del folklore o di una vera e propria mitologia. Proprio grazie alla sua natura il fumetto è stato utilizzato nel corso degli anni come strumento di denuncia o mezzo di propaganda, accostando il potere del linguaggio visivo a quello del verbale e dell'audiovisivo. Di fatto, se è vero che oggi «sono passati certo i tempi in cui dedicare un saggio critico al fenomeno fumetto era accolto, negli ambienti seri, da un coro di riprovazioni»38, non c'è altro da aggiungere per rimarcare ulteriormente la dignità del medium. Rimane tuttavia da chiarire, al fine di poter davvero dare un significato a queste affermazioni, una questione tutt'altro che semplice: che cosa si debba intendere per “fumetto”.

L'enciclopedia Treccani parla di «storia composta da immagini in sequenza, cioè accostate l’una all’altra in modo da suggerire l’idea del movimento, i cui protagonisti parlano spesso per mezzo di ‘nuvole di fumo’ che provengono dalle loro bocche (i fumetti)».39 Secondo Will Eisner, autore e teorico del medium, il fumetto è «arte sequenziale» che deve essere compresa attraverso il rapporto autore – messaggio (codice) – ricevente, dal momento che gli elementi del fumetto sono «la base più di un'arte della comunicazione che di una semplice branchia dell'arte figurativa»40. L'autore americano Scott McCloud, negli anni Novanta, ha approfondito questa definizione arrivando a parlare di fumetto come «immagini statiche e altre figure giustapposte in una deliberata sequenza»41. Sulla questione è intervenuto anche Bonomo, definendo la nona arte «narrazione di una storia attraverso una sequenza logica di immagini disegnate che prevedono, attraverso l'utilizzo di alcuni suoi elementi fondanti, la possibilità di includere il testo scritto».42 È chiaro, dunque, che vi sono alcuni fattori sui quali non sembra esserci margine di dubbio. Prima di tutto, il fumetto è una storia. Inoltre, differisce dall'illustrazione in quanto quest'ultima «illustra un testo che già esiste autonomamente e che esisterebbe anche senza di lei».43 Infine il testo non è un elemento imprescindibile del medium.

38 ibidem

39 Treccani, L'enciclopedia italiana, sub voce «Fumetto» in «Enciclopedie online».

http://www.treccani.it/enciclopedia/fumetto/

40 D. Bonomo, Will Eisner. Il fumetto come arte sequenziale, Mottola, Tunué, 2005, p. 7. 41 S. McCloud, Capire il Fumetto. L'arte invisibile, Torino, Pavesio, 2007, p. 17. 42

D. Bonomo, op. cit., p. 5

43

D. Barbieri nell'intervista a cura di M. Agostinelli e C. Bonadonna, Barbieri e i linguaggi del fumetto, in «Rai Cultura – Letteratura». http://www.letteratura.rai.it/articoli-programma/barbieri-e-i-linguaggi-del-fumetto/1224/default.aspx

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Arrivati a questo punto, è lecito chiedersi come definire, ad esempio, le pitture rupestri o gli affreschi: dal momento che, come abbiamo visto, il supporto non entra in maniera rilevante nella definizione di fumetto, ci si può domandare se si possano considerare “fumetto” anche queste ultime composizioni. D'altra parte, non si può certo negare che la Colonna Traiana44 sia un esempio di immagini statiche in sequenza, né che l'Iscrizione di San Clemente e Sisinnio45 narri una storia per immagini.

Figura 2- Dettaglio della Colonna Traiana

Figura 3- Iscrizione di San Clemente e Sisinnio

Ancora una volta tornerà utile dare uno sguardo a ciò che riporta un'enciclopedia:

benché nel passato non manchino esempi di composizioni pittoriche o grafiche in cui si inseriscono scritte e battute dialogiche (talvolta uscenti dalla bocca stessa dei personaggi raffigurati, come in taluni affreschi medievali o, più tardi, in stampe, soprattutto satiriche), il f. come specifica e autonoma forma di espressione è fenomeno squisitamente moderno, la cui nascita è da mettersi in relazione con la crescente espansione della stampa quotidiana nei paesi industriali alla fine dell’Ottocento, con il progredire dei procedimenti per la stampa a colori a grandi tirature e in genere con il diffondersi dei mezzi di comunicazione di massa, soprattutto del cinema.46

L'affermazione che il fumetto è «fenomeno squisitamente moderno» è fondamentale ai fini della circoscrizione di uno studio che, invero, a seconda dell'accezione adottata potrebbe estendersi sino agli albori della società Islamica. Il presente lavoro partirà invece dal XX secolo e, per l'appunto, dal fumetto come mezzo di divulgazione di massa a grande tiratura. Ancora una volta, è

44 Fig. 2 – https://ancienthumans.files.wordpress.com/2014/12/colonna-traiana-3.jpg 45

Fig. 3 – https://liveromeguide.wordpress.com/2013/06/05/iscrizione-di-san-clemente-e-sisinnio-nei-sotterranei-di-san-clemente-a-roma/#jp-carousel-1144

46 Treccani, L'enciclopedia italiana, sub voce Fumetto in Enciclopedie online.

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fondamentale soffermarsi sui termini: il «fumetto a grande tiratura» fa parte della «cultura di massa», ma non significa necessariamente «fumetto popolare». Risulta particolarmente utile, per chiarire questo punto, l'analisi del mezzo elaborata da Roberto Recchioni, una delle principali voci del fumetto italiano contemporaneo.

Secondo Recchioni il fumetto popolare è «un'aspirazione a un linguaggio versatile e condiviso […], ricerca e applicazione di un linguaggio flessibile ma compreso dal maggior numero possibile di persone»47. Risulta ancora evidente come «popolare» non significhi «di massa»: le stesse pitture rupestri erano una forma di comunicazione popolare - versatile e condivisa - nel sistema di riferimento socio-culturale all'interno del quale venivano realizzate. Quindi, il solo fatto che sia «popolare» non ci aiuta a isolare l'analisi al XX secolo. A farlo è piuttosto la concezione di fumetto quale mezzo di comunicazione di massa: la ragione per la quale il fumetto rappresenta un'innovazione sul piano comunicativo, rispetto alla tradizione europea, è proprio nella sua natura mediologica. L'invenzione della stampa conferisce all'uomo la possibilità di raggiungere masse di persone e il primo esempio di diffusione del fumetto su larga scala si avrà con la pubblicazione delle prime storie sui quotidiani americani. Dunque anche in questo caso, come secoli prima quando gli uomini disegnavano sulla pietra, «il contenitore definisce la forma»48, per dirla con Recchioni: «Il fumetto trova il suo primo sviluppo in strisce perché quella è la forma più comoda per presentarlo sui quotidiani»49. Pertanto, sebbene le origini del fumetto siano state recentemente fatte risalire dagli studiosi alla produzione dello svizzero Rodolphe Töpffer (1799-1846)50, smentendo la teoria che attribuiva l'invenzione del fumetto a Richard Outcault (1863-1928) con il suo “The Yellow Kid”51, quest'ultimo rimane comunque riconosciuto come segnale dell'avvento del fumetto

47 R. Recchioni, Chiacchiere sul fumetto popolare: parte prima, in «Dalla parte di Asso: perché per i bulli non tifa mai

nessuno», 16 ottobre 2012. http://prontoallaresa.blogspot.it/2012/10/chiacchiere-sul-fumetto-popolare-parte.html

48

R. Recchioni, Chiacchiere sul fumetto popolare: parte seconda, in «Dalla parte di Asso: perché per i bulli non tifa mai nessuno», 3 gennaio 2013. http://prontoallaresa.blogspot.it/2013/01/chiacchiere-sul-fumetto-popolare-parte.html

49 ibidem

50 Illustratore considerato uno dei padri fondatori del fumetto moderno, pubblicò tra il 1837 e il 1846 diverse storie

illustrate, definendole opere nelle quali «i disegni senza testo avrebbero un significato oscuro, i testi senza disegno non avrebbero alcun significato». Fig. 4 - http://2.bp.blogspot.com/-5L64aEn-dcM/Vf2LZQBQysI/AAAAAAAAFL4/9hNqU-ZXLd0/s1600/Toepffer_Cryptogame_13.png

51

Bambino vestito di una camicia da notte gialla che gli copriva tutto il corpo, protagonista della strip comica

Hogan's Halley. Conobbe il successo nel 1895, al momento della sua prima pubblicazione a colori sul supplemento

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come fenomeno di massa52, colui che diede il via alla massiccia presenza nei quotidiani americani delle cosiddette strips. Nate principalmente come espedien

supplemento domenicale del New York Journal

successo e presero ben presto il posto dei romanzi d'appendice che tanta fortuna avevano avuto nel corso del XIX secolo. A partire da questo momento la diffusione conoscerà un crescendo, arrivando ad affermarsi in tutta Europa e, come si vedrà, anche in Medio Oriente:

The popular culture of the cities, today, mixes surviving rural, folk

which comic strips form a part, along with cinema, television, popular music, the more popular press etc. This mass culture, associated with modern media, has been to a considerable degree either imported from the West or created locally in response to the challenge of Western mass culture. […] A modern, mass

coming into being as a variant and a challenge to the dominant secular high culture.

Figura 4 - Due vignette di Rödolphe Topffer

52 Cfr. Il fumetto: dalle origini al Primo Novecento

http://www.girodivite.it/antenati/xx1sec/fumetto1.htm

53

Cfr. S. Pennacchioli, La nascita (definitiva) del http://lucaboschi.nova100.ilsole24ore.com/2013/06/27/la

54 A. Douglas, F. Malti-Douglas, Arab Comic Strips: Politics of an Emerging Mass Culture

1994.

, colui che diede il via alla massiccia presenza nei quotidiani americani . Nate principalmente come espediente per aumentare le vendite all'interno del supplemento domenicale del New York Journal53, queste furono immediatamente accolte da grande successo e presero ben presto il posto dei romanzi d'appendice che tanta fortuna avevano avuto nel . A partire da questo momento la diffusione conoscerà un crescendo, arrivando ad affermarsi in tutta Europa e, come si vedrà, anche in Medio Oriente:

The popular culture of the cities, today, mixes surviving rural, folk-cultural elements and the new mass c

which comic strips form a part, along with cinema, television, popular music, the more popular press etc. This mass culture, associated with modern media, has been to a considerable degree either imported from the West or created

onse to the challenge of Western mass culture. […] A modern, mass-media-coming into being as a variant and a challenge to the dominant secular high culture.54

Due vignette di Rödolphe Topffer Figura 5 - The Yellow Kid, di Richard Outcault

Il fumetto: dalle origini al Primo Novecento in «Giro di Vite». http://www.girodivite.it/antenati/xx1sec/fumetto1.htm

La nascita (definitiva) del fumetto, in «Nòva – Il Sole 24 Ore», 27 giugno 2013.

http://lucaboschi.nova100.ilsole24ore.com/2013/06/27/la-nascita-definitiva-del-fumetto-di

Arab Comic Strips: Politics of an Emerging Mass Culture

, colui che diede il via alla massiccia presenza nei quotidiani americani te per aumentare le vendite all'interno del , queste furono immediatamente accolte da grande successo e presero ben presto il posto dei romanzi d'appendice che tanta fortuna avevano avuto nel . A partire da questo momento la diffusione conoscerà un crescendo, arrivando

cultural elements and the new mass culture, of which comic strips form a part, along with cinema, television, popular music, the more popular press etc. This mass culture, associated with modern media, has been to a considerable degree either imported from the West or created -oriented Islamic culture is

The Yellow Kid, di Richard Outcault

in «Giro di Vite». Il Sole 24 Ore», 27 giugno 2013.

di-sauro-pennacchioli/

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1.3 Arte e fumetto nella cultura Islamica

Definiti i due termini principali oggetto dello studio, per avere un'idea chiara del contesto all'interno del quale si svilupperà il fumetto del XX secolo nel mondo Islamico è fondamentale dare uno sguardo alla concezione, ben diversa sia da quella occidentale sia da quella orientale, che esso ha dell'arte. I traguardi raggiunti dall'arte Islamica si instaurano senza alcun dubbio tra i più importanti risultati conseguiti a livello mondiale nella storia della materia, ma sono tuttavia limitati da un'importante obiezione teologica. Di fatto, la premessa fondamentale con la quale tutto il discorso sul fumetto nel mondo Islamico deve fare i conti è che «l'immagine è sempre esistita nell'Islam, ma le sue funzioni erano diverse da quella che aveva in Occidente, particolarmente in campo religioso»55. Sin dalla metà del secolo VIII, infatti, parte dell'Islam considera inammissibile l'immagine intesa come rappresentazione di essere vivente che possiede un soffio vitale, facendo quindi dell'aniconismo56 la dottrina dominante della propria fede. Secondo questa interpretazione le raffigurazioni visive avrebbero potuto essere considerate idoli, come accadeva nell'Arabia pre-Islamica che pullulava di immagini sotto forma di statue o pitture.

Contrariamente a quanto si potrebbe intuitivamente pensare, tale obiezione non trae origine dal Corano57, dove Sir Thomas Arnold e Alfred Guillame identificano il solo passaggio vagamente collegato al tema nel verso 92: «O fedeli, il vino e il gioco d'azzardo e le statue e le (divine) armi sono un abominio dell'opera di Satana; pertanto, evitateli!»58. La stessa parola che in arabo designa l'immagine (sura) compare una sola volta all'interno del Corano. A determinare l'intransigenza alla base dell'obiezione teologica verso pittura e scultura sono piuttosto due hadith59 attribuiti al Profeta: il primo recita che «nel giorno del Giudizio agli artisti potrebbe essere chiesto di ricreare le loro opere; e non riuscendoci saranno puniti severamente», mentre il monito oggetto del secondo è che «quelli che saranno puniti più severamente da Dio nel giorno del Giudizio saranno i pittori e gli

55 S. Naef, La questione dell'immagine nell'Islam, Milano, ObarraO edizioni, 2011, p. 8.

56 L'aniconismo è il divieto di raffigurazione del volto umano e divino come precetto di alcune religioni.

57 Cfr. I. Sabbatini, Aniconismo e Iconoclastia, in «Medievista.it», 21 febbraio 2015.

http://www.medievista.it/2015/02/21/aniconismo-e-iconoclastia/

58 Cfr. T. Arnold, A. Guillaume, The Islamic Art and Architecture, Cambridge, Good-work Books, 2001, pp.4-6. 59 Gli hadith, spesso definiti come “tradizione profetica”, sono testi che raccontano detti e gesta del Profeta. Insieme

al Corano, sono parte fondamentale nell'elaborazione teologica e giuridica della comunità musulmana, tanto nel sunnismo quanto nello sciismo. Dal momento che ci si rese presto conto della circolazione di hadith falsi, tra il IX e l'XI secolo gli hadith vennero selezionati in sei raccolte canoniche dai sunniti e in quattro libri dagli sciiti duodecimani.

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scrittori»60. Questi due hadith, uniti a un «sentimento collettivo»61 di un'intera società, spingono la parte più intransigente dei credenti a sostenere che «nel modellare la forma di un essere che prende vita, il pittore sta usurpando la funzione creativa del Creatore e sta tentando di assimilare se stesso in Dio»62. Proprio qua entrerebbe infatti in gioco il Corano: la parola araba che identifica il pittore, così come lo scultore, è musawwir, letteralmente «formatore, modellatore, che dà la forma»63. La stessa usata per indicare Dio nel libro sacro: «significa il Creatore, il Produttore, l'Inventore, Colui che suscita all'esistenza quel che Egli ha decretato e deciso»64. Dipingere, così come scolpire, risulterebbe dunque un blasfemo tentativo di emulazione, che potrebbe far deviare gli uomini dalla via della salvezza e della vita eterna.

Così un’intera civiltà, senza alcuna imposizione diretta, accettò di rinunciare alla rappresentazione artistica – e in particolare a quella del volto umano - per evitare che, come accadeva in epoca pre-Islamica, si creassero con facilità idoli personali che sarebbero poi stati altrettanto semplicemente abbandonati non appena qualcosa non avesse girato come avrebbe dovuto65. In conseguenza a questo divieto di modellare immagini, fu quindi l'arte della scrittura a diventare «una vera e propria iconografia nell'ambito della calligrafia»66, tramandata da maestro ad allievo proprio mentre l'aniconismo iniziava a diffondersi.

Nel tempo, il rapporto tra Islam e arte figurativa iniziò in parte a mutare anche grazie al contributo di pensatori che, divulgando le proprie idee, contribuirono alla rivalutazione della rappresentazione figurativa. Il gruppo dei Fratelli della Purezza67, ad esempio, considerava le arti «un percorso per giungere a Dio, per emulare la perfezione della creazione divina»68. Secondo il giurista Ibn Hazm69, invece, tra l'opera di Dio e quella di un musawwir vi era «un abisso incolmabile»70: mentre la creazione divina è invenzione ex nihilo, trasformazione dal non-essere all'essere, l'uomo crea

60 B. Vigna, Fumetti nel Medio Oriente arabo, Olbia, Editrice Taphros, 2010, p. 6. 61 Cfr. I. Sabbatini, art. cit.

62

Cfr. Sir T. Arnold, A. Guillame, op. cit.

63 S. De Marco, op. cit., p. 38 64 Corano LIX. al-Hashr, 24

65 Passim A. Lombardo, Le immagini nel mondo musulmano: quale diritto?, in «Medievista.it», 2008.

http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2008_n8/2008-DQ_04_studi_Lombardo.pdf

66 S. De Marco, op. cit., p. 43.

67 In arabo Ikhwa'n al-safa', adepti di una confraternita musulmana di stampo filosofico-religioso del X secolo. 68

A. Lombardo, op. cit., p. 72.

69

Abū Muḥammad ῾Alī ibn Aḥmad, teologo, giurista, storico e letterato della Spagna araba a cavallo tra X e XI secolo.

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utilizzando ciò che già esiste. Per farlo può muoversi liberamente all'interno delle leggi naturali, utilizzando il proprio linguaggio, le arti e il sapere, evitando comunque di perseguire solo un piacere estetico fuorviante. L'aniconismo, peraltro, è caratteristico soltanto del mondo della cultura araba: sia nelle miniature dell'impero turco-ottomano sia nella civiltà persiana71, infatti, possono trovarsi raffigurazioni umane, in alcuni casi persino del Profeta72.

Oggi molti studiosi sono concordi sul fatto che i versi degli hadith, dai quali è scaturita la cosiddetta obiezione teologica fossero, in realtà riferiti soltanto all'immagine di Dio, opponendosi così all'idolatria della società pre-Islamica73. Un hadith riporta che la raffigurazione è ammessa sul pavimento, dal momento che non si può rivolgere la preghiera verso un oggetto posato a terra. Un altro riporta che il Profeta ordinò di rimuovere tutte le rappresentazioni figurative, temendo che queste potessero distrarlo durante la preghiera. Di fatto, insomma, ad essere condannata non è tanto la presenza in sé delle immagini in un dato luogo, quanto il pericolo che esse divengano oggetti di culto, tanto nella normativa sunnita quanto in quella sciita74. In entrambi in casi, tutto ciò che non è vita animale può essere rappresentato senza pericolo. Questo è dunque ciò che emerge dagli hadith, salvo poi vedere le norme interpretate in modo più o meno intransigente dai diversi teologi e imam. Proprio queste opinioni comportarono inevitabilmente conseguenze sull'utilizzo delle raffigurazioni, escluse dallo spazio sacro, dalla moschea, dai luoghi di preghiera e in generale dagli spazi pubblici75: sarà proprio a causa di queste letture che in taluni casi si arriverà a una totale intransigenza nei confronti dell'immagine76, ancora oggi al centro di un dibattito che vede il wahabismo77 considerare un gesto di infedeltà verso l'Islam qualunque tipo di rappresentazione figurativa.

Quella della non rappresentabilità figurativa rimane quindi una questione centrale del rapporto tra sensibilità musulmana e libertà d'espressione, con la quale il fumetto si trova a dover fare i conti quotidianamente: è facile intuire quale sia stato l'impatto frenante dell'obiezione teologica sulla vita del fumetto e, ancor di più, nel momento in cui si vorrebbe provare a rappresentare l'alba della società Islamica. Se infatti la civiltà occidentale si sviluppa sulla base di una concezione sacra

71 I musulmani sciiti, non accettando nella sua totalità il formulario dottrinale delle tradizioni del Profeta,

continuarono a praticare la pittura.

72 Cfr. K. Fouad Allam, Il volto del Profeta: storia di un divieto, in «la Repubblica.it», 3 marzo 2006. 73 B. Vigna, op. cit., pp. 5-6.

74 S. Naef, op. cit., p. 15. 75

ivi, p. 25.

76

Per ulteriori approfondimenti cfr. opere citate di A. Lombardo, K. Fouad Allam, S. De Marco.

77 Movimento sunnita di riforma religiosa nato nel XVII secolo. Si basa su un'interpretazione rigida e letterale del

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dell'arte e sulla sua diffusione capillare in vece di oggetto centrale del culto religioso, in tutto il mondo Islamico la percezione generale dell'arte figurativa fu quella di un'arte profana. Da questo punto di vista in realtà parrebbe un'eccezione l'apertura cristiana, dal momento che la condanna dell'immagine si ritrova già nell'Antico Testamento78: come argomenta Naef, tale presenza potrebbe essere dovuta alla funzione di Cristo quale protettore dello Stato, sopraggiunta in sostituzione alla venerazione della profana immagine degli imperatori romani79.Di fatto la condanna quasi unanime dell'Islam nei confronti dell'arte figurativa fa sì che la stessa si affermi quale arte privata principalmente bidimensionale, al di là alcuni rari esempi di raffigurazioni in ambienti sacri, in particolare in Iran. È quindi la calligrafia a svolgere la funzione di rappresentazione del potere religioso che l'arte ricopriva nella cristianità, avendo la condanna dell'idolatria bandito quasi completamente l'arte tridimensionale. Soltanto in Persia, a causa di un impoverimento generale del paese, ai manoscritti si sostituirono i fogli illustrati, generalmente accessibili alle classi medie. La calligrafia del resto era considerata l'arte principale, rispetto alla quale quella figurativa era assolutamente minore.

Fu solo verso la seconda metà dell'800 che le immagini iniziarono a invadere il mondo musulmano anche nelle vie delle città a causa sia dell'adozione di modelli comportamentali europei, sia dalla diffusione di stampa, litografia e fotografia. Lo scenario della modernizzazione invase i paesi musulmani: non era insolito, ricorda Naef, appendere immagini alle pareti, anche all'esterno dei palazzi, ed esisteva persino un vero e proprio mercato per i dipinti. In Libano le case borghesi vennero ornate da dipinti murali, in Iran trovò grande successo la litografia, nell'Impero ottomano assunse un ruolo di grande importanza il disegno militare e i sultani potevano disporre di pittori di corte. La conquista dell'arte era percepita quale tappa fondamentale per la modernizzazione, per recuperare il ritardo accumulato nei confronti dell'Occidente: il disegno venne introdotto nel programma scolastico, l'arte Islamica appariva persino arretrata rispetto al realismo di quella europea, emblema di un presunto declino del mondo musulmano che era sempre più oggetto di discussione. Dopo la prima guerra mondiale si arrivò persino a concepire la pratica artistica soltanto nella sua declinazione occidentale, esclusivamente figurativa e ispirata all'orientalismo in senso lato.

Fu negli anni '50 del Novecento, alimentato dalle numerose indipendenze nazionali, che trovò vigore l'idea di un ritorno alle origini, con l'obiettivo di giungere a una produzione artistica dotata di un carattere originale. I religiosi si trovarono dunque a dover fare i conti con una nuova realtà, quasi

78

«Non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra» (Esodo 20, 4; Deuteronomio 5,8).

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costretti a ragionare su una evoluzione nel ragionamento e nell'argomentazione ormai necessaria per interpretare gli hadith alla luce della nuova realtà. Da un lato si affermò così una condotta rigorista che rifiutava ogni tipo d'immagine, dall'altro una più realista che autorizzava determinati tipi di rappresentazione bidimensionale. Si domanda dunque Naef:

è davvero l'immagine a essere presa di mira oppure il vero bersaglio è ciò che rappresenta? […] Esiste davvero la questione dell'immagine nell'Islam? O piuttosto si tende, attraverso l'immagine, a qualcosa di più essenziale, come il rapporto con la modernità e con tutto ciò che essa propone? […] L'accettazione dell'immagine in tutte le sue nuove forme è stata pressoché unanime. Invece di combatterla, la maggior parte degli ulema ha provato a rileggere i testi fondatori in modo da renderla lecita nella vita di tutti i giorni. Le condanne sono generalmente di ordine morale80.

A causa di queste difficoltà nell'affermarsi quale forma d'arte, nell'area mediorientale il fumetto riveste tuttora uno scopo perlopiù didascalico e divulgativo, faticando a uscire dalla dimensione che lo vede relegato a mezzo per raccontare storielle frivole o di promozione e apologia del governo. L'instabilità dei paesi dell'area, del resto, rende problematico per i governi l'impatto che può avere sui lettori l'immediatezza comunicativa dell'immagine e i disegnatori vengono continuamente incarcerati, privati dei passaporti, nel migliore dei casi citati in tribunale. Negli ultimi anni stanno aumentando le opere di denuncia più o meno aperta che cercano di affrontare i problemi locali81, ma su tutte le pubblicazioni si abbatte quotidianamente la lama di una rigida e implacabile censura. Come quando, in seguito a una serie di morti in Anatolia causate da una zecca che infetta l'uomo succhiandone il sangue, l'allora Primo ministro turco Tayyip Erdogan82 comparve sulla copertina della rivista Tuncay Akgun con il corpo di una zecca. Il direttore della rivista venne citato in tribunale con richiesta di un risarcimento di 30,000 euro83. Oppure quando Metro, il primo graphic

novel84 del mondo arabo, a pochi giorni dall'uscita venne accusato di essere immorale e messo al bando dal governo egiziano, che sequestrò tutte le copie non ancora distribuite e condannò l'autore

80

S. Naef, op. cit., p. 128.

81 Passim B. Sidoti, Il fumetto per il dialogo - Intervista a Paolo Comoglio del COSV, in «Sonda», 30 gennaio 2015.

http://www.cosv.org/il-fumetto-per-il-dialogo/

82 Presidente in carica della Turchia e Primo Ministro del paese dal marzo 2003 all'agosto 2014. Eletto con il Partito

per la Giustizia e lo Sviluppo, del quale è leader.

83 Cfr. A. Rivera Magos, Il fumetto nel mediterraneo, in «Babelmed», 2008.

http://www.popoli.info/easyne2/Articolo/Se_un_fumetto_fa_primavera.aspx

84

Letteralmente «romanzo grafico», è più corretto definirlo un romanzo a fumetti. Negli ultimi anni il termine è diventato quasi una moda, acquisendo una sfumatura, in realtà lontana da quello che è il significato originale, che vede il graphic novel come lettura matura e impegnata . In realtà un graphic novel è, per l'appunto, qualsiasi romanzo a fumetti.

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Magdy el Shafee e l'editore Mohammed Sharqawi alla distruzione di tutte le copie del volume85. Il risultato inevitabile di questa continua e violenta opera di censura è che, anche laddove la libertà d'espressione è più ampia, permane a un livello più o meno conscio la memoria delle restrizioni subite in passato, frenando così gli artisti dissidenti e spingendoli a nascondere la politica e le sue implicazioni in altri campi dove possono assumere forme più criptiche, quali ad esempio poesia e letteratura. Un'ulteriore evidenza del fatto che, negli stati arabi, la cultura è percepita come un campo principalmente politico e il mero intrattenimento è riservato alle pubblicazioni per i bambini, pur essendo anche queste ultime intrise di elementi volti all'indirizzamento politico e religioso86. Proprio l'arte visiva, del resto, è uno degli strumenti che potenzialmente potrebbe impegnarsi a diventare il mezzo attraverso il quale esprimere idee e riflessioni, dubbi e incertezze, sfogando nel modo più immediato il bisogno indispensabile di comunicare. Le arti grafiche, dal fumetto al cinema d'animazione, possono ergersi a portatrici di una responsabilità etica e a strumenti di denuncia, così come raccontare storie contribuendo all'alfabetizzazione e all'intrattenimento87. Ma non solo: il fumetto, nell'attuale situazione del mondo Islamico, potrebbe ambire alla creazione di una nuova mitologia alternativa a quella dell'integralismo propinato dallo Stato Islamico. Notevole, a questo scopo, l'iniziativa del giordano Suleiman Bakhit, che intende a dare vita a una contro-narrativa nella quale vengano proposti modelli di supereroi buoni, arruolati dall'«esercito del bene» per combattere gli estremisti senza esclusione di colpi. In un conflitto che vide solo pochi anni fa Hamas trasmettere sulla propria emittente «una specie di Mickey Mouse che insegnava ai bambini di Gaza come usare un Ak-47 contro il nemico sionista»88.

Il fumetto insomma «è un mezzo diretto, supera le barriere linguistiche ed è realizzabile anche con mezzi tecnici ed economici limitati», come ricorda in un'intervista Paolo Comoglio89, diventando «strumento di rilievo nel tentativo di promuovere percorsi di dialogo locale»90. Proprio per questo scrivere di guerra o di politica è rischioso e chi se ne occupa lo fa solo dopo aver abbandonato il paese o, nel migliore dei casi, sotto pseudonimo91, in una situazione che vede la maggior parte dei

85 M. Rizzo, Capire la Palestina e l'Egitto con i Fumetti, in «L'Unità», 7 aprile 2011.

http://www.unita.it/capire-la-palestina-e-l-egitto-con-i-fumetti-1.281171

86 Cfr. A. Douglas, F. Malti-Douglas, op. cit., pp. 5-6. 87 Cfr. S. De Marco, op. cit., pp. 108-122.

88 F. Paci, Supereroi arabi contro il Califfato, in «La Stampa», 28 aprile 2015.

http://www.lastampa.it/2015/04/28/esteri/supereroi-arabi-contro-il-califfato-XfM1sHG5Q1Lk4mLFRjgEYK/pagina.html

89

B. Sidoti, op. cit.

90 ibidem

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governi della regione mediorientale controllare l'importazione e la distribuzione delle pubblicazioni92. Di fatto, molti dei fumetti di maggior successo sono pubblicazioni direttamente commissionate da governi, partiti o gruppi giovanili: la maggior parte delle riviste a fumetti del mondo arabo riceve un qualche tipo di sussidio da una fonte governativa, con la logica conseguenza che nei fumetti mediorientali vengono trattati molto più frequentemente, rispetto alla controparte occidentale, temi politici, civili e ideologici.

I governi arabi hanno necessità del supporto dei propri intellettuali per rafforzare la propria immagine e la questione culturale nella maggior parte degli stati arabi sfocia così in una tensione dialettica tra le strategie dei governi che, di volta in volta, censurano gli artisti per ciò che creano o, viceversa, li pagano per realizzarne93. D'altra parte, coloro che creano fumetti all'interno del mondo arabo sono tra le più spiccate personalità letterarie e artistiche del proprio paese, motivate dalla necessità di esprimere il proprio pensiero ma anche preoccupate dal futuro della cultura contemporanea. Rappresentata, più che da chiunque altro, dai bambini della loro società. Ecco, dunque, che i fumetti nel mondo arabo divengono lo specchio di tre diversi influssi: quello dello stato, quello dell'inserimento del mondo capitalista dei mass-media e quello dei movimenti Islamici94. I governi premono per l'elogio dei loro leader e per la promozione dell'ideologia del proprio stato, contribuendo a quell'ubiquità dei leader anche nei fumetti, mentre gli autori possono lavorare per diversi governi, a seconda della loro linea politica: se nel loro paese d'origine non è accettata, vendono a un altro stato o si associano i compagnie private, dando vita a una competizione ideologica tra gli stati arabi che spesso causa problemi ai governi stessi, con artisti che molto spesso pubblicano per nazioni rivali.

Di fatto, come spiegano Douglas e Malti-Douglas, tutte le riviste che pubblicano fumetti sono Islamiche quantomeno in senso lato, dal momento che partecipano a una cultura nella quale l'Islam è la religione egemone: come si vedrà, la stessa trasposizione di Mickey Mouse conterrà importanti elementi del mondo arabo-Islamico. Questi racconti a fumetti seguono uno schema ricorrente dove i buoni vengono ricompensati e i cattivi sono puniti dalle conseguenze delle loro azioni, le ragazze sono esempi di comportamento virtuoso e i maschi di attività sciocche e inappropriate95. Molto spesso, inoltre, vengono trattati temi prettamente Islamici e, inevitabilmente, la stessa moralità è

http://www.popoli.info/easyne2/Articolo/Se_un_fumetto_fa_primavera.aspx

92

Cfr. A. Douglas, F. Malti-Douglas, op. cit., pp. 5-6.

93

ivi, p. 5

94 ivi, p. 6 95 ivi, p. 90-91

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presentata secondo i termini dell'Islam96. Nonostante le evidenti differenze politiche e geografiche, infatti, c'è un'importante somiglianza tematica tra le diverse riviste a fumetti per bambini, le quali prendono molto seriamente la loro funzione educativa e ambiscono a prendere il posto delle pubblicazioni secolarizzate, locali ed estere, rifacendosi ai tradizionali messaggi arabo-Islamici97. Quelli che trovano più diffusione sono quelli ideologici: solidarietà araba, imperialismo e anti-sionismo, gloria dell'eredità araba e rispetto dell'Islam come una base morale per la vita sociale. Al contempo, il mondo dei fumetti arabi è permeato anche da problemi quali il ruolo delle donne, la corruzione e il ruolo dei media. I fumetti sono anche un importante mezzo di unificazione panaraba, anche per via del loro costo molto minore rispetto ad altri media come il cinema. Difficile, invece, trovare nei paesi arabi riferimenti a società musulmane non arabe, persino se si tratta di Turchia o Iran: un simbolo dell'importanza rivestito nei fumetti dal linguaggio, come si vedrà nel corso dell'analisi. Anche quando le tematiche sono quelle di anti-imperialismo e identificazione con i non-arabi, questa rimane mediata, indiretta. Molto meno incisiva, ad esempio, di quella con i palestinesi98. Questi sono i temi che, principalmente, danno al fumetto arabo la propria ragione d'essere99 e, anche grazie a questo, il sentimento Islamico si sta espandendo, penetrando nella società anche attraverso la letteratura, la quale gode di una diffusione molto vasta.

I fumetti prodotti in Medio Oriente, del resto, vengono solitamente letti in più di uno stato: le riviste pubblicate in Kuwait sono vendute nel Golfo e in Egitto, così come quelle irachene, mentre le pubblicazioni di Beirut arrivano persino in Marocco. Più particolare la situazione in Maghreb100: i fumetti tunisini vengono venduti principalmente in altri paesi della zona (Algeria e Marocco su tutti), mentre quelli algerini trovano più diffusione in Francia, che non nei paesi arabi. Questo schema di distribuzione rimanda alla storica divisione tra Maghreb e Mashreq: quest'ultimo gode da sempre di una sorta di supremazia culturale che permette ai periodici di diffondersi in tutta l'area mediorientale e, allo stesso tempo, impedisce alle pubblicazioni maghrebine di trovare il successo

96 ivi, p. 84

97 ivi, p. 85. 98 ivi, p. 224. 99 ivi, p. 226.

100 Letteralmente «luogo del tramonto», è un termine utilizzato per identificare la parte nordoccidentale dell'Africa,

situata tra la catena montuosa dell'Atlante e il Mar Mediterraneo. L'accezione più comune comprende Algeria, Tunisia e Marocco, mentre quella più ampia include anche Libia e Mauritania. Ad esso si contrappone il Mashreq (o Mashriq), termine utilizzato per identificare la zona dal confine orientale dell'Egitto a quello occidentale dell'Iraq e comprendente Egitto, Sudan, Arabia Saudita, Yemen, Oman, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Israele, Giordania, Libano, Siria e Iraq.

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nell'area orientale101. I fumetti arabi giocano quindi un ruolo diverso tanto da quello americano quanto da quello europeo, con un piede nel mondo della letteratura e l'altro in quello del giornalismo, ma senza conoscere il vero significato dell'intrattenimento fine a se stesso. I suoi creatori sono intellettuali facenti parte dell'élite del paese, scrittori e sceneggiatori che godono di posizioni importanti al di fuori dell'industria del fumetto. Qualunque autore, nel mondo arabo, prende il proprio prodotto con grande serietà, sia che si tratti di un fumetto dedicato all'educazione dei più giovani, sia che abbia implicazioni politiche dedicate al mondo degli adulti. Non malissimo, per un'arte «minore».

101 ivi, p. 221

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(29)

II

D

ALLE ORIGINI DEL FUMETTO AL

1967

Per almeno quindici anni, dal 1952 al 1967, il fumetto in Medio Oriente rimase un medium in grado di trovare fortuna soltanto in tre paesi: Egitto, Libano e Tunisia. Quello degli anni '50 e '60 era il fumetto controllato dal governo, dedicato ai bambini e con scopo prevalentemente di intrattenimento e pedagogico. Soltanto più avanti, pur nel quadro generale di un continuo controllo governativo, si inserirono nel filone di produzioni mediorientali anche opere di carattere politico, prevalentemente opere celebrative dove venivano decantate le lodi di chi si trovava al potere. Questo, tuttavia, accadde nel periodo successivo alla guerra dei sei giorni, vero e proprio spartiacque tanto nella storia mediorientale quanto in quella del fumetto della regione. Sarà utile quindi, per affrontare la storia del fumetto in Medio Oriente, capire quale fosse lo scenario politico che aiutò il fumetto a svilupparsi, come si arrivò a uno dei più importanti conflitti della storia mediorientale contemporanea e perché questo cambiò radicalmente la storia della regione e quella del suo fumetto.

Seguiremo questo percorso focalizzando l'attenzione sulla storia dell'Egitto, paese che rivestì un ruolo fondamentale all'interno della regione per tutto il XX secolo. In Egitto avvenne il primo contatto tra modernità e mondo arabo, l'Egitto portò in alto il panarabismo, l'Egitto fu la prima nazione a guadagnare l'indipendenza, in Egitto ebbe luogo il primo colpo di stato militare, in Egitto nacquero i fratelli musulmani. Tutti fattori, come vedremo, che contribuirono all'instaurarsi della situazione che consentì la pubblicazione del primo fumetto del mondo arabo.

2.1 – Dallo scontro con la modernità al primo fumetto mediorientale

Gli studiosi

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fanno risalire l'inizio della storia contemporanea del Medio Oriente al momento in cui, nel 1798, Napoleone invase l'Egitto mettendolo così in contatto diretto con l'Europa dopo più di quattrocento anni e ponendolo faccia a faccia con quella modernità che, ancora oggi, costituisce uno dei

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principali termini di scontro tra il mondo Islamico e quello occidentale. In quel momento, il Medio Oriente «scopriva di avere un vuoto da colmare rispetto al progresso acquisito dagli altri»2. Di fatto, conseguentemente a questo evento, «la società egiziana e soprattutto l'intellighenzia egiziana vennero scosse dal momento della modernità. Molti si resero conto del fatto che l'Egitto era rimasto per secoli escluso dal progresso scientifico e tecnologico»3. Proprio questa fu la scintilla che portò il mondo musulmano a ibridarsi, volente o nolente, con modelli comportamentali europei e, verso la metà dell'800, «a riempirsi d'immagini di ogni sorta, tanto all'interno delle abitazioni quanto nelle vie delle città».4 La stessa diffusione nel mondo arabo di procedimenti tecnici fino ad allora sconosciuti quali litografia, tipografia, fotografia e stampa fu conseguenza dell'invasione dell'Egitto da parte dei francesi, instaurandosi all'interno dell'ampio scenario della modernizzazione che si diffuse nei paesi musulmani proprio a partire da quel periodo5. Alla spedizione francese avevano partecipato inoltre diversi artisti, che permisero ai notabili di ammirare per la prima volta il lavoro dei pittori occidentali. A colpire gli arabi fu principalmente per il realismo delle rappresentazioni, come si evince dalla testimonianza di 'Abd al-Rahman al-Jabarti, autore di una cronaca dell'occupazione francese ricordata sia da Campanini6 sia da Naef7:

Dipingono qualsiasi cosa. Il pittore Rigo è uno di loro. Dipinge gli uomini in modo tale che chi li contempla crede di veder emergere dallo spazio un corpo in grado quasi di parlare. Fa immagini di sceicchi, o di altri notabili, ciascuno preso separatamente, in un tondo8.

Iniziarono quindi le prime missioni di studenti inviati in Europa. Durante una missione a Parigi, l'egiziano Rifa'a al-Tahtawi commentò così il palazzo del re di Francia:

Vi sono entrato più volte e vi ho visto cose sorprendenti che attirano l'attenzione. Per esempio, ci sono numerose immagini che si distinguono dagli esseri umani soltanto per la mancanza di parola. Ci sono rappresentazioni di un certo numero di re di Francia, ma anche di altri paesi, di tutto il casato della monarchia e di tante cose strane9.

2 ibidem

3 M. Campanini, Storia dell'Egitto Contemporaneo, Roma, Edizioni Lavoro, 2005, p. 13. 4 S. Naef, op. cit., p. 69.

5 ibidem

6 M. Campanini, Storia del Medio Oriente Contemporaneo, p. 13. 7 S. Naef, op. cit., p. 71.

8

A. al-Jabarti, Aja'ib al-athar fi al-tarajim wa—akhbar, 7 vll., Lajina al-bayyan al-'arabi, Il Cairo, 1958-1967, vol. 4, 1965, p. 350.

9 R. Tahtawi, Takhlis al-ibriz fi talkhis Bariz, Al-Ha'iyya al-Misriyya al-'amma li-l-Kitab, Il Cairo, 1993, p. 194 (trad.

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