• Non ci sono risultati.

Nel 1992, con la pubblicazione di Palestina da parte di Joe Sacco, venne coniato il termine graphic

journalism a indicare un nuovo modo di fare giornalismo, ma anche di fare fumetto. Palestina, così

come i successivi lavori di Sacco da Gaza 1956 ai suoi reportage sui Territori palestinesi22 e sull'Iraq23 commissionati da riviste quali “Time”, “Harper's riviste”, “New York Times riviste” e

“Guardian Weekend”, dettano da allora gli standard del giornalismo a fumetti e hanno creato un

15 A. Castelli, M. Gomboli, M. Manara, Un fascio di bombe, Q Press, Torino, 2010. Fig. 37,

http://images2.corriereobjects.it/gallery/Cultura/2010/04_Aprile/manara/1/img_1/ma_08_672-458_resize.jpg

16

A. Vivaldo, F. Colarieti, Moby Prince. La notte dei fuochi, Padova, Edizioni Beccogiallo, 2010.

17 A. Vivaldo, L. Sartori, Ustica, scenari di guerra, Padova, Edizioni Beccogiallo, 2010.

18 G. Barbacetto, M. D'Alessandro, L. Ferrara, Ruby. Sesso e potere ad Arcore, Roma, Round Robin Editrice, 2014. 19 J. Sacco, La grande guerra. 1 luglio 1916: il primo giorno della battaglia della Somme. Un'opera panoramica,

Milano, Rizzoli Lizard, 2014.

20 G. Bardi, G. Gamberini, Dossier Genova G8. Il rapporto illustrato della procura di Genova sui fatti della scuola

Diaz, Padova, Edizioni Beccogiallo, 2008.

21

P. Valentini, G. Abastanoti, La Shoah spiegata ai bambini, Padova, Edizioni Beccogiallo, 2016.

22

J. Sacco, “Hebron: uno sguardo dall'interno”, “Immagini da Gaza”, “La guerra sotterranea a Gaza”, pubblicati in

Reportages, Milano, Mondadori, 2012.

23 J. Sacco, L'incuria uccide, Giù! Su!, Trauma in prestito, pubblicati in Reportages, Milano, Mondadori, 2012. Figura 37 - Estratto da "Un Fascio di

solido legame tra il genere del graphic journalism e l'area mediorientale. Un giornalismo che racconta storie senza però porre al centro del proprio discorso la continua ricerca di un equilibrio tra le parti, alla quale Sacco non ambisce:

il giornalista deve sforzarsi di scoprire cosa sta succedendo e raccontarlo, non mutilare la verità in nome delle pari opportunità. […] I potenti dovrebbero essere citati, sì, ma per dare la misura di quanto le loro dichiarazioni siano contrarie alla verità, non per nasconderla24.

Ciò che rende unico questo genere, e in particolare le opere di Joe Sacco, è la capacità di informare rappresentando, di mettere il lettore di fronte a immagini forti così come di farlo immergere, insieme all'autore, in situazioni particolari tipiche della quotidianità palestinese, condividendo con lui la sensazione di spaesamento e al contempo scoprendo la verità di un popolo, la reale quotidianità che prescinde dalle versioni dell'una o dell'altra parte, raffigurandola attraverso gli occhi dell'autore «mentre si aggira e si addentra nelle loro vite, premuroso, indulgente, partecipe, ironico, così da divenire egli stesso testimone oculare e personaggio del suo fumetto»25. Di fatto, per dirla con Said, con “Palestina” Sacco ci ha dato «l'opportunità di accedere a quanto ha toccato di persona e visto con i suoi occhi un giovane americano»26, attraverso immagini «più impressionanti di qualsiasi cosa possiate leggere o vedere alla televisione»27 che rappresentano un linguaggio universale in grado di essere compreso da chiunque.

Quello che sembra fare davvero la differenza è l'accuratezza con la quale Sacco racconta le situazioni, le persone, le storie. Soprattutto, il suo interesse per gli avvenimenti. Una fame di verità che trapela dalla puntualità dei dialoghi, dall'attenzione ai dettagli, dalle parole dei palestinesi riproposte dopo ore passate a riascoltare le registrazioni e a riguardare i propri appunti. E ancora dalle emozioni trasmesse dai volti palestinesi, senza alcuna pretesa di esaustività ma con un atteggiamento volto piuttosto a portare il lettore con sé nel proprio viaggio e fargli sentire ciò che i palestinesi hanno da dire, investigando sulle loro storie e creando un'empatia chiaramente volta alla conoscenza e non all'ottenimento di un risultato. Il “come” nelle opere di Sacco è importante come il “cosa”, la priorità dell'autore è registrare le testimonianze dei palestinesi accompagnando le loro storie con la ricerca di una documentazione scarsa o archiviata in luoghi inaccessibili e riportando il

24 J. Sacco, Reportages, p. XII 25

E. W. Said, Omaggio a Joe Sacco, pubblicato in J. Sacco, Palestina. Una nazione occupata, Milano, Mondadori, 2006, p. 14.

26 ivi, p. 12. 27 ibidem

tutto attraverso un'interpretazione grafica che «comporta un inevitabile processo di sintesi»28. Lo stesso Sacco, in apertura della raccolta Reportages, ritiene necessaria «qualche sorta di scarica di fucile introduttiva per sbaragliare tutti coloro che si oppongono alla legittimità dei fumetti come mezzo giornalistico efficace»29. Un'occasione per ribadire come i disegni siano per definizione strutturalmente soggettivi, ma anche come, nonostante questo, rimangano di fatto parte fondamentale del suo lavoro «i doveri tipo del giornalista: dare le notizie con precisione, inserire correttamente le citazioni e verificare le dichiarazioni»30. Insomma, «tutto quello che può essere disegnato con precisione, deve essere disegnato con precisione, [ma] un disegno riflette la visione del fumettista che lo crea»31. L'obiettività esiste quindi soltanto nella misura in cui essa significa

avvicinarsi a una storia senza nessun genere di idea preconcetta. Il problema sta nel fatto che, secondo me, quasi nessun giornalista affronta una storia di una certa importanza secondo tale principo. Io di sicuro non ci riesco. […] Come disse il leggendario giornalista americano Edward R. Murrow, «ognuno è prigioniero delle proprie esperienze. Nessuno può eliminare i pregiudizi, ma solo riconoscerli»32.

I libri di Sacco si sviluppano sul filo di una tensione continua, raccogliendo testimonianze dall'una e dall'altra parte, da palestinesi e da israeliani, da cittadini di Rafah le cui case vengono distrutte senza preavviso a soldati che sostengono di demolire soltanto gli edifici dai quali i ribelli sparano agli israeliani o scavano tunnel chilometrici per far arrivare rifornimenti di armi dall'Egitto. Sacco non va alla ricerca di una verità oggettiva o di un risultato, ma mette di fronte a tutti i suoi lettori l'unico dato veramente incontrovertibile, ossia la sofferenza dei popoli e la loro quotidianità, mostrando ciò che può vedere, sia che si tratti di vittime, sia che si tratti di carnefici. Di fatto, scrive,

la benedizione di un linguaggio per sua natura interpretativo come il fumetto è che mi ha impedito di rinchiudermi nei confini del giornalismo tradizionale. Rendendomi difficile escludermi da una scena, non mi ha concesso la virtù del distacco. Nel bene e nel male, il medium fumetto è inflessibile e mi ha costretto a fare delle scelte. Dal mio punto di vista, questo fa parte del suo messaggio33.

Questo messaggio è quello che si vede nelle vignette, quello che i palestinesi vogliono trasmettere a tutto il mondo aggrappandosi a Sacco. Non come a una speranza ma come a un megafono, una

28 J. Sacco, Gaza 1956. Note ai margini della storia, Milano, Mondadori, 2010, p. IX 29 J. Sacco, op. cit., p. IX.

30 ivi, p. X. 31 ibidem 32 ivi, p. XI 33 ivi, p. XII

possibilità di mostrare che cosa succede ogni singolo a giorno nella striscia di Gaza e nella West Bank.

5.3 - «Storione» dal Medio Oriente: da Guy Delisle a Zerocalcare, il successo del “fumetto di realtà”

Sulla scia del genere creato da Joe Sacco negli anni si sono affermate sempre più pubblicazioni capaci di raccontare la situazione in Medio Oriente attraverso vignette e balloon. In realtà, tuttavia, per quanto ne riprendano molti degli aspetti più significativi come la presenza dell'autore all'interno della storia e la ricerca di testimonianze dirette che vanno ben oltre le varie verità di facciata, molte opere di successo etichettate come graphic journalism si sono in realtà differenziate e allontanate dal solco tracciato da Sacco, presentandosi in realtà autobiografie o diari di viaggio. Per utilizzare il termine coniato dall'Associazione Mirada34, fumetti di realtà.

Figura 38 - Estratto da "Cronache di Gerusalemme"

Gli autori stessi, per loro ammissione, non si ritengono giornalisti – e, di fatto, non sono mossi dallo spirito o dalle intenzioni del giornalista. Guy Delisle, vincitore con il suo Cronache di

Gerusalemme35 del premio per il miglior albo a fumetti al Festival di Angouleme 2012, lo spiega

34

Cfr. Cos'è Komikazen, pubblicato su Komikazen International Reality Comics Festival,

http://www.komikazenfestival.org/

chiaramente:

«Non mi ritengo un giornalista. Ciò che mi interessa principalmente è dar vita a storie divertenti. Sono un narratore di racconti divertenti a cui capita di trovarsi in posti molto seri e mi tocca spiegare situazioni altrettanto serie. […] Mi piace andare in giro, prendere nota delle cose strane che succedono e parlarne nei libri. […] C'è certamente anche questo lato giornalistico, ma non è il solo e neanche il principale»36.

È evidente la differenza rispetto a Joe Sacco: l'uno va in Palestina per indagare sulle condizioni del popolo palestinese, l'altro si trova a vivere a Gerusalemme con la propria famiglia per seguire la moglie in missione per Medici Senza Frontiere e coglie l'occasione per illustrare «una specie di cartolina […], un insieme delle cose che mi hanno colpito del luogo in cui mi capita di trovarmi»37. Un approccio completamente diverso che però permette al lettore europeo di vivere un anno tra le strade di Gerusalemme in prima persona, di coglierne dettagli che sfuggono ai libri di storia o ai documentari. Un'esperienza chiaramente filtrata dalle posizioni dell'autore, che permette comunque agli occidentali di sapere qualcosa di più della quotidianità della vita a Gerusalemme, di scoprire che i media israeliani «criticano più duramente il proprio governo di quanto non facciano quelli occidentali»38 e che hanno «la tradizione di commentare la Torah e i commenti, e i commenti dei commenti. Amano discutere e si vede bene nei giornali. Non c'è censura, e i media dicono quello che vogliono»39.

A differenza di Delisle, all'italiano Zerocalcare – al secolo Michele Rech – non è capitato di trovarsi a Kobane: legatissimo alla sua Rebibbia, con la scelta di andare nella Rojava assieme alla staffetta romana decise di rendersi utile sul confine turco-siriano, là dove

dopo aver espulso gli emissari di Assad, e nonostante l’inimicizia di gran parte dei vicini, la Rojava non solo sta mantenendo la sua indipendenza, ma sta portando avanti la sua “rivoluzione segreta”. I corpi titolari del potere decisionale sono le assemblee popolari, in ogni governatorato le cariche vengono assegnate con il rispetto tanto delle diverse etnie quanto dei generi, ci sono consigli dei giovani e delle donne40.

https://www.google.it/search?q=guy+delisle+jerusalem&source=lnms&tbm=isch&sa=X&ved=0ahUKEwiD4L- CoebLAhUBoSwKHecoB24Q_AUIBygB&biw=1517&bih=665&dpr=0.9#imgrc=lxlC--_-E6IovM%3A

36 G. Delisle nell' intervista di A. Rodi, Giornalismo a fumetti o storie divertenti? Parla Guy Delisle, pubblicato su

“Artribune”, 19 aprile 2012, http://www.artribune.com/2012/04/giornalismo-a-fumetti-o-storie-divertenti-parla- guy-delisle/ 37 ibidem 38 ibidem 39 ibidem

40 “Staffetta romana per Kobane – Ripartire da Kobane”, pubblicato su “Global Project”, 19 novembre 2014.

Solo dopo il proprio ritorno Zerocalcare decise di dedicare una storia a fumetti all'esperienza vissuta, rifiutando però a sua volta l'etichetta di graphic

journalist: dapprima uscito nella forma di due storie

brevi su Internazionale, Kobane Calling41 è poi arrivato in libreria presentato dallo stesso autore come un'opera che riprendeva

i due nonreportage dalle porte di Kobane e dal Kurdistan siriano [...] più altre circa 200 pagine inedite che sono una specie di diario di un viaggio tra Turchia, Irak e Siria. [...] Una testimonianza a fumetti, il più possibile sincera, di quello che abbiamo visto in quei territori»42.

Zerocalcare la definì «storiona»43 già dall'annuncio dell'uscita della prima parte su Internazionale,

un racconto il più possibile onesto di quello che ho vissuto durante il viaggio e nei giorni immediatamente precedenti, sia dal punto di vista emotivo che da quello della cronaca, comprese le contraddizioni e i dubbi del caso. Un tentativo di tenere un equilibrio tra il pippone didascalico e la cazzata spicciola44.

La differenza di intenti è lampante. Delisle e Zerocalcare fanno una cronaca delle proprie esperienze, mentre Sacco, taccuino in mano nella spasmodica ricerca di informazioni, fa un lavoro di «ricerca e investigazione sulla storia nel modo tradizionale»45 e ne scrive un'inchiesta sulle condizioni di vita dei palestinesi e su massacri rimasti ai margini della storia»46. Come lui Dan

41

Fig. 39, http://www.tadcarecords.org/wp-content/uploads/2015/03/kobane-call-def.jpg

42 Zerocalcare, Alcune pagine del prossimo libro Kobane Calling, pubblicato su “Zerocalcare.it”, 15 febbraio 2016

http://www.zerocalcare.it/2016/02/15/alcune-pagine-del-prossimo-libro-kobane-calling/

43 Zerocalcare, Perché non aggiornerò il blog per qualche settimana ancora, pubblicato su “Zerocalcare.it”, 26

novembre 2014, http://www.zerocalcare.it/2014/11/26/perche-non-aggiornero-il-blog-per-qualche-settimana- ancora/

44 Zerocalcare, Kobane Calling, pubblicato su “Zerocalcare.it”, 16 gennaio 2015,

http://www.zerocalcare.it/2015/01/16/kobane-calling/

45

D. Archer, What is Comic Journalism?, pubblicato su “Archcomix.com”, http://www.archcomix.com/comicsjournalism1.html

46 J. Sacco, op. cit.

Archer, Jen Sorenson, Wendy McNaughton e Susie Cagle, membri del collettivo Graphic Journos47, e ancora Ted Rall e Matt Bors, volati in Afghanistan durante la guerra per «parlare con le persone che ne sono colpite [e] sentire le loro storie»48. Così come Josh Neufeld, che si definisce comic

journalist in quanto fumettista che scrive fumetti di non-fiction facendo uso di tecniche

giornalistiche49, e che riconosce che, pur avendo letto Spiegelman, Pekar, Ware e numerosi artisti che fanno fumetto di non-fiction, «il momento in cui si aprì di fronte a me un altro sentiero fu quello in cui lessi Palestina, di Joe Sacco. […] Si trattava di un eccellente fumettista unito con un vero giornalista: un ricercatore di verità»50.

Delisle e Zerocalcare sono invece fumettisti che riportano le proprie esperienze in Medio Oriente e lo fanno dal punto di vista della persona comune e non del giornalista: per quanto sia inevitabile che un'opera del genere contenga alcune caratteristiche proprie del giornalismo, Delisle e Zerocalcare non partono per fare giornalismo, non fanno giornalismo e rifiutano l'etichetta di giornalisti, tutte ragioni per le quali trovo fuorviante affiancare la loro produzione a quella di Sacco. Quelli di Delisle e Zerocalcare sono diari di viaggio, storie di vita vissuta, dove al centro della narrazione non sta solo la rappresentazione del paese visitato, ma anche – e soprattutto – come esso viene vissuto dall'autore. Questi si trova in «un territorio straniero nel quale il lettore disfa il proprio bagaglio culturale insieme all'autore, esplorando una terra straniera assieme a lui»51. Siamo di fronte al cosiddetto travelogue, il diario di viaggio che appartiene di diritto alla categoria dei cosiddetti non-

fiction comics, ma non per questo è corretto etichettare come giornalismo, a meno che non si

intenda il graphic journalism come quel «coloratissimo pasticcio di influenze che include fumetti, infografiche, pellicole e autobiografie»52.

Personalmente credo che il genere si sia ormai formato acquisendo una propria identità e stia andando affermandosi sempre più, ragioni per le quali trovo più corretto parlare di graphic

journalism quando ci sia l'effettiva intenzione da parte dell'autore di pubblicare un lavoro

47

Cfr. A. Graham, Op-Ed: Graphic Journos: The State of the Graphic Journalism Art, pubblicato su “Graphic Novel Reporter”, 7 gennaio 2012, http://www.graphicnovelreporter.com/blog/2012/01/07/op-ed-graphic-journos-the-state- of-the-graphic-journalism-art

48 M. Cavna, Afghanistan Update: RALL and BORS file from the streets of Taloqan, pubblicato su “The Washington

Post,” 18 agosto 2010, http://voices.washingtonpost.com/comic-riffs/2010/08/afghanistan_update_rall_and_bo.html

49 Cfr. J. Neufeld, “Foreward”, pubblicato in R. Duncan, M. R. Taylor, D. Stoddard, Creating Comics as Journalism,

Memoir and Nonfiction, London, Routledge, 2015.

50

ivi, p. 4.

51

E. Polgreen, What is Graphic Journalism?, pubblicato su “The Hooded Utilitarian”, 29 marzo 2011, http://www.hoodedutilitarian.com/2011/03/what-is-graphic-journalism/

giornalistico. Per una questione di chiarezza terminologica, ma anche di rispetto. Tanto verso chi il giornalismo lo fa, quanto verso chi vuole pubblicare storie che non prendono le mosse dal rigore del giornalismo ed è giusto che come tali non vengano presentate. Mi piace rifarmi alla distinzione proposta da Randy Duncan e Michael Ray Taylor nel loro “Creating Comics as Journalism, Memoir and Nonfiction”, dove già nel titolo dividono i tre generi e fanno notare come «negli ultimi anni i fumetti di maggior successo sono stati quelli di non-fiction», divisa tra quello che è, sì, graphic journalism, e quella che rientra invece in altri generi della literary nonfiction, o appunto del fumetto di realtà:

La literary nonfiction (a volte chiamata creative nonfiction) comprende forme come l'autobiografia, i saggi personali, i diari di viaggio […]. Mentre il giornalismo impiega forme e metodi stabiliti, la literary nonfiction utilizza l'intero spettro di tecniche che condivide con la fiction […]. Celebra tutto ciò che è distintivo della voce e visione del singolo autore53.

Ecco dunque che, all'interno di tale nonfiction, che non deve necessariamente essere etichettata quale journalism, si possono trovare ancora più opere a fumetti di assoluto rilievo che raccontano, secondo i punti di vista più disparati, il Medio Oriente.

Tutti modi in cui il fumetto mostra una volta di più di potersi occupare di qualunque argomento, mettendo il lettore di fronte alla crudezza delle immagini e all'immediatezza suscitata dai dialoghi, contribuendo a diffondere la cultura del Medio Oriente in un paese, quale è l'Italia, dove purtroppo viene ancora trattata come materia di importanza marginale.

Nel mondo globale le cui vicende sono quotidianamente scosse dalle vicende riguardanti più o meno da vicino il Medio Oriente, le sue risorse energetiche e l'integralismo musulmano, trovo invece che sia a dir poco fondamentale divulgare l'informazione e la conoscenza sulla realtà mediorientale. Ringraziando ancora una volta il fumetto per ruolo di alfabetizzazione che contribuisce a svolgere.

5.4 – L'impatto sulla realtà e le reazioni dell'estremismo musulmano

Più ancora del cinema54 e della narrativa55, l'illustrazione nel XXI secolo è stata fino ad oggi al

53 What is the difference between the writing program's nonfiction concentration and journalism?, Columbia

University School of Arts, http://arts.columbia.edu/what-difference-between-writing-programs-nonfiction- concentration-and-journalism

54

Theo Van Gogh, regista olandese, fu assassinato il 2 novembre 2004 dall'estremista Islamico Mohammed Bouyeri, come ritorsione contro alcune immagini mostrate nel suo film Submission.

centro di fatti di cronaca riguardanti i rapporti del mondo occidentale con la cultura musulmana. Uno dei casi più significativi relativamente a questa controversia fu la pubblicazione, nel settembre del 2005, di dodici vignette satiriche su Maometto da parte del più grande quotidiano danese, il “Jyllands-Posten”, storicamente ritenuto vicino al Partito Liberale56.

La Danimarca stava vivendo in quegli anni la crescita di un nazionalismo sostenuto da una crescente retorica politica anti-immigrazione. In un contesto nel quale, su una popolazione di 5 milioni e mezzo di persone, i musulmani erano circa 200mila, rappresentanti più di 50 paesi d'origine e dei quali soltanto 30mila regolarmente praticanti57, già nel 1997 circa la metà dei danesi riteneva gli Islamici una minaccia58. Proprio nei primi anni del nuovo millennio, lo scrittore Kare Bluitgen non era riuscito a trovare un illustratore per il suo libro per bambini su Maometto, se non a condizione che venisse pubblicato rispettando l'anonimato del disegnatore. In conseguenza di questo fatto e di «una serie di allarmanti casi di autocensura»59 Flemming Rose, responsabile della sezione culturale del Jyllands-Posten, individuò nella situazione «una legittima storia da raccontare»60. Contattò quindi i membri dell'associazione dei fumettisti danesi e chiese loro «di disegnare Maometto così come lo vedevano»61. Avrebbe poi sostenuto che

«I fumettisti trattarono l'Islam così come trattano il Cristianesimo, il Buddismo, l'Induismo e altre religioni. E trattando i musulmani danesi come uguali, dissero una cosa importante: “vi stiamo integrando nella tradizione della satira danese perché siete parte della nostra società, non stranieri”. I fumetti sono inclusivi nei confronti dei musulmani, non esclusivi»62.

Sulla base di queste premesse, il 30 settembre 2005 il “Jyllands-Posten” pubblicò dodici vignette dedicate a Maometto: il risultato fu quello di di disegni più o meno provocatori, da quello di Kurt Westergaard raffigurante il Profeta con un una bomba al posto del turbante ad alcuni che non potevano neppure essere esplicitamente ricondotti a una rappresentazione di Maometto63. Quella