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Aspetti gestionali e organizzativi di un'azienda che opera nel settore vitivinicolo: il caso Rocca delle Macie

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

TESI DI LAUREA

ASPETTI GESTIONALI E ORGANIZZATIVI DI UN’AZIENDA CHE OPERA NEL

SETTORE VITIVINICOLO:

IL CASO ROCCA DELLE MACÌE

Candidato: Relatore: Federica Grati Prof.re Marco Giannini

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RINGRAZIAMENTI

Per prima cosa desidero ringraziare il Professor Marco Giannini per la sua disponibilità e per avermi fornito dei suggerimenti utili a migliorare la mia tesi.

Un grazie va alla Cantina Rocca delle Macìe che mi ha fornito i dati per poter svolgere il caso pratico; in particolare ringrazio il Responsabile marketing Thomas Francioni per la sua gentilezza e per avermi aiutato ad ottenere le informazioni necessarie al completamento del mio elaborato.

Desidero ringraziare i miei genitori e i miei nonni che mi sono stati vicino e mi hanno sostenuto in questo percorso universitario.

Un grazie va al mio fidanzato che si è dimostrato sempre presente dandomi la giusta grinta per andare avanti anche nei momenti più difficili.

Infine, ma non per ultimi desidero ringraziare gli amici per aver condiviso quest’esperienza insieme e per avermi sostenuto. Un ringraziamento particolare va a Martina, Alessandro e Giulia con cui abbiamo stretto una solida amicizia.

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INDICE

Introduzione pag. 7

Capitolo 1

Il settore vinicolo e le condizioni di competitivi

1.1 Il quadro di riferimento: dualismo tra paesi del nuovo e del vecchio mondo 9

1.2 La produzione di vino a livello mondiale 12

1.3 Il consumo vinicolo 14

1.4 Il mercato vitivinicolo italiano 18

1.5 L’export di vino 20

1.6 La competitività nel settore vinicolo 25

Capitolo 2

Il marketing del vino

2.1 Il passaggio da un orientamento al prodotto ad un orientamento al mercato36

2.2 L’adozione di un approccio marketing oriented 40

2.3 Strategie di vendita e promozione 44

2.4 Strategie di differenziazione del prodotto 50

2.5 Prospettive del marketing del vino in Italia 71

Capitolo 3

3.1 Analisi dei costi di produzione di un’azienda vinicola 75

3.2 L’ analisi di differenziazione dei costi 81

3.3 La programmazione della gestione 84

Capitolo 4

Il caso: Rocca delle Macìe

4.1 Storia e struttura aziendale 87

4.2 Punti di forza dell’azienda 92

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Conclusioni 99

Bibliografia 104

Siti consultati 107

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INTRODUZIONE

La seguente tesi ha lo scopo di descrivere l’andamento del settore vitivinicolo sia a livello nazionale che internazionale attraverso una panoramica delle sue caratteristiche attuali e i suoi cambiamenti rispetto al passato, in particolare guardando ai nuovi Paesi che si stanno affacciando nel settore. Segue un’analisi dei dati forniti da Istat ed Eurostat sulla produzione del vino, sul consumo e sull’export dello stesso. Infine, si sofferma sui fattori di competitività delle aziende quali: l’efficienza intesa come capacità dell’azienda di ottimizzare i costi e l’impiego delle risorse perseguendo i fini dell’organizzazione; la qualità; l’ innovazione, che può riguardare il prodotto e la sua comunicazione nonchè la creazione di una nuova impostazione iniziale giungendo ad una impostazione più moderna basata sulla creazione di una cantina aperta alla degustazione ed al turismo; l’orientamento al cliente; le competenze professionali; la sostenibilità ambientale intesa come attenzione all’ambiente e alle risorse; la sicurezza alimentare.

Successivamente il seguente elaborato analizza il marketing nel mondo del vino attraverso lo studio delle principali strategie e tecniche di vendita e di promozione utilizzate dalle aziende vinicole e come queste possono differenziare la propria offerta rispetto ai loro competitors e costruire un brand riconoscibile. Sottolinea anche come per tutte le strategie sia fondamentale il “trade marketing”, che consiste nell’applicazione delle tecniche di marketing indirizzate al consumatore o al distributore finale. Poi si articolerà in una breve panoramica sulle prospettive del marketing in Italia.

Il terzo capitolo verte sull’analisi dei principali costi di produzione delle aziende vinicole per arrivare a comprendere le difficoltà che incontrano le medesime nella determinazione del costo del prodotto.

I metodi più utilizzati per determinarli sono: l’Activity based cost e il sistema del cost accounting (paragrafo 3.1). Continua con l’analisi di differenziazione dei costi (paragrafo 3.2), poi si concentra sulla programmazione della gestione, guardando in modo particolare alla creazione dei budget e alle tempistiche di realizzazione degli stessi, che sono diverse rispetto ad altre tipologie di aziende.

Nel quarto capitolo si analizza il caso dell’azienda Rocca delle Macìe andando a studiare per prima cosa come è strutturata, la sua storia e i principali dati di produzione e commerciali per

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8 poi fare un’attenta analisi del suo organigramma. Viene sottolineato, inoltre, come questa azienda non ha una vera e propria strategia di marketing, ma come cerchi di puntare tutto sul potenziamento di alcuni fattori.

Si guarda poi ai principali punti di forza dell’azienda (Paragrafo 4.2) che sono basati sull’attenzione particolare all’innovazione e alla sostenibilità del territorio di origine ma anche al mantenimento delle tradizioni e all’ aspetto umano.

Il caso aziendale esaminato mi ha permesso di comprendere in che cosa si contraddistingue un’azienda vinicola rispetto ad altre aziende operanti in altri settori, sia a livello strutturale e di organizzazione, che di strategie utilizzate nella promozione e la vendita e nella creazione dei budget. Possiamo anche osservare come alcuni degli aspetti presi in considerazione possano servire di supporto anche alla programmazione e all’ organizzazione delle aziende di minori dimensioni aiutandole ad essere maggiormente competitive anche sul mercato internazionale.

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CAPITOLO 1

IL

SETTORE

VINICOLO

E

CONDIZIONI

DI

COMPETITIVITA’

Paragrafo 1.1 Il quadro di riferimento: dualismo tra paesi del

nuovo e del vecchio mondo

Il vino è uno dei prodotti di eccellenza dell’agricoltura italiana e rappresentativo dell'Italia nel mondo. Negli ultimi trent’anni, le dinamiche della domanda e dell'offerta di vino operano in un contesto internazionale che è profondamente cambiato e sembra essere destinato a cambiare ancora in futuro. Si sono verificate delle variazioni nei consumi che riguardano sia la localizzazione della domanda, con l'affacciarsi di nuovi paesi consumatori, che tipologie di consumatori e le occasioni di consumo. Questo ha comportato una modifica anche delle caratteristiche dei prodotti, sia intrinseche che estrinseche, che sono apprezzate dal mercato e che sono diventate sempre più varie e complesse.

Anche la geografia della produzione è mutata con l'ingresso di nuovi importanti paesi che hanno sottratto quote significative di mercato ai paesi produttori tradizionali. (Cesaretti et al,2006).

Un ulteriore forte impatto lo ha portato la Riforma dell'Ocm vino che ha determinato delle regole per la produzione e la commercializzazione del prodotto e un riorientamento del sistema degli incentivi alla produzione nell' area interna all'Unione Europea. (Albisinni ,2008; Sardone e Pomarici, 2008).

L'importanza di quei Paesi che storicamente sono sempre stati i maggiori produttori e consumatori e che avevano una sorta di monopolio è andata diminuendo per l'ingresso sui mercati di nuovi paesi che vengono definiti del Nuovo Mondo quali Cile, Argentina, Australia, Stati Uniti, Nuova Zelanda. Questi sono riusciti ad entrare con percentuali significative nel mercato grazie ad un buon rapporto qualità/ prezzo e sono facilmente identificabili grazie al brand e ad efficienti campagne di marketing. (Anderson, 2009).

La distinzione tra Paesi del Vecchio e del Nuovo Mondo si basa soprattutto sulle differenze che queste realtà delineano per quanto riguarda le modalità di produzione del vino e sulle strategie

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10 di commercializzazione. La globalizzazione ha contribuito a favorire gli scambi di capitali, di merci, persone e lo sviluppo delle conoscenze tecniche e di marketing.

Le imprese presenti in alcune di queste nuove realtà emergenti si sono avvalse degli aiuti erogati dai loro Stati di origine per promuovere l'esportazione e dei vantaggi derivanti dalle minori spese di produzione e di transazione. (Anderson at al.).

I Paesi del Vecchio Mondo riprendono il modello francese maggiormente improntato sulla valorizzazione della territorialità, mentre i nuovi entranti si sono focalizzati maggiormente sulla segmentazione dell'offerta per fasce di prezzo e associano a ciascuna di queste una marca specifica. Tuttavia, anche questi Paesi negli ultimi anni stanno cominciando ad avvicinarsi all'impostazione europea. In Europa, fino a trenta anni fa, l'offerta si caratterizzava per la proposta di due tipologie di vino (VQPRD e vini da tavola), poi a questi si sono aggiunti nuovi modi di presentare il prodotto: vini da tavola con indicazione geografica (IGT, vin de pays, etc.), vini varietali, vini identificati come provenienti da aree molto circoscritte (cru, vini di vigna, vino de pago), vini con denominazioni regionali puramente commerciali come i Supertuscan e vini con nomi di fantasia. Dal dualismo iniziale che si era creato tra marca e territorio si è sviluppata una crescente articolazione dell'offerta coerente con i cambiamenti della domanda. I processi di aggregazione tra imprese medio- grandi, accompagnate da una maggiore propensione alla segmentazione della domanda, hanno contribuito alla coesistenza di un ristretto numero di grandi imprese con un sistema di imprese di piccola dimensione focalizzate su vini di alta gamma indirizzate a nicchie specifiche nei Paesi del Nuovo mondo. Proprio in questi ultimi le imprese di piccola dimensione sono in crescita e questo contraddice l'idea diffusa della presenza di due sistemi totalmente diversi. Tra questi due sistemi di Paesi la differenza principale è la polarizzazione. Nel Nuovo Mondo si è delineato un sistema dove poche imprese dominano il mercato interno e l'export dei vini più commerciali e una costellazione di piccole imprese, in espansione numerica, che opera nel segmento, quantitativamente ristretto ma a più alto valore aggiunto, dei vini di alta gamma.

Nei Paesi del Vecchio mondo il mercato dei vini più commerciali è conteso da un ampio numero di imprese di media dimensione.

In tutti i Paesi produttori si delineano due ambiti competitivi differenti. Il primo, quello dei vini commerciali, dove i fattori competitivi principali sono il potere distributivo e la leadership di costo e per i quali è molto forte la spinta verso la concentrazione. Il secondo ambito, quello dei vini di alta gamma, dove i fattori di competitività sono più differenziati e le piccole imprese

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11 possono godere di vantaggi competitivi distintivi non attaccabili. Un terzo elemento che caratterizza il mercato deriva dal consumo. I principali problemi si riscontrano se viene fatto riferimento alle forme di regolamentazione per quanto riguarda le pratiche enologiche e l'etichettatura. Infatti, le differenze a livello internazionale sono rilevanti. In Europa il vino è un prodotto con una lunga tradizione e che ha sviluppato nel tempo un sistema produttivo con forti connotazioni territoriali, dando luogo ad un modello consolidato di regolamentazione della produzione e dei mercati, articolato e complesso, per preservare e tutelare questo patrimonio di conoscenze e tradizioni, oltre che per proteggere gli interessi dei consumatori. I Paesi produttori europei hanno per primi scelto di valorizzare il collegamento dei vini con i rispettivi territori di provenienza, sviluppando un sistema di identificazione dei prodotti legato alle denominazioni geografiche.

Nei Nuovi paesi invece l'attività vitivinicola, portata dagli emigrati europei, è nata in tempi più recenti e si è sviluppata grazie alla capacità di introdurre innovazioni di processo e di prodotto, in un contesto istituzionale dove la regolamentazione settoriale è finalizzata, in via principale, a garantire la tutela della salute e della correttezza delle informazioni ai consumatori.

Le differenze a livello internazionale per quanto riguarda la regolamentazione sono rilevanti e possono essere di ostacolo agli scambi. In particolare, il sistema di regolamentazione dell’UE presenta diversi aspetti distintivi soprattutto volti a preservare l’identità del prodotto e a valorizzare il legame con il territorio. Alcuni vincoli sono oggi messi in discussione anche dagli stessi produttori interni dell’Ue, per i loro effetti negativi sui costi di produzione e sulle possibilità di introdurre innovazioni di prodotto e di processo. Per rimuovere gli effetti distorsivi sugli scambi internazionali, dovute alle differenze nelle regolamentazioni, le regole della WTO1 stabiliscono due possibili approcci: l’armonizzazione, basata sul ricorso a norme emanate da enti di standardizzazione e il mutuo riconoscimento. (Il mercato del vino: tendenze strutturali e strategie dei concorrenti)

1 Wto: è l’organizzazione internazionale creata allo scopo di supervisionare numerosi accordi commerciali tra

gli stati membri. Tali accordi sono stati sottoscritti nel 1994 a chiusura dell’Uruguay Round. I più importanti tra questi riguardano l’agricoltura, nei quali sono stabiliti regole e vincoli, che pongono precisi limiti alla libertà di scelta degli strumenti e delle forme di intervento delle politiche nazionali e l’accordo sulle barriere tecniche agli scambi; e l’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, in cui si affronta il problema del riconoscimento della protezione internazionale della denominazione di origine.

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Paragrafo 1.2 LA PRODUZIONE DI VINO A LIVELLO

MONDIALE

La produzione mondiale di vino nel 2017, esclusi i mosti, si attesta a 246,7 milioni di hl e ha registrato un calo di oltre l’8% rispetto al 2016. Questa notevole riduzione è dovuta soprattutto all’ effetto dei fenomeni climatici, in particolare gelo e siccità, che hanno interessato i principali paesi produttori, in particolare in Europa. L’ Italia nel 2017 si conferma, per il terzo anno consecutivo, il primo produttore mondiale con 39, 3 milioni di hl, -23% rispetto al 2016, seguito dalla Francia (36,7 milioni di hl, -19% rispetto al 2016) e dalla Spagna (33,5 milioni di hl, - 15% rispetto al 2016). Tale flessione si riscontra anche nei principali paesi europei, come ad esempio la Germania (8,1 milioni di hl, 10% rispetto al 2016) e la Grecia (2,5 milioni di hl, -10% rispetto al 2016). La Bulgaria (1,1 milioni di hl, -2% rispetto al 2016), segna un livello di produzione in linea con il suo potenziale. Il Portogallo (6,6 milioni di hl), la Romania (5,3 milioni di hl), l’Ungheria (2,9 milioni di hl) e l’Austria (2,4 milioni di hl) sono i soli paesi a registrare un aumento rispetto al 2016. Gli Stati Uniti d’ America con 23,3 milioni di hl vinificati (-1% rispetto al 2016) hanno raggiunto per il secondo anno un livello di produzione elevato. In America del Sud le produzioni di vino sono in crescita rispetto all’anno precedente nonostante le temperature piuttosto basse di fine 2016. L’ Argentina riporta nel 2017 una crescita della produzione, con 11,8 milioni di hl vinificati (+ del 25% rispetto al 2016). Il Sud Africa (10,8 milioni di hl) ha incrementato il livello di produzione 2017 rispetto all’ anno precedente del 2%. In Oceania la produzione australiana nel 2017 raggiunge i 13,9 milioni di hl, registrando un aumento del 6% rispetto al 2016. In Nuova Zelanda la produzione 2017 segna un leggero calo (-9%). (Fonte oiv: produzione mondiale di vino: una delle più scarse da diversi decenni). Dai dati presi in esame possiamo osservare che nell’emisfero nord si è avuta una diminuzione generalizzata di prodotto, mentre in quello sud la situazione è totalmente capovolta. I motivi di questa riduzione come accennato all’inizio del paragrafo sono dovuti principalmente al caldo e alla siccità. Dai dati elaborati dall’ Uiv emerge una forte variabilità non solo tra zona e zona, ma all’interno di microaree differenti, e addirittura, tra vigneto e vigneto. Quindi oggi ancora di più rispetto al passato è evidente che i cambiamenti climatici incidono in modo sempre più determinante sul settore agricolo e vinicolo in particolare. Di conseguenza, l’innovazione e la cura professionale dei vigneti consentono una maggiore

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13 professionalità, assicurando maggiori ricavi a tutti gli attori della filiera ( www.lastampa.it -il crollo della produzione del vino).

Per quanto riguarda la struttura produttiva del settore vitivinicolo mondiale essa presenta tratti che la distinguono da altri settori. Molte aziende sono di piccola dimensione, talvolta a conduzione familiare, e si occupano di tutti gli stadi della produzione e commercializzazione. Mentre in Europa è evidente l'esistenza di queste realtà, nei Paesi del Nuovo Mondo sono nascoste dall'ingombrante presenza delle grandi aziende che dominano il mercato. Ad esempio, in Australia, dove venti imprese coprono il 90% della produzione, operano quasi duemila piccole cantine e seimila viticoltori (Lockshin e Albisu,2006). In Europa, le aziende piccole sono centinaia di migliaia, spesso organizzate in cooperative e in organismi associativi. Alle aziende di dimensione ridotta se ne affiancano altre di dimensione maggiore, che possono essere inquadrate in due tipologie. Esistono grandi aziende nazionali, che a partire dagli anni Novanta, hanno avviato processi di internazionalizzazione delle attività produttive o distributive attraverso joint-venture oppure investimenti diretti all'estero. I profili e le strategie aziendali dipendono fortemente dal paese d'origine. Una seconda tipologia, per le aziende di grandi dimensioni, è quella delle global company, grandi gruppi internazionali che trattano anche altri tipi di bevande. (Green at al., 2006). Uno dei fattori che sta contribuendo a rafforzare le imprese di dimensione elevata è il cambiamento nelle strutture distributive dei beni di largo consumo, che si manifesta anche per il vino. La quota di vendite di vino che passa attraverso la grande distribuzione supera oggi il 60% in tutti i paesi occidentali. Diventa fondamentale possedere gli strumenti e la capacità per rifornirla e per negoziare con essa. La frammentazione, che caratterizza molti paesi europei, rappresenta un ostacolo al raggiungimento delle dimensioni critiche necessarie per disporre dei volumi e della forza contrattuale richiesti. D'altra parte, proprio la frammentazione permette il mantenimento di un'ampia varietà di tecniche e consuetudini, frenando l'omogeneizzazione che si sta verificando per altri prodotti globalizzati. Nell'ultimo trentennio la domanda è stata soggetta ad una forte contrazione, mentre adesso questa tendenza sta diminuendo. Essa ha determinato il calo dei consumi a livello mondiale.

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PARAGRAFO 1.3 IL CONSUMO VINICOLO

La produzione e il consumo di vino hanno registrato una notevole riduzione tra gli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta per poi aumentare successivamente.

Nella seconda metà degli anni Novanta il commercio internazionale di vino è stato oggetto di un notevole sviluppo grazie all’ingresso sul mercato di nuovi concorrenti. Questa tendenza si è determinata per l’avvio di un processo di riduzione della protezione dei mercati e delle varie forme di ostacolo agli scambi, guidato dalle regole degli accordi del WTO.

In tutti i Paesi il settore del vino è soggetto a misure di restrizione agli scambi per tutelare il mercato interno dalla concorrenza dei prodotti esteri.

Negli ultimi decenni nei grandi Paesi vitivinicoli tradizionali d’Europa, in particolare Francia, Italia, Spagna e Portogallo, come in quelli latini d’oltreoceano si è verificata un’importante caduta del consumo pro-capite.

Nei paesi anglosassoni e in molti altri non produttori, al contrario, il consumo, tende ad aumentare. Un elemento che ha caratterizzato ovunque l’evoluzione del mercato è stato l’allargamento del consumo dei vini di gamma medio alta e una maggiore disponibilità a pagare dei consumatori che, oggi, appare rallentata, in quanto emerge un atteggiamento selettivo del pubblico rispetto ai prezzi elevati, che sono giustificati solo da un prodotto di qualità.

I livelli di consumo individuale più elevati si concentrano nei paesi europei con una forte tradizione vitivinicola: Francia, Italia e Portogallo, rispettivamente con 56,48 e 47 litri annuali. Italia e Francia sono anche i primi paesi consumatori in termini assoluti e consumano quasi un quarto del vino bevuto nel mondo. In questi paesi, così come in Spagna, nell'ultimo trentennio la domanda è stata soggetta ad una forte contrazione, mentre adesso questa tendenza sta diminuendo. Essa ha determinato il calo dei consumi a livello mondiale.

Un secondo gruppo di paesi europei, come Germania, Austria, Grecia e molte aree dell'Est Europa, producono e consumano quantità di vino limitate, in maniera non paragonabile ai paesi mediterranei. I loro livelli di consumo pro-capite, che variano approssimativamente fra i 23 litri della Grecia e i 44 della Slovenia, sono stabili o in leggera crescita. Fra essi spicca la Germania, per l'elevato consumo totale. Un terzo gruppo di paesi europei, per lo più localizzati nel nord Europa, si distingue per l'assenza di una tradizione o di una produzione vitivinicola e per la

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15 forte crescita dei consumi a partire dagli anni Ottanta - Novanta. Fra questi paesi, il Regno Unito presenta consumi totali più elevati, essendo questi cresciuti da 6 a 12 milioni di ettolitri in vent'anni. I livelli di consumo individuale nel nord Europa sono ancora bassi, con un massimo di 31 litri in Danimarca, seguita dai 26 del Belgio, i 21 dell'Olanda, i 19 del Regno Unito. L' andamento positivo in queste zone deriva principalmente dalla crescente incidenza del vino sui consumi di alcolici, e in alcuni casi dall' incremento del consumo pro-capite di alcolici.

La globalizzazione ha infatti determinato un ampliamento dell'offerta di vini e la diffusione di nuovi modelli di consumo. I Paesi che raggiungono oltre un milione di ettolitri al consumo sono gli Stati Uniti, come terzo consumatore mondiale; la Cina, un mercato ampio e in forte espansione, l'Argentina, la Russia, l'Australia, il Sudafrica, il Canada, il Brasile, il Cile e il Giappone.

Tuttavia, se si considerano i consumi individuali, gli Stati Uniti non raggiungono i 9 litri annuali; spiccano invece l'Argentina con 29 litri, l'Australia con 25, la Nuova Zelanda con 17 e il Cile con 15, oltre ad alcuni piccoli stati sudamericani.

Nella maggior parte dei paesi consumatori extraeuropei prevalgono dinamiche e modelli di consumo simili a quelli che caratterizzano il nord Europa, dove la comparsa e una relativa diffusione del vino sono fenomeni recenti. Si notano infatti incrementi dei consumi anche importanti fra il 2001 e il 2005: il consumo di vino è cresciuto del 40% in Russia, del 26% in Australia, del 10% negli Stati Uniti (fonte: Wine Istitute 2007, dati riferiti al 2005).

Il calo dei consumi del Vecchio Mondo scaturisce dal cambiamento negli stili di vita che ha interessato e sta interessando le società avanzate. In conseguenza di questo fenomeno, nei paesi tradizionalmente consumatori di vino si stanno imponendo nuovi modelli di consumo, che presentano forti similitudini con quelli prevalenti nei mercati emergenti. Si tratta di un tipo di consumo più occasionale, meno diffuso nella popolazione, che si manifesta nei mercati tradizionali con la diminuzione congiunta dell'incidenza dei bevitori di vino e della quantità consumata individualmente dai bevitori.

Fino ad alcuni decenni fa, nei paesi produttori il vino veniva considerato come un alimento con una funzione nutritiva. Esso serviva per raggiungere l'apporto calorico necessario per svolgere le attività fisiche, lavorative e domestiche.

Con il mutare degli stili di vita, fattori quali la sedentarietà e l'attenzione verso aspetti salutistici, l'aumentare del potere di acquisto, l'accresciuta offerta di generi alimentari, l'interesse per la

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16 loro qualità, hanno contribuito a trasformare il vino in un complemento non necessario del pasto, o bevanda riservata ad occasioni sociali e conviviali.

I bisogni che il vino è chiamato a soddisfare sono diventati la ricerca del piacere sensoriale, l'emulazione di un certo stile di vita, la tutela di tradizioni culturali e storiche, l'accrescimento del benessere fisico.

Per quanto riguarda le tipologie di vino consumate, negli ultimi decenni si è verificata un'evoluzione verso prodotti di qualità, specie nei paesi del Vecchio Mondo, dove un tempo si consumavano grandi quantità di vino scadente.

Per secoli il vino ha avuto le caratteristiche di una commodity, mentre oggi si assiste ad una trasformazione della sua funzione d’uso, sempre più legata ad aspetti di piacere e socialità e meno attinente alla nutrizione; spesso il consumo di vino assume caratteristiche tali da accomunarlo ai beni di lusso. Da questo cambiamento della funzione del vino, discende l’esaltazione della sua componente qualitativa: in tutti i paesi la domanda si sta spostando verso prodotti di qualità medio-alta e la qualità, intesa anche come origine e sicurezza alimentare, rappresenta sempre di più una priorità per il consumatore. Questo processo di evoluzione “dalla quantità alla qualità”, perfettamente esemplificato dal mercato del vino, è tipico di molti altri prodotti alimentari. Si stanno affermando svariati modelli di consumo, che tuttavia sono trasnazionali. Le dinamiche dei consumi e il comportamento del consumatore sono oggetto di un'attenzione crescente, per due ragioni principali: i loro mutamenti e la crescente attenzione al cliente da parte delle aziende. Il surplus produttivo e l'intensificarsi della competitività nel settore inducono le imprese a conoscere i loro clienti e a cercare di adattare l'offerta alle loro esigenze. Questo orientamento è alla base del successo dei vini del Nuovo Mondo e sta iniziando ad essere recepito anche in Europa. Esso rappresenta uno degli strumenti attraverso cui la nuova riforma dell'Ocm2 del vino europea mira a ridare competitività al settore

2 Nuova riforma Ocm: La nuova disciplina è costituita dal regolamento UE n.1308/2013 del Consiglio e del

Parlamento Europeo, il quale sostituisce il regolamento n. 1234/2007 (regolamento “base” sulla OCM Unica, di cui vanno individuate le norme applicabili ai prodotti vitivinicoli) e delega alla Commissione tutta una serie di regole applicative.

La riforma non riguarda solo i prodotti vitivinicoli, ma tutti quelli agricoli e si inserisce nell’ambito del più ampio processo di revisione dell’intera Politica Agricola Comunitaria (PAC).

Sebbene venga integralmente sostituito il testo di detto regolamento, la riforma interessa principalmente le misure di sostegno all’agricoltura ed alle varie produzioni.

Per quanto specificamente concerne i prodotti vitivinicolo la riforma del 2013 modifica solo alcuni aspetti della normativa precedente: in sostanza, viene mantenuta la vigente impostazione, salvo che per la parte relativa alla gestione degli impianti viticoli.

Viene abolito il divieto totale di impianto di nuovi vigneti e si passa dalla gestione dei diritti di impianto al meccanismo delle autorizzazioni che prevedono anche la possibilità di incrementare le superfici vitate entro il

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17 vitivinicolo europeo (fonte: “La domanda di vino in Italia: analisi delle preferenze del consumatore”).

limite massimo annuale, per stato membro, dell’1%. Sono previste misure transitorie per il passaggio dai diritti di impianto alle autorizzazioni. Tale conversione avviene su presentazione di una richiesta da parte dei produttori interessati entro il 31 dicembre 2015. Gli Stati membri possono decidere di consentire ai produttori di presentare tale richiesta di convertire i diritti in autorizzazioni entro il 31 dicembre 2020.

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Paragrafo 1.4 IL MERCATO VITIVINICOLO ITALIANO

Lo scenario in cui si trovano oggi ad operare e competere le imprese vitivinicole italiane è radicalmente differente rispetto a quello di dieci anni fa. Il vino, al pari di tutti gli altri settori produttivi, ha necessariamente seguito le evoluzioni sociali ed economiche che si sono manifestate nel corso degli ultimi anni. Le ragioni di questi cambiamenti sono riconducibili non soltanto alla crisi economica, che ha comunque influito, ma ad una serie di altri fattori in ambito socio- demografico, culturale e tecnologico. L’Italia, negli ultimi anni, ha registrato nel campo del vino dei risultati positivi, nonostante la concorrenza sia molto agguerrita. Nel 2016, secondo i dati forniti dall’ Osservatorio del vino, l’export vinicolo ha raggiunto il suo massimo storico, raggiungendo i 5,56 miliardi di euro, una crescita del 4,3% rispetto al 2015. Secondo l’Istat tale incremento dell’export è stato accompagnato da un aumento del 2,9% dei volumi esportati (20,6 milioni di hl). Nel 2006 l’export italiano valeva 2,63 miliardi di euro. Adesso è più del doppio. Il processo di cambiamento che ha interessato l’Italia ha avuto inizio a partire dagli anni ’80, dopo lo scandalo al metanolo e negli ultimi 15-20 anni ha subito una forte accelerazione. Da uno studio svolto da Eleonora Guerini, responsabile della Guida Vini d’Italia Gambero Rosso, gli investimenti delle imprese vinicole in tecnologie non è stato il fattore scatenante di questo cambiamento, quanto invece la maggiore consapevolezza da parte dei produttori, delle varie aree, delle denominazioni; una maggiore conoscenza di cura del vigneto e di tecnica. Anche la piccola dimensione delle imprese italiane risulta essere una risorsa. Le aziende vinicole italiane sono principalmente di piccole o medie dimensioni e a conduzione familiare, nella proprietà non ci sono banche o fondi, gli utili non vengono distribuiti come dividendi ma reinvestiti in terra, capitale umano e tecnologia. Il consumo di vino interno ha registrato un notevole calo e per i produttori italiani ha assunto maggiore importanza il mercato estero. In particolare, a Taiwan il valore dell’export italiano è cresciuto dell’83%, in Australia, Messico e Nuova Zelanda del 108,109 e 114%. In Vietnam, invece, nello stesso periodo è quadruplicato (404%). I principali sbocchi del vino italiano, però, restano, Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Canada e Svizzera, mercati già maturi, in cui le percentuali di crescita sono meno significativi.

Il vino italiano sta cercando di accreditarsi come un prodotto di valore, e non solo di qualità. Questi due termini vengono spesso usati come sinonimi ma nel vino non è così: infatti, guardando ai dati del 2016, i quali illustrano quello che è un po’ il paradosso con cui devono fare i conti i produttori italiani, l’Italia è al primo posto per quanto riguarda le vendite in milioni di ettolitri e per la quota di mercato mondiale detenuta (18,8%), ma è seconda nella classifica

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19 della resa economica, il che vuol dire che c’è qualcuno che vende meno ma fa più ricavi (8,2 miliardi di euro). Il Paese che riesce in questo è la Francia, la quale sembra contraddire la legge secondo la quale nel mercato vinicolo non si viva di rendita. «La Francia», dice la Guerini, «raccoglie quello che ha raccolto da oltre 200 anni”.

Una volta convinto il mercato estero che il vino italiano è di qualità, bisogna convincerlo che valga la pena pagare cifre più alte. “Gli anni passati a produrre vini economici sono il nostro peccato originale”, racconta la giornalista del Gambero Rosso. Il miracolo degli ultimi 20 anni non basta ancora per costruirsi una nuova reputazione. Ed è un peccato, perché il caso italiano diverge da quello francese in un altro aspetto essenziale: da noi c’è stata una crescita qualitativa diffusa, laddove in Francia a tirare la volata sono quelle che la Guerini definisce «microzone ipervocate che strappano poi iperpunteggi». Quindi emerge un problema di marketing. Secondo Giampietro Comolli, enologo, esperto di marketing del vino e creatore dell’Osservatorio Economico Vini, per passare dalla qualità alla redditività, all’ Italia mancano delle persone che sappiano guidare strutture ed enti preposti alla promozione. Inoltre, mancano anche delle strutture che diano una formazione adeguata e che creino figure di questo tipo. Si è, per esempio, dato molto spazio ai bravissimi sommelier, che hanno dato un contributo eccezionale, e agli enologi, che hanno contribuito a far crescere la qualità del vino italiano. Ma poi il vino non va solo prodotto e assaggiato, va anche venduto». A tal proposito, un case study interessante per capire quali sono i limiti che il mondo del vino italiano deve superare è la Cina, uno dei mercati più redditizi e anche uno di quelli che è cresciuto di più negli ultimi anni. Eppure, qui le nostre aziende non hanno ancora raggiunto risultati significativi. Quelle francesi invece realizzano utili in modo eclatante. Merito di una pianificazione che ha avuto inizio negli anni ‘80, con le prime missioni dei grandi produttori di Champagne; poi hanno scommesso sulla probabilità che in un Paese di oltre un miliardo di abitanti ci sarebbero stati alcuni milioni di persone sicuramente ricche. Nello stesso periodo, poi, è stata fondata la Sopexa, l’agenzia che sovrintende alla comunicazione internazionale e al marketing dell’agroalimentare francese. In Italia non esiste nessuna cabina di regia simile e il risultato è l’anarchia comunicativa e commerciale. «Noi siamo ancora il Paese che, nel 2016, è andato nella stessa città cinese con gli stessi vini e con tre strutture diverse nello stesso anno: una fiera, una camera di commercio e un consorzio di tutela», constata incredulo Comolli (Fonte: articolo online- “Vino in Italia: un’industria da prendere ad esempio”).

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Paragrafo 1.5 L’EXPORT DI VINO

Il vino è un prodotto globale e lo si può dedurre non solo dall’ esplosione avvenuta nei consumi in Paesi estranei alla tradizione vitivinicola, ma anche dall’intensificarsi degli scambi internazionali da parte di “vecchi” e “nuovi” competitor. L’ Italia e la Francia che rientrano nella categoria dei vecchi competitor mantengono una leadership a livello mondiale che è tuttavia continuamente minacciata dai paesi nuovi.

Da queste indagini possiamo notare come i successi dei nuovi competitor siano stati ottenuti soprattutto a scapito della leader mondiale – la Francia- e tali risultati si sono resi possibili grazie a strategie pianificate al fine di conquistare spazi di mercato internazionali, in mancanza di consumi interni in grado di assorbire quote crescenti di produzione. Contrariamente ai principi della teoria economica classica che vede nell’internazionalizzazione la tappa del percorso di crescita delle imprese successiva alla saturazione del mercato domestico, i produttori vinicoli dell’Emisfero sud hanno programmato investimenti e crescita produttiva secondo una logica di competizione globale, individuando nella globalizzazione dei consumi di vino un’opportunità da cogliere. (fonte: Nomisma- “Wine marketing. Scenari, mercati internazionali e competitività del vino italiano)

All’eccellente trend delle vendite all’estero di Alimentari e bevande made in Italy contribuisce anche l’export di vini che rappresenta i tre quarti (74,1%) dell’export delle Bevande. L’ Italia è il secondo esportatore europeo di vini, dopo la Francia, con un export di prodotto che negli ultimi dodici mesi (ottobre 2016-settembre 2017) vale 5.893 milioni di euro, oltre un terzo di punto di PIL (0,34%). La regione con la più alta propensione all’export di Vini è il Veneto che raggiunge l’1,32% del PIL regionale, seguito dal Trentino con 1,28%, Toscana con 0,83%, Piemonte con 0,72%, Abruzzo con 0,47% e Friuli-Venezia Giulia con 0,31%.

Nei primi nove mesi del 2017 l’export di Vino italiano sale del 6,6%; tra le dieci regioni più rilevanti – con export regionale superiore nel 2016 a 100 milioni di euro e che insieme cumulano il 96,0% di tali esportazioni – il maggiore dinamismo si registra per la Puglia con l’export che sale del 20,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; aumento a doppia cifra anche per la Sicilia con il +14,2%, Abruzzo con il +13,5%, Emilia-Romagna con il +11,8%; a seguire Veneto con il +6,4%, Trentino- Alto Adige e Piemonte entrambi con il +6,1%, Lombardia con il +3,7%, Toscana con il +3,3% e Friuli-Venezia Giulia con il +1,5%. Sulla base di questi trend territoriali, la crescita dell’export di Vini nei primi nove mesi del 2017 viene trainata dal Mezzogiorno dove le vendite all’estero – pur rappresentando l’8,2% del totale

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21 nazionale – crescono del 14,7%, tasso di oltre dieci punti superiore al 6,7% del Nord-Est al 6,1% del Nord- Ovest e quattro volte il +3,5% del Centro.

Per quanto riguarda la destinazione delle esportazioni dei Vini nei primi nove mesi del 2017 il 50,1% delle vendite è destinato a Paesi dell’Unione Europea che crescono in un anno del 5,2% mentre il restante 49,9% è destinato a Paesi extra Ue che sono più dinamici crescendo, infatti, dell’8,1%.

Nel dettaglio un quarto (24,4%) delle vendite è concentrato negli Usa ed ammontano a 1.038 milioni di euro. Seguono altri otto Paesi con oltre 100 milioni di euro di export ciascuno nel periodo: Germania con il 16,7% (710 milioni di euro), Regno Unito con il 13,1% (559 milioni), Svizzera con il 5,8% (247 milioni), Canada con il 5,7% (242 milioni), Giappone con il 2,9% (124 milioni), Francia con il 2,9% (123 milioni), con il Svezia 2,8% (121 milioni) e Danimarca con il 2,4% (102 milioni).

Questi primi nove mercati assorbono i tre quarti (76,6%) delle vendite di Vino, crescono in anno del 4,8% e le maggiori vendite di 150 milioni di euro rappresentano il 56,6% dell’aumento complessivo di tali esportazioni. Nel dettaglio otto di questi principali Paesi sono in crescita: aumentano oltre la media del +6,6% Francia (+11,1%), Canada (+9,1%), Giappone (+8,2%), Svezia (+8,0%) e Regno Unito (+6,7%) seguiti, con aumenti inferiori alla media, da Svizzera (+5,6%), Stati Uniti (+4,0%), Germania (+1,7%). Solo la Danimarca è in calo anche se lieve (-0,6%).

Nel confronto internazionale le esportazioni di Vino dell’Unione Europea sono in crescita del 9,6% e, considerando i principali cinque Paesi produttori, che insieme rappresentano l’89,5% della produzione europea di uve da vino, l’Italia fa meglio solo della Germania (+5,3%): in particolare la Francia – che come abbiamo visto è il primo esportatore europeo di Vino – mostra una crescita sostenuta e pari al +10,9%, davanti a Portogallo (+8,5%) e Spagna (+6,9%).

Un approfondimento dell’analisi sulle esportazioni del settore alimentare e bevande è presentato nell’Elaborazione Flash “food economy e l’artigianato alimentare – Speciale Natale 2017”.

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22 PROPENSIONE ALL’ESPORTAZIONE DI VINI DI UVE PER REGIONE

Rapporto % tra export 2016 e PIL 2015 – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat

Fig. 1 Fonte: Confartigianato su dati Eurostat

DINAMICA ESPORTAZIONE DI VINI DI UVE PER REGIONE

Gen.-sett. 2017 e var. % su stesso periodo del 2016. Gruppo a destra del grafico: regioni>100 mln export 2016. Ateco 2007: C11.02 – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat

Fig.2 Fonte: Confartigianato su dati Eurostat

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23 DINAMICA ESPORTAZIONE DI VINI DI UVE PER DESTINAZIONE

Variazione % gen.-sett. 2017 su stesso periodo del 2016. Primi 9 Paesi >100 mln € – Elaborazioni Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat

Fig.3 Fonte: Studi Confartigianato su dati Eurostat

DINAMICA ESPORTAZIONE DI VINI DI UVE DEI PRIMI CINQUE PAESI PRODUTTORI DELL’UNIONE EUROPEA

Gen.-sett. 2017 e var. % su stesso periodo del 2016. Primi 5 Paesi produttori (89,5% produzione uva da vino in UE). Ateco 2007: C11.02 – Elaborazioni Ufficio Studi Confartigianato su dati Eurostat

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24 Secondo i dati Istat elaborati da Ismea, e pubblicati dall’Osservatorio del Vino della Uiv -Unione Italiana Vini, l’export del vino italiano nel periodo gennaio-marzo 2018 è cresciuto ancora, del +4,5% in valore (superando 1,38 miliardi di euro), a fronte però di una netta flessione, pari al -9% in volume, passando dai circa 4,9 milioni di ettolitri di vini e mosti esportati nel primo trimestre del 2017 ai 4,5 milioni di ettolitri nello stesso periodo di quest’anno. In particolare, a causare il crollo dei volumi esportati è quel -32,6% nelle vendite dei vini comuni, che nel corso del 2017 sono stati soggetti ad un calo della produzione e ad un conseguente aumento dei prezzi dopo le difficoltà dell’ultima vendemmia. Risultati preoccupanti, moderati però dai numeri degli spumanti, vero traino del settore, che nel complesso salgono del +2,8% a volume e del +14,6% in valore. In particolare, questo segmento si conferma particolarmente apprezzato negli Stati Uniti (+14,3% e +18,6%) e registra un netto aumento tanto in Belgio (64,4% e 69,9%) quanto in Germania (+34,3% e +10,8%). Si fa sentire invece l’effetto Brexit, con una diminuzione del -6,1% in volume e un +2% in valore nel Regno Unito.

Inverse le dinamiche dei vini Dop e Igp: i primi segnano una crescita del +12,2% in volume e del +10,4% in valore, mentre i secondi fanno registrare un calo del 12,8% in volume e del -6,5% in valore. Un fenomeno frutto di due dinamiche congiunturali che si sono andate a sovrapporre: da una parte il passaggio del Pinot Grigio delle Venezie da Igp a Dop, dall’altra le scelte vendemmiali degli operatori che, causa scarsità di prodotto, hanno sfruttato al massimo il potenziale dei vigneti consentito dai disciplinari per ottenere vini Dop, rinunciando in molti casi alle Igp di ricaduta. I vini sfusi, infine, hanno subito un crollo del -30,6% in volume e un lieve aumento del 1,4% in valore, dovuto proprio a quell’aumento dei prezzi che sta caratterizzando l’annata 2017/2018: in media stiamo parlando del +47%, con punte del 70% per i vini comuni rossi, balzati sopra quota 80 centesimi al litro. Guardando ai singoli Paesi d’esportazione, i volumi venduti negli Stati Uniti sono in crescita del 5,9% e del 4,1% in valore, mentre in Germania e in Inghilterra i mercati perdono rispettivamente -15,3% e -11,7% in volume. Più moderato il calo in Canada, con una decrescita del -4,2% in volume e un trascurabile aumento in valore dello 0,4%. In Francia, invece, pur con un calo di volume pari al -28,9%, cresce del 19,1% il valore dell’export (Fonte: winenews.it).

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Paragrafo 1.6 LA COMPETITIVITA’ NEL SETTORE

VINICOLO

La competitività sussiste quando nello stesso mercato sono presenti più operatori che forniscono

beni, servizi o prestazioni simili in regime di libera concorrenza. Le imprese che riescono ad avere successo sono quelle più competitive, cioè quelle che riescono ad offrire i prodotti della propria impresa al miglior rapporto qualità- prezzo accompagnati dal miglior servizio per il cliente insieme anche ad altri fattori. A seconda dei casi questi fattori possono riguardare la tempestività del servizio, il marchio, l’affidabilità del fornitore e molti altri (fonte: “Italia: competitività questa sconosciuta”-www.intermarketandmore.finanza.com). Nell’economia globalizzata, pertanto, molti dei vantaggi competitivi si fondano su economie esterne o su effetti esterni, trasversali a imprese e industrie di vario genere. Il contesto locale è divenuto particolarmente cruciale per i processi decisionali, di crescita e di capacità competitiva delle imprese, che trovano nel territorio un elemento determinante per le proprie strategie. In questa nuova ottica il rapporto tra competitività e localizzazione è sempre più stretto e il territorio, inteso come l’insieme delle conoscenze, competenze e regole, può influenzare l’orientamento all’innovazione, soprattutto nei sistemi di imprese caratterizzati da forte specializzazione produttiva, dove l’interconnessione fra imprese e istituzioni crea un maggiore valore della somma delle singole parti. La concentrazione in sistemi di specializzazione produttiva ha luogo perché la prossimità fra piccole e medie imprese (PMI) serve ad ampliare molti benefici in termini di produttività e innovazione (Enright, 1990; Porter, 1990): in questi contesti si assiste, infatti, ad una riduzione dei costi di transazione, a un miglioramento della circolazione delle informazioni e a una maggiore attenzione da parte delle istituzioni locali, che rispondono più prontamente alle esigenze imprenditoriali. Piccole imprese che lavorano sull’offerta di prodotti e servizi specifici non possono trarre vantaggio da forti economie di scala che spingono alla crescita dimensionale. Devono invece valersi di competenze e collaborazioni esterne che si ricombinano di volta in volta., più o meno formalizzate con altre aziende specializzate in aspetti particolari del processo di produzione; di rapporti continui con i committenti, importanti non solo per la realizzazione dei prodotti, e come canale di accesso privilegiato al mercato. Senza dimenticare, poi, che queste piccole aziende possono trarre vantaggio dall’esistenza di specifici

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26 servizi esterni, come aree attrezzate e parchi tecnologici che abbassano i costi di produzione (Ramella e Trigilia, 2006). La cultura relazionale di tali sistemi, pertanto, può generare un vantaggio competitivo non solo su scala nazionale, ma anche su scala globale. Diventa conveniente, in altri termini, investire in innovazione e in sperimentazione perché solo in questo modo, e a queste condizioni, il territorio diventa motore dello sviluppo (Rullani, 2003: 114). Lo stretto legame territorio-competitività risulta evidente in tutte quelle attività legate al settore agroalimentare, primo fra tutti quello vitivinicolo. L’attività di produzione del vino è stata fino a qualche anno fa gestita con modelli aziendali della piccola impresa, a conduzione familiare e con prevalente attenzione al prodotto e al processo produttivo. Dagli anni ottanta in poi, la definizione di normative e disciplinari che hanno qualificato le modalità di produzione, l’evoluzione delle logiche produttive e l’allargamento dei mercati internazionali hanno comportato una profonda trasformazione del settore che si è caratterizzato per l’affermarsi di sistemi produttivi avanzati (si pensi in particolare al sistema californiano e sudafricano) caratterizzati da un lato dalla presenza di aziende che operano con logiche di gestione manageriali, comparabili con quelle già sviluppate e consolidate nelle imprese industriali, e dall’altro da un legame territorio-aziende-attori locali evolutosi attraverso la creazione e diffusione di reti di capitale sociale di reciprocità (Pizzorno, 1999). (competitività e localizzazione)

I fattori da cui dipende la competitività delle aziende sono: efficienza, qualità, innovazione, orientamento al cliente, competenze professionali, sostenibilità ambientale e sicurezza alimentare. Con il termine efficienza si intende la capacità dell’azienda di ottimizzare i costi e l’impiego delle risorse perseguendo i fini dell’organizzazione. Attraverso la delocalizzazione, che comporta il trasferimento delle principali unità produttive dal proprio mercato di riferimento verso mercati caratterizzati da bassi costi dei fattori produttivi, con l’obiettivo di ottenere una riduzione dei costi di produzione dell’impresa, generando così la possibilità di implementare la strategia di leadership di costo nella vendita dei prodotti.

Il mercato in cui l’impresa opera rimane lo stesso, mentre il mercato in cui viene trasferita la produzione risulta essere una leva per poter offrire quello stesso prodotto a prezzi più competitivi. Anche la sostenibilità ambientale ha assunto un ruolo sempre più importante. La produzione e il consumo di cibo possederanno sempre un certo livello di impatto ambientale; pertanto, appare con forza l’opportunità di determinare il modo migliore di coltivare, di trasformare, di scegliere il packaging, di trasportare, immagazzinare, cucinare e smaltire il cibo, in modo tale da richiedere la minore quantità possibile di materia ed energia e il rilascio di una

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27 quantità minima di rifiuti nell'ambiente. Per perseguire questi obiettivi non sono sufficienti valutazioni di tipo qualitativo ma occorre ricorrere ad analisi quantitative basate su evidenze empiriche derivanti dalla realtà biofisica, che offrono una base molto più rigorosa di comprensione dei fenomeni (Point, 2008). La produzione di vino non fa eccezione, in quanto contribuisce a una varietà di carichi ambientali, principalmente per l'uso di fitofarmaci e fertilizzanti nel vigneto e per la produzione di bottiglie di vetro, come già evidenziato dalla letteratura di settore (Villanueva-Rey et al., 2013). Allo stesso tempo nel settore vitivinicolo, caratterizzato da scenari globali sia di produzione che di consumo, si riscontrano, rispetto al tema della sostenibilità ambientale, differenze nei sistemi produttivi, nell’organizzazione delle filiere, nella consapevolezza e coinvolgimento del consumatore, con una varietà di situazioni

nelle diverse aree geografiche.

Gli aspetti ambientali hanno un impatto non univoco sulle scelte del consumatore di vino, dato l’elemento edonistico di consumo del prodotto che lo rende in parte differente rispetto agli altri prodotti alimentari (Olsen et al., 2006). La stessa certificazione biologica risulta quindi non avere la stessa importanza nel vino, come ha invece negli altri prodotti alimentari e, di conseguenza, nel favorire attitudini positive e disponibilità all’acquisto nel consumatore (Sirieix & Remaud, 2010), da un lato perché il vino è già considerato di per sé un prodotto naturale e dall’altro perché esistono numerosi altri elementi di differenziazione che possono assumere un peso maggiore nelle scelte dei consumatori (Chiodo et al., 2011). Queste considerazioni non sono in contrasto con la crescente attenzione del consumatore verso gli aspetti ambientali nei sistemi di produzione e distribuzione, per cui claim ambientali – quali ad esempio l’indicazione dell’impronta carbonica (carbon footprint) - possono assumere un valore maggiore della stessa certificazione biologica, quindi è complesso individuare quali siano gli aspetti qualificanti il prodotto dal punto di vista della sostenibilità ambientale e di conseguenza le strategie di comunicazione più efficaci da adottare per favorire il consumo di prodotti maggiormente sostenibili. La stessa etichettatura non sembra spesso in grado di dare adeguata evidenza degli aspetti ambientali connessi alla produzione e distribuzione dei prodotti, tanto che rimane aperto il problema se privilegiare la comunicazione della sostenibilità globale dell’attività dell’impresa, rischiando di limitare l’efficacia della comunicazione stessa, o concentrarsi su messaggi mirati e aspetti specifici, che possono però anche essere distorsivi rispetto ai reali comportamenti delle imprese o funzionali esclusivamente a strategie

di green washing (Belletti & Neri, 2012).

Una strategia efficace per l’aumento della sostenibilità ambientale delle produzioni sembra essere quella di sviluppare progetti di miglioramento, basati sull’analisi il più possibile

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28 completa del ciclo produttivo, in particolare utilizzando la valutazione del ciclo di vita del prodotto o Life Cycle Assessment (Lca), che possano essere poi adeguatamente comunicati al consumatore attraverso strumenti specifici quali le Dichiarazioni Ambientali di Prodotto e le impronte di carbonio, idrica ed ecologica (carbon, water ed ecological footprint) come evidenziato ad esempio dalla strategia di Barilla per il miglioramento della sostenibilità ambientale nella produzione di pasta (Ruini et al., 2013). L’approccio Lca offre, infatti, un quadro rigoroso ed una metodologia standardizzata per la quantificazione dei diversi materiali e flussi energetici di rilevanza ambientale di un prodotto o di un processo (Rebitzera et al., 2004), ed è ampiamente accettato come metodo per valutare l'impatto ambientale della produzione e per identificare le risorse e i processi ad alta intensità di emissione all'interno del ciclo di vita di un prodotto (Coderoni & Bonati, 2010), tanto che la metodologia è stata codificata nell’ambito delle norme Iso 14040 e 14044.

All’interno di ciascuna filiera agroalimentare coesistono diverse tipologie di sistemi Produzione-Distribuzione-Consumo (Pdc), ciascuna caratterizzata da specifiche forme organizzative e diversi gradi di complessità e a cui sono associati diversi impatti ambientali in termini di emissioni di gas a effetto serra. Da ciò sorge la possibilità di segnalare al consumatore, nel quadro delle politiche di responsabilizzazione sulla lotta al cambiamento climatico, i diversi livelli di impatto attraverso adeguate forme di etichettatura. Perché l’etichettatura abbia un significato ecologico è necessario che essa si riferisca a un fenomeno misurato in modo oggettivo, sia associabile a una o più attività del sistema Pdc e presenti una differenza significativa rispetto a una situazione di riferimento o tra sistemi Pdc alternativi. Altri requisiti riguardano aspetti di implementazione, quali la fattibilità tecnico-operativa, la garanzia circa la veridicità del contenuto dell’etichetta, la reale capacità di lettura da parte del consumatore e la sua effettiva disponibilità a pagare.

La produzione di vino ha un impatto ambientale limitato, in proporzione alla sua rilevanza economica e sociale; tuttavia, il settore vitivinicolo è, tra quelli dell’agricoltura, quello che maggiormente si interessa al tema della sostenibilità. Sono stati sviluppati diversi metodi per calcolare il bilancio carbonio della produzione di vino1,2, utilizzato per stimare il suo ruolo nel cambiamento climatico. Su scala globale, il settore vitivinicolo è responsabile dello 0,3% delle emissioni annuali di gas a effetto serra di origini antropiche 3; ciò corrisponde al 2% circa del contributo dell’agricoltura, che a sua volta rappresenta il 14% del totale4. Anche il bilancio idrico della produzione di vino è stato valutato in diverse situazioni, e il consumo di acqua potabile è stato visto avere entità molto variabile, tra 0,5 e 20 litri di acqua per litro di vino

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29 prodotto. Tuttavia, attualmente sono disponibili poche informazioni sull’impatto ambientale complessivo dei diversi mezzi tecnici utilizzati lungo l’intero processo di produzione del vino. Il progetto europeo ECO-PROWINE ha l’obiettivo di quantificare l’uso dei materiali di consumo nelle aziende vitivinicole europee e il loro impatto ambientale, utilizzando indicatori che possano stimarne gli effetti sulle risorse aria, acqua e suolo. Tra le strategie per migliorare la sostenibilità ambientale delle aziende vitivinicole abbiamo: alleggerimento delle bottiglie di vetro, la riduzione del peso dei cartoni, il risparmio energetico, riduzione del combustile nei vigneti. Per quanto riguarda l’alleggerimento delle bottiglie di vetro, la riduzione del peso medio delle bottiglie appare come la più efficace strategia per la riduzione dell’impatto ambientale dovuto ai mezzi tecnici usati nelle aziende vitivinicole. Tecnicamente, sembra relativamente semplice da applicare, dal momento che esistono già sul mercato bottiglie a peso ridotto (per esempio bottiglie bordolesi standard di 360 grammi invece delle classiche di 410 grammi) che garantiscono le stesse performance di resistenza. In realtà, i principali freni a questo tipo di miglioramento vengono dal marketing, poiché è opinione diffusa che il consumatore tende a correlare positivamente la qualità del vino – e quindi il suo valore potenziale – e il peso della bottiglia. In realtà, la percezione del peso della bottiglia da parte del consumatore non è per nulla ovvia in fase di acquisto, e alcuni mercati iniziano a chiedere, al contrario, di usare bottiglie più leggere. Un altro importante ostacolo è rappresentato oggi dalla struttura produttiva europea del vetro, caratterizzato da un numero limitato di attori, e dalla limitata varietà di bottiglie offerte alle aziende posizionate in zone rurali, situazioni che possono rendere difficile cambiare il tipo di bottiglia soprattutto nelle piccole e medie aziende.

Per quanto riguarda la riduzione del peso dei cartoni dal momento che i cartoni per le bottiglie di vino, con inserti e alveari, hanno un impatto importante sull’ambiente. In Europa ci sono aziende virtuose che usano meno di 10 grammi di cartone per bottiglia di vino, ma anche altre che usano scatole che rappresentano più di 120 grammi di cartone – spesso stampato e plastificato - per bottiglia. La resistenza meccanica del cartone è di importanza secondaria, dal momento che, in caso di accatastamento su pallet, il peso delle scatole superiori viene sostenuto dalle bottiglie contenute in quelle inferiori. In conseguenza, anche in questo caso la scelta del tipo e dello spessore del cartone utilizzato nel confezionamento dipende essenzialmente da scelte estetiche e marketing, nonostante il fatto che nei principali canali di distribuzione (GDO e Ho.Re.Ca) il cartone non viene mai visto dal consumatore finale e diviene rifiuto non appena arriva al punto finale di vendita.

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30 Riguardo il risparmio energetico numerosi studi suggeriscono diverse strategie utili a ridurre il consumo di elettricità nelle aziende vitivinicole. La gran parte dell’energia usate in cantina è legata al controllo di temperatura delle uve e del mosto in vendemmia, delle vasche in fermentazione, del vino in fase di stoccaggio, nonché nelle fasi di stabilizzazione tartarica e di imbottigliamento. Per risparmiare energia si possono adottare diverse soluzioni tecnologiche ormai consolidate nella pratica: la vendemmia nelle ore più fresche della giornata; l’uso della flottazione, della centrifugazione o di altre tecniche per l’illimpidimento al posto della decantazione a freddo; l’impiego di vasche coibentate; l’aggiunta di additivi in alternativa alla stabilizzazione tartarica a freddo e molto altro.

La riduzione del consumo di combustibile per il vigneto, l’uso dello stesso è essenzialmente correlato alla distanza percorsa dai trattori e dalle altre macchine per la coltivazione del vigneto, quindi dal numero di trattamenti fitosanitari e dagli interventi per la gestione della chioma e del terreno che sono applicati per ogni parcella. Sono noti i vantaggi ambientali che si possono ottenere adottando strategie come i trattamenti su più filari, le funzioni combinate nello stesso passaggio (ad esempio cimatura accoppiata con trattamento fitosanitario e l’ottimizzazione della difesa contro i

patogeni attraverso l’adozione di sistemi di supporto alla decisione (DSS). Anche l’ottimizzazione delle attività aziendali, indirizzata a limitare quanto più possibile gli spostamenti tra vigne distanti nella stessa proprietà, può avere un impatto importante sul consumo di gasolio, oltre che sui costi della mano d’opera. Quando si parla di sostenibilità uno degli stereotipi del settore è la correlazione positiva tra sostenibilità e costi di produzione, cioè la convinzione che il rispetto dell’ambiente comporti un peggioramento dei conti economici. Dall’analisi di questo studio risulta, al contrario, che le azioni che permettono i maggiori miglioramenti della sostenibilità procurano anche riduzione dei costi per l’acquisto di materiale. Infatti, le aziende pilota hanno fornito, insieme alle quantità, anche i costi dei mezzi tecnici utilizzati nell’arco temporale dell’indagine, dedotti dalle fatture e bollette;

Si può vedere che – tralasciando il caso dell’affinamento in legno, che riguarda di solito porzioni minoritarie di vino – la gran maggioranza dei costi sui consumabili sono relativi ai materiali per il confezionamento. In media, nei vini non affinati in botte, le bottiglie di vetro costano il 50% di quanto speso globalmente per i mezzi tecnici; chiusure, capsule e cartoni rappresentano un altro 30% circa. Gli input utilizzati in vigneto (combustibile, fertilizzanti, fitofarmaci) sono la causa del 15% circa della spesa annuale; l’elettricità è in media il 7%; gli

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31 additivi, i coadiuvanti, i lieviti secchi attivi e i nutrienti, tutti insieme non raggiungono il 2% del totale speso per i materiali di consumo in azienda. Si può quindi affermare che attualmente le aziende dedicano ai fattori produttivi che possono giocare un ruolo essenziale nel determinare la qualità finale del vino una somma pari al 15% di quanto normalmente speso per i cartoni e solo il 3% della normale spesa per le bottiglie. (fonte: WWW.INFOWINE.COM – RIVISTA INTERNET DI VITICOLTURA ED ENOLOGIA, 2015, N. 7/1 IMPATTO AMBIENTALE DEI MEZZI TECNICI USATI IN VIGNETO E IN CANTINA: UNA INDAGINE EUROPEA.)

Nonostante il settore vinicolo sia molto legato alla propria storia e tradizione è oggi oggetto di nuovi studi nel campo dell’innovazione. Nel 2013 si contavano più di 500 start up nel mondo del vino. Tra gli esempi possiamo citare DR Wine Tech3 e Macrobion4. Stanno anche nascendo nuove applicazioni che riguardano il mondo del vino. Le innovazioni possibili nel campo vinicolo possono riguardare il vigneto, come ha introdotto la Tenuta Santa Caterina, che utilizza una particolare tecnica che ha definito agricoltura “simbiotica”.5 L’innovazione può riguardare il prodotto e la sua comunicazione, ad esempio Cuvage, un prodotto che nasce nel 2011, si inserisce in modo innovativo come produzione del metodo classico di alta gamma piemontese. Innovazione nell’ approccio come la cantina Terenzi, la quale ha innovato l’impostazione iniziale giungendo ad un’impostazione più moderna, una forte attenzione alla qualità e ha creato una cantina aperta alla degustazione ed al turismo, costruendo anche delle camere per l’accoglienza dei propri clienti. Un altro modo per innovare può consistere in un nuovo approccio nella comunicazione, come ha fatto l’azienda Maissago. Questa azienda ha ristrutturato tre unità immobiliare creando delle realtà ricettive che non offrono soltanto ospitalità ma anche una serie di esperienze per mettere il loro ospite a contatto con la realtà della cantina. Ha inoltre modificato il suo modo di comunicare, rivolgendosi principalmente ad un pubblico giovane, comunicando attraverso i social media e vendendo quasi esclusivamente tramite e-commerce (Fonte: “L’innovazione nel mondo del vino” - articolo online).

In un’ intervista fatta all’ Ingegner Marco Gorini, Responsabile Trasferimento Tecnologico di Veneto Innovazioni Spa, nella quale gli sono state rivolte domande sull’innovazione nel mondo

3 DR wine tech è un gruppo composto da dei ragazzi di Trento che hanno progettato un sistema di

imbottigliamento innovativo con l’obiettivo di massimizzare le proprietà organolettiche del vino e ridurre il tempo di imbottigliamento.

4 Macrobion, nato da un gruppo di Verona che ha impostato la ricerca e l’innovazione sui lieviti della

fermentazione.

5 Si parte dalla pianta sana e si cerca di capire quali sono le sue peculiarità, come si è difesa dalle malattie, in

modo da riprendere i suoi sistemi di difesa e ripeterli sulle altre piante. Questa tecnica permette al terreno di riacquistare vitalità.

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32 del vino, l’ esperto sostiene che un progetto di innovazione deve avere come fine la competitività e la profittabilità dell’impresa e deve prendere avvio da uno studio approfondito del mercato, delle sue potenzialità, della concorrenza e dei prodotti esistenti, delle proprie capacità e degli investimenti strategici necessari o delle alleanze da perseguire. Inoltre, è necessario che alla base di tale progetto ci sia un’adeguata strategia di marketing e una gestione “intelligente” delle proprietà intellettuali. I progetti di innovazione possono spaziare dalle tecnologie di coltivazione della vite a quelle di produzione del vino, ma possono anche riguardare le bottiglie, i tappi e lo sviluppo di nuovi modelli di business o nuove applicazioni di mercato, come ad esempio nel settore della cosmetica. Secondo l’Ingegnere un aspetto del settore che avrebbe bisogno di essere modernizzato consiste proprio nella comunicazione, trasmettendo il messaggio a chi beve il vino, soprattutto all’estero, che se un vino lo pago troppo poco c’è qualcosa che non va e sto bevendo qualcos’altro. I social media, i blog e le nuove tecnologie digitali possono essere un valido strumento per rivedere la comunicazione con il mercato (fonte: www.fermentidigitali.com).

Uno dei fattori che influisce maggiormente sulla competitività è la qualità. La parola vino quando è accompagnata dall’ aggettivo “di qualità” sta ad indicare un prodotto ad alto contenuto di richiamo poiché la qualità del prodotto e della ricetta produttiva che consente di crearlo, può avere valore soltanto se riconosciuta, condivisa e dunque tutelata. Il settore vitivinicolo di qualità è caratterizzato dalla certificazione delle “buone pratiche” regolate nei disciplinari di produzione. Tali normative sono costituite dall’ insieme delle regole che formano il paradigma produttivo attraverso il quale è possibile fissare lo standard del vino di eccellenza e vengono formulati da enti pubblici o privati riconosciuti come certificatori autorevoli di qualità. In Italia, la definizione di qualità fa riferimento ad una serie di normative nazionali, relative alla sua composizione, classificazione, produzione e commercializzazione. La legge fondamentale in merito è la Nuova disciplina della denominazione di origine. Tale normativa è stata creata allo scopo di regolamentare la produzione e la commercializzazione delle denominazioni di origine e di elevare il prestigio del vino italiano, tutelando e valorizzando solo le specificità e le proprietà che siano degne di tale appellativo. Con l’introduzione del nuovo disciplinare si è generata una profonda trasformazione nei processi produttivi al punto che i produttori hanno orientato le proprie scelte verso la qualità e la tutela del consumatore. In particolare, la riforma esplicita le classificazioni delle DO e indicazione geografica tipica (IGT), specificandone l’ambito di applicazione. Esistono due tipologie di vini di qualità: i vini a denominazione di Origine Controllata (DOC) e le denominazioni di origine Controllata e Garantita (DOCG). Di

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33 seguito a queste tipologie troviamo una tipologia di vini da tavola con indicazione geografica e i vini IGT. Si crea una piramide della qualità, la quale alla base è costituita dai vini da tavola e poi salendo in ordine di importanza IGT, DOC, DOCG. Inoltre, la legge istituisce il Comitato6 Nazionale per la tutela e la valorizzazione delle DO e IGT. Un altro aspetto regolato dalla normativa è la costituzione dei Consorzi volontari e i consigli interprofessionali per le DO e le IGT, che sono organismi di carattere associativo senza scopo di lucro preposti alla vigilanza e alla tutela di tutte le DO, nonché atti a svolgere valutazioni economiche congiunturali al fine di garantire lo sviluppo e il rispetto di tutte le regole previste nei disciplinari di produzione. Anche l’OCM (organizzazione comune del mercato vinicolo) introduce una serie di norme comuni atte a definire e a classificare il vino di qualità. Lo scopo dell’OCM è quello di garantire l’equilibrio tra domanda e offerta nel mercato comunitario, di permettere ai produttori di trarre utili dallo scambio con l’estero e di agevolare la competitività a lungo termine nel settore.7

La classificazione preposta dall’ OCM distingue tra: vini di qualità prodotti in regioni determinate, vini liquorosi di qualità prodotti in regioni determinate, vini spumanti prodotti in regioni determinate, vini frizzanti di qualità prodotti in regioni determinate e vini di qualità prodotti in regioni determinate. Tutti i vini menzionati devono rispondere a dei requisiti ben precisi che riguardano le zone di produzione, i tipi di vitigni utilizzati e le pratiche di coltura e che devono essere esplicitati oltre ai metodi di vinificazione e la resa per ettaro; inoltre sono soggetti ad analisi e valutazioni relative alle caratteristiche organolettiche e devono garantire un titolo alcolometrico volumico naturale minimo.

La competitività di un paese dipende, oltre che dalla capacità delle imprese di comprimere i costi, dalla loro capacità di conferire ai beni dei requisiti che ne aumentino il valore aggiunto, incentivando la disponibilità dei consumatori a pagare un prezzo più alto e riducendo la pressione della concorrenza. La produzione di beni ad alto contenuto di tecnologia, design, brand, labour skill specifici o altri elementi che permettono di incrementarne le caratteristiche qualitative, così come il verificarsi di economie di scala o la presenza di altri elementi in grado di ridurre la concorrenza, aumentano il valore aggiunto del bene accrescendone la redditività. Un filone di letteratura relativamente recente propone l’utilizzo di indici in grado di descrivere sinteticamente e in modo semplice il mercato internazionale nel quale un prodotto si trova a competere, partendo dal livello del Pil pro-capite dei paesi esportatori (Lall et al., 2006;

6 Comitati: sono organi appartenenti al MIPAF (Ministero delle politiche agricole e forestali) cui spettano

compiti consultivi, propositivi ed esecutivi in materia di tutela e valorizzazione qualitativa e commerciale di tutti i vini designati con nome geografico.

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