• Non ci sono risultati.

La figura del "regionale" e la "questione" urbanistica in Italia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La figura del "regionale" e la "questione" urbanistica in Italia"

Copied!
23
0
0

Testo completo

(1)

(2)

(3) LUCI E OMBRE DELLA PIANIFICAZIONE REGIONALE. narrazioni e riflessioni di alcune esperienze Renato Cocchi, Mauro Giudice, Daniele Iacovone, Franco Lorenzani, Paolo Mattiussi, Mauro Pascoli, Romeo Toffano con contributi di Silvia Viviani e Giuseppe De Luca.

(4) La figura del “regionale” e la “questione” urbanistica in Italia. Giuseppe De Luca. In questo breve scritto intendo ragionare intorno ad una figura chiave per la politica urbanistica dell’Italia repubblicana: “il regionale”, una delle principali innovazioni contenute nella Carta Costituzionale italiana del 1948 che, tuttavia, per motivi squisitamente di scontro politico tra i due grandi partiti popolari usciti vincenti dal conflitto mondiale ha di fatto molto rallentato la nascita di questa figura nell’apparato amministrativo italiano. Rallentamento cui non è stato estraneo il continuo rimando dell’aggiornamento delle disposizioni nazionali sul controllo e governo delle trasformazioni urbane, tanto da tramutare la materia urbanistica, da modalità ordinata di governo pubblico, a “questione”1. Mi sembra particolarmente interessante questa prospettiva di lettura, perché il libro narra il percorso amministrativo di sei Regioni (Emilia-Romagna; Friuli Venezia-Giulia; Lazio; Liguria; Piemonte; e Veneto), raccontata da sette dirigenti regionali che, seppur con ritmi e modalità diverse tra loro, ripercorrono la storia dei profili dell’azione regionale nel suo costruirsi, dal quale emergere seppur in forma implicita il ruolo che “il Ho trattato questi argomenti ricostruendo la storia amministrativa e l’azione politica della Regione Toscana nelle prime sei legislature regionali: cfr. G. De Luca, La “questione” urbanistica in Toscana: 1970-1995, Alinea, Firenze 2001.. 1.

(5) [ 168 ]. Luci e ombre della pianificazione regionale. regionale” ha avuto nell’indirizzare le politiche regionali, del contribuito che ogni singola Regione ha tentato di giocare regionalizzando alcune disposizioni nazionali, e di come questa azione non coordinata ha finito per determinare una sorta di (non dichiarato) federalismo eclettico. Narrando le singole esperienze i testi si misurano con la materia urbanistica, con la sua “problematizzazione”, con il suo spessore tecnico che si tramuta in azione politica e, al contempo, raccontano come in ogni ambito amministrativo regionale la materia urbanistica viene “problematizzata”2 e dispiegata in provvedimenti regionali. Questa prospettiva di ricerca sui profili amministrativi e sulle figure che li hanno sostenuti è da noi poco praticata, eppure è centrale per svelare il posizionamento e il contenuto delle azioni amministrative. A livello regionale la prospettiva è molto interessante sia perché il principale compito di una Regione è quello di produrre leggi regionali, seppur nei limiti di una legge-cornice statale, ovvero dei principi fondamentali della materia (fino al 2001), ora diventata concorrente; sia perché l’influenza soggettiva è più forte e diretta rispetto al livello amministrativo nazionale, perché più laschi o incerti sono i riferimenti a principi forti di regolamentazione degli interessi e, allo stesso tempo, più facile la trasposizione di sub-culture tecniche e relative modalità d’azione nate da letture parziali, oppure scoperte occasionali, o da convincimenti riferiti a perimetri conoscitivi assai ristretti. Questa prospettiva di ricerca ha un padre assai nobile: John Forester, che ha proposto anche un metodo di racconto per definire “profiles of practitioners” che hanno generato le cosiddette “practice stories”3. Ricerca che ha trovato anche applicazione in Italia, seppur restringendo il perimetro di osservazione all’azione dei professori universitari di urbanistica chiamati a gestire posizioni di responsabilità politiche negli assessorati comunali, provinciali o regionali, o al racconto di alcune pratiche4.. Il riferimento che prendo in considerazione per spiegare questo rapporto tra domanda e modalità di azione è M. Foucault, Discorso e verità, Donzelli, Roma 1998, p. 113 (e.o. 1983). 3 J. Forester, Critical Theory, Public Policy, and Planning Practice: Toward a Critical Pragmatism, Suny Press, Albany 1993; The Deliberative Practioner, MIT Press, Cambridge 1999; Dealing with Differences, Oxford University Press, New York 2006; «On the evolution of critical pragmatism», in T. Haselsberger, ed., Encounters with planning thought, Routledge, London 2017, pp. 280-296. ⁴ D. De Leo, L’urbanistica dei prof(ass)essori, F. Angeli, Milano 2017; D. De Leo, J. Forester, eds., Reimagining Planning. How Italian Urban Planners Are Changing Planning Practices, Inu Edizioni, Roma 2018.. 2.

(6) la figura del “regionale” e la “questione” urbanistica in italia. I testi raccolti nel presente volume non hanno la profondità di ricerca che il metodo Forester richiede, né mai il programma di lavoro tra i “regionali” qui presenti ha avuto questo obiettivo. Essi comunque rappresentano uno spaccato, seppur parziale, di una comparazione implicita di come l’azione regionale – inserita in una cornice nazionale di riferimento nata in altre architetture istituzionali e con altri modelli sociali di sfondo e via via ibridizzata e a pezzi “aggiornata” – abbia preso rivoli molto diversi tra loro. Ma torniamo alla domanda iniziale.. La nascita delle “questione” urbanistica - Gran parte dei nodi legati alla nascita delle Regioni nell’Italia repubblicana – e certamente quella che qui appelliamo come “questione” urbanistica – è tutta legata alle Disposizioni transitorie della Costituzione del 1948 e in particolare alla n. IX: «La Repubblica, entro tre anni dall’entrata in vigore della Costituzione, adegua le sue leggi alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni». Disposizione transitoria che doveva durare 36 mesi … ma largamente disattesa per diversi ambiti tematici e diverse materie, tra cui la materia «urbanistica» che, seppur citata esplicitamente all’art. 117 Cost. come materia legislativa regionale nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, non è stata mai definita. Ancora oggi le norme fondamentali di principio sono legate alla legge urbanistica nazionale n. 1150 del 1942. Un paradosso o uno specchio di un Paese che, quantunque un radicale cambio della forma dello Stato, della sua architettura istituzionale e dei principi fondamentali di riferimento, non è riuscito o non ha avuto la forza – nonostante le maggioranze e le coalizioni che si sono susseguite alla sua guida dal 1948 – a fare i conti con la questione del controllo e governo della principale fonte di ricchezza in mano pubblica: il territorio. D’altronde l’inserimento della materia «urbanistica» tra i compiti delle Regioni non è molto chiaro. La sua indicazione è dovuta alla presenza nell’Assemblea costituente di due membri effettivi dell’Istituto Nazionale di Urbanistica: Florestano Di Fausto e Mario Alberto Pucci5. Loro però non ⁵ Florestano Di Fausto (Rocca Canterano, 16 luglio 1890 – Roma, 11 gennaio 1965) ingegnere, architetto e, dopo la Seconda guerra mondiale, anche politico. Deputato all’Assemblea Costituente per la Democrazia Cristiana e poi componente della Camera nella Iª legislatura. Protagonista incontrastato della scena architettonica e urbanistica italiana all’estero, specialmente in Albania e in Libia, dove applica per la prima volta le disposizioni della legge urbanistica nazionale del 1942, cfr. M. Stigliano, Modernità d’esportazione: Florestano Di Fausto. [ 169 ].

(7) [ 170 ] Luci e ombre della pianificazione regionale. furono eletti nella cosiddetta «Commissione dei 75», cioè di quelle personalità incaricate di stendere il testo generale da discutere in Assemblea. Sarà, forse, questa assenza che spiega il perché né nella Commissione dei 75 membri, né nella sottocommissione Organizzazione costituzionale dello Stato non si discuta di urbanistica. Secondo Nicola Pignatelli: «L’urbanistica fu tra quelle materie su cui calò il silenzio dei Costituenti, analogamente ad altre di competenza concorrente per le quali si ritenne di non fornire alcuna specificazione concettuale (circoscrizioni comunali, polizia locale urbana e rurale, musei e biblioteche di enti locali, cave e torbiere, caccia, pesca nelle acque interne), una diversa sorte ebbero altre materie, sulle quali si manifestò una maggiore attenzione, quali l’ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione, fiere e mercati, beneficienza pubblica e assistenza sanitaria e ospedaliera, istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica, tramvie e linee automobilistiche d’interesse regionale, viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale, navigazione e porti lacuali, agricoltura e foreste»6. Sembra quasi incredibile ma il “dibattito” in Sottocommissione si limitò a queste poche battute: «Presidente (Umberto Terracini, nda): invita la sottocommissione ad esprimere il suo parere relativamente all’urbanistica. Gustavo Fabbri (avvocato, Gruppo Misto, nda): Ha l’impressione che l’urbanistica concerna quasi esclusivamente la competenza degli enti locali. Tomaso Perassi (professore di diritto internazionale, Gruppo Repubblicano, Segretario della Sottocommissione, nda): Chiarisce che i piani regolatori debbono essere approvati con legge e quindi è logico affermare la competenza legislativa della Regione. Presidente: Pone ai voti l’inclusione nell’art. 3 di questa materia. È approvata»7. Due soli interventi a cui corrispondono due gravi errori: «Come è chia-. e lo stile del costruire nei territori italiani d’oltremare, Polibapress, Modugno 2009. Mario Alberto Pucci (Modena, 22 gennaio 1902 – 12 agosto 1979) architetto e politico. Deputato all’Assemblea Costituente per il Partito Comunista Italiano e poi componente del Senato nella Iª e IIª legislatura. Proviene dalla scuola urbanistica di Piero Bottoni. Ha redatto il primo piano regolatore di Modena, dove è stato a lungo assessore e consigliere comunale, e dove ha lungamente influenzato la politica urbanistica locale, cfr. L. Montedoro, acd, La città razionalista. Modelli e frammenti. Urbanistica e architettura a Modena, 1931-1965, Rfm, Modena 2004. ⁶ N. Pignatelli, Il “governo del territorio” nella giurisprudenza costituzionale: la recessività della materia, Giappichelli, Torino 2012, pp. 11-12. ⁷ L. Mazzarolli, I piani regolatori nella teoria giuridica della pianificazione, Cedam, Padova 1962, p. 334..

(8) la figura del “regionale” e la “questione” urbanistica in italia. ro, esistendo la legge del 1942 non è vero che i piani regolatori erano approvati con legge. In secondo luogo, non è vero che la competenza per l’urbanistica riguardi “quasi esclusivamente” gli interessi degli enti locali, perché già nella legge del 1942 era previsto il piano territoriale, che trascende il piano puramente locale, e nel 1947, quando si discutevano questi argomenti, gli urbanisti erano già convinti che i problemi urbanistici hanno dimensione non semplicemente locale, ma regionale o nazionale»8. Errore “spiegabile” dalla giovane età della legge del 1942, emanata in piena guerra e, di fatto, rimasta inapplicata. E tale sarà fino al 1954, per effetto dell’entrata in vigore del Decreto legislativo Luogotenenziale del 1° marzo 1945 n. 154, che introduce nel sistema normativo italiano i piani di ricostruzione degli abitati danneggiati dalla guerra (quasi tutte le città e i più importanti comuni), che di fatto porta ad un “blocco” della legge del 1942 (della quale non verrà mai emanato il regolamento di attuazione) che rientra in gioco solo nel 1954, quando il Ministero dei Lavori pubblici pubblica il primo elenco dei Comuni italiani obbligati a dotarsi di un Piano Regolatore Comunale9. Errore comunque grave per l’Assemblea Costituente, dove erano presenti diverse personalità e professionalità di assoluto rilievo, che ha portato nella pratica concreta a generare un doppio livello di attenzione giuridica, amministrativa e dottrinale della materia: non avendone definito il significato in ambito di discussione costituzionale la materia ha finito per coincidere con i dettami della legge del 1942, come una fonte di rango primario, da una parte; dall’altro quello di adeguare e correggere – successivamente – per interpretare i principi costituzionali del 1948 intersecandoli con la legge urbanistica nazionale del 194210. Da questo dop-. ⁸ F. Spantigati, Manuale di diritto urbanistico, Giuffrè, Milano 1969, p. 28. ⁹ Decreto interministeriale n. 391 dell’11 maggio 1954, che approva un primo elenco di 100 comuni obbligati a dotarsi di un piano urbanistico; cui segue la Circolare del 7 luglio 1954, n. 2495, dove vengono fornite le prime «Istruzioni per la formazione dei piani regolatori comunali: generali e particolareggiati». Un secondo elenco più corposo, che comprende altri 210 comuni, è approvato nel 1956. Seguiranno altri 8 decreti che porteranno il numero totale dei comuni obbligati a 781 sugli 8.378 allora esistenti. 10 «Nel modello costituzionale, in sintesi, sembrava esservi una doppia corrente, la prima che andava dalla Costituzione alla legge (n. 1150/1942), quanto alla ricostruzione della materia «urbanistica», e l’altra che andava dalla legge (n. 1150/1942) alla Costituzione, quanto alla «funzionalizzazione» dell’«urbanistica». [ 171 ].

(9) [ 172 ] Luci e ombre della pianificazione regionale. pio livello (sistema Stato-Comuni) non siamo ancora usciti, nonostante l’entrata in vigore dell’ente Regione dal 1970/1972, perché nel frattempo nessuna legge di principio11 è stata mai emanata da allora, e il doppio livello ha solo cambiato perimetro (da sistema Stato-Comuni a sistema Regioni-Comuni). E ciò nonostante i numerosi Congressi e Convegni12 dell’Istituto nazionale di urbanistica che, del superamento di questo paradosso, ha fatto una delle principali azioni di ricerca e proposte, fin dalla sua riorganizzazione repubblicana del 1949. Doppio livello che intersecava un’altra doppia sensibilità messa in opera nella Carta Costituzionale tra tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, come riserva di competenza nazionale, e governo e gestione delle trasformazioni al suolo lasciate alle autonomie locali13. Così, quando effettivamente il sistema delle Regioni prende corpo (dal 1970), pur in assenza di normativa che avrebbe dovuto stabilire espressamente i principi fondamentali per le singole materie (che per alcune arriverà via via più tardi, mai per l’urbanistica), ma neanche l’adeguamento delle leggi dello Stato alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni, la loro attività prevalente si indirizza agli Statuti, in attesa delle deleghe (che arriveranno solo nel 1977).. Il “regionale” nella fase del primo regionalismo - All’osti-. nato silenzio del periodo 1948/1970 si contrappone (1972/1977) la ricerca di un ruolo effettivo della Regione nella ripartizione delle competenze, nel ritagliarsi una funzione di “cerniera” tra istanze locali e indirizzi nazionali, nell’identificare una propria missione territorializzando politiche e programmi prima nazionali e poi europei. È proprio in questa fase che viene lentamente forgiata la figura del “regionale” che lavora prima entro i limiti dei principi desumibili dalla legislazione statale vigente, qua-. (ossia dei suoi strumenti) rispetto agli obiettivi; in definitiva stessi strumenti per nuovi fini», N. Pignatelli, Il “governo del territorio” nella giurisprudenza costituzionale, cit. p. 13. Cfr. anche G. Morbidelli, La disciplina del territorio tra Stato e Regioni, Giuffrè, Milano, 1974. 11 Ad esclusione della legge 10 del 1977 (norme per la edificabilità dei suoli) che, come vedremo dopo, fallì l’obiettivo perché dichiarata incostituzionale in uno dei punti cardine. 12 Basta scorrere i tioli per capirlo: cfr. http://www.inu.it/congressi-inu/ e http:// www.inu.it/convegni-nazionali-2/. 13 Su questo è ancora attuale A. Predieri, Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Giuffrè, Milano 1969..

(10) la figura del “regionale” e la “questione” urbanistica in italia. si fosse un “bibliotecario dell’amministrazione”, aiutato in questo anche dalla sua originaria provenienza: principalmente dalle carriere dello Stato o più raramente da quelle dei Comuni; poi, a partire dal 1977, nel tentare di costruire un percorso regionale via via sempre più identificabile. Percorso che si scontrava però, da una parte con il sistema delle Regioni a statuto speciale che già esistevano14 e, dall’altro, con il controllo della legislazione regionale da parte dello Stato, che genera vario contenzioso che, quasi sempre, approda alla Corte Costituzionale. Livello quest’ultimo che diventa di fatto il “vero arbitro” dei conflitti Stato-Regioni, nonché il solo interprete del sistema legislativo vigente, anche in sostituzione dello stesso Parlamento. La vicenda che si sviluppa intorno all’urbanistica – e qualche decennio dopo anche sul paesaggio – ne sono un chiaro specchio: la sentenza della Corte Costituzionale n. 141 del 1972 è il segnale di questo atteggiamento, da qualcuno definita come “teoria della pietrificazione”15. Solo dopo il 1977, comunque, sarà possibile connotare dei percorsi tracceranno a poco a poco delle autonome proposte di azione amministrativa regionale che porteranno nel volgere di due decenni a identificabili “modelli” regionali. In quell’anno due norme mettono “gas” all’azione regionale. La prima è la legge 10/77 che, almeno nelle intenzioni del legislatore, doveva essere un provvedimento definitivo e risolutore dalla “questione” urbanistica, nella sua qualità di norma-quadro16. Essa generalizza il principio della compartecipazione dei privati agli oneri di urbanizzazione introducendo la concessione onerosa e, nello stesso tempo, obbligando. Basta leggere in questo testo il contributo di Mauro Pascoli, che ha una cadenza argomentativa e un posizionamento delle politiche del tutto diversa da quella desumibile negli altri contributi. Al Friuli Venezia-Giulia venne riconosciuto lo status di Regione a Statuto speciale nel 1963, con legge costituzionale n. 1. 15 O meglio “Versteinerungstheorie”, teoria adottata dalla Corte Costituzionale austriaca, cfr. A. D’Atena, L’autonomia legislativa delle regioni, Bulzoni, Rima 1974, p. 114 e ss. Come risposta l’Inu decide di aiutare e sostenere il processo di regionalizzazione con una apposita rivista: Urbanistica Informazioni, il cui primo numero esce come supplemento alla storica rivista Urbanistica, a gennaio 1972. Proprio in quel numero è richiamata la posizione dell’Istituto (già anticipata su Urbanistica, n. 58, 1971) che chiede di: «affrontare il problema delle funzioni regionali in materia urbanistica contestualmente al problema della legge cornice di riforma urbanistica», p. 9. 16 Rimandiamo a S. Amorosino, Diritto urbanistico e mercato territorio, Marsilio, Venezia 1979. 14. [ 173 ].

(11) [ 174 ] Luci e ombre della pianificazione regionale. i comuni alla temporalizzazione del processo attuativo dei piani urbanistici a mezzo del Programma pluriennale di attuazione, con durata 3 e 5 anni. Il nodo della separazione dello ius aedificandi dalla proprietà dei suoli sembrava finalmente sciolto. Il secondo è il DPR 616/77 sul trasferimento e deleghe delle funzioni amministrative dello Stato alle Regioni che, all’art. 80, definiva finalmente il contenuto delle materie trasferite, tra cui l’urbanistica: «Le funzioni amministrative relative alla materia “urbanistica” concernono la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente». Una delega ampia. Seguirono, l’anno successivo, altri provvedimenti, tra cui la legge 392/78 sull’equo canone, la 457/78 di finanziamento di un piano decennale di edilizia residenziale pubblica, non solo nuova, ma anche il recupero dell’esistente attraverso piani di recupero di iniziativa sia pubblica che privata, definendo per la prima volta anche specifiche categorie di intervento. Il 1978 si chiude con significative altre riforme: come la legge 833/78 sul servizio sanitario nazionale che obbliga le Regioni a definire gli ambiti territoriali di riferimento per le Unità sanitarie locali, così come era stato fatto con i Distretti scolastici, della legge 416/74. Unità sanitarie locali e Distretti scolastici, dovendo obbligatoriamente far coincidere gli ambiti territoriali ottimali con la gestione, configurano un quadro territorialeamministrativo diverso e nuovo, legato alla geografia delle relazioni economiche e dei collegamenti e non più ai soli confini provinciali, seguendo la strada tracciata dalla Sip (con i distretti telefonici e le aree urbane telefoniche) ad inizio decennio. Su questi argomenti, in parte nuovi, in parte vecchi ma interpretabili in un’ottica di innovazione, si applica la figura del “regionale” che definisce strategie, costruisce politiche e cesella modalità d’azione. Prendono corpo così le prime leggi regionali di “regionalizzazione” delle disposizioni nazionali, in particolar modo quelle inerenti la casa (legge 865/71 e legge 457/78), le strategie per l’applicazione delle soglie di riferimento per l’equo canone (392/78), gli oneri concessori e la programmazione urbanistica (legge 10/77), e più in generale la questione delle aree protette e dei parchi, materia di competenza regionale17. Con esse emerge la necessità di apparati conoscitivi omogenei e aggiornati. Su questo ampliamento della materia urbanistica una utile lettura è: A. Ferrero, acd, Il ruolo delle Regioni nella disciplina e gestione del territorio, Giuffrè, Milano 1979. 17.

(12) la figura del “regionale” e la “questione” urbanistica in italia. di livello regionale che porta alla prima, grande, e partecipata, riunione degli assessori all’urbanistica delle Regioni per concordare le norme minime di una cartografia tecnica regionale, che affrancasse il nuovo ente dall’Istituto Geografico Militare. La Conferenza nazionale sulla cartografia si terrà a Firenze (9-11 aprile 1979) e starà alla base della nascita di una cartografia tecnica regionale (alle scale 1:10.000, 1:5.000, 1:2.000), coinvolgendo tutto il mondo accademico, gli Istituti di ricerca nazionale, il Governo e lo stesso Istituto Geografico Militare. Speranze che rilanciano anche un’idea di Paese definito nella stagione della programmazione nazionale, che è stata propedeutica al regionalismo: il cosiddetto Progetto ’8018. La fase del primo regionalismo ha costituito certamente un momento fondamentale nell’evoluzione dei contenuti della materia urbanistica, ampliandone il più possibile la sua capacità d’azione, e coincide anche con la cosiddetta “prima stagione” della legislazione regionale19. La speranza di aver superato la “questione” urbanistica e il nodo del doppio regime dei suoli si “affloscia” velocemente con la sentenza n. 5/80 della Corte Costituzionale20; e poi con la legge “Galasso” n. 431/85, che sottolinea come il nodo dell’ambiente debba essere riportato in capo allo Stato, principale interprete e protagonista della sua tutela, e soprattutto debba essere staccato e sovraordinato rispetto all’urbanistica21. La «Galasso» apre un percorso diverso, a livello nazionale e a livello regionale. Percorso che corre spesso parallelo alla “questione” urbanistica, ma altre volte se ne allontana, tanto da diventare una politica autonoma e separata, anche a livello di delega assessorile in diverse regioni. Non è estraneo a questa separazione la creazione del Ministero dell’Ambiente nel 1986, i suoi regolamenti applicativi e, particolarmente, alcuni decreti in attuazione di direttive europee come quella sulla qualità. Cfr. il numero monografico di Urbanistica, n. 57, 1971; e G. Ruffolo, Rapporto sulla programmazione, Laterza, Bari 1973. La ricostruzione di questa stagione è ora in C. Renzoni, Il progetto ‘80. Un’idea di Paese nell’Italia degli anni Sessanta, Alinea, Firenze 2012. 19 Cfr. F. Pagano, «Legge urbanistica quadro e leggi urbanistiche regionali», Riv. Giur. Ed., 1997, II. 20 Cfr. G. Campos Venuti, M. Martuscelli, S. Rodotà, Urbanistica incostituzionale n. 2, Edizioni delle Autonomie, Roma; e S. Amorosino, a cura di, Costituzione, regime dei suoli, espropriazione, Marsilio, Venezia 1980. 21 Cfr. M. Pallottino, «La pianificazione dell’ambiente nella legge 8 agosto 1985 n. 431», Riv. Giur. Amb., 1988. 18. [ 175 ].

(13) [ 176 ] Luci e ombre della pianificazione regionale. dell’aria (DPR 203), dell’acqua (DPR 236), e gli studi di impatto ambientale (DPCM del 1988). Le Deleghe del 1977, dunque, sono reinterpretate come deleghe settoriali e non già come materie che le singole Regioni possono “miscelare” e integrare tra loro, tale da dare senso unitario all’intervento politicoamministrativo, trattando sullo stesso tavolo programmazione e pianificazione in un’unica azione pubblica. La prima generazione delle leggi urbanistiche regionali, quindi, quelle nate a cavallo tra gli anni Settanta (DPR 8/72) e Ottanta (DPR 616/77) sono orientate ad una interpretazione tradizionale della legge urbanistica nazionale del 1942, senza modificarne nella sostanza l’impianto delle competenze. Qualche diversità è legata ad una differente quantificazione degli standard urbanistici del DM n. 1444/68, con significativi aumenti rispetto ai minimi obbligatori (gli arcinoti 18 mq/abitante di servizi – verde pubblico, attrezzature di interesse collettivo, parcheggi, scuole dell’obbligo), come nel caso della Lombardia, dove vengono elevati a 26,5 mq/abitante. Eppure…. questo era il principale intento del legislatore regionale. Infatti, «nelle Regioni sembra essere presente la convinzione che la pianificazione territoriale possa indirizzare in modo ordinato lo sviluppo ma, nello stesso tempo si percepisce la necessità che per coordinare lo sviluppo economico e sociale occorsa porsi a livello sovracomunale, per il quale è necessario riferirsi ad un ente intermedio capace di predisporre un piano di area vasta»22. Sarà questo uno degli argomenti che porterà ad un certo fermento nelle Regioni, con un dibattito intenso e acceso sul ruolo di un possibile ente intermedio di raccordo e coordinamento per il sistema delle autonomie istituzionali locali. Ente in grado di far superare, o comunque di attenuare, i rigidi confini comunali in modo da far ritrovare coerenza e consenso per le politiche territoriali di area vasta23. Le esperienze sono assai diversificate e verranno tutte chiuse con una soluzione definitiva a livello nazionale nel 1990, con la legge nazionale sulle autonomie locali, la n. 142, che imporrà il livello provinciale.. M. Zoppi, C. Carbone, La lunga vita della legge urbanistica del ’42, Didapress, Firenze 2018, p. 156. 23 «Ma l’esperienza di pianificazione e programmazione di tali enti non ha trovato un adeguato sviluppo, soprattutto per l’essere stati enti di secondo livello e non già ad elezione diretta. In sostanza, il comprensorio non ha mai rappresentato un soggetto abbastanza “forte” da poter imporre una propria linea economica, sociale, e territoriale», G. De Luca, «L’efficacia della pianificazione di area vasta», Urbanistica Informazioni, n. 241, 2012, p. 78. 22.

(14) la figura del “regionale” e la “questione” urbanistica in italia. Tab. 1 - Dinamica della principale legislazione urbanistica e di governo del territorio regionale. Regioni. Prima generazione Prima del 1990. Dopo la legge 142/90. Seconda generazione Dopo Lr 5/95 Toscana. Dopo D.Lgs 112/98. Terza generazione Dopo Titolo V 2001. Piemonte. 56/77. Valle d’Aosta. 14/78. 11/98. 1/04 - 5/18. Lombardia. 51/75. 9/99. 1/01 - 12/05. Trentino. 1/07. Alto Adige Veneto. 10/04 - 1/08 15/15. 22/91 13/97. 3/07 - 9/18 11/04 14/17. 61/85. Friuli V. G.. 52/91. Liguria. 8/72. EmiliaRomagna. 47/78. Toscana. 74/84. 5/07 - 14/13 36/97. 6/95. 11/15 20/00. 5/95 - 64/95. Umbria. 28/95. Marche. 34/92. 24/17 1/05 - 65/14 11/05. Lazio. 38/99. Abruzzo. 18/83. Molise. non ha legge. 70/95. 89/98. 11/99 26/00. 16/04 40/12 20/01 24/04. Campania Puglia Basilicata. 5/01. 23/99 19/02 35/12. Calabria Sicilia. 71/78. Sardegna. 45/89. 28/98. 11/17. [ 177 ].

(15) [ 178 ] Luci e ombre della pianificazione regionale. Verso un primo “disordine” nella pianificazione regionale - Lo. “sbandamento” che questo blocco produce è davvero notevole. Il vento riformista regionale si placa notevolmente, spinto da altre correnti nazionali più forti che portano alla cosiddetta “deregulation urbanistica”, degli slogan «meno Stato e più mercato», «più Progetti e meno Piani». L’urbanistica contrattata sembra così la modalità più efficace per liquidare, una volta per tutte, la pianificazione di sistema. L’inizio è lo svuotamento dei contenuti dei Programmi Pluriennali di Attuazione (dopo nemmeno un quinquennio di applicazione) con un decreto-legge convertito nella Legge n. 94 nel 1982, meglio conosciuto come “decreto Nicolazzi”; cui segue due anni dopo le legge 47/1984, che istituzionalizza in Italia il cosiddetto condono edilizio, nato come misura straordinaria per sanare il disavanzo del pubblico erario legalizzando le strutture abusive esistenti, ottenne l’effetto opposto, perché il solo annuncio nel dibattito politico e nelle arene locali convinse molti a costruire comunque qualcosa, tanto una forma di “perdonanza” sarebbe prima o poi arrivata24. Altro che ciclo edilizio, qui c’è stata una rincorsa al mattone e al cemento. In tutta questa fase (istituzionalmente) confusa si innesta anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 92 del 1982, che conferma la decadenza dei cosiddetti vincoli ablativi. Le aree preordinate all’espropriazione e quelle inedificabili (perché destinate a verde, all’istruzione, ai servizi collettivi, alle strade, etc.), in assenza di un piano particolareggiato approvato entro cinque anni dall’approvazione del piano regolatore generale, vedevano cadere il vincolo e dovevano essere considerate “zone bianche”, cioè prive di destinazione (urbanistica) funzionale, diventando così edificabili per il privato, sia pur con indici di utilizzazione limitatissimi (0,03 mq/mc e 1/10 della superficie coperta). La “questione” urbanistica si amplifica ancora di più, perché con la decadenza dei vincoli preordinati all’esproprio l’impalcatura tecnica della legge nazionale n. 1150/42 non reggeva più. Un correttivo urgente avrebbe dovuto sanare questo vulnus. Come far fronte? Da qui nasce una seconda generazione25 di leggi regio-. Secondo una indagine del Centro Europa Ricerche: «fra il 1950 e il 1984 vi era stata la costruzione in Italia di circa 500.000 alloggi (poco meno della metà edificati tra il 1982-83), oltre agli ampliamenti e alle modifiche», Quaderni del Cer, n. 18, 1986, p. 32. Questo insegnamento non servì proprio a nulla, nel 1994 con legge n. 724 ci fu il secondo, nel 2003 con legge 269 il terzo. Ma di condono, in nome del risanamento dei conti pubblici, si continua sovente a parlare. 25 Abbiamo trattato questi argomenti in G. De Luca, «Le politiche urbanistiche degli anni ’90. La Toscana nel panorama nazionale», Istituto regionale programmazione 24.

(16) la figura del “regionale” e la “questione” urbanistica in italia. nali, che tendono ad indirizzarsi verso due strade: da un lato interpretando estensivamente la legge nazionale del 1942 (che comunque rimane una norma quadro di riferimento nazionale) e dunque dilatando (per quanto possibile) natura, forma e contenuti della strumentazione urbanistica; dall’altro ampliando notevolmente il campo d’azione delle Regioni e delle autonomie locali, fino ad integrare nella stessa strumentazione, sia di livello territoriale che locale, disposizioni per il territorio, disposizioni per il paesaggio e disposizioni per l’ambiente. L’incipit di questa evoluzione è, anch’esso, duplice: - da una parte l’entrata in vigore della riforma delle autonomie locali nel 1990, con la legge n. 142, che assume la natura di legge di principi generali sia per l’ordinamento locale, che per le competenze che ridistribuisce tra i livelli amministrativi. Per quanto qui interessa uno dei nodi è la dimensione provinciale che viene vista come una sorta di “passaggio obbligato”, intermedio e di coordinamento, tra il livello comunale e quello regionale, sperando di portare ad efficacia e coerenze gli strumenti di programmazione e di indirizzo regionale con quelli regolativi locali; - dall’altra il cosiddetto “pacchetto ambientale” che, negli anni Novanta, trova tre successivi ulteriori tasselli ordinatori, la legge n. 183 del 1991 sulla difesa del suolo, con l’istituzione delle Autorità di Bacino e del relativo Piano operativo, sovraordinato a tutti gli altri strumenti della pianificazione ordinaria; la legge n. 394 del 1991, sull’istituzione dei parchi e le aree protette naturali, che detta principi sulla tutela naturalistica, delineando enti autonomi di gestione e specifici strumenti di piano; ed infine l’emanazione del Piano nazionale per lo sviluppo sostenibile del 1993, che recepisce nel sistema normativo italiano i primi accordi internazionali sull’ambiente e la sostenibilità, dopo la dichiarazione dell’Onu dell’anno prima; ed infine, ultimo significativo impulso, la modifica del sistema elettorale delle autonomie locali con la legge n. 81 del 1993 sull’elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Provincia, che rafforza quanto già delineato con la 142/90, e cioè un governo locale incentrato essenzialmente su due organi Consiglio Comunale/Provinciale e Sindaco/Presidente, ciascuno con funzioni proprie: di indirizzo e controllo il primo; esecutivo e di gestione il secondo. Questa triplice evoluzione – che incrocia poi la “crisi di sistema” legata alla stagione di “tangentopoli” – si può leggere come un sia pure implicito disegno riformatore di indirizzo nazionale per l’intero apparato regionalistico italiano. Disegno che, seppur ancora costituito da frammenti di discorsi non del tutto coerenti tra loro e con qualche incompletezza,. economica toscana, Rapporto sul territorio, Irpet, Firenze 2008 (mimeo).. [ 179 ].

(17) [ 180 ] Luci e ombre della pianificazione regionale. attiva una discussione regionalista che porta a tracciare alcuni scenari di riferimento in diversi campi della pubblica amministrazione, tra cui il territorio e il suo governo. Discussione che vede in prima fila l’Istituto nazionale di urbanistica, nel quale era in corso un serrato dibattito su ruolo del piano urbanistico generale e la decadenza dei vincoli espropriativi. Dibattito arricchito da una serie di iniziative nazionali26 che porteranno ad una proposta “aperta” di nuova legge urbanistica nazionale discussa nel XXI° Congresso nazionale del novembre 199527. Proposta ulteriormente elaborata e formalizzata due anni dopo in un documento ufficiale28. La discussione nell’Inu corre parallela al dibattito interno alla Regione Toscana che fin dal 1994 presenta, su iniziativa della Giunta, la proposta di legge regionale n. 452, predisposta dall’Assessorato all’urbanistica, ma interamente scaturita da un dialogo con il sistema delle autonomie locali, contenente «norme per il governo del territorio», che verrà approvata nel gennaio successivo, con il n. 5 del 199529. Una legge, quindi, che anticipa la proposta Inu. Al centro della proposta Inu vi è il rifiuto della tradizionale concezione “a cascata” degli strumenti urbanistici, ricercando nella diversità delle competenze degli enti locali un’attribuzione dei ruoli che corrisponda alle effettive responsabilità istituzionali e che faciliti la separazione tra scelte strategiche e scelte operative. Per quanto concerne la pianificazione comunale la riforma non mira ad una riorganizzazione degli attuali contenuti del Piano regolatore generale, ma ad una sostanziale innovazione di tali contenuti e, di conseguenza, dei modi di costruzione. Esso è prefigurato in due distinti momenti: il Piano Strutturale e il Piano Operativo, cui si affianca il Regolamento Esecutivo, sostitutivo del vecchio regolamento edilizio.. Es. Seminario nazionale Inu, La legge 142 ed i nuovi strumenti per il governo del territorio, Perugia, 14-16 novembre 1991; Convegno nazionale Inu, Tentativi di riforma del regime immobiliare e loro impatto sulla gestione urbanistica ed economica della città, Firenze, 28-29 maggio 1992, che porteranno all’importante e lacerante XX° Congresso Inu su, Politiche urbane, Palermo, 20-22 maggio 1993, cui segue un cambio di Presidenza e un aggiornamento della linea culturale. 27 XXI° Congresso Inu, La nuova legge urbanistica. I principi e le regole, Bologna, 2325 novembre 1995. 28 INU, La nuova legge urbanistica. Indirizzi per la riforma del processo di pianificazione della città e del territorio, Roma 1997 (mimeo). 29 La proposta della Toscana è solo in apparenza simile a quella dell’Inu, nella realtà se ne discosta significativamente, specialmente per quanto riguarda il Piano strutturale, che qui non è obbligatorio per tutti i Comuni. 26.

(18) la figura del “regionale” e la “questione” urbanistica in italia. Il primo, il Piano Comunale Strutturale, obbligatorio solo per i comuni indicati dal Piano Territoriale Provinciale (quelli più rilevanti per problematiche e dimensioni) è orientato sui tempi medio lunghi. Definisce le strategie urbanistico-ambientali individuando le problematiche principali e gli obiettivi da raggiungere. È chiamato a definire il sistema infrastrutturale, il sistema degli insediamenti (residenziali, industriali e terziari) ed i servizi (attrezzature puntuali, infrastrutture a rete e verde pubblico). A questi compiti “tradizionali” si aggiungono nuovi obiettivi di natura ambientale in attuazione delle direttive del Piano Provinciale: la definizione del sistema idrogeologico e dello smaltimento dei rifiuti. Le previsioni del Piano Comunale Strutturale sono direttamente cogenti solo per quanto riguarda i vincoli paesistico-ambientali. Tutte le altre previsioni urbanistiche non sono immediatamente vincolanti per le proprietà immobiliari coinvolte, ma lo diventano successivamente attraverso l’approvazione dei successivi Piani Operativi, oppure per effetto dell’approvazione dei progetti esecutivi individuati dallo stesso Piano Strutturale (infrastrutture, grandi attrezzature). Il secondo, il Piano Comunale Operativo ha per oggetto gli interventi pubblici e privati per i quali l’amministrazione intenda procedere nell’approvazione dei progetti esecutivi nel corso del suo mandato amministrativo: per questa ragione è stato definito “Piano del Sindaco”. La relazione con il mandato amministrativo rafforza il significato di bilancio consuntivo dell’operato del Sindaco e della sua Giunta, in sintonia con la legge elettorale, facendo così assumere al Piano Operativo valenze che vanno ben oltre la sfera tecnico disciplinare. Sotto questo profilo il Piano Operativo si pone in termini complementari al Programma Pluriennale di Attuazione: non assegna semplicemente le edificabilità, ma sulla base del bilancio comunale individua interventi specifici sui quali l’Amministrazione è chiamata a dare conto al termine del suo mandato. Legge regionale Toscana e “modello” Inu, alla fine, si incrociano e insieme finiscono per condizionare altri apparati normativi regionali. Le Regioni che si dotano per prime di nuove leggi regionali percorrendo queste indicazioni saranno la Liguria (Lr 36/97) e l’Umbria (Lr 31/97). Legislazione regionale che trova una ulteriore nuova spinta in funzione autonomista dopo l’emanazione delle riforme “Bassanini” (legge 59/97 e D.Lgs 112/98), con le quali vengono conferite alle Regioni e agli enti locali, secondo il principio di sussidiarietà, tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle loro comunità, nonché tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzati nei rispettivi territori, esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrale o periferico, ovvero tramite enti ed altri soggetti pubblici. Le. [ 181 ].

(19) [ 182 ] Luci e ombre della pianificazione regionale. riforme non solo hanno enormemente aumentato le competenze regionali, quanto hanno anche invertito la relazione tra legislazione ed amministrazione, ponendo il principio che l’amministrazione spetta per regola alle Regioni (e ai poteri locali) anche nelle materie di competenza legislativa statale, salva espressa attribuzione legislativa allo Stato. Sono proprio queste nuove disposizioni che, avviando il cosiddetto federalismo amministrativo (a costituzione invariata), ridanno slancio alle Regioni fino a generare «un disordine utile»30, nel senso che produrranno diverse modalità fortemente regionalizzate, ma anche fortemente sperimentali, ed in questo senso anche “utili” nel rimettere in discussione tradizioni, percorsi e anche “solide” convinzioni amministrative nel controllo e gestione dei fatti urbani e territoriali.. Dal “disordine” ai “modelli” regionali - La terza generazione,. prende corpo dopo la modifica del Titolo V della Costituzione del 2001, che porta, in tempi relativamente corti, a prospettare altri embrioni di “modelli” rispetto a quello già sperimentato e praticato della Regione Toscana e, in parte sostenuto, dalla proposta Inu del 1995. Infatti, la pianificazione regionale ha avuto una fervida fase di sviluppo a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione, della territorializzazione delle politiche dell’Unione europea, e del rilancio della pianificazione paesaggistica a seguito dell’emanazione (nel 2004) del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio. La modifica costituzionale libera, di fatto, l’azione regionalistica perché incrementa profondamente i poteri e le responsabilità che all’inizio degli anni Novanta le Regioni italiane avevano, e si tramuta in azione politica, ma autonoma e non concertata le Regioni (vedi Tab. 1): «Negli ultimi anni più regioni italiane hanno avviato nuovi processi di pianificazione territoriale e aggiornato la propria legge urbanistica regionale. Molte di queste regioni con differenti modalità stanno sperimentando processi eclettici, attraverso i quali promuovono sia forme di piano più negoziali e strategiche attente alle relazioni fra quadro di riferimento e azioni, fra visioni e progetti; sia forme più “strutturali” di garanzia per l’uso delle risorse identitarie del territorio e dei patrimoni territoriali riconosciuti come non negoziabili»31.. Il giudizio è di P. Properzi, «La stagione delle riforme», in F. D. Moccia, a cura di, Le leggi e le azioni nella normativa urbanistica regionale, Supplemento n. 40 al n. 179 di Urbanistica Informazioni. 31 A. Belli, «Introduzione», in A. Belli, A. Mesolella, a cura di, Forme plurime della pianificazione regionale, Alinea, Firenze 2008, p. 9. 30.

(20) la figura del “regionale” e la “questione” urbanistica in italia. Se consideriamo il sistema di pianificazione come un insieme di ordinamenti istituzionali e di procedure legali, amministrative e tecniche, che costituiscono il quadro di riferimento e di regolazione delle pratiche di pianificazione, sia territoriale che urbanistiche, oggi si possono estrapolare “forme plurime” con almeno tre “modelli” regionali emergenti: a) il “modello toscano” che conserva il primato del potere pubblico nel campo delle trasformazioni urbane e territoriali. Modello che direttamente o indirettamente ha influenzato le leggi regionali della Liguria, Lazio, Emilia-Romagna, Umbria. Esso parte dal presupposto che i processi di pianificazione del territorio non sono indifferenti rispetto ai processi di sviluppo, a quelli di coesione sociale e territoriale e quindi anche ai processi di qualità della vita quotidiana; e nasce dalla considerazione politica che il territorio stava assumendo un nuovo ruolo nello sviluppo economico e sociale: un ruolo di deposito di forme e valori di immaterialità che bisognava preservare e garantire all’interno di logiche di controllo e di governo pubbliche. La prima legge regionale che propone questo approccio – a Costituzione allora non modificata – e che introduce la categoria di “governo del territorio”, è la Lr Toscana 5/95. Questo “modello” dopo 10 anni di applicazione è stato rafforzato e aggiornato, dapprima con la Lr 1/2005, e poi “revisionato” con la Lr 65/2014; b) il “modello lombardo” che parte dal presupposto che solo una gestione flessibile del governo del territorio possa meglio rispondere alle domande ammodernamento delle strutture urbane e territoriali. Tutto ruota intorno alla predisposizione di un Documento programmatico, che ha un valore di intenzionalità politica, più che di intenzionalità tecnica. Il concetto di fondo è che nei sistemi urbani densi e ad alta infrastrutturazione non sia utile conferire un valore normativo alle previsioni di piano regolatore — ad esclusione di particolari salvaguardie — ma che programmi e progetti di trasformazione urbana debbano essere decisi in attuazione delle strategie della Amministrazione e a seguito della valutazione dei risultati attesi. In questo modo la tutela del patrimonio collettivo è indifferente al governo del territorio, perché trasferita al di fuori di esso ed esercitata attraverso i vincoli speciali; c) il “modello semiclassico aggiornato”, sviluppato particolarmente in Veneto (ciascun piano indica il complesso delle direttive per la redazione degli strumenti di pianificazione di livello inferiore e determina le prescrizioni e i vincoli automaticamente prevalenti), e presente anche in altre Regione (es. Basilicata), e fondato ancora su forme di neo-dirigismo istituzionale. In sintesi: poiché ogni livello di governo esprime i propri interessi sul territorio (nei limiti che il principio di sussidiarietà attribuisce alla sua responsabilità) mediante un atto di pianificazione, all’approvazione (cioè. [ 183 ].

(21) [ 184 ] Luci e ombre della pianificazione regionale. all’ingerenza tendenzialmente discrezionale del livello sovraordinato sulle decisioni del livello sottordinato) si sostituisce la “conformità”: ossia la verifica che l’atto di pianificazione del livello sottordinato non sia difforme rispetto alle prescrizioni del livello sovraordinato. Alla fine sembra emergere un vero e proprio eclettismo cacofonico in un salsa neofederalista, dove si perde il senso dell’unitarietà nazionale, ma non emerge quella regionale32.. Un eclettismo cacofonico - È possibile trarre qualche conclusione da questi percorsi regionali? Leggendo i testi dei “regionali” una delle conclusioni ragionevoli è quello di un Paese che non è riuscito a tenere insieme i principi costituzionali di indirizzi-cornice, necessari per tenere anche insieme pratiche di governo del territorio poggianti su storie e narrazioni regionalistiche. Al contempo emerge una sorta di “eclettico” federalismo regionalistico con l’introduzione di strumenti, procedure e contenuti assai diversificati, a cui non sembra corrispondere un dibattito interregionale e interistituzionale sulla definizione effettiva del campo d’azione del cosiddetto “governo del territorio” e sul suo ancoraggio concreto alle pratiche dell’agire pubblico. Il risultato è strabiliante: un cacofonico eclettismo sembra emergere dalle pratiche33. Come se il Paese non avesse una legge cornice nazionale entro la quale si debbano inscrivere la natura e la forma della pianificazione territoriale regionale, o meglio come se il Paese fosse una “federazione di stati-regione” dove ognuno sia ritagliato un proprio ed autonomo percorso: da qui anche l’emerge di polifoniche figure di “regionale” che diventa il vero protagonista tecnico. Dunque, non un modello nazionale e nemmeno “modelli regionali”, quanto un eclettico “misto” caratterizzato, e via via appellato come strategico, strutturale, di indirizzo, e qualche volta anche regolativo. Una sorta di pot pourri a la carte, difficile anche da confrontare insieme. I piani regionali hanno così una valenza mista, che deriva da processi di formazione non sempre chiaramente definiti nei loro percorsi, quanto inSu questo rimandiamo al nostro «Modalità di interazione nella pianificazione del territorio», in Istituto nazionale di urbanistica, Rapporto dal territorio 2010, Inu Roma 2011, pp. 111-123. 33 Sugli esiti fino ad ora leggibili rimandiamo a G. De Luca, a cura di, «A che punto siamo con la pianificazione territoriale regionale e paesaggistica?», Urbanistica Informazioni, n. 258, 2014, pp. 7-44 (prima parte), e Urbanistica Informazioni, nn. 259/260, 2015, pp. 9-37 (seconda parte). 32.

(22) la figura del “regionale” e la “questione” urbanistica in italia. fluenzati dalle arene regionali e dalla “tensione” politica che intorno ad essi prende corpo: alcuni presentano forme interessanti di cooperazione istituzionale, altri di partecipazione e inclusione degli interessi, qualcuno viene costruito intorno ad una visione progettuale che tende anche a travalicare i confini regionali, per avere una proiezione di uno spazio europeo, almeno come desiderio di intercettare alcuni canali finanziari legati alle grandi infrastrutture di trasporto. Insomma, una ecclettica cacofonia, che non è altro la (preoccupante) anticipazione di quello che potrebbe ulteriormente accadere con l’applicazione concreta del cosiddetto «federalismo differenziato» (art. 116 della Costituzione) in discussione nei prossimi mesi.. [ 185 ].

(23)

(24)

Riferimenti

Documenti correlati

Nella giornata europea degli antibiotici il Ministero della Salute, in collaborazione con l’IZS Lazio e Toscana, sede del Centro di Referenza Nazionale per

La prima parte si concentra sulle opinioni espresse dagli italiani sulla situazione economica e sociale e sulle risposte date dall’Unione europea alla crisi.. Da un lato

nonche' il Catalogo nazionale dei servizi sono stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro un anno dalla data di entrata in vigore

Il documento è finalizzato a rendere omogenei su tutto il territorio nazionale i criteri di valutazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici per la tecnologia 5G ed mMIMO in

Il rapporto contiene una stima dell'impatto degli interventi cofinanziati dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR) nell’ambito del Quadro Strategico Nazionale (QSN)

La crescente dipendenza delle società moderne dallo spazio cibernetico ren- de sempre più grave il danno che può giungere dalla compromissione delle reti o.. da mirati

Il profilo professionale del Tecnico superiore per la gestione di strutture e servizi turistici, Tecnico superiore per la gestione 4.0 di strutture e servizi

Ogni procedimento ha una sequenza di dati storici: ognuno con una data di inizio e fine