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2. La Trilogía de la memoria

2.1 Los niños perdidos

2.1.3 La dimensione ludica e metateatrale

Gli effetti sonori extra-scenici, la reticenza, i dialoghi ambigui e allusivi non sono gli unici strumenti utilizzati in modo strategico dall’autrice. Fra questi, rientra anche la dimensione metateatrale e ludica, che esercita una funzione rilevante in tutta l’opera. Fornisce infatti dettagli significativi per la ricostruzione della vicenda, mostra il clima di oppressione in cui vivevano i bambini ospiti degli orfanotrofi e

187 V. ORAZI, “Memoria storica e teatro contemporaneo: Los niños perdidos di Laila Ripoll”,

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rievoca gli avvenimenti, i personaggi e l’ideologia imperante ai tempi del regime franchista.

I bambini, infatti, “convierten el sombrío y tenebroso recinto en una sucesión de espacios regidos por el ritual lúdico que va de juegos metateatrales y relatos aterradores a la re-creación de situaciones traumáticas por las que atravesaron”188. Così come il mondo immaginario creato da El Tuso rappresenta una forma di auto- difesa psicologica, allo stesso modo i giochi di ruolo messi in scena dai bambini sono una conseguenza del trauma vissuto. I giochi che popolano il mondo immaginario ricreato da El Tuso sono con ogni probabilità quelli che davvero animavano in passato le giornate dei quattro amici rinchiusi nell’orfanotrofio. Attraverso le imitazioni e i momenti ricreativi, i bambini esorcizzavano le loro paure e l’umorismo era un modo per alleviare il dolore della loro condizione ed evadere dalla realtà. Gli oggetti ormai vecchi e arrugginiti presentati nella prima didascalia del testo, simbolo del tempo trascorso, sono reinventati dai bambini e trasformati in giocattoli. Le attività ludiche hanno quindi un doppio significato:

Desde el punto de vista teatral estos juegos otorgan a la obra un evidente doble nivel de semiotización: lo que para los niños no es más que un juego con el que evadirse de la realidad que les rodea, para el espectador constituye la denuncia de la violencia, el maltrato físico y psicológico y las condiciones infrahumanas en las que viven estos niños en los albergues franquistas189.

Uno dei primi momenti di svago è rappresentato dal gioco proposto da El Marqués (“EL MARQUÉS. Oye, ¿y si jugamos a matar el hambre?” NP, p. 18), che rivela la scarsità di cibo e di conseguenza la fame sofferta dai bambini. Successivamente, inizia una serie di giochi di ruolo, che introduce nel testo la componente metateatrale, nonché quel costante processo di trasformazioni che, a detta dell’autrice, solo il ricorso al mondo dei bambini, con i loro giochi e travestimenti, permette di ottenere190. El Tuso, fin dalla sua prima apparizione, indossa un abito da suora, ma si lamenta di dover essere sempre lui a rappresentare gli adulti, che associa automaticamente ai cattivi (“EL TUSO. Que haga otro las malas, que yo no quiero”. NP, p. 23).

188 M. BRIZUELA, “Teatro español actual: «paisajes de memoria» en la obra de Laila Ripoll,

Itziar Pascual y Gracia Morales”, in El taco en la Brea, 2 (2015), p. 215.

189 J. AVILÉS DIZ, “Los desvanes de la memoria: Los niños perdidos de Laila Ripoll”, in

Letras femeninas, 38 (2012), p. 5.

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Ma l’elemento metateatrale di maggiore rilevanza è probabilmente rappresentato dal teatrino improvvisato da Lázaro, esemplificazione perfetta di come l’educazione impartita presso gli orfanotrofi fosse intrisa di una forte componente politico- ideologica. Lázaro si serve infatti di una bambola di porcellana (“[...] En el teatrillo aparece una muñeca de porcelana calva y medio rota, vestida rústicamente con camisa azul y boina roja [...]”. NP, p. 31) per rappresentare un membro della Sección

Femenina, mentre gli altri bambini interpretano l’Organización Juvenil e rispondono

con una serie di motti che esaltano la dittatura franchista (“TODOS. La España, una, grande y libre; Por el Imperio hacia Dios; ¡Viva Franco!”. NP, p. 31). Questo frammento è uno dei più ricchi di riferimenti a figure storiche e organizzazioni realmente esistite (Franco, José Antonio, la Falange). Inoltre, il personaggio incarnato da Lázaro è la “señorita Veneno”, descritta da Juana Doña nel libro Desde

la noche y la niebla: Mujeres en las cárceles franquistas191. Nell’imitazione che il

bambino fa della donna vengono messi in scena la violenza, i castighi, gli insulti subiti in passato. Lo stesso farà più avanti El Tuso, nei panni della suora che terrorizza i bambini con minacce e punizioni. Ben presto, però, la rappresentazione messa in scena da Lázaro degenera. Infatti El Cucachica, aiutato da El Tuso, si scaglia contro il teatrino e contro la bambola, che finisce a terra con la testa spezzata. Questo gesto è la chiara dimostrazione di come la violenza produca violenza e di come i torturati possano facilmente trasformarsi in torturatori, abbrutiti dall’orrore della guerra. Non è l’unico esempio presente all’interno del testo. È già stato messo in risalto come El Marqués sia il più litigioso del gruppo: è in costante conflitto con gli altri, soprattutto con El Cucachica, a cui non risparmia soprusi verbali e fisici, ma perfino con il più grande del gruppo, El Tuso. Neanche gli altri sono esenti da simili atteggiamenti: sono spesso mostrate in scena le liti per aggiudicarsi il cibo così come gli insulti che i compagni si rivolgono a vicenda o diretti alla suora. Le torture subite dai bambini diventano per loro quotidianità da imitare durante i momenti di svago. I quattro protagonisti, per i loro comportamenti spesso aggressivi e violenti, possono essere considerati a primo impatto cattivi e crudeli. In realtà, è nella natura dei

191 «En toda prisión era conocida la “veneno”, una funcionaria vieja en sus métodos y su físico,

desgreñada y sucia, entre grotesca y cruel que gustaba de atemorizar con sus gritos y amenazas y de vez en cuando con sus bofetadas […]. El mundo de la “veneno” se limitaba a las cuatro paredes de la cárcel, donde vivía tan presa como las mismas reclusas; no podía ni sabía desenvolverse fuera de aquellos muros donde tenía poder, para hacer y deshacer a su antojo» (J. DOÑA, Desde la

noche y la niebla: mujeres en las cárceles franquistas, Ediciones de la Torre, Madrid 2013, p.

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bambini riprodurre tutto ciò che vedono e sentono192. Per questo motivo, in diversi punti del testo quando litigano passano dalle parole ai fatti oppure ripetono con apparente spietatezza quello che in passato hanno sentito dire dagli adulti (“EL MARQUÉS. [...] tu mamá también está muerta [...]”. NP, p. 48; “EL MARQUÉS. ¡Masón! ¡Judío! ¡Masón!”. NP, p. 43).

È evidente che non si tratta di normali scaramucce fra bambini, proprio perché non c’è niente di normale nella loro condizione. La Guerra e il clima di terrore hanno invaso anche le attività ludiche dei quattro compagni, una sfera in cui al contrario dovrebbero regnare la serenità e la spensieratezza. Neanche un gioco apparentemente innocente come quello dei treni può evocare viaggi avventurosi e mete da sogno, bensì luoghi molto più tristi e desolanti, come gli scompartimenti in cui erano ammassate centinaia di persone destinate agli orfanotrofi o ai campi di sterminio e, quindi, alla morte. E infatti questo gioco fornisce il pretesto a El Cucachica per raccontare il suo viaggio verso l’Hogar, così che “aquello che nos transmitía confianza (como los disfraces, los juegos de trenes) ahora, por medio de la represión, se vuelve extraño y enemigo”193.

Una situazione estrema e difficile da sostenere è diventata qualcosa di quotidiano e ordinario, tanto da essere riprodotta nei giochi. Mannheim sostiene che la generazione che ha vissuto la guerra o il dopoguerra durante l’infanzia riceve un’impronta profonda da questa esperienza: è la prima realtà che ha conosciuto dopo la nascita e di conseguenza le risulta difficile concepirne una differente194.

Dunque attraverso i giochi di ruolo,

Ripoll logra dos objetivos: primero, informar al público de los hechos y los nombres históricos vinculados a las expropiaciones. Segundo, un golpe de efecto en los espectadores, ya que la presentación de los personajes del régimen se hace más

192 A tal proposito, risulta particolarmente interessante l’esperimento condotto dallo psicologo

canadese Albert Bandura per dimostrare la teoria dell’apprendimento per osservazione o imitazione. Vi parteciparono bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni, divisi in tre gruppi. Il primo gruppo venne condotto in una sala piena di giochi dove un adulto colpiva con una mazza e insultava una bambola di grandi dimensioni. Nel secondo gruppo c’era sempre un adulto, ma non mostrava alcuna forma di aggressività verso la bambola. Infine, il gruppo di controllo non prevedeva la presenza di un adulto come modello. I risultati furono chiari: i bambini esposti al modello aggressivo erano più propensi a comportarsi in modo fisicamente aggressivo rispetto a quelli che invece non avevano assistito a un comportamento aggressivo. (Per un approfondimento sull’argomento rimando a R. VERGA, D. MARINELLI, L’arte della mediazione, FrancoAngeli, Milano 2013, pp. 112-129).

193 L. C. SOUTO, “El teatro español sobre apropiación de menores. La puesta en escena como

espacio de identidad y memoria”, p. 60.

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terrible cuando es transmitida por los niños, cuando de sus voces salen las mismas sentencias de los que los condenaron. Ellos perpetúan la escena de sus maltratos, la violencia de los centros invade el espacio de los juegos y sublima el sitio de la niñez a una educación castrense195.

I quattro protagonisti dell’opera sono in grado di rappresentare il mondo degli adulti con estrema lucidità. La giovane età non impedisce loro di comprendere la cattiveria di quegli adulti che si spacciano per coloro che dovrebbero proteggere i bambini, ma in realtà dimostrano disumana violenza fisica e psicologica nei loro confronti.

Il militarismo non è l’unica componente dei giochi organizzati dai bambini. Vi è un altro elemento costantemente presente nelle loro attività, ovvero la religione. Cuca, per esempio, adotta una serie di travestimenti: prima veste i panni di San Giuda Taddeo, successivamente indossa un abito da Nazareno e infine diventa Santa Teresina di Gesù Bambino. Inoltre, è lui a proporre di mettere in scena una processione religiosa.

Militarismo e religione si mescolano non solo nei giochi e nelle recite, ma anche nelle preghiere e nelle canzoni intonate dai bambini. Alle litanie di El Tuso fa da contrappunto l’inno del Fronte della Gioventù spagnola, Prietas las filas, cantato da Lázaro e El Marqués. La conoscenza delle preghiere, dei nomi dei santi, delle ricorrenze ecclesiastiche è un chiaro esempio dell’importanza rivestita dal cattolicesimo nel progetto di purificazione della razza auspicato da Nájera.

A mano a mano che l’opera giunge verso l’epilogo, i momenti di gioco iniziano a diminuire, perché la narrazione dei fatti e il graduale processo di rivelazione della verità prendono il posto della fantasia e dell’immaginazione. I giochi, però, non spariscono del tutto, infatti ritornano perfino sul finire dell’opera, quando ormai i bambini sono pienamente consapevoli di quanto accaduto loro. El Cucachica e perfino El Marqués, che in precedenza si era sempre mostrato piuttosto avverso ai giochi dei compagni, propongono una serie di attività ludiche, come se il gioco fosse l’ultimo appiglio a cui afferrarsi per evadere dalla realtà.

Appare dunque evidente la molteplicità di funzioni ricoperte dalla dimensione ludica e metateatrale. I giochi e le rappresentazioni messe in scena dai bambini non si limitano semplicemente a informare lo spettatore. I riferimenti a personaggi storici,

195 L. C. SOUTO, “El teatro español sobre apropiación de menores. La puesta en escena como

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le canzoni di stampo religioso e militare, ma anche tutti quegli elementi che formano parte di un bagaglio culturale comune (come i personaggi di Antoñita la Fantástica o El Guerrero del Antifaz) permettono allo spettatore di identificarsi con i bambini, sia per aver vissuto sulla propria pelle esperienze affini, sia perché le vicende evocate gli sono giunte per mezzo dei racconti dei propri predecessori. Questo aspetto è confermato anche da Avilés Diz, secondo cui,

A pesar de la enorme cantidad de referencias históricas a hechos y testimonios de la Guerra Civil que Ripoll esparce a lo largo de la obra, el gran valor de Los niños

perdidos no está tanto en su presente espíritu filiativo [...] sino en el establecimiento

de lo que Faber llama relaciones afiliativas, es decir, con una clara intencionalidad no sólo de establecer una relación compasiva con el pasado, sino de restablecer con él unos vínculos basados en la solidaridad y en la identificación196.

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