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LA MOTIVAZIONE E I SISTEMI DI INCENTIVAZIONE NELLE ORGANIZZAZIONI. IL CASO SAMMONTANA.

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

Tesi di Laurea Magistrale

La motivazione e i sistemi di incentivazione nelle

organizzazioni.

Il caso Sammontana SpA.

Candidato: Relatore:

Michela Mazzini Prof. Marco Giannini

Contro Relatore:

Prof. Vincenzo Zarone

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Al mio Nonnu,

il mio esempio di vita.

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LA MOTIVAZIONE E I SISTEMI DI INCENTIVAZIONE NELLE

ORGANIZZAZIONI. IL CASO SAMMONTANA.

CAPITOLO 1: LA MOTIVAZIONE NEL CONTESTO AZIENDALE ... 1

1.1. L’ORIGINE E SIGNIFICATO DEL TERMINE MOTIVAZIONE ... 1

1.2. COS’È LA MOTIVAZIONE? ... 4

1.2.1. LA MOTIVAZIONE INTRINSECA ED ESTRINSECA ... 8

1.3. LE TEORIE MOTIVAZIONALI NELLE ORGANIZZAZIONI: TEORIE DI CONTENUTO ...12

1.3.1. LA TEORIA DEI BISOGNI DI MASLOW ...13

1.3.2 . LA TEORIA DI ALDERFER (E.R.C) ...19

1.3.3. LA TEORIA DEI BISOGNI DI MCCLELLAND ...20

1.3.4. LA TEORIA DEI FATTORI IGIENICI-MOTIVANTI DI HERZBERG ....24

1.3.5. LA TEORIA X ED Y DI MCGREGOR ...28

1.4. IL PROCESSO MOTIVAZIONALE – DEFINIZIONE E TEORIE DI PROCESSO ...31

1.4.1. LA TEORIA ASPETTATIVA – VALORE: VROOM ...33

1.4.2. LA TEORIA DELL’EQUITÀ DI ADAMS ...36

CAPITOLO 2: I SISTEMI DI INCENTIVAZIONE ... 40

2.1. IL SISTEMA INCENTIVANTE COME SOTTOINSIEME DEL SISTEMA DI RETRIBUZIONE VARIABILE...40

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2.2. LA DEFINIZIONE DI SISTEMA DI INCENTIVAZIONE ...41

2.3. IL MANAGEMENT BY OBJECTIVES E IMPOSTAZIONE DEL SISTEMA DI INCENTIVAZIONE ...44

2.3.1. GLI OBIETTIVI ...46

2.3.2. I REQUISITI ...46

2.3.3. LE PROBLEMATICHE ...47

2.3.4. LE TIPOLOGIE ...47

2.4. I TEMPI DEL SISTEMA DI INCENTIVAZIONE ...48

2.5. I MODELLI DI INCENTIVAZIONE ...50

2.5.1. IL PROFIT SHARING ...50

2.5.2. IL GAIN SHARING ...53

2.5.3. I TEAM BONUS ...55

2.5.4. GLI INCENTIVI INDIVIDUALI QUANTITATIVI ...57

2.5.5. I SISTEMI PAY FOR COMPETENCE ...57

2.5.6. GLI INCENTIVI DI LUNGO TERMINE ...59

2.6. SCEGLIERE IL MODELLO DI INCENTIVAZIONE ...60

2.7. LA PROGETTAZIONE DEL SISTEMA DI INCENTIVAZIONE ...63

2.7.1. I DESTINATARI DEL SISTEMA INCENTIVANTE ...64

2.7.2. GLI OBIETTIVI E I RELATIVI INDICATORI DEL SISTEMA INCENTIVANTE ...64

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2.7.4. LA RELAZIONE TRA RISULTATO E INCENTIVO...72

2.8. L’EFFICACIA DEI SISTEMI INCENTIVANTI ...73

CAPITOLO 3: IL WELFARE AZIENDALE ... 75

3.1. L’ORIGINE E LO SVILUPPO ...75

3.2. NORMATIVA NAZIONALE SUL WELFARE AZIENDALE ...77

3.3. IL WELFARE AZIENDALE CONTRATTUALE ...79

3.4. L’IMPLEMENTAZIONE DI UN PIANO DI WELFARE AZIENDALE ...83

3.4.1. LA TARGHETIZZAZIONE ...84

3.4.2. LA PROGETTAZIONE ...85

3.4.3. L’ANALISI DI FATTIBILITÀ ...87

3.4.4. LA SCELTA TRA UNILATERALITÀ E BILATERALITÀ ...87

3.4.5. LA COMUNICAZIONE ...88

3.5. I POSSIBILI VANTAGGI PER L’IMPRESA E I DIPENDENTI ...89

3.5.1. I VANTAGGI IN COMUNE TRA L’IMPRESA E IL DIPENDENTE ...90

3.6. IL WELFARE AZIENDALE E RESPONSABILITÀ SOCIALE ...91

3.7. LE RAGIONI ALLA BASE DELLO SVILUPPO DEL WELFARE AZIENDALE ...93

3.8. LE POLITICHE DI WELFARE AZIENDALE COME MECCANISMI DI INCENTIVAZIONE ...94

CAPITOLO 4: CASE HISTORY SAMMONTANA ... 97

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4.2. LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DEL GRUPPO SAMMONTANA .... 102

4.3. LE OPERAZIONI DI RIORGANIZZAZIONE DI SAMMONTANA ... 104

4.3.1. LA FUSIONE PER INCORPORAZIONE E LA RIORGANIZZAZIONE ... 105

4.4. IL PREMIO PER OBIETTIVI NELL’AREA INDUSTRIALE ... 107

4.4.1. L’EBITDA ... 109 4.4.2. LA PRESENZA O ASSENTEISMO ... 110 4.4.3. LA PRODUTTIVITÀ ... 112 4.4.4. LA QUALITÀ ... 114 4.4.5. L’IGIENE ... 115 4.4.6. L’EFFICIENZA ... 115

4.5. I SISTEMI DI INCENTIVAZIONE DELL’AREA COMMERCIALE ... 116

4.5.1. IL PROGETTO DRIVE SAFETY ... 118

4.6. IL PROGETTO ICE: INTEGRATED COLLABORATIVE ERP... 121

4.6.1. L’IMPLEMENTAZIONE DEL PROGETTO ... 123

4.6.2. IL PROGETTO ICE COME SISTEMA INCENTIVANTE ... 124

4.7. IL WELFARE AZIENDALE IN SAMMONTANA ... 127

5. CONCLUSIONI ... 129

BIBLIOGRAFIA ... 132

SITOGRAFIA ... 133

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INTRODUZIONE

L’attuale contesto competitivo richiede un allineamento tra gli obiettivi delle imprese e l’operatività quotidiana dei singoli individui impegnati nelle diverse funzioni aziendali.

Diviene quindi fondamentale che il lavoratore di ogni dipendente sia indirizzato verso il raggiungimento degli obiettivi aziendali e verso la realizzazione delle strategie definite dal management. L’impostazione del sistema incentivante deve essere in grado di stabilire una relazione diretta tra le strategie aziendali e il comportamento delle aree operative.

L’implementazione di un sistema di incentivazione efficace richiede lo studio e la comprensione delle circostanze in cui si trovano ad operare le singole aziende, in quanto non è possibile trarre una conclusione globale adattabile alla totalità delle imprese.

I primi tre capitoli sono frutto di uno studio approfondito della letteratura.

Il primo capitolo tratta il tema della motivazione, le sue origini, la sua definizione ed evidenzia le principali teorie motivazionali legate al contesto aziendale, da quelle di contenuto a quelle di processo.

Il secondo capitolo analizza i principi di funzionamento dei sistemi di incentivazione passando attraverso il management by objectives con i suoi

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obiettivi, requisiti, problematiche e tipologie, i modelli di incentivazione che rispondono a scopi organizzativi differenti che si rispecchiano in modo altrettanto variabile sugli individui e la progettazione dei sistemi di incentivazione.

Il terzo capitolo si concentra sul Welfare Aziendale, sulla sua storia, sulla sua evoluzione, sulla sua importanza all’interno di un’azienda e sui vantaggi che esso porta sia ai dipendenti che all’impresa stessa. Si analizza l’implementazione di un piano di Welfare Aziendale e come quest’ultimo influenza la Corporate Social Responsability dell’azienda.

In seguito allo studio della letteratura, il capitolo 4 propone lo studio dei sistemi di incentivazione nell’azienda Sammontana SpA passando attraverso la sua storia e la sua evoluzione, tenendo presente un evento particolarmente importante come l’acquisizione di Gran Milano SpA. In questo capitolo sono descritti e analizzati i sistemi di incentivazione dei due pilastri dell’azienda, come si nota anche dall’organigramma funzionale, industriale e commerciale. Inoltre vengono forniti degli studi sui progetti su cui Sammontana si sta concentrando, come il progetto drive safety e il progetto ICE.

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1

CAPITOLO 1: LA MOTIVAZIONE NEL

CONTESTO

AZIENDALE

1.1. L’ORIGINE E SIGNIFICATO DEL TERMINE MOTIVAZIONE

La conoscenza dei processi motivazionali costituisce una delle problematiche fondamentali sia nell’ambito della gestione delle risorse umane sia nella comprensione dei comportamenti di natura organizzativa.

I quesiti che più frequentemente vengono posti da questo settore disciplinare si possono sintetizzare in due generiche domande: “Perché le persone agiscono in un certo modo? Quali sono le spinte che guidano i loro comportamenti?”.

Per entrambi i quesiti la prima risposta che potrebbe venire in mente è che il comportamento umano è guidato da scopi, ossia le persone si comportano in un certo modo perché vogliono raggiungere un determinato risultato. Rispondere a queste domande significa quindi “individuare la loro motivazione, intesa come il processo dinamico che finalizza l’attività di una persona verso un obiettivo”1. Nel caso della motivazione al lavoro si tratta di analizzare la moltitudine di fattori, non esclusivamente interni alla persona, in grado di far comprendere le dinamiche insite nel dispiegamento delle energie psicofisiche nell’attività professionale, ma anche nell’intensità e persistenza di questo investimento di risorse.

La conoscenza della struttura motivazionale degli individui e dei relativi meccanismi comportamentali è indispensabile per una gestione consapevole del

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sistema organizzativo aziendale. Va quindi indagato il processo attraverso il quale l’individuo canalizza l’energia verso il raggiungimento di un “metaincentivo”, ossia di un incentivo strumentale al soddisfacimento di determinati bisogni.

L’etimologia della parola “motivazione” (dal latino motus) riporta al concetto di movimento: la motivazione, ovvero muovere verso, non è altro che l’insieme di forze che agiscono sulla persona e la portano ad attivare le proprie energie per raggiungere un oggetto desiderato, uno scopo. La dinamica del desiderio implica una spinta, che può essere interpretata come un bisogno o pulsione da soddisfare, oppure, in un senso più profondo, come tensione sostenuta da aspettative, obiettivi ed emozioni. Tale tensione appare da un lato connessa alle modalità per cui un soggetto decide che cosa per lui ha senso e che cosa non lo ha, dall’altro è legata alle attribuzioni di valore dominanti in un determinato contesto (gruppo, famiglia, istituzioni, lavoro).

Già dalla definizione che si evince dalla prospettiva etimologica emerge la complessità teorica del problema della motivazione che si può definire in via preliminare come un’espressione multifattoriale, poiché entrano infatti in gioco diversi aspetti - emotivi, cognitivi, biologici, psicologici, contestuali e sistemico relazionali - interrelati ed interagenti tra loro.

La riflessione teorica su ciò che spinge all’azione nei contesti organizzati ha origine profonda, tuttavia differenti sono i modelli motivazionali che risentono dell’influenza di diversi orientamenti.

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“La dottrina dominante, già dai tempi di Platone e Aristotele fino a tutto il Medioevo, ed ancora oggi riletta in chiave moderna, asserisce che il soggetto controlla il comportamento, e che gli esseri umani sono liberi di scegliere che cosa fare. Anche se le decisioni possono essere influenzate da stimoli esterni e da bisogni interni, le azioni sono controllate dalla ragione. La filosofia edonistica, inoltre, ci dice che la finalità di tali azioni è la ricerca di stati che procurano piacere e soddisfazione”2.

In un’altra direzione vanno i modelli psico-socio-antropologici, secondo i quali la motivazione è il risultato dell’azione di matrice culturale e sociale, intesa come insieme di reazioni all’ambiente apprese durante l’evoluzione, all’interno di una sorta di personalità di base.

I modelli istintivisti forniscono un concetto di motivazione nei quali essa viene vista come un istinto di origine umana, costituito da più forze automatiche ed inconsapevoli, intrinseche alla costituzione del soggetto, non apprese, o al massimo modificate dalle abitudini apprese.

Infine, i modelli psicosociali sviluppano un concetto di motivazione come bisogno di sentirsi in sintonia col gruppo di riferimento, di dare e ricevere i diversi segnali di appartenenza.

Come si può notare, i diversi filoni focalizzano ognuno un aspetto diverso della problematica inerente la motivazione, proponendone differenti significati originari.

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Si può affermare che ogni metodologia di analisi, sopra citata, ha fornito un’interpretazione non esaustiva del fenomeno motivazione che andremo ad analizzare più nel dettaglio.

1.2. COS’È LA MOTIVAZIONE?

Prima di scavare in profondità il tema della motivazione è essenziale creare un’immagine chiara di ciò che è la motivazione.

La natura della motivazione è definita come:

1. Una teoria psicologica basata sui soggetti, sulle loro necessità individuali e quindi su comportamenti e azioni conseguenti;

2. Un intero: non è possibile essere motivati in parte e quindi un soggetto o è motivato o non lo è;

3. In continuo sviluppo: evolve e risponde a stimoli esterni e interni; non appena una necessità è soddisfatta, se ne manifesta una nuova;

4. Un comportamento guidato dagli obiettivi: è l’obiettivo che guida la motivazione;

5. Controllata da stimoli tangibili e intangibili;

6. Di natura complessa: non esiste un approccio universale.

Mitchell ha estratto quattro caratteristiche comuni da un gran numero di possibili definizioni con lo scopo di creare una definizione unificata di ciò che è la motivazione:

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 La motivazione è un fenomeno individuale;  La motivazione è intenzionale;

 La motivazione è multiforme;

 Le teorie sulla motivazione sono il presagio del comportamento.

La motivazione è un concetto che rinvia al processo attraverso il quale l’individuo è stimolato a compiere delle azioni specifiche verso un obiettivo; nasce dalla manifestazione di un bisogno e, dunque, di un problema che genera un impulso alla sua risoluzione.

La motivazione è quindi il complesso di forze che attivano, dirigono e sostengono il comportamento nel corso del tempo.

Essa implica:  Direzione  Intensità

Ogni comportamento umano – comunicare, imparare, agire, ricordare, … - coinvolge aspetti motivazionali insieme con altri elementi quali cultura e concezioni personali – ovvero credenze, opinioni e atteggiamenti circa l’ambiente – e dinamiche della personalità.

“In particolare, le motivazioni sono influenzate da:

 Locus of control: luogo dove si ritiene si trovino le cause del successo e/o insuccesso. Secondo Rotter, ciascun individuo, nell’accumulare successi e insuccessi e nel rapportarsi con gli eventi positivi o negativi che costellano la sua esperienza, struttura in modo stabile un proprio specifico sistema di attese.

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Questi sistemi, caratterizzanti di attese, vengono ripartiti in due categorie, dalle quali derivano due prototipi di soggetti. “A un estremo ci sono coloro con un locus of control interno, che credono nella propria capacità di controllare gli eventi: questi soggetti attribuiscono i loro successi o insuccessi a fattori direttamente collegati all’esercizio delle proprie abilità, volontà, capacità. All’altro estremo ci sono coloro con un locus of control esterno, secondo i quali gli eventi della vita, come i premi e le punizioni, non sono il risultato dell’esercizio diretto di capacità personali, quanto piuttosto dovuti a fattori esterni imprevedibili quali il caso, la fortuna o il destino”3.

 Stile di attribuzione: atteggiamenti e convinzioni che il soggetto possiede riguardo alle strategie, alla loro utilità e al ruolo giocato dallo sforzo attivo di apprenderle e utilizzarle. È evidente la connessione che esiste tra lo stile di attribuzione e il locus of control. Infatti, l’assegnazione esterna del controllo riduce fortemente la percezione che usare strategie adeguate possa produrre risultati utili. Dall’altra parte lo stile di attribuzione è interrelato all’autostima ed al senso di autoefficacia.  Senso di autoefficacia: percezione delle proprie capacità di raggiungere

il successo nell’esecuzione del compito (programmazione basata sul successo). Può anche essere inteso come il grado di fiducia che una persona nutre rispetto al proprio successo. È fondato sui risultati raggiunti nelle esperienze precedenti e il raggiungimento di ogni obiettivo

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contribuisce a consolidarlo. È influenzato da altre caratteristiche di personalità quali la capacità di gestire insuccessi, di ricevere feedback differiti nel tempo rispetto alla prestazione.

 Autostima: complesso di percezioni, opinioni e sentimenti che proviamo nei confronti dei molti aspetti della nostra persona”4.

Nell’affrontare il tema della motivazione è necessario anche considerare che le motivazioni umane differiscono da una cultura all’altra, nonché da persona a persona.

È vero che motivazioni simili possono manifestarsi per mezzo di comportamenti dissimili e motivazioni diverse possono trovare espressione in comportamenti analoghi. Spesso poi le motivazioni si manifestano in forma mascherata e, nell’ambito di un comportamento complesso, ogni singolo atto può far riferimento a motivazioni diverse.

Nel caso della motivazione al lavoro si tratta di analizzare un insieme di fattori che non necessariamente risiedono all’interno della persona, ma che sono in grado di far comprendere le dinamiche di comportamento nell’attività lavorativa, la conoscenza della struttura motivazionale degli individui e i relativi meccanismi comportamentali. Tutto ciò è indispensabile per una gestione efficace ed efficiente del sistema organizzativo aziendale. Va indagato il processo attraverso il quale i soggetti canalizzano l’energia verso il raggiungimento di un incentivo al soddisfacimento di determinati bisogni.

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1.2.1. LA MOTIVAZIONE INTRINSECA ED ESTRINSECA

Un’ulteriore considerazione sulla motivazione ci permette di distinguere la motivazione in intrinseca, quella innata o interna, ed estrinseca, intesa come motivazione artificiale o esterna.

“La motivazione intrinseca è ciò che porta a intraprendere un’attività perché è di per sé motivante. Quando è intrinsecamente motivato, un individuo si attiva per il divertimento o la sfida legati all’azione stessa, non per ricompense o pressioni esterne. Trova cioè in se stesso la gratificazione per la sua azione”5.

Le attività dell’individuo estrinsecamente motivato sono invece prevalentemente sostenute da rinforzi esterni (vantaggi, riconoscimenti).

Nell’uomo la motivazione intrinseca, pur non essendo l’unica forma di motivazione, è una delle più importanti. La tendenza a interessarsi delle novità ed applicare creativamente le proprie abilità è un tratto determinante della natura dell’uomo, presente in tutte le fasi della vita.

Come sostengono alcuni autori, la motivazione intrinseca non può essere rappresentata come un costrutto unitario, ma va considerata profondamente sfaccettata. Secondo la Multifaceted Theory of Intrinsic Motivation è possibile distinguere 16 desideri fondamentali che stanno alla base del costrutto della motivazione intrinseca e che di base sono indipendenti (Figura 1.).

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Figura 1: I 16 desideri fondamentali

La motivazione intrinseca si può affiancare al concetto dell’auto-motivazione. L’auto-motivazione di un dipendente che manifesta una buona attitudine verso il suo lavoro, il suo manager ed i suoi collaboratori, viene dal lavoratore stesso. “Ogni individuo possiede dei fattori motivazionali personali che lo incoraggiano a compiere le azioni ottimali per raggiungere i propri obiettivi: un lavoratore può premiare sé stesso con una pausa oppure pensando a quanto sarà orgoglioso nel momento in cui raggiungerà il suo scopo. Questo genere di motivazioni sono

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intrinseche all’uomo, nel senso che provengono dall’interno dell’individuo stesso”6.

Un’azienda deve mettere a disposizione tutti i cosiddetti fattori di igiene, come il salario base, la pulizia e la sicurezza dell’ambiente di lavoro, così da fornire le condizioni ideali per la nascita di motivazioni intrinseche. In assenza di queste condizioni può essere difficile stimolare una persona, anche se sono messi a disposizione fattori di motivazione estrinseci.

I fattori generali che influenzano e favoriscono la motivazione intrinseca sono stati descritti da Vockell che ha creato un quadro semplice da utilizzare per l’apprendimento attraverso le descrizioni dei fattori e alcune linee guida su come stimolarli (Figura 2).

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Figura 2: Fattori di influenza della motivazione intrinseca

Come è possibile notare, “la motivazione intrinseca è di natura ingannevole in quanto è difficile isolare un fattore dominante che abbia origine esclusivamente interna. Quando viene introdotta una motivazione esterna, questa può facilmente prendere il posto degli stimoli interni, diventando così il fattore motivante dominante per l’individuo e riducendo l’effetto intrinseco, anche dopo la rimozione del fattore esterno”7.

La motivazione può essere una competenza innata in una persona oppure che si acquisisce durante le esperienze di lavoro.

Tuttavia la motivazione intrinseca, a volte, ha degli svantaggi per l’organizzazione: i fattori di motivazione interni sono potenti e perciò, se il dipendente si sente come una pedina che il manager sta semplicemente utilizzando, si manifesteranno effetti negativi sulla motivazione e quindi sulle prestazioni individuali.

La motivazione delle persone non avviene, come già detto, solo attraverso componenti intrinseche personali, ma anche attraverso l’utilizzo di fattori esterni che costituiscono la motivazione estrinseca: questi elementi possono assumere forme diverse, ma lo scopo comune è quello di rafforzare e stimolare la motivazione dei dipendenti, nel tentativo di incoraggiarli a migliorare le proprie prestazioni.

7 Deci e Ryan, 1985, Intrinsic motivation and self-determination in human behaviour, Plenum, New York.

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I fattori di motivazione estrinseca sono incentivi che provengono da una fonte esterna, ossia da manager, colleghi o organizzazione la cui influenza avviene attraverso stimoli positivi o negativi. Stimoli positivi potrebbero essere la reputazione, il riconoscimento, i beni materiali o i premi economici. Gli stimoli negativi rappresentano una punizione se non vengono raggiunti determinati obiettivi; può trattarsi di una penalità, di un mancato riconoscimento economico o dell’esclusione da nuove o future attività.

1.3. LE TEORIE MOTIVAZIONALI NELLE ORGANIZZAZIONI:

TEORIE DI CONTENUTO

Nell’ambito della psicologia delle organizzazioni è bene tenere presente che sono stati due i principali orientamenti che hanno caratterizzato lo studio della motivazione. Ad ogni orientamento corrisponde una diversa teoria interpretativa. Troviamo le teorie di contenuto che si focalizzano sull’analisi dei bisogni che motivano le persone all’azione, ossia le ragioni che spingono ad adottare un certo comportamento.

Le teorie di contenuto più importanti e più applicate negli ambiti professionali sono state quelle di Maslow, Alderfer, McClelland, Herzberg e McGregor.

Si può considerare, in prima istanza, la relazione tra bisogni individuali e ricompense organizzative, stimando il peso relativo che le persone assegnano a differenti riconoscimenti per il lavoro svolto.

La conoscenza di questo valore permette all’organizzazione di adattare le ricompense alle preferenze individuali, in modo da soddisfarle (Figura 3).

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Figura 3: Le assunzioni di base delle teorie basate sui contenuti della motivazione

1.3.1. LA TEORIA DEI BISOGNI DI MASLOW

Adam Maslow è senza dubbio uno tra i più importanti psicologi del 20° secolo e la sua elaborazione della teoria della gerarchia dei bisogni, insieme alla piramide che rappresenta come i bisogni sono classificati, è ben nota a molti manager. Tale teoria intende offrire una descrizione delle caratteristiche, dei contenuti e dell’evoluzione della motivazione che possa spiegare sia ciò che accomuna tutti gli esseri umani, sia le specificità che rendono ogni individuo unico e differente dagli altri.

La teoria di Maslow si basa su una semplice premessa: gli esseri umani hanno dei bisogni e questi ultimi appartengono ad una struttura gerarchica, per cui ci sono

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bisogni che sono basilari per tutti gli esseri umani e in loro assenza nient’altro potrebbe importare se non la loro soddisfazione. Una volta soddisfatti questi bisogni basilari, ci si può interessare a bisogni più alti nella gerarchia.

Maslow ha fornito una categorizzazione delle principali necessità umane, ponendole appunto all’interno di una cultura gerarchica, dai bisogni più immaturi e primitivi a quelli più maturi e caratteristici di città evolute. Egli asserisce che gli individui soddisfano i loro bisogni in senso ascendente e che i bisogni di ogni livello devono essere soddisfatti, quantomeno parzialmente, affinché i bisogni di livello superiore possano manifestarsi.

L’ordine gerarchico di questi bisogni stabilisce anche l’ordine di priorità nella loro soddisfazione: l’implicazione pratica di questa concezione è che un dato elemento può servire a motivare un individuo soltanto se riesce a soddisfare il livello ancora insoddisfatto nella gerarchia dei bisogni individuali (Figura 4).

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I bisogni sono illustrati di seguito:

1. Bisogni fisiologici: sono connessi agli aspetti più antichi, alla sopravvivenza immediata (respirare, bere, mangiare, riposare); sono ciclici, legati ad aspetti genetici; la mancata soddisfazione di tali bisogni inibisce la percezione di bisogni differenti,

2. Bisogni di sicurezza: fisica ed emotiva, relativi alla sopravvivenza a lungo termine (libertà da pericoli, minacce e privazioni provocati da danni fisici, difficoltà economiche);

3. Bisogni di affiliazione, di amore, di appartenenza: sono bisogni connessi alla necessità di scambio affettivo con gli altri; si realizzano mediante relazioni affettive, accettazione da parte dei pari, riconoscimento come membro del gruppo, stare insieme; l’ambito lavorativo è uno dei contesti in cui è possibile e necessario stabilire legami affettivi; inoltre, se si creano le premesse, si sviluppa senso di appartenenza al gruppo, all’organizzazione e si rafforza l’identità personale;

4. Bisogni di stima e autostima: riconoscimento da parte degli altri e rispetto di sé sono connessi all’acquisizione e al mantenimento della reputazione, della collocazione sociale e dell’immagine di sé; 5. Bisogni di autorealizzazione: la cui soddisfazione si manifesta

nell’accettazione di sé, nella spontaneità e nella capacità di creare relazioni umane profonde.

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Un aspetto importante sottolineato da Maslow è che il soddisfacimento di un bisogno, rende una persona poco sensibile ad ulteriori stimoli di quel tipo e la porta, anzi, a cercare di soddisfare bisogni di livello più alto. Ciò indica la necessità di modulare la definizione degli obiettivi e degli incentivi all’interno dell’organizzazione, in base al livello di soddisfacimento dei bisogni della persona considerata in quella data fase.

La gerarchia dei bisogni è, infatti, un metodo sistematico che vuole individuare quali siano i bisogni dei dipendenti in determinati momenti della loro carriera e può aiutare a decifrare perché, pur con lo stesso trattamento, i lavoratori si comportano in modo diverso.

Ad esempio, un dipendente impegnato a ricercare la stima dei colleghi e del responsabile sarà gratificato quando quest’ultimo gli comunica che sta facendo un bel lavoro. Diversamente, per un’altra persona che necessità di bisogni di tipo sociale una gratificazione da parte del responsabile, in particolare di fronte ai colleghi, potrebbe risultare sconveniente e quindi negativa per il soggetto.

A questo punto viene spontaneo porsi una domanda: come può un’organizzazione soddisfare tutti i diversi bisogni dei suoi dipendenti?

Nel lungo termine i bisogni psicologici possono venire soddisfatti dall’entità dello stipendio, ma è importante notare come la paga percepita possa anche soddisfare anche altri bisogni, come quelli di sicurezza e autostima. Una politica retributiva ricca di benefit - assicurazione, piano per la pensione, misure relative alla sicurezza - provvede a costruire nel dipendente una percezione di sicurezza.

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Per quanto riguarda i bisogni sociali, l’organizzazione deve adoperarsi per fornire ambienti, strutture e mezzi che possano incoraggiare le relazioni e la comunicazione. Sono apprezzati gli eventi di team building anche al di fuori del contesto lavorativo. È inoltre importante il riconoscimento, verbale o sotto forma di benefit, del lavoro svolto.

Lavorare sull’autorealizzazione significa prendersi carico della crescita e dello sviluppo del dipendente. Dare la possibilità di misurarsi con nuovi compiti, opportunità di crescita professionale, mantenendo il lavoro interessante e sfidante.

Agire in modo efficiente su tutti i livelli della piramide di Maslow permette all’organizzazione di migliorare la motivazione.

La teoria, però, applicandola in contesti organizzativi aziendali, presenta delle incongruenze, quali:

 Presenza di elementi di contrasto fra il processo evolutivo del

lavoratore e quello del contesto aziendale in cui è inserito: il progresso

psicologico dell’uomo è diretto a raggiungere condizioni organizzative di autonomia e indipendenza, in cui si possa esercitare il controllo della propria sfera di influenza. Bisogna quindi tenere conto che esiste un conflitto di base tra l’accrescimento psicologico, i bisogni dell’uomo e le esigenze dell’organizzazione.

 Troppa importanza al meccanismo dell’autodeterminazione

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fattori interni. Infatti un manager che vuole utilizzare il modello della gerarchia dei bisogni, dovrebbe quindi essere un abile psicologo, o comunque raccogliere informazioni su tutte le aree dell’esistenza in cui la gente ricerca il soddisfacimento dei bisogni ai vari livelli, e ciò è impossibile.

 Rigidità dello schema che spiega il comportamento dell’individuo: Maslow non prende in considerazione la possibilità che, inizialmente, l’individuo si trovi in una posizione differente da quella in cui ha la necessità di soddisfare i bisogni esistenziali. Secondo lui lo sviluppo professionale del soggetto avviene secondo un iter a senso unico ascendente e per di più graduale.

Basti pensare ad un lavoratore che, pur di conquistare un avanzamento di carriera, lavora come un forsennato, isolandosi e non avendo nessun tipo di relazione sociale, pur in presenza di esplicita disapprovazione da parte dei colleghi. Quindi, considerato ciò, si deduce che lo schema di analisi della motivazione di un individuo deve sì focalizzarsi sulla necessaria soddisfazione delle varie categorie di bisogni identificate da Maslow, ma non può avere a priori una struttura gerarchica, né evidenziare una dinamica prevedibile.

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19 1.3.2 . LA TEORIA DI ALDERFER (E.R.C)

Sulle critiche riguardanti la teoria Maslowiana, Alderfer elabora la teoria E.R.C. (esistenza, relazione, crescita). Invece di avere i cinque bisogni organizzati in modo gerarchico, Alderfer propone i bisogni di base raggruppati in tre categorie: esistenza, relazione, crescita. In inglese rispettivamente existence, relatedness, growth (Figura 5).

Figura 5: Teoria E.R.C. di Alderfer

L’esistenza coincide con i primi due punti della piramide di Maslow. . Si riferisce alla soddisfazione dei bisogni primari, alla sopravvivenza sia dal punto di vista fisico che psicologico.

La relazione riguarda la necessità delle persone di relazionarsi con gli altri, di essere amate e stimate (terzo e quarto punto della piramide di Maslow).

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La crescita sta ad indicare il fatto che le persone per realizzarsi in maniera compiuta hanno bisogno di crescere e svilupparsi nell’ambito individuale e nella sfera professionale.

L’innovazione principale risiede nell’idea di continuum tra i diversi livelli, in contrapposizione alla gerarchia maslowiana.

La teoria E.R.C. riconosce che l’ordine di importanza delle tre categorie può variare da persona a persona.

Lo schema teorico comprende un concetto molto importante, utile soprattutto nella comprensione di una situazione lavorativa come quella attuale, caratterizzata da elevata flessibilità, instabilità ed indeterminatezza: il fatto cioè che da uno stato ci si può spostare verso qualsiasi altro non necessariamente nel verso indicato da Maslow ed in modo continuo.

1.3.3. LA TEORIA DEI BISOGNI DI MCCLELLAND

McClelland considera tre ordini di bisogni (Figura 6) che sono parzialmente confrontabili con i bisogni di ordine superiore proposti da Maslow e da cui prende le distanze perché afferma che i bisogni non sono statici nel tempo e possono variare a seconda della storia personale degli individui.

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Figura 6: La teoria dei bisogni di McClelland

In particolare i contenuti delle motivazioni che spingono le persone all’azione sono:

 Successo (achievement need): “è il bisogno di affermarsi confrontandosi con parametri di eccellenza, di successo personale e di realizzazione di performance straordinarie. Il rapporto con l’altro è strumentale a ciò e le componenti affettive della relazione rappresentano un ostacolo”8. In

termini organizzativi si esprime come bisogno di dimostrare competenza ed eccellenza professionale, che spinge l’individuo a porsi obiettivi impegnativi e a lavorare con maggior impegno quando si aspetta di ottenere dei riconoscimenti personali per lo sforzo. Il prevalere di questo bisogno può anche indurre nell’individuo un atteggiamento di indifferenza affettiva;

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 Potere (power need): “è il bisogno di influenzare l’altro, di indirizzarne il comportamento in funzione di una propria esigenza. Esprime la necessità di conferma della propria possibilità di dominio sociale”9. In termini

organizzativi si esprime come bisogno di controllare il lavoro proprio e altrui, esercitando l’autorità sulle persone in modo visibile. Una prevalenza di questo bisogno può indurre anche un atteggiamento di controdipendenza, che si esprime con comportamenti di aggressione, manipolazione e autoritarismo;

 Affiliazione (affiliation need): “è il bisogno di stabilire, mantenere o ripristinare un rapporto affettivo con un’altra persona; di verificare la positività emotiva di una situazione di rapporto. L’altro è valutato soprattutto quale potenziale occasione di gratificazione o frustrazione affettiva”10. In termini organizzativi induce comportamenti volti alla

creazione di relazioni sociali per evitare l’isolamento, e orienta le persone ad instaurare legami di amicizia e confidenziali anche sul lavoro. Il prevalere di questo bisogno può anche generare nell’individuo un atteggiamento di dipendenza, che si esprime in comportamenti seduttivi volti a far accettare la propria esigenza affettiva e la propria richiesta di rassicurazione.

Sebbene ogni persona possieda, in una qualche misura, tutti questi bisogni, solo uno è prevalente, in un determinato momento, e agisce sulla scelta del comportamento.

9 Costa G., Gianecchini M., Risorse Umane – persone, relazioni e valore, Mc Graw-Hill. 10 Costa G., Gianecchini M., Risorse Umane – persone, relazioni e valore, Mc Graw-Hill.

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L’elemento innovativo è l’aver capito che il bisogno di autorealizzarsi, ossia il bisogno di successo, sta in mezzo agli altri due tipi di bisogni, quello di affiliazione e quello di potere.

La motivazione al successo si declina tra una tendenza individuale strumentale ai fini della riuscita, l’imporsi sugli altri, e una tendenza sociale che legittima il successo solo nella misura in cui si realizza all’interno di valori condivisi dalla collettività.

Sul piano applicativo McClelland descrive le principali caratteristiche che un soggetto solitamente esplicita nel lavoro, suggerendo indirettamente come allineare, se possibile, le necessità dell’individuo ai requisiti della mansione. Ad esempio, una persona con un alto bisogno di affiliazione può non gradire del tutto una grande dose di autonomia, poiché ciò potrebbe portarlo ad un relativo isolamento e all’impossibilità di interagire e di condividere obiettivi ed emozioni con i suoi colleghi. Probabilmente i ruoli che dovrebbero svolgere all’interno dell’organizzazione sarebbero quelli in cui possono esprimere la loro capacità di stabilire relazioni positive con gli altri soggetti e di integrarsi. O ancora quei ruoli in cui è richiesta una certa capacità di coordinarsi con altri soggetti e in cui si ha l’opportunità di sentirsi in un team.

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1.3.4. LA TEORIA DEI FATTORI IGIENICI-MOTIVANTI DI

HERZBERG

Herzberg, psicologo americano, ha influenzato ampiamente con la sua teoria il campo del management aziendale. La sua teoria, conosciuta come teoria dei fattori duali, ha avuto una larga diffusione ed è stata spesso utilizzata per studiare e comprendere le dinamiche motivazionali all’interno dei contesti aziendali. Herzberg si ricollega indirettamente a Maslow nel tentativo di individuare i legami esistenti tra lavoro e motivazione al lavoro, sottolineando, in particolare, l’importanza che l’individuo attribuisce allo sviluppo delle proprie potenzialità. Qui di seguito una tabella che fornisce un confronto tra il modello della gerarchia dei bisogni di Maslow e il modello di Herzberg (Figura 7).

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Figura 7: Differenze tra scala gerarchica di Maslow e Herzberg.

Per Herzberg l’organizzazione, orientata allo sviluppo delle persone, si pone come obiettivo anche il miglioramento di quegli elementi che più contribuiscono alla motivazione individuale.

La ricerca iniziata da Herzberg nel 1957 aveva per oggetto l’analisi dei fattori che sono all’origine dei sentimenti di soddisfazione o di insoddisfazione del lavoro. L’ipotesi da cui è partito è che gli atteggiamenti delle persone riguardo al loro lavoro svolto sono determinati da una serie di fattori: alcuni tendono a

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produrre soddisfazione, mentre altri, sostanzialmente diversi dai precedenti, tendono a produrre, se presenti, uno stato di insoddisfazione.

Al fine di verificare questa ipotesi, insieme ad un gruppo di collaboratori, Herzberg ha condotto una ricerca durata circa 12 anni, consistente in interviste semi-strutturate rivolte ad un campione di tecnici ed impiegati amministrativi dell’area Pittsburgh.

Alle persone intervistate si chiedeva di raccontare gli avvenimenti della loro vita professionale che avevano provocato sia soddisfazione che insoddisfazione. I dati raccolti ed elaborati hanno evidenziato una serie di fattori correlati agli atteggiamenti dei lavoratori, quali:

 Fattori connessi, con frequenza significativa, ad atteggiamenti positivi: successo, riconoscimento, contenuto del lavoro, responsabilità e opportunità di carriera.

 Fattori connessi, con frequenza significativa, ad atteggiamenti negativi: politiche e procedure dell’organizzazione, meccanismi di controllo, relazioni interpersonali con i colleghi, rapporto personale con il proprio capo, condizioni fisiche di lavoro e status, retribuzione.

I primi fattori (opportunità di carriera, responsabilità, riconoscimento, crescita professionale, contenuto del lavoro, soddisfazione, ecc.) sono chiamati motivanti perché contribuiscono più direttamente alla motivazione lavorativa e soddisfano bisogni di livello superiore.

I secondi (retribuzione, condizioni di lavoro, relazioni interpersonali, ecc.) sono chiamati igienici; essi “non sono direttamente motivanti, ma se restano

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insoddisfatti inducono malcontento e demotivazione. Rientrano in questo gruppo la supervisione tecnica da parte dei superiori, le politiche e l’amministrazione dell’azienda, le condizioni di lavoro (orario, riposo settimanale, stipendio), le relazioni, lo status, la sicurezza del lavoro e gli effetti sulla propria vita personale”11.

Quando le persone si pongono obiettivi di motivazione, attivano processi di effettiva crescita psicologica volta alla ricerca di realizzazione, riconoscimento personale e miglioramento nella gestione di responsabilità. In questo caso una persona quindi non cercherà nel lavoro soltanto il benessere economico, la sicurezza, il conforto dell’ambiente fisico o la gradevolezza dei propri compagni o colleghi, bensì una soddisfazione intrinseca al lavoro.

Diversamente, quando gli individui sono orientati a conseguire obiettivi di igiene, sono sensibili unicamente agli incentivi esterni ed aggregati del lavoro: infatti, cercheranno di concretizzare buoni livelli retributivi, buone condizioni fisiche di lavoro e coerenti relazioni interpersonali.

Figura 8: Fattori motivanti e fattori igienici

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È evidente che permane il problema di individuare correttamente, da un lato, i bisogni specifici delle persone e, dall’altro, di attuare le condizioni organizzative che favoriscono il soddisfacimento di tali bisogni.

Condizioni organizzative ideali per questo obiettivo, secondo Herzberg, sono:  Continuo aggiornamento e allargamento delle conoscenze legate ai

contenuti di lavoro di ciascuno;

 Accettazione degli aspetti creativi e innovativi dei diversi comportamenti legati al raggiungimento degli obiettivi;

 Allargamento dell’area di responsabilità individuale e aumento di consapevolezza dei contenuti discrezionali di tale responsabilità;

 Aumento della capacità di prendere, di assumere rischi, di programmare attività coerentemente con quanto richiesto dalla mansione;

 Creazione di un clima atto a conseguire una reale crescita psicologica al di là dei legami che ciascuno ha con i gruppi di lavoro e con l’organizzazione nel suo complesso.

1.3.5. LA TEORIA X ED Y DI MCGREGOR

McGregor, nel suo testo “The human side of enterprise”, mette in evidenza il ruolo del capitale umano per il successo delle organizzazioni e, in particolare si sofferma sulla responsabilità del management nella motivazione dei collaboratori.

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Anche McGregor prende le mosse dalla teoria di Maslow e riconosce a ciascun individuo il diritto di soddisfare i propri bisogni.

McGregor ipotizza l’organizzazione come sistema esterno che deve adeguarsi all’individuo ed individua due stili direzionali in funzione di due differenti modi di intendere l’atteggiamento dell’uomo di fronte al lavoro:

 Teoria X (negativa)  Teoria Y (positiva)

“Nel primo caso il dirigente, ritenendo che l’uomo non ami lavorare, sia pigro e portato a fare il meno possibile, esercita una leadership caratterizzata dall’autorità, dalla supervisione diretta, dal ricorso a punizioni, perché solo in questo modo possono essere raggiunti gli obiettivi organizzativi”12. La teoria X

parte dall’idea che la maggior parte delle persone ritengano il lavoro in sé per sé implicitamente sgradevole, preferiscano essere guidate, non siano interessate ad assumersi responsabilità e la motivazione si verifica solo ai livelli fisiologici e di sicurezza. Inoltre, secondo tale teoria, le persone sono spinte e motivate dal denaro e dalla minaccia di punizioni.

La teoria Y, invece, ipotizza che la gente non sia di natura pigra e postula al contrario che le persone possano essere sostanzialmente autodisciplinate e creative nel lavoro, se opportunamente motivate. Secondo questa teoria, infatti, le persone amano lavorare, in quanto la soddisfazione sul lavoro è un valore importante, sono in grado di autogestirsi e auto dirigersi, sono responsabili e attivi ed amano esprimere la loro capacità creativa nella risoluzione dei problemi.

12 Scalon N., 2013, Sistemi di incentivazione e lean manufacturing. Il caso Eletrolux Professional, Tesi di laurea.

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Un compito fondamentale del management dovrebbe quindi essere quello di far emergere questo potenziale negli individui. In questo caso il dirigente ricorre alla delega, esercita una supervisione generale e ricorre ad incentivi positivi, elogi e riconoscimenti per orientare gli obiettivi dei lavoratori.

In questa teoria, Y, la definizione degli obiettivi è una delle componenti più strategiche ed allo stesso tempo più delicate dell’attività manageriale.

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McGregor non presuppone che uno stile sia migliore rispetto all’altro, ma postula l’adeguatezza in funzione del tipo di attività e del tipo di collaboratori.

Secondo l’autore, il problema è quello di saper utilizzare la disponibilità naturale che esiste in tutti al servizio delle finalità dell’azienda.

1.4. IL PROCESSO MOTIVAZIONALE – DEFINIZIONE E TEORIE DI PROCESSO

La motivazione può essere definita come quella spinta che determina un’attivazione diretta al raggiungimento di un obiettivo. È quindi un processo che porta i soggetti a comportarsi in un certo modo e rappresenta la spinta (o stato interiore) che orienta l’organismo verso un’azione finalizzata al raggiungimento di uno scopo o di un obiettivo.

Gli obiettivi che si intendono raggiungere sono le mete che animano e guidano i nostri comportamenti. Secondo questa definizione, la motivazione guida il comportamento affinché possa essere raggiunto uno specifico obiettivo (goal) attraverso l’impiego di tutte le energie, sia fisiche sia psichiche, disponibili. “Le motivazioni possono essere classificate come

 Primarie: motivazioni direttamente connesse ai bisogni fisiologici fondamentali;

 Secondarie: motivazioni prodotte da processi di apprendimento e dalla influenza culturale. Queste motivazioni fanno riferimento ai bisogni appresi (autostima, prestigio, potere, ricchezza) dal contesto sociale e da

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quelli che vengono definiti gli organizzatori sociali (famiglia, scuola, lavoro)”13.

Secondo la teoria più classica, la motivazione, vista come risultante di uno stato di bisogno, è il risultato di uno stato di tensione che guida l’individuo al fine di tentare di ridurre o eliminare il bisogno stesso (Figura 1).

Figura 10: Processo Motivazionale

La motivazione può quindi essere identificata come un fattore psicologico che predispone l’individuo a compiere certe azioni o a tendere verso certi fini.

Nell’azienda i fini che l’uomo persegue, e che quindi lo motivano ad agire, possono identificarsi con i fini aziendali o entrare in contrasto con essi: se si identificano anche solo in una certa misura, la situazione è considerata ideale,

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mentre, se non vi si identificano, la situazione è critica ed occorre intraprendere delle misure correttive. La motivazione necessaria per raggiungere gli obiettivi non nasce da una situazione di benessere, ma da un contesto che favorisce stimoli e incentivi: il posto di lavoro non dovrebbe essere costruito per garantire la comodità dei lavoratori, ma per favorire un lavoro intenso, stimolante e allo stesso tempo sufficientemente confortevole. È in tale contesto che la struttura organizzativa dell’azienda diventa strumento per l’identificazione e la soddisfazione dei bisogni che quindi fanno da sottofondo alle motivazione dei dipendenti e del loro comportamento operativo.

Gli autori che sono stati esposti sopra, collegati al contenuto della motivazione, hanno posto l’accento sul tipo di motivazioni che stanno alla base dei comportamenti, tuttavia ve ne sono altri che hanno focalizzato le loro ricerche sul meccanismo attraverso cui le istanze motivazionali influiscono sulle azioni. Le teorie di processo pongono l’accento su quali fattori influiscono sulle scelte dell’individuo guidandolo verso un determinato comportamento.

Quelle più importanti sono quelli di Vroom e Adams.

1.4.1. LA TEORIA ASPETTATIVA – VALORE: VROOM

Per Vroom “il processo motivazionale è originato da una motivazione (insieme di energie che sono mobilitate per la messa in atto di un’azienda) che, attraverso una sequenza comportamentale (cioè il corso di azioni che tende a un certo

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obiettivo), conduce a una ricompensa (ossia l’ammontare di benefici che si ottengono raggiungendo l’obiettivo)”14.

In particolare la forza della motivazione a compiere una certa attività è data dal prodotto di tre fattori

 Valenza: preferenze personali rispetto a una ricompensa. Questo fattore è diverso da individuo a individuo e muta nel tempo a seconda delle esperienze professionali della persona. Può assumere valori positivi, ma anche negativi, e quindi richiede ai manager dell’impresa di monitorare continuamente i cambiamenti nelle preferenze individuali. Misurare la valenza significa rispondere alla domanda: “Quanto desideri questa ricompensa?”;

 Aspettative: legame tra intensità dello sforzo e beneficio ottenuto. Questo fattore ha una valenza positiva per le figure professionali la cui ricompensa è direttamente correlata alle energie mobilitate nello svolgimento dell’attività. Misurare le aspettative significa rispondere alla domanda: “Credi che sforzandoti raggiungerai gli obiettivi?”;

 Strumentalità: convinzione che una volta completata la performance e raggiunto l’obiettivo verrà anche assegnata una ricompensa. Misurare la strumentalità significa rispondere alla domanda: “Che probabilità hai di ottenere le ricompense che desideri?”.

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Le tre variabili sono legate da una relazione funzionale talmente stretta da rendere nullo il livello motivazionale, se si rivela nulla una delle tre variabili:

Motivazione = Aspettativa x Valenza x Strumentalità

La teoria di Vroom sottolinea che gli individui sono attratti da diverse tipologie di ricompense. Il valore associato a queste ricompense è condizionato dai bisogni autorealizzativi e da variabili associate all’autodeterminazione nell’ambiente professionale.

Considerando quanto detto, per aumentare la motivazione degli individui nelle organizzazioni è necessario definire con cura il rapporto tra la professione e il conseguimento dell’obiettivo e tra performance e sistemi premianti.

La sfida dal punto di vista del manager è quella di far leva su tutte e tre le variabili. Ciò comporta che la direzione deve saper studiare un sistema di incentivi che, tenendo conto delle peculiarità individuali, sappia definire mete, che per la loro elevata aspettativa e per il rilevante valore che i singoli vi attribuiscono, sappiano dar vita a una consistente motivazione al lavoro.

Il conseguimento della soddisfazione non dipende, infatti, solo dalla progettazione di adeguate variabili organizzative, ma è soprattutto in funzione della conoscenza della sfera soggettiva dell’individuo la quale filtra e valuta, in maniera determinante, le stesse variabili organizzative. Per Vroom, sarebbe un errore considerare il problema della motivazione lavorativa senza prescindere dalle peculiarità soggettive degli individui.

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1.4.2. LA TEORIA DELL’EQUITÀ DI ADAMS

La teoria di Adams si focalizza sui meccanismi di valutazione comparativa che un lavoratore opera rispetto ad altri soggetti oppure rispetto a credenze cui assegna particolare valore.

La teoria fa riferimento al senso di giustizia come determinante che motiva le persone nelle loro interazioni e che deriva dai confronti sociali compiuti dagli individui.

“La giustizia, è determinata confrontando i propri input e output con quelli della persona presi in riferimento”15.

Figura 11: La teoria dell’equità (input vs risultati)

Ad esempio, “una persona che lavora da sei mesi come office assistant è pagata 10 euro all’ora. È una persona molto diligente in quelle che le viene chiesto di fare, creativa e, soprattutto, una brava collega disposta ad aiutare gli altri; è molto flessibile anche nell’orario lavorativo. Un giorno scopre, però che è stato assunto un altro impiegato con le sue stesse capacità; l’unica cosa che ha in più sono le competenze informatiche. Il nuovo impiegato prenderà 14 euro l’ora. Come si

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sentirà la persona cui verrà preso il posto? Sarà sempre motivata come lo era prima?”16.

Secondo la teoria ideata da Adams, gli individui, nelle loro interazioni, sono motivati da un senso di equità che è il risultato delle comparazioni sociali che fanno gli individui. Più specificatamente, gli individui confrontano i propri input e outcome con quelli di altre persone e percepiranno eque le proprie azioni solo se simili a quelle dei propri referenti. La percezione di ineguaglianza, invece, creerà una tensione interna all’individuo e lo porterà ad agire in modo tale da abbassare il livello di percezione.

Alcune domande sorgono spontanee:

1) Come si valuta quali siano gli input e quali gli output?

2) Come viene scelta la persona o le persone con cui confrontarsi? 3) Quali sono le reazioni alla percezione di non equità?

Rispondendo alla prima domanda “gli input sono i contributi che le persone sentono di dare all’ambiente circostante come, ad esempio, la fedeltà verso l’organizzazione, il livello di educazione, formazione e abilità professionali”17.

Gli output sono le ricompense che la persona percepisce di ottenere dall’ambiente, come lo stipendio e i bonus.

È importante sottolineare che la percezione di equità è la risultante di un processo soggettivo. Persone diverse possono trovarsi nella stessa situazione e percepire un diverso grado di equità.

16 http://2012books.lardbucket.org/books/an-introduction-to-organizational-behavior-v1.1/s09-03-process-based-theories.html

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Riferendoci alla seconda domanda, la scelta del riferimento può essere una persona in particolare oppure un gruppo o una categoria di persone. È chiaro che, in generale, gli individui presi come riferimento, se scelti in ambito professionale, saranno lavoratori con un inquadramento e mansioni simili al proprio.

Per quanto riguarda la terza domanda , la teoria indica diverse potenziali reazioni che le persone mettono in atto alla percezione di iniquità:

 Modificare gli input, che può tradursi nel lavorare di meno e nella diminuzione del proprio impegno;

 Modificare gli output, ovvero agire sugli output come può essere quello della ricompensa;

 Modificare le rappresentazioni degli input e dei risultati, ovvero avviare un processo psicologico che comporta l’autoconvincimento che determinati input non sono importanti;

 Modificare input e risultati del soggetto o categoria di soggetti con cui si confronta. Si attiva un processo di giustificazione del gap percepito, attribuendolo ad una maggiore partecipazione o competenza dei soggetti o categorie di riferimento;

 Cambiare il soggetto di riferimento, cioè identificarne uno diverso per il confronto;

 Abbandonare il campo, cambiare mansione o più probabilmente organizzazione.

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“Gli individui tendono ad avere migliori performance e a sviluppare livelli di commitment verso l’azienda se nel contesto in cui lavorano vengono promosse percezioni di equità tra i dipendenti. Ciò richiede un importante impegno da parte dell’organizzazione la quale deve conoscere profondamente i propri collaboratori ed individuare in ciascuno quali sono le variabili personali e organizzative che influenzano le percezioni di giustizia”18.

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CAPITOLO 2: I SISTEMI DI INCENTIVAZIONE

L’attuale contesto competitivo richiede un allineamento tra gli obiettivi delle imprese e l’operatività dei singoli individui impegnati nelle diverse funzioni aziendali. I risultati aziendali dipendono sia dalle decisioni prese dalla direzione, in termini di strategia di marketing, linee di prodotto e nuovi investimenti, sia dall’operato di ciascuna risorsa dell’azienda, che lavora e agisce in modo intrinsecamente legato ad altre risorse. Diviene quindi fondamentale che il lavoro di ogni operatore sia indirizzato verso il raggiungimento degli obiettivi aziendali e verso la realizzazione delle strategie definite dal management.

2.1. IL SISTEMA INCENTIVANTE COME SOTTOINSIEME DEL SISTEMA DI RETRIBUZIONE VARIABILE

I sistemi di incentivazione costituiscono un sottoinsieme dei sistemi di retribuzione variabile che include tutti gli elementi di retribuzione che vanno al di là della retribuzione di base (minimo contrattuale, scatto di anzianità, contingenza e superminimo) che fornisce sicurezza finanziaria all’individuo. La retribuzione variabile viene generalmente adottata per allineare i comportamenti degli individui con gli obiettivi aziendali.

Diverse opzioni della retribuzione variabile:

 Retribuzione straordinaria: riguarda la retribuzione percepita per lavoro eccedente il normale orario stabilito dal contratto;

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 Bonus e premi una tantum: riguarda i così detti premi che l’azienda decide di conferire ai propri lavoratori a posteriori, in considerazione dei risultati conseguiti e, solitamente, delle disponibilità di budget;

 Premi di risultato: riguarda i premi collettivi, generalmente oggetto di accordo sindacale e correlati con il conseguimento di obiettivi aziendali o di gruppo (produttività, customer satisfaction…);

 Incentivazione di breve termine: riguarda la tipologia di retribuzione variabile legata al ruolo e all’individuo che è correlata ad obiettivi (aziendali, di gruppo, individuali). In questo senso essi motivano i lavoratori e ne indirizzano i comportamenti verso gli obiettivi concordati. Viene definita di breve perché fa riferimento ad un orizzonte temporale uguale o inferiore all’anno solare;

 Incentivazione di lungo termine: riguarda gli strumenti di incentivazione volti a ricompensare risultati e orientati a trattenere le persone nel lungo periodo.

2.2. LA DEFINIZIONE DI SISTEMA DI INCENTIVAZIONE

Il sistema incentivante è quel meccanismo mediante il quale, a determinate scadenze temporali e seguendo criteri di valutazione predeterminati, viene valutato l’operato del responsabile aziendale sulla base del confronto fra i risultati raggiunti e quelli preventivati in taluni indicatori scelti all’inizio del periodo di riferimento.

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A questo sistema sono attribuibili molteplici e importanti funzioni quali

 Funzione informativa: “le forme di ricompensa collegate ai sistemi di incentivazione fanno in modo che i dipendenti siano costantemente informati dell’importanza relativa di aree di risultato a volte fra loro conflittuali, quali, ad esempio, i costi, la qualità, l’assistenza ai clienti, l’innovazione e la crescita futura”19;

 Funzione motivante: raggiunta quando il sistema prevede di concedere incentivi al conseguimento di certi obiettivi prestabiliti, risultati economico-finanziari, obiettivi di risultato individuali e obiettivi di miglioramento delle capacità individuali e non. “L’aspettativa per il dipendente è che, a fronte di certi risultati rispetto a traguardi prestabiliti, vi sarà un ritorno tangibile ragionevolmente certo e spesso prestabilito nell’entità. L’aspettativa aziendale è che l’incentivo spinga le persone a fornire una prestazione specificatamente superiore dal momento che viene anticipata l’aspettativa del risultato”20.

 Funzione competitiva: “deriva dal contributo portato nell’attrarre e mantenere le risorse migliori presenti sul mercato attraverso configurazioni di politiche retributive con mix particolarmente appetibili di componenti variabili legate al merito e ai risultati raggiunti”21.

Detto ciò, una definizione spesso usata del sistema di incentivazione vede quest’ultimo come l’insieme degli interventi retributivi e delle ricompense

19 Marasca S., Marchi L., Riccaboni A., Controllo di gestione – Metodologie e strumenti, Nowita editore

20 “…”

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organizzative e sociali, atti ad attirare, trattenere e motivare personale chiave per il business aziendale, valorizzandone i contributi individuali.

La negoziazione e condivisione degli obiettivi è fondamentale per garantire l’impegno delle persone relativamente agli obiettivi e allo stesso modo per ottenere un allineamento dei comportamenti.

La possibilità di influire sul risultato è importante per creare il commitment della persona sugli obiettivi stabiliti. Un sistema premiante risulta molto incentivante se impostato su obiettivi perfettamente attinenti al lavoro svolto dai singoli. Si pongono, però, fin da subito due questioni critiche che riguardano i sistemi ad elevato potere incentivante:

 Innanzitutto gli obiettivi assegnati ai diversi ruoli possono essere contrastanti, proprio perché associati ad aree funzionali diverse. Un esempio sono gli acquisti: per ridurre il prezzo di acquisto dei componenti si possono effettuare ordini più grandi, senza considerare però che questo ha un impatto sui costi di magazzino;

 Inoltre è difficile correlare, a mano a mano che si scende nella gerarchia, gli obiettivi individuali con i risultati aziendali previsti. In tal caso l’azienda potrebbe trovarsi nelle condizioni di dover elargire i premi pur in corrispondenza di risultati aziendali non soddisfacenti.

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2.3. IL MANAGEMENT BY OBJECTIVES E IMPOSTAZIONE DEL

SISTEMA DI INCENTIVAZIONE

L’impostazione e la realizzazione di un sistema di incentivazione rappresenta, all’interno delle imprese, uno dei momenti più delicati e complessi in quanto coinvolge diverse funzioni aziendali (ufficio relazioni pubbliche, controllo di gestione, responsabili di funzione e direzione) ed influisce sui meccanismi retributivi e di motivazione del personale coinvolto.

Non considerando l’ambito di applicazione relativo alla gestione delle risorse umane, i sistemi incentivanti rientrano in parte in un modello integrato di Performance Management, ed in particolare nelle metodologie di Management by Objectives (gestione per obiettivi) ossia di valutazione del personale basata sui risultati raggiunti a fronte di obiettivi prestabiliti.

Il MBO consente di definire, formalizzare e controllare gli obiettivi e i parametri di risultato per le unità organizzative ed i loro responsabili e di realizzare la valutazione delle prestazioni individuali.

Gli obiettivi devono essere possibilmente chiari e condivisi. Il MBO può essere definito come un processo in cui responsabile e collaboratore devono individuare congiuntamente gli obiettivi comuni, definire le aree di responsabilità di ogni individuo in termini di risultati attesi, e utilizzare queste misure come guide per valutare il contributo di ciascuno dei membri del team.

Gli obiettivi possono essere SMART o NUM. “Si definisce SMART un obiettivo:

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 Misurabile senza equivoci e verificabile in fase di controllo;

 Raggiungibile (Achievable), poiché l’obiettivo non raggiungibile demotiva all’azione. L’obiettivo deve essere difficile, ma raggiungibile e realistico;

 Rilevante da un punto di vista organizzativo, cioè coerente con la mission aziendale;

 Ben definito nel Tempo”22.

I NUM, invece, sono gli obiettivi che non sono univocamente misurabili, anche se hanno in comune con quelli SMART la specificità, la raggiungibilità, la rilevanza e il legame con il tempo. La loro definizione e la loro misurazione può dipendere dallo strumento di valutazione adottato, dall’esperienza e dalle competenze del valutato.

L’implementazione del piano incentivante basato sui principi del MBO non può prescindere dalla presenza di un sistema strutturato di controllo che funga da collettore tra la definizione degli obiettivi, la loro misurazione e la gestione dell’intero modello.

La procedura di costruzione di un modello di incentivazione parte dalla considerazione di quattro aspetti fondamentali:

1. Obiettivi del sistema: quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere attraverso la costruzione di un sistema incentivante;

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2. Requisiti del sistema: quali sono i presupposti perché un sistema incentivante possa raggiungere gli obiettivi prefissati;

3. Pericoli del sistema: quali inconvenienti possono scaturire da un sistema incentivante impostato non correttamente;

4. Tipologie del sistema: quali diverse soluzioni si possono adottare.

2.3.1. GLI OBIETTIVI

L’impostazione di un sistema incentivante nasce solitamente con i seguenti fini:  Agire sulla componente motivazionale: lo strumento dell’incentivo

dovrebbe influire sui comportamenti produttivi delle risorse coinvolte attraverso la spinta al raggiungimento degli obiettivi assegnati;

 Allineare l’organizzazione alle strategie aziendali: l’allineamento tra gli obiettivi aziendali e la componente variabile della retribuzione consente di porre l’organizzazione sulla stessa direzione strategica.

2.3.2. I REQUISITI

I parametri da rispettare nella realizzazione di un sistema incentivante possono essere riassunti in cinque principi

 Sistematicità: il sistema deve coinvolgere tutte le risorse aziendali;

 Selettività: il sistema deve essere in grado di misurare e premiare i differenti contributi apportati dalle singole risorse;

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 Sostenibilità: il sistema deve essere reversibile (nessun premio al mancato raggiungimento degli obiettivi) e l’aumento del costo del personale deve trovare i fondi necessari nelle performance complessive aziendali;

 Strategicità: il sistema deve essere basato su parametri e indicatori che legano le performance dell’azienda ai contributi delle risorse coinvolte;  Significatività: le risorse economiche destinate alla parte variabile devono

essere sufficienti a rendere appetibile la componente incentivante.

2.3.3. LE PROBLEMATICHE

Nella definizione di un sistema incentivante è fondamentale tenere in considerazione alcuni effetti negativi che possono mettere in discussione le fondamenta dei meccanismi di partecipazione: le risorse devono essere ritenute responsabili degli aspetti che possono effettivamente controllare. È necessario prestare attenzione ai rischi di comportamenti individualistici e competitivi che possono nascere da metodologie legate esclusivamente ai comportamenti dei singoli.

2.3.4. LE TIPOLOGIE

I sistemi incentivanti possono essere distinti in funzione della natura del premio e in base ai parametri di funzionamento.

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