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Contropulsazione aortica in corso di procedura coronarica percutanea primaria: tra pratica clinica e linee guida

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Academic year: 2021

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SCUOLA SUPERIORE SANT'ANNA

PISA

MASTER UNIVERSITARIO DI II LIVELLO

"TRATTAMENTO PERCUTANEO DELLA MALATTIA CORONARICA"

TESI DEL MASTER

"Contropulsazione aortica in corso di procedura coronarica percutanea

primaria: tra linee guida e pratica clinica"

Tutor scientifico: Candidato:

Dr. Sergio Berti Dr. Gennaro Alfano

Dr. Gennaro Santoro

Tutor didattico

Dr. Claudio Passino

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Anno accademico

2016/2017

INDICE

Il contropulsatore aortico pag.3

Altri dispositivi pag. 8

Caso clinico pag.9

Revisione sulla letteratura pag.10

Conclusioni pag.13

Bibliografia pag.15

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Il Contropulsatore aortico

La contropulsazione aortica è attualmente la tecnica di assistenza meccanica cardiocircolatoria più utilizzata. Tale dispositivo consta di un palloncino (posizionato in aorta toracica discendente), il quale ritmicamente si gonfia in diastole e si sgonfia in sistole, seguendo quindi il ciclo cardiaco. Gli effetti emodinamici che dovremmo ottenere sono: riduzione del post-carico ventricolare e incremento della perfusione coronarica grazie all’aumento della pressione arteriosa diastolica e alla diminuzione della sistolica. Il cuore viene pertanto sottoposto ad un carico di lavoro inferiore, e questo permette di ottenere una diminuzione del consumo di ossigeno e una riduzione della tensione di parete del ventricolo sinistro. Di conseguenza il pre-carico, che corrisponde alla pressione tele-diastolica del ventricolo sinistro, diminuisce. Tutti questi effetti favorevoli portano all'incremento della gittata cardiaca e della portata cardiaca, controbilanciando i meccanismi dell’insufficienza cardiaca acuta indipendentemente dalla loro patogenesi. Mentre gli effetti sul flusso coronarico, come quelli sulla perfusione renale e cerebrale, sono meno chiari. Teoricamente l'incremento pressorio diastolico dovrebbe aumentare il flusso coronarico, che avviene prevalentemente durante la diastole, ma gli studi sperimentali, sia sull’uomo che su animali, hanno dato risultati contrastanti. Nonostante ciò è bene sottolineare che nei soggetti sani, normotesi, con circolo coronarico indenne, lo IABP sembra non avere alcun effetto sul flusso coronarico; mentre nei pazienti gravemente ipotesi, con alterazioni dell'autoregolazione coronarica, lo IABP sembra essere in grado di aumentare il flusso coronarico; infine nei pazienti coronaropatici con stenosi coronarica severa (>90%), l’incremento di pressione diastolica determinato dallo IABP non si trasmette a valle della

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stenosi, di conseguenza il flusso coronarico post-stenotico rimarrebbe immodificato. Il dispositivo comprende un palloncino (gonfiato a elio) in polietilene, il cui volume viene scelto in modo appropriato in relazione alla grandezza dell’aorta del paziente, e che viene montato su un catetere1

vascolare semirigido. Il catetere viene introdotto per via percutanea o chirurgica attraverso l’arteria femorale comune e posizionato in aorta discendente, 1-2cm sotto l’insorgenza dell’arteria succlavia e sopra l’emergenza delle arterie renali. Tutta la struttura viene infine collegata ad una consolle che è in grado di monitorizzare ECG e curva di pressione arteriosa, sincronizzando insufflazione e desufflazione del palloncino con il ciclo cardiaco in modo da ottenere il massimo beneficio. Per ottenere una corretta sincronizzazione si può utilizzare sia il tracciato elettrocardiografico che quello della pressione arteriosa sistemica (in questo caso l'onda di pressione aortica viene rilevata dallo stesso catetere-IABP dotato di un trasduttore con una soglia prefissata). Il gonfiaggio del pallone deve essere in sincronia con la diastole ventricolare, che corrisponde al punto medio dell'onda T dell'elettrocardiogramma, o all’incisura dicrota dell'onda di pressione aortica (ovvero quando le valvole semilunari aortiche chiuse). Il picco dell'onda R corrisponde all'inizio della sistole ventricolare: il palloncino in questo momento deve essere sgonfio.

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Figura 1. La sincronizzazione si riferisce al posizionamento dei punti di gonfiaggio e sgonfiaggio sulla forma d'onda della pressione arteriosa. Il gonfiaggio si verifica al livello dell’incisura dicrotica, assume un aspetto a forma di "V" e idealmente l’incremento diastolico supera la sistole. Mentre lo sgonfiaggio si verifica subito prima dell’eiezione sistolica, provoca una riduzione della pressione telediastolica assistita e della pressione sistolica assistita.

I contropulsatori oggi in commercio sono in grado di sincronizzarsi correttamente anche in caso di ritmo indotto da pace-maker o in caso di fibrillazione atriale. Se la regolazione tra gonfiaggio e sgonfiaggio è sub-ottimale, ne risultano conseguenze emodinamiche avverse. Un gonfiaggio troppo precoce, così come uno sgonfiaggio troppo tardivo, ostacolano la sistole, con aumento del post carico e del consumo di ossigeno e riduzione dello stroke volume. Al contrario, un gonfiaggio troppo tardivo o uno sgonfiaggio precoce, determinano un minor incremento della pressione diastolica rispetto a quello atteso, con minori benefici sul post-carico e sulla perfusione coronarica. Le indicazioni attuali all’impianto dello IABP sono: IMA con sopraslivellamento del tratto ST

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complicato da shock cardiogeno, sindrome da bassa portata, insufficienza ventricolare sinistra refrattaria, complicanze meccaniche dell’IMA, angina instabile refrattaria e supporto cardiaco durante procedure ad alto rischio (PTCA). Le controindicazioni assolute al suo posizionamento sono: una severa insufficienza aortica (durane la fase di sgonfiaggio, il pallone gonfio può determinare un ulteriore peggioramento del flusso retrogrado attraverso la valvola aortica, provocando una distensione del ventricolo sinistro), la dissecazione aortica e la presenza di un aneurisma dell’aorta addominale, mentre un quadro di severa vasculopatia periferica è una controindicazione relativa in quanto l’avanzamento del catetere lungo l’asse aorto-iliaco può indurre la mobilizzazione di placche con conseguente rischio di fenomeni embolici.

Normalmente l'assistenza tramite IABP ha una durata di 48-72 ore, raramente supera le 96 ore. In alcuni casi selezionati, come nei pazienti in attesa di trapianto o quando il device funge da bridge verso assistenze più avanzate, può durare anche settimane. Si raccomanda una perfusione continua con soluzione fisiologica dell’estremità distale del device e dell’introduttore. Sono necessari controlli infermieristici frequenti (ogni 3-4 ore), con particolare attenzione al sito di introduzione (possibili sanguinamenti) e ai polsi periferici, e controlli medici ogni 4-6 ore, con particolare attenzione alla sincronizzazione e all'insorgenza di eventuali complicanze trombo-emboliche o emorragiche.

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Figura 2. Monitor per il controllo dei parametri del contropulsatore.

Nella pratica clinica i pazienti assistiti con IABP vengono trattati con terapia eparinica a dosaggio anticoagulante, mantenendo l’aPTT tra 50 e 70 secondi, per tutta la durata dell'assistenza circolatoria. Sebbene esista la convinzione che questo trattamento possa in qualche modo prevenire le complicanze trombotiche indotte da catetere, non esistono dati di letteratura che dimostrino la sua effettiva efficacia.

Altri Dispositivi

Nonostante il contropulsatore aortico rappresenti la prima linea di trattamento per i pazienti con

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insufficienza cardiaca acuta, è bene evidenziare la presenza di almeno altri due dispositivi che, sebbene più invasivi, possono rappresentare valide alternative, ovvero ECMO ed Impella. L’ECMO (o ExtraCorporeal Membrane Oxygenation) è una tecnica di circolazione extracorporea utilizzata per lo più nei pazienti con insufficienza respiratoria e/o cardiaca acuta molto grave e non responsivi ai trattamenti convenzionali, che ha il compito di provvedere allo scambio gassoso e al mantenimento della Pressione Arteriosa nell’attesa che la funzione polmonare e/o cardiaca riprendano. Il sangue viene prelevato attraverso una cannula posizionata in un vaso venoso di grosso calibro, grazie alla pressione di aspirazione esercitata da una pompa centrifuga, che convoglia il flusso verso una membrana attraverso cui è trattato: i gas vengono scambiati per diffusione, ed il calore per conduzione; il sangue ossigenato e da cui è stata rimossa anidride carbonica è reinfuso al paziente, attraverso una vena, se il paziente necessita solo di assistenza alla funzione respiratoria, o un’arteria, se il paziente necessita anche di supporto alla funzione cardiaca. L’Impella è, invece, un dispositivo di assistenza circolatoria che viene posizionato per via percutanea e che viene molto utilizzato nelle procedure interventistiche coronariche ad alto rischio per fornire supporto emodinamico. Tale device è in grado di scaricare rapidamente ed efficacemente il ventricolo sinistro e di aumentare la gittata cardiaca, grazie ad un catetere contenente una pompa che spinge il sangue dal ventricolo sinistro nell'aorta ascendente, creando un aumento della gittata cardiaca.

CASO CLINICO

Paziente, donna, F.M. di anni 60 giunta presso il nostro PS per dolore toracico oppressivo irradiato agli arti superiori ed alla regione interscapolare da circa 30 minuti sintomatologia associata a sudorazione.

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Fattori di rischio: dislipidemia, abitudine tabagica familiarità per CAD.

Esame obiettivo: murmure vescicolare assente alla base con fini crepitii, azione cardiaca ritmica, soffio sistolico alla punta.

Elettrocardiogramma: sopraslivellamento del tratto ST in sede anterolaterale ed in aVR (fig.3) Ecocardiogramma fast: EF 30%, acinesia apice in toto e parete anteriore (fig. 4)

Pressione arteriosa 75/55 mmHG.

Emogasanalisi arteriosa: EGA: pH 7.39, pCO2 31, pO2 36, K+2.9, Lac 4.8 SO2 68%, HCO3 20.

Si somministrava: Brilique 180 mg, ASA 500 mg, Rosuvastatina 40 mg. Arixtra 2,5 mg, Kcl 20 m/Eq diluita in 100 ml di NaCl 0,9% e si assisteva la paziente con ventilazione manuale.

Dopo circa 15 minuti, si accompagna la paziente in sala di emodinamica dove le impressioni diagnostiche evidenziano una occlusione del tronco comune (fig. 5-6), e previo posizionamento del contropulsatore aortico (rapporto 1:1) (fig.7) si procedeva ad angioplastica percutanea primaria disostruttiva dopo somministrazione di eparina 5000 UI ed e disponendo due guide 0.014" nell'interventricolare anteriore e nella circonflessa, successivamente, dopo predilatazione a basse pressioni si impianta DES Xience Alpine 3.0x23 mm tra tronco comune ed IVA prossimale espandendo le maglie verso la circonflessa, ottenendo la ricanalizzazione della coronaria sinistra

con flusso anterogrado TIMI II .

Al termine della procedura la paziente è stata trasferita, in condizioni cliniche gravi, presso l'unità di terapia intensiva coronarica, iniziava ventilazione non invasiva ad elevata FIO2 con basse pressioni, e supporto farmacologico inotropo con Noradrenalina a 0.2 gamma/kg/min. Dopo alcune ore si assisteva ad un lieve miglioramento delle condizioni cliniche della paziente con riduzione del rapporto IABP (1:2 dopo 24 ore e 1:3 dopo 48 ore) fino a rimozione dopo 72 ore.

Dopo circa 10 giorni di degenza. la paziente è stata dimessa con miglioramento delle condizioni cliniche ed una funzione sistolica globale del 40%, residuando una insufficienza valvolare mitralica di grado moderato.

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Figura 3

Figura 4 Figura 5

Figura 6 Figura 7

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Revisione della letteratura sul contropulsatore aortico.

Sin dal 1960, il contropulsatore aortico è ormai ampiamente utilizzato per il supporto del paziente con shock cardiogeno. Già tra gli anni ’80 e ’90, grazie al Worcester Heart Attack Study, si intuì che la mortalità per schock cardiogeno era stata dimezzata grazie anche all’associazione tra rivascolarizzazione e utilizzo del contropulsatore aortico19. Fino a poco tempo fa, solo i dati riportati sullo SHOCK Registry sottolineavano la ridotta mortalità nei pazienti con infarto miocardico acuto complicato da shock cardiogeno trattati con trombolisi e contropulsatore20, a differenza di chi riceva o solo la contropulsazione o solo la trombolisi o nulla21. Inoltre un’analisi retrospettiva dei dati ottenuti dallo studio GUSTO aveva identificato 310 pazienti con shock cardiogeno, di cui 68 trattati con il contropulsatore aortico. In questo gruppo di pazienti la mortalità ad 1 anno risultava nettamente inferiore rispetto a chi non veniva trattato con IABP, anche se molto probabilmente tale beneficio era in parte anche dovuto all’intensità delle cure e alla rivascolarizzazione miocardica22. In realtà il più grande studio randomizzato sull’utilizzo del contropulsatore aortico, l’IABP-SHOCK TRIAL II23, non ha dimostrato una riduzione netta della mortalità nei pazienti con infarto del miocardico, dopo rivascolarizzazione precoce, complicato da shock cardiogeno23. In questo studio, pubblicato nell’ottobre del 2012, erano stati selezionati 600 pazienti. Di questi 301 avevano ricevuto il supporto con IABP (il cosiddetto gruppo IABP), mentre i restanti 299 erano stati inseriti nel gruppo di controllo. Tutti i pazienti erano stati sottoposti a rivascolarizzazione precoce (per mezzo di un intervento chirurgico o di un intervento di bypass coronarico percutaneo) e avevano ricevuto la migliore terapia medica. L'end point primario di efficacia era la mortalità a 30 giorni per qualsiasi causa. Un totale di 300 pazienti nel gruppo IABP e 298 nel gruppo di controllo furono valutati per quanto riguardava l’end point primario. A 30 giorni, 119 pazienti nel gruppo IABP (39,7%) e 123 pazienti nel gruppo di controllo (41,3%) erano morti: quindi l'uso del contropulsatore

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non aveva di fatto ridotto in modo significativo la mortalità a 30 giorni. Da altri studi clinici era infatti già emerso che il contropulsatore, pur avendo dei benefici emodinamici, come la riduzione del precarico e l’aumento della perfusione coronarica, non determinava una netta riduzione della mortalità. Inoltre, il gruppo IABP e il gruppo di controllo non differivano neanche riguardo gli end points secondari (tra cui livelli sierici di acido lattico e proteina C reattiva, clearance della creatinina, severità di malattia valutata tramite lo score SAPS), gli end points di sicurezza (tra cui sanguinamenti maggiori, complicanze ischemiche periferiche, sepsi e ictus) e i parametri di valutazione emodinamica.. Utile ricordare uno studio (ISAR-SCHOCK) che ha valutato il dispositivo di supporto circolatorio percutaneo Impella CP non riscontrando alcun beneficio rispetto alla contropulsazione aortica nell'IMA complicato da shock cardiogeno.

Nell’Ottobre del 2012, Thiele et al., pubbicano sul New England Journal of Medicine i risultati dello IABP-SHOCK II trial ; si tratta di uno studio prospettico, multicentrico, open-label che ha randomizzato 600 pazienti con infarto miocardico acuto complicato da shock cardiogeno all’impianto di contropulsatore aortico (gruppo IABP, n=301) o al trattamento senza contropulsatore aortico (gruppo di controllo, n=299). Non sono state rilevate differenze significative nei gruppi di studio rispetto alla mortalità a 30 giorni [endpoint primario: 39.7% nel gruppo IABP contro il 41.3% nel gruppo in terapia medica ottimale, Rischio Relativo (RR), 0.96, Intervallo di Concomitanza del 95% (CI), 0.79-1.17, P = 0.69] né il tempo intercorso fino alla stabilizzazione emodinamica, né il tempo di permanenza nell’unità di terapia intensiva, i livelli di lattati sierici, la dose e la durata delle terapie inotrope, la funzionalità renale e gli eventi avversi. Questo lavoro presenta criticità metodologiche che rendono discutibili i risultati, tuttavia anche più recenti metanalisi e studi di registro sono inconcludenti nel dimostrare il ruolo dello IABP in corso di infarto complicato da shock cardiogeno; inoltre i risultati a lungo termine di tale trial pubblicati sulla rivista Circulation nel 2018 non ha mostrato significative differenze tra i pazienti sottoposti a contropulsazioen aortica ed il gruppo di controllo. Infine in alcune metanalisi gli studi valutati dimostrano che la contropulsazione aortica può ridurre il tasso di mortalità a 30 giorni e a 6 mesi nei

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pazienti con infarto miocardico ma senza shock cardiogeno con rischio di sanguinamento maggiore di 30 giorni rispetto ai paziente non sottoposti a tale procedura.

CONCLUSIONI

La contropulsazione aortica rappresenta ancora l’unico supporto emodinamico facilmente posizionabile per via percutanea, in grado di sostenere il circolo in pazienti con grave compromissione della funzione ventricolare sinistra o con malattia coronarica severa. Il suo impiego profilattico genera le condizioni per procedere alla coronarografia e alla rivascolarizzazione in quei pazienti con sindrome coronarica acuta che non ottengono alcuna stabilizzazione in terapia medica e che svilupperebbero gravi complicanze emodinamiche in caso di procedure non assistite. In tutti i pazienti viene sottolineata la necessità di valutare caso per caso il rischio di complicanze vascolari o di sanguinamenti maggiori e di conseguenza il beneficio clinico netto della procedura.

Si può pertanto pensare che l’impiego ottimale dell’IABP nel "real world" dei giorni nostri imponga

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una selezione rigorosa degli stessi, alla ricerca di coloro per i quali il beneficio clinico netto sia a favore della procedura invasiva nonostante il rischio di complicanze vascolari e di sanguinamenti maggiori.

I soggetti con sindrome coronarica acuta e shock cardiogeno, di età <75 anni, sembrerebbero i candidati di prima scelta, soprattutto se avviati all’angiografia coronarica e ad una potenziale rivascolarizzazione urgente.

E' necessario ricordare però che la recente pubblicazione dei risultati dello studio randomizzato IABP-SHOCK II non ha fornito elementi a favore della contropulsazione aortica in tutti i pazienti con infarto acuto complicato da shock cardiogeno candidati alla rivascolarizzazione coronarica in tempi brevi; infatti l’endpoint primario di morte a 30 giorni non ha evidenziato differenze statisticamente significative tra i pazienti sottoposti ad assistenza del circolo e i pazienti del gruppo di controllo. Come conseguenza di questi studi, le Linee Guida ESC del 2017 hanno declassato il contropulsatore aortico in III Classe con livello di evidenza A per il trattamento “routinario” dello shock cardiogeno in corso di infarto miocardico. Possiamo dunque concludere che la

contropulsazione aortica non migliora i risultati nei pazienti con STEMI e shock cardiogeno senza complicazioni meccaniche, né limita significativamente l'estensione dell'area infartuata., pertanto di routine non può essere raccomandata, ma può essere presa in considerazione per il supporto emodinamico in pazienti selezionati (cioè grave insufficienza mitralica o difetto del setto ventricolare).

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Figura

Figura 1. La sincronizzazione si riferisce al posizionamento dei punti di gonfiaggio e sgonfiaggio sulla   forma   d'onda   della   pressione   arteriosa
Figura 2. Monitor per il controllo dei parametri del contropulsatore.
Figura 4                                                          Figura 5

Riferimenti

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