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Applicazione delle fuel cell per l'alimentazione dei veicoli ferroviari

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Academic year: 2021

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POLITECNICO DI MILANO

Scuola di Ingegneria Industriale e dell’Informazione

Ingegneria Elettrica

APPLICAZIONE DELLE FUEL CELL

PER L’ALIMENTAZIONE DI VEICOLI

FERROVIARI

Relatore: Prof. Morris Brenna

Tesi di laurea di:

Joshua Peli

Matr. 850971

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Ringraziamenti

Innanzitutto, vorrei ringraziare la mia famiglia, che mi ha sempre supportato nelle mie scelte, per avermi incoraggiato a seguire le mie passioni e per aver supportato anche economicamente i miei studi.

Ringrazio il Professor Morris Brenna, per essersi reso disponibile ad avermi come tesista, dedicandomi del tempo per aiutarmi ad affrontare questo lavoro, nonché ad aiutarmi per la partecipazione ad un concorso internazionale.

Inoltre, ringrazio i Professori Matteo Zago e Saverio Latorrata per avermi aiutato a ottenere materiale e informazioni riguardanti le fuel cell e le batterie a flusso.

Vorrei infine porgere ringraziamenti ai dipendenti di FERROVIE NORD® e, in particolare, al

Geometra Federico Gallucci e all'Ingegnere Claudio Chillemi per la loro disponibilità a fornirmi materiale tecnico relativo alla linea Brescia – Iseo – Edolo.

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Abstract

Con questo elaborato si vuole fare uno studio sull’applicazione di fuel cell in ambito ferroviario. In particolare, verranno analizzate due applicazioni:

1. La messa in servizio di treni a idrogeno sulla linea Brescia – Iseo – Edolo; 2. Last-Mile per treni merci di 2200 t, nuovo “target” delle ferrovie in Lombardia e regioni confinanti.

Inoltre, si vuole anche fare attenzione alle nuove tecnologie di accumulo, quali la flow battery. Questa tesi si propone dunque di trovare soluzioni eco-friendly per linee con traffico medio – basso e negli scali merci, dove l’elettrificazione risulterebbe molto onerosa o impossibile per motivi pratici.

La sfida più importante è riuscire a mantenere (se non migliorare) le prestazioni dei mezzi rispetto alla trazione diesel anche in presenza di forti pendenze e/o masse consistenti da trainare, azzerando allo stesso tempo le emissioni nocive: un fattore di assoluta importanza ai giorni nostri.

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Indice dei contenuti

APPLICAZIONE DELLE FUEL CELL PER L’ALIMENTAZIONE DI VEICOLI FERROVIARI ... I

RINGRAZIAMENTI ... I ABSTRACT ... III

INDICE DEI CONTENUTI ... V

INDICE DELLE FIGURE ... VIII

INDICE DELLE TABELLE ... XI

CAPITOLO 1 SISTEMA DI TRAZIONE ... 13

1.1FUEL CELL ... 13

1.1.1 Reazione base ... 13

1.1.2 Tipi di Fuel Cell ... 14

1.1.3 Vantaggi/Svantaggi ... 14 1.1.4 Applicazioni ... 18 1.1.5 Design ... 19 1.1.6 Silenziosità ... 19 1.1.7 Efficienza ... 20 1.1.8 Tipi di Modelli ... 24 1.1.9 Modello Matematico ... 24 1.1.10 Modello Fisico ... 26

1.1.11 Durata delle Fuel Cell ... 26

1.1.12 Distribuzione e Stoccaggio dell’idrogeno ... 27

1.2ACCUMULATORI ... 27

1.2.1 Densità di energia e di potenza ... 29

(8)

1.4FLOW BATTERIES ... 31

1.4.1 Funzionamento ... 31

1.4.2 Tipi di Batterie a Flusso ... 32

1.4.3 Vantaggi/Svantaggi ... 33

1.4.4 Regolazione dei Flussi ... 34

1.5SCELTA DELLA BATTERIA ... 34

1.6MASSA EQUIVALENTE ... 35

1.7PROFILO DI VELOCITÀ ... 36

1.8RESISTENZE AL MOTO ... 38

1.8.1 Resistenza all’avanzamento... 39

1.8.2 Resistenza dovuta all’inclinazione ... 40

1.8.3 Resistenza di curva ... 41

1.9MOTORI ELETTRICI ... 41

1.9.1 Regolazione del motore ... 41

1.9.2 Potenza Elettrica ... 42

1.10SCHEMA ELETTRICO ... 44

1.11I CALCOLI DA ESEGUIRE ... 45

1.11.1 Calcolo dell’accelerazione, della velocità e della distanza percorsa... 46

1.11.2 Calcolo della potenza e dell’energia. ... 48

CAPITOLO 2 SIMULAZIONE SULLA LINEA BRESCIA-ISEO-EDOLO ... 49

2.1SIMULAZIONE ... 49

2.2DETTAGLI DEL TRENO ... 50

2.3GRAFICI DELLO SFORZO DI TRAZIONE, VELOCITÀ E POTENZA ... 51

2.3.1 Sforzo di trazione da Brescia a Edolo ... 52

2.3.2 Velocità da Brescia a Edolo ... 55

2.3.3 Potenza elettrica istantanea vs. media da Brescia a Edolo ... 57

2.3.4 Trazione da Edolo a Brescia ... 59

2.3.5 Velocità da Edolo a Brescia ... 61

2.3.6 Potenza elettrica istantanea vs. media da Edolo a Brescia ... 63

2.4DIMENSIONAMENTO DELLE FUEL CELL E ACCUMULATORI ... 65

2.4.1 Dimensionamento delle Fuel Cell ... 65

2.4.2 Dimensionamento delle batterie ... 70

(9)

2.4.4 Conclusioni ... 76 2.4.5 Concept Design ... 76 CAPITOLO 3 LAST-MILE ... 78 3.1COME FUNZIONA ... 78 3.2IL TRACCIATO ... 78 3.3IL TRENO ... 79 3.4SIMULAZIONE ... 80

3.5GRAFICI DEI RISULTATI ... 82

3.6DIMENSIONAMENTO DEGLI ELEMENTI DI TRAZIONE ... 83

3.6.1 Dimensionamento Fuel Cell ... 83

3.6.2 Dimensionamento degli accumulatori ... 85

3.7CONFRONTO FINALE CON I SISTEMI TRADIZIONALI ... 87

CAPITOLO 4 GESTIONE DELLA POTENZA DELLE FUEL CELL E CONSIDERAZIONI PER IL FUTURO ... 89

4.1GESTIONE DELLA POTENZA DELLE FUEL CELL ... 89

4.2NUOVE TECNOLOGIE ... 94

CAPITOLO 5 CONCLUSIONI ... 97

APPENDICE A MODELLO DELLE FUEL CELL ... 98

A.1MODELLO MATEMATICO DELLE FUEL CELL ... 98

A.2MODELLO FISICO DELLE FUEL CELL ... 101

A.2.1 Modello Fisico ... 101

A.2.2 Ipotesi ... 102

A.2.3 Modello del catodo ... 102

A.2.4 Modello dell’anodo ... 104

A.2.5 Titolo di terzo livello ... 105

A.2.6 Scarico della Fuel Cell ... 106

A.2.7 Idratazione della Membrana ... 106

A.2.8 Temperatura ... 107

A.2.9 Aria Compressa ... 108

A.2.10 Motore Elettrico ... 109

(10)

Figura 1.1 Numero di conversioni. 16 Figura 1.2 Andamento dei costi fino al 2016 e previsioni per il 2020 [2]. 17

Figura 1.3 Caratteristiche di vari modelli di fuel cell [5]. 19

Figura 1.4 Curva V-I caratteristica di una fuel cell 23

Figura 1.5 Andamenti delle correnti nelle componenti di regime e transitorio [6]. 25 Figura 1.6 Fuel cell e sistemi associati per il corretto controllo [7]. 26 Figura 1.7 Rappresentazione schematica di una batteria tradizionale [13]. 28 Figura 1.8 Densità di energia per vari tipi di carburanti e sostanze in MJ/kg [14]. 28 Figura 1.9 Rappresentazione schematica di una Flow Battery [18]. 31

Figura 1.10 Batteria a Flusso Vanadio – Vanadio [19]. 32

Figura 1.11 Concetto di massa equivalente. 35

Figura 1.12 Profilo di velocità generica di un treno. 37

Figura 1.13 Rappresentazione delle forze che agiscono su un piano inclinato. 40 Figura 1.14 Caratteristica esterna del motore controllato per la trazione. 42

Figura 1.15 Schema Elettrico concettuale. 44

Figura 1.16 Dati riassuntivi del treno "di prova", con "m" la massa, "me" la massa

equivalente. 45

Figura 1.17 Parte della tabella in cui si mostrano i primi calcoli, con “t” il tempo trascorso, “T” trazione, “r” il raggio di curvatura, “i” l’inclinazione, “Rr” la resistenza al moto, “a” l’accelerazione, “v” la velocità (sia m/s che km/h), “s” lo spazio percorso, “Pel” la potenza elettrica, “E” l’energia e infine

l’orario. 45

Figura 1.18 Calcolo della velocità con aree rettangolari. L'area verde rappresenta v(n-1);

l'area arancio è il contributo nuovo di a(n) · Δt. 47

Figura 1.19 Calcolo dello spazio con aree trapezoidali. L'area verde rappresenta s(n-1);

l'area arancio è il contributo nuovo tra n-1 e n. 48

Figura 2.1 ATR 115 a Rovato-Borgo (Wikipedia Commons) 49

Figura 2.2 Variazione di quota lungo la linea: Brescia è posta ad un'altitudine nulla. 50

Figura 2.3 Sforzo di trazione tra Brescia e Iseo 52

Figura 2.4 Sforzo di trazione tra Iseo e Marone 52

(11)

Figura 2.6 Sforzo di trazione tra Darfo e Breno 53

Figura 2.7 Sforzo di trazione tra Breno e Cedegolo 54

Figura 2.8 Sforzo di trazione tra Cedegolo ed Edolo 54

Figura 2.9 Velocità tra Brescia e Iseo in km/h 55

Figura 2.10 Velocità tra Iseo e Marone in km/h 55

Figura 2.11 Velocità tra Marone e Darfo in km/h 55

Figura 2.12 Velocità tra Darfo e Breno in km/h 56

Figura 2.13 Velocità tra Breno e Cedegolo in km/h 56

Figura 2.14 Velocità tra Cedegolo ed Edolo in km/h 56

Figura 2.15 Potenza elettrica tra Brescia e Iseo in kW. Blu: istantanea; arancio: media

tragitto (161 kW). 57

Figura 2.16 Potenza elettrica tra Iseo e Marone in kW. Blu: istantanea; arancio: media

tragitto (161 kW). 57

Figura 2.17 Potenza elettrica tra Marone e Darfo in kW. Blu: istantanea; arancio: media

tragitto (161 kW). 57

Figura 2.18 Potenza elettrica tra Darfo e Breno in kW. Blu: istantanea; arancio: media

tragitto (161 kW). 58

Figura 2.19 Potenza elettrica tra Breno e Cedegolo in kW. Blu: istantanea; arancio:

media tragitto (161 kW). 58

Figura 2.20 Potenza elettrica tra Cedegolo ed Edolo in kW. Blu: istantanea; arancio:

media tragitto (161 kW). 58

Figura 2.21 Sforzo di trazione tra Edolo e Brescia. 59

Figura 2.22 Sforzo di trazione tra Cedegolo e Breno. 59

Figura 2.23 Sforzo di trazione tra Breno e Darfo. 59

Figura 2.24 Sforzo di trazione tra Darfo e Marone. 60

Figura 2.25 Sforzo di trazione tra Marone e Iseo. 60

Figura 2.26 Sforzo di trazione tra Iseo e Brescia. 60

Figura 2.27 Velocità tra Edolo e Cedegolo in km/h. 61

Figura 2.28 Velocità tra Cedegolo e Breno in km/h. 61

Figura 2.29 Velocità tra Breno e Darfo in km/h. 61

Figura 2.30 Velocità tra Darfo e Marone in km/h. 62

Figura 2.31 Velocità tra Marone e Iseo in km/h. 62

Figura 2.32 Velocità tra Iseo e Brescia in km/h. 62

Figura 2.33 Potenza elettrica tra Edolo e Cedegolo in kW. Blu: istantanea; arancio:

media tragitto (81 kW). 63

Figura 2.34 Potenza elettrica tra Cedegolo e Breno in kW. Blu: istantanea; arancio:

(12)

tragitto (81 kW). 64 Figura 2.37 Potenza elettrica tra Marone e Iseo in kW. Blu: istantanea; arancio: media

tragitto (81 kW). 64

Figura 2.38 Potenza elettrica tra Iseo e Brescia in kW. Blu: istantanea; arancio: media

tragitto (81 kW). 64

Figura 2.39 Andamento e previsione dei costi della distribuzione dell'idrogeno [29]. 66 Figura 2.40 Energia accumulata nelle batterie in direzione Edolo con picchi di massimo

e minimo. 71

Figura 2.41 Energia accumulata nelle batterie in direzione Brescia con picchi di massimo

e minimo. 71

Figura 2.42 Densità di energia e potenza indicativi di vari accumulatori [35]. 73 Figura 2.43 Un possibile tipo di stack, con superficie attiva pari a 0.4 x 0.4 m2 [21]. 75

Figura 2.44 Treno I-Lint® con evidenziate le componenti indispensabili per la trazione

[39]. 76

Figura 2.45 a) Schema semplicistico del GTW 2/6; b) possibile soluzione se si adottassero le batterie al Litio; c) possibile soluzione se si adottassero le

Flow Batteries. 77

Figura 3.1 Schema della linea. Per un chilometro vi è una salita del 5‰; successivamente

2 km di "deposito". 79

Figura 3.2 Bombardier TRAXX 3 80

Figura 3.3 Trazione in modalità Last-Mile. 82

Figura 3.4 Velocità della motrice in modalità Last-Mile. 82

Figura 3.5 Potenza elettrica istantanea (blu) e media (arancio). 83 Figura 3.6 Schema di una motrice con rappresentazione del passo e dell'interperno. 84 Figura 3.7 Variazione di energia nelle batterie in modalità Last-Mile. 85 Figura 4.1 Diagramma di flusso per la regolazione delle Fuel Cell. 92 Figura 4.2 Esempio di comportamento dell’algoritmo in tre casi. 94 Figura 4.3 Efficienza del veicolo a partire da fonti di energia rinnovabili [46]. 94 Figura 5.1 Andamenti delle correnti nelle componenti di regime e transitorio [6]. 99

Figura 5.2 Schema logico del comportamento complessivo [6]. 100

Figura 5.3 Fuel Cell e sistemi associati per il corretto controllo [7]. 102

(13)

Indice delle tabelle

Tabella 1 Modalità di guida 37

Tabella 2 Descrizione del regime di marcia attraverso le condizioni di Forza e Velocità 37

Tabella 3: Dati GTW 2/6 50

Tabella 4: Dati stimati per la simulazione 51

Tabella 5: Dati Bombardier TRAXX 3 DC in modalità last-mile 81

Tabella 6: Coefficenti di regime per la fuel cell Ballard Mark V PEM [6]. 101 Tabella 7: Coefficenti di transitorio per la fuel cell Ballard Mark V PEM [6]. 101

(14)
(15)

CAPITOLO 1

SISTEMA DI TRAZIONE

Prima di effettuare i vari studi di fattibilità, è opportuno fare dei cenni teorici sul funzionamento dei componenti principali per la trazione: fuel cell, vari tipi di accumulatori (che verranno confrontati), alcune caratteristiche dei motori elettrici di trazione e i calcoli necessari alle simulazioni.

1.1 Fuel Cell

1.1.1 Reazione base

La fuel cell è un dispositivo elettrochimico che converte direttamente energia chimica in elettrica.

È composto di tre parti fondamentali: l’anodo, il catodo e una membrana polimerica, solitamente di tipo PEM.

Nell’anodo viene immesso l’idrogeno, che viene ossidato dal catodo e, quindi, vengono prodotti ioni di idrogeno ed elettroni [1].

𝐻2 → 2𝐻++ 2𝑒− Eq. (1.1)

Gli ioni passano attraverso la membrana per raggiungere il catodo; l’elettrone, invece, è forzato a migrare attraverso un altro percorso, il circuito elettrico.

È questa separazione nei percorsi che permette la produzione di energia elettrica direttamente dalla reazione di ossido-riduzione.

(16)

Nel catodo, gli elettroni e gli ioni di idrogeno si riuniscono e reagiscono con l’ossigeno per formare acqua [1].

1 2

⁄ 𝑂2+ 2𝐻++ 2𝑒−→ 𝐻2𝑂 Eq. (1.2)

La reazione complessiva, dunque, risulta essere la formazione di acqua, energia elettrica e calore partendo dall’idrogeno e dall’ossigeno. Quindi, si ha [1]:

𝐻2+ 1 2⁄ 𝑂2→ 𝐻2𝑂 + 𝑊𝑒𝑙𝑒+ 𝑄ℎ𝑒𝑎𝑡 Eq. (1.3)

La prima fuel cell viene inventata agli inizi del 1800 da Sir William Grove: permette di creare energia elettrica combinando idrogeno e ossigeno. Fino ad allora, si era riusciti solo a ottenere la reazione opposta, cioè la separazione tra l’idrogeno e l’ossigeno utilizzando energia elettrica [1].

1.1.2 Tipi di Fuel Cell

Ci sono vari tipi di fuel cell. Quello più promettente nel settore dei trasporti è il PEMFC, grazie alla sua elevata densità di potenza, all’alta efficienza, al rapido avvio, alle basse temperature di funzionamento e alla semplice e facile gestione.

1.1.3 Vantaggi/Svantaggi

È interessante vedere i vantaggi delle fuel cell rispetto ai motori a scoppio e alle batterie in vari ambiti: il settore dei trasporti, le applicazioni stazionarie e i dispositivi portatili. Nel settore dei trasporti, le fuel cell garantiscono ottima flessibilità; nelle applicazioni stazionarie, invece, presentano elevata efficienza e capacità; infine, per i dispositivi portatili, le fuel cell hanno peso e volumi ridotti.

Uno degli aspetti che oggigiorno spinge più verso lo sviluppo delle fuel cell è l’assenza di emissioni inquinanti, dato che la reazione produce solo vapore acqueo.

A differenza delle batterie, però, hanno anche il vantaggio che gli elettroliti non si consumano col tempo. Quindi, in teoria, una fuel cell può funzionare finché vengono forniti gli elettroliti da dei serbatoi esterni (mentre le batterie devono essere sostituite o ricaricate).

Infine, nelle batterie si riscontrano anche altri problemi, tra cui il deterioramento (che avviene molto lentamente nella batteria anche quando non sta lavorando) e quelli relativi alle varie applicazioni (accumulo di energia, profondità di scarica, numero di cicli…). Tutto ciò non succede nelle fuel cell.

Purtroppo, nonostante i progressi degli ultimi anni, le fuel cell sono ancora molto costose e risulta evidente che ridurne i costi è di fondamentale importanza [1].

(17)

Emissioni Ridotte

Si dice che le fuel cell non producano emissioni inquinanti. Questo è vero, ma bisogna anche considerare la produzione del carburante (l’idrogeno).

I ricercatori stanno cercando di rendere sempre più economica ed efficiente la produzione di idrogeno con una semplice elettrolisi dell’acqua attraverso fonti rinnovabili, in modo da sostituire definitivamente la produzione da reforming.

Infatti, considerando anche questo processo, le fuel cell possono risultare energeticamente meno efficienti del motore a scoppio [1].

Efficienza Elevata

L’efficienza delle fuel cell non è limitata dalla legge di Carnot, dato che la reazione chimica che avviene al suo interno è di tipo isotermica.

L’efficienza massima è pari a:

ƞ =𝛥𝐺

𝛥𝐻 Eq. (1.4)

dove ΔG è la variazione dell’energia libera di Gibbs, mentre ΔH è la variazione dell’entalpia di formazione.

Nei veicoli leggeri ad idrogeno l’efficienza è quasi il doppio di quella di un motore a scoppio. La migliore efficienza del sistema a idrogeno rispetto al motore a scoppio diventa ancora più evidente quando si vuole ottenere energia elettrica come ultimo passaggio, per il semplice fatto che ci sono meno conversioni energetiche.

Quindi un generatore elettrico ad idrogeno sarebbe molto più efficiente di un gruppo elettrogeno.

Nelle applicazioni ove si vuole ottenere lavoro meccanico, il numero di conversioni può risultare invariato [1]. Si veda, a riguardo, la Figura 1.1.

Per esempio, per le automobili il numero di conversioni energetiche coincide con quella in figura; per i treni diesel-elettrici invece, siccome dal motore a scoppio si alimenta un generatore elettrico per muovere i motori, vanno aggiunte due conversioni energetiche (da meccanico a elettrico e da elettrico a meccanico). Di conseguenza, per il trasporto ferroviario risulta che le fuel cell hanno comunque un numero di conversioni minore rispetto alla trazione diesel-elettrica.

In ogni caso, bisogna anche considerare che la trasmissione meccanica risulta meno efficiente di quella elettrica.

(18)

Modularità

Le fuel cell hanno un’eccellente modularità: le prestazioni unitarie non variano sensibilmente con le dimensioni e, quindi, i sistemi di dimensione ridotte hanno rendimenti confrontabili con quelli più estesi [1].

Figura 1.1 Numero di conversioni.

Risposta al carico

La risposta al carico è molto rapida grazie alla natura della reazione chimica. Se però c’è anche uno stadio di reforming, questa rapidità cala sensibilmente a causa della lentezza del processo: un motivo ulteriore per passare ad un altro tipo di produzione dell’idrogeno [1].

(19)

Costi Elevati

Le fuel cell sono costose per tre motivi: la necessità di usare platino come catalizzatore, i processi di produzione particolari per la membrana e il rivestimento per le piastre bipolari. Inoltre, la produzione dell’idrogeno è ancora molto costosa, così come lo sono tutti i dispositivi complementari necessari al corretto funzionamento (pompe, controllori elettronici e compressori): questi ultimi costituiscono circa la metà del costo complessivo [1].

Figura 1.2 Andamento dei costi fino al 2016 e previsioni per il 2020 [2].

Come si può vedere dalla Figura 1.2, c’è un lavoro di ricerca volto alla riduzione dei costi, affinché si possano commercializzare intensivamente le fuel cell.

Durata Ridotta

Soprattutto per sistemi di produzione di energia elettrica stazionari, le fuel cell non hanno ancora abbastanza affidabilità, dato che si ritiene che siano necessarie 60.000 h di operatività affinché siano ritenute affidabili per questo settore, mentre ora siamo a circa ad un quinto [1]. Per quanto riguarda i veicoli, il DoE punta a portare la durata della membrana fino a 5.000 h entro il 2020, il doppio rispetto al 2015 [3]. Il valore è ancora abbastanza basso, ma comincia ad essere interessante, soprattutto se la fuel cell è studiata in modo da poter sostituire solo la membrana e non tutto lo stack.

Il problema della durata ridotta delle fuel cell ha limitato notevolmente lo sviluppo di questa tecnologia nel settore automobilistico in passato. Oggigiorno si sta superando anche tale barriera.

(20)

Controllo dell’acqua

È importante controllare l’equilibrio dell’acqua in modo da mantenere ben idratata la membrana in tutte le condizioni di funzionamento. Questo è alquanto complicato [1]. All’Appendice A.2 si analizza un modello fisico atto a risolvere il problema.

Standard Normativi

Fino a poco tempo fa, c’era una lacuna nelle normative internazionali per porre degli standard sui sistemi a idrogeno [1].

Solo ultimamente si sta iniziando a colmare questo vuoto normativo: un esempio è la standardizzazione anche in Italia dei serbatoi a 700 Bar [4].

1.1.4 Applicazioni

Tra le numerose applicazioni che si possono fare con l’idrogeno, quella che più interessa il nostro studio è il settore dei trasporti.

L’industria del trasporto sta investendo in tecnologie che possano ridurre emissioni nocive e allo stesso tempo migliorare la conversione di energia.

Le celle a idrogeno non emettono sostanze nocive e hanno un’efficienza che può variare dal 40% al 70%, come si può vedere in Figura 1.3.

In Giappone si sta sviluppando un piano per raggiungere due milioni di automobili fuel cell con mille stazioni di ricarica entro il 2025.

Il sistema PEM è quello più usato nel settore dei trasporti, che non riguarda solo la propulsione ma anche, per esempio, l’alimentazione di servizi ausiliari o componenti di aerei e navi. Questo è dovuto al fatto che hanno un’elevata efficienza energetica a temperatura ambiente [5]. Sui mezzi le celle a idrogeno sono accompagnate da batterie e/o da super condensatori per rispondere alle variazioni di carico, nonché per assorbire la carica durante la frenata a recupero.

Per i veicoli leggeri, come automobili, la possibilità di produrre direttamente a bordo l’idrogeno è motivo di grande interesse da parte del mondo scientifico e ingegneristico. Al giorno d’oggi, comunque, usare l’idrogeno risulta ancora molto difficile sui mezzi leggeri, a causa dell’ingombro e dei pesi. Dunque, per i mezzi più pesanti (quali camion, pullman, treni...) l’utilizzo dell’idrogeno pare molto più realistico [1].

(21)

Figura 1.3 Caratteristiche di vari modelli di fuel cell [5].

1.1.5 Design

Il potenziale che genera una sola fuel cell è solitamente compresa tra i 0.5 e i 0.8 V. Questo valore è troppo basso per la maggior parte delle applicazioni e, di conseguenza, più celle devono essere messe in serie: in questo modo si ottiene lo stack.

Oltre alle fuel cell, vengono aggiunti dei sistemi (BoP, Balance of Plant) in grado di controllare la fornitura di ossidante e carburante, le temperature, il flusso di acqua… [1]

Questi dispositivi verranno illustrati meglio al Paragrafo 1.1.10.

1.1.6 Silenziosità

Le fuel cell sono per loro natura statiche. Ciò significa che non vi sono forti vibrazioni e di conseguenza tali dispositivi sono molto silenziosi. Inoltre, anche tutto il restante impianto BoP è ragionevolmente poco rumoroso.

Infine la staticità della fuel cell rende il montaggio, l’ispezione e la manutenzione estremamente più semplici rispetto ai motori a scoppio [1].

(22)

1.1.7 Efficienza

Abbiamo già parlato dell’efficienza delle fuel cell e in particolare del massimo rendimento teorico, che è pari al rapporto tra l’energia libera di Gibbs e l’entalpia.

L’entalpia di una reazione chimica rappresenta la quantità di energia sotto forma di calore che viene prodotta. Nella pratica è la differenza tra l’entalpia di formazione dei prodotti e dei reagenti. Essendo le entalpie di formazione dell’idrogeno e dell’ossigeno nulle per definizione, si ottiene:

𝛥𝐻𝑓 = (ℎ𝑓)𝐻2𝑂− (ℎ𝑓)𝐻

2− (ℎ𝑓)𝑂2 = (ℎ𝑓)𝐻2𝑂 Eq. (1.5)

La variazione di energia libera di Gibbs, invece, è pari a

𝛥𝐺 = 𝛥𝐻𝑓− 𝑇 ∙ 𝛥𝑆𝑓 Eq. (1.6)

e rappresenta l’energia massima che può essere convertita in lavoro.

ΔSf è la variazione di entropia e si calcola in maniera analoga all’entalpia. In poche parole,

parte dell’energia di formazione dell’acqua viene usata per compiere una reazione irreversibile. Ciò che avanza è un’energia “reversibile” ed è per questo che il rendimento teorico è anche chiamato rendimento “reversibile”.

Si voglia notare che T · ΔSf cresce più rapidamente di ΔHf con l’innalzarsi della temperatura e

quindi la massima efficienza teorica tenderebbe a diminuire; in realtà, con l’aumento della temperatura, le perdite ohmiche si riducono molto più rapidamente di quanto aumenti l’entropia. Di conseguenza, il rendimento elettrico aumenta con l’aumentare della temperatura.

Se “n” è il numero di elettroni scambiati durante la reazione, F è la costante di Faraday (F=96845 C/mol) ed E è il potenziale elettrico, l’energia elettrica può essere espressa come

𝑊𝑒𝑙𝑒= 𝑛𝐹𝐸 Eq. (1.7)

Allora si può scrivere: 𝐸𝑟𝑒𝑣 = −

𝛥𝐺𝑓

𝑛𝐹

⁄ = −(𝛥𝐻𝑓− 𝑇 ∙ 𝛥𝑆𝑓)⁄𝑛𝐹 Eq. (1.8)

Noto il potenziale effettivo della cella, il rendimento allora può essere scritto come

ƞ = 𝐸 𝐸⁄ 𝑟𝑒𝑣 Eq. (1.9)

In realtà, bisognerebbe considerare anche le pressioni nel calcolo dell’energia libera di Gibbs. Pertanto si ottiene: 𝛥𝐺𝑓 = 𝛥𝐺𝑓𝑜− 𝑅𝑇 ∙ 𝑙𝑛 ( 𝑃𝐻2∙ 𝑃𝑂0.52 𝑃𝐻2𝑂 ) Eq. (1.10) e cioè 𝐸𝑟𝑒𝑣 = 𝐸𝑟𝑒𝑣𝑜 + 𝑅𝑇 𝑛𝐹∙ 𝑙𝑛 ( 𝑃𝐻2∙ 𝑃𝑂2 0.5 𝑃𝐻2𝑂 ) Eq. (1.11)

(23)

Dunque, Erev sarebbe il potenziale che si potrebbe ottenere se tutta l’energia libera di Gibbs

venisse convertita. Purtroppo, non si riesce a ottenere tale valore a causa di una serie di perdite che viene elencata qui di seguito [1].

Perdite per polarizzazione/attivazione

È necessario un certo quantitativo di energia per far sì che la reazione possa attivarsi. Queste perdite sono la causa maggiore di perdite quando la corrente è ridotta. Ovviamente, questo tipo di perdite è presente sia al catodo che all’anodo.

𝐸𝑎,𝑎= 𝐴𝑎ln 𝑖 𝑖0,𝑎 Eq. (1.12) 𝐸𝑎,𝑐 = 𝐴𝑐ln 𝑖 𝑖0,𝑐 Eq. (1.13) dove i è la densità di corrente, i0 è la densità di corrente di scambio, mentre A vale

𝐴 = 𝑅𝑇

𝑛𝛼𝐹 Eq. (1.14)

dove α è una costante che dipende dal materiale dell’elettrodo, la microstruttura e il meccanismo della reazione.

La densità di corrente di scambio i0 è la velocità con la quale i processi di ossidazione e

riduzione avvengono in contemporanea nella situazione di equilibrio. Essa vale: 𝑖0= 𝑖0 𝑟𝑒𝑓 𝜀𝑐𝑃𝑟 𝛾 exp⁡(−𝐸𝑐 𝑅𝑇(1 − 𝑇𝑟)) Eq. (1.15)

dove i0ref è la corrente di scambio alle condizioni di riferimento (arbitrarie).

Maggiore è la i0, minori saranno le perdite di attivazione.

Molto interessante è che, all’aumentare della temperatura, la corrente di scambio aumenta e, in particolare, le perdite per attivazione si riducono in maniera da aumentare la tensione ai capi della cella, nonostante il potenziale teorico si abbassi [1].

Perdite di CrossOver

La membrana dovrebbe permettere il passaggio esclusivo degli ioni di idrogeno. Alcuni elettroni, però, riescono comunque ad attraversare la membrana e quindi non passano attraverso il circuito elettrico [1].

𝐸𝑎,𝑎= 𝐴𝑎ln ( 𝑖𝑙𝑜𝑠𝑠+ 𝑖 𝑖0,𝑎 ) Eq. (1.16) 𝐸𝑎,𝑐 = 𝐴𝑐ln ( 𝑖𝑙𝑜𝑠𝑠+ 𝑖 𝑖0,𝑐 ) Eq. (1.17)

(24)

Perdite Ohmiche

Gli elettroni e gli ioni incontrano una resistenza per muoversi e quindi generano perdite ohmiche. Questo tipo di perdite è dominante per un buon range di correnti a metà della curva di polarizzazione.

𝐸0= 𝑖 ∙ (𝑅𝑒𝑙𝑒+ 𝑅𝑖𝑜𝑛+ 𝑅𝐶𝑅) Eq. (1.18)

dove Rele e Rio indicano rispettivamente le resistenze di spostamento degli elettroni e degli ioni

e Rcr rappresenta la resistenza di contatto [1].

Perdite di concentrazione

Quando la densità di corrente raggiunge valori molto elevati, le reazioni risultano indebolite per mancanza dei reagenti, in quanto la velocità di reazione diventa tale da superare la velocità con la quale i reagenti sono forniti. Le perdite di concentrazione, dunque, rappresentano la potenza persa dovuta a questo fenomeno.

Migliorando la gestione dell’acqua, rimuovendo le impurità, ottimizzando il rapporto stechiometrico e le caratteristiche della membrana è possibile minimizzare queste perdite. Senza addentrarsi troppo nei dettagli, si può dimostrare che le perdite per concentrazione all’anodo e al catodo valgono

𝐸𝑐,𝑎= − 𝑅𝑇 2𝐹⁡𝑙𝑛 (1 − 𝑖 𝑖𝑚𝑎𝑥,𝑎 ) Eq. (1.19) 𝐸𝑐,𝑐= − 𝑅𝑇 2𝐹⁡𝑙𝑛 (1 − 𝑖 𝑖𝑚𝑎𝑥,𝑐 ) Eq. (1.20)

dove imax è la massima densità di corrente [1].

Tensione effettiva

La differenza di potenziale che si viene ad instaurare ai capi della fuel cell è allora pari a: 𝐸 = 𝐸𝑟𝑒𝑣− 𝐸𝑎,𝑎− 𝐸𝑎,𝑐− 𝐸0− 𝐸𝑐,𝑎− 𝐸𝑐,𝑐 Eq. (1.21)

e, in maniera esplicita, si può scrivere: 𝐸 = [𝐸𝑟𝑒𝑣0 + 𝑅𝑇 𝑛𝐹𝑙𝑛 ( 𝑃𝐻2𝑃𝑂2 0.5 𝑃𝐻2𝑂 )] − [𝐴𝑎𝑙𝑛 ( 𝑖𝑙𝑜𝑠𝑠+ 𝑖 𝑖0,𝑎 )] − [𝐴𝑐𝑙𝑛 ( 𝑖𝑙𝑜𝑠𝑠+ 𝑖 𝑖0,𝑐 )] − [𝑖(𝑅𝑒𝑙𝑒+ 𝑅𝑖𝑜𝑛+ 𝑅𝐶𝑅)] − [−𝐵𝑎𝑙𝑛 (1 − 𝑖 𝑖𝑚𝑎𝑥,𝑎 )] − [−𝐵𝑐𝑙𝑛 (1 − 𝑖 𝑖𝑚𝑎𝑥,𝑐 )] Eq. (1.22)

Ora è più evidente come le perdite di attivazione si verifichino per correnti basse; per correnti di intensità “media” si entra in una zona piuttosto lineare, detta zona ohmica, per finire con

(25)

un andamento logaritmico per correnti più elevate dovute alle perdite di concentrazione. Man mano che ci si avvicina alla corrente massima, si scende rapidamente ad una tensione nulla [1].

Figura 1.4 Curva V-I caratteristica di una fuel cell

Riassunto

Come si può vedere, il comportamento di una fuel cell è decisamente non lineare. È necessario allora sviluppare dei modelli matematici che permettano di prevedere il comportamento del nostro sistema e posizionare il punto di lavoro nella posizione ottimale in base alle esigenze.

Questo è importantissimo per lo studio che andremo a sviluppare, dato che un mezzo di trasporto ha una caratteristica di lavoro che è continuamente variabile e, quindi, è indispensabile adottare dei sistemi di controllo.

(26)

1.1.8 Tipi di Modelli

Negli anni sono stati studiati vari metodi per modellizzare le fuel cell: sono stati adottati modelli elettrochimici, empirici, elettrici e matematici [6].

In questo lavoro vengono accennati due modelli, uno matematico e uno fisico, che mostrano come sia possibile simulare il comportamento di una fuel cell durante la sua operatività. Nell’Appendice A vi sono approfondimenti tratti dalle stesse fonti, con relative ipotesi e formule, in modo da poter essere usati come punto di partenza per chi volesse studiare specificatamente come l’impianto di celle a combustibile si comporterebbe durante l’esercizio ed ottenere un modello finale, in considerazione anche di quello che verrà accennato nel Capitolo 4. Questo permetterà di gestire ottimamente le risorse a disposizione.

1.1.9 Modello Matematico

Prove effettuate sulle fuel cell hanno mostrato che queste non rispondono istantaneamente alle variazioni di carico, ma hanno un andamento esponenziale del tipo RC. Questo è dovuto al fatto che l’interfaccia elettrodo/elettrolita si comporta come un serbatoio di carica.

Quindi, è evidente che bisogna fare due modelli: uno per la componente di regime e uno per quella dinamica.

In particolare, la componente di regime è costituita dal potenziale reversibile e dalle perdite ohmiche; quella transitoria, invece, dalle perdite di attivazione e concentrazione.

𝑉𝑐𝑒𝑙𝑙 = 𝑉𝑠𝑡− 𝑉𝑡𝑟 Eq. (1.23)

𝑉𝑠𝑡= 𝐸𝑁− 𝑉𝑜ℎ𝑚 Eq. (1.24)

(27)

Figura 1.5 Andamenti delle correnti nelle componenti di regime e transitorio [6]. I grafici in Figura 1.5 si ricavano con un modello matematico che permette di esprimere la tensione in funzione della corrente, secondo l’Eq. (1.26):

𝑉𝑐𝑒𝑙𝑙 = [∑ 𝑝𝑘 2 𝑘=0 (𝐼𝑐𝑒𝑙𝑙− 𝐼𝑠𝑡)𝑘− ∑ 𝑞𝑘(𝐼𝑐𝑒𝑙𝑙− 𝐼𝑡𝑟)𝑘 5 𝑘=0 ] Eq. (1.26)

e quindi ottenere la potenza: 𝑃𝑐𝑒𝑙𝑙 = 𝐼𝑐𝑒𝑙𝑙[∑ 𝑝𝑘 2 𝑘=0 (𝐼𝑐𝑒𝑙𝑙− 𝐼𝑠𝑡)𝑘− ∑ 𝑞𝑘(𝐼𝑐𝑒𝑙𝑙− 𝐼𝑡𝑟)𝑘 5 𝑘=0 ] Eq. (1.27)

All’Appendice A.1 verrà spiegato come giungere a questa formula e come mai, per esempio, il numero di indici nelle sommatorie è diverso nella componente statica da quella dinamica. Facendo la derivata rispetto a Icell, è allora possibile trovare quel valore di corrente ottimale

che porta ad avere la massima potenza.

(28)

1.1.10 Modello Fisico

È possibile ricavare un modello più “fisico”, ossia un modello che vada a riprendere le leggi che regolano i fenomeni per ottenere il modello.

Come si può vedere in Figura 1.6 alla fuel cell vanno installati molti dispositivi che ne

regolano il funzionamento: ci sono valvole, sistemi di raffreddamento così come compressori, umidificatori e pompe.

Figura 1.6 Fuel cell e sistemi associati per il corretto controllo [7].

Un buon controllo permette di avere elevata efficienza energetica [6], un’ottimizzazione nella gestione delle risorse (l’aria e l’acqua) [7] e anche un aumento nella durata di vita: si pensi per esempio alla membrana, un elemento molto delicato che necessita una continua idratazione [8].

1.1.11 Durata delle Fuel Cell

Come qualsiasi dispositivo al mondo, le fuel cell tendono a degradare nel tempo. In particolare, la parte più critica è la membrana [8]: è l’elemento fondamentale affinché avvengano gli scambi di carica ma, allo stesso tempo, è anche quello più esposto all’invecchiamento.

Fino a non molti anni fa questo aspetto ha rallentato notevolmente la diffusione delle fuel cell perché le membrane tendevano a rovinarsi troppo rapidamente.

Si è visto che una fuel cell invecchia più rapidamente se la membrana è poco idratata [8] e quindi il controllo sopra esposto diventa ancora più importante: esso non è più solo un metodo per aumentare l’efficienza energetica, ma allunga anche la vita utile del dispositivo.

(29)

La temperatura, invece, non incide in modo particolare sull’invecchiamento [8].

Resta difficile trovare una quantificazione della durata della vita di una fuel cell: come detto in precedenza, il DoE Americano ha stimato una durata di circa 2500 ore del 2015, 4100 oggigiorno e ne prevede una di 5000 h entro il 2020 [9], un dato che inizia ad essere interessante, soprattutto per veicoli che effettuano pochi spostamenti.

Nei capitoli successivi, si cercherà di quantificare la durata in anni delle fuel cell in base alla sua applicazione.

1.1.12 Distribuzione e Stoccaggio dell’idrogeno

Ci sono vari metodi di distribuzione e stoccaggio: solido, liquido e gassoso [10].

Liquefare l’idrogeno è molto interessante dal punto di vista della concentrazione dell’idrogeno: per usare questo sistema, però, bisogna mantenere l’idrogeno a -253°C e ciò significa che il serbatoio deve essere termicamente isolato e in grado di resistere alle fortissime pressioni. Infatti, circa un terzo dell’energia estraibile dall’idrogeno viene usato per mantenere il carburante liquido [10].

La strada che più si sta seguendo, considerando anche le nuove stazioni di rifornimento [11] e i nuovi modelli di automobili [12], è quella della distribuzione dell’idrogeno in forma gassosa a 700 bar (70 MPa), che è una pressione che consente di avere un ottimo accumulo di idrogeno, senza però avere un sistema di preservazione energeticamente e costruttivamente complicato. In precedenza si utilizzavano i sistemi a 350 bar; grazie allo sviluppo tecnologico e normativo, si è riusciti a raddoppiare la pressione di immagazzinamento.

1.2 Accumulatori

Gli accumulatori sono dei dispositivi che convertono l’energia chimica (dei reagenti usati dal dispositivo stesso) in energia elettrica.

Prima dell’introduzione delle Batterie a Flusso (Paragrafo 1.4), gli accumulatori utilizzavano tutti lo stesso principio e quindi erano costruttivamente simili. Quello che cambiava tra le varie tipologie erano le sostanze utilizzate per le reazioni.

Le batterie che oggigiorno vengono definite “tradizionali” sono costituite da due elettrodi (di materiale diverso) immersi in una soluzione elettrolitica: in tale soluzione avviene una reazione, che si traduce in una separazione di cariche positive da quelle negative. Le prime si depositano sull’anodo, mentre quelle negative sul catodo [13]. Questo genera, ovviamente un campo elettrico.

Oggigiorno, però, esiste una nuova tipologia accumulatori: le batterie a flusso. Queste sono più simili alle fuel cell perché i reagenti non si trovano all’interno di una “scatola”, ma sono tenuti

(30)

in serbatoi esterni alla zona attiva. Al Paragrafo 1.4 si analizzerà più in dettaglio il loro funzionamento.

Figura 1.7 Rappresentazione schematica di una batteria tradizionale [13].

Se le batterie sono molto diffuse per applicazioni a bassa potenza, per quelle ad alta potenza il loro utilizzo è limitato: questo è dovuto soprattutto alla densità di energia, che è sicuramente molto inferiore rispetto a quella, per esempio, dei combustibili fossili. Ecco perché ancora oggi è difficile poter immettere nel mercato veicoli completamente elettrici.

(31)

Bisogna però sottolineare che negli ultimi anni, cambiando tipo di elementi reagenti e migliorandone l’efficienza, le batterie fanno sperare che in un futuro non troppo lontano esse possano essere adottate in ambiti di potenze elevate, come per esempio quello automobilistico [13].

Ci sono dunque due grandi famiglie di batterie: 1. Tradizionali

2. A flusso (flow batteries)

Le batterie tradizionali con densità energetica più elevata sono quelle che verranno approfondite in questo lavoro, ossia gli accumulatori:

• Agli ioni di Litio (Li-ion)

• Al Nichel-metallo idruro (NiMH)

La scelta della batteria si baserà su alcuni punti fondamentali: 1. Densità di energia e di potenza

2. Pericolosità delle sostanze (per l’uomo o l’ambiente) 3. Effetto memoria

4. Altri elementi, quali la temperatura di funzionamento.

1.2.1 Densità di energia e di potenza

Le sostanze usate contengono le cariche atte a compiere lavoro elettrico. Ovviamente, maggiore è la densità di energia, minore sarà la quantità di reagenti necessari a parità di energia richiesta.

Per quanto riguarda gli accumulatori tradizionali (e a differenza delle fuel cell) un altro elemento importante è la densità di potenza: infatti, maggiore è la corrente richiesta all’accumulatore, più veloce sarà la scarica. Ovviamente, se la tensione è mantenuta costante (come nel nostro caso) correnti maggiori significano potenza maggiore.

Dunque, se la densità potenza di un ipotetico accumulatore fosse bassa, si avrebbe una scarica rapida quando sono richiesti picchi di potenza elevati.

Con le batterie a flusso, invece, il dimensionamento avviene come per le fuel cell. Si veda a riguardo il Paragrafo 1.4.3.

1.2.2 Effetto memoria

Una batteria che presenta effetto memoria, perde molto la sua capacità di mantenere la sua carica se subisce continue scariche parziali [15].

In pratica, l’effetto memoria pone dei limiti di operatività, obbligando l’utilizzatore a scaricare completamente l’accumulatore prima di ricaricarlo [16].

(32)

1.3 Accumulatori Tradizionali

In questi accumulatori gli elettrodi sono contenuti nell’accumulatore stesso. Come è già stato detto, verranno studiati due tipi di accumulatori tradizionali:

• Agli ioni di Litio (Li-ion)

• Al Nichel-metallo idruro (NiMH)

1.3.1 Accumulatore al Nichel-metallo idruro (NiMH)

Questi accumulatori sono un’evoluzione delle batterie al Nichel-Cadmio e hanno buoni valori di densità energetica e potenza. Purtroppo soffrono dell’effetto memoria (seppur limitato rispetto alle Nichel-Cadmio) e, quindi, non risultano adatte nel campo della mobilità e, soprattutto, nel caso che studieremo [16].

Infatti, il compito delle batterie in un treno Fuel Cell è quello di far fronte alle variazioni di carico. Di conseguenza, cariche e scariche parziali avvengono continuamente: è assolutamente inaccettabile l’idea che un mezzo si arresti improvvisamente a causa di una lettura fuorviante della carica, dovuta all’effetto memoria. Per il nostro studio, dunque, si possono escludere a priori.

1.3.2

Accumulatore agli ioni di Litio (Li-ion)

Questa batteria è la più usata per l’elettronica di consumo, specialmente per i laptop e i telefoni cellulari. Innanzitutto, la densità di energia e di potenza è più elevata delle NiMH [17]. Il suo punto di forza è però il fatto che l’effetto memoria è talmente limitato che risulta trascurabile [16].

Anzi, per le batterie al Litio è addirittura sconsigliato fare cicli di carica e scarica completi: è meglio effettuare ricariche frequenti dopo scariche parziali.

Ogni circa trenta cicli parziali, si consiglia comunque di effettuare una scarica e ricarica completa, in modo tale che l’indicatore adottato per la visualizzazione del livello di carica residua possa ritararsi correttamente, dato che tende a stararsi dopo una serie di scariche parziali [13].

Questo significa che gli accumulatori possono essere ricaricati nel momento più opportuno per l’operatore, senza compromettere l’efficienza del dispositivo.

Un altro interessante fattore di queste batterie è che hanno poche perdite interne e, quindi, la carica viene mantenuta anche per lunghi tempi di inutilizzo. Infine, la sua densità di potenza ed energia sono molto elevate.

(33)

È per questi motivi che il settore automobilistico si è incentrato negli ultimi anni nell’utilizzo delle batterie agli ioni di Litio [13].

1.4 Flow Batteries

Le Flow Batteries (batterie a flusso in italiano) sono tipi di batterie che promettono prestazioni migliori di quelle tradizionali.

1.4.1 Funzionamento

In queste batterie gli elettroliti (le soluzioni dotate di carica) sono posti in due serbatoi distinti che si collegano alla batteria, dove avviene la reazione di ossido-riduzione vera e propria, in maniera analoga a quanto avviene con le fuel cell. Si veda la Figura 1.10.

I due elettroliti sono sempre separati e nella batteria avviene lo scambio di ioni attraverso la membrana, mentre gli elettroni sono costretti a passare nel circuito elettrico attraverso gli elettrodi.

Delle pompe fanno fluire le soluzioni nella batteria. Al catodo avviene l’ossidazione, ossia la cessazione degli elettroni, i quali vengono presi dai reagenti nell’anodo (reazione di riduzione).

(34)

1.4.2 Tipi di Batterie a Flusso

Le batterie a flusso più studiate ultimamente sono le batterie vanadio-vanadio: utilizzando lo stesso elemento per entrambi gli elettroliti, con semplicemente un diverso stato di ossidazione, si riesce ad allungare notevolmente l’aspettativa di vita del sistema, dato che si evita la contaminazione irreversibile delle soluzioni. Basterà svuotare i serbatoi contaminati e rigenerare i vari stati di ossidazione del vanadio in laboratorio. Le soluzioni rigenerate potranno essere reimmesse nei serbatoi.

In Figura 1.10 vengono mostrate schematicamente le reazioni e gli stati di ossidazione del Vanadio.

Figura 1.10 Batteria a Flusso Vanadio – Vanadio [19].

Tali batterie sono oggetto di studio soprattutto nel campo dell’accumulo dell’energia prodotta da centrali rinnovabili, dato che per loro natura questo tipo di impianti di produzione dell’energia ha un andamento di potenza quasi sempre molto variabile e aleatorio.

Un difetto è che il range di temperature a cui possono lavorare gli accumulatori al Vanadio-Vanadio va dagli 0°C ai 35°C, che è dunque molto limitato, soprattutto se si vuole considerarne l’utilizzo in mezzi di trasporto.

(35)

Esistono altre tipologie di batterie a flusso, come quella allo Zinco – Cerio, che riesce a funzionare correttamente anche fino a 50°C; d’altro canto, però, trattandosi di due elementi diversi, prima o poi verrà a esserci una contaminazione irreversibile degli elettroliti, che non potranno più essere utilizzati.

1.4.3 Vantaggi/Svantaggi

Questa tipologia di batterie ha enormi vantaggi.

Il primo è sicuramente il fatto che non vi è alcun legame tra la potenza erogata e l’energia disponibile, dato che la prima dipende dalla superficie della cella e dalla disposizione degli stack, mentre la seconda dipende semplicemente dal volume dei serbatoi, che ospitano gli eletroliti.

Inoltre, i materiali hanno una lunghissima aspettativa di vita, dato che gli elettrodi porosi non vengono coinvolti in scambi fisici di materia ma solo nel passaggio di carica. Perciò non vi è alcuna particolare degradazione di questi. Viene anche a mancare la sensibilità dal numero di cicli di carica e scarica e dalla profondità della scarica.

Infine, la rapidità della cinetica delle reazioni, unita alle limitate inerzie dell’impianto (dato che dipendono quasi esclusivamente dall’inerzia dell pompe), rende i tempi di reazione delle Flow Batteries alle variazioni di carico molto ridotti.

Purtroppo presenta degli aspetti negativi molto forti.

Proprio per la natura di funzionamento di queste batterie, la densità di energia è molto ridotta rispetto alle batterie tradizionali, in particolare per quella al vanadio, che è poco solubile: si usano elettroliti di Solfato di Vanadio 2M in una soluzione 3M di H2SO4 [19]. Infatti, la densità

non supera i 70 Wh/L e, nel caso del vanadio-vanadio, si è attorno ai 30 Wh/L [21].

Altra problematica è il costo degli elettroliti e della membrana, che è molto elevato ed è il fattore che incide di più sul costo totale.

Infine, la distribuzione delle soluzioni dai serbatoi alle celle elettrochimiche deve essere studiata per evitare che ci sia il fenomeno delle shunt currents, ossia il passaggio di cariche da una cella all’altra appartenenti allo stesso stack. Queste sono ovviamente delle perdite. Per risolvere questo problema, solitamente i tubi di collegamento sono abbastanza lunghi in modo da creare una resistenza elettrica sufficientemente elevata per limitare queste correnti parassite [22].

Le due grandi criticità per il settore dei trasporti sono quindi la bassa densità di energia e la temperatura minima di lavoro. Innanzitutto è importante valutare se la densità di energia sarà comunque sufficientemente elevata da poter usare questa tipologia di batterie per rispondere ai picchi di potenza mantenendo dimensioni sostanzialmente ridotte.

(36)

In letteratura viene spesso ribadito come queste batterie siano inapplicabili per l’automotive proprio per la bassa densità energetica. In questa Tesi però, come spiegato al Paragrafo 1.10, gli accumulatori devono rispondere ai soli picchi di carico e non fornire tutta l’energia necessaria a compiere le tratte richieste. Inoltre verranno analizzati dei treni e non dei mezzi stradali, per cui il volume a disposizione per l’installazione dell’impianto è sicuramente maggiore rispetto al caso dell’automotive.

Infine la temperatura minima è problematica, soprattutto se si considera la linea Brescia-Iseo-Edolo: la prima corsa da Edolo a Brescia avviene nelle prime ore della mattina e la notte le temperature possono scendere molto al di sotto degli 0°C durante l’inverno.

La soluzione più che relativa al treno stesso, può riguardare l’infrastruttura: per esempio, si potrebbe costruire un piccolo deposito coperto per il treno.

1.4.4 Regolazione dei Flussi

Di fronte ad una certa corrente richiesta dal sistema (cioè di potenza, avendo imposto una tensione costante), è importante determinare a quale velocità devono lavorare le pompe, affinché possano fornire la quantità di elettrolita necessaria alla reazione.

Prima di tutto va calcolata la capacità dell’elettrolita, ossia quanta carica è contenuta in un determinato volume specifico. Si guardi l’Eq. (1.28) : la capacità (N [A · min/cm3]) dipende dal

numero di elettroni per mole (n [mol-1]), dalla concentrazione dell’elettrolita (M [mol/L]) e

ovviamente dalla costante di Faraday (F=96845 C/mol).

𝑁 =

𝑛 · 𝑀 · 𝐹

1000⁡ [

𝑐𝑚

𝐿 ] · 60 [

3

𝑚𝑖𝑛]

𝑠

Eq. (1.28)

Attraverso l’Eq. (1.29) si può trovare il flusso stechiometrico (Fsf [cm3/min]), nota la capacità

dell’elettrolita N, la corrente richiesta (I [A]) e lo stato di carica (SOC [%]).

𝐹

𝑠𝑓

=

𝐼

𝑁 · 𝑆𝑂𝐶

Eq. (1.29)

Questo è il flusso minimo teorico, che, quindi, potrebbe discostarsi dal valore reale [19]. Solitamente si abbonda con le quantità, per assicurarsi che non vi sia carenza di reagenti.

1.5 Scelta della batteria

Dopo aver analizzato le due batterie tradizionali (NiMH e Li-ion), si è subito potuto escludere le NiMH per la presenza dell’effetto memoria (oltre al fatto che ha comunque prestazioni inferiori alle Li-ion).

(37)

Per quanto riguarda la scelta tra Li-ion e le Flow Batteries, se ci si limitasse ai soli valori di densità energetica e di potenza, è ovvio che le Li-ion sarebbero la scelta migliore. Si faccia però attenzione a non dimenticare l’aspetto pratico: le flow batteries hanno l’enorme vantaggio di avere reagenti e zona attiva separati e, quindi, possono essere utilizzati in maniera analoga ad un motore a scoppio con il suo serbatoio di carburante.

Questo significa che sarebbe possibile creare un sistema di distribuzione di carica in formato liquido: quando il treno è “scarico”, basta riempire i serbatoi di nuova carica, senza dover agire in alcun modo sulla zona attiva, la parte più costosa e fragile.

Prima di fare una scelta, si ritiene opportuno vedere l’ingombro delle flow batteries: se fosse accettabile, si potrebbe pensare di adottare questo sistema in quanto i vantaggi pratici sarebbero nettamente superiori rispetto a quello delle batterie tradizionali. Non bisogna dimenticare, però, che le batterie a flusso necessitano anche di pompe e di sistemi di controllo per la regolazione dei flussi.

1.6 Massa Equivalente

Un treno è dotato di molti sistemi rotanti (ruote, motori…) che aumentano l’inerzia totale del mezzo: di conseguenza, quando si analizza il moto e le potenze in gioco, è necessario considerare tutti questi elementi rotanti.

A titolo d’esempio, si guardi la Figura 1.11, dove a sinistra viene rappresentato lo schema di un veicolo: il rettangolo rappresenta la carrozzeria e tutti gli elementi “statici” sul mezzo, che assieme costituiscono la massa gravitazionale m; il cerchio, invece, rappresenta le ruote e tutti gli elementi che ruotano durante la marcia, che sono quindi dotati di inerzia alla rotazione J.

Figura 1.11 Concetto di massa equivalente.

Sarebbe utile poter trovare una massa traslante che contenga all’interno tutte le informazioni del mezzo iniziale: bisogna trovare una massa inerziale equivalente che, a livello energetico, si comporti esattamente come il mezzo dotato di ruote. Questo è possibile perché si suppone che non vi sia alcuno slittamento delle ruote durante la marcia e che quindi ci sia

(38)

un legame rigido tra la velocità di traslazione del mezzo con quella di rotazione di tutti gli organi rotanti.

Se dovessimo calcolarne l’energia cinetica, otterremmo la seguente formula: 𝐸𝑐= 1 2𝑚 ∙ 𝑣 2+1 2𝐽 ∙ 𝛺 2=1 2𝑚 ∙ 𝑣 2+1 2𝐽 ( 𝑣 𝑟) 2 =1 2(𝑚 + 𝐽 𝑟2) 𝑣 2=1 2𝑀𝑒∙ 𝑣 2 Eq. (1.30)

A livello ingegneristico si può adottare un coefficiente che va ad aumentare la massa gravitazionale.

Questo valore dipende dal tipo di mezzo che si sta analizzando. Un treno composto da motrice seguita da vagoni avrà un coefficiente relativamente basso, dato che solo la motrice è dotata di sistemi rotanti con inerzia considerevole; un elettrotreno (EMU), invece, avrà un coefficiente più elevato perché tutto il treno è dotato di motori.

In generale, questo valore viene scelto in un range che va dal 3% al 20% [20].

1.7 Profilo di velocità

Il profilo di velocità, da cui si ricava il profilo dello spazio percorso, è usato in ambito ferroviario per ricavare un’ampia gamma di informazioni sia per motivi operativi che di ricerca, quali il calcolo della performance del treno, la redazione di orari, il consumo energetico…

Anche nel presente lavoro di Tesi si effettuerà questo tipo di approccio.

Noto lo sforzo di trazione (o di frenata), la massa equivalente e le resistenze al moto, è possibile calcolare l’accelerazione che il mezzo subisce e, quindi, la velocità e lo spazio percorso nel tempo. Come spiegato al Paragrafo 1.9.2, data la velocità e lo sforzo di trazione, si può calcolare la potenza elettrica richiesta al treno (e conseguentemente l’energia consumata).

Le resistenze al moto si suddividono in: • resistenze all’avanzamento • resistenze accidentali

Al Paragrafo 1.8 verrà spiegato più in dettaglio come calcolare questi valori.

Si chiami T lo sforzo di trazione del treno, R la resistenza totale agente, B lo sforzo di frenata, Me la massa equivalente, v la velocità, r il raggio di curvatura e i l’inclinazione. Si ottiene

l’equazione seguente:

𝑇(𝑣) − 𝑅(𝑣, 𝑖, 𝑟) − 𝐵(𝑣) = 𝑀𝑒

𝑑𝑣

𝑑𝑡 Eq. (1.31)

In base ai valori che questi elementi assumono, si ricavano delle tabelle che riassumono il comportamento del treno.

(39)

Tabella 1 Modalità di guida

Modalità di funzionamento del treno

Sforzo di trazione

𝑇 = 0

𝑇 > 0

Sforzo di frenata

𝐵 = 0

Coasting

Accelerazione

𝐵 > 0

Frenata

---

Tabella 2 Descrizione del regime di marcia attraverso le condizioni di Forza e

Velocità

Regime

Forza risultante

Velocità

Fermo

𝑇(𝑣) − 𝑅(𝑣, 𝑖, 𝑟) − 𝐵(𝑣) = 0

𝑣 = 0

Accelerazione

𝑇(𝑣) − 𝑅(𝑣, 𝑖, 𝑟) − 𝐵(𝑣) > 0

0 ≤ 𝑣 ≤ 𝑣

𝑚𝑎𝑥

Velocità costante

𝑇(𝑣) − 𝑅(𝑣, 𝑖, 𝑟) − 𝐵(𝑣) = 0

𝑣 > 0

Decelerazione

𝑇(𝑣) − 𝑅(𝑣, 𝑖, 𝑟) − 𝐵(𝑣) < 0

0 ≤ 𝑣 ≤ 𝑣

𝑚𝑎𝑥

I macchinisti adottano durante la marcia del treno una modalità di guida che si riflette in un profilo di velocità simile a quello riportato in Figura 1.12.

Figura 1.12 Profilo di velocità generica di un treno.

Partendo dalla stazione, il macchinista imprime un’accelerazione costante. Arrivati al tempo t1, il macchinista continua a mantenere il treno in stato di accelerazione ma, a causa della

(40)

caratteristica del motore (si veda il Paragrafo 1.9.1) l’accelerazione diminuisce all’aumentare della velocità.

Il Free Running rappresenta invece il tempo nel quale il treno viene mantenuto ad una velocità all’incirca costante. Il macchinista, avvicinando il treno alla fermata successiva (o a qualsiasi segnale che imponga una fermata) dapprima annulla lo sforzo di trazione, in modo che il mezzo prosegua grazie alla sola inerzia (Coasting), per poi applicare i freni (Braking) fino al totale arresto del mezzo.

Essendo i treni dotati di una grande inerzia e poca resistenza al moto (grazie anche alle caratteristiche ruota – binario), nella realtà la modalità di coasting solitamente causa una decelerazione molto più ridotta di quanto rappresentato in figura.

In linee con fermate molto ravvicinate, come avviene nelle linee metropolitane, spesso manca il Free Running.

1.8 Resistenze al moto

Durante la sua marcia il treno va incontro a delle resistenze che si oppongono al moto. Le resistenze dominanti possono essere suddivise in: resistenze all’avanzamento (R0) e

resistenze accidentali (Ra). Dunque, si 0ttiene:

𝑅 = 𝑅0+ 𝑅𝑎

Le resistenze all’avanzamento fanno riferimento alle resistenze che si avrebbero su binario orizzontale e rettilineo e include le resistenze dovute alla coppia perno-cuscinetto, ruota-terreno e alla resistenza dell’aria.

Le resistenze accidentali, invece, dipendono dalla pendenza del tracciato e dalle curve. Le formule usate per il calcolo delle resistenze vengono solitamente espresse per unità di peso per composizioni omogenee, come mostrato nell’equazione seguente:

𝑟[𝑁 𝑘𝑁] =

𝑅⁡[𝑁]

𝑝𝑒𝑠𝑜⁡[𝑘𝑁] Eq. (1.32)

in quanto le resistenze totali vengono supposte proporzionali al peso del treno con buona approssimazione.

Si tratta di formule ricavate sperimentalmente e, quindi, esistono svariate formule empiriche. In questo lavoro sono state adottate le formule presenti alla nota bibliografica [20], dove le resistenze all’avanzamento sono calcolate come un singolo elemento, mentre quelle accidentali vengono distinte, ottenendo dunque una resistenza complessiva del tipo:

𝑅𝑚𝑜𝑡𝑜= 𝑅𝑎𝑣𝑎𝑛𝑧𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜+ 𝑅𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒𝑛𝑧𝑎+ 𝑅𝑐𝑢𝑟𝑣𝑎 Eq. (1.33)

(41)

1.8.1 Resistenza all’avanzamento

La resistenza all’avanzamento nella maggior parte dei casi ha una forma del tipo: 𝑅0= 𝑎 + 𝑏 · 𝑣 + 𝑐 · 𝑣2⁡⁡⁡⁡⁡𝑜𝑝𝑝𝑢𝑟𝑒⁡⁡⁡⁡⁡𝑅0= 𝑎 + 𝑐 · 𝑣2

dove “v” è la velocità.

Le formule variano in base alla tipologia di treno.

Nel Capitolo 2 si analizzerà un treno per linee secondarie di composizione leggera e omogenea. Si può allora applicare la seguente formula [20]:

𝑟0[ 𝑁 𝑘𝑁] = (2.5 ÷ 3.0) + 0.04 · ( 𝑉⁡ [𝑘𝑚 ] 10 ) 2 Eq. (1.34) Nel Capitolo 3, invece, si analizzerà una locomotiva che traina 2200 t di merci.

Essendo la motrice di peso e dimensioni trascurabili rispetto al resto del treno, come prima approssimazione si può supporre anche in questo caso una composizione uniforme.

Per treni merci con carri mediamente caricati, è utilizzata questa formula [20]: 𝑟0[ 𝑁 𝑘𝑁] = (1.5 ÷ 2.5) + (0.05 ÷ 0.06) · ( 𝑉⁡ ⌊𝑘𝑚 ⌋ 10 ) 2 Eq. (1.35) Per essere più precisi, bisogna valutare la resistenza all’avanzamento della sola motrice e dei carri separatamente.

Per locomotive a quattro assi, con peso GL compreso tra gli 800 e gli 880 kN, si trova [20]:

𝑅0⁡𝐿𝑜𝑐𝑜𝑚𝑜𝑡𝑖𝑣𝑎[𝑁] = 4.5 · 𝐺𝐿[𝑘𝑁] + 0.46 · 𝑉⁡ [

𝑘𝑚 ℎ ]

2

Eq. (1.36)

Per i carri, invece, può essere usata la seguente formula [20]:

𝑅𝑐𝑎𝑟𝑟𝑖⁡[𝑁] = (1.9 + 0.0025 · 𝑉⁡ [ 𝑘𝑚 ℎ ]) · 𝐺[𝑘𝑁] + 4.7 · (𝑛 + 2.7) · 𝐴 · (𝑉 [ 𝑘𝑚 ℎ ] + 15 10 ) 2 Eq. (1.37)

dove “n” è il numero di carrozze, “V0” è un numero costante che rappresenta l’effetto del vento,

“G” il peso complessivo del carico e “A” è la sezione trasversale equivalente.

È evidente che per adottare queste ultime formule, è necessario avere informazioni dettagliate sulle dimensioni e il numero di carri.

(42)

1.8.2 Resistenza dovuta all’inclinazione

Questa resistenza è dovuta alla gravità: quando il treno è in salita, una componente della sua forza peso agisce opposta al moto; quando è in discesa, invece, sarà concorde al moto. Infatti, non sarebbe propriamente corretto chiamarla “resistenza” dato che, per l’appunto, può favorire il moto del treno.

In Figura 1.13, la componente del peso parallela al piano del binario (G//) è proprio la

resistenza Ri dovuta alla pendenza della linea.

Figura 1.13 Rappresentazione delle forze che agiscono su un piano inclinato. Noto il peso G del treno, si ha:

𝑅𝑖= 𝐺//= 𝐺 · sin 𝛼 Eq. (1.38)

La pendenza della linea è espressa come:

𝑖 = tan 𝛼 Eq. (1.39)

Nell’ambito ferroviario, le pendenze sono raramente superiori al 50‰. Trattandosi allora di angoli ridotti, valgono i seguenti limiti matematici:

lim 𝛼→0tan 𝛼 ≈ 𝛼 Eq. (1.40) lim 𝛼→0⁡sin 𝛼 ≈ 𝛼 Eq. (1.41) e quindi: 𝑅𝑖⁡[𝑁] = 𝐺 · 𝑖⁡⁡⁡⁡⁡⁡𝑐𝑜𝑛⁡⁡⁡𝑟𝑖[ 𝑁 𝑘𝑁] = 𝑖 Eq. (1.42)

(43)

1.8.3 Resistenza di curva

La valutazione della resistenza di curva è molto complicata ed è per questo che si usano formule empiriche. Quella adottata in questo lavoro di Tesi è la formula di Von Röckl:

𝑟𝑐=

𝑎

𝜌 − 𝑏 Eq. (1.43)

dove ρ è il raggio della curva e, per lo scartamento normale di 1435 mm, “a” vale 0.65 m, b vale 55 m o 65 m in relazione al raggio di curva: se è maggiore di 350 m vale 55m, altrimenti vale 65 m.

La loro entità è molto minore rispetto agli altri elementi, come si può vedere nell’esempio al Paragrafo 1.11. Non si commetterebbe un grosso errore trascurare questo fenomeno del tutto.

1.9 Motori Elettrici

1.9.1 Regolazione del motore

Per il nostro scopo è importante analizzare come viene controllata la trazione del motore in funzione della velocità.

In ambito di trazione si adotta un controllo elettronico tale da avere due zone: a trazione e a potenza costante.

Innanzitutto, è noto che la potenza meccanica di un corpo rotante è pari al prodotto tra la coppia e la velocità angolare.

𝑃 = 𝐶 ∙ 𝜔 Eq. (1.44)

In ambito ferroviario però non si guarda il motore come elemento rotante ma, considerando la “massa equivalente traslante” (Paragrafo 1.6) si guarda il treno come un tutt’uno, al pari di una “scatola” che scorre. Ne segue allora che:

𝑃 = 𝑇 ∙ 𝑣 Eq. (1.45)

dove T è una forza, ossia la trazione, mentre la velocità è quella del mezzo (in m/s). Come si regola allora il motore?

All’inizio il treno è fermo e viene impressa una forza (trazione) costante. Questa trazione verrà applicata finché non si raggiunge la potenza nominale del motore.

Con la trazione massima costante alla potenza nominale il treno si muove ad una velocità detta “velocità base” che si può ricavare come

(44)

𝑣𝑏𝑎𝑠𝑒 =

𝑃𝑚𝑎𝑥

𝑇𝑚𝑎𝑥

Eq. (1.46) Oltre la velocità base, il motore andrebbe in sovraccarico se venisse continuamente applicata la trazione massima.

Mantenendo la potenza costante, si nota che c’è una relazione inversa tra trazione e velocità: ne risulta che per velocità superiori alla velocità base, lo sforzo di trazione calerà in maniera inversamente proporzionale alla velocità.

Si ottiene un andamento come quello in Figura 1.14.

Figura 1.14 Caratteristica esterna del motore controllato per la trazione.

Ovviamente, partendo con una coppia inferiore alla massima, sarà più alta la velocità oltre la quale si supera la potenza massima: sarà all’intersezione con la caratteristica a P=cost. Per quanto riguarda la coppia frenante, si suppone per semplicità che si riesca a seguire il profilo di trazione (ma ovviamente specchiato rispetto all’asse x).

1.9.2 Potenza Elettrica

Di fondamentale importanza è anche calcolare quali sono le potenze elettriche in gioco e cioè quanta potenza le fuel cell e gli accumulatori devono fornire al sistema.

Sicuramente c’è una componente di potenza elettrica da fornire in maniera costante, ossia quella dei servizi ausiliari, come il riscaldamento e impianti elettronici ed elettrici indispensabili per il corretto funzionamento del sistema.

(45)

A questa va sommata una componente che cambia a seconda che il treno sia in fase di trazione o frenata.

Nel primo caso, il prodotto tra trazione e velocità fornisce la potenza meccanica del motore (come già spiegato) che poi va divisa per il rendimento del motore stesso per ottenere la potenza elettrica in entrata.

Se, invece, il treno è in fase di frenata, la potenza meccanica va moltiplicata per il rendimento dell’impianto e per il contributo del freno elettrico, un valore compreso tra 0 e 1 che comprende degli elementi fondamentali: quanti sono gli assi motori (e, quindi, dotati di freno elettrico) rispetto al numero di assi totali; quanta quota di freno elettrico viene usata per effettuare completamente la frenata. Infatti il freno elettrico agisce bene fino a velocità non inferiori ai 10 km/h. Al di sotto di questo valore va obbligatoriamente usato il freno meccanico.

Infine questo fattore tiene in considerazione anche il fatto che la caratteristica meccanica in frenata non è speculare alla caratteristica di trazione (ipotesi posta in precedenza). Infatti il freno elettrico fornisce una coppia che è all’incirca costante per tutto il suo range di applicabilità; il freno pneumatico (meccanico), invece, segue una caratteristica simile a quella di trazione specchiata, ma risulta leggermente schiacciata.

Per riassumere, si ottiene: 𝑃𝑒𝑙 = 𝑃𝑎𝑢𝑥+

𝑇 ∙ 𝑣

𝜂 ⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡𝑠𝑒⁡𝑇 > 0⁡(𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒) Eq. (1.47) 𝑃𝑒𝑙= 𝑃𝑎𝑢𝑥+ 𝑇 ∙ 𝑣 ∙ 𝜂 · 𝑐𝑒𝑙⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡⁡𝑠𝑒⁡𝑇 < 0⁡(𝑓𝑟𝑒𝑛𝑎𝑡𝑎) Eq. (1.48)

dove cel è il contributo del freno elettrico.

Si noti che in Eq. (1.48) il valore di trazione è negativo e, quindi, si ha in realtà una sottrazione: se una frenata causa una generazione di potenza superiore a quella necessaria ai servizi ausiliari, si otterrebbe una potenza elettrica totale negativa. Questo significa che si ha una restituzione di energia alle batterie.

(46)

1.10 Schema Elettrico

Figura 1.15 Schema Elettrico concettuale.

In Figura 1.15 si vede quale potrebbe essere lo schema elettrico di un treno che presenta un impianto di fuel cell e di accumulatori. È stato aggiunto il ramo che si connette al pantografo, in quanto al Capitolo 3 verrà presa in considerazione una motrice dotata di impianto Last-Mile e che, quindi, utilizza l’elettricità della catenaria per la quasi totalità del tragitto.

Al Capitolo 2 la presenza del pantografo può essere ritenuta superflua, a patto che non si decida di utilizzare il treno a idrogeno su tratte parzialmente elettrificate.

In caso non vi sia alcun pantografo, la tensione sul DC-BUS può essere minore.

I convertitori sono degli IGBT e, quindi, possono lavorare alla tensione di 3 kV senza dover interporre altri convertitori DC-DC per l’abbassamento di tensione.

Centrale è il ruolo svolto dal controllore di potenza, che deve essere programmato in modo da gestire i flussi di potenza che avvengono: dalla catenaria ai motori; dalla catenaria alle batterie per la ricarica; dalle fuel cell ai motori e alle batterie… solo per citare alcune delle possibilità. Il sistema di controllo verrà discusso più approfonditamente al Capitolo 4.

Molto importante è sottolineare che, supponendo che non vi siano stazioni di ricarica delle batterie, quando il treno non è connesso alla catenaria è necessario che tutta l’energia sia fornita dalle fuel cell. Questi dispositivi funzionano in maniera ottimale a potenza costante. Di

Figura

Figura 1.8 Densità di energia per vari tipi di carburanti e sostanze in MJ/kg [14].
Tabella 2 Descrizione del regime di marcia attraverso le condizioni di Forza e  Velocità
Figura 1.13 Rappresentazione delle forze che agiscono su un piano inclinato.
Figura 1.18 Calcolo della velocità con aree rettangolari. L'area verde rappresenta v (n-1) ; l'area  arancio è il contributo nuovo di a (n)  · Δt
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