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Anomalie. Indagine e sperimentazione per un approccio critico agli errori nei processi produttivi

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Academic year: 2021

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(1)

_

Anomalie

Indagine e sperimentazione per un approccio

critico agli errori nei processi produttivi.

Politecnico di Milano - Facoltà del Design Design del Prodotto per l’innovazione Tesi di Laurea Magistrale - A.A. 2013-2014 Relatore: Odoardo Fioravanti

Studente: Francesco Toselli Matricola: 786213

(2)

"Quando il risultato guida il processo andremo sempre e solo dove

siamo già stati. Se, invece, il processo guida il risultato, potremmo

non sapere dove stiamo andando ma sapremo di essere nella

direzi-one giusta".

(3)

Indice

0.

1.

2.

3.

ABSTRACT

INTRODUZIONE

INQUADRAMENTO STORICO

L’arte applicata

L’introduzione della plastica

La percezione materica

Design caldo e design freddo

Wabi Sabi

Il caso Gaetano Pesce

L’occultamernto della tecnica

CASI STUDIO E CLASSIFICAZIONE

Introduzione

Mostrare la tecnica,

Stampo a perdere,

Positivo e negativo,

Cortocircuito materico,

Manomessi,

Tranfer tecnologico,

Nuovi processi per nuovi progetti,

Ipertrofia del processo

Considerazioni

INTERVISTE

Introduzione

Massimiliano Adami

Giulio Iacchetti

BTM

4P1B

QUELLO CHE I LIBRI NON DICONO

Introduzione

Tornitura in lastra

Soffiaggio

Estrusione

ESPLORAZIONE EMPIRICA

introduzone

sperimentazione

considerazioni

BIBLIOGRAFIA

SITOGRAFIA

INDICE DELLE IMMAGINI

RINGRAZIAMENTI

4.

5.

6.

(P. 14-65 )

(P. 66-121 )

(P. 122-153 )

(P. 154-169 )

(P. 170-241 )

(P. 242 )

(4)

Abstract

ABSTRACT

Mentre in passato il processo produttivo degli oggetti

era occultato, oggi è in parte conosciuto, grazie alla

diffusione massmediatica del design e allo sviluppo di

tecnologie open source e dekstop, come le stampanti

3d.

Nelle lavorazioni industriali gli errori e i segni della

pro-duzione, quali il punto di iniezione, le bave, i risucchi,

gli sformi o le saldature, sono sempre stati nascosti in

quanto elementi che diminuiscono il valore

dell’ogge-to se visibili. Questi fatdell’ogge-tori considerati comunemente

difetti della produzione nascondo però il racconto del

processo produttivo.

La tesi indaga le tecnologie produttive convenzionali

analizzandone le possibilità solitamente occultate.

In particolare si propone di portare il valore di

proces-so degli oggetti a valore d’uproces-so degli stessi

Tramite una sperimentazione empirica si indaga

l’es-tetica processuale con l’obbiettivo di tracciare delle

linee guida specifiche utili per una analisis critica

del-le tecnologie produttive.

(5)

1.

Introduzione

La seguente trattazione si occuperà dello stretto rapporto

che vi è tra i processi produttivi e i progetti, soffermandosi

sulla capacità degli oggetti di svelare il modo in cui sono

stati prodotti. La trattazione è divisa in cinque aree

prin-cipali che hanno l’obbiettivo di porre focus differenti su

questa tematica.

La prima parte della trattazione presenta una componente

storico - descrittiva, utile a delineare l’argomento trattato.

Una volta introdotto il tema si analizzeranno i passaggi

storici che lo hanno reso di interesse nella

contempora-neità.

Analizzeremo il rapporto con i processi fin dalla

rivoluzi-one industriale privoluzi-onendo l’interesse sull’analisi di un

estet-ica applestet-icata ai prodotti, perciò sulla nascita e l’evoluzione

delle arti applicate. La prima parte comprende anche

alcu-ni capitoli slegati di approfondimento che meglio aiutano

nella formulazione della tesi. Si analizzerà l’importanza

dell’introduzione delle lavorazioni dei polimeri e il

cambia-mento che questi processi hanno portato nel mondo del

prodotto, estremizzando il concetto di standard. Di seguito

andremo ad analizzare il cambiamento nel rapporto con la

matericità dovuto all’introduzione dei nuovi materiali.

Verrà analizzato il rapporto tra il design caldo e il design

freddo chiarendo questa distinzione aiutati anche dai testi

di Maldonado.

Verrà trattata anche la tematica del wabi sabi, estetica

fon-data sull’accoglimento della transitorietà delle cose.

Ques-to tema sarà utile per introdurre un argomenQues-to cruciale per

la tesi , ossia quello relativo alla valorizzazione dell’errore e

al valore nella modifica della standardizzazione.

(6)

rapporto di continuità con la successiva, si è diciso di

anal-izzare il caso di Gaetano Pesce, che fin dalla fine degli anni

‘60 sviluppa la "serie diversificata" focalizzando

l’attenzi-one sulla possibilità di produrre industrialmente oggetti

unici.

A termine del capitolo sarà anche trattato il tema

dell’oc-cultamento delle tecniche produttive e di come oggi siano

in parte sdoganate grazie ai sistemi di comuncazione.

Il secondo capitolo ha lo scopo di calare il tema nel

con-temporaneo grazie all’analisi di numerosi casi studio. Si

andranno ad analizzare alcune metodologie utilizzate dai

designer per far trasparire il racconto del processo

produt-tivo tramite degli oggetti finiti.

Per fare ciò sono state individuate diverse categorie che

hanno utilizzato differenti metodi di rappresentazione del

processo con una particolare attenzione al mondo dello

stampaggio.

Sono state individuate otto categorie:

Mostrare la tecnica,

Stampo a perdere,

Positivo e negativo,

Cortocircuito materico,

Manomessi,

Tranfer tecnologico,

Nuovi processi per nuovi progetti,

Ipertrofia del processo

Queste categorie aiutano a compredere le modalità di

di-vulgazione del processo attuata dai designer.

La terza fase della trattazione riporta quattro interviste

che ho effettuato ad alcuni designer che hanno lavorato e

lavorano su tematiche adiacenti a quelle da me trattate. I

designer che ho deciso di intervistare sono: Massimiliano

Adami, Giulio Iacchetti, il guppo del progetto Breaking The

Mould e lo studio 4p1b.

Questo insieme piuttosto eterogeneo di designer mi ha

aiutato a fare chiarezza su alcune idee ancora nebulose

sul rapporto tra designer e produzione, in particolar modo

quando questo rapporto riveste il ruolo centrale del

pro-getto. Le interviste, riportano la descrizione approfondita

dei progetti, alcuni poco noti o ancora inediti, e analizzano

in dettaglio le specifiche processuali necessarie nella

real-izzazione dei prodotti.

Nella quarta sezione dell’elaborato sono riportate le

de-scrizioni di alcune visite effettuate per meglio conoscere il

mondo della produzione.

Ho deciso, infatti, di incontrare diversi industriali e artigiani

per cercare di capire meglio alcuni processi produttivi.

Questo lavoro di analisi è chiaramente solo marginale ed

incompleto trattando infatti solo poche lavorazioni ma ci

aiuta a capire le possibiltà di un approccio critico ai

pro-cessi industriali.

Le visite svolte hanno interessato aziende e artigiani

Lom-bardi ed Emiliani, e hanno permesso di approfondire le

tec-nologie dell’iniezione, soffiaggio, estrusione e metal

spin-ning.

Nel capitolo vengono riportate le conversazioni con gli

in-dustriali e gli artigiani, tentando di far trasparire

l’espe-rienza e mettendo in luce quei piccoli segreti produttivi che

spesso vengono tralasciati nei libri di tecnologia ma che

possono essere certamente spunti per un approccio

pro-gettuale.

Le esperienze svolte e i consigli ricevuti dalle numerose

persone incontrate in questo percorso di tesi sono state

importanti anche nello sviluppo della quinta sezione della

(7)

sperimentazione svolto su diverse tecnologie con lo scopo

di investigare le possibilità di innovazione all’interno di

al-cune tipologie di produzione. Questa fase viene descritta

in maniera analitica, come un vero e proprio processo

sci-entifico. I test sono riportati in ogni passaggio, spiegando

quali siano le aspettative, i mezzi e i risultati ottenuti.

Filo conduttore di questa sperimentazione è

l’approc-cio non convenzionale al processo. Molte delle specifiche

tecniche raccomandabili per un utilizzo consono delle

tec-nologie vengono volutamente ignorate aprendo strade

pro-gettuali nuove.

(8)

_

2.

Inquadramento

storico

Il primo capitolo della trattazione ha l’obbiettivo di

contestualizzare il tema arricchendolo di alcune

sfaccettature che meglio ne aiutano la

compren-sione.

Per capire il perchè sia di interesse analizzare

la genesi degli oggetti studieremo l’evoluzione

dell’estetica industriale che dall’800 ad oggi si è

evoluta anche in relazione allo sviluppo tecnico

scientifico.

Analizzeremo anche il tema dell’introduzione delle

lavorazioni dei polimeri che innesca ragionamenti

sulla standardizzazione. Allontanandoci da questa

tematica verrano approfondite le possibilità di

ap-procci differenti dallo standrd, facendo

riferimen-to alla definizione di design caldo e design freddo.

Un sottocapitolo sarà dedicato alla disciplina del

WABI SABI che fa’ dell’imperfezione punto di forza

dell’oggetto. Infine analizzeremo il caso di

Gaeta-no Pesce che, con la "serie diversificata" pone al

centro la poetica del difetto. Per meglio calare la

tematica nel contemporaneo si accennerà anche a

come nel tempo le tecniche produttive siano state

sdoganate passando da una fase di totale

occul-tamento ad una di grande divulgazione anche nel

campo del design.

(9)

Arte

applicata

Il rapporto tra produzione industriale e oggetti d’uso prevede l’intro-duzione della tematica della standardizzazione, intesa come ottimiz-zazione per la riproducibilità industriale.

Waler Benjamin nel libro " L’opra d’arte nell’epoca della sua riproduc-ibilità tecnica" tratta proprio questo tema:

"In linea di principio, l’opera d’arte è sempre stata riproducibile. Una cosa fatta dagli uomini ha sempre potuto essere rifatta da uomini. Si-mili riproduzioni venivano realizzate dagli allievi per esercitarsi nell’ar-te, dai maestri per diffondere le opere, infine da terzi semplicemente avidi di guadagni. La riproduzione tecnica dell’opera d’arte è invece qualcosa di nuovo, che si afferma nella storia a intermittenza, a ondate spesso lontane l’una dall’altra, e tuttavia con una crescente intensità. I greci conoscevano soltanto due procedimenti per la riproduzione tecnica delle opere d’arte: la fusione e il conio. Bronzi, terrecotte e mon-ete erano le uniche opere d’arte che essi fossero in grado di produrre in quantità. Tutte le altre erano uniche e non tecnicamente riproducibili. Con la silografia diventò per la prima volta tecnicamente riproducibile la grafica; cosí rimase a lungo, prima che, mediante la stampa, diven-tasse riproducibile anche la scrittura".1

La contrapposizione tra l’artigianato e la produzione industriale ha origini ben precedenti alle affermazioni di benjamin.

La definizione di un’estetica abbinata ai prodotti dell’industria trovò nella seconda metà dell’Ottocento varie risposte che concorsero a far maturare una nuova visione che coincise con l’emancipazione estetica dell’oggetto d’uso, il primo grande protagonista dell’estetica applicata.

Una delle prime categorie a emergere fu quella della

mer-ce. Essa fu colta sia come massima espressione di un’estetica

che negava la natura come suo modello a favore dell’artificio,

sia come manifestazione di un feticismo che proiettava sugli

oggetti contenuti spirituali.

Artificio e feticismo divennero nel tempo due paradigmi imprescindibi-li per una lettura ideologica dell’oggetto definendone sostanzialmente l’estetica. Ma certamente quest’opzione non rimase l’unica. Il tentativo di rimarginare la frattura moderna della techne, la separazione tra arte

(10)

bella e artigianato e poi arte applicata, comportò un problematico ries-ame della stessa nozione dell’autonomia dell’estetico.

Una prima implicazione col design si può riscontrare nelle stesse mac-chine industriali, che nascono proprio all’insegna di una grande fun-zionalità ed efficienza e quindi con quella modesta pretesa "estetica" che conquisterà il favore della critica più moderna. Infatti fra tutti gli articoli che verranno pre-sentati alla grande espo-sizione di Londra del 1851, saranno proprio I mac-chinari, quasi totalmente immuni da preoccupazi-oni stilistico-decorative, a segnare il reale progeres-so, anche in fatto di gusto, compiuto nel periodo della rivoluzione industriale. Nel periodo tra il 1760 e il 1830 bisogna sottolineare che, nonostante la nascita di nuove tipolgie di prodotti, l’impiego di nuovi mate-riali, l’invenzione di nuovi macchinari, I settori pro-duttivi più pertinenti la cultura del design furono quelli che presentavano una maggiore continuità con la tradizione, quelli in cui si potè meglio assistere al passaggio dall’artigianato all’industria.

Esemplare è il caso di Wedgwood, industriale inglese che si occupò dell’industria delle potteries. L’approccio di Wedgwood era molto atten-to ai meatten-todi della produzione e alle nuove scoperte scientifiche, nonos-tante ciò, dal punto di vista stilistico il lavoro di wedgwood inizia con l’imitazione dei modelli dal passato, da quelli cinesi agli etruschi fino all’approdo al Neoclassicismo, che finì per caratterizzare totalmente I prodotti della ditta, I quali divennero a loro volta la maggiore espressi-one del Neoclassico nel campo della ceramica.

"Il motivo che aveva spinto Wedgwood a imitare gli antichi era stato il desiderio dell’intrapprendere industriale che vuole superare le migliori

Crystal Palace di Londra www.skyscrapercity.com

opere prodotte in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo". 2

Ma accanto a tutta la gamma di prodotti artistici, decorativi

ed ornamentali, destinati ad un pubblico di amatori e di

col-lezionisti, vegono proposte altre tipologie di prodotti che

hanno l’intento di essere utilitari e funzionali.

Come viene spiegato nel libro "storia del design" di Renato De Fusco è con questa seconda tipologia di prodotti che Wedgwood esprime la propria genialità: "partendo dalla personale esperienza e dalla tra-dizione locale, egli seppe, attraverso un processo di continue riduzioni e semplificazioni, trovare il modo di rendere sempre più aderente la forma alla funzione dei prodotti ceramici quantificandone il numero e riducendone il prezzo, così

come impone una lavorazi-one seriale".3

"Wedgwood fu il primo va-saio a ideare delle forme del tutto adatte al loro sco-po e che fossero al tem-po stesso capaci di venir riprodotte con assoluta precisione in quantitativi illimitati ".

"in ogni particolare della loro struttura si nota ef-ficienza ed economia dei mezzi".4

Ritengo il caso di Wedg-wood molto interessante ai fini di meglio comprendere questa trattaznione perchè rappresenta uno dei primi casi dove l’ottimizzazione della tecnica genera una

estetica. Piatto un ceramica Wedgwood, Pattern:Absaloms Pillar, 1820

(11)

In questo periodo storico viene anche a definirsi il concetto di arte ap-plicata che la produzione industriale enfatizza creando una forte sepa-razione tra arte ed estetica.

Facendo riferimento al pensiero di David Hume nel suo saggio Of the Standard of Taste del 1757, si può affermare che nel pensiero del tempo prende forza una stretta relazione tra buon gusto e buon senso.L’anal-isi di Hume mira a un livellamento medio-alto del gusto, tendente a influenzare I comportamenti sociali e I prodotti della società.

L’intento di Hume mira ad affidare al gusto e al buon senso l’ideale di bellezza.

Il contributo di Hume risulta molto importante nella distinzione tra es-teticità e artististicità, oggi infatti è esperienza diffusa che la bellezza e il gusto intesi come componente estetica del design appartengono alla sfera dell’esteticità diffusa e non a quella dell’arte emergente.

Qui si può delinerare in maniera più chiara il valore dell’ arte appli-cata, ".. lo stesso concetto di implicazione implica un idea di precedenza dell’arte pura e del successivo sec-ondario impiego delle sue forme nella produzione di oggetti d’uso".5

Nel secolo scorso, cioè propio quando avveniva la rivoluzione industriale, quell’ordine di valori si è invertito: la tecnica e la pratica, collegandosi alla scienza, hanno assunto un valore ideale, mentre l’anti-co ideale estetil’anti-co scadeva, come è noto, come inutile accademismo.

5 Renato De Fusco, Storia del design, Laterza, 2006 Fabbrica di cemento di Portland, disegno di Georg

Burmester 1895 www.wikimedia.org

"I ponti, I viadotti, I grandi magazzini, infine le prime

costruz-ioni in ferro e in cemento sono il precedente diretto del

diseg-no industriale; la loro bellezza dipende dalla loro perfezione

tecnica e dalla loro aderenza a una funzione pratica; e poichè

l’idea di tecnica e di pratica implicano un fare, l’idea del bello

si connette al fare e non più al contemplare". 6

Il periodo che segue la rivoluzione indus-triale in inghilterra prende il nome di età Vittoriana.

Quanto alla componente "produzione", questa età viene considerata come una sorta di involuzione rispetto al periodo della rivoluzione industriale. Accanto ai pionieri dell’industria, legati agli scien-ziati e agli inventori, viene affermandosi, a partire dagli anni ‘30 una classe di im-prenditori meno dotata di spirito impren-ditoriale.

Benchè la ricerca tecnologica proceda con nuove invenzioni, fioriscano e si con-solidino gli impianti , in generale l’intero movimento industriale subisce un appi-attimento: non è più l’iniziativa di pochi individui eccezionali, ma una routine che interpreta nel modo peggiore I principi del liberalismo, cioè produrre molto e nel tempo più breve anche a scapito della qualità dei manufatti.

Il fenomeno è ben descritto negli scrit-ti di Pevsner che dice: "grazie alle nuove macchine, I fabbricanti erano in grado di

lanciare sul mercato migliaia di articoli a buon prezzo impiegando lo stesso tempo e lo stesso costo che occorreva un tempo per produrre un solo oggetto ben fatto. In tutti I rami dell’industria si alterava la natura dei materiali e della tecnica. L’abile lavoro dell’artigiano venne sosti-tuito dallo routine meccanica".7

Le disfunzioni della produzione del tempo non vanno attribuite solo a

6 g.c.argan, op.cit p.133

La "Folding Machine" esposta alla grandeesposizione di Londra nel 1851 www.italia61.it

(12)

cinismo di alcuni fabbricanti, ma essenzialmente in una visione poco chiara della qualificazione dei prodotti, al modo stesso di dar loro una forma in assenza di modelli.

Importante in questo frangente fu l’intervento di Robert Peel che die-de avvio alla riforma die-delle arti applicate e al riconoscimento die-della loro importanza socio-economica, al contempo mostrando tutti I limiti

dell’estetismo del tempo in questo campo.

La qualificazione dei pro-dotti, infatti, veniva rich-iesta alle belle arti, anzi addirittura dai disegni pit-torici, quale valore aggiun-to ai manufatti.

Nasce su queste basi la questione del rapporto ar-te-industria che rimase irrisolta a lungo fino al consolidarsi di un estetica che poco aveva in comune con il mondo delle arti tra-dizionali, dovendo essere una nuova e specifica del prodotto industriale. Tale estetica, che richiama in parte il contributo di Hume di cui abbiamo trattato in precedenza, trova il pro-prio avvio nell’inghilterra vittoriana nella ricerca del modo più adatto di disegnare gli oggetti fabbricati a macchina. Negli anni che seguono viene coniata da Hanry Cole il termine art manifatur-er, che denota una figura nuova di artista fabbricante.

Per non dilungarci sulle caratteristiche della visione di Cole e della del-la sua cerchia potremmo riassumere che del-la loro metodologia proget-tuale non era di tipo naturalistico o stilistico, bensì basata sulla

geo-Ancient Egyptian Ornament di Owen Jones, La gram-matica dell’ornamento, 1856.

metria, l’organicismo, I caratteri invariati e la tendenza alla semplificazione e alla riduzione.

Pochi anni più tardi venne a svilupparsi il progetto di Wiliam Morris, con idee molto divese rispetto a Cole egli combatteva il li-berismo e l’ecletticismo della produzione industriale proponendo una radicale ri-forma politica che, nello specifico settore delle arti applicate, prendeva a modello le corporazioni e le lavorazioni dei prodotti medievali.

Seguendo l’idea di Ruskin "joy in labour", Morris vede nell’artigianato l’unica garan-zia della qualità dei prodotti.

Come osserva Pevsner: " Il primo effetto degli insegnamenti di Morris fu che, sotto il loro influsso, molti giovani artisti, ar-chitetti e dilettanti, decisero di dedicarsi all’arte applicata. Ciò che per oltre mezzo secolo era stata considerata una occu-pazione inferiore, diventò nuovamente un compito nobile e degno".8

L’idea anacronistica di Morris venne in qualche modo smorzata dalle generazione che lo succedette, questa, aderì ancor più fortemente alla condizione del tempo, alla bottega artigiana sostituirono una rete di laboratori ed organizzazioni produttive, ed ammisero esplicitamente la possibilità di una produzione meccanica accanto al lavoro fatto es-clusivamente a mano.

Come già accennato,la grande esposizione di Londra del 1851 ha seg-nato una tappa fondamentale nella storia del design, in questa espo-sizione vengono esposte sia complementi d’arredo che macchinari provenienti da molti paesi e si nota la differenza fondamentale, dei primi infatti vi è un decoro ancora preponderante e che richiama la classicità, nei macchinari questo è decisamente meno evidente. La riflessione sull’estetica dei macchinari, sulla bellezza dei meccanis-mi e della semplicità è una tematica molto interessannte nello svilup-po del design odierno. Già allora diceva Oscar Wild, seppur non addetto

American library chair special.lib.gla.ac.uk

(13)

ai lavori: " tutte le macchine possono essere belle, non cercate di dec-orarle ". 9

Il gusto del pubblico di quegli anni era caratterizzato da due elementi dominanti: da un lato si esigeva la decorazione in ogni sorta di oggetto, anche laddove la vavorazione meccanica di fatto lo negava.

Ciò era dovuto non solo al simbolismo che la gente, da sempre, asso-cia ad ogni tipo di prodot-to, ma soprattutto perchè ogni nuovo genere merceo-logico viene accolto più fa-vorevolmente se richiama referenti già noti.

Dall’altro lato il gusto

del pubblico esigeva

che gli oggetti anche

se prodotti

industrial-mente, avessero

sem-pre l’apparenza di

es-sere eseguiti a mano: il

valore essendo

collega-to alla fatica, all’abilità,

al tocco manuale.

Non solo le decorazioni, la parvenza di pseudo-artigianalità si limita-no a falsificare la foma degli oggetti industriali, perchè la finzione si estende anche alla natura dei materili. Tra il 1835 e il 1846 in Inghil-terra vennero registrati ben 35 brevetti per il rivestimento di materili e superfici che imitassero o somigliassero ad altri. Intervenne poi la riproduzione galvanoplastica che, grazie ad un processo elettrolitico, consentiva di rivestire forme del materile economico con un atro di maggior pregio.

Oltre che alle false superfici simili artifici furono applicati

an-che alla volumtria degli oggetti: furono inventate macchine

per stampare, pressare, preparare matrici atte a riprodurre,

in nuovi oggetti di materiali vili e a tutto volume, modelli

an-Raffigurazione di un’antica apparecchiatura utilizzata per lo svolgimento della galvanostegia chiamata cella per elettrodeposizione.

A balancing act with Thonet chairs in the 1920s. gg-magazine.com

(14)

tichi o comunque ritenuti di valore.

Questa tendenza alla falsificazione si verifica però solo per gli ogget-ti con pretese decoraogget-tive, cioè quelli richiesogget-ti dai consumatori di ceto medio-alto, non si applicava perciò ai prodotti di primaria necessità. Accanto a questi oggetti esisteva una grande produzione di oggetti

semplici ed essenziali, ad uso e consumo delle classi povere. Non a caso, sin dai tempi di Wedgwood, la produzione popo-lare si orientava su questo tipo di oggetti. Un esempio che non possiamo non cita-re del periodo è il caso di Michael Thonet. La produzione dei suoi mobili ha origine da un innovazione tecnica che consiste nell’inumidire il legno con il vapore per poi poterlo piegare. Non andremo qui ad analizzare in maniera specifica la produz-ione di Thonet che è ben riportata in molti libri che trattano di storia del design, ma è bene citare questo esempio poichè è forse il primo complemento d’arredo a diventare un vero "classico".

Per l’analisi di questa trattazione, del rap-porto tra gli oggetti e I processi produttivi che gli generano è utile però evidenziare come una innovazione della tecnica ha dato origine ad un modo di produrre mo-bili radicalmente nuovo. Le lavorazioni tradizionali difatti non avrebbero mai permesso la realizzazione di strutture al pari di quelle di Thonet.

Il processo in questo caso, non insegue più forme note ma al

contrario le genera, lo stile di Thonet vive forme ed esigenze

produttive del suo tempo ed anticipa nuovi orientamenti del

gusto, in particolare l’art Nouveau.

Il processo di espansione industriale dell’economia tedesca di fine

Ot-sedia 214 e primo flat pack, in un metro cubo potevano essere stoccate 36 sedie.

designagenda.me

tocento si tradusse in un’impostazione più circoscritta delle domande legate agli oggetti prodotti industrialmente. Si aprì un grande dibatti-to che trovò in due grandi questioni il proprio centro problematico: il rapporto tra forma e funzione, da una parte, e il ruolo del l’ornamento rispetto ai prodotti industriali, dall’altra. Tra i primi a sondare il nesso forma-funzione fu Hermann Muthesius che indicò la strada di un’es-tetica rigorosamente funzionalista e adeguata ai processi produttivi della contemporaneità.

Muhesius attacca in maniera incisiva il decorativismo analizzando l’oggetto anche dal punto di vista economico-produttivo.

Dice: "Con il lavoro che essi richiedono, la materia prima non è utilizza-ta come si dovrebbe , e quindi si spreca innanzitutto un colossale pa-trimonio nazionale in materia prima, e inoltre si ha un lavoro aggiunto inutile". 10

Un’estremizzazione della posizione di Muthesius è riscontrabile in Jo-seph August Lux che propose un’ingegnerizzazione dell’estetico, facen-do coincidere l’automatismo tecnico con la qualità estetica. A mitigare questa sorta di estremizzazione positivistica contribuì la riflessione, certamente più ambigua, di Peter Behrens, per il quale l’industria po-teva segnare una nuova sintesi di arte e tecnica promuovendo il diseg-no industriale come dimensione sociale.

È questo il periodo che potrebbe esser definito classico dell’estetica applicata.

L’arte applicata cessa di essere

solamente un’evoluzione storica

dell’artigianato e tematizza in un

complesso dibattito le proprie

cat-egorie: l’arte applicata entra nella

sua fase di piena maturità e dà vita

a una estetica estremamente

artico-lata, sempre più orientata ai bisogni

delle masse.

Il progettista della AEG affronta in modo del tutto nuovo I problemi del design in

Bollitore elettrico,Peter Behrens, AEG, 1909

(15)

ogni sua componente. Innanzitutto, per tecnico che fosse, il prodotto non doveva essere privo di quella valenza formale che distingue un prodotto di qualità.

Behrens ricorda una significativa raccomandazione di paul jordan espressa forse in occasione del suo ingresso come consulente artisti-co dell’azienda.

"Non pensi che anche un ingeniere quando acquista un motore si met-ta a smonmet-tarlo per controllarne le parti. Anche il tecnico compera sec-ondo l’impressione che ne riceve. Un motore deve essere bello come un regalo per il compleanno".11

Questo preciso passaggio storico è importante ai fini della nostra trat-tazione, vogliamo porre l’attenzione, infatti su un fenomeno che grazie ai prodotti della AEG incomincia a prendere piede. Parliamo dell’occul-tamento della tecnologia. La componente meccanica e l’involucro ri-sultano infatti svincolati, quest’ultimo aveva una funzione meramente protettiva nei confronti del delicato ingranaggio e tutelatrice dell’utente dai pericoli dell’energia elettrica, rendendo possibile una libertà fino ad allora sconosciuta nella progettazione delle forme degli oggetti. Inoltre il grado di complessità tecnica degli strumenti rendeva il com-pratore sempre meno competente nel formulare un giudizio e delegava al "guscio" il compito della persuasione.

Riferendosi alle norme protettive Maldonado scrive: " In questo modo una configurazione formale viene a nascondere una configurazione tecnica dell’oggetto e si stabilisce così una dicotomia che non si lim-iterà al campo delle macchine utensili. Anzi diventerà la caratteristica dominante di quasi tutte le tipologie di oggetti della civiltà industriale. Nasce così la "carrozzeria" cioè un involucro aggiunto che verrà spesso trattato come una forma che non ha nessun, o con scarso, rapporto con il contenuto".12

Fu il Bauhaus a ridefinire la questione in un’intricata vicenda cultur-ale nella qucultur-ale Gropius, in un proprio percorso concettucultur-ale non sem-pre semplice e lineare, identificò nello standard, inteso come unità organica di qualità e quantità, la nuova possibilità di una completa for-mulazione estetica della civiltà industriale.

"Va rifiutata la ricerca, a qualsiasi costo, di nuove forme, in quanto non derivano dalla cosa stessa. E così pure si rifiuta l’applicazione di orna-menti puramente decorativi, siano essi storici o frutto di invenzione. La creazione di tipi per gli oggetti di uso quotidiano è una necessità

12 Tomàs Maldonado, disegno industriale un riesame, 2008 Feltrinelli

sociale. Le esigenze della maggior par-te degli uomini sono fondamentalmenpar-te uguali".13

Nel 1923 Gropius conia lo slogan " arte e tecnica, una nuova unità", infondo una versione aggiornata della tesi di Behrens con un ingrediente in più: L’ammissione dell’estetica autonoma della macchina. Uno degli oggetti simbolo della scuola fu-rono I mobili in tubolare in aciao che si distaccavano di molto dalle tendenze del gusto precedente conferendo ai prodotti un carattere seriale e meccanico.

Questa tipologia di progetti rivoluziona a tal punto la conformazione della scuola da cambiare il nome del famoso labora-torio del legno in " officina del mobile". L’oggetto che meglio incarna il cambia-mento verso un maggiore accento indus-triale del bauhaus è la poltrona in tubi d’acciao nichelati, con sedile, schienale e braccioli in tela, che Breuer disegnò nel 1925.

La storia di questa sedia deriva da un succedersi di episodi particolari, la prima sedia a sbalzo in tubo metallico era sta-ta realizzasta-ta da Martin Ssta-tam nel 1924, il secondo modello del genere è di Mies Van der Rohe del 1927. La sedia di Mies si dif-ferenzia dal suo precedente olandese per avere I tubi montanti a semicerchio, cui si raccordano altri due tubi che fungono da braccioli, così come nel dondolo di Thonet.Infine il terzo modello è quello di Breuer, che, fatto suo il principio per cui un unico tubolare metallico può costitu-ire l’intero sostegno della seduta, evita il supporto frontale usato da Stam e rende l’oggetto più maturo e perfezionato dei precedenti.

Marcel Breuer seduto sulla sua poltrona wassily.

artvalue.com

struttura della sedua composta da tubature del gas, Mart Stam

www.themilanese.com 13 Tomàs Maldonado, disegno industriale un riesame, 2008 Feltrinelli

(16)

Ancora una volta una innovazione tecnica, così come per il caso Thonet traccia una serie di nuovi linguaggi estetici che non hanno nulla a che fare con il decorativismo ma utilizzano al meglio il processo produttivo. Non è facile riportare un ideale univoco riferibele al Bauhaus, nella

sua natura plurale, infatti, si possono ri-chiamare altre due posizioni, divergenti fra loro e anche rispetto alle posizioni di Gropius: quella di Hannes Meyer, a favore di un funzionalismo che negando l’estet-ico si apriva alla politicizzazione della progettazione, e quella di Georg Muche, più interlocutoria e meno convinta della realizzazione di una vera sintesi tra arte e tecnica. L’estetica applicata, però, non solo si concentrò sulla questione strut-turale di forma e funzione, ma ridefinì il grande equivoco estetico che l’arte appli-cata non era riuscita a chiarire: il tema dell’ornamento. L’ornamento fu oggetto di una profonda messa in discussione che sostanzialmente segnò il passaggio da un’estetica ottocentesca all’elaborazione di uno stile che ne sconfessava i conte-nuti ormai più acquisiti. Henry van de Vel-de cercò, ad esempio, di promuovere una riforma dell’ornamento concependolo organico ai nuovi stili espressi dagli oggetti industriali, mentre per Bloch l’ornamento rappresentò il pretesto per delineare un’estetica della crisi che non si riconosceva più né nel funzionalismo né nel decorativismo, ma in una ricerca utopi-ca espressionista. La negazione definitiva dell’ornamento fu condotta con fermezza da Adolf Loos che vide nella pratica ornamentale non solo un’aberrazione estetica, ma il segno di un imbarbarimento antropolog-ico e di decadenza dell’umano. " L’ornamento è forza lavoro sprecata, e quindi salute sprecata. E’ sempre stato così. Oggi ciò significa però anche materiale sprecato, ed in definitiva capitale sprecato". 14

Più o meno sulla stessa linea la proposta di Le Corbusier tendente a risolvere la bellezza del moderno in un sistema di organizzazione ar-chitettonica nella quale l’ornamento non poteva trovare spazio. L’abbandono dell’ornamento segnò nelle arti applicate l’avvio del

mod-Henry van de Velde Candeliere in Bronzo argentato, Bruxelles, 1898-1899

presscenter.org

ernismo, di fatto la dimensione storico-culturale in cui l’estetica appli-cata trova pieno compimento.

Conclusasi nel 1933 l’esperienza del Bauhaus, negli anni Trenta si as-siste a una tendenza di as-sistematizzazione critica dell’evoluzione stor-ica e culturale dei risultati sino a quel momento raggiunti. Si afferma l’esigenza di comprendere l’estetica applicata come problema comp-lesso, nel quale la dimensione estetica coincide con il momento, pri-ma, della progettazione e, poi, dell’uso. Si giunge così a una definizione sempre più pregnante di estetica industriale. In questo quadro, sebbe-ne non strettamente segnata dalle questioni in gioco, si inserisce la rif-lessione di Benjamin che lega l’indagine filosofica delle manifestazioni estetiche della città con un’interrogazione decisiva sulla riproducibil-ità tecnologica dell’estetico.

(17)

L’introduzione

della plastica

1935 radio in resina fenolica verde marmorizzata.

unirc.it

Come abbiamo visto nel capitolo prec-edente, fin dall’ ‘800 era abitudine uti-lizzare materiali poveri per imitarne al-tri di maggior pregio, la stesso compito era stato assegnato ad un materiale che cambierà profondamente I meccanismi della produzione industriale, la plastica. Già nell’ottocento era usata come ma-teriale economico per imitare l’avorio o la tartaruga. La plastica inizia a trovare una sua identità negli impieghi origina-li, a partire dagli anni trenta, in europa e negli stati uniti: apparecchi radio, casa-linghi, carrozzerie d’automobile assu-mono nuove fisionomie grazie proprio all’utilizzo di un materiale estremamente innovativo nei colori, e soprattutto nelle possibilità formali. In italia già prima

del-la guerra i fratelli Castiglioni conducono una sperimentazione d’avan-guardia sull’uso della bakelite in alcuni radioricevitori, ma solo alla fine degli anni quaranta inizia per la plastica l’età dell’oro.

L’etimologia del termine plastica deriva dal verbo

greco“p-lasso che significa“plasmare, formare, modellare” e allude

alla caratteristica peculiare dei polimeri sintetici capaci di

subire deformazioni permanenti e di essere messi in forma

attraverso la modellazione, proprietà che in realtà

appar-tiene solo ad alcuni di essi.

La rivoluzione culturale dei materiali moderni e la contemporaneità possono dirsi all’insegna dei materiali polimerici, connessi alla ricerca scientifica ed al trasferimento tecnologico, e appartenenti alla cultura delle materie solido-fluide. Con il termine generale di plastiche si fa riferimento ad un vasto, articolato e in continuo aggiornamento oriz-zonte di materiali oggi impiegati per produrre un enorme numero di oggetti d’uso e di consumo, di elementi per il design e l’architettura, intermedi e finali. Roland Barthes, nel 1957 in Miti d’oggi, ne parla come di una sostanza alchemica, che trasforma la materia in oggetto perfet-to, quasi umano.

(18)

"Più che una sostanza è l’idea stessa della sua infinita

tras-formazione, è, come dice il suo nome volgare, l’ubiquità resa

visibile; e proprio in questo essa è una materia miracolosa:

il miracolo è sempre una conversione brusca della natura.

La plastica resta tutta impregnata in questa scossa: più che

un oggetto essa è traccia di un movimento"

.

15

Caccia Dominioni - Castiglioni - Phonola Radioricevitore mod. 547

wikipedia.org

Davvero rivoluzionario è l’approccio dei produttori per l’arredamento, che in-tuiscono le straordinarie possibilità di applicazione del materiale in un mer-cato tutto ancora da in-ventare: nel 1949 nasce la Kartell, la prima industria italiana a concentrarsi es-clusivamente sull’impiego di materie plastiche per la produzione di oggetti d’uso: tra i suoi designer più prolifici Gino Colom-bini, cui si affiancano in seguito Achille e Piergi-acomo Castiglioni, Anna Castelli Ferrieri, Marco Zanuso, Richard Sapper e Joe Colombo: questi è il primo progettista a realiz-zare con kartell una sedia interamente in materiale plastico, il modello

"uni-versale". Le altre due industrie che si dedicano ad un uso raffinato del-la pdel-lastica in oggetti semplici ma estremamente curati sono danese (fondata da Bruno Danese e Jacqueline Vodoz nel 1955) e Artemide (fon-data da Ernesto Gismondi nel 1959): la prima sviluppa un’intensa ricer-ca con Enzo Mari e Bruno Munari, la seconda collabora con Giuliana Gramigna, Sergio Mazza, Vico Magistretti. A fronte del dilagare quasi incontrollato delle materie plastiche, impiegate soprattutto per il loro basso costo, le aziende italiane rappresentano negli anni sessanta una sorta di sofisticato laboratorio di sperimentazione, che contribuisce a fare dell’uso della plastica una forma di stile, estremamente dinamico e aggiornato in continuazione da nuove forme, colori, possibilità di ap-plicazione rinnovate costantemente dalla scoperta di nuove formule.

Universale, design Joe Colombo. klatmagazine.com

(19)

La velocità della lavorazione dei polimeri e le grandi possibilità di tira-tura seriale degli oggetti introducono un nuovo approccio alla produz-ione.

Sempre molto attenta ai processi produttivi ed ai costi dice la Ferrieri: "[...]c’è una differenza formidabile fra il lavorare artigiano e il

lavora-re nella produzione indus-triale. Se si pensa che gli artigiani una volta per re-alizzare un tavolo od una sedia ci mettevano più di un anno e lo facevano len-tamente con quello che avevano imparato da gen-erazioni. Se noi facciamo migliaia di esemplari in un colpo solo - dei miei og-getti in materia plastica si dovevano stampare, ogni volta, almeno 5.000 pezzi di un solo colore - il costo ri-dotto di questa operazione si comprende subito. Oggi un falegname che lavora una sedia, anche se usa delle macchine a controllo numerico, impiega comun-que una grande quantità di lavoro manuale. Giorni e giorni. La mia sedia che è stata premiata con il Compasso d’oro nel 1987, in materia plastica, è pro-dotta, tutta completa in 80 secondi, sommando tutte le operazioni, perché è re-alizzata in soli due stam-pi. Si comprende subito la differenza tra prodotto plastico e tradizionale: il tempo e quindi il suo costo. Se si impiegano 80 secondi oppure un mese. Quindi, quest’idea di annullare la fatica non è stata un’idea sbagliata.."

Sedia impilabile 4870 di Anna Castelli Ferrieri per Kartell. design.repubblica.it

cit. Anna Castelli Ferrieri

Fiera Campionaria di Milano, Ingresso della Mostra Inter-nazionale Estetica Materie Plastiche, 1956

(20)

La

percezione

della

materia

L’introduzione e lo sviluppo della lavorazione dei materiali plastici apre una tematica d’interesse per questa trattazione che ha a che fare con l’espressività materica.

La plastica, grazie alla sua capacità di essere plasmata, può assumere finiture diverse ed è perciò difficile associare questo materiale a sen-sazioni note.

I materiali tradizionali, come la pietra, il legno o la ceramica, hanno invece la capacità di legarsi alla memoria collettiva trasferendo sen-sazioni passate.

Gli oggetti della più recente generazione, invece, ci appaiono sempre più spesso tali che possiamo forse dire di che cosa sembrano fatti, ma non possiamo realmente dire di che cosa sono.

La necessità di un riscontro materico con l’oggetto è però presente nelle persone, come dice Manzini:

"E’ come se non ci fossero più forme stabili su cui

sedimenta-re la memoria e su cui far csedimenta-rescesedimenta-re lo spessosedimenta-re

dell’esperien-za. Di qui nascono per molti il disagio e la nostalgia di una

realtà perduta e, per alcuni, la ricerca nei segni e nei

materi-ali del passato di quei valori di spessore e di profondità che

sembrano svanire nel mondo contemporaneo".16

Secondo Manzini il rapporto con le cose è fondamentale e con l’intro-duzione di alcuni materiali meno radicati nella memoria collettiva rischia di rompersi.

Dice infatti: <<Il nostro rapporto con il reale passa anche attraverso questa capacità di dare dei nomi: vedere, toccare, assaggiare e, alla fine, riconoscere, cioè attribuire sulla base di questa esperienza sog-gettiva e locale dei significati più ampi, a loro volta sintetizzati in un nome.>>17

L’introduzione dei polimeri e poi a seguire di materiali più tecnologici fino ad arrivare oggi ai campi più estremi dei materiali nanotecnologi-ci, hanno in qualche modo allontanato l’uomo dalla percezione concre-ta di ciò che gli sconcre-ta’ intorno.

Nella memoria collettiva ci sono muri di pietra, mobili di legno, mater-assi di lana, spade d’acciaio, corone d’oro: in questi stereotipi i nomi dei materiali appaiono pieni dei loro significati più larghi; è così che

(21)

l’oggetto acquista peso e spessore culturale: <<la pietra e la sua durata, il legno è il simbolo dello scorrere del tempo, la lana è il calore dell’inti-mità, l’acciaio è la forza fredda.>>18

Sono i materiali e le tecnologie che contraddistinguono le diverse ep-oche del moderno e

condizionano, insieme alla forma degli oggetti, quella produzione, del gusto e del nostro modo di vivere e operare. L’importanza del materiale è sempre soverchiante. Per esempio, come sostiene Dorfles, ha com-portato la scomparsa della sensibilità tattile ed estetica, che è rimasta identica ed analoga per secoli, verso i materiali tradizionali; e di con-seguenza, si sono modificate le nostre valutazioni degli aspetti formali, tessutali, organolettici, dei materiali usati.

<<Non solo nell’arte, ma nel nostro stesso quotidiano, la sensibilità tra-dizionale per la grana del marmo, della ceramica, della stoffa e la sen-sibilità del materiale "naturale", la pietra, la terra, il legno, il metallo, sono state sostituite da una diversa sensibilità per i materiali nuovi e sintetici, per gli smalti, per le vernici. Questi mutamenti interessano il mondo dei sensi e dell’esperienza come quello dell’immaginario e sono in relazione

anche al diverso rapporto ergonomico tra prodotto meccanico e fruit-ore.>>19

Capacità dei materiali tradizionali era anche quella di

racco-ntare il modo in cui erano stati lavorati, la qualità

dell’artigia-no era ben visibile e giudicabile da chi andava ad utilizzare

l’oggetto.

Le tecniche artigianali, semplici e sostanzialmente poco variate nel tempo facevano parte di una cultura di base che difficilmente poteva essere stupita.

L’utilizzo di processi indstriali ed in particolar modo per un materiali duttile come la plastica introduce forme mai viste prima, texture che imitano altri materiali, densità e consistenze diverse. La perfezione del processo e l’industrializzazione che punta alla serialità produttiva ducono l’intervento umano al punto da creare oggetti così finiti di ri-sultare alieni rispetto alle tipologie precedenti.

Design caldo e

design freddo

(22)

Una tematica riconducibile a quella della scomparsa della percezione materica è affrontata anche da Maldonado è quella della classificazi-one tra design caldo e design freddo. Maldonado intende il design fred-do come rivolto alla produzione industriale e destinato al consumo di massa, e come design calddo, un design fatto da pochi, con pochi

mez-zi e destinato alla funmez-zione artistico-culturale di pochi soggetti sociali.

"E’ più che evidente il gi-udizio di valore implicito nell’uso delle nozioni di freddo e caldo: da una par-te un design "disumano" in quanto freddo, dall’altra un design "umano" in quanto caldo. A ben guardare tut-to il design preindustriale era un design "caldo", os-sia fatto artigianalmente da pochi e destinato a po-chi".20

Maldonado, alla fine de-gli anni ‘90 affermava un concetto che oggi è ancora molto presente nel mondo del design. Il tema del de-sign caldo e del dede-sign freddo, delle produzioni limitate, del pezzo uni-co o frutto di una performance è oggi più che mai di attualità.

Nella contrapposizione tra design caldo e design freddo vi è il tentativo di presentare come novità ( anzi come radicale novità ) tematiche che sono state già discusse alla fine del XIX secolo e agli inizi del succes-sivo.

La ricerca di oggetti che trasmettono il calore e

l’imprecisi-one della manualità, con impresso il segno delle tradizioni

più o meno distanti dal contemporaneo, si presenta come un

fenomeno che si sviluppa in maniera complementare alla

dif-fusione delle nuove tecnologie e alla nascita di tipologie di

oggetti del tutto nuove.

Humberto e Fernando Campana, vaso della collezione Nativo Campana , Corsi Design.

corsidesign.it

Da ciò la ricerca e il recupero di materiali e tecniche, non solo come possibile punto di partenza per un confronto con un’idea più estesa di produzione e di mercato, ma anche come pratica progettuale, attra-verso un rapporto più immediato con il processo produttivo e con il contesto, ed una riscoperta di altre dimensioni culturali, che la grande produzione necessariamente tende a semplificare o ignorare. Emblem-atico è il caso dei Fratelli Campana che in Brasile hanno cominciato a costruire direttamente oggetti in materiali naturali e industriali poveri (come corda e cartone pressato), con tecnologiche elementari e attrez-zi da officina, approdando successivamente alla produattrez-zione industri-ale con aziende italiane e continuando a praticare e ad insegnare un approccio diretto e immediato con i materiali e le forme.

È tramite la manualità e una forte componente personale che l’idea progettuale si sviluppa e si anima.

La continua sperimentazione permette l’evoluzione di pratiche, come queste esaminate, che arrivano a mutare a percorrere la sottile linea di demarcazione che c’è tra il design e l’arte. Tecniche di lavorazione che diventano delle vere e proprie performance che creano oggetti unici . In un’ intervista ad Achille Castiglioni , alla domanda : "Come può un og-getto fatto in serie, in milioni di copie, accontentare persone che hanno esigenze e gusti diversi?" il maestro replica: " è una domanda a cui non so rispondere, credo si crei un rapporto di reciproca curiosità tra chi compra l’oggetto e chi lo produce (...) io sono dell’idea che agli oggetti ci si affezioni.

(23)

Wabi Sabi

un vaso riparato con la tecnica Kintsugi

Per meglio approfondire la tematica del design caldo, descritto nel cap-itolo precedente, può risultare interessante trattare il tema del wabi sabi, estetica fondata sull’accoglimento della transitorietà delle cose. Recentemente il tema è stato indagato da due interessanti libri: Il va-lore dell’imperfezione. L’approccio wabi sabi al design, di Francesca Os-tuzzi, giuseppe Salvia, Valentina Rognoli e Marinella Levi e "Wabi-sabi per artisti, designer, poeti e filosofi" di Leonard Koren.

Il Wabi-sabi costituisce una visione del mondo giapponese

fondata sull’accoglimento della transitorietà delle cose. Tale

visione, talvolta descritta come "bellezza imperfetta,

imper-manente e incompleta" deriva dalla dottrina buddhista dell’

anitya.

(24)

Secondo Koren, il wabi-sabi è la più evidente e particolare caratteristi-ca di ciò che consideriamo come tradizionale bellezza giapponese dove "occupa all’incirca lo stesso posto dei valori estetici come accade per gli ideali di bellezza e perfezione dell’Antica Grecia in Occidente". An-drew Juniper afferma che "se un oggetto o un’espressione può provo-care dentro noi stessi una sensazione di serena malinconia e un ardore spirituale, allora si può dire che quell’oggetto è wabi-sabi". 21

Hilla Shamia, Wood casting. hillashamia.com

Richard R. Powell riassume dicendo "il wabi-sabi nutre tutto

ciò che è autentico accettando tre semplici verità: nulla dura,

nulla è finito, nulla è perfetto".22

L’approccio del wabi sabi può essere considerato assolutamente coer-ente con molti progetti contemporanei di design.

Nella letteratura specifica attualmente si rintracciano la tendenza e il desiderio di modernizzare e internazionalizzare il concetto di wabi sabi. Tale aspirazione si concretizza nella stesura e definizione di prin-cipi espliciti e linee guida precise che riportano cosa si possa o, vicev-ersa, cosa non si debba assolutamente fare quando ci si vuole avvic-inare all’estetica wabi sabi. Di seguito vengono riportati I principi di progettazione wabi sabi descritti dal libro " Il valore dell’imperfezione. L’approccio wabi sabi al design ".

In questo tipo di visione viene condannata la standardizione dei pro-dotto, il difetto diventa

segno particolare e di pre-gio, per questo nei progetti wabi sabi viene evidenzia-to.

"Risulta evidente come i concetti alla base siano profondamente distanti da quella che e una concezi-one produttiva industriale per la società occidentale conternporanea.

"...

Naturale

L’elemento principale e forse più affascinante dell’estetica wabi sabi è legato all’ idea di poter cogliere, negli oggetti del vissuto quotidiano, il

pas-saggio del tempo che si Rou Designs, Deep Bowl. roudesigns.com

(25)

manifesta esplicitamente con ossidazioni, graffi, scolorimenti, macchie, incrinature o crepe. Esis-tono però anche espres-sioni che non registrano solo il passaggio del tem-po ordinario, ma anche di quello straordinario, come le ammaccature dovute a una caduta accidentale, I tagli, le bruciature, e via dicendo. In sostanza, gli oggetti afferenti a un’es-tetica wabi sabi risultano piacevoli proprio perche registrano su di se gli usi e gli abusi accaduti nella loro vita. Visualizzare un processo naturale signifi-ca conferire spontaneità all’oggetto progettato. Irregolarita Sono le imperfezioni, generalmente scatur-ite involontariamente, a conferire quel particolare sentimento definibile come wabi sabi. Dal mo-mento che conosciamo gia le soluzioni progettu-ali corrette, il wabi sabi ci offre premurosamente quelle sbagliate e proprio con queste ci affascina. In questo senso non vanno temute le piccole imper-fezioni o asimmetrie che appaiono sugli oggetti.

Martín Azúa, Natural Finish, 1998 martinazua.com

Martín Azúa, Natural Finish, 1998 martinazua.com

Grossolanita e texture

I manufatti che rispecchiano l’estetica wabi sabi hanno spesso un as-petto poco curato, non presentano superfici perfettamente lisce e so-prattutto valorizzano la casualita generata dai processi adottati per la loro realizzazione. Le texture sono spesso ruvide e casuali e raggiun-gono la massima espres-sione quando venraggiun-gono modificate in modo inatteso dal tempo e dagli eventi accidentali.

Colori

La scelta della variazione della scala cromatica e molto importante nel-la progettazione wabi sabi. Non si parnel-la di colori, ma di chiaro-scuri. Le tinte non dovrebbero mai essere completamente uniformi e andreb-bero evitati, nella fase di scelta, colori troppo luminosi e forti. Vengono invece prediletti quei colon opachi, incerti o cangianti

Organicita e scelta dei materiali

L’organicita e intesa come la capacita del materiali di modificarsi au-tonomamente nel tempo in modo mai perfettamente prevedibile. ln questo senso si compie un’attenta scelta dei materiali. I preferiti sono legno, metalli, tessuti, pietra e argilla. Il vetro, l’alluminio e le plastiche sono viceversa considerati materiali inadatti alla progettazione wabi sabi, in quanto non percepibile, sulle loro superfici, lo scorrere del tem-po.

Indeterminatezza

Definite wabi sabi un oggetto, un manufatto, una poesia significa con-siderarlo "indeterminato", e per certi versi indefinibile. Dai colori sbiadi-ti agli spigoli non netsbiadi-ti, le cose e le forme col tempo perdono consisten-za, diventando piu umili e meno aggressive. Sfuggono cosi docilmente a ogni classificazione, aumentando il mistero della loro storia e accre-scendo inconsapevolmente rispetto e l’affezione che l’utente dimostra nei loro confronti.

Patina del tempo

Un oggetto ha la sua storia. Quello che più affascina degli oggetti wabi sabie è la possibilita di vedere impressa in ciascuno di essi una storia specifica e irripetibile dando origine a riflessioni sul tempo e sulla ca-ducità di tutte le cose.

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Le cose antiche sono venerate, collezionate ed esibite in molte culture. Questo avviene in parte perche risvegliano l’immaginazione del pas-sato: immaginiamo che siano state usate da molte persone, da molte mani per decenni, secoli o millenni". 23

La teoria del wabi si può ritrovare in molti progetti nella contempora-neità, gudagnando nuove estetiche e trovando applicazione anche in materiali polimerici.

Rimane cioè la grande capacità narrativa di questa filosfia estetica e l’irregolarità degli oggetti che sono spesso caratterizzati da difetti. Il tema dei materiali naturali , che nel wabi sabi riveste un ruolo impor-tante, viene talvolta tralasciato nei progetti contemporanei a cui fac-ciamo riferimento.

Lampanti sono invece i concetti di base in comune con molti progetti basati sull’esaltazione dell’errore, sulla possibilità di lasciare una trac-cia e sulla valorizzazione delle texture.

Un progetto che può far capo a questa tematica é la tesi di laurea sos-tenuta al Politecnico di Milano nel 2008 da Giacomo Moor. Il nome della ricerca è " difetti di pregio " e si poneva l’obbiettivo di creare una cat-alogazione di oggetti di design realizzate in legno evidenziandone gli aspetti di innovazione tecnologica.

La parte a mio parere più interessante della tesi, era però l’ultima, dove Giacomo si è concentrato sui difetti del legno, reinterpretando quelli che normalmente sono ostacoli come punti di forza del progetto. " Qualsiasi lavoro, scultura, opera d’arte realizzata in legno non cono-sce mai la parola " fine " e una volta terminato il lavoro dell’uomo, sub-entra quello del tempo che lo dilata, lo restringe, lo scurisce, lo crepa, lo imbarca, lo brucia senza che raggiunga mai un risultato di compiu-tezza ed equilibrio". 24

Utilizzando qusti principi come linea guida del progetto il designer ha realizzato quattro oggetti che sfruttano l’imperfezione per far si che il difetto stesso sia creatore della forma.

Personalmente credo che questo progetto rispetti perfettamente la te-oria del wabi sabi e credo che sia un esempio ricco di poetica che riesce a mettere in luce tutte le tematiche che queste teorie raccolgono.

(27)

C&B Italia photography series showing an Up 5 chair being unwrapped.

blog.modernica.net

Un caso che ritengo interessante trattare per approfondire il tema è quello relativo al lavoro di Gaetano Pesce.

Come nei principi del wabi sabi trattati nel capitolo precedente, una componente forte del progetto è l’irregolarità e il distacco dalla stan-dardizzazione dell’oggetto.

Il tema della "serie diversificata" ha un ruolo centrale e permanente cui è possibile ricondurre il principio generatore di molti progetti em-blematici e l’innesco di nuove riflessioni nell’opera di Pesce. Carico di connotazioni politiche e sovversive nei confronti di ideologie e metodi di produzione, emerso alla fine degli anni sessanta, con largo anticipo rispetto alle recenti teorie economiche che confermano il principio del-la "personalizzazione di massa" , il tema ha contribuito a rendere nota la figura di Gaetano Pesce nel panorama internazionale dei designer, per cui il binomio Pesce-serie

diversifi-cata sembra essere ormai divenuto un caposaldo della storia del design.

L’idea di produzione in serie di beni con-notati da un carattere di unicità, na-sce in opposizione a ideologie politiche tardomarxiste, che volevano ridurre a standard le esigenze umane, come af-ferma lo stesso Pesce: "Quando ho com-inciato ad avere dubbi sulla produzione standardizzata è perché, da una parte, c’era qualcuno, come per esempio i re-torici dell’ideologia marxista, [...] i quali dicevano che il mondo, le popolazioni del mondo, dovevano tutte somigliarsi, e dovevano essere delle popolazioni che si esprimevano nello stesso modo. Addi-rittura il modo di vestirsi doveva essere unificato. E quindi tentavano di

elimin-are le differenze, che invece sono qualità che portano l’identità al mon-do e a diverse popolazioni" 25

Il problema della lotta all’omologazione dei bisogni e alla relativa stan-dardizzazione, aveva caratterizzato anche il movimento radicale a cui Pesce aveva in parte aderito.

Il caso

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All’inizio degli anni novanta sosteneva: "Un tempo affermavo che la se-rie industriale è una conquista indiscutibile, una evoluzione essenziale e insostituibile. Oggi quei valori non mi sono più sufficienti, oggi voglio più ricchezza nella produzione industriale, ritrovare cioè la spontaneità dell’oggetto in copia unica".26

Quindi, la diversificazi-one degli oggetti prodotti in serie rappresenta l’al-ternativa al livellamento delle esigenze umane. Da queste premesse Pesce è poi passato alla dimostra-zione concreta della pos-sibilità di ottenere la serie diversificata in un proces-so di produzione indus-triale. Parallelamente, ha portato avanti un costante lavoro di sensibilizzazione, lanciando appelli alla tutela della diversità, fino ad affermare che oggi il ruolo fondamentale del progettista è quello di creare la differenza. Per tutta la prima metà del Novecento la riproducibilità consisteva nel-la capacità di rendere, attraverso l’ausilio delnel-la macchina, un infinito numero di oggetti perfettamente identico a un modello iniziale. Di con-seguenza venivano scartate tutte le copie che, alla fine del processo, presentavano difetti. Tale principio era sostenuto da un sistema indif-ferenziato di consumi che puntava a soddisfare bisogni primari, e non si curava del valore culturale dei prodotti e del rapporto oggetto-fruit-ore. Tali preoccupazioni erano limitate solo agli strati sociali abbienti, che però ottenevano la differenziazione attraverso il ricorso a oggetti unici, ad alto costo e di prevalente fattura artigianale. L’industria, im-itando i modelli fordisti, aveva impostato quindi la produzione sulla grande serie.

Successivamente, con la crisi del petrolio, all’inizio degli anni settanta, con le brusche oscillazioni del mercato e con la nascita di un sistema di consumo più esigente e differenziato, l’industria sente la necessità di sperimentare sistemi produttivi più flessibili. L’elettronica viene in-contro a questa esigenza, contribuendo, attraverso la realizzazione di

Dalila uno, due, tre, sedie e poltroncine Cassina, 1980. hongyonghui.wordpress.com

Green Street Chair, sedia, Vitra, 1984-86.

skandium.com

apparecchiature a controllo numerico, alla nascita della "serie vari-ata", procedimento che riguarda sostanzialmente l’ottimizzazione della produzione. Macchine

polifun-zionali, attraverso software specifici, organizzano e gestiscono al meglio la produzione in base agli ordini raccolti, riuscendo in questo modo a realizzare porzioni o parti intere di oggetti anche diversi. Il progetto, però, resta sostan-zialmente legato ai vincoli tecnologici della macchina, quindi alla necessità di avere parti componibili o modulari, ma non è in grado da solo di creare o di con-tribuire alla differenziazione. O, meglio, cerca di offrire una distinzione

basandosi su variabili "leggere" e non sostanziali, quali colori o finiture. La "serie diversificata", introdotta da Gae-tano Pesce, tocca all’opposto i conte-nuti sostanziali del prodotto, parten-do proprio dalla progettazione. La sua grande innovazione sta, infatti, nell’aver intuito che l’elemento di caratterizzazi-one va ricercato e introdotto in questa

fase. Obiettivo principale della serie diversificata è quello di otte-nere prodotti simili ma non identici, appunto differenziati, a costi accessibili, attraverso variabili libere. Queste intervengono durante il processo di produzione in modo casuale e non calcolato, rendendo distinti, al termine del processo, il contenuto e l’aspetto del prodot-to finale. Come è possibile immaginare, Pesce è staprodot-to facilitaprodot-to, in questo lento processo di sperimentazione, dal suo modo originale di associare concezione e realizzazione dei prodotti. Attraverso l’attiv-ità di laboratorio, infatti, è possibile esercitare un controllo diretto e sincronico dei processi di trasformazione e di esecuzione dell’idea. Le soluzioni ottenute in laboratorio si sono poi dimostrate valide anche per la produzione industriale. Le variabili libere che Pesce ha individuato in tanti anni di ricerche e sperimentazioni nascono dal principio fondamentale di accettazione del difetto che, da elemento

(29)

di scarto, si trasforma in elemento di distinzione. Sulle pagine di "Do-mus", nel 1989 affermava infatti : "La linea produttiva dell’industria rap-presenta un esempio violento di pianificazione esercitata sugli oggetti, attraverso il controllo costante e attivo dei pezzi prodotti. All’interno di questa logica viene scartato qualsiasi prodotto che presenti un difetto. In questo fatto "eccezionale" per cui un pezzo, nonostante la pianifica-zione cui è soggetto, riesce a esprimere la propria peculiarità, agendo secondo leggi proprie e impreviste, ritengo sia insito un valore".26

Nobody’s Perfect, poltrona, Zero-disegno, 2002.

www.zerodisegno.com

Nobody’s Perfect, libreria, Zero-disegno, 2002, vista laterale. www. zerodisegno.com

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Quando osserviamo con attenzione un oggetto prodotto industrial-mente, spesso non ci rendiamo conto con precisione di come questo oggetto sia stato fabbricato; il discorso si amplifica quando l’osser-vatore è un non addetto ai lavori e ancor più quando gli oggetti sono composti in materiale plastico implicando tecnologie più complesse e meno note. Sin dai tempi del corporativismo gli artigiani prima, e gli industriali poi, hanno tenuto segreti I modi di produrre le cose: si pensi ad esempio ad un falegname che tramanda la propia conoscienza al suo apprendista più giovane.

Lo stesso clima di occultamento del sapere è stato applicato anche all’industria. L’evolversi delle tecnologie produttive ha fatto si che gli oggetti diventassero sempre più perfetti e privi di sbavature. I segni del processo utilizzato nella produzione delle cose difficilmente viene svelato o è capace di lasciare traccia. Uno dei motivi probabilmente è che l’industria aspira nella maggior parte dei casi ad un oggetto finito, perfetto, privo di errori, segni particolari o imprefezioni.

Questo pretesa di uniformità dei prodotti trova chiaramente motivazi-one nel mercato e nella difficoltà di commercializzare molti prodotti leggermente diversi tra loro.

Un altra motivazione che si potrebbe ipotizzare nella lettura di questo occultamento è quella della complessità. L’industria, deve infatti prote-ggere gli utenti dalla complessità della tecnolgia, non solo fisica, come un ingranaggio ma anche formale, questo è il motivo per il quale fin dall’800 si espande l’utilizzo dei carter per coprire oggetti tecnici e non. Oggi appare però che la tematica dell’occultamento non sia sempre adeguata al nostro tempo, seppure i device elettronici nascondano la tecnologia e, soprattutto in questo ambito, la teoria del black box è spesso utilizzata, ci sono altri fenomeni che tendono a divulgare i pro-cessi produttivi per soddisfare la curiosità degli utenti.

Un esempio molto noto è quello del programma How it’s Made, tras-messo da vari canali del gruppo Discovery in molti paesi del mondo. Nel programma viene descritta la produzione dalla materia al con-sumatore di oggetti di uso comune.

Il programma ha avuto molto successo, è stato infatti tradotto in merose lingue e prodotto per ventidue stagioni trattando un gran nu-mero di oggetti: dai tappeti, ai cavi elettrici, alle lattine in alluminio. Tale capacità di divulgazione del processo apre simbolicamente le porte delle fabbriche agli spettatori mostrando la magia della produz-ione a tutti.

L’occultamento

della tecnica

(31)

Anche nel mondo del de-sign la tematica dell’oc-cultamento e divulgazione dei processi è molto con-temporanea, ritrovandosi spesso manifesta in nu-merosi progetti. Andramo nei capitoli successivi ad analizzare la grande quan-tità di casi studio che lo dimostrano. Occorre però introdurre questo rappor-to con l’esempio della bel-la mostra "In the making" curata dal duo di designer londinesi Barber e Osgerby al Design Museum di Lon-dra.

L’esposizione mostra i pro-cessi produttivi di molti oggetti congelandoli in una fase intermedia. Il vis-itatore può perciò rendersi conto delle fasi del proces-so: anche perchè ogni og-getto è affiancato ad una percentuale che indica a che punto processo è stato interrotto.

È possibile perciò osservare un telo di tessuto giallo dal quale man-cano le forme fustellate utilizzate per le palline da tennis, tavolette di legno accoppiato per creare le matite, o un volume di vetro colorato dal quale vengono ricavate le biglie.

Personalmente ho trovato i semilavorati trattati in questa mostra es-tremamente interessanti, perchè evidenziano la tendenza dei designer a spingersi in maniera preponderante verso il processo produttivo.

Traspare da questi quasi oggetti, embrioni di cose che non

sono ancora, il rapporto forte che c’è tra il disegno e la

pro-duzione, affiancando cioè il talento creativo al sapere tecnico.

Semilavorato della mostra" In the making", matite barberosgerby.com

oggetto della mostra" In the making", biglia barberosgerby.com

Semilavorato della mostra" In the making", biglie barberosgerby.com

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Questa mostra non è, come detto, una mosca bianca nel panorama del design. Sembra quasi che presentare l’oggetto così com’è non bas-ti più e vengano perciò indagate vie alternabas-tive per trattare l’oggetto mostrando la materia prima di essere lavorata, il processo interrotto, i disassemblaggi ecc.

Quest’ultima tecnica è stata da prima indagata dal mondo artistico, tra gli altri da Fabian Oefner, con esplosi di modellini di automobili e da Todd Mclellan con le bellissime composizioni di oggetti smontati. L’artista disassembla oggetti tecnici, ricchi di dettagli meccanici e gli dispone sul piano con una cura maniacale svelando la complessità dell’oggetto stesso.

Composizione, Todd Mclellan http://www.toddmclellan.com

Minù, Valerio Sommella, United Pets, 2013 http://www.sommella.com

Form us with love, plug lamp per ateljé lyktan http://www.designboom.com

Simili metodi di rappresentazione si possono trovare anche nei siti dei designer che spesso mostrano i loro progetti smontati e disposti su un piano ortogonale. Come nei casi riportati sotto della lampada Plug dello studio Form Us With Love, e della gattiera Minù di Valerio Sommella, gli oggetti vengono disassemblati per mostrare le singole compoenti ed evidenziare le capacità nel disegno.

Mettere a nudo gli oggetti è una operazione che reputo molto interes-sante perchè da forma alla presenza di una comunity di professinisti e addetti che si interessa anche al dettaglio tecnico e che richiede perciò un grado di analisi superiore dell’oggetto.

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