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"Studio pilota del rischio clinico nella malattia aterosclerotica carotidea mediante un approccio anatomo-funzionale multi-imaging della placca"

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INDICE

1 LA PLACCA ATEROSCLEROTICA CAROTIDEA E

LA SUA DIAGNOSI

1.1 Premesse Pag.4 1.2 Epidemiologia e fattori di rischio Pag.6 1.3 Patogenesi Pag.10 1.4 Diagnosi ed evoluzione Pag.14 1.4.1 Presentazione clinica Pag.15 1.4.2 Diagnosi Strumentale Pag.16 1.4.3 Evoluzione Morfologica della placca Pag.18

2

ECD

E

ANGIO-TC:

TECNICA

E

RUOLO

NELL’INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO DELLA

PLACCA ATEROSCLEROTICA

2.1 ECD e principi fisici di funzionamento Pag.22 2.1.1 Metodologia della tecnica ECD nella lesione carotidea Pag.29 2.1.2 Variabili che condizionano l'accuratezza diagnostica Pag.31 2.2 Angio-TC e principi fisici di funzionamento Pag.33 2.2.1 Metodologia della tecnica Angio-TC nella lesione carotidea Pag.35 2.2.2 Variabili che ne condizionano l'accuratezza diagnostica Pag.42 2.3 L'importanza di una diagnosi e valutazione combinata della placca

aterosclerotica Pag.43

3 STUDIO DELLA PLACCA ATEROSCLEROTICA

MEDIANTE APPROCCIO MULTI-IMAGING IN 22

LESIONI CAROTIDEE

3.1 Background Pag.45 3.2 Scopo Pag.46 3.3 Metodi Pag.47 3.4 Analisi statistica Pag.49 3.5 Risultati Pag.50 3.6 Conclusioni Pag.61

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ABSTRACT

La frequenza con cui viene fatta diagnosi della presenza di placca aterosclerotica a livello carotideo è aumentata nel corso degli ultimi anni. Fortemente legata ad uno stile di vita occidentale in cui il benessere socioeconomico ha fatto sì che la dieta divenisse ricca di grassi saturi, l’attività fisica diminuisse e l’aspettativa di vita aumentasse, la malattia aterosclerotica trova nello sviluppo della placca a livello carotideo una delle sue più comuni presentazioni. Identificare e valutare questo tipo di lesioni in maniera precoce ci consente di studiare una strategia di approccio terapeutico adeguata. Le linee guida odierne indicano come significativa una stenosi superiore al 70% in assenza di sintomatologia; per questo tipo di lesione ad oggi è suggerito l’intervento chirurgico in ottica preventiva di possibili sintomi neurologici futuri. In realtà il meccanismo con cui si manifesta la placca carotidea non dipende esclusivamente da un meccanismo di ostruzione locale (emodinamico), bensì è presente anche il meccanismo trombo-embolico. Quindi stratificare il rischio di sviluppare sintomi sulla base della sola % di ostruzione può rivelarsi non sufficientemente adeguato.

Ad oggi, essere in grado di ottenere il maggior numero di informazioni sulla placca -tramite esami non invasivi quali l’Eco-Color-Doppler (ECD) e l’Angio-TC- come la dimensione, la sede, la morfologia risulta essere un aiuto quanto mai importante nella decisione di intervento da parte del chirurgo vascolare. A causa della impossibilità di valutare la parte intracranica della carotide interna e del circolo cerebrale, della scarsa standardizzazione dell’esame ECD e della sua quasi totale dipendenza dall’operatore, seppur assolutamente non invasivo e privo alcun rischio, questa tecnica di imaging viene ad oggi affiancata dalla Angio-TC. Lo scopo di questo studio è quello di valutare l’accuratezza diagnostica e l’adeguatezza di questi due esami di imaging nell’analisi di un gruppo di 47 placche. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad entrambi gli esami tra il 2016 e il 2018 in varie strutture ospedaliere che hanno coinvolto anche il reparto di Chirurgia Vascolare di Cisanello, sia per quanto riguarda la diagnosi, sia per l’intervento. Del gruppo di pazienti iniziale sono state acquisite le immagini Angio-TC, i referti, l’anamnesi e la morfologia della placca ex-vivo. Man mano che lo studio

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è stato portato avanti, con l’aiuto dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR (IFC), sono stati selezionati, scartando per carenza di informazioni e difficoltà pratiche (incompletezza delle cartelle elettroniche, errori nella visualizzazione dei file riguardanti le Angio-TC e personali difficoltà nelle misurazioni delle stenosi) alcuni pazienti, ottenendo un numero di 22 placche totali (11 sintomatici e 11 asintomatici). Nell’analisi condotta sono stati posti a confronto questi due gruppi e successivamente sono stati confrontati anche in base al sesso. La valutazione è stata incentrata sulla presenza di molteplici fattori di rischio, sul referto ECD, sul referto radiografico, sulla descrizione della placca ex-vivo e sulla valutazione della quantità di calcio all’interno della placca, sfruttando software per l’analisi delle immagini Angio-TC.

L’intento di questo percorso è quello di evidenziare come l’aiuto fornitoci dall’Angio-TC, sia potenzialmente incrementabile nel tempo con lo sviluppo di software utili ad una valutazione morfologica della placca ad un livello di dettaglio ad oggi non sfruttato. La reale necessità è quella di individuare la placca a rischio, ovvero caratterizzata da una instabilità di struttura (poco calcifica, grosso core lipidico spessore ridotto del cappuccio fibroso), che può rendersi clinicamente manifesta tramite meccanismo embolico e saperla distinguere da quella stabile. Questo, nel tentativo di sottolineare ulteriormente la necessità di una distinzione delle placche in base agli elementi che le costituiscono e quindi dell’utilità di una valutazione così approfondita per una miglior strategia di intervento.

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1 LA PLACCA ATEROSCLEROTICA CAROTIDEA E

LA SUA DIAGNOSI

1.1 Premesse

Negli ultimi anni la malattia aterosclerotica e la sua patogenesi sono state largamente studiate. Lo sviluppo economico e la urbanizzazione hanno aumentato l’aspettativa media di vita ed incoraggiato abitudini alimentari scorrette (es. eccessiva assunzione di grassi saturi) nonché la riduzione dell’attività fisica favorendo l’aterogenesi. Questi fattori ambientali si sono diffusi a tal punto che oggi ci troviamo di fronte ad una vera e propria epidemia di aterosclerosi che ormai non riguarda più soltanto le società occidentali1.

Oggi la conoscenza della biologia del processo aterosclerotico si rivela utile nell’attività clinico-chirurgica di tutti i giorni data la sua ampia diffusione. L’aterosclerosi può colpire diffusamente sia le arterie di grande calibro, sia quelle di medio calibro ed abbiamo inoltre iniziato a capire perché colpisca preferenzialmente alcuni tratti dell’albero arterioso e perché le sue manifestazioni cliniche compaiano solo in alcuni momenti. La aterosclerosi mostra anche una certa eterogeneità nei tempi di comparsa seppur tipicamente ha un decorso silente ed un lungo periodo di inattività clinica al termine del quale le complicanze più temute come l’infarto miocardico o l’ictus si manifestano in maniera improvvisa e spesso senza preavviso. Lontana dall’essere un semplice problema di accumulo di colesterolo, la formazione della placca e la sua evoluzione sono ad oggi considerate come processi dinamici in natura. La formazione aterosclerotica piuttosto che seguire una progressione lineare di degenerazione, può subire delle improvvise accelerazioni nella crescita o delle fasi di regressione. Poiché ancora lontani dalla piena conoscenza della fisiopatologia, questo aspetto di crescita ci fa supporre che il processo non sia soltanto degenerativo. I cambiamenti all’interno del cappuccio fibroso di natura infiammatoria possono rendere vulnerabile la placca alla rottura e alla ulcerazione. Le più utili indagini di imaging ad oggi disponibili per quanto riguarda la valutazione della malattia

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aterosclerotica sono rappresentate dall’Eco-Color-Doppler (ECD), dalla Risonanza Magnetica (RMN) e dalla Angio-TC (CTA); queste ci forniscono dati sulla morfologia e sulle conseguenze emodinamiche della placca. Proprio sull’aspetto emodinamico si basano i protocolli di intervento per la rimozione di placche nei soggetti asintomatici; mentre la contemporanea presenza di sintomi e una placca evidenziata come causa scatenante, rappresentano i criteri d’intervento per i soggetti sintomatici. Per essere precisi, in ambito carotideo si suggerisce l’intervento chirurgico a quei pazienti asintomatici che presentano una ostruzione >70%, oppure pazienti con sintomatologia ed una percentuale di ostruzione anche solo del 50%2-3. La gravità della presenza di una placca aterosclerotica carotidea non è tanto riferita alla possibilità di occlusione completa del vaso (processo a lungo termine data la progressione nel tempo intrinseca della malattia che darebbe modo di sfruttare meccanismi di compenso), quanto piuttosto al meccanismo embolico, che potrebbe determinare nell’acuto un danno praticamente certo al parenchima cerebrale. Per questo motivo riuscire ad individuare quelle placche a rischio embolizzazione (definite instabili) permetterebbe di candidare ad intervento solo i soggetti che ne trarrebbero un reale beneficio. Una distinzione infatti tra placca stabile ed instabile è ben conosciuta4-6, ma seppur qualitativamente indagabile, non si è riusciti ad inserire questo criterio morfologico nella decisione di intraprendere o meno l’intervento chirurgico. In effetti ad ora non si riesce a discriminare quei pazienti asintomatici con una ostruzione >70% che svilupperanno i sintomi da quelli che invece continueranno ad avere una malattia aterosclerotica subclinica. Per questo motivo, i vari progressi nelle tecnologie diagnostiche di imaging sono dirette a fornire al clinico sempre maggiori informazioni riguardanti l’aspetto qualitativo morfologico della placca e quindi aiutarlo nell’aspetto decisionale di seguire un follow-up, piuttosto che eseguire l’endoarterectomia7. La comprensione quindi di questi processi aiuta il chirurgo vascolare nello sviluppo di strategie di trattamento per ciascuna delle sindromi cliniche di aterosclerosi che costituiscono un vasto problema di salute globale.

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1.2 Epidemiologia e Fattori di Rischio

Ogni anno negli Stati Uniti si registrano approssimativamente 800000 casi di ictus (di questi circa 185000 sono ricorrenti) così distinti: l’87% di tipo ischemico e 13% emorragico. Il rischio di stroke è inoltre maggiore nelle donne data la loro maggior aspettativa di vita rispetto agli uomini e la correlazione tra la malattia e l’avanzare dell’età. In considerazione del fatto che numerosi studi in questo campo hanno fallito nel dimostrare con certezza l’eziologia dello stroke ischemico in un’alta percentuale dei casi, i maggiori esperti in questo settore sostengono che almeno il 20% degli ictus ischemici sia da ricondurre alla stenosi carotidea8-10.

L’aterosclerosi è una patologia sistemica che coinvolge i vasi arteriosi di medio grosso calibro in cui lipidi e materiale fibroso si accumulano al di sotto dello strato intimale della parete. Con l’avanzare della comprensione della aterogenesi è stato introdotto il concetto dei fattori di rischio cardiovascolari utili nella prevenzione primaria e secondaria. La patologia cardiovascolare aterosclerotica rappresenta la principale causa di morte in ogni regione del mondo ad eccezione dell’Africa sub-Sahariana, superando, anche nelle nazioni più povere, le malattie infettive11.

Questo è il risultato di un incremento della qualità di vita dovuto ad un miglioramento delle condizioni sociosanitarie che hanno determinato un aumento dell’età media della popolazione, con l’inevitabile aumento dell’incidenza della malattia aterosclerotica.

Particolarmente preoccupante è l’incremento a cui si è assistito dei fattori di rischio CV in età precoce e nei giovani adulti. Uno stile di vita sedentario, obesità addominale ed una dieta ricca di grassi contribuiscono alla dislipidemia e ad una pressione sanguigna elevata. Studi autoptici nei bambini e giovani adulti dimostrano una connessione tra questi fattori di rischio e lesioni precoci12-14.

Alcuni dei fattori di rischio sono ereditari (di conseguenza ad oggi non ancora controllabili) mentre altri sono acquisiti o legati a fattori ambientali/comportamentali e quindi potenzialmente modificabili.

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L’interazione di questi fattori di rischio con la parete arteriosa inizia il processo aterosclerotico. L’input per la formazione ateromasica è la disfunzione endoteliale, che riconosce come i più importanti contributi alla sua genesi la perturbazione emodinamica, l’ipercolesterolemia e l’infiammazione.

Nell’eziologia sono però coinvolti anche il fumo di tabacco, l’iperomocisteinemia ed un ampio spettro di agenti infettivi. Anche le citochine pro-infiammatorie (es. TNF) possono stimolare l’espressione di geni pro-ateromasici nelle cellule endoteliali.

Nonostante si conoscano i principali fattori di rischio della malattia aterosclerotica, non esiste attualmente l’unanimità in merito alla loro classificazione; la più accreditata attualmente è quella stilata dall’American Heart Association (AHA) 15-18 (Figura 1) che distingue tre categorie: i “convenzionali”/”tradizionali” i quali hanno un ruolo causale diretto nell’aterogenesi; i “predisponenti” i quali determinano un rischio mediante i fattori convenzionali, ma potrebbero avere anche degli effetti indipendenti; ed i fattori di rischio “condizionali” che sono associati ad un aumento del rischio della

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CAD (Coronary Artery Disease), seppur non è bene documentato il loro contributo (attualmente si crede che aumentino il rischio in presenza dei fattori convenzionali). Da queste tre iniziali categorie si è passati ad introdurre i fattori di rischio emergenti o “marker” dell’aterosclerosi che comunque necessitano di studi confirmatori.

-Fumo: gli effetti avversi CV mediati dal fumo di sigaretta sono stati ampiamente indagati19 e coinvolgono la parete arteriosa tramite meccanismi di danno vascolare (danno alle cellule endoteliali, incremento dell’endotelina-1, dell’adesione piastrinica e leucocitaria e riduzione del NO); aumenta il tono simpatico, l’infiammazione e determina alterazione metaboliche come un incremento del colesterolo LDL, dei trigliceridi e dell’insulino-resistenza associato ad un decremento del colesterolo HDL. Anche l’esposizione al solo fumo passivo determina un aumento in circolo dei marker di danno endoteliale ed è stato visto come il suo effetto sia sinergico con l’iperlipidemia19. Attualmente inoltre non è possibile definire con certezza una

differenza di rischio tra sigarette ad alto contenuto di catrame e quelle a basso contenuto, giungendo quindi alla ovvia conclusione che l’astensione completa risulta essere la miglior prevenzione20.

-Diabete: la patologia in questione determina complicanze microvascolari (retinopatia e nefropatia) e macrovascolari caratterizzate appunto dall’aterosclerosi. Facilita lo sviluppo della patologia

aterosclerotica tramite vari meccanismi: alterazioni metaboliche, ipercoagulabilità, infiammazione, disfunzione vascolare e neuropatia. Questo conduce ad un cambio fenotipico del vaso sanguigno verso una forma facilitante l’aterogenesi caratterizzata da disfunzione endoteliale, stress

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cellula muscolare liscia vasale (Figura 2). Sia l’iperglicemia (DM tipo 1) sia l’insulino-resistenza (DM tipo 2) sono associate ad aterosclerosi21-22.

Iperlipidemia: il colesterolo LDL è uno dei fattori che con più sicurezza si associa allo

sviluppo della placca andando ad accumularsi nell’intima sotto forma di aggregati. Vari studi24-25 supportano questo importante ruolo, in primis la presenza di malattia aterosclerotica diffusa in pazienti di giovane età affetti da malattie genetiche riguardanti il metabolismo lipoproteico. Le particelle lipoproteiche tappezzano i proteoglicani dell’intima e vengono sottoposte a stress ossidativo all’interno dell’ateroma. Di conseguenza una dieta ricca di colesterolo e grassi saturi si associa indubbiamente come fattore predisponente allo sviluppo della placca, mentre valori bassi di colesterolo LDL, ottenuti tramite restrizione dietetica/farmaci anticolestrolemici, ed alti livelli di HDL risultano essere protettivi23,26.

-Ipertensione: valori aumentati di PA si riscontrano più comunemente tra gli afroamericani rispetto alla popolazione caucasica (la quale risulta comunque affetta)27 ed aumentano con l’avanzare dell’età. Una delle più forti correlazioni tra la PA e l’aterosclerosi è l’alterazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Studi28su

ratti infatti dimostrano come l’inibizione di questo sistema, indipendentemente dalla riduzione del valore pressorio, riduca la progressione dell’ateroma. Uno studio29 su

popolazione ipertesa e con alti livelli di colesterolo inoltre dimostra come la risposta all’angiotensina II sia esagerata nel gruppo con ipercolesterolemia e la stessa risposta sia attenuata dalla riduzione successiva del colesterolo. Risulta quindi importante la misura dell’indice di Winsor o ABI come dato predittivo di un rischio CV (se <0.9).

-Iperomocisteinemia: facilita la trombosi tramite la formazione di una rete di fibrina a maglie sottili, attivando la aggregazione piastrinica con i fattori V e VII ed il PAI. Promuove la differenziazione dei monociti tramite il NADH, riduce la disponibilità del NO, favorisce la formazione dei ROS e l’ossidazione delle LDL.

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1.3 Patogenesi

Con l’inizio di una dieta aterogena i lipidi cominciano a depositarsi nell’intima costituendo degli aggregati. Il legame tra lipoproteine e proteoglicani si rende responsabile del prolungato tempo di stazionamento grazie al quale si formerà la lesione precoce. Le LDL sono particolarmente soggette alla ossidazione e ad altre modificazioni chimiche ed inoltre determinano un aumento della permeabilità del monostrato endoteliale. Tra i fattori che contribuiscono allo stress ossidativo figurano le nicotinammide adenina dinucleotide/ nicotinammide adenina dinucleotide fosfato (NADH/NADPH) ossidasi espresse dalle cellule vascolari, le lipossigenasi espresse dai leucociti infiltranti o l’enzima mieloperossidasi30.

Un’altra caratteristica distintiva del processo aterogenetico è il reclutamento e l’accumulo dei leucociti. Normalmente l’endotelio oppone resistenza alle interazioni adesive dei leucociti, tuttavia con l’ipercolesterolemia cominciano a aderire e raggiungono l’intima attraverso la transcitosi dove, accumulando lipidi, divengono cellule schiumose31. Oltre i monociti anche i linfociti T tendono ad accumularsi tramite

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il legame con molecole di adesione espresse dal vaso come VCAM-1 (Vascular Cell Adhesion Molecule 1) che interagisce con l’integrina VLA-4 (Very Late Antigen 4) del leucocita; ma anche ICAM-1 (InterCellular Adhesion Molecule 1). Le selectine rappresentano l’altra grande famiglia di molecole per l’adesione leucocitaria; in particolar modo le più citate sono la Selectina-E e la Selectina-P che hanno un ruolo patogenetico nelle fasi successive facilitando il cosiddetto movimento saltatorio o rotatorio dei leucociti sull’endotelio32. Dopo aver aderito all’endotelio i leucociti

devono ricevere un segnale per penetrare attraverso il monostrato endoteliale. Il concetto attuale della migrazione direzionale implica l’azione delle chemochine; più nello specifico di MCP-1 (Monocyte Chemoattractant Protein 1) e della fractalchina che vengono prodotte dall’endotelio in risposta alle lipoproteine ossidate e facilitano il passaggio dei monociti. Un altro gruppo sono le chemochine selettive per i linfociti come CXCL-9/-10/-11. L’interferone-ℽ inoltre induce i geni che codificano per questa famiglia di citochine. Da notare che l’accumulo dei monociti non dipenda solo dal loro reclutamento, ma anche dalla loro ritenzione mediata dall’interazione della netrina-1 con il recettore UNC5b (indotti dall’ipossia)33.

L’eterogeneità spaziale delle placche è di difficile spiegazione; come fanno fattori di rischio in uguali concentrazioni nel sangue a determinare una lesione focale? La localizzazione preferenziale a livello della regione prossimale delle arterie dopo i punti di diramazione o biforcazione, dove il flusso si divide, suggerisce una base idrodinamica nello sviluppo precoce delle lesioni34. Le arterie senza molte diramazioni

(vd. a.mammaria interna) tendono a non sviluppare aterosclerosi.

Il flusso laminare che tendenzialmente prevale nelle zone dove non si sviluppano lesioni precoci può esercitare meccanismi omeostatici antiaterogeni (funzione ateroprotettiva). La cellula endoteliale avverte lo stress tangenziale laminare del flusso normale e le alterazioni di flusso nei siti preferenziali. Lo Shear Stress esprime l’energia cinetica dissipata sulla parete arteriosa dal sangue durante il suo moto e fornisce un indice dello stimolo meccanico ricevuto dall’endotelio.

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È il concetto del Wall Shear Stress35 (forza tangenziale), ovvero il prodotto del Wall Shear Rate, definito come il gradiente di velocità degli eritrociti rispetto al raggio dell’arteria, per la viscosità del sangue. Le cellule endoteliali sono dotate sulla parete apicale di recettori in grado di rilevare la tensione, trasmettere sollecitazioni al citoscheletro e regolare canali ionici o recettori accoppiati a proteine G che segnalano alterazioni dell’espressione genica (inclusi la superossido dismutasi SOD e l’ossido nitrico sintetasi NOS). L’ossido nitrico tra l’altro contrasta l’espressione di molecole come la VCAM-1 interferendo con il fattore di trasmissione nucleare kB (NFkB).

Un altro regolatore delle proprietà antinfiammatorie endoteliali è il KLF-2 che induce il NOS endoteliale. Quindi diversi meccanismi ateroprotettivi agiscono in modo che in condizioni normali di stress tangenziale laminare nelle arterie normali, l’endotelio esprime tonicamente una funzione antinfiammatoria ad azione locale.

Una volta inglobati i lipidi, il monocita diviene una cellula schiumosa o un macrofago carico di lipidi. I recettori scavenger mediano l’eccessivo accumulo lipidico insieme ad altri recettori come il CD36 e la macrosialina. Una volta divenute cellule schiumose nell’intima i macrofagi cominciano a moltiplicarsi probabilmente sotto stimolo di vari mediatori come il M-CSF o il GM-CSF o l’interleuchina-336. A questo punto si è

formata la stria lipidica, precursore del complesso ateromatoso.

Una volta che si è formata la lesione aterosclerotica queste cellule forniscono una ricca quantità di mediatori proinfiammatori come citochine, chemochine ed eicosanoidi e cominciano ad elaborare specie ossidanti come l’anione superossido o l’acido ipocloroso promuovendo l’infiammazione e la progressione tramite immunità innata37.

Un numero sempre maggiore di evidenze38 suggerisce un ruolo di primo piano per

l’immunità antigene specifica; gli antigeni che stimolano questo tipo di risposta sono le lipoproteine modificate, le proteine da shock termico, la β2 glicoproteina Ib e gli

agenti infettivi. I linfociti T-helper 1 tramite interferone- ℽ e TNF-α attivano le cellule della parete vascolare e portano alla destabilizzazione della placca e ad un’accresciuta trombogenicità; mentre i T-helper 2 ed i T-reg producendo IL-10 e TGF-β inibiscono l’infiammazione38. Le cellule T citolitiche promuovono l’apoptosi di cellule

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macrofagiche, muscolari lisce ed endoteliali. Il ruolo delle cellule B e degli anticorpi resta parzialmente inesplorato potendo avere ruolo ateroprotettivo e aterogenetico.

L’evoluzione successiva dell’ateroma in placche più complesse coinvolge anche le cellule muscolari lisce (SMC) le quali all’interno dell’intima delle arterie aterosclerotiche sembrano presentare un fenotipo meno maturo (con più reticolo endoplasmatico rugoso e meno fibre contrattili) rispetto alle quiescenti dello strato medio delle arterie sane. Oltre alla replicazione anche la morte di queste cellule può contribuire alla complicazione della placca. In particolare, alcune cellule T possono esprimere il ligando Fas (FS-7-associated surface antigen) che lega il recettore sulle SMC e determina, in associazione a citochine proinfiammatorie, la loro morte. Quindi l’accumulo delle SMC nella placca è il risultato di un “braccio di ferro” tra la loro replicazione e morte.

Nonostante il ruolo delle cellule sia importante, la maggior parte del volume di una placca è rappresentata dalla matrice extracellulare. Le principali macromolecole che si accumulano sono il collagene interstiziale di tipo I e III e proteoglicani come versicani, biglicani, aggrecani e decorina. Possono anche accumularsi fibre di elastina. Gli stimoli che provocano un’eccessiva produzione di collagene da parte delle SMC sono il PDGF ed il TGF-β. Anche la secrezione della matrice extracellulare dipende da un equilibrio tra sintesi e degradazione ad opera delle MMP (metalloproteinasi della matrice). La degradazione della matrice extracellulare è verosimilmente coinvolta anche nel rimodellamento arterioso che accompagna la crescita della lesione39.

Nella prima parte della vita di una lesione ateromatosa, la crescita delle placche avviene in direzione esterna, lontano dal lume provocando un aumento di calibro dell’intera arteria. Questo cosiddetto rimodellamento positivo, o dilatazione compensatoria, deve coinvolgere il ricambio delle molecole extracellulare, per favorire la crescita circonferenziale dell’arteria. La stenosi del lume tende a verificarsi solo dopo che lo spessore della placca ha superato il 40% circa dell’area della sezione trasversale.

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Crescendo le placche sviluppano una propria microcircolazione a causa della replicazione e della migrazione endoteliale. Questi microvasi si formano in risposta a peptidi angiogenici iperespressi nell’ateroma (VEGF, PlGF ed oncostatina M). I suddetti microvasi hanno probabilmente una considerevole importanza funzionale generando una superficie ampia per il passaggio dei leucociti, permette la crescita della placca apportando ossigeno e nutrienti. Infine, i microvasi possono essere friabili e predisposti alla rottura. Spesso durante la loro evoluzione le placche sviluppano aree di calcificazione grazie ad alcune sottopopolazioni di SMC che secernono alcune citochine, come le proteine morfogenetiche ossee, omologhe del TGF-β ( es. BMP-4, Bone Morphogenetic Protein 4)40.

1.4 Diagnosi ed evoluzione

Ad oggi non esistono protocolli di screening per quanto riguarda la malattia aterosclerotica, la quale quindi viene per lo più indagata nei soggetti a forte rischio di sviluppo in età avanzata. La peculiarità della eventuale sintomatologia neurologica può indurre il medico a indagare il circolo arterioso con esami di imaging, primi tra tutti l’ECD ed eventualmente la Angio-TC.

Al presente queste tecniche di diagnostica per immagini rappresentano un validissimo strumento per definire non solo la presenza, ma anche la localizzazione e l’estensione della placca stessa; l’insieme di tutte queste informazioni contribuisce in modo fondamentale alla agevolazione della diagnosi migliorando quindi anche la decisione riguardante la scelta terapeutica.

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1.4.1 Presentazione clinica

Ovviamente la clinica con cui si presenta il paziente in questo caso sarà di tipo neurologico per un calo dell’apporto di ossigeno al tessuto cerebrale. In condizioni basali l’encefalo riceve il 15% della gittata cardiaca e consuma il 25% dell’ossigeno inspirato. Il flusso ematico cerebrale (CBF) è di circa 50mL/100g/min e dipende dalla pressione di perfusione cerebrale (CPP) e dalle resistenze cerebrovascolari (CVR). Il CBF rimane costante per valori di PA compresa tra 60mmHg e 160mmHg in rapporto all’autoregolazione cerebrale che rappresenta la capacità intrinseca dei vasi cerebrali di mantenere costante il flusso ematico in presenza di modifiche della PA, attraverso modificazione delle resistenze41.

In presenza di ischemia si verifica una lesione della barriera ematoencefalica con aumento della permeabilità capillare, fuoriuscita di plasma e edema vasogenico associato al blocco del metabolismo aerobico con aumento dell’acido lattico e blocco della pompa sodio-potassio con conseguente danno citotossico. Un’ischemia che dura più di 4 ore determina un danno irreversibile al tessuto nervoso e pertanto la finestra terapeutica va intesa come un ripristino del flusso cerebrale entro le 4 ore per prevenire l’irreversibilità del danno.

I meccanismi con cui può verificarsi la lesione ischemica sono essenzialmente due: il tromboembolico, in cui materiale embolico (frammenti di placca, tromboaggregati piastrinici, etc) proveniente da una placca carotidea viaggia spinto dalla corrente sanguigna fermandosi, occludendolo, in un vaso intracranico delle sue stesse dimensioni; e il meccanismo emodinamico in cui la riduzione del lume vasale per l’aumento di volume della placca determina la riduzione del flusso a valle.

Occorre a questo punto fare una distinzione in base alla pericolosità che risulta influenzata dalla presenza e dall’efficacia del circolo collaterale, dall’autoregolazione cerebrale, dalla durata e dalla gravità dell’ipoafflusso, dall’importanza anatomica e funzionale dell’area in sofferenza ischemica.

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Per TIA si intende la comparsa improvvisa di segni e sintomi riferibili a deficit focale cerebrale o visivo attribuibile ad un insufficiente apporto di sangue della durata inferiore alle 24h. Si parla di TIA in crescendo in presenza di due o più episodi riferibili a TIA in 24h con completa risoluzione della sintomatologia tra l’uno e l’altro. Il TIA scaturito dalla lesione carotidea si manifesta con amaurosi fugace (cecità transitoria monoculare omolaterale), emianopsia laterale omonima, disartria (non riesce ad articolare le parole, farfuglia), afasia (problema cognitivo per cui non riesce ad esprimere il concetto) se interessato l’emisfero dominante, deficit motorio (paresi/plegia) o sensitivo (parestesia o ipoestesia) all’emifaccia e/o arto controlaterale (deviazione della rima buccale).

Per ictus o stroke si intende invece l’improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focali e/o globale (coma) delle funzioni cerebrali con durata superiore alle 24h. L’ictus in evoluzione è un peggioramento del deficit neurologico attribuibile ad estensione della lesione cerebrale stessa. In rapporto agli esiti invece si può distinguere un ictus minor in cui si ha minima compromissione dell’autonomia nelle attività di vita quotidiana; ed un ictus major quando l’autonomia è gravemente compromessa.

I sintomi riferibili ad una occlusione della cerebrale media e di quella anteriore (ictus carotideo) sono: emiplegia ed emianestesia controlaterale, amaurosi, afasia, aprassia/agnosia spaziale unilaterale, confusione mentale, stupore, coma. L’ictus vertebro-basilare, a seconda che sia interessato il tronco cerebrale, la cerebrale posteriore o il sistema vertebrale può manifestarsi con vertigini, atassia, disturbi posturali, ipostenia e parestesia bilaterale, degli arti, riduzione del visus o cecità bilaterale, tetraparesi e tetraplegia.

1.4.2 Diagnosi Strumentale

Oltre all’aspetto clinico, va considerato l’aiuto fornitoci dall’imaging per la valutazione delle arterie cerebroafferenti, del circolo intracranico e del parenchima cerebrale. L’esame di prima scelta per la valutazione del tratto extracranico delle

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carotidi è senza alcun dubbio l’eco-color-doppler (ECD). Tramite questa indagine è possibile individuare la lesione carotidea, quantificarne la severità da un punto di vista morfologico ed emodinamico. La valutazione della percentuale di stenosi ottenuta tramite la valutazione morfologica si presta però a grandi variabilità in base al criterio utilizzato (NASCET e ECST sono quelli attualmente utilizzati); inoltre essendo operatore dipendente si insinua nella pratica una variazione dell’oggettività della misura notevole.

Nella diagnostica di secondo livello invece troviamo un valido aiuto nell’utilizzo dell’Angio-TC ed eventualmente nella risonanza magnetica ed angiografia. Tramite l’analisi tomografica si ottengono sicuramente delle informazioni maggiori per quanto riguarda l’aspetto morfologico, ma soprattutto si riesce ad indagare anche quei tratti che risultano difficoltosi nell’analisi ECD come il tratto intracranico della CI o in casi di anomalie di percorso come kinking (decorso tortuoso con inginocchiamento) o coiling (decorso a spirale lungo l’asse trasversale) della stessa arteria42. Il parametro però su cui si basa la scelta dell’esecuzione o meno dell’intervento (non l’unico parametro preso in considerazione) è la velocità di flusso ottenuta con l’ECD, che è una misurazione indiretta del grado di stenosi del vaso, in quanto maggiore è la stenosi e maggiore sarà la velocità di flusso.

Di conseguenza le indagini di secondo livello ci forniscono per lo più informazioni già ottenute tramite ECD, ma in casi peculiari risultano estremamente utili ai fini della preparazione della strategia di intervento. L’angio-RM, anch’essa riservata a casi specifici, mostra due difetti maggiori ovvero tende a sovrastimare le stenosi e non è in grado di mostrare le calcificazioni (aspetto importante per quanto riguarda la valutazione della instabilità di placca); l’esame angiografico è invece molto dettagliato a riguardo del lume, ma non ci mostra la parete vasale e risulta ovviamente più invasivo (per questo non più usato in fase diagnostica). Concludendo quindi come indagine di imaging di secondo livello è sicuramente più utilizzata la Angio-TC perché ci consente di apprezzare con sufficiente precisione tratti vascolari non altrimenti indagabili seppur non in grado di fornire informazioni emodinamiche43.

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Una volta individuata la placca a livello carotideo (tendenzialmente coinvolgente la biforcazione per i motivi suddetti di alterazione del flusso laminare) si cerca quindi di studiarne le caratteristiche mediante ECD: ecogenicità in primis ovvero sapere indicativamente se la placca contiene al suo interno calcio (che la rende più stabile), la sede, la sua estensione, la stenosi, il PSV (Picco Sistolico Carotideo) ed altri parametri emodinamici44. A questi valori dell’ECD si aggiunge quindi una accuratezza maggiore con la angio-TC ad esempio ci permette di evidenziare l’eccentricità della placca stessa e la ricostruzione tridimensionale dell’esame, la MPR (ricostruzione multi planare)45,

la sua lunghezza ed eventualmente la presenza di placche in altre zone non inizialmente indagate.

1.4.3 Evoluzione Morfologica della placca

Le fasi precedentemente descritte durano di solito molti anni, durante i quali il soggetto è quasi sempre asintomatico. Quando però le dimensioni della placca eccedono le capacità dell’arteria di effettuare un rimodellamento verso l’esterno, inizia il coinvolgimento del lume arterioso. Durante la fase asintomatica la crescita avviene in maniera discontinua, con fasi di quiescenza alternate a fasi di rapida progressione.

Quindi la fase sintomatica comincia a distanza di anni dall’inizio della lesione e può essere causata da un meccanismo emodinamico oppure embolico, ma che comunque corrispondono ad alterazioni morfologiche della placca.

Le complicanze che si possono sviluppare sono in dipendenza della stabilità della placca stessa; una placca calcifica o fibro-calcifica infatti corrisponderà ad un tipo di placca stabile in cui difficilmente si troverà la sovrapposizione di un processo tromboembolico. Al contrario, una placca molle, lipidica, sarà più soggetta a questo tipo di complicanze per la sua intrinseca fragilità di parete.

Parlando in primis della rottura del cappuccio fibroso, questo può essere il risultato di uno squilibrio tra le forze che vi agiscono e la resistenza meccanica dello stesso. Il metabolismo del collagene partecipa probabilmente alla regolazione della

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suscettibilità alla rottura. I fattori che ne riducono la sintesi da parte delle SMC possono compromettere la capacità riparativa del cappuccio. Ad esempio, l’interferone-ℽ inibisce fortemente la sintesi, mentre il TGF-β (Transforming Growth Factor-beta) e il PDGF (Platelet-Derived Growth Factor) la aumentano rinforzando la struttura della placca fibrosa46.

Oltre alla ridotta sintesi, anche un aumentato catabolismo della matrice extracellulare contribuisce all’indebolimento del cappuccio facilitando la trombosi. Gli stessi enzimi coinvolti nel reclutamento delle SMC e del rimodellamento arterioso contribuiscono all’indebolimento. I macrofagi in fase avanzata ad esempio iperesprimono le MMP e le catepsine elastolitiche. Pertanto, la resistenza della placca è regolata in modo dinamico attraverso la risposta infiammatoria dell’intima e l’apposizione del collagene. La rottura della placca è in effetti correlata alla presenza di un cappuccio fibroso sottile, un deficit delle SMC che sono fonte di collagene di nuova sintesi47-48.

Analizzando le placche andate incontro a rottura si nota come in queste sia presente una caratteristica microanatomica peculiare; ovvero un cospicuo accumulo di macrofagi con grandi quantità di lipidi49. Da un punto di vista biomeccanico la grande

concentrazione di lipidi è responsabile della criticità di rottura frequente. Da un punto di vista metabolico, invece, l’attivazione dei macrofagi produce citochine ed enzimi che degradano la matrice e regolano alcuni aspetti dell’apoptosi delle SMC. I macrofagi apoptotici e le SMC possono produrre un fattore tissutale che agisce da potenziale promotore della trombosi vascolare dopo rottura di placca. Il successo della terapia ipolipemizzante deriva quindi da una riduzione dei lipidi all’interno della placca e dalla ridotta infiammazione che ne consegue50.

Per quanto riguarda invece l’erosione superficiale della placca i meccanismi molecolari sottostanti rimangono poco chiari. L’apoptosi delle cellule endoteliali potrebbe contribuire alla desquamazione in queste aree di erosione. Allo stesso modo, le MMP della matrice come alcune gelatinasi che degradano il collagene non fibrillare tipico della MB, possono anche scindere i legami delle cellule endoteliali dalla lamina basale sottostante promuovendo la desquamazione51-52.

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Quindi cicli ripetitivi di rottura di placca, trombosi in situ e cicatrizzazione contribuiscono alla evoluzione della lesione e alla crescita della placca. Gli episodi di trombosi e cicatrizzazione rappresentano una fase critica nella storia della placca che può causare una accelerazione della proliferazione delle SMC, della migrazione e della sintesi della matrice. La trombina, generata nei siti di trombosi murale53, stimola fortemente la proliferazione delle SMC. L’ateroma fibrocalcifico inerme può quindi rappresentare una tarda fase evolutiva di una placca in precedenza ricca di lipidi con caratteristiche associate a rottura ma resa fibrosa ed ipocellulare a causa di una risposta riparativa.

L’associazione tra l’istopatologia trovata nella placca carotidea e la presenza di sintomatologia cerebrovascolare è nota da molto tempo. In uno studio del 2006 (Oxford Plaque Study)54 sono state analizzate le placche di pazienti sottoposti ad intervento di endoarterectomia. Le placche sono state classificate sulla base dell’infiltrato infiammatorio e di una complessiva instabilità in: stabile (ovvero una placca per lo più fibrosa con cappuccio spesso ed intatto), essenzialmente stabile (presente qualche caratteristica di instabilità, ma con il cappuccio fibroso ancora intatto), instabile con cappuccio intatto (cappuccio sottile, ampio core lipidico, ma assenza di rottura o trombo superficiale) ed instabile con cappuccio rotto (presente la rottura o il trombo). I risultati mostrano come una profonda infiammazione della

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placca, in particolar modo l’infiltrato dei macrofagi, sia la caratteristica più fortemente associata con la rottura del cappuccio.

La meta-analisi di uno studio clinico successivo55 ha dimostrato una diversa incidenza

di aspetti patologici sulle placche di sintomatici ed asintomatici, come ulcerazione, trombosi ed emorragia intraplacca. I ricercatori hanno concluso che la placca carotidea ulcerata è significativamente correlata con gli eventi neurologici. L’associazione tra l’emorragia intraplacca e la manifestazione clinica è invece meno chiara.

L’insieme di queste caratteristiche porta alla luce quindi il concetto di placca vulnerabile ad alto rischio. La combinazione di studi di imaging e di indagini con marcatori di flogosi (es. proteina C reattiva) supporta la natura diffusa e sistemica dell’instabilità degli ateromi negli individui a rischio. La trombosi infatti non dipende solo dalla placca che può rompersi, ma anche dalle cellule e dalle sostanze libere nel sangue che reagiranno con la superficie erosa della placca. La quantità di fattore tissutale nel core lipidico di una placca può regolare il grado di formazione d coaguli post-rottura.

Il livello di fibrinogeno nel sangue invece influisce sulla possibilità che la rottura di una placca causi un trombo occlusivo. Analogamente livelli elevati di inibitori della fibrinolisi (es. PAI-1) ostacolano gli enzimi fibrinolitici nella limitazione del trombo 56-57. L’infiammazione quindi regola non solo il ruolo “solido” della placca, ma anche

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ECD

E

ANGIO-TC:

TECNICA

E

RUOLO

NELL’INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO DELLA

PLACCA ATEROSCLEROTICA

2.1 ECD e principi fisici di funzionamento

L’ ultrasonografia accomuna un insieme di tecniche utilizzanti fasci di ultrasuoni (US) con la finalità di ottenere informazioni diagnostiche -morfologiche e funzionali- sulle strutture corporee. Poiché le misure necessarie a tal fine sono riferite non alla componente «trasmessa» del fascio ma a quella «riflessa», viene comunemente utilizzato per queste tecniche il prefisso “eco” e per il loro insieme la dizione ecografia. Alcune tecniche forniscono immagini di sezioni corporee (ecotomografia), altre, tracciati più o meno complessi (ecografia A-mode e TM-mode; tracciati Doppler), altre infine immagini e tracciati intimamente integrati sì da costituire entità morfofunzionali peculiari per la valutazione dei flussi vascolari (color- e power-Doppler) e dell'elasticità tissutale (elastosonografia). Loro pregi principali sono la pressoché assoluta innocuità per quanto concerne gli effetti biologici, la praticità e rapidità di realizzazione delle indagini (effettuabili anche con apparecchiature portatili, e comunque ormai diffuse), il costo globale contenuto. Loro difetti principali sono la necessità di interpretazione immediata, «in tempo reale», del risultato, e la dipendenza di questo dalla perizia dell'operatore58.

In ecografia assume rilievo particolare la frequenza del fascio di US, cioè il numero di cicli di compressione e rarefazione nell’unità di tempo. All’aumentare della frequenza migliora la risoluzione spaziale lungo l’asse di propagazione del fascio, ma allo stesso tempo aumenta proporzionalmente l’assorbimento, di conseguenza però l’intensità del fascio si riduce drasticamente in profondità ed è possibile quindi solo uno studio delle strutture corporee più superficiali.

L’ecografo è costituito fondamentalmente da: un trasduttore che genera il fascio di US e riceve gli echi di ritorno; un sistema elettronico che guida il trasduttore nel suo ciclo

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elettroacustico ed elabora il segnale; un convertitore di scansione che digitalizza e memorizza i dati mentre procede la scansione e li converte successivamente nel formato richiesto; un sistema di visualizzazione e di registrazione dell’immagine o del tracciato.

I trasduttori possono essere lineari, settoriali o trapezoidali (detti comunemente convex). Quelli lineari necessitano di un’ampia finestra acustica di accesso e forniscono un’immagine di formato rettangolare particolarmente utile nello studio d’insieme di strutture superficiali e di media profondità; quelli settoriali consentono un favorevole accesso attraverso finestre acustiche limitate e forniscono un’immagine di formato radiale “a settore di cerchio”, con buona visualizzazione delle strutture profonde; quelli convex necessitano di una finestra acustica di accesso cutaneo poco più ampia rispetto ai settoriali e forniscono un’immagine di formato radiale “a cono tronco”, con buona visualizzazione delle strutture di media profondità e profonde58.

Il processo di eccitazione dei cristalli assume quindi maggiore precisione nel calcolo dei ritardi di attivazione, permettendo grande flessibilità nella modulazione delle caratteristiche del fascio che risulterà ottimizzato per ottenere focalizzazioni multiple in trasmissione e ricezione, nonché larga ampiezza di banda. Questo processo, reso possibile dall’aumento della potenza di calcolo degli elaboratori, si riflette in un significativo miglioramento della risoluzione spaziale, della risoluzione di contrasto e della risoluzione temporale dell’immagine ecotomografica.

Con il termine “doppler” si fa riferimento al fenomeno individuato da Johann Christian Doppler: la frequenza di un ‘onda ultrasonora che incontra una struttura in movimento subisce una variazione di entità direttamente proporzionale alla velocità del movimento stesso, in aumento se la struttura si muove avvicinandosi al trasduttore, in diminuzione se la struttura si allontana dal trasduttore58-59.

Le apparecchiature ecografiche in grado di evidenziare l'effetto Doppler confrontano fra loro, istante per istante, le frequenze dell'onda incidente (fi) e dell'onda riflessa (fr),

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Il Doppler shift dipende dalla velocità della struttura-bersaglio secondo la relazione:

Doppler Shift = (2 fi V cos𝛼)/c

dove: fi è la frequenza dell'onda incidente; V la velocità di movimento della

struttura-bersaglio; α l'angolo di incidenza del fascio di US rispetto alla direzione di movimento della struttura-bersaglio; c la velocità di propagazione degli US nei tessuti molli, pari a 1540 m/s.

Nella pratica clinica la struttura in movimento è costituita dal sangue e il Doppler shift è prodotto dalla diffusione del fascio di US a seguito dell'interazione con i globuli rossi. Mentre fi e fr risiedono nel campo ultrasonoro (MHz) e non sono quindi udibili,

il Doppler shift risiede nel campo sonoro (kHz) e può quindi essere amplificato sì da divenire udibile. Durante l'indagine, quindi, l'operatore ascolta dei suoni le cui frequenze variabili nel tempo sono direttamente correlate alla velocità del sangue. Benché l'orecchio umano sia uno strumento sensibilissimo nell'analizzare questi suoni, la necessità di schematizzarli, aggettivarli e registrarli ha indotto allo sviluppo di strumenti analizzatori di spettro che permettono di riportare all'interno di un sistema di assi cartesiani un tracciato spettrale nel quale sono rappresentate simultaneamente tutte le frequenze rilevate, l'intensità e la fase di ciascuna di esse, e le variazioni nel tempo. Una volta noti l'angolo α e la fi, determinando il Doppler shift è possibile

risalire alla velocità del flusso ematico.

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L’analisi del tracciato spettrale permette inoltre di acquisire indicazioni sulla presenza, sulla direzione e sul tipo di flusso (arterioso, venosa, laminare, turbolento, etc.), e di determinare attraverso appositi programmi di calcolo indici importanti per la sua caratterizzazione.

Sono disponibili, nella pratica, tecniche Doppler non selettive di profondità (Doppler continuo) e tecniche Doppler selettive di profondità (Doppler pulsato).

Nel Doppler continuo sono utilizzati due cristalli piezoelettrici indipendenti montati sullo stesso supporto: uno emette un fascio continuo di US di frequenza definita, l'altro riceve il fascio riflesso. Questa tecnica non ha limite di velocità misurabile ma non consente neppure risoluzione di profondità; viene quindi impiegata comunemente per lo studio dei flussi nei vasi superficiali.

Nel Doppler pulsato sono utilizzate sonde convenzionali per ecotomografia in cui il cristallo (unico o multiplo) è alternativamente posto in fase di emissione e di ricezione. Il vaso da esaminare viene scelto sotto guida dell'immagine ecotomografica. In questo modo, posizionando il volume di campionamento del segnale all'interno del vaso prescelto, è possibile ottenere informazioni sul flusso ematico nel suo contesto, eliminando sovrapposizioni o interferenze dovute a vasi sovra- o sottostanti. Il procedimento, quindi, consente risoluzione di profondità.

Il Doppler continuo ha indicazioni limitate allo studio dei distretti corporei nei quali la mancanza di sovrapposizione vascolare non richiede risoluzione di profondità (tronchi aortici, vasi periferici degli arti). I sistemi Doppler pulsato viceversa offrono grandi possibilità di rappresentazione dei flussi vascolari. Tre sono le modalità di utilizzo: l'eco-Doppler, il color-Doppler e il power-Doppler.

Nell'eco-Doppler il volume campione è posizionato lungo una linea di vista dell'immagine ecotomografica all'interno del vaso oggetto di valutazione, sì da poterne rappresentare il flusso nell'analisi spettrale. La procedura di selezione del vaso avviene in tempo reale, sotto controllo visivo. Il color- e il power-Doppler offrono invece la rappresentazione simultanea dell'immagine ecotomografica e dell'informazione di

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flusso. L’immagine risultante è quindi la somma di due componenti: una ecotomografica e una propriamente Doppler. Il color- e il power-Doppler non fanno uso dell'analisi spettrale, alla quale si può comunque ricorrere in una seconda fase per ottenere un approfondimento mirato.

Interpretazione delle onde del doppler

Le normali arterie periferiche a riposo hanno un aspetto trifasico o bifasico con una rapida salita per il flusso in sistole seguito da un breve flusso inverso per la componente diastolica causata dalla riflessione dell’onda di flusso dalla periferia ed infine, in molte arterie ma non in tutte, una piccola componente a termine nella tarda diastole59. L’ostruzione arteriosa causa un’attenuazione della forma dell’onda che diventa monofasica. La presenza di turbolenza causa una velocità non uniforme e impartisce al doppler un segnale acustico rude. La stenosi critica limita flusso e pressione quando l’arteria è occlusa per almeno il 50% e l’aspetto dell’onda a questo livello è associato ad un doppio picco sistolico di velocità paragonato ai segmenti adiacenti. Queste onde mostrano inoltre uno slargamento dovuto alla turbolenza del flusso; il risultato sarà complessivamente un segnale doppler disturbato e con picco acuto. Una valutazione meno soggettiva di quella dell’operatore può derivare dall’utilizzo di un analizzatore di spettro.

Per avere la miglior accuratezza nella misurazione del diametro vasale, dello spessore dell’intima e della composizione della placca, serve un angolo di inclinazione tra trasduttore e superficie corporea di 90 gradi.

Esistono due tipi di visualizzazione degli ultrasuoni del doppler. Nel primo l’immagine che si vede è il flusso colorato del doppler che mostra la distribuzione della velocità di flusso di un’area su di una mappa a colori basata sulla scala di grigi nell’eco b-mode. Il secondo tipo, spesso riferito al doppler spettrale, mostra la variazione nel tempo della distribuzione della velocità di flusso di un volume selezionato. Questo doppler nello specifico fornisce informazioni quantitative riguardanti il picco di velocità di uno specifico volume; mentre il color-doppler fornisce informazioni semiquantitative della distribuzione delle velocità di un’intera regione. Per ottenere informazioni attendibili dal doppler spettrale è consigliato avere un angolo di incidenza tra la parete vasale e lo strumento di 45 gradi o inferiore60. L’assegnazione di quest’angolo è controllata

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dall’esaminatore. Poiché il calcolo della velocità di flusso è determinato dall’equazione doppler, proporzionale al coseno dell’angolo, registrare la velocità con un angolo ampio risulta in una riduzione della frequenza del doppler shift e in un aumento conseguente della velocità di flusso. L’errore nella misurazione della velocità causata da una incorretta o imprecisa assegnazione dell’angolo doppler da parte dell’esaminatore è una comune inaccuratezza di questo esame che determina una sovrastima o sottostima della severità della stenosi quando questa è basata sulla velocità di picco sistolico (PSV) o la velocità di fine diastole (EDV).

Le tecniche di imaging che mostrano il flusso di sangue sono: il color-doppler, il power-doppler e il B-flow.

Color-Doppler

Il color-Doppler visualizza la fase del segnale (in colore rosso quando la direzione del flusso è in avvicinamento al trasduttore, in colore blu se è in allontanamento), la media delle frequenze rilevate da ciascun campionamento (con tonalità più chiare o più scure a seconda dei maggiori o minori valori assoluti) e le variazioni nel tempo. Il vantaggio del color doppler è dunque l’utilizzo del colore per indicare il flusso di sangue nelle due direzioni, in avvicinamento o in allontanamento dal trasduttore, e la velocità media. L’esaminatore può aggiustare la scala di velocità, il colore e la sua saturazione in modo da discriminare un flusso laminare da uno disomogeneo. Purtroppo, un’incorretta modifica del colore da parte dell’esaminatore può far sì che il flusso di sangue copra la parete del vaso determinando una misurazione del diametro vasale maggiore di quanto sia in realtà. La stenosi arteriosa è riconosciuta dal color-doppler come una riduzione del colore del flusso di sangue, una regione ad alta velocità di flusso, una distorsione del colore e lo sviluppo di un pattern a mosaico significativo di turbolenza. Nel sito di stenosi significativa (maggiore del 75%) il flusso apparirà sbiancato, con i colori desaturati. La presenza di una persistente distorsione della barra di colore, del colore del flusso ed il cambio del diametro del lume è indicativo di un pattern di flusso anomale causato da stenosi.

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Power Doppler

Il power-Doppler visualizza, viceversa, l'intensità del segnale (proporzionale al numero di globuli rossi circolanti) e le sue variazioni nel tempo. Questo parametro necessita quindi di un unico colore, le cui tonalità più chiare o più scure indicano rispettivamente intensità maggiori o minori. In raffronto al color-Doppler, il power-Doppler non consente di rilevare la direzione del flusso e offre una rappresentazione meno adeguata di alcuni fenomeni emodinamici, quali pulsatilità, analisi del profilo del flusso, turbolenze e alterazioni focali di velocità. I suoi vantaggi risiedono in una maggiore sensibilità ai flussi lenti (da 3 a 5 volte rispetto al color-doppler) e in una minore dipendenza dall'angolo Doppler, che consente di ottenere un'ottimale delineazione del segnale Doppler in vasi tortuosi. Per superare il limite del power-Doppler nel rilevamento direzionale del flusso sono state messe a punto nuove modalità, come il power-Doppler direzionale, con il quale si stimano e si rappresentano in maniera separata sia le due componenti sia le potenze rilevate nei due versi. Del tutto recentemente inoltre sono state messe a punto tecniche power-Doppler 3D, delle quali sono a tutt'oggi oggetto di valutazione possibilità, vantaggi e limiti nello studio della patologia dei vari distretti corporei.

B-Mode

Mostra il flusso di sangue su scala di grigi. Questa tecnica di imaging è la rappresentazione visiva di un flusso emodinamico e non andrebbe confusa con il color doppler perché non viene fornita alcuna informazione sulla velocità. Si basa sull’amplificazione dello scarso eco del globulo rosso in movimento ed è più che altro utile durante lo studio arterioso per mostrare il limite del flusso adiacente alla parete vasale e che attraversa la placca aterosclerotica. Risulta particolarmente utile nello studio di fistole arterovenose, accesso dialitici, dove gli artefatti del color doppler possono mascherare il reale andamento del flusso.

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2.1.1 Metodologia della tecnica ECD nella lesione carotidea

Per ottenere l’immagine dell’anatomia dell’arteria è sufficiente l’utilizzo di un trasduttore lineare (5-10 MHz). L’imaging della carotide su scala di grigi è ottenuta in piani sagittali e trasversali per valutare lo spessore dell’intima-media (normale inferiore a 0.8 mm), la presenza della placca aterosclerotica (spessore intima-media maggiore di 1.5 mm) e la sua sede di stenosi avanzata. L’esame dovrebbe includere l’immagine ecografica della CCA, dell’ICA e dell’ECA nonché il flusso della vertebrale e della succlavia includendo la misura della pressione sistolica di entrambe le arterie brachiali. La distinzione tra ICA ed ECA è fondamentale. Possono essere differenziate sulla base della locazione (ICA posteriore e laterale ad ECA), della resistenza di flusso (ICA ha bassa resistenza con spettro monofasico) e la presenza di branche (ECA). Le caratteristiche della placca aterosclerotica come l’omogeneità/eterogeneità sono valutate su scala di grigi tramite eco B-mode. L’analisi su scala di grigi fornisce ulteriori informazioni, ma una eccessiva calcificazione può bloccare gli ultrasuoni determinando una sua limitazione. Il riscontro di una biforcazione carotidea a livello mandibolare fornisce importanti informazioni cliniche nel determinare la difficoltà dell’operazione chirurgica per questo tipo di lesione. Il color doppler è invece utile nel valutare la tortuosità della CCA e ICA ed aiuta nel

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posizionamento di un corretto angolo doppler per la misura della velocità. Le velocità vengono registrate in molteplici punti della CCA, ICA ed ECA; color- e power-doppler sono quindi utilizzate per identificare le regioni di massima stenosi.

La localizzazione e la estensione della placca aterosclerotica, così come le sue caratteristiche quali calcificazione, irregolarità di lume, ulcerazione, e pattern di ecogenicità sono determinate grazie all’eco B-mode. Maggiore è l’ecogenicità della placca e maggiore sarà lo score su scala di grigi. Una grossolana valutazione della placca carotidea dovrebbe valutarla come determinante un’ostruzione inferiore o superiore al 50% sulla base della severità dell’immagine trasversa. I parametri utilizzati per determinare il grado di stenosi includono il PSV e l’EDV. Le categorie di assegnazione sono: normale (nessuna placca), inferiore al 50% (placca visibile, malattia moderata), tra 50 e 69% di stenosi, riduzione del diametro superiore al 70% (stenosi di alto grado) ed occlusione (nessun flusso registrato). Anche il rapporto tra ICA e CCA ci aiuta nel determinare una severità di stenosi. Il riscontro di un PSV di 150 cm/sec registrato su segmento prossimale di CCA rappresenta la soglia di una stenosi superiore od inferiore al 50%61. Nel caso in cui si avesse una placca massiva estesa alla biforcazione carotidea, ma un PSV compreso tra 125 e 150 cm/sec ed un ICA/CCA inferiore a 2, la stima della stenosi dovrebbe basarsi primariamente sul valore di PSV62,64-65. Nelle stenosi superiori al 50% devo stimare il PSV e l’EDV. Un

PSV tra 230 e 280cm/sec è indicativo di una stenosi superiore al 70% secondo il criterio NASCET. Comunque sia l’interpretazione di una stenosi del genere non dovrebbe basarsi sul solo valore di PSV. Man mano che la stenosi aumenta infatti l’EDV ed il rapporto ICA/CCA assumono una maggiore importanza. Un EDV>100cm/sec e ICA/CCA >4 definiamo con maggior sicurezza una stenosi > 70%. Un EDV >140cm/sec e un ICA/CCA >8 sostengono invece una stenosi >80%66-69.

Trovare infine un valore di PSV ≥250 cm/s e EDV ≥60 cm/s ha un valore predittivo positivo del 100%.61

Le principali limitazioni possono essere tortuosità significative, una chirurgia recente, una severa stenosi controlaterale, l’uso di un angolo maggiore di 45 gradi e severe calcificazioni.

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2.1.2 Variabili che condizionano l'accuratezza diagnostica

La presenza di artefatti ed errori nella misurazione può limitare la valutazione e creare dei risultati inaccurati. I vari artefatti includono l’immagine specchio62,

l’ombreggiatura (cono d’ombra) di una sovrastante calcificazione vasale, l’inaccuratezza dovuta a rifrazione ed aliasing70-73. Molti degli errori possono essere

attribuibili all’operatore in quanto studi che sfruttano i modelli di flusso dimostrano come aggiustare l’angolo doppler, il collocamento del volume in esempio, e l’aumento del doppler rappresentino le più significative fonti di errore nella misurazione del PSV. L’artefatto più comune è rappresentato dall’aliasing (distorsione) dello spectral doppler e, similmente all’aliasing73 del color doppler, viene riconosciuto tramite un

caratteristico segnale avvolgente sul display. Aggiustando la scala di velocità o riducendo il livello base si può ridurre ed eliminare l’artefatto. L’ombreggiatura (cono d’ombra) data da una sovrastante calcificazione può impedire l’adeguata visualizzazione dell’anatomia vasale sottostante con il B-mode ecografico ed interferire con l’accuratezza della misurazione di velocità. L’immagine specchio invece, che si genera quando la struttura di un tessuto è riprodotta in un punto sbagliato, si genera quando una superficie fortemente riflettente viene ulteriormente riflessa da una struttura altrettanto riflettente. La refrazione può determinare un errore nella registrazione dell’immagine e si sviluppa quando la radiazione ultrasonora passa attraverso strutture con una differente velocità di propagazione. L’interferenza, trovata solo nella valutazione doppler, crea un’immagine specchio dove parti identiche appaiono al di sopra e al di sotto di una linea basale. Viene di solito a svilupparsi quando ho un’impostazione di ricezione aumentata in modo eccessivo oppure un angolo di incidenza vicino ai 90 gradi. L’immagine fantasma può invece svilupparsi quando un movimento a bassa velocità proveniente dalle pareti vasali pulsanti producono un piccolo shift del doppler che causa un’intermittenza di colore nell’anatomia circostante; può essere aggiustato tramite il filtro di parete. La variabilità dei criteri diagnostici deriva da metodi di definizione della percentuale di stenosi, differenti macchine e differenti metodiche. Anche fattori come il sesso e le condizioni fisiologiche del paziente possono alterare il risultato della valutazione ecografica. Studi hanno mostrato come la valutazione del PSV delle carotidi nelle donne sia

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maggiore del 10% rispetto all’uomo63. L’insufficienza cardiaca congestizia, le aritmie,

e misure di supporto artificiale (ventilatori o peacemaker) possono alterare l’output cardiaco e di conseguenza il PSV carotideo. Per quanto riguarda l’errore da parte dell’operatore la maggior fonte è rappresentata da una scarsa accuratezza nell’allineare il cursore del volume del campione. Anche piccoli errori nell’angolo di misura possono risultare in significative alterazioni nella misurazione della velocimetria e nella severità della stenosi. Il volume di campione assume che il flusso sia parallelo alla parete, ma questo non è sempre vero nei vasi tortuosi o in una stenosi asimmetrica. Queste situazioni possono quindi rendere difficoltosa la lettura della reale velocità di flusso. Infine, la più accurata registrazione del PSV di una stenosi si ottiene all’interno della porzione più stretta della stenosi stessa e i risultati maggiormente riproducibili sono ottenuti posizionando il sample volume in quest’area o molto vicino ad essa. La placca aterosclerotica associata ad una stenosi vasale maggiore del 50% è tipicamente irregolare è può essere calcifica; il che produce un’ombra acustica sull’immagine e rende la misura del diametro residuale dell’arteria o la riduzione dell’area di sezione troppo inaccurata per classificare la severità della stenosi. Come avviene per le immagini ecotomografiche, anche per le tecniche Doppler possono manifestarsi molteplici tipi di artefatti, alcuni dei quali di difficile individuazione e in grado di condurre ad alterate informazioni sul flusso. Il più importante è l'aliasing che si manifesta allorquando la velocità del flusso supera un valore definito: la direzione del flusso sembra invertire il suo senso e anziché in avvicinamento potrà apparire in allontanamento. A causa dell'aliasing viene simulata la presenza di turbolenze.

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2.2 Angio-TC e principi fisici di funzionamento

La tomografia (dal greco tomos, sezione, e graphein, scrivere) ha giocato un importante ruolo nella diagnostica fino al 1970 quando l’invenzione del metodo di scansione assiale e la diponibilità di minicomputer i quali hanno permesso la ricostruzione computazionale delle immagini ha portato allo sviluppo della tomografia computerizzata assiale (CT scan).

L’unità fondamentale per questo metodo di scansione è rappresentata da un emettitore ed un detettore; il raggio X emesso è trasmesso attraverso i tessuti e rilevato dall’altro lato. L’emettitore produce un sottilissimo raggio X che attraversa il corpo in modo lineare tramite una sezione trasversale. Il detettore si muove come una singola unità insieme all’emettitore e registra dati da 160 separati, paralleli e adiacenti raggi. L’unità emettitore-rilevatore è montata all’interno di un gantry che ruota di 1 grado prima che venga eseguita un’altra scansione lineare trasversa. Questo procedimento viene ripetuto su 180 gradi di rotazione in modo da avere i dati per produrre una matrice di 160 x 160 per una singola immagine trasversale. L’attenuazione di molteplici raggi x che attraversano lo stesso punto nella matrice da differente angolatura viene rilevata e tramite un metodo sofisticato viene calcolata a ritroso la densità di ogni punto della matrice. Il risultante numero CT viene espresso in unità Hounsfield (H). Clinicamente questi numeri hanno due estremità opposte, quella dell’aria (-1000 H) e dell’osso (1000 H); ma il grasso (-20/-100 H), l’acqua(0 H), il muscolo ed il sangue (40-60 H) generalmente si trovano in un range più ristretto58-59.

Esistono vari tipi di scanner, la prima generazione è quella del Single-Slice Sequential CT. Questa è in grado di produrre un’immagine cross-sezionale con matrice di 160x160. Queste scansioni sono applicabili solo a parti del corpo con movimenti limitati poiché l’algoritmo di calcolo dipende dalla capacità del soggetto di rimanere in una data posizione mentre vengono acquisiti i dati dell’intera sezione.

Un’altra forma di CT scan è la Spirale; con lo sviluppo del gantry a scorrimento il dispositivo di emissione e detettore può ruotare ininterrottamente nella stessa direzione ed al contempo il computer può acquisire le informazioni. L’ovvio vantaggio di una

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acquisizione continua volumetrica è che le sottili fette assiali possono essere ricostruite in digitale senza una addizionale esposizione alle radiazioni; il che non è possibile con la CT sequenziale che esporrebbe il paziente ad ulteriori radiazioni. Il vantaggio però della scansione sequenziale è un minor livello di artefatti da ricostruzione in quanto il movimento del lettino durante lo scan non necessita di essere corretto durante l’acquisizione.

Un’altra forma di CT è definita Multislice/Multidetector74, caratterizzata dall’avere

molteplici linee di detettori in modo che il volume da scansionare sia coperto in un tempo minore. Laddove un detettore comune acquisisce una singola fetta per rotazione, in questo caso si ha la capacità di acquisire molteplici fette separate. Ogni fetta può essere acquisita con lo spessore di 1mm con una durata di rotazione in un range inferiore al secondo.

I progressi nelle tecnologie hardware e software hanno fortemente migliorato l’immagine mostrata nonostante la riduzione del numero di scansioni. Se infatti la CT di prima generazione generava una matrice di 160x160, quelle odierne utilizzano correntemente una matrice di 512x512. Ogni punto della matrice è segnato su una scala di grigi per la visualizzazione, quindi la dimensione della matrice ed il campo visivo hanno un impatto diretto sulla risoluzione mostrata (il più piccolo elemento distinguibile)75.

Infine, sicuramente più utile in questo campo, troviamo l’Angio-TC. La visualizzazione dei vasi alla CT è limitata dalla simile densità del sangue con i tessuti molli. Benché la somministrazione intravenosa di mezzo di contrasto riuscisse in qualche modo a far fronte a questa problematica, lo studio ottimale dei vasi non è stato possibile fino all’arrivo della TC spirale. Il principale vantaggio nel suo utilizzo è la possibilità di studio di una grossa porzione del corpo in un tempo inferiore. Una scansione così veloce ci permette infatti di visualizzare i vasi durante il breve periodo in cui il bolo del MdC li attraversa. Il timing di inizio di acquisizione dell’immagine relativo all’iniezione del MdC è cruciale per opacizzare correttamente i vasi nel volume analizzato. Sono stati sviluppati vari algoritmi dedicati per ottimizzare questo processo che tengono conto sia della quantità che della durata di infusione del bolo (ad esempio la quantità deve essere bilanciata rispetto al volume da analizzare). Poiché

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