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Confronto tra l'approccio prescrittivo e l'approccio prestazionale nello studio della resistenza al fuoco delle strutture in calcestruzzo

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Academic year: 2021

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(1)

SCUOLA DI INGEGNERIA

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile e delle Costruzioni Civili

CONFRONTO TRA L’APPROCCIO PRESCRITTIVO E L’APPROCCIO INGEGNERISTICO

NELLO STUDIO DELLA RESISTENZA AL FUOCO DELLE STRUTTURE IN

CALCESTRUZZO

Relatori

Candidato

Prof. Ing. Pietro Croce

Lorenzo Vallini

Prof. Ing. Nicola Marotta

Correlatori

Ing. Filippo Battistini

Ing. Gianluca Galeotti

(2)

1

SOMMARIO

1 INTRODUZIONE ... 5

2 CHIMICA E FISICA DELL’INCENDIO ... 6

2.1 Chimica della combustione ...6

2.2 Propagazione della combustione ...7

2.2.1 Limiti di infiammabilità ... 7

2.2.2 Temperatura di infiammabilità e temperatura di accensione ... 9

2.2.3 Esplosione, deflagrazione e detonazione ... 10

2.3 Combustibili ... 11

2.3.1 Combustibili solidi ... 11

2.3.2 Combustibili liquidi ... 11

2.3.3 Combustibili gassosi ... 13

2.4 Esplosivi ... 14

2.4.1 Caratteristiche e classificazione degli esplosivi ... 14

2.4.2 Esplosioni di polveri ... 15

2.5 Prodotti della combustione ... 16

2.6 Dinamica degli incendi ... 17

2.6.1 Sviluppo e fasi di un incendio ... 17

2.7 Estinzione degli incendi ... 21

2.7.1 Classificazione degli incendi ... 21

2.7.2 Modalità di estinzione ... 22

3 LA SICUREZZA ANTINCENDIO... 23

3.1 Introduzione ... 23

3.2 Obiettivi della progettazione al fuoco delle costruzioni... 24

3.3 L’evoluzione del quadro normativo: dalla circolare n°91 settembre 1961 al Nuovo codice dell’agosto 2015 ... 25

3.4 Codice di prevenzione incendi d.m. 3 agosto 2015 ... 29

3.4.1 Generalità ... 29

3.4.2 Metodologia di progettazione ... 29

3.4.3 Soluzioni progettuali ... 30

3.4.4 Sezione M – Metodi per la progettazione prestazionale ... 31

3.5 Approccio prescrittivo ... 32

3.6 Approccio prestazionale ... 34

3.6.1 Scenari d’incendio di progetto ... 37

4 PROGETTAZIONE STRUTTURALE IN CASO DI INCENDIO ... 41

(3)

2

4.2 Livello di complessità della progettazione ... 43

4.2.1 Analisi di singole membrature ... 44

4.2.2 Analisi di parti di strutture ... 45

4.2.3 Analisi di intere strutture ... 46

4.3 Effetti dell’incendio sulle membrature ... 47

4.3.1 Espansione termica... 47

4.3.2 Termal bowing ed effetto catenaria ... 48

4.4 Azioni sulle strutture in caso di incendio ... 52

4.4.1 Azioni meccaniche ... 52

4.4.2 Azioni termiche ... 54

4.5 Verifica di resistenza al fuoco delle strutture ... 60

4.5.1 Probabilità di collasso di una struttura ... 60

4.5.2 Metodi per la verifica di sicurezza ... 69

4.5.3 Struttura dell’apparato normativo in materia di resistenza al fuoco ... 74

5 MODELLAZIONE DELL’INCENDIO ... 75

5.1 Fattori che influiscono sull’evoluzione dell’incendio ... 76

5.1.1 Carico di incendio ... 76

5.1.2 Ventilazione dell’incendio ... 92

5.1.3 Potenza termica dell’incendio: la curva RHR ... 102

5.2 Incendi nominali ... 116

5.2.1 Curva standard ISO 834 EN 1991 - 1 - 2 ... 117

5.2.2 Curva del fuoco esterno EN 1991 - 1 - 2 ... 118

5.2.3 Curva degli idrocarburi EN 1991 - 1 - 2 ... 118

5.2.4 Curva di riscaldamento lento (Smouldering fire) EN 13501 - 2 ... 120

5.2.5 Curva RWS ... 120

5.2.6 Curva degli idrocarburi modificata HCM ... 122

5.3 La modellazione dell’incendio nell’approccio ingegneristico: gli incendi naturali ... 123

5.3.1 Curve di incendio parametriche ... 125

5.3.2 Modelli a zone ... 133

5.3.3 Modelli di campo ... 139

5.4 Incendi localizzati... 140

6 COMPORTAMENTO DELLE STRUTTURE IN CALCESTRUZZO IN CASO DI INCENDIO ... 143

6.1 Il calcestruzzo soggetto ad alte temperature ... 143

6.1.1 Effetti della temperatura sulla microstruttura ... 143

6.1.2 Effetti della temperatura sulle proprietà meccaniche ... 148

(4)

3

6.2 Indicazioni dell’Eurocodice EN 1992-1-2 sulle proprietà del calcestruzzo ... 161

6.2.1 Proprietà meccaniche ... 161

6.2.2 Proprietà fisiche e termiche ... 165

6.2.3 Proprietà dell’acciaio da cemento armato alle alte temperature ... 171

6.3 Lo spalling del calcestruzzo ... 176

6.3.1 I fattori che influenzano lo spalling ... 178

6.3.2 I meccanismi di spalling esplosivo ... 183

6.3.3 Misure di prevenzione nei confronti dello spalling esplosivo ... 187

6.4 I sistemi di protezione ... 188

6.4.1 Protettivi reattivi ... 188

6.4.2 Protettivi passivi ... 191

7 LA MODELLAZIONE MATEMATICA E L’ANALISI F.E.M. ... 195

7.1 La modellazione matematica dei problemi fisici ... 195

7.2 Cenni sul metodo agli elementi finiti ... 200

7.2.1 Formulazione dell’analisi f.e.m. per i problemi di trasferimento del calore ... 207

8 CASO DI STUDIO ... 215

8.1 Introduzione ... 215

8.2 Attività di prevenzione incendi ai sensi del dpr 151/2011 ... 216

8.3 La struttura ... 217

8.3.1 Descrizione del fabbricato ... 217

8.3.2 Elementi strutturali indagati ... 220

8.3.3 Materiali ... 223

8.3.4 Analisi dei carichi ... 225

8.4 L’approccio prescrittivo ... 226

8.4.1 Attribuzione dei profili di rischio ... 226

8.4.2 Livello di prestazione e soluzione conforme ... 227

8.4.3 Verifica della resistenza al fuoco ... 229

8.4.4 Riepilogo e scelta del sistema protettivo ... 241

8.4.5 Stima dei costi di adeguamento ... 244

8.5 L’approccio ingegneristico: Fire Safety Engineering ... 245

8.5.1 Scenario d’incendio di progetto ... 247

8.5.2 Modellazione dell’incendio ... 248

8.5.3 Curva d’incendio naturale ... 271

8.5.4 Analisi avanzata con modello FEM ... 273

8.5.5 Analisi termica ... 281

(5)

4

8.5.7 Analisi della struttura protetta ... 289

8.5.8 Stima dei costi di adeguamento ... 297

8.6 Osservazioni ... 298

8.6.1 Un ulteriore spunto di riflessione sullo studio della curva naturale ... 301

9 Conclusioni ... 305 Bibliografia ... 306 Appendice 1 ... 308 Appendice 2 ... 330 Appendice 3 ... 348 Ringraziamenti ... 357

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5

1 INTRODUZIONE

Nell’ambito della prevenzione incendi sono individuabili due approcci progettuali i quali sono basati su due filosofie che possono considerarsi agli antipodi.

Da un lato si ha il così detto approccio prescrittivo, basato su incendi standard, che affida la progettazione alla rigida applicazione delle indicazioni di una norma tecnica designando per il progettista il solo ruolo di garante di applicazione della stessa, dall’altro l’approccio così detto prestazionale basato su una progettazione a 360° in cui il progettista riveste un ruolo primario.

I punti di forza della strategia prescrittiva sono certamente la sua semplicità, la velocità attuativa e l’ampio margine di sicurezza garantito; è proprio però quest’ultima caratteristica che è da considerare come un’arma a doppio taglio: se un margine di sicurezza alto mette certamente a riparo da possibili imprevisti è altrettanto vero che allo stesso tempo questo comporta una grande rigidità nelle soluzioni progettuali da adottare. Storicamente in Italia il panorama normativo era incentrato su questa strategia progettuale, è solo negli ultimi anni che si è aperto alla possibile alternativa: l’approccio ingegneristico.

La progettazione antincendio di stampo ingegneristico, in voga nei paesi nord europei già da tempo come Fire Safety Engineering, prevede di abbandonare la rigida applicazione di una serie di prescrizioni di carattere generale ed affrontare lo studio della sicurezza antincendio di un’attività basandosi sulle caratteristiche del caso specifico. Il ricorso alla FSE restituisce ai tecnici il ruolo di progettista vero e proprio affidando loro lo studio della propagazione del fuoco e la definizione delle misure attuative necessarie. A differenza di quanto avviene nell’approccio prescrittivo è richiesta la predizione dello scenario di incendio di progetto per il caso in oggetto basando la progettazione sulle curve d’incendio naturali anziché sulle curve standard, l’innovazione è evidente in quanto si passa da un unico incendio “universale” a definire l’incendio reale inerente al caso di studio. L’applicazione dei metodi della FSE permette di cucire la progettazione antincendio addosso al problema reale come un vestito su misura, essi richiedono, infatti, un grande quantitativo di informazioni specifiche relative all’attività e prevedono il ricorso ai metodi di modellazione e di analisi più avanzati, tutto ciò si traduce in oneri di calcolo di gran lunga superiori a quelli richiesti dall’approccio tradizionale ma il risultato che si ottiene è quello di garantire il soddisfacimento degli standard di sicurezza senza dover ricorrere a quelle pesanti e rigide imposizioni che indicano le norme verticali.

Nell’elaborato che segue si mettono a confronto i due approcci progettuali focalizzandosi in particolare sullo studio della resistenza degli elementi portanti di una struttura in calcestruzzo armato. La particolarità del caso in esame è quella di essere un’attività di prevenzione incendi sprovvista di norma tecnica verticale e che quindi ben si presta ad essere studiata secondo i dettami del nuovo codice di prevenzione incendi che costituisce l’ultimo testo normativo pubblicato e il quale introduce importanti innovazioni al suo interno, si vedrà come il codice preveda al suo interno la via prescrittiva ma allo stesso tempo apra alla progettazione prestazionale fornendo le basi per lo sviluppo delle metodologia di analisi avanzata. Sarà proposto un confronto passo passo tra le due strategie di progettazione in cui saranno sviscerati in pro e i contro per entrambe fino al confronto più concreto: quello economico.

Saranno illustrati in dettaglio le tecniche di modellazione dell’incendio nei due casi con richiami teorici che mettono in evidenza i fattori principali che ne influenzano lo sviluppo, seguirà un’accurata descrizione delle tecniche di analisi impiegate, dal semplice ricorso alle tabelle di letteratura alla modellazione della struttura su software agli elementi finiti che permetta di combinare le azioni statiche con le azioni termiche; infine l’esposizione e la discussione dei risultati della verifica di resistenza della struttura.

Lo scopo dell’elaborato è quello di fornire una guida alle diverse fasi che si susseguono nell’analisi della resistenza al fuoco di una struttura permettendo di valutare le differenze che contraddistinguono le due filosofie progettuali contrapposte; inoltre, partendo da questo confronto, sono presentati alcuni spunti di riflessione su alcuni temi legati alla pratica della progettazione.

(7)

6

2 CHIMICA E FISICA DELL’INCENDIO

2.1 C

HIMICA DELLA COMBUSTIONE

Si dice combustione qualunque reazione chimica nella quale un combustibile, sostanza ossidabile, reagisce con un comburente, sostanza ossidante, liberando energia, in genere sotto forma di calore.

Il termine ossidazione ha come significato perdita di elettroni; i combustibili entrando in contatto con i comburenti perdono elettroni, si ossidano, mentre i comburenti si riducono, cioè acquistano elettroni. Il nome di ossidazione deriva dalla combinazione degli elementi con l’ossigeno il quale, essendo fortemente elettronegativo, riesce a strappare elettroni a tutti gli elementi con la sola eccezione del fluoro.

L’ossigeno con 8 elettroni avrà 2 livelli energetici, dei quali il primo che può contenere solo 2 elettroni sarà completo, mentre il secondo ne contiene 6, ma può accettarne fino ad 8. Stando che gli atomi tendono a completare il loro livello energetico esterno si spiega la tendenza dell’ossigeno ad acquistare elettroni trasformandosi in O2.

L’esotermicità delle reazioni di combustione è la conseguenza del fatto che i reagenti hanno più energia dei prodotti di reazione e la differenza di energia è pari al calore emesso.

Il calore generato a su volta innalza la temperatura dei partecipanti alla reazione, questa può raggiungere livelli tali per cui essi irradiano energia elettromagnetica con lunghezza d’onda compresa nel campo del visibile. Le zone di reazione appariranno allora luminose e si parlerà di fiamme.

La combustione, essendo una reazione che libera energia, dal punto di vista termodinamico è un processo spontaneo ma a temperatura ambiente la velocità con cui avviene la reazione è in genere molto bassa. Questo è dovuto al fatto che le molecole reagenti non hanno sufficiente energia per scontrarsi tra loro e riarrangiare opportunamente i propri atomi, non si raggiunge l’energia di attivazione. L’energia di attivazione è la barriera che si deve superare per poter liberare l’energia di reazione.

L’energia posseduta dalle molecole è di tipo cinetico, legata al loro moto e alla temperatura: a bassa temperatura le molecole si urtano senza reagire, l’opposto avviene alle alte temperature.

La temperatura è il parametro che più influenza la velocità di reazione, tutte le razioni accelerano all’aumentare della temperatura perché le molecole, più veloci, collidono tra loro con maggiore frequenza ed efficacia. Sotto una certa temperatura, detta appunto temperatura di accensione o ignizione, le collisioni molecolari abbastanza veloci da superare la barriera di attivazione sono poco probabili e la combustione procede in forma lenta o latente.

(8)

7

2.2 P

ROPAGAZIONE DELLA COMBUSTIONE

Il propagarsi di un incendio richiede la presenza contemporanea di tre requisiti fondamentali:  combustibile

 comburente

 temperatura adeguata

La maggior parte delle combustioni avviene in fase gassosa; sia nel caso di combustibili liquidi che di combustibili solidi si ha un passaggio di fase prima della combustione vera e propria. Indipendentemente dal tipo di combustibile da cui provengono i gas si trovano a reagire con l’ossigeno: il comburente.

Il terzo elemento fondamentale è la temperatura che deve permettere alla miscela di combustibile e comburente una reazione di combustione, questo può avvenire grazie alla presenza di un innesco. Una volta sviluppatasi la reazione in un punto, il calore che da questa si propaga riscalda le zone circostanti determinando l’innesco di altre reazioni e quindi la propagazione della fiamma.

La velocità di propagazione sarà tanto maggiore quanto più la quantità di combustibile e di comburente risultano tra loro in un rapporto prossimo a quello stechiometrico, con cui effettivamente si combinano nella reazione di combustione.

2.2.1 Limiti di infiammabilità

I limiti di infiammabilità nel caso dei combustibili gassosi vengono espressi come la percentuale in volume di combustibile nella miscela aria-combustibile.

Si distinguono in limite inferiore e limite superiore di infiammabilità.

Il limite inferiore di infiammabilità rappresenta la minima concentrazione di combustibile nella miscela aria-combustibile che consente a quest'ultima, se innescata, di reagire dando luogo ad una fiamma in grado di propagarsi a tutta la miscela.

Il limite superiore di infiammabilità rappresenta la concentrazione massima di combustibile in presenza della quale il comburente, cioè l’aria, risulta insufficiente per dar luogo ad una fiamma in grado di propagarsi a tutta la miscela.

Se il gas o vapore infiammabile è diluito con un eccesso d’aria, il calore sviluppato dall’accensione è insufficiente a far salire la temperatura degli strati adiacenti di miscela fino al punto di accensione. La fiamma non può propagarsi attraverso l’intera miscela ma si estingue. Se nella miscela è presente un eccesso di combustibile (al di sopra del limite superiore di infiammabilità), questo funzionerà da diluente, abbassando la quantità di calore disponibile agli strati adiacenti di miscela, fino ad impedire la propagazione della fiamma. L’ampiezza del campo di infiammabilità dei combustibili dipende dalla loro reattività, che a sua volta è determinata dal numero e dall’entità dei legami che tengono insieme gli atomi delle molecole. L’intervallo compreso tra il limite inferiore e il limite superiore di infiammabilità rappresenta il valore delle concentrazioni di combustibile entro le quali le condizioni risultano favorevoli alla propagazione della fiamma.

I limiti di infiammabilità dipendono dalla pressione e dalla temperatura: pressioni più alte tendono ad allargare i limiti di infiammabilità, pressioni più basse a restringerlo; l’aumento della temperatura di una miscela di gas e aria allarga il campo di infiammabilità.

La velocità di propagazione risulta nulla in corrispondenza del limite inferiore e superiore di infiammabilità mentre è massima in corrispondenza del rapporto stechiometrico.

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8

Figura 2-2_Limiti di infiammabilità di alcuni combustibili; i valori rappresentano le percentuali di combustibile in volume nella miscela combustibile - comburente

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9

2.2.2 Temperatura di infiammabilità e temperatura di accensione

La temperatura di infiammabilità è la più bassa temperatura alla quale un combustibile liquido emette vapori sufficienti a formare con l’aria una miscela che, se innescata, brucia spontaneamente.

La conoscenza della temperatura di infiammabilità risulta molto importante ai fini della conservazione e del trasporto dei combustibili.

Valori bassi della temperatura di infiammabilità indicano una maggiore pericolosità del combustibile:

 temperature inferiori ai 20°C indicano sostanze esplosive (ad esempio benzina ed alcol);  temperature tra 21°C e 65°C indicano sostanze che esplodono solo se riscaldate;

 temperature superiori ai 65°C indicano i normali combustibili (gasolio, olio combustibile e lubrificanti).

La temperatura di accensione rappresenta la temperatura minima alla quale un combustibile, in presenza d'aria brucia senza necessità di innesco.

Sostanza Temperatura di infiammabilità °C

Acetone -18 sostanza esplosiva

Benzina -20 sostanza esplosiva

Gasolio 65 normale combustibile

Alcol etilico 13 sostanza esplosiva

Alcol metilico 11 sostanza esplosiva

Toluolo 4 sostanza esplosiva

Olio lubrificante 149 normale combustibile

Sostanza Temperatura di accensione °C Acetone 540 Benzina 250 Gasolio 220 Idrogeno 560 Alcool metilico 455 Carta 230 Legno 220 Gomma sintetica 300 Metano 537

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2.2.3 Esplosione, deflagrazione e detonazione

Se una reazione esotermica avviene in uno spazio limitato, spesso il calore svolto non può essere dissipato. Come risultato la temperatura aumenta, la velocità di reazione cresce e ciò determina un corrispondente aumento nella velocità di produzione del calore. La velocità di reazione cresce senza limite ed il risultato è chiamato esplosione termica.

La rapida e localizzata liberazione di energia determinata dall’esplosione provoca considerevoli effetti meccanici. Il verificarsi o meno di una esplosione dipende, oltre che dalle caratteristiche della miscela, dalla pressione e dalla temperatura.

Secondo il meccanismo termico dell’esplosione esiste, per una determinata composizione del sistema e per una determinata temperatura, una pressione critica al di sotto della quale si ha una reazione lenta e al di sopra della quale la reazione diventa esplosiva.

Figura 2-4_Pressione critica

Affinché l’esplosione possa avvenire occorre che la composizione della miscela sia compresa entro certi limiti detti di esplosività. All’esterno di tali limiti la miscela può ancora reagire, ma con velocità bassa non esplosiva. Il limite inferiore di esplosività è la più bassa concentrazione in volume di vapore di combustibile nella miscela al di sotto della quale non si ha esplosione in presenza di innesco.

Il limite superiore di esplosività è la più alta concentrazione in volume di vapore di combustibile nella miscela al di sopra della quale non si ha esplosione in presenza di innesco.

I limiti variano però con la pressione e con la temperatura, crescendo in generale all’aumentare di queste. Quando la reazione di combustione si propaga alla miscela infiammabile non ancora bruciata con una velocità minore di quella del suono, l'esplosione è chiamata deflagrazione.

Quando la reazione procede nella miscela non ancora bruciata con una velocità superiore a quella del suono (velocità di propagazione supersoniche dell’ordine del chilometro al secondo), l'esplosione è detta detonazione. Gli effetti distruttivi delle detonazioni sono maggiori rispetto a quelli delle deflagrazioni.

(12)

11

2.3 C

OMBUSTIBILI

Si definiscono combustibili le sostanze in grado di reagire con l’ossigeno (o con un altro comburente) dando luogo ad una reazione di combustione. I componenti principali dei combustibili più usati sono il carbonio (C) e l’idrogeno (H).

I vari tipi di combustibili possono essere classificati in base allo stato fisico (a temperatura e pressione ambiente) differenziandosi in combustibili liquidi, gassosi e solidi.

2.3.1 Combustibili solidi

In questa classe di combustibili ricade il più noto tra i combustibili: il legno.

Il legno è caratterizzato da una temperatura di accensione di 250°C ma, se a contatto con superfici calde, può essere soggetto al fenomeno di smoldering, ossia il manifestarsi di fenomeni di carbonizzazione locali in seguito ai quali si può avere accensione spontanea anche a temperature inferiori di quella di accensione. Una caratteristica importante da considerare nel trattare combustibili solidi (in particolar modo si fa riferimento al legno) è la pezzatura, la quale è definita come il rapporto tra il volume del solido combustibile e la sua superfice esterna. Quando il combustibile è diviso in piccole particelle la quantità di calore da somministrare è tanto più piccola quanto più piccole sono le particelle, questo implica che il legno, ad esempio, in grandi dimensioni può essere considerato un materiale difficilmente combustibile mentre, se suddiviso allo stato di segatura o polvere, può dar luogo anche a fenomeni esplosivi.

Una grossa pezzatura comporta un basso rischio di incendio, mentre con una pezzatura piccola lo stesso materiale risulta molto pericoloso.

2.3.2 Combustibili liquidi

I combustibili liquidi presentano il più elevato potere calorifico per unità di volume (Il potere calorifico si definisce come la quantità di calore, espresso in kcalorie o in milioni di joule – MJ, sviluppata dalla combustione di una quantità unitaria di combustibile).

Il processo di combustione di un liquido combustibile si avvia quando i vapori del liquido stesso, miscelandosi con l’ossigeno in concentrazioni comprese nel campo di infiammabilità, sono opportunamente innescati. Perché un liquido combustibile bruci, in presenza di innesco, si deve avere prima un passaggio di stato da liquido a gassoso.

L’indice della maggiore o minore combustibilità di un liquido è fornito dalla temperatura di infiammabilità, in base alla quale i combustibili liquidi vengono così catalogati:

 categoria A: liquidi aventi punto di infiammabilità inferiore a 21°C

 categoria B: liquidi aventi punto di infiammabilità compreso tra 21°C e 65°C  categoria C: liquidi aventi punto di infiammabilità oltre 65°C e fino a 125°C D.M. 31 Luglio 1934

Approvazione delle norme di sicurezza per la lavorazione, l’immagazzinamento, l’impiego o la vendita di oli minerali, e per il trasporto degli oli stessi.

Risultano particolarmente pericolosi quei liquidi che hanno una temperatura di infiammabilità inferiore alla temperatura ambiente, in quanto anche senza subire alcun riscaldamento, possono dar luogo ad un incendio; ciò comporta una maggiore soglia di attenzione nei loro confronti.

Altre possibili caratteristiche dei liquidi infiammabili che possono incrementare il pericolo di incendio sono:  bassa temperatura di infiammabilità

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 densità maggiore di quella dell’aria, i combustibili più pesanti dell’aria tendono ad accumularsi nelle zone basse dell’ambiente formando più facilmente miscele infiammabili laddove si ha assenza o scarsità di ventilazione. Sostanza Temperatura di infiammabilità °C Categoria Acetone -18 A Benzina -20 A Gasolio 65 C Alcol etilico 13 A Alcol metilico 11 A Toluolo 4 A Olio lubrificante 149 C

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2.3.3 Combustibili gassosi

Questo tipo di combustibili sono più efficaci dei combustibili liquidi in quanto possono essere più facilmente miscelati con l’aria e bruciano senza dare origine a sostanze incombuste e a fumi. Se la disponibilità di ossigeno è limitata è possibile la formazione di monossido di carbonio.

Tutte le sostanze possono esistere allo stato gassoso in particolari condizioni di pressione e di temperatura. Sono però definiti gas solo quelli che si trovano allo stato gassoso nelle condizioni normali di pressione e di temperatura.

In base alle caratteristiche fisiche i gas sono classificati in:

 gas leggeri, aventi densità rispetto all’aria inferiore a 0,8 (idrogeno, metano)  gas pesanti, aventi densità rispetto all’aria superiore a 0,8 (GPL)

In base alla modalità con cui ne avviene lo stoccaggio si distinguono i:

 gas compressi, conservati allo stato gassoso sotto pressione a temperatura ambiente

 gas liquefatti, conservati a temperatura ambiente allo stato liquido sotto una pressione relativamente bassa

 gas criogenici, conservati allo stato liquido a temperature e pressioni molto basse.

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2.4 E

SPLOSIVI

Si definisce esplosiva ogni sostanza che può decomporsi con grandissima rapidità, in maniera autopropagante, sviluppando una grande quantità di calore e di gas, e quindi generando un'onda di pressione.

L'esplosione è un fenomeno di trasformazione chimica o chimico-fisica che avviene in un tempo rapidissimo, accompagnata da sviluppo di energia (per buona parte termica) e, in genere, da sviluppo di gas. Qualsiasi sistema che per somministrazione di piccolissime quantità di energia termica o meccanica è capace di trasformarsi chimicamente, in un tempo brevissimo, con sviluppo di energia, di gas e di vapori, costituisce un sistema esplosivo.

La velocità delle esplosioni è dovuta al fatto che gli esplosivi contengono nelle loro molecole ossigeno sufficiente all’ossidazione parziale o totale dei reagenti.

I gas prodotti dalla reazione, a causa delle altissime temperature raggiunte nell'esplosione, tendono ad occupare volumi enormemente superiori a quelli corrispondenti alle sostanze di partenza. Se quindi una certa quantità di esplosivo esplode quando è racchiusa in un ambiente ristretto, i gas provocano sulle pareti una pressione istantanea ed elevatissima che, qualora la resistenza delle pareti non sia adeguata, ne provocherà la rottura.

2.4.1 Caratteristiche e classificazione degli esplosivi

Le proprietà che caratterizzano una sostanza esplosiva sono:

 Densità di caricamento: rapporto tra massa di esplosivo e volume della cavità in cui è contenuto, per ogni esplosivo esiste una densità limite oltre la quale nessun tipo di involucro può resistere alla pressione generata dall’esplosione.

 Sensibilità: attitudine dell’esplosivo ad iniziare più o meno facilmente la sua decomposizione in seguito ad un impulso esterno. A seconda della maggiore o minore sensibilità di un esplosivo ne varia il mezzo di innesco. Si distinguono sensibilità all’urto, allo sfregamento e all’innesco.

 Calore di esplosione: calore liberato dall’unità di massa dell’esplosivo, rappresenta il lavoro massimo che si può ottenere dall’esplosione di un kg di esplosivo.

 Stabilità: attitudine degli esplosivi a mantenersi inalterati più o meno a lungo.

 Pressione specifica: pressione in bar che 1 kg di esplosivo è in grado di esercitare quando l’esplosione avviene nel volume di 1 litro.

 Temperatura di esplosione: temperatura raggiunta durante l’esplosione

 Volume specifico: volume di gas che 1 kg di esplosivo può sviluppare, ad una maggiore quantità di calore che si libera durante l’esplosione corrisponde un maggior volume occupato dai prodotti di combustione

In base alla velocità con cui la reazione di combustione si propaga nella massa dell’esplosivo stesso le sostanze esplodenti si classificano in:

 deflagranti o propellenti  dirompenti

 detonanti o innescanti

In base alla loro natura chimica gli esplosivi sono divisi in:  miscugli esplosivi gassosi

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2.4.2 Esplosioni di polveri

La polverizzazione infatti aumenta la superficie esposta all’aria e quindi suscettibile di reazione. Una nube di polveri combustibili si può quindi assimilare ad una miscela infiammabile di gas, tanto più pericolosa quanto più piccola è la dimensione media delle particelle di polvere.

Le polveri si definiscono esplosive quando sono in grado di incendiarsi in presenza di un innesco laddove questo fornisca al sistema una quantità di energia superiore all’energia minima di attivazione, ovvero la quantità minima di energia elettrica richiesta ad una scintilla per accendere una nube di polveri.

Il rischio di esplosione di una polvere è strettamente correlato all’umidità del materiale stesso e all’umidità relativa dell’aria del locale dove avvengono le lavorazioni: un maggior tasso di umidità causa un innalzamento della temperatura di accensione ed una riduzione della pressione generata da un’eventuale esplosione. Ciò è conseguenza del fatto che l’umidità evaporando assorbe vapore e riduce l’energia distruttiva libera, inoltre la presenza di umidità nell’aria riduce l’accumulo di cariche elettrostatiche nella nube di polvere.

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2.5 P

RODOTTI DELLA COMBUSTIONE

In seguito alla combustione si ha il manifestarsi di gas di combustione, fiamme, fumi e calore.

Sono detti gas di combustione quei prodotti che mantengono lo stato gassoso anche dopo l’abbassamento della temperatura al livello della temperatura ambiente di riferimento, la produzione di tali gas è relativa al tipo di combustibile e alla concentrazione di ossigeno presente nella miscela combustibile.

I possibili gas prodotti e sviluppati durante la combustione ricoprono un ruolo fondamentale nel valutare la gravità di un incidente, in quanto è alla loro inalazione che è da attribuire il maggior tasso di mortalità in caso di incendio.

Gas quali ossido di carbonio, spesso presente in grande quantità negli incendi, costituiscono spesso il pericolo più rilevante.

Le fiamme costituiscono l’emissione di luce conseguente alla combustione di un gas, in base al loro colore è possibile valutare la temperatura raggiunta durante l’incendio.

Figura 2-7_Scala cromatica della fiamma

I fumi sono formati da piccole particelle solide e liquide disperde nei gas prodotti dalla combustione. Le particelle solide sono residui di sostanze incombuste e formano i fumi scuri, le particelle liquide consistono per la maggior parte in vapor d’acqua, dovuto all’umidità del combustibile, e sono responsabili dei fumi bianchi.

(18)

17

2.6 D

INAMICA DEGLI INCENDI

Lo sviluppo e la propagazione di un incendio dipendono principalmente dai seguenti parametri:  Compartimentazione

La compartimentazione di un edificio consiste nel dividere l’ambiente in settori delimitati da elementi costruttivi atti ad impedire la propagazione dell’incendio e dei fumi e a limitare la trasmissione termica ai settori adiacenti.

 Carico d’incendio

Quantità di calore che si svilupperebbe per combustione completa di tuti i materiali combustibili presenti in un compartimento. Il carico d’incendio dipende dalla quantità e dal tipo di combustibili presenti; esso è calcolato come sommatoria del prodotto tra massa e potere calorifico dell’i – esimo combustibile.

 Ventilazione

 Velocità di combustione

La velocità a cui la reazione di combustione è legata alla quantità di ossigeno disponibile; se c’è carenza di ossigeno la velocità di combustione sarà proporzionale alla quantità d’aria che affluisce nel compartimento e la combustione è governata dalla ventilazione; se l’ossigeno è presente in quantitativo più che sufficiente allora la velocità di combustione, e la sua propagazione, dipendono solo dalla quantità e dalla natura del combustibile.

2.6.1 Sviluppo e fasi di un incendio

Ogni incendio inizia con la fase di ignizione, un materiale combustibile assorbe una sufficiente quantità di calore perché si avvii la reazione di combustione. Questa quantità di calore è fornita da una sorgente di energia termica che viene in contatto col combustibile spesso per cause accidentali.

Se il materiale acceso si trova in prossimità di altri materiali combustibili è possibile che questi sviluppino gas e vapori i quali possono accendersi a loro volta.

La continuazione o meno del processo di combustione dipende dal bilancio termico che si instaura. Infatti il calore generato in parte è disperso nell’atmosfera circostante ed in parte serve per riscaldare le parti adiacenti di materiale non coinvolto nella combustione, fino alla temperatura di decomposizione.

Se il bilancio termico è positivo, cioè se prevale la quantità di calore generata su quella dispersa, la combustione continua; se il bilancio termico è negativo, la velocità di combustione scende al di sotto di un livello critico e si inizia un processo di autoestinzione.

2.6.1.1 Fase iniziale o di accensione

La fase iniziale di un incendio va dal primo manifestarsi della fiamma al flashover o infiammazione generalizzata.

In questa fase i fattori che possono concorrere all’ulteriore sviluppo dell’incendio sono molteplici e possono essere di natura aleatoria, si prendano ad esempio la natura o la disposizione dei mobili in un ambiente o la rottura dei vetri delle finestre che si manifesta quando si raggiungono temperature dell’ordine dei 100°C. In questa fase le temperature dell’ambiente sono soggette a rapide ed importante variazioni e non sono omogene da punto a punto.

La fase iniziale è divisa in ulteriori stadi.

1° stadio – inizio ignizione

I fattori che possono portare all’ignizione sono:  infiammabilità del combustibile

 possibilità di propagazione della fiamma

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18  geometria e volume degli ambienti

 possibilità di dispersione del calore nel combustibile  ventilazione dell’ambiente

 caratteristiche superficiali del combustibile

Un fattore determinante risulta essere il grado di infiammabilità del materiale, se l’oggetto investito dal calore non è in grado di sviluppare una quantità sufficiente di gas a formare una miscela infiammabile la sorgente termica si esaurisce prima che avvenga l’ignizione.

2° stadio – propagazione

In questo stadio si ha la diffusione della reazione di combustione ai materiali adiacenti a quello coinvolto nella fase di ignizione. Il progredire dell’incendio è legato alle caratteristiche di infiammabilità dei materiali; se la quantità di calore fornita non è sufficiente a innalzare la temperatura della superficie dei materiali stessi si può verificare una graduale estinzione. Altro fattore che influenza questa fase è la ventilazione: se questa non è sufficiente si avrà una riduzione dell’ossigeno che comporterà una reazione incompleta e un abbassamento della temperatura.

Il progredire dell’incendio è generalmente irregolare e caratterizzato dai fenomeni seguenti:  produzione di gas tossici e corrosivi

 riduzione della visibilità a causa dei fumi di combustione

 aumento della partecipazione alla combustione dei combustibili solidi e liquidi  aumento rapido delle temperature

 aumento delle energie di irraggiamento

La propagazione dell’incendio avviene per effetto della convezione dei fumi caldi, per conduzione attraverso le strutture di separazione, per irraggiamento termico.

Le correnti di fumo facilitano la propagazione dell’incendio attraverso:

 la rottura di porte e finestre a seguito della termoespansione dell’aria dovuta alle alte temperature  il meccanismo di movimento dei fumi a tiraggio, o effetto camino.

 movimento orizzontale dei fumi e delle fiamme in conseguenza all’azione del vento.

A causa della continuità che esiste tra le diverse parti di un edificio, la propagazione termica attraverso le pareti e solette può portare alla temperatura di accensione anche sostanze combustibili contenute in locali non direttamente investiti dalle fiamme.

3° stadio

Il terzo stadio della fase iniziale va dalla propagazione al flashover o infiammazione generalizzata. Si manifestano:

 brusco incremento della temperatura

 crescita esponenziale della velocità di combustione

 forte aumento di emissione di gas e di particelle incandescenti

 i combustibili vicino al focolaio sono soggetti ad autoaccensione, quelli più lontani  si riscaldano fino a raggiungere la temperatura di combustione con produzione di  gas di distillazione infiammabili.

Si distinguono ulteriori due parti del terzo stadio:

Stadio 3A – In seguito alla propagazione dell’incendio si ha un accumulo di gas e fumi caldi, la temperatura si innalza ma ancora non a sufficienza per determinare l’ignizione spontanea delle superfici dei materiali

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19

combustibili. In presenza di adeguata ventilazione l’incendio prosegue e le fiamme irradiano energia termica in ogni direzione.

La temperatura è tale per cui l’autoestinzione è ormai improbabile.

Stadio 3B – Rapida propagazione dell’incendio, si raggiungono temperature dell’ordine dei 500°C e la maggior parte dei materiali combustibili si accende. A temperatura di circa 600°C tutti i materiali combustibili emanano gas infiammabili a seguito del calore ricevuto per irraggiamento o convezione. L’incendio si sviluppa con pieno vigore e l’innalzamento delle temperature avviene ad altissima velocità. Questa è la fase che viene denominata flashover o, appunto, infiammazione generalizzata.

Il flashover rappresenta uno stadio irreversibile che si manifesta dopo un tempo che va da 3 a 30 minuti dall’ignizione e in cui si manifestano simultaneamente i fenomeni elencati:

 i fuochi determinati dalla combustione dei gas di distillazione o di combustione aumentano di numero e di intensità

 le temperature nei diversi punti del locale tendono a diventare uniformi

 la combustione al verificarsi del flashover accelera notevolmente e richiede considerevoli volumi di ossigeno

 il tenore di ossidi di carbonio all’interno del locale è molto elevato, in alcuni casi si

arriva anche al 20% e questo implica un serio pericolo di intossicazione per le persone che si imbattono nei fumi dell’incendio.

2.6.1.2 Incendio vero e proprio

Fase a combustione costante con temperatura media molto elevata, i materiali combustibili sviluppano grandi quantità di gas infiammabili.

La potenza termica generata dipende dalla velocità di combustione che, a sua volta, dipende dalla portata d’aria entrante e dalla quantità di calore sviluppata dal combustibile nelle condizioni in cui avviene la combustione.

In questa fase la parte bassa del locale risulta in depressione mentre la parte alta in pressione, questo è dovuto alla differenza di pressione tra esterno ed interno e alla diminuzione di densità dei gas in seguito alla dilatazione dovuta alla temperatura che determinano la fuoriuscita dei gas di combustione attraverso le parti alte delle finestre ed il richiamo di aria fresca dall’esterno che penetra nel locale dal basso.

2.6.1.3 Estinzione e raffreddamento

Si ha una riduzione della temperatura con una velocità proporzionale alla potenza termica emessa dalla combustione dei materiali residui.

Quando la temperatura raggiunge i 300°C questa fase si considera esaurita.

Un effetto importante di questa fase, che non deve essere trascurato, è la distribuzione della temperatura della facciata compresa tra il piano incendiato e quello soprastante; una notevole potenza termica continua ad essere asportata coi fumi, a disperdersi per irradiazione attraverso le finestre nonostante il notevole abbassamento della temperatura media del locale dovuto all’afflusso di aria fresca.

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20

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21

2.7 E

STINZIONE DEGLI INCENDI

2.7.1 Classificazione degli incendi

Gli incendi si dividono in cinque classi.

Classe A: incendi di materiali solidi, combustibili, infiammabili e incandescenti come

legname, carboni, carta, tessuti, trucioli, pelli, gomma e derivati, rifiuti che fanno brace e il cui spegnimento presenta particolari difficoltà. Su questi incendi l’acqua o la schiuma hanno notevole efficacia.

Classe B: incendi di materiali e liquidi per i quali è necessario un effetto di copertura e soffocamento come

alcoli, solventi, oli minerali, grassi, eteri, benzine, ecc.

Classe C: incendi di materiali gassosi infiammabili come idrogeno, metano, acetilene, etilene, propilene ecc. Classe D: incendi di sostanze chimiche spontaneamente combustibili in presenza d’aria e reattivi in presenza

d’acqua.

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2.7.2 Modalità di estinzione

Si individuano 5 modalità di estinzione di un incendio. 1. Separazione o soffocamento:

Viene eliminato il contatto tra combustibile e comburente oppure il combustibile viene rimosso dalla zona di combustione

2. Diluizione:

Si va a ridurre la concentrazione di combustibile nella miscela combustibile – comburente o si aumenta al punto di saturare l’ambiente

3. Disgregazione:

Rimozione degli inneschi o del contatto innesco – miscela 4. Raffreddamento:

Si porta la temperatura al di sotto della temperatura di infiammabilità 5. Inibizione:

Vengono impiegate sostanze inibitrici che aumentano l’energia di attivazione della reazione di combustione e ne ostacolano la propagazione nella miscela.

Le principali sostanze estinguenti sono acqua, sabbia, schiuma e gas inerti; la scelta dell’agente estinguente da impiegare è legata alla classe di fuoco da spengere in base alla reazione che il combustibile coinvolto nell’incendio sviluppa entrando in contatto con la sostanza estinguente o alle conseguenze attese sui beni interessati dall’incendio una volta che questo sarà esaurito.

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23

3 LA SICUREZZA ANTINCENDIO

3.1 I

NTRODUZIONE

Si indica col termine di sicurezza antincendio la ricerca delle soluzioni tecniche e progettuali finalizzata al soddisfacimento degli obiettivi primari della prevenzione incendi:

 Sicurezza della vita umana  Incolumità delle persone  Tutela dei beni e dell’ambiente

La via che i progettisti devono percorrere nell’inseguimento di tali obiettivi può seguire due strade distinte le quali porteranno a soluzioni diverse, applicazione di tecnologie diverse e costi diversi, ma stesse finalità. I due distinti approcci che possono essere adottati sono quello prescrittivo e quello prestazionale; il primo consiste nell’applicazione di regole tecniche e soluzioni dettate dagli enti normativi, il secondo lascia libera iniziativa al progettista il quale può cercare soluzioni ad hoc per il problema che sta affrontando, questo secondo metodo è naturalmente più flessibile del primo.

In Italia storicamente è stato privilegiato l’approccio prescrittivo alla disciplina della sicurezza antincendio. L’approccio prescrittivo, ovvero il rispetto delle disposizioni normative, presenta sia vantaggi che svantaggi; se da un lato si ha una semplicità di controllo e di progettazione e l’uniformità della disciplina, dall’altro si possono riscontrare casi in cui tale approccio risulta inapplicabile o eccessivamente conservativo.

Il D.M. 9 maggio 2007 “Direttive per l’attuazione dell’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio” segna un’importante svolta nel campo della prevenzione incendi: esso introduce per la prima volta in Italia l’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio delineando aspetti innovativi rispetto all’approccio prescrittivo finora perseguito dalla legislazione nazionale.

L’applicazione di un metodo prestazionale prevede il raggiungimento degli obiettivi di sicurezza antincendio in relazione alla verosimile situazione che può verificarsi, in una data attività, in caso di incendio; l’analisi del rischio di incendio viene svolta in modo quantitativo. Il metodo prestazionale, o ingegneria antincendio, si basa su l’applicazione di principi ingegneristici, di regole e giudizi esperti fondati sulla valutazione scientifica del fenomeno della combustione, sugli effetti dell’incendio e del comportamento umano col fine di tutelare la vita umana, di proteggere beni e ambiente, di quantificare i rischi d’incendio e i relativi effetti, di giungere ad una valutazione analitica delle misure di prevenzione ottimali necessarie a limitare entro i livelli previsti le conseguenze dell’incendio.

Il D.M. 3 agosto 2015 “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139” è un ulteriore passo avanti nella promozione dell’approccio prestazionale nella legislazione nazionale, detto decreto costituisce un testo unico in materia di sicurezza antincendio raccogliendo al suo interno diverse regole verticali, inoltre è strutturato in maniera tale da favorire approcci progettuali più flessibili offrendo al progettista la possibilità di scegliere tra diverse soluzioni.

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24

3.2 O

BIETTIVI DELLA PROGETTAZIONE AL FUOCO DELLE COSTRUZIONI

È la Direttiva 96/106/CE nota come “Direttiva Prodotti da Costruzione” (oggi sostituita, ma non modificata nel punto specifico, dal Regolamento UE 311/2011) che individua a livello comunitario gli obiettivi da perseguire, con la progettazione antincendio, attraverso i così detti requisiti essenziali i quali sono sotto elencati:

 Resistenza meccanica e stabilità  Sicurezza in caso di incendio  Igiene, salute e ambiente  Sicurezza nell’impiego  Protezione contro il rumore

 Risparmio energetico e ritenzione del calore

I requisiti essenziali devono essere perseguiti in ciascun paese appartenente alla UE il quale abbia recepito la direttiva. In Italia sono il D.M. Interno 9 marzo 2007 e il D.M. Infrastrutture 17 gennaio 2018 (NTC) che specificano il significato dell’espressione “Sicurezza in caso di incendio” facendo riferimento alla sopracitata direttiva.

In tabella si mostrano i requisiti che devono essere soddisfatti dalle opere di costruzione secondo le varie norme citate

Direttiva 89/106/CE D.M. Interno 9.03.2007 NTC

Garantire la capacità portante dell’edificio per un tempo determinato

Garantire la stabilità degli elementi portanti per un tempo utile ad assicurare il soccorso agli occupanti

Garantire la resistenza e la stabilità degli elementi portanti

Limitare la propagazione del fuoco e del fumo all’interno delle opere

Garantire la limitata propagazione del fuoco e dei fumi, anche riguardo alle opere vicine

Limitare la propagazione del fuoco e dei fumi

Limitare la propagazione del fuoco alle opere vicine

Garantire che gli occupanti possano lasciare l’opera o essere soccorsi altrimenti

Garantire la possibilità che gli occupanti lascino l’opera indenni o che gli stessi siano soccorsi in altro modo

Prendere in considerazione la sicurezza delle squadre di soccorso

Garantire la possibilità per le squadre di soccorso di operare in condizioni di sicurezza

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25

3.3 L’

EVOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO

:

DALLA CIRCOLARE N

°91

SETTEMBRE

1961

AL

N

UOVO CODICE DELL

AGOSTO

2015

Lo studio del comportamento delle strutture soggette a fuoco nasce in contemporanea alla disciplina della prevenzione incedi in quanto ne è un elemento essenziale. I primi riferimenti in materia compaiono nei regolamenti comunali contro gli incendi negli venti del ‘900 e nel decreto sugli oli minerali del 1934.

La prima norma specifica è la Circolare n°91 del 14 settembre 1961 “Norme sulla sicurezza per la protezione contro il fuoco dei fabbricati a struttura di acciaio destinati ad uso civile” pubblicata due anni dopo il D.P.R. 689/59 che ha costituito il primo elenco di attività soggette al controllo obbligatorio dei Vigili del Fuoco. Lo scopo delle norme era quello di fornire ai progettisti i criteri per il dimensionamento della protezione contro il fuoco da disporre a difesa delle strutture metalliche in maniera che l’incendio delle materie combustibili presenti si esaurisca prima che le stesse strutture raggiungano temperature tali d comprometterne la stabilità.

Un punto cruciale era quindi anche allora la determinazione della durata dell’incendio; veniva così introdotto il concetto di carico di incendio per poter così stabilire una corrispondenza numerica tra la durata dell’incendio e la quantità di materiale combustibile.

Il carico incendio, espresso in kg di legna a m2, nella circolare 91/1961 era ottenuto dividendo la sommatoria dei prodotti massa - potere calorifico superiore dei vari materiali combustibili per il prodotto tra superficie orizzontale del locale e 4400 che è il potere calorifico superiore del legno.

q =∑ Hi∙ gi n

i=1 4400 ∙ A

Una volta determinato il carico di incendio si individua la classe C di resistenza al fuoco degli elementi costruttivi attraverso un coefficiente k che tiene conto delle condizioni reali di incendio. La classe C è espressa in minuti.

Appare evidente l’analogia con le attuali normative, non a caso la circolare 91 ha rappresentato un riferimento nella tecnica di progettazione al fuoco fino ai primi anni 2000.

Una precisazione d’obbligo è che la circolare era riferita ai soli fabbricati civili inoltre l’equivalenza sopra descritta tra carico incendio e classe di resistenza è verificata solo in condizioni particolari quali la regolarità dei locali e aperture fisse solo a parete; ogni deviazione dagli scenari di riferimento implica la riduzione dell’affidabilità del metodo.

La resistenza al fuoco degli elementi è determinata in via tabellare o sperimentale; l’incendio di riferimento era costituito dalla curva unificata temperatura - tempo mostrata in figura:

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26

Figura 3-1_Curva di temperatura Circolare 91 14/09/1961

La curva in questione, così come l’odierna ISO 834, era costruita attraverso ‘inviluppo di numerose curve di incendio naturale al variare delle condizioni di ventilazione e delle caratteristiche del materiale combustibile. Già a partire dal 1961 l’esito della verifica è oggetto di certificazioni richieste dal Ministero, a tal proposito a metà degli anni ’80 con la legge n°818 del 7/12/1984 venne istituito il primo albo degli enti autorizzati al rilascio di dette certificazioni; all’albo sono iscritti i laboratori e i professionisti abilitati al rilascio di certificazioni in specifici ambiti, fra i quali proprio quello della resistenza al fuoco degli elementi strutturali. Nella successiva Circolare 9/85 si legge “L’attività di certificazione è esplicata dai professionisti nell’osservanza delle proprie competenze ed è affidata alla responsabilità e all’impegno deontologico del singolo professionista”; per avere la prima definizione ufficiale del termine certificazione si dovrà, però, attendere gli anni successivi: il D.M. 30/04/1993 all’articolo 2 fornisce la seguente definizione per certificazione: insieme delle relazioni tecniche di calcolo e degli attestati di collaudo o di verifica che i professionisti autorizzati - previa richiesta dei Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco - possono emettere limitatamente ai settori della prevenzione incendi elencati nel successivo articolo 3 e che i comandi stessi possono acquisire in aggiunta o in luogo degli accertamenti e delle valutazioni direttamente eseguite ai fini dell’approvazione del progetto o del rilascio del certificato di prevenzione incendi.

Nel 1989 vengono pubblicate le prime norme UNI per la valutazione analitica della resistenza al fuoco degli elementi costruttivi in calcestruzzo (UNI 9502), in acciaio (UNI 9503) e in legno (UNI 9504). Le norme UNI introducevano un metodo per il calcolo analitico finalizzato alla valutazione della resistenza al fuoco di un singolo elemento esposto alla curva temperatura - tempo della circolare 91/1961 senza entrare nel merito

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27

della verifica dell’intero sistema strutturale soggetto ad incendio la quale è interamente demandata al progettista.

A partire dai primi anni 2000 con la direttiva prodotti 89/106 CE la sicurezza antincendio diviene un requisito essenziale delle opere da costruzione e l’attenzione alla problematica della resistenza al fuoco viene ulteriormente messa in risalto nel 2005 con la pubblicazione delle parti fuoco degli Eurocodici; nell’aprile 2013 cessa definitivamente la possibilità di utilizzo delle UNI a seguito dell’entrata in vigore del decreto sulle Appendici Nazionali per l’applicazione degli Eurocodici, D.M. 31/07/2012.

La Circolare 91/1961 esaurisce il suo corso con l’abrogazione nel 2007 disposta nel D.M. 16/02/2007 “Classificazione di resistenza al fuoco di prodotti ed elementi costruttivi di opere da costruzione” il quale introduce anche limiti temporali per la validità dei rapporti di prova già rilasciati secondo la stessa Circolare. A livello nazionale si ha un’importante novità nel 2008 quando all’interno del D.M. Infrastrutture e Trasporti 14/01/2008 Norme Tecniche per le Costruzioni l’incendio entra per la prima volta tra le azioni di progetto, in particolare fra le azioni eccezionali. In parallelo alle NTC 2008 i criteri per determinare le prestazioni di resistenza al fuoco delle costruzioni sono fissati dal D.M. 9/03/2007 “Prestazioni di resistenza al fuoco delle costruzioni nelle attività soggette al controllo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco”.

Nei sopracitati decreti un’ulteriore elemento innovativo per la legislazione nazionale è costituito dall’introduzione dei livelli di prestazione richiesta alla struttura nel suo insieme dai quali si deducono le classi dei compartimenti e la resistenza al fuoco dei diversi elementi; con il D.M. 9/03/2007 il requisito di base delle costruzioni è diventato in modo esplicito quello di capacità portante dell’intero sistema strutturale il quale può essere ricondotto alla verifica della capacità portante dei singoli elementi ma solo in subordine a precise condizioni.

Nel maggio 2007 con il D.M. 9/05/2007 “Direttive per l’attuazione dell’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio” introduce per la prima volta in Italia in maniera esplicita la possibilità di ricorrere all’approccio prestazionale nella valutazione della rispondenza delle strutture ai requisiti di sicurezza loro richiesti, dando la possibilità ai progettisti di discostarsi dall’approccio prescrittivo. E’ uno strumento che non può essere imposto dai vigili del fuoco ma che può essere liberamente adottato dal progettista in alternativa alla metodologia vigente.

Nel 2015 è stato pubblicato, infine, il Nuovo Codice di Prevenzione Incendi D.M. 3/08/2015 che recepisce al suo interno tutte le direttive in materia di prevenzione incendi al fine di semplificare e razionalizzare il corpo normativo in materia. Il nuovo codice rappresenta uno strumento innovativo il quale consente di adottare strategie più flessibili che ben si adattano alle specifiche attività in analisi, sia in riferimento a quelle attività sprovviste di una propria regola tecnica verticale sia per quelle attività che presentano problematiche che risultano in disaccordo proprio con le prescrizioni delle regole tecniche verticali.

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28

Figura 3-2_Cronologia delle principali normative in materia di resistenza al fuoco

1961 Circolare 91/61 Protezion e al fuoco delle strutture in acciaio ad uso civile 1984 Legge 818/84 Albo professionisti autorizzati al rilascio delle certificazioni di prestazione 1988 Direttiva Europea 89/106 CE sui prodotti da costruzione 1989 Pubblicazio ne norme UNI in materia di resistenza al fuoco 2005 Pubblicazi one parti fuoco degli Eurocodici 2007 D.M. 9/03/2007 Presytazioni di resistenza al fuoco D.M. 16/02/2007 abrogazione Circolare 91/61 D.M. 9/05/2007 Direttive approccio ingegneristico 2008 pubblicazi one NTC D.M. 14/01/200 8 2013 Pubblicazi one annessi nazionali Eurocodici termine possibilità impiego norme UNI 2015 Nuovo Codice di Prevenzione Incendi

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29

3.4 C

ODICE DI PREVENZIONE INCENDI D

.

M

.

3

AGOSTO

2015

3.4.1 Generalità

Il decreto è composto da una prima parte dispositiva strutturata in 5 articoli e un allegato, il quale costituisce proprio il codice di prevenzione incendi.

Il codice è alternativo: le norme tecniche del decreto possono essere applicate alle attività, comprese nel campo di applicazione, in alternativa alle specifiche disposizioni di prevenzione incendi disposte dai decreti ministeriali per dette attività.

Il codice è applicabile alle quelle attività soggette a controllo dei VVF comprese nell’allegato I del D.P.R. 1 agosto 2011 n. 151 che sono esplicitamente citate nell’ articolo 2 del decreto; si applica quindi a gran parte delle attività individuate dall’allegato 1 del D.P.R. 151/2011 ma non a tutte.

L’allegato è suddiviso in quattro sezioni:  Sezione G - Generalità

 Sezione S - Strategia antincendio  Sezione V - Regole tecniche verticali  Sezione M - Metodi

I contenuti tecnici presentati nel codice di prevenzione incendi si basano su due ipotesi fondamentali: A. in condizioni ordinarie, l'incendio di un'attività si avvia da un solo punto di innesco.

B. il rischio di incendio di un'attività non può essere ridotto a zero.

Le misure antincendio di prevenzione, di protezione e gestionali previste sono pertanto selezionate al fine di minimizzare il rischio di incendio, in termini di probabilità e di conseguenze, entro limiti considerati accettabili.

3.4.2 Metodologia di progettazione

Il Codice utilizza la metodologia dell’individuazione di livelli prestazionali, introdotta per la prima volta in Italia nel campo della resistenza al fuoco con il DM 9 marzo 2007, estendendola a tutte le altre “misure antincendio”.

Nel capitolo G.2 Progettazione per la sicurezza antincendio, è esposta la metodologia generale proposta dal codice; essa si sviluppa nei seguenti passaggi:

1. Valutazione del rischio incendio per l’attività;

Il progettista valuta il rischio incendio attraverso l’attribuzione di tre profili di rischio i) R vita

ii) R beni iii) R ambiente

La metodologia di attribuzione dei livelli di rischio è illustrata nel capitolo G.3 2. Strategia antincendio per la mitigazione del rischio;

Si applicano le strategie della sezione S, per ciascuna misura antincendio sono previsti livelli di prestazione in funzione degli obiettivi di sicurezza da raggiungere e della valutazione del rischio dell'attività.

3. Attribuzione dei livelli di prestazione;

Il livello di prestazione è attribuito una volta effettuata la valutazione dei rischi, ciascun capitolo della sezione S fornisce i criteri di attribuzione.

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30

È in questa fase che il nuovo codice lascia una grande libertà di azione al progettista, vengono presentate tre diverse tipologie di soluzione

i) Soluzioni conformi ii) Soluzioni alternative iii) Soluzioni in deroga

Figura 3-3_Schematizzazione della metodologia generale DM 3 agosto 2015

3.4.3 Soluzioni progettuali

L'applicazione di una delle soluzioni progettuali deve garantire il raggiungimento del livello di prestazione richiesto.

3.4.3.1 Applicazione di soluzioni conformi

Si può guardare all’applicazione delle soluzioni conformi come mezzo di perseguimento di un approccio progettuale di tipo prescrittivo in quanto il progettista che fa ricorso alle soluzioni conformi non è obbligato a fornire ulteriori valutazioni tecniche per dimostrare il raggiungimento del collegato livello di prestazione. Le soluzioni conformi sono solo quelle proposte nei pertinenti paragrafi della sezione Strategia antincendio.

3.4.3.2 Applicazione di soluzioni alternative

Il progettista è libero di non seguire l’applicazione delle soluzioni conformi proposte a patto di dimostrare che sia assicurato il raggiungimento del livello di prestazione precedentemente individuato a seguito dell’analisi dei rischi.

I metodi impiegabili a tale scopo sono:

 Applicazione di norme o documenti tecnici adottati da organismi europei o internazionali riconosciuti nel settore della sicurezza antincendio.

 Applicazione di prodotti o tecnologie di tipo innovativo sprovvisti di apposita specifica tecnica la cui idoneità all’impiego possa essere attestata dal progettista in sede di verifica ed analisi sulla base di una valutazione del rischio connessa all'impiego dei medesimi prodotti o tecnologie supportata da pertinenti certificazioni di prova.

Ingegneria della sicurezza antincendio

3.4.3.3 Applicazione di soluzioni in deroga

Si fa ricorso allo strumento della deroga laddove non possono essere applicate né soluzioni conformi né soluzioni alternative; deve essere assicurato il livello di prestazione previsto attraverso:

 Analisi e progettazione secondo giudizio esperto  Prove sperimentali

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La metodologia prestazionale è proposta ed integrata all’interno del decreto, i metodi dell'ingegneria della sicurezza antincendio possono essere applicati dal progettista secondo procedure, ipotesi e limiti indicati nei capitoli M.1, M.2 e M.3 della sezione M del codice.

3.4.4 Sezione M – Metodi per la progettazione prestazionale

In questa sezione vengono presentate le metodologie da seguire per l’applicazione dei dell’ingegneria della sicurezza antincendio.

Il capitolo M.1 della sezione illustra i vari passaggi che compongono le due fasi della metodologia prestazionale:

1. Prima fase - Analisi preliminare 1) Definizione del progetto

2) Identificazione degli obiettivi di sicurezza antincendio 3) Definizione delle soglie di prestazione

4) Individuazione degli scenari di incendio di progetto 2. Seconda fase - Analisi quantitativa

1) Elaborazione delle soluzioni progettuali 2) Valutazione delle soluzioni progettuali 3) Selezione delle soluzioni progettuali idonee

Nel capitolo M.1 oltre alle metodologie da seguire viene illustrata la documentazione di progetto che dovrà integrare le varie fasi di progettazione

Prima fase – Analisi preliminare Seconda fase – Analisi quantitativa

Sommario tecnico Relazione tecnica

Programma per la gestione della sicurezza antincendio con modalità di attuazione delle misure di gestione della sicurezza antincendio

Con l'applicazione della metodologia prestazionale il professionista antincendio basa l’individuazione delle misure antincendio di prevenzione e protezione di progetto su specifiche ipotesi e limitazioni d'esercizio: devono pertanto essere previste specifiche misure di gestione della sicurezza antincendio (GSA) affinché non possa verificarsi la riduzione del livello di sicurezza assicurato inizialmente.

Il capitolo M.2 descrive la procedura per l’individuazione degli scenari d’incendio; il capitolo M.3 è dedicato alla salvaguardia della via col metodo prestazionale.

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3.5 A

PPROCCIO PRESCRITTIVO

L’approccio prescrittivo alla progettazione al fuoco delle strutture come detto consiste nell’affidarsi alle indicazioni fornite da una norma tecnica specifica. Nel D.M. 3 agosto 2015 è il capitolo S.2 della sezione S a definire le strategie antincendio relative alla resistenza al fuoco delle strutture.

Gli obiettivi minimi di sicurezza sono considerati soddisfatti se si applicano le soluzioni conformi proposte per i vari livelli di prestazione.

Si illustrano i livelli di prestazione nei confronti della resistenza al fuoco dal capitolo S.2.2

Livello Descrizione

I Assenza di conseguenze esterne per collasso strutturale

II Mantenimento dei requisiti di resistenza al fuoco per un periodo sufficiente all’evacuazione degli occupanti in luogo sicuro all’esterno della costruzione.

III Mantenimento dei requisiti di resistenza al fuoco per un periodo congruo con la durata dell'incendio.

IV Requisiti di resistenza al fuoco tali da garantire, dopo la fine dell’incendio, un limitato danneggiamento della costruzione.

V Requisiti di resistenza al fuoco tali da garantire, dopo la fine dell’incendio, il mantenimento della totale funzionalità della costruzione stessa.

I livelli di prestazione sono attribuiti ad una struttura attraverso i criteri del capitolo S.2.3

Livello Criteri di attribuzione

I Opere da Costruzione, comprensive di eventuali manufatti di servizio adiacenti nonché dei relativi impianti tecnologici di servizio, dove sono verificate tutte le seguenti condizioni:

 compartimentate rispetto ad altre opere da costruzione eventualmente adiacenti e strutturalmente separate da esse e tali che l’eventuale cedimento strutturale non arrechi danni ad altre opere da costruzione

 adibite ad attività afferenti ad un solo responsabile dell'attività e con i seguenti profili di rischio:

◦ Rbeni pari a 1;

◦ Rambiente non significativo;

 non adibite ad attività che comportino presenza di occupanti, ad esclusione di quella occasionale e di breve durata di personale addetto.

II Opere da Costruzione o porzioni di opere da costruzione, comprensive di eventuali manufatti di servizio adiacenti nonché dei relativi impianti tecnologici di servizio, dove sono verificate tutte le seguenti condizioni:

 compartimentate rispetto ad altre opere da costruzione eventualmente adiacenti

 strutturalmente separate da esse e tali che l’eventuale cedimento

strutturale non arrechi danni alle stesse ovvero, in caso di assenza di separazione strutturale, tali che l’eventuale cedimento della porzione non arrechi danni al resto dell'opera da costruzione

 adibite ad attività afferenti ad un solo responsabile dell'attività e con i seguenti profili di rischio:

◦ Rvita compresi in A1, A2, A3, A4; ◦ Rbeni pari a 1;

◦ Rambiente non significativo;

 densità di affollamento non superiore a 0,2 persone/m2;

 non prevalentemente destinate ad occupanti con disabilità;

 aventi piani situati a quota compresa tra -5 m e 12 m. III Opere da costruzione non ricomprese negli altri criteri di attribuzione.

IV,V Su specifica richiesta del committente, previsti da capitolati tecnici di progetto, richiesti dalla autorità competente per costruzioni destinate ad attività di particolare importanza.

In generale la forza dell’approccio prescrittivo è quella di esonerare il progettista dall’onere di rappresentare l’incendio e lascia il compito di definire la classe di resistenza del compartimento secondo il principio per il

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quale una volta fissato l’andamento del rilascio termico la durata dell’incendio dipende solo dal quantitativo di materiale combustibile presente nel compartimento stesso.

Il metodo prescrittivo si compone di due fasi:

 Individuazione della classe di resistenza al fuoco, prescritta o calcolata

 Selezione della caratteristica di resistenza al fuoco idonea a rappresentare la prestazione dell’elemento costruttivo

Le caratteristiche di resistenza degli elementi sono identificate mediante il ricorso alle grandezze R, E, ed I R (Resistance) = stabilità meccanica o capacità portante

E (Étanchéité) = tenuta al passaggio di fumi e gas caldi

I (Isolation) = limitazione del riscaldamento della faccia non esposta

I suddetti simboli sono seguiti di un numero il quale esprime in minuti il tempo per il quale un compartimento garantisce tali caratteristiche di resistenza al fuoco nei confronti della curva di incendio nominale ISO 834. Quello specifico intervallo di tempo individua la classe del compartimento.

Nel nuovo codice, come nel D.M. 9 marzo 2007, la classe di resistenza al fuoco di un compartimento è rapportata al carico d’incendio specifico di progetto il quale rappresenta il potenziale termico di tutti i materiali combustibili presenti mitigato dalla presenza eventuale di misure atte a diminuire il pericolo d’incendio.

In particolare, per il livello di prestazione 3, la classe minima di resistenza al fuoco è ricavata per compartimento in relazione al carico di incendio specifico di progetto qf,d come indicato in tabella

L’andamento delle temperature negli elementi deve essere valutato per l’intervallo di tempo di esposizione pari alla classe minima di resistenza al fuoco prevista per ciascun livello di prestazione.

Riferimenti

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