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Valutazione dell'azione di Erucina nei fenomeni di oxi-inflamm-ageing della parete vascolare

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Farmacia

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

Tesi di Laurea

Valutazione dell’azione di Erucina nei

fenomeni di oxi-inflamm-ageing della parete

vascolare

Relatori: Candidata:

Prof. Vincenzo Calderone Benedetta Dal Canto

Prof.ssa Alma Martelli

Dott.ssa Eugenia Piragine

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INDICE

CAPITOLO 1 - Introduzione ... 1 1.1 Vascular inflammation ... 1 1.1.1 Stress ossidativo ... 4 1.1.2 Infiammazione ... 8 1.2 Il solfuro di idrogeno ... 16 1.2.1 H2S e infiammazione ... 26 1.2.3 H2S e disfunzione endoteliale ... 28

1.3 Approcci terapeutici di sintesi ... 31

1.3.1 Statine ... 31

1.3.2 Antidiabetici ... 32

1.3.3 Anti-infiammatori ... 34

1.3.4 H2S-Donors ... 36

1.4 Approcci terapeutici naturali... 40

1.4.1 Composti fenolici ... 40

1.4.2 Isotiocianati ... 43

CAPITOLO 2 – Scopo della ricerca ... 53

CAPITOLO 3 – Materiali e metodi ... 55

3.1 Materiali e metodi per la sperimentazione in vitro ... 55

3.1.1 Colture cellulari ... 55

3.1.2 Mezzi di coltura ... 56

3.1.2.1 Mezzo di coltura delle cellule HASMC ... 56

3.1.2.2 Mezzo di coltura delle cellule HUVEC ... 57

3.1.3 Sostanze utilizzate nei protocolli sperimentali ... 58

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3.2 Protocollo sperimentale ... 61

3.2.1 Scongelamento ... 62

3.2.2 Piastratura ... 63

3.2.3 Esperimenti ... 66

3.2.3.1 Valutazione dell’effetto protettivo di Erucina nei confronti del danno infiammatorio acuto da LPS sulla vitalità cellulare delle HUVEC e delle HASMC ... 67

3.2.3.2 Valutazione dell’effetto protettivo di Erucina nei confronti della produzione di TNFα in seguito al trattamento delle HUVEC con LPS ... 69

3.2.3.3 Valutazione dell’effetto protettivo di Erucina nei confronti del danno ossidativo da H2O2 sulla vitalità delle HUVEC e delle HASMC in presenza di ML385, inibitore di Nrf2 ... 70

3.2.3.4 Valutazione degli effetti preventive di Erucina nei confronti della produzione delle ROS in seguito al trattamento con H2O2 in presenza di ML385, inibitore di Nrf2 ... 71

3.3 Analisi dei dati ... 73

CAPITOLO 4 – Risultati e discussione ... 74

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CAPITOLO 1

INTRODUZIONE

1.1 Vascular inflammation

L’endotelio vascolare è un monostrato di cellule poste direttamente a contatto con il torrente circolatorio, responsabili dell’omeostasi dell’intero distretto vascolare. Le cellule endoteliali, infatti, rappresentano una vera e propria barriera meccanica e biologica tra i vasi ed i tessuti sottostanti (Krüger-Genge et al., 2019). Cambiamenti nell’integrità dell’endotelio fanno sì che venga meno la sua funzione di barriera con conseguente innesco di diversi processi fisiopatologici come rimodellamento tissutale, riparazione ed infiammazione (Deanfield et al., 2007). L’endotelio, oltre alla sua funzione di barriera, esplica un ruolo chiave nel mantenimento del tono vascolare riducendo la contrazione delle cellule muscolari lisce grazie alla produzione di specifici mediatori endogeni iperpolarizzanti e vasorilascianti. L’endotelio contribuisce inoltre al mantenimento della fluidità del sangue, alla neo-vascolarizzazione e alla prevenzione dei processi ossidativi ed infiammatori (Favero et al., 2014). Il danneggiamento dell’endotelio è un evento fisiopatologico molto complesso che comporta un aumento dell’attivazione delle cellule endoteliali e la disfunzione dell’endotelio stesso. L’attivazione delle cellule endoteliali determina un effetto pro-infiammatorio e pro-coagulante caratterizzato dall’espressione sulla superficie delle cellule endoteliali di molecole di adesione necessarie per il richiamo di cellule infiammatorie (Liao, 2013; Mittal et al., 2014).

Clinicamente, un’attivazione incontrollata delle cellule endoteliali gioca un ruolo chiave in molte condizioni patologiche come malattie cardiovascolari,

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cancro ed infezioni (Deanfield et al., 2007). L’attivazione delle cellule endoteliali quiescenti genera una risposta infiammatoria tipicamente guidata dal fattore nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells (NF-κB), il quale porta alla produzione di fattori infiammatori come il fattore di necrosi tumorale α (TNFα), interleuchina 1 (IL-1), molecole di adesione intercellulare 1 (ICAM-1) e molecole di adesione cellulare vascolari 1 (VCAM-1) (Kempe et al., 2005; Pober e Sessa, 2007).

L’infiammazione della parete vascolare induce diversi cambiamenti patologici caratterizzati inizialmente dalla comparsa di edema (Numano, 2000; Mulligan-Kehoe, 2010), seguita da infiltrazione di cellule immunitarie (Weyand e Goronzy, 2003) fino ad un vero e proprio rimodellamento strutturale (Figura 1.1), con conseguente compromissione della funzionalità endoteliale dovuta essenzialmente alla ridotta biodisponibilità di ossido nitrico (NO) nella parete del vaso.

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L’endotelio è il target che risente maggiormente dei processi infiammatori e dello stress ossidativo e la disfunzione endoteliale è la prima conseguenza della vascular inflammation.

È ormai ben noto che le cellule endoteliali svolgano un ruolo fondamentale nel mantenimento dell'omeostasi cardiovascolare. Infatti, oltre a fornire una barriera fisica tra la parete del vaso ed il lume, l'endotelio secerne diversi mediatori responsabili della regolazione della coagulazione, della fibrinolisi e del mantenimento del tono vascolare. I fattori di rischio per le malattie cardiovascolari come ipertensione, fumo di sigaretta, iperlipidemie e diabete mellito sono associati ad un declino della funzione vascolare (Cunha et al., 2017). Infatti, questo è il motivo per il quale la determinazione dell’età vascolare è stata introdotta nelle linee guida cliniche per la prevenzione del rischio cardiovascolare, al fine di mostrare al paziente come il proprio stile di vita possa contribuire progressivamente al deterioramento vascolare (Perk et al., 2012).

Per molti decenni, al sistema vascolare era stata riconosciuta solo la sua funzione “passiva” di veicolare il sangue, l’ossigeno e gli altri nutrienti ai tessuti. Con la scoperta del gastrasmettitore NO si è assistito ad una rivalutazione del ruolo del sistema vascolare. Infatti, NO è un fattore di rilascio endotelio derivato (EDRF) capace di rilasciare la muscolatura dei vasi e mantenere la fluidità del sangue (Ignarro et al., 1987).

Grazie a questa straordinaria scoperta il sistema vascolare e l’endotelio non sono stati più considerati solo come apparati meccanici “passivi” ma anche come dei veri e propri laboratori chimici capaci di biosintetizzare i più importanti agenti cardiovascolari, conferendo al sistema vascolare un nuovo ruolo “attivo”, fonte di modulatori fondamentali delle funzioni emostatiche ed emodinamiche. Recentemente, l’interesse nei confronti del sistema vascolare è cresciuto notevolmente, permettendo la comprensione del ruolo

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cruciale che riveste l’infiammazione vascolare nell’insorgenza di molte condizioni patologiche subclinico-croniche (Steven et al., 2019).

1.1.1 Stress ossidativo

Le specie reattive dell’ossigeno (ROS) sono intermedi reattivi dell’ossigeno molecolare che vengono fisiologicamente prodotti durante il metabolismo cellulare (Mittal et al., 2014) e durante i processi di difesa dell’organismo ospite nei confronti di patogeni (Thomas et al., 2008; Mittal et al., 2014). Le ROS, essendo generate dal metabolismo dell’ossigeno, sono un’inevitabile conseguenza della vita aerobica della cellula. Inoltre, possono derivare da sostanze esogene come metalli, radiazioni, agenti chemioterapici, carcinogeni e da fattori ambientali ed alimentari (Figura 1.2) (Halliwell, 2012; Ginter et al., 2014).

Figura 1.2 Principali fattori esogeni responsabili della produzione delle ROS.

Le ROS sono rappresentate principalmente dai radicali liberi dell’ossigeno, come l’anione superossido (O2·-), il radicale idrossilico (OH·) ed altre specie

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radicaliche dell’ossigeno possono anche interagire con NO per formare le specie reattive dell’azoto (RNS) (Hirst e Robson, 2011). In condizioni fisiologiche le ROS si comportano come importanti secondi messaggeri nella trasduzione dei segnali intracellulari in vari processi biologici (Thannickal et al., 2000; Bretòn-Romero e Lamas, 2014). Tuttavia, quando la produzione delle ROS eccede la capacità di neutralizzazione dei sistemi antiossidanti endogeni o quando gli enzimi antiossidanti sono in difetto, si ha lo stress ossidativo (Figura 1.3).

Figura 1.3 Rappresentazione dello stress ossidativo cellulare.

Gli antiossidanti endogeni come gli enzimi catalasi, glutatione perossidasi e superossido dismutasi (Bresciani e Gonzalez-Gallego, 2015), assieme agli antiossidanti esogeni come i carotenoidi, la vitamina C ed E costituiscono un sistema fondamentale del sistema detossificante. Elevate concentrazioni di ROS sono implicate in diverse patologie come malattie neurodegenerative (Uttara et al., 2009), cancro (Sosa et al., 2013), malattie renali (Massy e Nguyen-Khoa, 2002), malattie polmonari (Park et al., 2006) e malattie metaboliche come obesità e diabete. L’insorgenza di tali condizioni patologiche rappresenta la conseguenza principale del danno ossidativo recato a diverse biomolecole, come DNA, lipidi e proteine (Fridovich, 1999; Yun-Zhong et al., 2002).

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Nelle cellule endoteliali, l’NO è il principale responsabile del mantenimento dell’omeostasi vascolare. Una riduzione della biodisponibilità di NO, dovuta ad una riduzione nella produzione di quest’ultimo o ad un aumento della sua degradazione da parte dell’anione superossido, segna l’inizio della disfunzione endoteliale. In particolar modo, l’anione superossido, reagendo con NO, porta alla formazione del perossinitrito (ONOO-) (Landmesser et al.,

2003; Wolin et al., 2010). Il perossinitrito promuove la nitrazione delle proteine della cellula contribuendo così alla disfunzione ed alla morte delle cellule endoteliali (Liaudet et al., 2009). L’anione superossido è generato da diversi enzimi, come ad esempio la NADPH ossidasi, la xantina ossidasi e la ossido nitrico sintasi endoteliale (eNOS) disaccoppiata. L’accumulo delle ROS porta alla disfunzione del mitocondrio della cellula endoteliale a causa dell’ossidazione dei lipidi mitocondriali con conseguente diminuzione del potenziale di membrana del mitocondrio stesso (Rodriguez et al., 2018). Lo stress ossidativo porta all’apoptosi delle cellule endoteliali con conseguente morte di quest’ultime (Lin et al., 2015).

Il principale regolatore dei meccanismi di difesa antiossidanti all’interno della cellula è il fattore di trascrizione nucleare eritroide 2 (Nrf2) (Uttara et al., 2009). Questo fattore di trascrizione ha la capacità di modulare l’espressione genica di geni deputati alla trascrizione di enzimi citoprotettivi ed antiossidanti ed esplica la propria azione interagendo con degli elementi responsivi antiossidanti (ARE). L’azione di Nrf2 è strettamente regolata dal proprio inibitore, Keap1. Infatti, quando Keap1 è legato a Nrf2 quest’ultimo non è in grado di esplicare la propria funzione (Tebay et al., 2015). Fisiologicamente Nrf2 e Keap1 risultano essere legati tra loro e sono localizzati nel citosol (Kobayashi et al., 2004). Questo complesso fa sì che la proteina Nrf2 possa essere accessibile alla molecola ubiquitina. L’ubiquitinazione provoca l’idrolisi di molti fattori di trascrizione (tra i quali Nrf2) a livello dei proteasomi nel momento in cui la trascrizione del DNA non deve essere attivata. Questa ubiquitinazione però può essere prevenuta rompendo il complesso

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Nrf2-7

Keap1 (Chapple et al., 2012). Essendo la proteina Keap1 costituita da diversi residui amminoacidici di cisteina, nel momento in cui si è in presenza delle ROS o di elettrofili, le suddette molecole possono reagire con i gruppi sulfidrilici di Keap1 provocando la rottura del complesso Nrf2-Keap1 liberando Nrf2 nel citosol. In questa maniera, Nrf2 trasloca nel nucleo ed è libero di interagire con le regioni regolatrici del DNA, attivando così la trascrizione genica di geni codificanti per elementi antiossidanti (Figura 1.4).

Figura 1.4 Rappresentazione schematica della via di segnalazione Nrf2/Keap1/ARE.

Il pathway Nrf2/ARE possiede un ruolo cardine nella regolazione dei sistemi antiossidanti endogeni e pertanto può rappresentare un possibile target farmacologico utile per ridurre lo stress ossidativo cellulare e, auspicabilmente, le patologie di cui lo stress ossidativo provoca l’insorgenza e l’esacerbazione (Hayes e Dinkova-Kostova, 2014).

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1.1.2 Infiammazione

L’infiammazione è una risposta fisiologica protettiva da parte del sistema immunitario innato che si scatena a seguito di una lesione tissutale o di uno stimolo nocivo come quello indotto da patogeni, allergeni ed altri agenti irritanti (Pittard et al., 1996). La funzione principale dell’infiammazione è risolvere l’infezione e riparare il tessuto danneggiato. Idealmente, la risposta infiammatoria dovrebbe essere in grado di riportare il tessuto leso al proprio status quo, essere efficace ed autolimitante. Se a causa di ricorrenti stimoli nocivi oppure a causa di un’inefficiente regolazione o risoluzione dell’infezione l’infiammazione persiste, si può andare incontro ad una cronicizzazione dello stato infiammatorio. La risposta infiammatoria è caratterizzata dalla produzione di molecole pro-infiammatorie e citochine che fungono da molecole segnale tra le cellule e coordinano la risposta infiammatoria. Un ruolo chiave nell’induzione dell’infiammazione è esplicato da NF-κB, uno dei principali fattori di trascrizione che induce la trascrizione di numerosi geni responsabili della produzione di citochine, chemochine, immunorecettori, molecole di adesione (CAM) e proteine della fase acuta (Pahl et al., 1999). NF-κB è un fattore di trascrizione ubiquitario coinvolto nella risposta cellulare nei confronti di stimoli nocivi come stress, citochine, radicali liberi, radiazioni UV, liproproteine a bassa densità (LDL) ossidate ed antigeni virali e/o batterici (Tian e Brasier, 2003; Gilmore, 2006). La famiglia delle proteine di NF-κB include i fattori dimerici p52/p100, p50/p105, c-Rel, RelA/p65 e RelB. Questi fattori regolano l’espressione genica ed influenzano un vasto numero di processi biologici. Nel pathway canonico (Figura 1.5), NF-κB è legato ed inibito da proteine INF-κB. Citochine pro-infiammatorie, lipopolisaccaride (LPS), fattori di crescita e recettori per i vari antigeni attivano un complesso chiamato IKK (IKKα, IKKβ e NEMO), il quale fosforila le proteine IκB inducendo la loro ubiquitinazione con conseguente degradazione proteosomica. In questo modo NF-κB è libero di traslocare dal citosol al nucleo

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dove da solo o in associazione ad altri fattori di trascrizione come AP-1, Ets e Stat induce l’espressione di geni pro-infiammatori (Sun, 2012).

Nel pathway non canonico (Figura 1.5) i complessi p100/RelB sono inattivi nel citoplasma. Dopo un’attivazione di recettori come LTβR, CD40 e BR3, la chinasi NIK viene attivata inducendo il complesso IKKα. Quest’ultimo fosforila p100 che viene processata proteolicamente in p52 la quale, insieme al complesso RelB, trasloca nel nucleo ed induce l’espressione di geni pro-infiammatori (Sun, 2012).

Figura 1.5 Attivazione canonica e non canonica di NF-κB.

L’attivazione di NF-κB dipende da stimoli differenti. Nel cuore, sia il sistema immunitario innato che quello adattativo vengono coinvolti in risposta ad una lesione tissutale dovuta a pattern molecolari associati a patogeni (PAMPs) o pattern molecolari associati al danno (DAMPs) i quali stimolano i recettori dell’immunità innata (PRRs) (Epelman et al., 2015). Molti PRRs vengono attivati dai PAMPs e DAMPs e portano all’attivazione di NF-κB, di AP-1, dell’inflammosoma e del fattore di trascrizione del fattore di regolazione dell’interferone (Epelman et al., 2015). Il ruolo patogenico di NF-κB è stato

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dimostrato in molte malattie, dal cancro alle malattie cardiovascolari (Baldwin, 2001; Yamamoto e Gaynor, 2001). Questo fattore esercita un duplice effetto: regola il sistema immunitario andando a modulare la trascrizione genica di molecole pro-infiammatorie (Hayden e Ghosh, 2008) e regola l’espressione di determinati geni responsabili della progressione della malattia. Questo suggerisce che NF-κB potrebbe essere un efficace target terapeutico in quelle patologie che sono caratterizzate da un’elevata attività trascrizionale legata a questo fattore e per le quali l’infiammazione favorisce un danno d’organo, come nel caso delle malattie cardiovascolari (Fiordelisi et al., 2019).

Analogamente, anche il fattore di trascrizione AP-1 coinvolto nel processo infiammatorio è stimolato da fattori di stress come le infezioni e le citochine. Altri patterns fondamentali nell’insorgenza di una risposta infiammatoria sono rappresentati da recettori di riconoscimento come TLRs e chinasi come la proteina chinasi attivata da mitogeno (MAPK).

L’infiammazione vascolare è una condizione clinica che deriva dalla persistenza di stimoli ossidativi ed infiammatori a livello dell’endotelio vascolare oppure a livello delle cellule della muscolatura liscia del vaso. Il danneggiamento di queste due componenti del vaso può essere una conseguenza di uno stato infiammatorio di grado lieve tipico di diverse patologie metaboliche/cardiovascolari, come il diabete mellito e la sindrome metabolica (Jeong e King, 2011). Entrambe queste condizioni patologiche sono caratterizzate da elevate concentrazioni di glucosio nel sangue. Durante l’esposizione cronica all’iperglicemia, proteine, lipidi ed acidi nucleici reagiscono con gli zuccheri per dare origine a prodotti intermedi come le basi di Schiff ed i prodotti di Amadori, i quali possono essere convertiti in prodotti di glicazione finale avanzata (AGEs) dopo reazioni di riarrangiamento, disidratazione e condensazione. La formazione degli AGEs (Figura 1.6) solitamente avviene durante il processo fisiologico dell’invecchiamento, ma

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può essere particolarmente accentuata in presenza di stress ossidativo ed iperglicemia persistente (Rahbar, 2007).

Figura 1.6 Reazioni chimiche alla base della produzione degli AGEs.

Gli AGEs inducono una perdita di elasticità del vaso ed un’inattivazione del pathway NO/guanosina monofosfato ciclico (GMPc) a causa dell’estinzione di NO con formazione di perossinitrito. Inoltre, gli AGEs sono responsabili dell’ossidazione delle LDL (Bucala et al., 1995). Il legame degli AGEs ai propri recettori RAGE porta ad un aumento della produzione delle ROS e ad un’attivazione di NF-κB, con conseguente aumento dell’espressione delle molecole di adesione cellulare ICAM-1 e VCAM-1, della proteina chemiotattica dei monociti 1 (MCP-1), dell’inibitore dell’attivatore del plasminogeno 1 (PAI-1), del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF) e del recettore stesso per gli AGEs (RAGE) (Tanaka et al., 2000; Yamagishi e Imaizumi, 2005). La contemporanea presenza di stimoli nocivi a carico del vaso porta alla disfunzione vascolare e ad un danneggiamento della funzionalità del vaso stesso con alterazione strutturale di quest’ultimo ed aumento della permeabilità della parete vascolare che determina la condizione

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clinica descritta come “leaky vascular tree”. Questa condizione è molto pericolosa perché permette la diffusione di stimoli infiammatori ed ossidativi a tutti gli organi e tessuti, aumentando così il rischio di insorgenza di fibrosi, neurodegenerazione e cancro (Weis, 2008).

Nella disfunzione endoteliale associata al diabete mellito di tipo 2, una strategia terapeutica potrebbe essere quella di sopprimere il pathway AGEs/RAGE ed attivare il già citato fattore di trascrizione Nrf2 al fine di preservare l’integrità del vaso (Pirillo et al., 2011).

L’aumento delle citochine infiammatorie è associato all’insorgenza di patologie cardiovascolari. Per questa ragione il ruolo dell’immunità innata nelle mattie cardiovascolari è stato valutato nello studio CANTOS (Canakinumab Anti-inflammatory Thrombosis Outcome Study) (Ridker et al., 2017). Questo trial clinico ha dimostrato che bloccare l’azione dell’interleuchina 1β usando un anticorpo monoclonale specifico come canakinumab porta ad una riduzione del numero di eventi cardiovascolari avversi ricorrenti in pazienti con precedente infarto del miocardio associati a livelli di proteina C reattiva elevati. Inoltre, a seguito del trattamento con canakinumab, si è assistito ad una diminuzione dei livelli di IL-6 (Ridker et al., 2017). Questo studio ha permesso di confermare che i processi infiammatori sono dei significativi fattori di rischio per l’insorgenza di patologie cardiovascolari (Fiordelisi et al., 2019; Varricchi et al., 2019).

Oltre all’infiammazione cronica, anche un’infiammazione acuta può portare ad un danneggiamento dell’endotelio con conseguente perdita delle sue funzioni fisiologiche di barriera e di mantenimento dell’omeostasi emodinamica. Questo è quello che si viene a verificare nei pazienti affetti da COVID-19 (Corona Virus Disease-19), malattia che può essere considerata una “endothelial disease”.

La malattia COVID-19 è causata dal severe acute respiratory syndrome coronavirus

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Wuhan, capitale della provincia di Hubei in Cina (Paules et al., 2020; Hui et al., 2020). I sintomi della malattia più comunemente riportati sono tosse, febbre e respiro corto. I sintomi respiratori sono i più frequenti perché il virus accede alle cellule ospiti tramite l’enzima convertitore dell’angiotensina 2 (ACE2) (Zhang et al., 2020; Zhou et al., 2020a), il quale è particolarmente espresso a livello polmonare (Hamming et al., 2004). Il recettore ACE2 si trova anche sulla membrana delle cellule endoteliali (Lovren et al., 2008; Sluimer et al., 2008) ed è particolarmente espresso in eventi clinici solitamente osservati nei pazienti COVID-19, come ipertensione (Schiffrin et al., 2020; Guan et al., 2020), trombosi (Zhou et al., 2020b; Klok et al., 2020), insufficienza renale (Durvasula et al., 2020; Ronco e Reis, 2020), embolia polmonare (Rotzinger et al., 2020; Poissy et al., 2020), disordini cardiovascolari e cerebrali (Aggarwal et al., 2020; Mao et al., 2020) indicando che il virus ha come target proprio l’endotelio (Santulli et al., 2020). A sostegno della tesi per cui il SARS-CoV-2 abbia come target l’endotelio vi sono i numerosi casi di malattia di Kawasaki in giovani pazienti COVID-19 (Riphagen et al., 2020).

Per accedere alle cellule ospiti SARS-CoV-2 utilizza una glicoproteina di superficie (peplomer) conosciuta come proteina “spike” ed ACE2 risulta essere un co-recettore per l’entrata del virus nella cellula (Letko et al., 2020; Guzzi et al., 2020). Per questa ragione, la densità dei recettori ACE2 in ciascun tessuto potrebbe essere correlata alla gravità della patologia (Xu et al., 2020). Vi sono altri recettori sulla superficie delle cellule umane che hanno mostrato mediare l’entrata di SARS-CoV-2 all’interno della cellula (Zhou et al., 2020a), come la serina proteasi di transmembrana 2 (TMPRSS2) (Matsuyama et al., 2020; Sungnak et al., 2020), i recettori dell’acido sialico (Tortorici et al., 2019; Hulswit et al., 2019) e l’induttore delle metalloproteinasi di matrice extracellulari (CD147, conosciuto anche con il nome di basigin) (Chen et al., 2005). Anche le catepsine B ed L hanno mostrato essere dei fattori critici per l’ingresso di SARS-CoV-2 nella cellula (Figura 1.7) (Sungnak et al., 2020; Ou et

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al., 2020). Tutti questi fattori che coadiuvano l’entrata di SARS-CoV-2 nella cellula sono espressi nelle cellule endoteliali (Yang et al., 2016; Cai et al., 2017).

Figura 1.7 Rappresentazione grafica delle vie utilizzate da SARS-CoV-2 per infettare le cellule

endoteliali.

L’endotelio vascolare oltre ad essere il diretto bersaglio del virus, risulta essere anche un bersaglio della cosiddetta “tempesta citochinica” innescata da SARS-CoV-2 (Gustafson et al., 2020; Varga et al., 2020). Le sindromi da tempesta citochinica (CSS) possono portare ad infiammazione sistemica, disfunzione d’organo multipla e morte (Canna e Behrens, 2012; Chaudhry et al., 2013). Nei pazienti affetti da COVID-19, le citochine preponderanti sono IL-1, IL-6 e TNFα (Henry et al., 2020a).

La disfunzione endoteliale risulta essere particolarmente importante in organi come polmone e rene, che sono tra gli organi più colpiti da SARS-CoV-2. In molti pazienti si può avere una microangiopatia sistemica, responsabile della sindrome da disfunzione multiorgano (MODS) che determina cardiomiopatia,

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insufficienza acuta renale ed epatica, ischemia del mesentere e danni neurologici (Sardu et al., 2020; Gustafson et al., 2020; Henry et al., 2020b). Un endotelio sano previene la formazione di coaguli fornendo una superficie antitrombotica grazie al mantenimento dell’eparan solfato presente nella matrice che circonda le cellule (Bernfield et al., 1999; Wang et al., 2018), all’espressione dell’inibitore del fattore tissutale (Mast 2016), alla trombomodulina (Martin et al., 2013) e alla produzione dell’attivatore tissutale del plasminogeno (Huber et al., 2002; Oliver et al., 2005).

Studi clinici osservazionali retrospettivi condotti vicino a Wuhan hanno evidenziato che l’ipertensione è la co-morbidità più comune nei pazienti affetti da COVID-19 e risulta essere associata ad una peggiore prognosi con una mortalità più elevata. Uno studio su circa 191 pazienti affetti da COVID-19 del

Jinyintan Hospital e del Wuhan Pulmonary Hospital ha mostrato che dei 58

pazienti, gli ipertesi (48%) non sono sopravvissuti al COVID-19 (Zhou et al., 2020b).

Da queste evidenze cliniche è emersa quindi l’importanza di mettere in atto strategie preventive e terapeutiche per limitare il danno endoteliale tramite l’impiego di sostanze di origine sintetica e/o naturale al fine di curare e prevenire la disfunzione endoteliale associata al processo infiammatorio.

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1.2 Il solfuro di idrogeno

Negli ultimi anni, il ruolo fisiopatologico e farmacologico dei gastrasmettitori, come l’ossido nitrico (NO), il monossido di carbonio (CO) ed il solfuro di idrogeno (H2S) (Figura 1.8), è stato oggetto di crescente interesse scientifico.

Figura 1.8 Struttura molecolare del solfuro di idrogeno.

Le numerose ricerche condotte in questo campo hanno permesso di comprendere la loro importanza biologica potendo offrire spunti interessanti per la scoperta di nuove molecole farmacologicamente attive (Moore et al., 2003; Olson et al., 2009).

I gastrasmettitori hanno la caratteristica di avere breve emivita e di essere tossici se presenti ad elevate concentrazioni (Kasparek et al., 2007). Il solfuro di idrogeno, in passato considerato solo come un agente tossico, è una sostanza endogena prodotta a livello dei tessuti dei mammiferi (Abe e Kimura, 1996). Infatti, questo gastrasmettitore è una molecola dotata di proprietà pleiotropiche ed è deputato al mantenimento dell’omeostasi in vari sistemi (Calderone et al., 2016), soprattutto a livello del sistema cardiovascolare (Abe e Kimura, 1996). A concentrazioni fisiologiche H2S induce vasodilatazione,

promuove l’angiogenesi e gioca un ruolo chiave nella cardioprotezione (Li et al., 2009a). Infatti, studi recenti hanno mostrato che questo gastrasmettitore possiede quasi tutti gli effetti benefici di NO. Tuttavia, a differenza di NO, il catabolismo di H2S non è associato ad una produzione delle ROS; anzi, H2S si

comporta come scavenger di quest’ultime (Whiteman e Halliwell, 2004; Whiteman et al., 2005).

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Il solfuro di idrogeno viene prodotto da una via enzimatica e da una non enzimatica, ma la quantità di gastrasmettitore prodotta dalla via non enzimatica è decisamente minore. L’amminoacido L-cisteina è il substrato utilizzato dalla via enzimatica per la produzione di H2S. La via enzimatica

coinvolge due enzimi piridossal 5’ fosfato dipendenti (vitamina B6): la

cistationina β-sintasi (CBS) e la cistationina γ-liasi (CSE) (Chen et al., 2004). Entrambi gli enzimi sono molto presenti nei tessuti ma con una distribuzione non omogenea (Kamoun, 2004). Infatti, CBS è maggiormente espresso a livello del sistema nervoso centrale (Robert et al., 2003) ed è solitamente assente a livello vascolare. La sua produzione però può essere indotta da particolari condizioni, ad esempio un’infiammazione vascolare (Sun et al., 2012). Negli ultimi anni è stato osservato che CBS si trova anche nel rene, nell’intestino, nel fegato, nella placenta, nell’utero e nelle isole pancreatiche (Kimura, 2011). Al contrario, CSE risulta essere la principale fonte di H2S a livello del distretto

cardiovascolare (Ishii et al., 2004). Inizialmente si pensava che CSE fosse espresso a livello delle cellule muscolari lisce vascolari, ma non nelle cellule endoteliali (Zhao et al., 2001; Wang, 2003). Circa dieci anni fa è stato invece dimostrato che CSE si trova principalmente a livello delle cellule endoteliali, mentre sembra essere poco espresso nelle cellule muscolari lisce (Kimura, 2011).

In accordo con il ruolo chiave svolto dall’enzima CSE nel sistema cardiovascolare, è stato dimostrato che la delezione del gene codificante per CSE porta ad una significativa riduzione dei livelli di H2S nel sangue e negli

organi del sistema cardiovascolare del topo, causando ipertensione ed una risposta vasorilasciante minore (Yang et al., 2008).

H2S viene biosintetizzato almeno da quattro vie (Figura 1.9):

• Nella prima via biosintetica, CBS idrolizza L-cisteina con produzione di L-serina e H2S in quantità equimolari (Porter et al., 1974).

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18

• Nel secondo pathway biosintetico, due molecole di L-cisteina reagiscono per formare L-cistina (dimero di L-cisteina), la quale grazie ad una reazione mediata dall’enzima CSE porta alla formazione di tiocisteina, piruvato e NH3. La tiocisteina va incontro a due differenti

processi, uno enzimatico e l’altro non. Il processo non enzimatico porta alla formazione di L-cisteina e H2S (Cavallini et al., 1962). Il processo

enzimatico vede come protagonista nuovamente l’enzima CSE che catalizza una reazione tra la tiocisteina ed un composto tiolico (RSH) come glutatione o cisteina, dando origine a H2S e Cys-RS (Yamanishi e

Tuboi, 1981; Stipanuk e Beck, 1982).

• Il terzo pathway richiede la collaborazione della cisteina aminotrasferasi (CAT) che catalizza la reazione tra L-cisteina e α-chetoglutarato con formazione del 3-mercaptopiruvato e L-glutammato. Il prodotto così formato viene desolforato dalla 3-mercaptopiruvato sulfotrasferasi (MPST) dando luogo a piruvato e H2S

(Kuo et al., 1983; Shibuya et al., 2009). In alternativa, in presenza dello ione solfito (SO3-2), il 3-mercaptopiruvato può essere convertito in

piruvato e tiosolfato (S2O3-2), il quale a sua volta reagisce con il

glutatione (GSH) ridotto a dare H2S, SO3-2 e glutatione ossidato (GSSG).

• Nella quarta via enzimatica, cisteina e solfito sono convertiti in L-cisteato e H2S dalla CSE (Li et al., 2009a).

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19 Figura 1.9 Principali processi della biosintesi di H2S.

Molti composti, sia esogeni che endogeni, hanno la capacità di influenzare l’attività di CBS e CSE. Nel sistema cardiovascolare, la produzione di H2S

mediata dall’enzima CSE è aumentata da molecole NO-donor grazie ad un meccanismo GMPc-dipendente. Gli inibitori dell’enzima NO-sintetasi, infatti, sono in grado di ridurre la produzione di H2S (Zhao et al., 2003).

Poiché in origine H2S era conosciuto solo come un gas dotato di attività tossica,

il primo meccanismo d’azione investigato riguardava esclusivamente l’inibizione del complesso IV della catena respiratoria (per concentrazioni superiori a 50 µM). Al contrario, concentrazioni di solfuro di idrogeno simili a quelle fisiologiche (20 µM) sono in grado di stimolare la fosforilazione ossidativa con conseguente aumento della produzione di ATP. Infatti, a queste concentrazioni H2S può agire da substrato per donare elettroni alla catena di

trasporto, in particolar modo a livello dell’ubichinone (Nicholls e Kim, 1982). Un altro meccanismo d’azione che ci permette di comprendere come H2S sia

in grado di ridurre lo stress ossidativo (Figura 1.10), è rappresentato dall’interazione del gastrasmettitore con i sistemi redox. Infatti, H2S è un

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20

agente riducente in grado di reagire con diverse specie reattive, come l’anione superossido, il perossinitrito, il perossido di idrogeno e l’ipoclorito (Kabil et al., 2010). Oltre alla sua azione antiossidante diretta, particolarmente interessante è anche l’azione antiossidante indiretta di H2S. In particolare, H2S

è in grado di S-sulfidrilare la proteina Keap1 andando così ad attivare il pathway Nrf2/ARE determinando una maggiore produzione di enzimi e molecole antiossidanti (Citi et al., 2020.) È noto, infatti, che molti degli effetti fisiologici esercitati dal solfuro di idrogeno derivino dalla S-sulfidrilazione dei residui di cisteina, con conseguente modifica post traduzionale delle proteine. Questa sulfidrilazione consiste nella conversione di un gruppo tiolico (-SH) in un ponte disolfuro (-SSR) (Mustafa et al., 2009) con conseguenti cambiamenti strutturali in enzimi, recettori e canali ionici ed alterazione della loro funzionalità (Kimura, 2019). In un primo momento si pensava che la sulfidrilazione delle proteine portasse sempre ad un aumento nell’attività della proteina stessa. Tuttavia, ad oggi è stato dimostrato che la sulfidrilazione possa portare anche ad una diminuzione dell’attività.

H2S non è in grado di sulfidrilare direttamente i gruppi tiolici delle proteine,

questo diventa possibile solo se H2S o i gruppi tiolici subiscono una precedente

ossidazione. L’ossidazione dei gruppi tiolici delle proteine molto spesso viene effettuata dalle specie reattive dell’ossigeno, come il perossido di idrogeno. Una volta che i residui di cisteina delle proteine vengono ossidati possono subire la sulfidrilazione H2S mediata (Ono et al., 2014). In alternativa, il solfuro

di idrogeno può essere ossidato direttamente dai sistemi biologici a polisolfuri (HSnH), strutture contenenti 2-8 atomi di zolfo, i quali sarebbero in grado di

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21 Figura 1.10 Rappresentazione schematica dei meccanismi d’azione antiossidanti di H2S [Citi et al.,

2020].

Il solfuro di idrogeno agisce su numerosi target farmacologici. Molti degli effetti di H2S sono dovuti all’attivazione dei canali al potassio adenosina

trifosfato (ATP) dipendenti (KATP) (Zhao et al., 2001) che sono ampliamente

distribuiti nell’organismo ed il cui ruolo è cruciale nel regolare funzioni biologiche in diversi sistemi e tessuti ad esempio nelle cellule β pancreatiche, nei neuroni, nel miocardio e nelle cellule muscolari lisce e scheletriche (Ashcroft e Ashcroft, 1990) (Figura 1.11).

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22 Figura 1.11 Proprietà del gastrasmettitore H2S nel sistema vascolare. H2S esercita un effetto

antiossidante sia diretto che indiretto (Nrf2-mediato). Inoltre, sopprime l’adesione dei leucociti all’endotelio vascolare e la loro migrazione riducendo il processo infiammatorio. H2S riduce anche

l’espressione di marker pro-infiammatori, tramite la downregulation di NF-κB. Infine, H2S promuove

la riparazione dei tessuti e la vasodilatazione sia diretta che NO-mediata.

Per questo motivo, molti degli effetti esercitati da H2S vengono antagonizzati

da bloccanti dei canali KATP, tra cui glibenclamide (Zhao et al., 2001).

I canali KATP mettono in relazione lo stato energetico delle cellule con la loro

eccitabilità (Nichols, 2006). Infatti, i livelli intracellulari di ATP e di adenosina difosfato (ADP) sono i fattori chiave determinanti rispettivamente l’inattivazione e l’attivazione dei suddetti canali. In condizioni energetiche ottimali, livelli elevati di ATP portano ad un’inattivazione dei canali mentre, in condizioni di bassa energia, l’aumento della concentrazione di ADP e la diminuzione del rapporto ATP/ADP porta all’attivazione dei canali KATP, con

la generazione di un flusso di ioni potassio in uscita dalla cellula e conseguente iperpolarizzazione della membrana. Questo peculiare meccanismo rende i canali KATP dei fattori chiave nella regolazione di numerose funzioni

fisiologiche, come l’attività cardiaca, il tono della muscolatura liscia, la secrezione di insulina e il rilascio di neurotrasmettitori (Nichols, 2006).

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23

Recentemente è stato ipotizzato che il solfuro di idrogeno possa esplicare parte delle sue azioni anche in seguito all’attivazione dei canali al potassio voltaggio dipendenti Kv7.4 (Schleifenbaum et al., 2010). Quest’azione è stata confermata

grazie a studi effettuati su cellule muscolari lisce vascolari umane e su aorta di ratto (Martelli et al., 2013).

Gli effetti esercitati dai livelli fisiologici di H2S nel distretto cardiaco e nei vasi

sanguigni evidenziano il ruolo centrale di questo gastrasmettitore nella regolazione dell’omeostasi cardiovascolare. In particolar modo, H2S condivide

con NO molti dei suoi effetti benefici in questo distretto ma, a differenza di NO, non è fonte di metaboliti tossici (Lefer, 2007). Inoltre, il ruolo del solfuro di idrogeno nell’omeostasi cardiovascolare sembra acquistare un’importanza maggiore quando il controllo mediato da NO risulta essere compromesso, come nel caso di una disfunzione endoteliale. H2S è un agente vasorilasciante

che agisce direttamente sulle cellule muscolari lisce del vaso. Questo effetto è stato dimostrato a livello dei grandi vasi come la vena porta e l’aorta toracica di ratto (Hosoki et al., 1997). A livello dei vasi di resistenza, che risultano essere maggiormente implicati nella regolazione della pressione sanguigna, mostra una potenza vasorilasciante addirittura superiore (Cheng et al., 2004).

L’attività vasomotoria di H2S può essere mimata dalla L-cisteina, substrato

endogeno degli enzimi implicati nella biosintesi di H2S. L’utilizzo di inibitori

dell’enzima CSE, come la propargilglicina (PAG), evidenzia come l’attività vasorilasciante di questo aminoacido venga abolita a causa del fatto che quest’ultimo si comporta come una fonte di H2S. Infatti, la delezione del gene

codificante per l’enzima CSE nel topo è associata ad una diminuzione dei livelli di H2S nel sangue, nel cuore e nell’aorta, con incremento della pressione

sanguigna e riduzione degli effetti vasorilascianti mediati dall’endotelio (Yang et al., 2008). Gli effetti di H2S sui vasi sanguigni sono principalmente attribuiti

dall’attivazione dei canali KATP delle cellule muscolari lisce vascolari. Infatti, il

blocco di questi canali da parte di glibenclamide antagonizza l’effetto ipotensivo in vivo e l’effetto iperpolarizzante in vitro (Zhao et al., 2001). È

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24

interessante notare come gli inibitori di CSE riducano la corrente dei canali KATP, suggerendo la presenza costante di livelli basali di H2S endogeno che

permettono la stimolazione del canale.

Diverse osservazioni sperimentali hanno portato ad ipotizzare un possibile cross-talk tra NO e H2S. Infatti, è stato osservato che sostanze in grado di

rilasciare NO attivano l’enzima CSE aumentando la produzione di H2S

attraverso l’attivazione di un pathway GMPc dipendente (Zhao et al., 2003). L’espressione e l’attività di CSE nel sistema cardiovascolare vengono notevolmente ridotte dopo l’inibizione della produzione di NO, con conseguente riduzione dei livelli circolanti di H2S.

È stato proposto che H2S sia in grado di comportarsi come scavenger nei

confronti di NO sia quando la sua produzione è eccessiva, come nel caso di infiammazioni (Whiteman et al., 2006), sia quando il suddetto gastrasmettitore è presente in concentrazioni fisiologiche (Ali et al., 2006). Inoltre, alcuni studi sperimentali hanno suggerito che H2S sia in grado di provocare una

down-regulation del pathway L-arginina/NO sintetasi a livello dei vasi (Geng et al., 2007) e di inibire la NO sintetasi endoteliale (eNOS) (Kubo et al., 2007). È ormai noto che la riduzione dei livelli endogeni di H2S contribuisca alla

patogenesi di numerose malattie cardiovascolari, come l’ipertensione. Infatti, in ratti spontaneamente ipertesi (SHR), l’attività e l’espressione dell’enzima CSE risultano compromesse. In aggiunta, la somministrazione cronica di idrosolfuro di sodio (NaHS) abbassa i livelli di pressione sanguigna nei ratti SHR ma non in quelli normotesi (Yan et al., 2004). Inoltre, la somministrazione di inibitori dell’enzima CSE porta ad una riduzione dei livelli plasmatici di H2S con conseguente aumento della pressione sanguigna nei ratti normotesi,

ma non in quelli SHR, dimostrando ancora una volta il ruolo chiave di H2S

nella regolazione del tono vascolare e nella patogenesi dell’ipertensione. Ratti con ipertensione sperimentale indotta da L-NAME (inibitore della NOS) hanno mostrato una disfunzione a livello vascolare del pathway di biosintesi

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25

di H2S dovuta all’inibizione dell’enzima CSE e la somministrazione di NaHS

ha portato ad un significativo abbassamento dei livelli di pressione arteriosa. Inoltre, l’inibizione dell’enzima CSE da parte di L-NAME era minore nei ratti ipertesi trattati con il donatore di H2S NaHS (Zhong et al., 2003). Tutte queste

evidenze dimostrano che H2S è profondamente coinvolto nella regolazione

della pressione sanguigna e suggeriscono che fonti esogene di solfuro di idrogeno possano effettivamente prevenire l’insorgenza di ipertensione (Zhong et al., 2003).

Oltre alle sue proprietà vasorilascianti, H2S è dotato di altri effetti biologici

addizionali. Per quanto riguarda la funzione piastrinica, per esempio, è noto che H2S aumenti i livelli intracellulari di GMPc inibendo così la fosfodiesterasi

(PDE) (Bucci et al., 2010). Alcuni studi hanno riportato che H2S inibisce

l’aggregazione piastrinica indotta da ADP, collagene, adrenalina, acido arachidonico, trombossano mimetici (U46619) e trombina. Il solfuro di idrogeno riesce ad esercitare questo effetto solo se presente ad elevate concentrazioni e tale azione potrebbe non essere correlata all’aumento di GMPc, AMPc, al rilascio di NO oppure all’apertura dei canali del potassio (Zagli et al., 2007; Zaichko e Pentiuk, 2009). Infatti, fino ad ora non è stato ancora compreso quale meccanismo farmacologico sia alla base dell’inibizione dell’aggregazione piastrinica esercitata da H2S ed altri esperimenti sono

necessari per chiarire questo effetto (Martelli et al., 2012).

H2S ha dimostrato di ridurre il rimodellamento vascolare in animali ipertesi

(Zhong et al., 2003; Yan et al., 2004) e di sopprimere la proliferazione dell’endotelina a livello delle cellule muscolari lisce dell’aorta di ratto, con una significativa riduzione della progressione della placca aterosclerotica (Du et al., 2004). I livelli di CSE mRNA e la produzione di H2S risultano ridotti

durante lo sviluppo dell’iperplasia neointimale nel ratto mentre la pre-somministrazione di NaHS riduce significativamente la formazione di lesioni neointimali (Meng et al., 2007).

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Vi sono evidenze controverse riguardo l’azione del solfuro di idrogeno nella risposta infiammatoria vascolare. Infatti, sembra che nella rottura e destabilizzazione delle placche aterosclerotiche possa avere un ruolo pro-infiammatorio sulle cellule della muscolatura liscia vascolare (Jeong et al., 2006a) ma uno antinfiammatorio sui macrofagi (Oh et al., 2006). Per questa ragione si sta investigando sempre di più la possibilità di utilizzare in clinica approcci farmacologici che promuovano il mantenimento dei livelli di H2S

plasmatici.

1.2.1 H

2

S e infiammazione

L’abilità di H2S nel ridurre il dolore e l’infiammazione è conosciuta da secoli,

ma solo recentemente si è compreso il meccanismo molecolare alla base di questa azione antinfiammatoria.

Uno dei primi eventi alla base della risposta infiammatoria è rappresentato dal reclutamento dei leucociti nel sito di danno. Affinché ciò avvenga si ha un aumento nell’espressione delle molecole di adesione sulle cellule endoteliali e sui leucociti, adesione dei leucociti all’endotelio e migrazione dei leucociti nello spazio interstiziale con passaggio nel sito di infezione. H2S è un inibitore

dell’adesione leucocitaria all’endotelio, infatti la somministrazione di un inibitore della sintesi di solfuro di idrogeno porta ad un rapido incremento dell’adesione leucocitaria (Zanardo et al., 2006). Questo processo è mediato da una up-regulation della ICAM-1 e della P selectina a livello endoteliale (Fiorucci et al., 2015). La somministrazione dei donatori di H2S esercita un

effetto opposto grazie all’attivazione dei canali KATP sulle cellule endoteliali e

sui leucociti. Le molecole H2S-donors hanno mostrato di essere in grado di

sopprimere le risposte infiammatorie in modelli animali (Guan et al., 2013). Studi su topi transgenici in grado di produrre una quantità minore di solfuro di idrogeno hanno permesso di capire quanto questo gastrasmettitore sia fondamentale nella regolazione dell’adesione leucocitaria all’endotelio.

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Topi eterozigoti per il gene che codifica per l’enzima CBS hanno mostrato un aumento della permeabilità vascolare con aumento dell’adesione leucocitaria a livello delle cellule endoteliali (Kamath et al., 2006). Un altro meccanismo antinfiammatorio di H2S coinvolge la proteina annessina-1. Annessina-1 è

contenuta all’interno dei leucociti neutrofili e viene rilasciata durante la risposta infiammatoria con lo scopo di contribuire alla risoluzione dell’infiammazione (Serhan et al., 2007; Perretti e D’Acquisto, 2009).

Una risposta pro-infiammatoria eccessiva spesso associata ad una tempesta citochinica è una condizione clinica che si viene a verificare in diversi casi di infiammazione acuta, compresi i casi più severi di infezioni da SARS-CoV-2 (Coperchini et al., 2020). Nei pazienti affetti da COVID-19 sono presenti alti livelli di citochine pro-infiammatorie nel sangue come IL-1β, IL-6 e TNFα associate ad elevati livelli di chemochine (Schett et al., 2020). Altrettanto interessante è notare come nei pazienti affetti da COVID-19 ci sia un’esacerbazione dell’attivazione di NF-κB (Dediego et al., 2014).

Recentemente, è stato investigato il ruolo del solfuro di idrogeno in una coorte di pazienti affetti da COVID-19, valutandone i livelli plasmatici di H2S. In

questo studio è stata riscontrata una correlazione inversa tra gravità dell’infezione, produzione di citochine e livelli plasmatici di solfuro di idrogeno, suggerendo che H2S possa avere un ruolo predittivo nella

progressione e nell’esito della polmonite causata da SARS-CoV-2. Infatti, i pazienti che manifestavano sintomi meno gravi hanno mostrato livelli plasmatici del gastrasmettitore maggiori rispetto ai pazienti affetti da polmonite severa (Renieris et al., 2020).

È noto che H2S abbia un’azione sia antinfiammatoria che pro-infiammatoria.

Infatti, la somministrazione di NaHS nel ratto, molecola che rilascia solfuro di idrogeno molto velocemente, induce una risposta infiammatoria con aumento dell’attività dell’enzima mieloperossidasi (MPO) e con conseguente accumulo dei leucociti a livello polmonare (Bhatia, 2015). Al contrario, la

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somministrazione di un H2S-donor a lento rilascio come GYY4137 in ratti con

infiammazione polmonare indotta da LPS ha portato ad una riduzione dei livelli di citochine pro-infiammatorie come TNFα, IL-6 e IL-1β. Inoltre, il trattamento con GYY4137 ha mostrato un’azione antiossidante ripristinando l’azione degli enzimi catalasi e SOD nel tessuto polmonare (Faller et al., 2018). GYY4137, infine, inibisce l’espressione dei geni pro-infiammatori modulando l’azione di NF-κB. H2S, infatti, blocca l’attivazione del pathway NF-κB

attraverso la sulfidrilazione di IKκβ a livello del residuo di Cys179 bloccando la risposta infiammatoria. Questo suggerisce che la regolazione post-trascrizionale di IKκβ possa rappresentare un nuovo target farmacologico per prevenire l’infiammazione vascolare (Zhang et al., 2019).

In ratti con danno polmonare acuto indotto da LPS è stato osservato che la somministrazione di GYY4137 previene il danno polmonare e la transimigrazione dei neutrofili riducendo la presenza di molecole chemiotattiche sia in cellule endoteliali sia nel tessuto polmonare (Faller et al., 2018).

Inoltre, H2S induce effetti antinfiammatori attraverso alterazioni epigenetiche.

In particolar modo, è in grado di modulare l’acetilazione e la metilazione degli istoni implicati nella regolazione della produzione dei fattori pro-infiammatori e contribuisce alla riduzione del rilascio delle citochine a seguito della somministrazione di LPS nel ratto (Faller et al., 2018).

1.2.3 H

2

S e disfunzione endoteliale

Il solfuro di idrogeno è una piccola molecola che esercita un ruolo fondamentale nel controllo dell’omeostasi della funzionalità endoteliale ed una sua alterata produzione endogena può indurre disfunzione endoteliale (Wang et al., 2015). Molti studi hanno dimostrato che H2S è un

gastrasmettitore che gode di proprietà vasoprotettive grazie alla sua capacità di modulare diversi pathways cellulari e di interferire con una varietà di

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patologie cardiovascolari. Infatti, H2S inibisce la modificazione aterogenica

delle LDL (Laggner et al., 2007), previene l’adesione monocitaria dovuta all’attivazione delle cellule endoteliali (Perna et al., 2013), promuove il vasorilasciamento (Kanagy et al., 2017), inibisce la migrazione e proliferazione delle cellule muscolari lisce vascolari diminuendo l’iperplasia a livello della tonaca intima, limita la calcificazione a livello vascolare (Zavaczki et al., 2011), inibisce la trombogenesi e l’aggregazione piastrinica (Emerson, 2015), inibisce la formazione delle cellule schiumose (Marino et al., 2016) ed infine limita le risposte infiammatorie e riduce i livelli plasmatici di omocisteina (Vanhoutte et al., 2009). Infatti, la disfunzione endoteliale è associata a varie condizioni e patologie come diabete, ipertensione, aterosclerosi e iperomocisteinemia (Citi et al., 2020).

L’insorgenza della disfunzione endoteliale legata all’ipertensione, oltre che ad un’alterazione nel metabolismo di NO, sembra essere dovuta anche ad una riduzione della biosintesi di H2S. Infatti, la downregulation di CSE, enzima

responsabile della produzione di H2S a livello vascolare, porta ad un

incremento della pressione sanguigna (Huang et al., 2015). Uno studio di coorte ha mostrato che i pazienti ipertesi hanno ridotti livelli plasmatici di H2S

(Kutz et al., 2015), suggerendo che H2S possa essere utilizzato come marker

predittivo di ipertensione (Ahmad et al., 2015). H2S e NO condividono diversi

effetti benefici sul distretto cardiovascolare e molti studi hanno dimostrato che fra i due gastrasmettitori esiste un cross-talk (Figura 1.12).

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30 Figura 1.12 Rappresentazione del cross-talk tra H2S e NO e loro ruolo nella regolazione della

funzione endoteliale.

Infatti, NO aumenta l’uptake di L-cisteina, la quale è il substrato principale utilizzato dagli enzimi CBS e CSE per la biosintesi di H2S, portando così ad un

aumento nella produzione del gastrasmettitore solforato (Wang, 2002).

Anche l’aterosclerosi, oltre all’ipertensione, risulta essere una patologia innescata e sostenuta dall’infiammazione vascolare ed è caratterizzata dalla deposizione a livello della tonaca intima di lipoproteine con conseguente accumulo di lipidi a livello delle pareti arteriose (Libby, 2016). L’esordio del processo aterosclerotico inizia come una risposta immunitaria associata ad una disfunzione endoteliale che può derivare da una lesione meccanica, da un’infiammazione cronica oppure da un danno ossidativo (Libby, 2002). La disfunzione endoteliale porta ad una carenza dei meccanismi deputati al mantenimento dell’omeostasi vascolare.

In questo contesto, H2S gioca un ruolo chiave. Infatti, preserva l’integrità della

parete vascolare indotta dall’infiammazione e limita l’alterazione dell’organizzazione del tessuto vascolare dovuta al processo aterosclerotico

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(Monti et al., 2016). Numerosi studi hanno riportato la capacità di atorvastatina e di fluvastatina di indurre un aumento nella generazione di H2S

da parte del tessuto adiposo perivascolare di topo (grazie all’inibizione dell’ossidazione mitocondriale) e nei macrofagi di topo stimolati da LPS riducendo i livelli di fattori pro-infiammatori come IL-1β e la proteina chemiotattica dei monociti 1 (MCP-1) (Wojcicka et al., 2010; Xu et al., 2014).

1.3 Approcci terapeutici di sintesi

Attualmente sia studi preclinici che clinici evidenziano il ruolo fondamentale dell’infiammazione nella disfunzione vascolare. Tutto ciò è supportato dall’osservazione che nei pazienti efficacemente trattati a causa di patologie metaboliche normalmente accompagnate da complicanze vascolari, ad esempio diabete ed ipercolesterolemia, molto spesso si raggiunge una riduzione significativa della glicemia e dei livelli di colesterolo non accompagnata però da una minor incidenza di complicanze a livello vascolare, sostenute da una forte componente infiammatoria (Liberale et al., 2020).

1.3.1 Statine

A differenza di altri farmaci che riescono solo a provocare una diminuzione dei livelli di colesterolo, come gli inibitori della proproteina della convertasi subtilisina/Kexin tipo 9 (PCSK9), le statine mostrano un’azione pleiotropica capace di generare effetti benefici a livello cardiovascolare non direttamente legati alla loro abilità di poter indurre un decremento dei livelli di colesterolo (Liberale et al., 2020). In particolar modo, molti studi hanno dimostrato che nelle cellule endoteliali le statine sono in grado di indurre una up-regulation dell’enzima eNOS, portando ad un aumento della disponibilità di NO (Laufs et al., 1998). Inoltre, le statine sono in grado di generare un effetto antinfiammatorio grazie alla loro azione diretta su alcuni fattori di trascrizione come NF-κB (Ortego et al., 1999). A livello endoteliale le statine riducono

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l’espressione e l’attività di molte citochine come TNFα, IL-1β e le metalloproteinasi di matrice (MMP)-9 (Greenwood e Mason, 2007). L’aumento della produzione di NO accompagnato ai diversi meccanismi antinfiammatori indotti da questa classe di farmaci fa sì che si abbia un controbilanciamento nello sviluppo della placca aterosclerotica, specialmente grazie agli effetti su due popolazioni cellulari coinvolte nella sua formazione: le piastrine e le cellule infiammatorie (ad esempio i macrofagi). Il fatto che le statine siano in grado, oltre che di abbassare i livelli di lipidi circolanti nel flusso sanguigno, di indurre un aumento di NO e di avere un’azione antinfiammatoria fa sì che questa classe di farmaci sia candidata per il trattamento dell’infiammazione vascolare che prelude varie patologie, tra cui il processo aterosclerotico.

1.3.2 Antidiabetici

Il diabete mellito è una patologia caratterizzata da alti livelli di glucosio nel sangue. La conseguenza più pericolosa indotta da questa patologia è rappresentata da un danno vascolare a causa dell’iperglicemia persistente che porta ad un’infiammazione sub-cronica con conseguente disfunzione endoteliale. È interessante notare che alcuni farmaci utilizzati nel trattamento di questa patologia sembrano avere la capacità non solo di abbassare i livelli di glucosio nel sangue ma anche di esercitare un’azione vasoprotettiva nei confronti dell’endotelio vascolare.

Metformina

La metformina può essere considerata il best seller dei farmaci antidiabetici. Questo farmaco è in grado di indurre una normalizzazione dei valori glicemici senza provocare ipoglicemia e per questa ragione viene definita euglicemizzante. Nonostante alcuni target farmacologici di metformina siano stati identificati, una completa ed esaustiva spiegazione dei suoi meccanismi d’azione ancora oggi risulta essere mancante. Uno dei suoi meccanismi d’azione più noti è rappresentato dall’attivazione della 5’ AMP-protein chinasi

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attivata (AMPK) (Xu e Zou, 2009). Oltre a normalizzare la glicemia, la metformina possiede una serie di effetti a livello del distretto vascolare. L’attivazione di AMPK è strettamente correlata all’attivazione di 1. SIRT-1, chiamata anche sirtuina 1 deacetilasi NAD dipendente, è uno dei fattori più importanti nel controllo della senescenza cellulare ed è fondamentale nella regolazione delle risposte antiossidanti ed antinfiammatorie. È interessante notare come nelle cellule endoteliali, l’attivazione reciproca di AMPK e SIRT-1 porti alla fosforilazione di eNOS, con conseguente aumento nella produzione di NO (Man et al., 2019). La metformina mostra effetti antinfiammatori inibendo la produzione del TNFα, la degradazione di IκBα e la produzione di IL-6 nelle cellule endoteliali (Huang et al., 2009). Allo stesso tempo, nelle cellule endoteliali la metformina inibisce la produzione di citochine indotta dall’azione di NF-κB grazie all’attivazione di AMPK (Hattori et al, 2006). Inibitori della dipeptidil peptidasi 4

Gli inibitori della dipeptidil peptidasi 4 sono tra gli antidiabetici più recenti e sembra che possano rappresentare uno strumento molto interessante nel trattamento dell’infiammazione vascolare. Il loro meccanismo di azione è quello di inibire la degradazione enzimatica delle incretine endogene come ad esempio il GLP-1 (Glucagon-like peptide-1) ed il GIP (Gastric inhibitors polypeptide). Oltre all’inibizione dell’enzima dipeptidil peptidasi 4, recenti studi hanno dimostrato che il saxagliptin rallenta la senescenza delle cellule endoteliali in modelli sperimentali sia in vitro che in vivo modulando lo stesso pathway regolato dalla metformina, ovvero SIRT-1/AMPK. In aggiunta, il saxagliptin è in grado di attivare Nrf2 promuovendo effetti antiossidanti. Il saxagliptin riduce il rimodellamento e la disfunzione endoteliale associati all’invecchiamento tissutale, evitando che si venga a verificare una rigidità della parete vascolare. Inoltre, il saxagliptin contrasta l’accumulo delle ROS (Chen et al., 2020). Molti autori hanno constatato un aumento di DPP-4 nei monociti di pazienti obesi affetti da aterosclerosi. Questo aumento nell’espressione del suddetto enzima potrebbe giocare un ruolo chiave nella

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patogenesi dell’aterosclerosi, soprattutto quando questa condizione è associata all’obesità. Pertanto, la somministrazione degli inibitori della DPP-4 può contribuire al controllo della progressione dell’infiammazione vascolare associata alla formazione della placca aterosclerotica (Rao et al., 2018). A questo proposito, Shah e i suoi collaboratori hanno eseguito studi in vivo sulla attivazione e migrazione monocitaria utilizzando topi ApoE-/-. Nel roditore,

la somministrazione orale di 80 mg/kg/die di sitagliptin (inibitore della DPP-4) per due settimane ha determinato una riduzione della migrazione dei monociti verso l’aorta causata da DPP-4 e TNFα. Questi risultati sottolineano come la protezione vascolare esercitata dagli inibitori della DPP-4 non sia dovuta solamente alla loro azione sui pathways che coinvolgono AMPK, SIRT-1 e Nrf2 ma anche alla loro azione antinfiammatoria dovuta all’inibizione della chemiotassi monocitaria. Questi dati pertanto mostrano che l’utilizzo degli inibitori della DPP-4 nell’aterosclerosi associata ad infiammazione vascolare possa rappresentare una valida strategia terapeutica (Shah et al., 2011). Anche il vildagliptin ha mostrato effetti antinfiammatori inibendo la via di segnalazione mediata da NF-κB con conseguente riduzione dei markers dell’infiammazione come TNFα, IL-1 e IL-8. Infine, vildagliptin si è mostrato capace di promuovere la biosintesi di NO con conseguente vasorilasciamento e possibile effetto antitrombotico (Wicinski et al., 2020).

Sulla base dei risultati riportati per i diversi inibitori della DPP-4, questa classe di farmaci antidiabetici può essere presa in considerazione come possibile trattamento per la prevenzione dell’infiammazione vascolare in soggetti a rischio.

1.3.3 Anti-Infiammatori

L’infiammazione è un fattore di rischio per lo sviluppo delle malattie cardiovascolari (Kaptoge et al., 2014). Ci sono numerosi studi su animali e sull’uomo che dimostrano la correlazione tra il processo infiammatorio e la disfunzione endoteliale (Karbach et al., 2014; Steven et al., 2015). Il

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lipopolisaccaride (LPS) derivante dalla parete cellulare dei batteri può essere uno dei principali trigger del processo infiammatorio acuto con conseguente disfunzione endoteliale (Becker et al., 2012). La disfunzione endoteliale si verifica anche in condizioni infiammatorie croniche come quelle associate all’artrite reumatoide (Bergholm et al., 2002) e al diabete mellito di tipo 2 (Henry et al., 2004). Partendo dal fatto che la disfunzione endoteliale è strettamente correlata all’infiammazione (Karbach et al., 2014; Steven et al., 2015), l’impiego di farmaci antinfiammatori potrebbe costituire una strategia valida per contrastare l’infiammazione vascolare e prevenire la disfunzione endoteliale ad essa associata.

Canakinumab

Canakinumab è un anticorpo monoclonale umano diretto contro l’interleuchina 1β (IL-1β) utilizzabile in molte malattie autoimmuni. IL-1β è una citochina pro-infiammatoria di natura peptidica sintetizzata inizialmente come precursore (pro-IL-1β) che viene sottoposto ad un taglio proteolitico da parte del complesso NLRP-3 (noto come inflammasoma) dando origine a IL-1β attiva. Una volta rilasciata nella matrice extracellulare, IL-IL-1β interagisce con il proprio recettore IL-1RI per indurre effetti pro-infiammatori (Church et al., 2008).

La capacità di canakinumab di proteggere l’endotelio dal danno infiammatorio è stata studiata nel clinical trial CANTOS (Canakinumab Anti-inflammatory Thrombosis Outcomes Study) al fine di valutare se vi fosse un impatto positivo sulla riduzione del rischio cardiovascolare. Il trial ha confermato che cercare di ridurre l’infiammazione tramite l’inibizione di IL-1β potrebbe essere una buona strategia per controbilanciare processi patologici a base infiammatoria come l’aterosclerosi (Ridker et al., 2017). Lo studio CANTOS, inoltre, ha permesso di evidenziare che il beneficio clinico generato da questa molecola è dipendente anche dalla riduzione di altri mediatori dell’infiammazione, come IL-6 e la proteina C reattiva ad alta

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sensibilità (hsCRP) (Ridker et al., 2017). Tuttavia, nonostante i risultati incoraggianti, i pazienti trattati con canakinumab risultano essere comunque a rischio di patologie cardiovascolari. Questo perché canakinumab non è in grado di inibire l’interleuchina 18 (IL-18). Infatti, ci sono molte evidenze che dimostrano quanto IL-18 sia importante nell’eziopatogenesi dell’aterotrombosi. Questo perchè le placche aterosclerotiche instabili sono caratterizzate da alti livelli di IL-18 ed i recettori per questa interleuchina sono espressi a livello delle cellule endoteliali, a livello delle cellule muscolari lisce e sui macrofagi che compongono le placche (Mallat et al., 2001; Gerdes et al., 2002). La comprensione del ruolo di IL-18 nel rischio cardiovascolare è dunque fondamentale e l’utilizzo di canakinumab associato agli inibitori dell’inflammasoma NLRP3 potrebbe rappresentare un approccio promettente per interrompere il segnale infiammatorio che si instaura a livello cardiovascolare, dato che IL-18 (come IL-1β) necessita dell’attivazione da parte del complesso dell’inflammasoma (Ridker et al., 2020).

1.3.4 H

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S-Donors

Le azioni benefiche che il gastrasmettitore H2S esercita sul distretto

cardiovascolare fanno sì che possa essere utilizzato per scopi terapeutici (Pan et al., 2011). Infatti, i composti esogeni in grado di rilasciare lentamente H2S

sono considerati molecole interessanti al fine di trattare un vasto numero di patologie cardiovascolari.

In soluzione acquosa il solfuro di idrogeno è un acido debole che si dissocia in idrogeno ed anione idrosolfuro. Quest’ultimo, a sua volta, si dissocia in idrogeno e ione solfuro. A pH ed a temperatura fisiologica, in accordo con l’equazione di Henderson-Hasselbach, circa il 20% del solfuro di idrogeno si trova in forma indissociata nella cellula, mentre l’80% va incontro alla prima dissociazione. La seconda dissociazione, invece, è praticamente trascurabile. A condizioni fisiologiche pertanto, H2S e HS- coesistono, contribuendo

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al., 2009). Essendo il solfuro di idrogeno altamente lipofilo, è in grado di permeare facilmente tutte le membrane cellulari, dissociandosi nel citosol. I sali idrosolfurici e solfurici sono dei composti in grado di generare H2S dopo

la loro protonazione in soluzione acquosa. L’idrosolfuro di sodio, NaHS, è il sale maggiormente utilizzato per scopi di ricerca. Tuttavia, questo composto non può essere utilizzato in clinica a causa della rapida formazione di solfuro di idrogeno che induce diversi effetti avversi, come un brusco abbassamento della pressione sanguigna (Li et al., 2009b). Composti H2S-donor utilizzabili in

clinica devono generare il solfuro di idrogeno lentamente mantenendo una concentrazione di gastrasmettitore all’interno della cellula più o meno costante grazie ad una modalità di rilascio definita long-lasting. Quest’ultima è una caratteristica di molti composti naturali, come gli isotiocianati ed i polisolfuri allilici (Benavides et al., 2007).

Sulla scia di queste evidenze, la ricerca si è quindi focalizzata sulla sintesi di molecole H2S-donor, alcune delle quali vengono definite ibride. Il termine

ibrido descrive tutte quelle molecole ottenute grazie alla coniugazione di principi attivi noti con gruppi funzionali in grado di rilasciare H2S.

GYY4137

GYY4137 è uno dei composti H2S-donor a lento rilascio maggiormente

studiati. Questa molecola è in grado di rilasciare spontaneamente H2S in

soluzione acquosa a valori di pH e temperatura fisiologici. In particolar modo, in tampone fosfato a pH 7,4 e ad una temperatura di 37 ° C, rilascia solfuro di idrogeno in modo pressoché costante nel tempo, con un leggero picco di concentrazione dopo 10-15 minuti. Al contrario, NaHS genera un picco di H2S

in pochi secondi e questo è il fattore principale che rende il sale non utilizzabile in clinica. È stato dimostrato che il lento rilascio di H2S da parte di GYY4137 è

fortemente influenzato da pH e temperatura dato che il rilascio del gastrasmettitore viene potenziato da pH fortemente acidi e ridotto a basse temperature.

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