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Convertire luce in energia meccanica mediante motori molecolari

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Academic year: 2021

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(1)

mediante motori molecolari

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di Laurea in Fisica

Candidato

Marco Romano

Matricola 1524458

Relatore

Prof. Tullio Scopigno

(2)

Tesi non ancora discussa

Convertire luce in energia meccanica mediante motori molecolari Tesi di Laurea. Sapienza – Università di Roma

© 2015 Marco Romano. Tutti i diritti riservati

Questa tesi è stata composta con LATEX e la classe Sapthesis. Email dell’autore: romano.1524458@studenti.uniroma1.it

(3)

Indice

1

Il problema fisico

7

1.1

Il motore della scienza . . . .

7

1.1.1

La Prima Legge della Termodinamica . . . .

7

1.1.2

Il ciclo di Carnot e la Seconda Legge della Termodinamica . .

7

1.2

Sfruttare il moto browniano . . . .

9

1.2.1

Violare il bilancio dettagliato . . . .

10

1.2.2

Il nottolino di Feynman . . . .

11

1.2.3

Meccanismi di trasporto guidati dalle fluttuazioni . . . .

12

1.3

Dal macroscopico al microscopico

. . . .

13

1.3.1

I motori molecolari basati su alcheni chirali . . . .

16

2

Motori molecolari ad attivazione luminosa

17

2.1

Rotazione di un alchene chirale . . . .

17

2.2

Dinamica ultra-veloce nell’evoluzione dello stato eccitato

. . . .

18

2.2.1

Tecnica sperimentale . . . .

19

2.2.2

Osservazioni sperimentali . . . .

21

(4)
(5)

Sommario

I motori hanno costituito per oltre due secoli la spinta principale dell’avanzamento

scientifico. Dapprima i tentativi di massimizzare le efficienze, poi la necessità di

conoscerne i limiti hanno permesso lo sviluppo di una delle teorie più complete e

predittive della fisica: la Termodinamica.

Negli ultimi decenni la comunità fisica sta riscoprendo nei motori lo stesso tipo

di spinta all’avanzamento, ma su scale totalmente diverse. La natura e gli

orga-nismi viventi ci hanno convinto della possibilità di poter produrre e controllare

macchine di dimensioni molecolari che possano svolgere svariate funzioni. Queste

macchine necessitano, naturalmente, di un motore che possa generare moto verso

una direzione ben specifica.

Quando si guarda al fenomeno su scala molecolare ci si scontra con una serie

to-talmente nuova di problematiche. Innanzitutto le macchine molecolari sono spesso

soggette a fluttuazioni termiche (moto browniano) di molti ordini di grandezza

su-periori allo stesso moto che si cerca di controllare, che non possono essere eliminate

operande in un regime di pseudo-vuoto. Inoltre, per soddisfare i principi della

Ter-modinamica, non è possibile ideare macchine capaci di compiere lavoro sfruttando

solo l’energia termica dell’ambiente; per aggirare il problema serve una asimmetria

strutturale che favorisca la direzionalità del moto e un impulso energetico che ecciti

il sistema.

In questa dissertazione intendo fornire una visione generale di queste tematiche,

soprattutto dal punto di vista termodinamico, per poi focalizzarmi brevemente su

un tipo particolare di motore molecolare, ovvero quello costituito da alcheni chirali

attivati da impulsi luminosi. Il Cap. 1 introduce il problema fisico generale. La

sez. 1.1 discute dell’importanza dei motori nella storia della scienza e nello sviluppo

della Termodinamica. La sez. 1.2 espone i diversi meccanismi ideati negli ultimi

decenni al fine di ricavare un moto direzionale, sfruttando le fluttuazioni termiche

del sistema. La sez. 1.3, infine, espone i problemi e le analogie che si

presenta-no nel passaggio di scala dal macroscopico e dal mesoscopico al macroscopico. Il

Cap. 2 si focalizza sui motori molecolari ad attivazione luminosa. Dopo una breve

descrizione, nella sez. 2.1, delle fasi di rotazione di un alchene chirale, l’attenzione si

volge, nella sez. 2.2, ad un importante esperimento, pubblicato da Meech, Feringa

e colleghi nel Luglio 2012 su Nature Chemistry, il quale, mediante spettroscopia ad

up-conversion di fluorescenza, riesce nell’impresa storica di osservare nel dettaglio

l’evoluzione dello stato eccitato di un sistema molecolare durante il decadimento

verso lo stato fondamentale, permettendo di analizzare e distinguere i modi che

contribuiscono alle varie fasi di rotazione e le diverse vie attraverso cui può

mani-festarsi dissipazione. L’esperimento riveste un ruolo di importanza fondamentale

nello studio e nel controllo dell’efficienza delle macchine molecolari; commenti al

riguardo e nuove problematiche aperte da questo scenario verranno esposti nella

sez. 2.3.

(6)
(7)

Capitolo 1

Il problema fisico

1.1

Il motore della scienza

Per oltre due secoli i motori sono stati le vere e proprie macchine motrici della scienza. Ba-sandosi sulla loro enorme importanza durante le rivoluzioni industriali, fu naturale chiedersi quali fossero i limiti fondamentali alla quantità di lavoro che i motori possono generare. È precisamente questa la domanda che porta ad una delle sfide più grandi nella scienza: la for-mulazione della Termodinamica. Il motore a vapore, prima pietra miliare, venne sviluppato attraverso una serie di fasi fondamentali, a partire dal brevetto di Thomas Savery (1698) fino ai miglioramenti apportati da Thomas Newcomen (1712) e dal condensatore di James Watt (1764). Ogni fase portò ad un miglioramento della potenza generata e dell’efficienza, sebbene ancora l’uomo non avesse compreso l’origine e i meccanismi di trasporto dell’ener-gia coinvolta nei processi termodinamici. Ogni progresso sembrava implicare un ulteriore miglioramento nell’efficienza e proprio per questo motivo si rese necessario comprenderne i limiti fondamentali.

1.1.1

La Prima Legge della Termodinamica

Il fisico britannico James Joule decise così di occuparsi della relazione esistente tra il calore e il suo “equivalente meccanico”, il lavoro. Verso la metà del 1800 riuscì a capire che calore e lavoro possono essere convertiti l’uno nell’altro rispettando un principio di conservazione sempre e incondizionatamente verificato. Queste osservazioni portarono alla Prima Legge della Termodinamica, espressione della conservazione dell’energia interna, U , di un sistema:

∆U = Q − W (1.1)

dove, per convenzione, il calore Q è positivo quando ceduto dall’ambiente al sistema, mentre il lavoro W è positivo quando compiuto dal sistema sull’ambiente. Questa legge si traduce inoltre nell’impossibilità di progettare un moto perpetuo “della prima specie”, ovvero una sistema capace di produrre più energia di quella consumata, utilizzando dunque l’eccesso di produzione per auto-alimentarsi.

1.1.2

Il ciclo di Carnot e la Seconda Legge della Termodinamica

Rimaneva ancora valida la paradossale possibilità di accoppiare motori di diverse efficienze per estrarre energia dall’ambiente circostante senza sfruttare una sorgente esterna. Queste considerazioni condussero Nicolas Carnot alla quantificazione del massimo lavoro estraibile da un qualunque sistema, un motore o un macchina in questo caso, a contatto termico con l’ambiente.

(8)

8

CAPITOLO 1. IL PROBLEMA FISICO

Definiamo ciclo termodinamico una qualsiasi serie di trasformazioni del tipo 1 → 2 → 3 → ... → 1 , dove {1, 2, 3, ...} indicano stati di equilibrio termodinamico del sistema. Definiamo inoltre una macchina termica come un dispositivo che opera tra due o più sorgenti termiche cedendo o prelevando energia dall’ambiente, generalmente sotto forma di lavoro. Il rendimento, η, di una macchina termica si quantifica allora come il rapporto tra l’energia utile prodotta e l’energia assorbita durante il suo funzionamento, ovvero come rapporto tra il lavoro compiuto e il calore assorbito:

η := W |Qass|

= 1 −|Qced| |Qass|

(1.2)

Figura 1.1. Ciclo di Carnot rappresentato nel piano PV. Nelle ascisse il volume, mentre nelle ordinate la pressione del gas.

Carnot dimostrò allora che il rendimento teorico massimo ottenibile da una qualsiasi macchina operante tra due sorgenti termiche, T1 e T2 (T1> T2), è

ηc = 1 −

T2

T1 (1.3)

ovvero il rendimento di un ciclo di gas perfetto, chiamato ciclo di Carnot, costituito dalle seguenti quattro trasformazioni reversibili (Fig. 1.1):

1. Espansione isoterma: il gas preleva una quantità di calore Q1a dalla sorgente T1, quindi il suo volume aumenta e la sua pressione diminuisce.

2. Espansione adiabatica: senza scambiare calore con le sorgenti, il gas si espande ulteriormente, quindi la sua temperatura si abbassa fino a raggiungere quella della sorgente T2.

3. Compressione isoterma: il gas cede una quantità di calore Q2a dalla sorgente T2, quindi il suo volume diminuisce e la sua pressione aumenta.

4. Compressione adiabatica: senza scambiare calore con le sorgenti, il gas viene ulteriormente compresso, quindi la sua temperatura si abbassa fino a raggiungere le condizione termodinamiche iniziali.

La formulazione di Carnot permise ad Émile Clapeyron di formulare la Seconda Legge della Termodinamica, quindi l’impossibilità di realizzare moto perpetuo “della seconda specie”,

(9)

che si traduce nel non poter compiere un moto direzionale sfruttando solo e tutto il calore assorbito dall’ambiente circostante. Esistono varie formulazioni equivalenti della legge:

• È impossibile realizzare una ciclo termodinamico con rendimento superiore a quello di Carnot, che a sua volta non può raggiungere il 100%.

• È impossibile realizzare una trasformazione che abbia come unico effetto quello di trasferire calore da un corpo più freddo ad uno più caldo (Clausius).

• È impossibile realizzare una trasformazione che abbia come unico effetto quello di trasformare in lavoro tutto il calore prelevato da una sorgente (Kelvin-Planck). • L’entropia di un sistema isolato non può mai decrescere nel tempo.

La derivazione di Ludwig Boltzmann per l’entropia e la formulazione di Walther Nernst della Terza Legge stabilirono quantitativamente la connessione tra entropia e lavoro estraibile.

1.2

Sfruttare il moto browniano

Nel 1827, il botanico Robert Brown osservò l’incessante e disordinato moto dei grani di polvere sospesi nell’acqua. Una spiegazione del fenomeno venne fornita da Albert Einstein in uno dei suoi celebri articoli del 1905 e fu provata sperimentalmente da Jean Baptiste Perrin durante il decennio successivo.

L’idea del moto browniano, nella formulazione moderna di Paul Langevin, è che una particella in sospensione sia soggetta a due forze: una viscosa, proveniente dal fluido, e una impulsiva, proveniente dagli urti con le particelle. Richiedendo alla particella di esse-re in accordo sia con la teoria cinetica (scala microscopica) che con l’idrodinamica (sca-la macroscopica), si ottiene (sca-la legge di Einstein-Smoluchowski sul(sca-la diffusione in moto browniano:

< x2(t) >' 6Dt (1.4)

D = kBT

6πηr (1.5)

La legge afferma che la distanza quadratica media percorsa dalla particella browniana, < x2(t) >, è, in buona approssimazione, proporzionale al tempo trascorso. L’espressione del coefficiente di diffusività, D, è il cuore della legge, poiché lega la quantità η (viscosità del fluido) a quantità microscopiche come r (raggio della particella), inoltre fornisce un metodo per misurare il numero di Avogadro, NA = RkB1 (R è la costante universale dei gas). È

quindi chiaro come lo sviluppo e la verifica sperimentale di questa legge abbia posto fine al dibattito imperante sulla natura della materia, che vedeva contrapposta la scuola atomista (Boltzmann) e quella energetista (Ostwald, Mach).

Quando si progettano sistemi mesoscopici e micoscopici è fondamentale ricordare che la presenza del moto browniano è una conseguenza della scala, non della natura dell’ambiente. Finché per il sistema è ben definita la temperatura, la particella è sempre soggetta a moto browniano. Il fenomeno non può essere evitato inserendo la struttura molecolare in un ambiente pseudo-vuoto, poiché, nonostante si riduca la frequenza delle collisioni casuali, si ridurrebbe anche la viscosità del fluido; solo il libero cammino medio ne verrebbe influenzato.

1

Il numero di Avogadro, NA= 6, 022x1023mol−1, è definito come il numero di atomi/molecole

di un certa sostanza contenuti in una mole della stessa, ovvero in una quantità di sostanza che ha massa (misurata in grammi) numericamente pari al proprio peso atomico/molecolare (misurato in unità di massa atomiche).

(10)

10

CAPITOLO 1. IL PROBLEMA FISICO

In assenza di qualsiasi altra molecola, il calore verrebbe comunque trasmesso alla particella dalla pareti del contenitore tramite radiazione elettromagnetica.

Un’ultima considerazione è che, dato che la velocità delle particelle dipende dalla radice quadrata della temperatura, di fatto questa non è un efficace modulatore del moto brownia-no. Basti pensare che, abbassando la temperatura da 300K a 3K, le fluttuazioni termiche si ridurrebbero solo del 10%.

Alla luce di queste considerazioni, nella progettazione di sistemi su scale mesoscopiche e microscopiche, sembra più sensato provare a sfruttare il moto browniano, piuttosto che con-trastarlo, sebbene si debba trovare un meccanismo per aggirare la Seconda Legge. In effetti, il problema su come poter controllare il moto stocastico intrinseco dei sistemi microscopici e mesoscopici tormenta gli scienziati da molti anni.

1.2.1

Violare il bilancio dettagliato

Il principio del bilancio dettagliato afferma che se un sistema costituto da molti componenti (limite termodinamico) è in equilibrio termodinamico, allora non c’è alcun flusso netto tra le popolazioni di due livelli energetici, poiché le transizioni hanno luogo in entrambe le direzioni con rate uguale:

n1P1→2= n2P2→1 (1.6)

Dove ni indica la densità di popolazione dello stato i, mentre Pi→j indica la probabilità

di transizione della singola particella dallo stato i allo stato j. Dalla meccanica statistica classica, si può quindi scrivere:

P1→2 P2→1 = n2 n1 = eE2−E1 kB T (1.7)

In un sistema fuori dall’equilibro il bilancio dettagliato perde di validità e può essere compiuto del lavoro netto dal flusso che si genera mentre il sistema procede verso un nuovo equilibrio. Per comprendere i meccanismi mediante i quali le macchine possono operare su scale alle quali è presente il moto browniano, è utile chiarire la ragione per cui può essere prodotto del lavoro da un processo caotico di scambio tra due stati solo quando viene violato il bilancio dettagliato.

Si consideri, come analogia, una bilancia a due bracci con molte formiche che corrono caoticamente tra i due estremi; la bilancia sarà statisticamente bilanciata e rimarrà media-mente fissa ad un certo angolo, che dipenderà dalla posizione del fulcro. Se viene interposta improvvisamente una barriera tra i due bracci e vengono aggiunte formiche su un lato o sull’altro, allora la bilancia comincia ad inclinarsi. Se poi la barriera viene rimossa, le for-miche ricominciano a scorrere tra i due estremi e un nuovo equilibrio verrà ripristinato. Si noti che anche senza la barriera, se venissero aggiunte formiche su un lato, il bilancio verrebbe violato e la bilancia si inclinerebbe per un certo periodo di tempo. Lo spostamento netto che nasce dall’inclinazione (o dall’aggiustamento) della bilancia può essere usato per sollevare un oggetto ad essa legato. Quindi violare il bilanciamento dettagliato può essere la chiave per compiere lavoro con una macchina soggetta al moto browniano.

Durante il decennio passato, è stato sviluppato un notevole formalismo in matematica (specialmente nell’ambito della teoria dei giochi) e in fisica statistica del non-equilibrio, che spiega come il trasporto direzionale di particelle browniane lungo potenziali periodici possa nascere sia da perturbazioni periodiche che stocastiche[5]. Ognuno di questi meccanismi ha tre componenti:

1. un elemento randomizzante, come il moto browniano;

2. una sorgente d’energia, necessaria per non violare la seconda legge della Termodina-mica;

(11)

3. asimmetria del potenziale alla scala appropriata, per favorire la direzionalità del moto che si vuole controllare.

Ai giorni nostri è ampiamente accettato il ruolo centrale di tali meccanismi nel funziona-mento dei motori biologici proteici. Questi vengono sfruttati con successo per sviluppare dispositivi di trasporto e separazione per particelle mesoscopiche e macromolecole per il pompaggio microscopico. Per motori e macchine molecolari, il necessario elemento rando-mizzante può essere il moto browniano del substrato. Gli altri due requisiti (energia ed anisotropia) posso essere forniti in modi differenti, a seconda del tipo di meccanismo di trasporto.

1.2.2

Il nottolino di Feynman

Nelle Lectures on Physics, Feynman espone un esperimento mentale molto utile per visua-lizzare efficacemente i vincoli e le modalità di un sistema progettato allo scopo di estrarre lavoro dal moto browniano. In realtà questo sistema, chiamato “nottolino di Feynman-Smoluchowski” o “nottolino browniano”, era già stato analizzato una prima volta dal fisico polacco Marian Smoluchowski nel 1912.

Immaginiamo il sistema descritto illustrato in Fig. 1.2, costituito da una ruota a pale ed un cricchetto accoppiati tramite un asse rigido, immersi in serbatoi di gas rispettivamente a temperatura T1e T2. Il cricchetto è costituito da una ruota dentata ed un dente d’arresto con molla di richiamo, che permette la rotazione solo in una verso. La ruota a pale ha la funzione di assorbire impulso dagli urti con le particelle del gas e convertirlo in momento angolare. L’intero sistema dunque, pur partendo dalla condizione di equilibrio termodinamico T1 = T2, dovrebbe ruotare in un solo verso, sfruttando solo l’agitazione termica delle particelle del gas. Questa rotazione unidirezionale potrebbe permettere di compiere lavoro su altri sistemi, ad esempio per sollevare una massa contro la gravità, come mostrato in Fig. 1.2, estraendo energia dal serbatoio termico senza l’applicazione di un gradiente di temperatura. In questo modo verrebbe violata la Seconda Legge, ma ciò che Feynman mostra è proprio l’impossibilità di un’operazione di questo tipo, anche se lo strumento fosse costituito da parti perfettamente elastiche.

Figura 1.2. Nottolino di Feynman-Smoluchowski.

Il punto fondamentale è che il dente di arresto, essendo alla stessa temperatura delle pale, è soggetto ad un moto browniano di pari entità, quindi oscilla quanto basta per permettere la rotazione in entrambe le direzioni. Inoltre la ruota deve compiere lavoro contro la molla di richiamo mentre scivola sul dente di arresto: chiamando  l’energia necessaria affinché un dente della ruota vinca la forza di richiamo della molla, la probabilità che il sistema accumuli l’energia sufficiente a compiere uno scatto è proporzionale a ekB T , ma la probabilità che il

dente di arresto, soggetto a moto browniano, si sollevi spontaneamente è della stessa entità. Si ottiene così un bilancio, quindi una rotazione netta nulla.

(12)

12

CAPITOLO 1. IL PROBLEMA FISICO

Con considerazioni analoghe, si mostra anche che, nei casi in cui le due temperature fossero differenti, allora si potrebbe ricavare un rotazione netta senza violare la Seconda Legge, sostanzialmente perché non si avrebbe la stessa temperatura al denominatore del-l’esponenziale precedente. Nel caso T1 > T2 , ciò che si viene a creare è una macchina termica, che compie lavoro sulla massa sfruttando il gradiente termico tra le due sorgenti e cedendo l’energia inutilizzata alla sorgente T2. Nel caso T1< T2, si ha invece un macchina frigorifera, con rotazione in senso opposto.

1.2.3

Meccanismi di trasporto guidati dalle fluttuazioni

Nel tempo gli scienziati hanno proposto molti tipi di meccanismi teorici guidati dalle flut-tuazioni (“nottolini browniani”), che possono essere classificati e raggruppati in diversi modi (non sempre mutualmente esclusivi). Sebbene non sia chiaro come alcuni di questi mec-canismi teorici potrebbero essere applicati alle strutture molecolari[5], gran parte di essi rappresenta comunque una grande opportunità per la chimica sintetica. I dettagli dei va-ri meccanismi sono stati discussi ampiamente nella letteratura fisica; di seguito limiterò la mia discussione ad alcune specifiche variazioni, particolarmente adatte per i sistemi chimici. In particolare mi soffermerò su una classe di questi meccanismi: quelli energetici. Questa classe di meccanismi, come anche altre, indirizza il movimento di un substrato browniano ed è stata oggetto di una review di P. Reimann su Physics Reports nel 2002.

Meccanismi impulsati

I meccanismi impulsati prevedono che i minimi e i massimi dell’energia potenziale vengano variati, periodicamente o stocasticamente, indipendentemente dalla posizione delle parti-cella sulla superficie potenziale. Come raffigurato in Fig. 1.3, questi meccanismi possono essere visualizzati in maniera semplice come un potenziale periodico ed asimmetrico, acceso e spento ripetutamente su tempi più rapidi di quanto necessario alle particelle browniane per diffondersi oltre una certa frazione di superficie potenziale. Il risultato è un trasporto direzionale netto delle particelle lungo la superficie potenziale. Più in generale ogni poten-ziale asimmetrico e periodico può essere regolarmente/stocasticamente variato nella forma per produrre un effetto analogo, mediante un meccanismo chiamato fluctuating potential ratchet; un altro invece, chiamato flashing ratchet, può implicare il passaggio ripetuto tra due diversi profili potenziali.

Un ulteriore meccanismo, chiamato travelling potential ratchet, può essere realizzato fornendo al potenziale un velocità di trascinamento. Questo principio è essenzialmente lo stesso di dispositivi macroscopici come la vite di Archimede. Chiaramente in questo caso non sono richiesti né asimmetria né fluttuazioni termiche. Immaginiamo, per esempio, una particella che scivola su un onda sulla superficie di un liquido. Questo tipo di meccanismo è al confine tra un trasporto guidato dalle fluttuazioni e un trasporto come effetto di un gradiente di potenziale. Il meccanismo di travelling potential ha rilevanza soprattutto nei meccanismi di auto-propulsione, che non verranno discussi in questa dissertazione.

Potenziali stazionari

In questa categoria, il potenziale intrinseco rimane invariato e il bilancio dettagliato viene violato dall’applicazione di forzanti non-direzionali alla particella, tra le quali il calore è una di quelle maggiormente impiegate. I meccanismi basati su variazioni di temperatu-ra periodiche/stocastiche vengono genetemperatu-ralmente chiamati tempetemperatu-rature temperatu-ratchets o diffusion ratchets. Nella sua forma più semplice (Fig. 1.4) questo meccanismo è molto simile al pre-cedente impulsato. Inizialmente l’energia termica è bassa, in modo tale che le particelle non possano attraversare le barriere. Un improvviso aumento nella temperatura, tale che kBT sia molto maggiore dell’ampiezza del potenziale, permette alle particelle di diffondersi

(13)

Figura 1.3. Un esempio di meccanismo impulsato. a.La particella browniana parte da un minimo sulla superficie potenziale, con barriere  kBT . b.Il potenziale viene

spen-to, così si attiva per un breve periodo di tempo (molto minore di quello necessario per raggiungere l’equilibrio) la diffusione browniana libera. c.Riaccendendo il poten-ziale, l’asimmetria si traduce in una maggiore probabilità della particella di rimanere intrappolata nella buca a destra rispetto a quella di partenza. Si noti che questa fa-se implica un aumento nell’energia della particella. d.Il rilassamento verso il minimo d’energia (durante il quale viene emesso calore) sposta verso destra la posizione media della popolazione. [Figura tratta dall’articolo [5]]

come se fossero disposte virtualmente su una superficie potenziale piatta. Ripristinare la temperatura originale è equivalente a riaccendere il potenziale e un numero maggiore di particelle si saranno spostate sulla buca destra, piuttosto che sulla buca sinistra.

Un altro meccanismo per ottenere una forzante non-direzionale è quello di applicare una forza direzionale periodica, in modo tale che, però, la direzionalità media nel tempo risulti nulla. La forma più semplice del meccanismo appena descritto, chiamato rocking ratchet, è in Fig. 1.5. Dall’applicazione periodica (verso destra e verso sinistra) di una forzante che permetta alle particelle di scavalcare le barriere consegue quindi un trasporto direzionale; il moto sopra le ripide barriere è ancora più probabile se coinvolge distanze più corte. Questo tipo di meccanismo è fisicamente equivalente ad inclinare il profilo del potenziale prima in una direzione, poi nell’altra. Certamente, se la forzante fosse abbastanza intensa ed applicata costantemente, le fluttuazioni termiche non sarebbero più necessarie. Se la forzante è di origine stocastica si parla allora di fluctuating force ratchet (anche correlation ratchet).

Infine, un meccanismo di questo tipo potrebbe essere ottenuto anche in un potenziale simmetrico, qualora la perturbazione stessa risultasse spazialmente asimmetrica (simile al travelling potential del paragrafo precedente), in questo caso si parla di asymmetrically tilting ratchets.

1.3

Dal macroscopico al microscopico

Da questo riepilogo storico, si può vedere come il concetto di motore sia stato un vero e proprio promotore dell’avanzamento scientifico. La motivazione iniziale fu quella di mas-simizzare l’efficienza e costruire motori sempre più grandi per incrementare sempre più l’ammontare di lavoro. Ma che si può dire a proposito del limite opposto? Il limite ultimo,

(14)

14

CAPITOLO 1. IL PROBLEMA FISICO

Figura 1.4. Esempio di temperature ratchet. a.La particella browniana parte da un mini-mo sulla superficie potenziale, con barriere  kBT1. b.La temperatura viene innalzata

finché l’altezza della barriere sia  kBT2ed una diffusione libera sia effettivamente

per-messa per un breve periodo di tempo (molto minore di quello necessario per raggiungere l’equilibrio). c.La temperature viene poi abbassata di nuovo fino a T1 e l’asimmetria del potenziale si traduce che ogni particella ha più probabilità di essere catturata dalla buca a destra rispetto a quella di partenza. d.Il rilassamento verso il minimo d’ener-gia (durante il quale viene emesso calore) sposta verso destra la posizione media della popolazione. [Figura tratta dall’articolo [5]]

Figura 1.5. Un esempio di rocking ratchet. a.La particella browniana parte da un minimo sulla superficie potenziale, con barriere  kBT . b.Viene applicata una forza

indiriz-zata verso sinistra. c.Una forza uguale e contrario viene applicata verso destra. d.La rimozione della forza e il rilassamento verso il minimo locale (durante il quale viene emesso calore) sposta verso destra la posizione media della popolazione. [Figura tratta dall’articolo [5]]

(15)

ovviamente, è costruire un motore a livello molecolare. In ambito nanotecnologico lo studio dei motori molecolari è fondamentale, dato che essi rappresentano l’unità fondamentale del moto di macchine molecolari, anche dalla struttura piuttosto complessa.

In biologia esistono molti esempi di processi che implicano l’azione di motori molecolari ad elevata efficienza. Una tale efficienza è ancora più notevole se si pensa che questi sistemi agiscono entro i limiti stocastici. A questa scala le collisioni e gli scambi di energia di un motore molecolare con l’ambiente è di diversi ordini di grandezza maggiore della potenza generata per compiere lavoro sull’ambiente. Per esempio, lo scambio energetico collisionale di una molecola con quelle circostanti è dell’ordine del kBT2 con un rate di 1012 urti/sec

per un rate di dissipazione della scala di 10−9W [14]. In confronto, un tipico rate di rota-zione di un motore molecolare (con barriera di potenziale a ∼ 20kBT ) fornisce un’energia

di 4 × 10−18J per molecola ed avviene sulla scala temporale del millisecondo, quindi il la-voro utile si quantifica in 4 × 10−15W [14]. Questo valore è più di 5 ordini di grandezza inferiore rispetto alla potenza dissipata con l’ambiente immediatamente circostante a causa delle fluttuazioni stocastiche. In tali condizioni si deve comunque considerare che la i motori molecolari negli organismi viventi operano lontani dall’equilibrio termodinamico e sfruttano il più possibile le fluttuazioni termiche, piuttosto che contrastarle. È doveroso sottolinea-re che, sebbene dagli organismi viventi si possa imparasottolinea-re molto, soprattutto per quanto riguarda la progettazione strutturale delle macchine molecolari, comunque le informazioni più dettagliate per ideare i meccanismi basilari dei motori molecolari sintetiche provengono dagli sviluppi della meccanica statistica del non-equilibrio[5].

Quando descritto nelle sezioni precedenti è principalmente relativo alla scala mesosco-pica della materia. Le idee applicabili a livello molecolare sono comunque analoghe a quelle già esposte; si ripresentano elementi come le asimmetrie strutturali, le fluttuazioni termi-che ed una fonte esterna d’energia. Tuttavia è importante considerare una serie di limiti fondamentali ai quali la scala molecolare non può sfuggire. Innanzitutto la Termodinamica è basata su principi strettamente connessi al moto termico di molecole ed atomi. Anche su scala nanometrica, non esistono scappatoie dalle leggi della termodinamica che consen-tano efficienze teoriche più alte per i motori molecolari[7]. In secondo luogo, la struttura del sistema deve comprendere un’asimmetria tale da favorire la direzionalità dei moti che vengono attivati dalla sorgente energetica.

In questo contesto, si pensi alle problematiche del livello molecolare. Si ha a che fare con un sistema i cui moti specifici possono dissipare energia mediante molte vie differenti; allora la sfida consiste nel controllare tali moti, imponendo un potenziale asimmetrico, e nel sele-zionare quelli funzionali, accoppiando opportunamente la sorgente energetica. Il problema è che le strutture molecolari non sono rigide come i motori macroscopici e presentano molti più gradi di libertà indipendenti, che agiscono come meccanismo di dissipazione. Un modo di aggirare questo problema e raggiungere efficienze potenzialmente elevatissime è quello di progettare il processo in modo tale che il moto funzionale avvenga più velocemente delle perdite per attrito (entropiche) o, in termini molecolari, più veloce della ridistribuzione energetica dovuta alle vibrazioni interne al complesso molecolare, per fare in modo che più energia possibile confluisca nei moti funzionali. Questo problema di ottimizzazione pone dei limiti temporali molto bassi (inferiori alle centinaia di femtosecondi) ai moti funzionali del motore molecolare e, contemporaneamente, richiede la conoscenza di più informazioni dinamiche dei moti rilevanti e dei differenti processi dissipativi. Proprio su questo aspetto si rivela significativo il recente lavoro di Meech, Feringa e colleghi[10](vd. sez. 2.2), dato che fornisce le prime dirette informazioni dinamiche sui moti primari di un motore molecolare sintetico.

2

L’espressione kBT , derivante dalla statistica di Boltzmann, è un’indicazione dell’ordine di

gran-dezza dell’energia cinetica media di un sistema composto da un numero sufficientemente grande di costituenti ad una data temperatura T. kB è la costante di Boltzmann, kB= 1, 38 × 10−23 JK.

(16)

16

CAPITOLO 1. IL PROBLEMA FISICO

1.3.1

I motori molecolari basati su alcheni chirali

Come verrà meglio descritto nel secondo capitolo della dissertazione, la tipologia di motore molecolare sulla quale mi soffermerò è quella degli alcheni chirali.

Il potenziale asimmetrico al quale sono soggette tali macchine molecolari è dovuto alla loro stessa struttura, cioè alla chiralità globale e all’elicità dei sostituenti. La configurazione sterica, cioè la disposizione degli atomi, crea repulsioni tra le varie parti della molecola, permettendo più configurazioni sia stabili, che instabili. L’idea, illustrata schematicamente in Fig. 1.6, è quella di eccitare il sistema, in modo che decada rapidamente verso un isomero, per poi forzarne termicamente nuove isomerizzazioni, fino a giungere ad una configurazione che può essere riconosciuta come ruotata rispetto a quella iniziale. La complessità del sistema permette, attraverso processi di piramidalizzazione e torsione attorno al doppio legame C-C, intersezioni tra la superficie potenziale di stato elettronico eccitato e quella di stato elettronico fondamentale, che possono essere sfruttate per controllare il decadimento della molecola lungo differenti percorsi.

Un concetto che sarà ricorrente in questa dissertazione è quello di power stroke. In analogia allo stroke, cioè la corsa, di un motore macroscopico, il power stroke è la fase del processo durante la quale il motore molecolare cede energia e può compiere un lavoro utile, quindi, sostanzialmente, la fase di decadimento.

Figura 1.6. a.Struttura del motore molecolare in esame nella sez. 2.2. Qui viene rappre-sentata la rotazione di 180°. b.Schema dell’evoluzione del sistema lungo la superficie di energia potenziale, che mostra l’evoluzione del sistema attraverso l’intersezione conica, con il susseguente attraversamento, attivato termicamente, di una seconda barriera, fino ad arrivare alla rotazione di 180°. [Figura tratta dall’articolo [7]]

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Capitolo 2

Motori molecolari ad

attivazione luminosa

Un motore molecolare è una struttura ideata al fine di produrre e controllare un moto direzionale a livello molecolare. I motori molecolari più comuni sono costituiti da uno statore, spesso ancorato ad un superficie, rispetto al quale ruota un rotore, utilizzando un doppio legame come asse di rotazione (vd. ad esempio Fig. 2.2 a pagina 19). Questo moto rotatorio non è altro che la combinazione di molteplici isomerizzazioni della molecola. Per poter riconoscere un verso di rotazione dello statore, è strettamente necessario che la molecola presenti delle forti asimmetrie, spesso dovute alla sua chiralità o elicità.

L’idea è quella di sfruttare le fluttuazioni termiche di una certa popolazione di motori molecolari per la produzione del moto direzionale. Come detto nella sezione 1.1.2 a pagina 7, il secondo principio della termodinamica impedisce di poter ricavare un tale moto da un sistema soggetto alla sola agitazione termica. Ciò che comunque non è vietato è poter sfruttare variazioni della superficie potenziale del sistema che risultino più rapide dei tempi di ridistribuzione energetica, cioè dei tempi caratteristici entro i quali il sistema raggiunge lo stato d’equilibrio associato ad un nuovo livello energetico, al fine di combinare efficacemente agitazione termica ed asimmetria della molecola. Una fase essenziale del processo è costituita dal power stroke, che nei casi presi in esame in questa dissertazione verrà attivato da un impulso luminoso ad un’appropriata lunghezza d’onda, si parlerà quindi di motori molecolari ad attivazione luminosa (light-driven).

2.1

Rotazione di un alchene chirale

Gli alcheni sono molecole costituite da atomi di carbonio e idrogeno, con formula CnH2n, caratterizzate dalla presenza di un doppio legame carbonio-carbonio. Come già detto, per riconoscere un effettivo moto di rotazione è necessaria un certa asimmetria nella struttura molecolare. Gli alcheni adatti alla rotazione, quindi, sono quelli caratterizzati da chiralità ed elicità.

Prenderò adesso in esame, come alchene esemplare, quello rappresentato in Fig. 2.2 e descritto in un articolo del 1999 dai ricercatori Koumura, Harada (University of Groningen) e Feringa, Zijlstra, van Delden (Tohoku University) [9]. Il motore molecolare è costituito da due parti uguali connesse da un doppio legame centrale. La struttura è ideata al fine di sfruttare due princìpi, entrambi essenziali dal punto di vista biologico:

• l’isomerizzazione per via luminosa da trans a cis è estremamente rapida (come ve-dremo, tipicamente inferiore a 100 fs);

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CAPITOLO 2. MOTORI MOLECOLARI AD ATTIVAZIONE LUMINOSA

Figura 2.1. Il più semplice alchene è l’etene, C2H4. Come è evidente dalla simmetria della molecola, per l’etene non si può parlare di un verso di rotazione.

• la combinazione di due elementi chirali permette di distinguere univocamente le molecole destrorse da quelle sinistrorse.

Fasi del processo

1. La prima fase si ottiene tramite irraggiamento a λ ≥ 280 nm del (P,P)-trans-1 a -55 °C, da cui consegue una popolazione di (M,M)-cis-2, con rapporto 95:5.

2. Quando la temperatura della soluzione di (M,M)-cis-2 viene innalzata fino a 20 °C, si osserva una rapida e selettiva conversione verso (P,P)-cis-2; si raggiunge cioè un’ef-fettiva rotazione di 180° rispetto all’isomero iniziale. Quindi l’irraggiamento di (P,P)-trans-1 in condizioni ambientali porta ad una completa conversione in (P,P)-cis-2, dato che l’instabile (M,M)-cis-2 è rimosso dal foto-equilibrio in una rapida isomeriz-zazione termica. Nonostante (P,P)-cis-2 sia stato preparato tramite isomerizisomeriz-zazione fotochimica di (P,P)-trans-1 gli autori dell’articolo hanno verificato l’assenza di un sal-to diretsal-to tra questi due isomeri. Va sotsal-tolineasal-to che l’isomerizzazione da (M,M)-cis-2 è irreversibile sotto le condizioni termiche o fotochimiche dell’esperimento.

3. Da un successivo irraggiamento di (P,P)-cis-2 a λ ≥ 280 nm si ottiene la formazione di (M,M)-trans-1, che raggiunge foto-equilibrio con un rapporto pari a 90:10. 4. Quando la temperatura della soluzione di (M,M)-trans-1 viene portata a 60 °C, si

forma esclusivamente (P,P)-trans-1. Non viene riscontrato il processo inverso (cioè, conversione da (P,P)-trans-1 a (M,M)-trans-1 per via foto-chimica o termica). La rotazione di 360° risulta così completata.

2.2

Dinamica ultra-veloce nell’evoluzione dello stato

ec-citato

Nel luglio 2012, su Nature Chemistry, i ricercatori Meech, Feringa e colleghi pubblicano i risultati di un lavoro in cui vengono sondate le dinamiche ultra-veloci durante l’evoluzione dello stato eccitato che segue la foto-isomerizzazione del doppio legame C-C del motore molecolare mostrato in Fig. 1.6 a pagina 16, immerso in soluzione di diclorometano, CH2Cl2. Mentre l’efficienza delle fasi termiche è stata ottimizzata mediante sintesi chimica, è noto ancora molto poco riguardo al power stroke e alla sua dipendenza dalla struttura molecolare e dall’ambiente circostante. Affinare il controllo sulla reazione di foto-isomerizzazione è di fondamentale importanza nella progettazione di motori molecolari di questo tipo. Infatti, ottimizzando il più possibile il ripopolamento dello stato fondamentale, si minimizzerebbero le dissipazioni. Per questi fini è necessaria sia la conoscenza delle dinamiche molecolari sulla superficie potenziale di stato eccitato, sia lo studio dell’accoppiamento tra le superfici di stato eccitato e di stato fondamentale, che gioca un ruolo fondamentale in tali dinamiche.

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Figura 2.2. Le quattro fasi che costituiscono la rotazione completa statore-rotore di un tipico alchene chirale. [Immagine tratta dall’articolo [9]]

2.2.1

Tecnica sperimentale

La caratteristica fondamentale di questo studio è l’impiego di spettroscopia al femtosecondo, cioè ad una risoluzione temporale sufficiente per analizzare dettagliatamente i moti rilevanti del sistema e distinguere tra le diverse vie di dissipazione. Questo tipo di spettroscopia è particolarmente adatta a rivelare senza ambiguità informazioni riguardanti la dinamica dello stato eccitato e a sondare soprattutto le prime fasi dell’eccitazione luminosa della superficie potenziale. In questo contesto, uno degli obiettivi raggiunti più importanti è stato il raggiungimento di un tempo di risoluzione di circa 50 fs. Le misure si basano sul tecnica dell’up-conversion di fluorescenza.

Fluorescenza

Quando una radiazione elettromagnetica interagisce con un sistema atomico/molecolare, se di opportuna lunghezza d’onda, può eccitare un elettrone e promuoverlo ad un livello ener-getico superiore. Il sistema poi tende a tornare verso lo stato fondamentale. Esistono molti diversi meccanismi di decadimento, uno dei quali è costituito proprio dalla fluorescenza.

La fluorescenza consiste in un decadimento lo stato fondamentale in due o più fasi, attraverso cioè salti successivi, la maggior parte dei quali sono non radiativi, mentre l’ultimo emette luce ad una frequenza d’onda maggiore (Fig. 2.3).

Quando si considera una popolazione di molecole, l’intensità della fluorescenza totale dipende principalmente dalla concentrazione di molecole che persistono nello stato eccitato, [S1], che nel tempo diminuisce seguendo un andamento esponenziale:

[S1](t) = [S1]0e−

t

τ (2.1)

La costante di tempo, τ , generalmente comprende sia le fasi non-radiative che quelle radiati-ve del processo ed ha un valore che può spaziare dai nanosecondi ai picosecondi (10−9−10−12 s), decisamente maggiore dei tempi caratteristici delle transizioni di primo ordine1.

1

Le transizioni di primo ordine sono quelle che seguono le regole di transizione derivanti dalle leggi della meccanica quantistica applicate nell’approssimazione di dipolo elettrico dell’interazione elettromagnetica. Generalmente, per salti energetici che seguono queste regole, la lunghezza d’onda

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CAPITOLO 2. MOTORI MOLECOLARI AD ATTIVAZIONE LUMINOSA

Figura 2.3. Il diagramma di Jablonski è uno schema sintetico ed intuitivo sul funzionamen-to della fluorescenza. Come si vede, la freccia verde è più corta di quella blu, rappresenta quindi un salto energetico più breve, ovvero una lunghezza d’onda maggiore.

Generalmente, tuttavia, il profilo temporale della fluorescenza può essere influenzato da diversi fattori, spesso in maniera differente al variare della lunghezza d’onda. Tali fattori possono consistere sia in modi intramolecolari che intermolecolari, oltre che in interazioni ambientali; rilassamenti e variazioni strutturali possono modificare sensibilmente il tempo di estinzione, mentre l’oscillazione del sistema tra due o più livelli energetici può generare una serie di oscillazioni nel profilo di fluorescenza. Lo studio dell’emissione di fluorescenza, nel tempo e a diverse lunghezze d’onda, dunque può fornire molte informazioni riguardo ai modi rilevanti del sistema in esame.

La differenza fondamentale della spettroscopia a fluorescenza, rispetto alla spettroscopia pump-probe, è che la prima è connessa esclusivamente alla dinamica dello stato eccitato. Se da un lato questa può sembrare una limitazione, in realtà permette di assegnare le anomalie nel profilo di decadimento (come oscillazioni o andamenti non-esponenziali) a modi esclusivi dello stato eccitato.

Up-conversion di fluorescenza

L’estinzione della fluorescenza avviene comunque in tempi troppo brevi perché un qualsia-si rivelatore da laboratorio ne possa osservare l’andamento temporale, allora qualsia-si ricorre ad un metodo di campionamento chiamato up-conversion. Essenzialmente la fluorescenza del campione, eccitata da un impulso luminoso ultrabreve (pump), è focalizzata in un cristallo non-lineare, dove viene sommata con un altro impulso ultrabreve (gate). L’intensità del segnale risultante, definito sum-frequency, è linearmente proporzionale all’intensità della fluorescenza all’istante di arrivo dell’impulso di gate; quindi, variando con sufficiente ri-soluzione spaziale il percorso ottico compiuto dall’impulso di gate, si riesce a raggiungere una notevole risoluzione temporale nel campionamento dell’emissione di fluorescenza. La risoluzione temporale è limitata solo dalla correlazione incrociata dei due impulsi e viene

della radiazione riemessa dalla molecola corrisponde a quella della radiazione assorbita. L’emis-sione di fluorescenza, è uno dei fenomeni di decadimento che interviene quando la transizione dell’elettrone dal livello eccitato a quello fondamentale è vietato al primo ordine.

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ottimizzata compensando gli effetti di dilatazione degli impulsi mediante ottiche dispersive e ottiche prevalentemente riflettenti.

Figura 2.4. Schema dell’apparato sperimentale.

Il processo ottico è illustrato in Fig. 2.4. Da un cristallo Ti:S (cristallo di zaffiro drogato con ioni al titanio) viene generato un impulso centrato a λ = 830nm di durata temporale di 20 fs. Il laser viene focalizzato in un cristallo non-lineare B1, per generare, mediante eccitazione di seconda armonica, l’impulso di pump, centrato a 415 nm. Il pump (viola) e il gate (rosso), separati tramite uno specchio dicroico, DM, seguiranno percorsi ottici differenti. Le dispersioni introdotte dallo specchio dicroico vengono compensate dall’utilizzo di alcuni specchi chirped, CM. Il percorso ottico compiuto dal gate è viene modificato, muovendo il delay stage, DS. del Il pump viene indirizzato sul campione da analizzare, C, quindi la fluorescenza emessa viene raccolta da un obiettivo riflettente, RO, il quale ha il pregio di non introdurre differenze di fase tra le diverse lunghezze d’onda. Quindi la fluorescenza così raccolta viene incrociata al gate e si effettua l’up-conversion mediante un secondo cristallo non-lineare, B2. Infine l’intensità viene rivelata da un fotomoltiplicatore e un monocromatore.

2.2.2

Osservazioni sperimentali

La caratteristica dominante osservata nella dinamica dello stato eccitato è il decadimento non-esponenziale della fluorescenza, costituito da una componente ultrarapida (< 100 fs), seguita da una più lenta, sulla scala del picosecondo; inoltre il decadimento è accompagnato, nel tempo, da un continuo red-shift dello spettro d’emissione. Gli autori sottolineano come le caratteristiche del red-shift osservato confermino che per i motori molecolari gli effetti viscosi da parte del solvente sono in gran parte trascurabili e che, quindi, le dinamiche osservate sono dovute soprattutto a modi intramolecolari.

In Fig 2.5 vengono mostrati gli spettri d’emissione e assorbimento . Si vede che l’as-sorbimento, con picco a 390 nm, è stretto e ben definito; lo spettro di fluorescenza è, al contrario, molto debole e notevolmente ampio, con un’estensione maggiore di 350 - 750 nm e

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CAPITOLO 2. MOTORI MOLECOLARI AD ATTIVAZIONE LUMINOSA

Figura 2.5. Spettri d’assorbimento e di emissione dello stato stazionario. Punti neri: dati dell’emissione, ricavati dopo la sottrazione dello scattering Raman del solvente. La funzione di fit è una log-normale. I cerchi blu indicano i punti assunti come estremi dell’emissione. L’intervallo studiato da Meech, Feringa e colleghi è indicato dalle frecce verdi. [Figura tratta dall’articolo [10]]

un picco a 474 nm. Tutto questo è caratteristico di una molecola sottoposta alle dinamiche strutturali di stato eccitato[11].

In Fig. 2.6 vengono mostrati, per diverse lunghezze d’onda, i profili dell’emissione in funzione del tempo. Il decadimento è ultra-rapido e mostra che il processo primario in questi motori molecolari avviene entro i 100 fs. È evidente la presenza di una serie di oscillazioni che si sovrappone ai profili di decadimento, con frequenza indipendente dalla lunghezza d’onda osservata. Questo tipo di oscillazioni sono una prova dell’eccitazione di un moto coerente sulla superficie potenziale dello stato eccitato e possono avere rilevanti implicazioni sul controllo ottico dei motori molecolari.

I dati dell’esperimento forniscono una significativa indicazione riguardo al meccanismo di estinzione della fluorescenza: sembrebbe che nello stato eccitato la fluorescenza ven-ga smorzata da un rilassamento strutturale, che conduce la popolazione dalla regione di Franck-Condon verso uno stato con momento di transizione fluorescente trascurabile su tempi inferiori ai 100 fs; da questo stato “oscuro”, poi, decadrebbe verso lo stato fondamen-tale su una scala temporale di circa 1 ps, presumibilmente mediante un’intersezione conica. In questo modello la componente ultra-rapida del decadimento deriva dalla dinamica strut-turale, mentre la componente più lenta può riflettere il raffreddamento vibrazionale dello stato elettronico fondamentale. Studi preliminari all’esperimento mostrano che il decadi-mento di uno stato transiente, se popolato entro poche centinaia di femtosecondi, presenta una costante di tempo di 1, 5 ± 0, 3 ps, consistente con le osservazioni. Sempre gli studi indicano che lo stato rilassato, immediatamente prima della transizione, è già notevolmente distorto se confrontato con l’iniziale stato eccitato; questo suggerisce che il cambiamento strutturale più ampio debba avvenire già durante l’evoluzione dello stato eccitato.

L’osservazione più interessante è che la fluorescenza è fortemente modulata da due modi a bassa frequenza (113cm-1 e 180cm-1), coinvolti nell’indirizzamento del pacchetto d’onda lungo il power stroke. Il modo rilevante sembra essere quello a 113cm-1, il più smorzato dei due. In questo quadro, questo modo fortemente smorzato conduce il sistema fino all’isome-rizzazione intorno al doppio legame, che avviene poi su una scala temporale del picosecondo. Da considerazioni teoriche, gli autori ipotizzano che questa foto-isomerizzazione coinvolga un moto attraverso un’intersezione conica, nella quale c’è un assestamento del doppio

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lega-Figura 2.6. Profili della fluorescenza up-conversion nel tempo alle diverse lunghezze d’onda osservate: 455 nm (blu scuro), 472 nm, 535 nm, 545 nm, 556 nm (rosso). Il riquadro mostra la trasformata di Fourier dei dati a 535 nm, con la parte esponenziale sottratta. La trasformata di Fourier dei dati sperimentali (linea nera) è confrontata con quella dei dati interpolati (linea rossa). Sono evidenti i contributi di due modi a bassa frequenza. [Figura tratta dall’articolo [10]]

me, ed un moto di torsione. Questo rapido moto è situato fuori dalla regione otticamente attiva ed è indubbiamente correlato alla stabilità sterica della struttura molecolare.

2.3

Conclusioni

I risultati dell’esperimento presentato nei paragrafi precedenti pongono molti nuovi quesiti. Innanzitutto, la presenza di modi a bassa frequenza durante i moti attraverso le barrie-re di potenziale sembra essebarrie-re un fenomeno generale. Questi modi sono associati a moti spazialmente delocalizzati, quindi devono essere accoppiati con altri a frequenza più alta, che portano a moti maggiormente localizzati e coinvolti nella coordinata di reazione. Ciò che deve ancora essere compreso è come correlare la descrizione modale dei moti atomici, che sono ben definiti nel minimo di una distribuzione di equilibrio, a fluttuazioni lontane dall’equilibrio durante l’attraversamento di barriere o di punti critici. Conoscere questa correlazione è di fondamentale importanza nel controllo dei metodi sintetici e nell’alimenta-zione dei motori molecolari. Inoltre, il rendimento quantistico globale del power stroke è solo il 14%[7] e il processo di rilassamento non-radiativo produce calore locale, quindi costituisce una via dissipativa. Parte della magia è che i moti e i riordinamenti atomici fondamentali che si accoppiano soprattutto con la coordinata di reazione sono pochi, rispetto a tutti quelli possibili in un cambiamento strutturale. Se si persegue lo scopo di migliorare ulteriormente il rendimento, la comunità scientifica dovrà ancora comprendere a fondo questi moti critici e l’accoppiamento dei modi durante l’attraversamento delle barriere di potenziale.

Prendiamo ad esempio un’altra lezione della biologia: la resa quantistica della foto-isomerizzazione di sistemi retinali basati sulla proteina rodopsina è del 65%, con tempi della dinamica di reazione inferiori ai 100 fs[7], confrontabili praticamente con quelli della decoerenza quantistica. Il mezzo proteico circostante si è evoluto in modo da far accoppiare efficientemente modi ad alta frequenza con altri bassa frequenza. È evidente che anche dal punto di vista artificiale, c’è bisogno di sviluppare strategie simili; per la massima efficien-za, non è sufficiente pensare solo al meccanismo di funzionamento del motore. Proprio la progettazione del supporto strutturale è riconosciuta come una delle più grandi sfide per la chimica-fisica sintetica nel nuovo millennio. Sarà una sfida che metterà alla prova tutta la

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CAPITOLO 2. MOTORI MOLECOLARI AD ATTIVAZIONE LUMINOSA

Figura 2.7. Rappresentazione schematica della dinamica primaria del motore molecola-re sulla superficie di stato eccitato. L’eccitazione conduce la popolazione nel punto di Franck-Condon (FC). I rilassamenti strutturali ultra-rapidi avvengono lungo coordinate di piramidalizzazione (α) e torsione (θ) su una scala temporale di 100 fs. Questi moti coerenti conducono quindi la popolazione fuori dalla regione di Franck-Condon (mostra-ta come un cerchio diffuso), contribuendo al rilassamento osservato entro i 100 fs, verso una popolazione termica intorno al minimo (Min) della superficie potenziale. Questa popolazione termica decade infine verso lo stato fondamentale sulla scala temporale del picosecondo. [Figura tratta dall’articolo [10]]

nostra conoscenza delle interazioni sistema-ambiente, soprattutto nel caso in cui, per mas-simizzare l’efficienza, si ha la necessità di operare su scali temporali prossime a quelle della decoerenza quantistica; dovranno essere studiati argomenti delicati, come l’entanglement sistema-ambiente e gli effetti di decoerenza. Dovremo capire come creare superfici poten-ziali adatte a dirigere i moti più rapidamente della ridistribuzione energetica, sempre su scale temporali prossime ai limiti di coerenza quantistica. Quando si giungerà a conoscenze di questo tipo, ovvero quando staremo imparando i princìpi dell’assemblaggio molecolare e dell’ottimizzazione delle dinamiche di reazione, si potrà cominciare a parlare effettivamente di una biologia artificiale.

Il motore è un concetto che resiste persino a queste nuove scale di grandezza e dà prova di essere ancora oggi un vero e proprio motore dell’avanzamento scientifico.

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Figura

Figura 1.1. Ciclo di Carnot rappresentato nel piano PV. Nelle ascisse il volume, mentre nelle ordinate la pressione del gas.
Figura 1.2. Nottolino di Feynman-Smoluchowski.
Figura 1.3. Un esempio di meccanismo impulsato. a.La particella browniana parte da un minimo sulla superficie potenziale, con barriere  k B T
Figura 1.5. Un esempio di rocking ratchet. a.La particella browniana parte da un minimo sulla superficie potenziale, con barriere  k B T
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