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La relazione infermieristica come strumento d’aiuto ad una persona schizofrenica in fase psicotica delirante, studio di caso

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Academic year: 2021

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Direttrice di Tesi: Magda Chiesa Data di consegna: Manno, 31 luglio 2019

Anno accademico: 2018-2019

Scuola universitaria professionale della Svizzera Italiana

Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale, DEASS

Corso di Laurea in Cure Infermieristiche

Lavoro di tesi

(Bachelor Thesis)

Di

Alyssa Baldassari

La relazione infermieristica come strumento d’aiuto

ad una persona schizofrenica in fase psicotica

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ABSTRACT

Background e motivazione: Questo lavoro di tesi tratta la relazione infermieristica

come strumento d’aiuto nelle persone affette da schizofrenia ed in fase critica, in quanto spesso non ci si rende conto quanto la comunicazione e l’approccio siano importanti. L’infermiere nei contesti di salute mentale, oltre alle numerose categorie di farmaci utilizzati e disponibili, ha la possibilità di svolgere dei ruoli educativi e psicoeducativi volti a raggiungere un obiettivo finale di aderenza terapeutica e compliance verso i trattamenti farmacologici e non. Nelle fasi più acute della psicopatologia, oltre che ai medici specialisti l’infermiere è una figura sempre presente e la comunicazione e l’approccio che si utilizzano per relazionarsi al paziente in queste fasi devono essere molto adeguati e professionali per ottenere dei risultati positivi. L’infermiere è la figura professionale che passa più tempo con il paziente nei luoghi di cura della salute mentale e quindi è la figura che più conosce i vari aspetti dell’utente, ciò è un ulteriore aiuto per la presa a carico infermieristica nei momenti di maggior scompenso facendo poi da tramite alle altre figure professionali per una ripresa funzionale. La relazione infermieristica ha lo scopo di accompagnare il paziente nei momenti più difficili e di aiutarlo a svolgere le cure necessarie per ristabilizzare la situazione. Inoltre, l’infermiere in salute mentale si occupa di individuare le situazioni a rischio e di intervenire tempestivamente per evitare un ulteriore peggioramento delle circostanze.

Scopo: Lo scopo di questo lavoro è quello di individuare i ruoli a cui l’infermiere in

salute mentale deve attenersi per ottenere dei feedback positivi da parte dell’utente in scompenso psicotico. Inoltre, ha lo scopo di sottolineare gli aspetti più importanti che il curante deve assumere per ottenere una prima collaborazione con l’utente, come la postura, i gesti, le parole.

Metodo: Il metodo utilizzato per svolgere questa tesi è un metodo qualitativo e più

precisamente uno studio di caso. Sono stati dapprima scelti i casi più idonei da osservare e analizzare, in seguito sono state costruite delle tabelle di osservazione di alcune settimane di colloqui suddivise nelle particolarità da osservare nel paziente e nelle particolarità da osservare nel curante. Sono stati presi in considerazione gli argomenti trattati durante i colloqui, le emozioni emergenti da parte dell’utente, il tono di voce, la postura e nel curante sono stati osservati le risposte date agli argomenti, le funzioni infermieristiche messe in atto, la postura e il tono di voce, infine sono stati registrati i feedback finali, sia positivi che negativi. È stata fatta un’analisi trasversale delle tabelle compilate durante i colloqui (8 colloqui per utente) ed è stato fatto un confronto con la teoria approfondita nel quadro teorico

Risultati: I risultati emersi da questo studio di caso mostrano come l’accoglienza,

l’empatia, l’ascolto attivo, il non giudizio e soprattutto il non scontrarsi con le idee deliranti del paziente siano alla base per un recupero della realtà e della normalità progressiva. L’infermiere in salute mentale mettendo in pratica le funzioni infermieristiche quali l’io ausiliario, di contenuto emotivo, di insegnante, di osservatore, di oggetto meno qualificato, di veicolo del trattamento, di intermediario, di veicolo del trattamento e di educazione psicoterapeutica assicura una presa a carico adeguata al contesto e alla rete sociale che ruota attorno al paziente.

Key words: “schizofrenia”, “sintomi”, “funzioni infermiere”, “deliri”, “angoscia”,

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ABSTRACT... 2

MOTIVAZIONE ... 5

METODO DI RICERCA ... 6

DOMANDA DI RICERCA ... 7

OBIETTIVI DEL LAVORO FINALE DI BACHELOR: ... 7

BACKGROUND ... 7

Le psicosi in breve ... 8

La psicosi esogena ... 8

Il disturbo psicotico breve ... 8

La sindrome schizo-affettiva ... 8 I disturbi bipolari ... 8 Schizofrenia ... 9 Definizione ... 9 Diagnosi ... 9 Eziologia ... 9 Esordio ... 10 Epidemiologia: ... 11 Sintomi ... 11 Delirio ... 12 Decorso ... 15 Terapia ... 15 - Ansiolitici: ... 15 - Farmaci antipsicotici: ... 15 - Antidepressivi: ... 16 Prognosi ... 17

RUOLO DELL’INFERMIERE PSICHIATRICO; ASSISTENZA ... 18

Le funzioni dell’infermiere in psichiatria ... 18

La funzione di osservazione ... 19

L’oggetto meno qualificato ... 19

Il ruolo da intermediario ... 19

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La funzione di oggetto inanimato ... 19

L’io ausiliario ... 19

La funzione psicoterapeutica e riabilitativa ... 20

Il ruolo di insegnante ... 20

La funzione di ricerca ... 21

Le diagnosi infermieristiche ... 21

ANALISI DELLO STUDIO DI CASO ... 22

Introduzione ... 22

Scelta del metodo ... 23

Scelta degli utenti ... 23

Biografia delle persone osservate ... 24

Storia clinica dell’utente P.M, 49 anni ... 24

Storia clinica dell’utente J.D, 23 anni ... 25

Tabella riassuntiva... 26

Analisi ... 27

Confronto tra i dati emersi e il quadro teorico ... 30

CONCLUSIONI ... 33

Valutazione degli obiettivi e della domanda di ricerca ... 33

I ruoli dell’infermiere SUP ... 35

Valutazioni personali ... 36

RINGRAZIAMENTI ... 38

BIBLIOGRAFIA... 39

ALLEGATI ... 40

Griglie osservazione utente J.D, uomo, 23 anni ... 40

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MOTIVAZIONE

Aprire l’istituzione non è aprire una porta, ma la nostra testa di fronte a “questo” malato (Basaglia, 1979).

Da sempre la psichiatria e i temi annessi mi affascinano in quanto mi fanno capire come in realtà la psiche sia veramente importante, perché spesso si tende a considerare molto il corpo materiale e a tralasciare il resto. Nelle mie, seppur ancora poche, esperienze lavorative mi è capitato spesso di trovarmi a confronto con una situazione di disagio psichico e ho visto molte volte risolvere le problematiche in due modalità abbastanza contrastanti. Un modo era quasi sbrigativo cercando a tutti i costi una causa fisica e tentando di agire su di essa, con risultati non del tutto soddisfacenti. L’altro modo invece è totalmente l’opposto, ovvero con stupore ho constatato che a volte quando si parla di psicopatologie si tende a rileggere ogni azione o situazione alla luce di una diagnosi psichica senza tenere conto della persona con la sua storia, la sua emotività e il suo carattere; ogni gesto, parola, comportamento che l’individuo in questione fa, vengono sempre visti come conseguenze della sua “malattia” e non dovute ad altre cause. Due stage in particolare con il ruolo di allieva svolti in due ospedali diversi mi hanno fatto ulteriormente riflettere su questo argomento per via di singoli episodi totalmente opposti l’uno all’altro. Il primo ha lasciato in me una sensazione di perplessità non indifferente in quanto un curante con cui lavoravo un giorno mi ha convocata per affermare che del vissuto che il paziente mi racconta non me ne faccio niente perché ciò che realmente conta è quello che vediamo noi con il nostro sguardo, il secondo episodio lo ricordo con il sorriso perché l’approccio, in particolare di un infermiere, verso una persona con un disturbo mentale severo che avevamo in cura in quel momento ai miei occhi era risultato molto rispettoso riguardo alla dignità e all’esistenza di quella persona dandole lo spazio giusto per esprimersi ed accogliendo le sue angosce. Mi sono rimasti ben impressi nella mente in quanto hanno scosso la mia curiosità e il mio bisogno di capire quale sia l’approccio migliore. Ho avuto altre esperienze con persone con sofferenze psichiche e mi sono sempre posta la stessa domanda; come vivono loro questa situazione e come interpretano gli sguardi delle persone? Sono domande a cui ho sempre cercato di rispondere, ma mai in maniera sufficiente. Spesso quando dovevo occuparmi di loro, anche di minime cose, percepivo un bisogno da parte loro di esternare molte cose, o al contrario negare la psicopatologia, e ad ogni occasione io mi sono sempre sentita impotente e con la sensazione di non avere mai le parole o gli atteggiamenti giusti per affrontare questi temi e queste circostanze. Durante il secondo anno accademico ho già avuto modo di affrontare in parte e teoricamente l’argomento inerente all’approccio, soprattutto riguardo ai ruoli che l’infermiere deve assumere, ma covo un sentimento interiore che mi spinge ad approfondire ulteriormente questo mondo a sé, soprattutto con uno sguardo infermieristico. Il tema affrontato in questo lavoro di tesi è dunque la relazione infermieristica del curante con la persona schizofrenica in fase delirante come strumento d’aiuto, dove in questa fase è fondamentale fare i passi giusti per non aggravare ulteriormente la situazione. Vengono approfonditi in particolare le funzioni dell’infermiere durante una crisi di una persona schizofrenica, il modo di porsi, cosa e come osservare e come comportarsi di conseguenza.

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METODO DI RICERCA

Come metodo di ricerca ho deciso di incentrare il lavoro sullo studio di caso tramite una griglia di osservazione, più precisamente un’osservazione per un periodo di tempo definito (3 settimane) della relazione tra il paziente e il curante, e il tutto documentato in un’apposita griglia creata partendo dagli obiettivi di questo lavoro di tesi. La base di questo lavoro è individuare gli aspetti importanti da osservare e i luoghi di osservazione; bisogna creare una stesura del contesto, delle figure presenti in quel momento, le attività del momento, la frequenza, la durata e gli esiti mentre con luoghi di osservazione si intende se l’attività viene svolta sempre nello stesso luogo o varia (a domicilio, attività ricreative, ...) (Polite & Beck Tatano, 2014). È una ricerca qualitativa con lo scopo di comprendere i comportamenti e le interazioni nell’ambito individuato. Questo metodo si basa principalmente sull’osservazione dei dati e di una raccolta di questi ultimi al fine di non escludere nessuna variabile anche minima in modo da raccogliere tutte le sottigliezze legate al contesto sociale, ambientale e culturale (Polite & Beck Tatano, 2014). In questa raccolta di informazioni visive il mio ruolo è quello di osservatrice con una prevalenza di partecipazione limitata (Polite & Beck Tatano, 2014) in quanto i due casi che ho scelto di osservare necessitano di supporto da più figure professionali, i colloqui svolti in autonomia con queste due persone sono meno rispetto ai colloqui e ai confronti osservati con altri curanti, anche per non correre il rischio di farmi coinvolgere troppo emotivamente alterando la lucidità di osservare anche i dettagli più particolari. Per registrare i dati necessari bisogna individuare ed utilizzare un metodo che permetta di cogliere tutti gli aspetti osservati e di raccoglierli in modo sintetizzato, in questo caso si parla di note di campo ovvero sono delle note che vengono scritte e registrate in maniera esaustiva ma riassuntiva(Polite & Beck Tatano, 2014). Esse comprendono le note descrittive dove viene lasciata una traccia del contesto in cui ci si trova nel momento della raccolta dati e le note metodologiche che invece fungono da pro memoria su come affrontare le osservazioni successive (Polite & Beck Tatano, 2014). Rispetto agli altri metodi di ricerca, questo permette una valutazione più approfondita in modo da comprendere la complessità delle situazioni che in altri contesti risulta più difficile in quanto ci si mette direttamente in gioco e si entra cautamente nella situazione clinica come osservatore partecipante, non ci si limita ad analizzare dati teorici e scritti, ma si entra nella parte (Polite & Beck Tatano, 2014). Per svolgere un lavoro di questo tipo bisogna prestare attenzione a diversi punti per non rischiare di tralasciare dettagli importanti; bisogna innanzitutto tenere una traccia di come si è svolta la raccolta dei dati (tempo, in che modo, domande poste, …) e mantenere sempre la stessa linea, bisogna capire se i dati osservati siano sufficientemente completi per permettere una comprensione e un’interazione soddisfacenti, mantenere una certa lucidità nel trascrivere i dati osservati senza tralasciare dettagli, esercitare e sviluppare una capacità di osservazione discreta e non perdere mai il senso del lavoro che si sta svolgendo (Polite & Beck Tatano, 2014).

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DOMANDA DI RICERCA

Per il mio lavoro finale, la mia domanda di ricerca l’ho strutturata seguendo il metodo in cui bisogna specificare il tema, la problematica e il quesito (Polite & Beck Tatano, 2014).

La tematica riguarda il paziente schizofrenico in fase delirante, la problematica è l’angoscia e il disagio scaturito da esso e il quesito è in che modo la relazione infermieristica possa essere uno strumento d’aiuto in un paziente in piena fase delirante. In seguito, ho applicato il metodo “PICO”, dove la P sta per paziente o problema, la I sta per intervento, la C sta per comparazione (nel mio caso non c’è), e la O sta per outcome, ovvero il risultato che ci aspettiamo.

Quindi il mio pico è il seguente:

P: paziente schizofrenico in fase delirante

I: la relazione infermieristica come strumento di aiuto e cura al paziente con delirio O: l’attenuazione dell’angoscia, mantenimento di un’interazione terapeutica e il miglioramento dell’accessibilità al paziente

OBIETTIVI DEL LAVORO FINALE DI BACHELOR

:

• Conoscere le problematiche che colpiscono il paziente delirante, con uno sguardo completo, quindi a livello emotivo, fisico, psicologico e sociale

• Approfondire il tema delle psicosi e in particolare la schizofrenia

• Evidenziare ed approfondire i ruoli che il curante deve assumere per un approccio mirato

• Verificare l’importanza della relazione nella pratica professionale come intervento infermieristico nel contesto della salute mentale

• identificare le strategie riguardo alla presa in carico di un paziente schizofrenico in fase delirante

• Sviluppare ed ampliare le conoscenze e competenze di analisi e ricerca

BACKGROUND

L’area d’interesse di questo lavoro di tesi è quella della psicosi e dei disturbi psicotici, più precisamente è focalizzato sulla persona con diagnosi di schizofrenia.

Il termine psicosi viene definito come disturbo mentale che comporta alterazioni di pensiero e di emozioni facendo perdere il contatto con la realtà, alterando la capacità razionale e di giudizio (Piccione & Di Cesare, 2018). Ci sono diversi tipi di psicosi che si differenziano l’uno dall’altro per le caratteristiche, insorgenza, durata, segni e sintomi. Secondo il manuale DSM 5 si classificano in:

psicosi esogena, disturbo psicotico breve, schizofrenia, sindromi schizo-affettive, sindromi bipolari (Biondi & May, 2014). Saranno di seguito brevemente illustrate, mentre sarà dedicato un approfondimento alla schizofrenia, oggetto del mio lavoro.

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Le psicosi in breve

La psicosi esogena

È per lo più conosciuta per il nesso con l’uso di sostanze stupefacenti e farmaci; queste sostanze alterano la struttura cerebrale causando quindi squilibri di diverse entità. Una sostanza può slatentizzare una psicopatologia ed evidenziarne la presenza. Bisogna porre attenzione al termine, poiché spesso si fraintende il significato e si attribuisce la colpa dell’insorgenza di una psicopatologia ad una sostanza stupefacente, ma non è corretto; la sostanza potrebbe slatentizzare una psicopatologia in un soggetto già predisposto ad uno sviluppo di essa. I sintomi di una psicosi esogena sono allucinazioni o deliri, sintomi sviluppati durante o entro un mese dall’intossicazione o dall’astinenza e disturbo non meglio giustificato da un disturbo psicotico primitivo. Bisogna porre molta attenzione riguardo all’assunzione di sostanze psicotrope dopo l’insorgenza della psicopatologia come automedicazione poiché a volte si fraintende questo fenomeno associando l’assunzione come causa e non come effetto, invece alcuni pazienti psicotici assumono sostanze per contrastare i sintomi positivi o anche negativi (Manna & Ruggiero, 2001).

Il disturbo psicotico breve

Ha un quadro clinico simile alla schizofrenia, ma di durata minore. È caratterizzato da sintomi positivi di insorgenza acuta quali deliri, allucinazioni, e appiattimento emotivo. Il tutto è di breve durata e solitamente avviene in seguito ad un evento di vita particolarmente stressante come un lutto, la perdita di un ruolo sociale o genitoriale, un abbandono, ecc. Ha una durata inferiore, solitamente di massimo un mese e poi l’individuo ritorna allo stato iniziale (Quartesan, 2009).

La sindrome schizo-affettiva

È caratterizzata da sintomi tipici della schizofrenia e tono dell’umore. Ciò che distingue questo disturbo dalla diagnosi vera e propria di schizofrenia è il numero di episodi con sintomi depressivi o maniacali, che devono essere almeno o superiore a uno, durante una fase ininterrotta della malattia. Di tipo depressivo solitamente è caratteristico degli anziani, mentre di tipo bipolare è più comune nei giovani (Quartesan, 2009).

I disturbi bipolari

Sono composti da episodi di mania caratterizzata da euforia senza limiti, alternati da episodi di depressione con annessa estrema tristezza, isolamento sociale, perdita di attenzioni e di piacere nell’eseguire delle aizioni. Per fare una diagnosi certa non bastano solo le modificazioni dell’umore, devono esserci anche delle alterazioni nelle diverse funzioni psichiche quali funzioni cognitive e funzioni vegetative (Santoro & Dell’Acqua, 2007). In quelle cognitive bisogna riscontrare un deficit nell’attenzione e nella memoria, mentre in quelle vegetative devono esserci un ridotto o aumentato sonno e appetito, calo del desiderio sessuale e aumento o calo ponderale. In più ci deve essere un disturbo nel comportamento come una diminuzione delle motivazione, d’interessi, un’aumentata faticabilità, ed infine anche un’alterazione delle componenti fisiche che può portare a tensione muscolare, cefalea e disturbi gastrici (Santoro & Dell’Acqua, 2007).

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Schizofrenia

Definizione

La schizofrenia viene definita come uno stato di separazione della mente e di un distacco dalla realtà che porta di conseguenza a pensieri, emozioni e sentimenti dissociati producendo dei comportamenti bizzarri (Piccione & Di Cesare, 2018). Ci sono sotto categorie denominate in base ai sintomi; c’è di tipo catatonico che è

caratterizzato da sintomi psicomotori come blocco, rigidità, postura catatonica, di tipo disorganizzato con eloquio e comportamento appunto disorganizzati e un’affettività particolarmente ridotta, di tipo paranoide con la presenza imponente di deliri o allucinazioni e di tipo residuo, dove vengono classificate le manifestazioni continue ma che non rientrano specificatamente nei criteri per i sintomi della fase attiva (Bressi & Invernizzi, 2008).

Diagnosi

È un disturbo che, secondo il manuale DSM V, spesso viene preceduto da una fase di isolamento caratterizzato da anomalie comportamentali, di linguaggio e di pensiero, dura da almeno sei mesi, comprendendo almeno un mese di sintomi psicotici quali deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato con incoerenza tra domanda e risposta o in un discorso, comportamento disorganizzato che si mostra anormale e bizzarro rispetto alla normalità, catatonico con mutismo e negatività o sintomi negativi che compromettono la vita lavorativa e sociale (Morrison, 2015).Ciò che distingue questa caratteristica di psicosi dalle altre è la dissociazione mentale, ovvero una disconnessione dei nessi associativi tra idea, stato affettivo, pensieri e condotte portando la persona in questione in uno stato di angoscia (Fassino, Abbate Daga, & Leombruni, 2007).

Ci sono sintomi fondamentali caratterizzati dalla dissociazione di pensiero, ovvero disturbi del flusso, di contenuto e di corso, e disturbi dell’affettività caratterizzati da autismo inteso come perdita di contatto con la realtà, e ambivalenza quindi due sentimenti presenti ma in contrasto fra di loro. Oltre a questi ci sono i sintomi chiamati accessori che contengono dispercezioni, deliri, turbe della memoria e catatonia (Fassino et al., 2007).

Eziologia

Le cause responsabili di questa psicopatologia sono multifattoriali, c’è la componente biochimica che fa riferimento alla dopamina, e più precisamente le vie dopaminergiche; la dopamina è un neurotrasmettitore prodotto dai neuroni dopaminergici tramite la DOPA-decarbossilasi, in seguito questa sostanza si lega ai recettori postsinaptici con la funzione di regolare la trasmissione, ci sono 5 recettori chiamati D1, 2, 3, 4, 5 e ognuno è responsabile di diverse funzioni; nella schizofrenia sono coinvolti maggiormente il D1 e D2 (Fassino et al., 2007). Nel sistema limbico o via mesolimbica, la dopamina ha la funzione di regolazione delle sensazioni di piacere e di euforia, se c’è un’attività aumentata saranno presenti i cosiddetti sintomi positivi, caratterizzati da deliri, allucinazioni, pensiero disorganizzato (Santoro & Dell’Acqua, 2007). Mentre nella sezione frontale si trova la via mesocorticale, che è coinvolta nella regolazione della sfera emotiva e dell’affettività, quindi se c’è una diminuzione di quest’attività ci saranno ripercussioni sulle emozioni causando i cosiddetti sintomi negativi che sono caratterizzati da appiattimento emotivo, isolamento sociale, apatia, anedonia e riduzione dell’attenzione (Santoro & Dell’Acqua, 2007). C’è anche una componente genetica di familiarità dove si ipotizza una trasmissione ereditaria in quanto il rischio di

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10 sviluppare la psicopatologia aumenta se ci sono casi in famiglia; aumenta del 20% se sono figli, 5% se sono fratelli e addirittura del 46% se sono gemelli monozigoti, rispetto al 0,5% del rischio medio di sviluppare una schizofrenia nel corso della vita(Dell’Acqua, Cannalire, Lekovich, & Wolf, 2010). I fattori psicologici invece si riferiscono alla modalità di far fronte agli eventi stressanti dell’individuo e dalla sua storia, ciò è fondamentale per capire come la persona elabora e assimila le esperienze, la modalità di come si relaziona con il mondo e la sua personalità. La fragilità è un fattore di rischio per lo sviluppo di una psicopatologia, perché potrebbe slatentizzarla (Piccione & Di Cesare, 2018). La vulnerabilità è la chiave principale dello sviluppo o meno della schizofrenia, in quanto un soggetto vulnerabile ha più possibilità di andare in contro a delle difficoltà di gestire lo stress e i vari eventi stressanti della vita (Dell’Acqua et al., 2010). Inoltre bisogna tenere conto che tutte le persone sono diverse e quindi i sintomi e il comportamento possono variare molto da individuo a individuo riferendosi soprattutto alla propria storia, al contesto e alla famiglia (Santoro & Dell’Acqua, 2007). Ogni essere umano riceve molti stimoli ed input insieme, sia dal mondo esterno che da quello interno, per far fronte a tutto bisogna mettere in atto la capacità di filtrare gli stimoli e selezionare ciò che si ritiene essenziale da ciò che risulta superfluo al fine di affrontare gli eventi stressanti della vita, se risulta una difficoltà o incapacità di mettere in atto questo filtro la persona si ritrova sommersa di richieste, stress e si sentirà sovraeccitata fino a sviluppare una vera e propria psicopatologia (Dell’Acqua et al., 2010). I fattori biologici sono correlati anche ai fattori sociali che compongono lo statuto sociale dell’individuo secondo il lavoro, il reddito, la rete sociale e il grado di successo, in quanto la società contemporanea spinge le persone a sentirsi sempre più gratificate per affermare il successo, quindi se c’è un disquilibrio tra gratificazione e fallimento la persona ne risentirà a più livelli. L’ambiente circostante inteso come l’abitazione, la famiglia, le amicizie e il luogo dove l’individuo vive ha anche esso un ruolo importante per lo sviluppo o al contrario un ruolo protettivo verso l’insorgenza della schizofrenia a dipendenza delle dinamiche. In sintesi non c’è solo un fattore prettamente biologico, ma ci sono più parti che possono costituire dei fattori di rischio o fattori protettivi(Piccione & Di Cesare, 2018).

Esordio

Negli uomini l’esordio tende a presentarsi prima rispetto alle donne («WHO | World Health Organization», 2018). Il primo episodio solitamente è scaturito da stress sia fisico che eventi di vita particolarmente stressanti come una separazione, un lutto, uso di stupefacenti e anche un cambiamento di ruolo come l’inizio o la fine degli studi, un cambiamento improvviso da salute a malattia (Dell’Acqua et al., 2010). L’esordio solitamente è preceduto da sintomi prodromici, ma potrebbe pure capitare che la schizofrenia si sviluppasse in poco tempo (settimane, o in alcuni casi anche in alcuni giorni) e si presenta con bruschi cambiamenti comportamentali e potrebbe sembrare drammatico un esordio del genere, ma in realtà esso ha un esito più favorevole rispetto all’esordio graduale (quindi con sintomi prodromici e un cambiamento del comportamento in più tempo) (Dell’Acqua et al., 2010). L’età di insorgenza in media è tra i 15 e 24 anni, anche se in alcuni casi si sono osservati esordi in età più avanzata ma sono pochi, questa fascia d’età non è casuale ma dovuta al fatto che solitamente è il momento in cui la persona cerca di definirsi nel mondo e darsi un’identità e un immagine d’adulto, con continue richieste e stimoli esterni che pretendono aspettative sempre più alte e quindi l’individuo si ritrova a dover abbandonare quel mondo protettivo e d’infanzia per ottenere un ruolo nel mondo, scaturendo dubbi, paure e tempeste interiori (Dell’Acqua et al., 2010).

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Epidemiologia:

secondo un recente studio dell’organizzazione mondiale della sanità (WHO), nel mondo attualmente ci sono più di 21 milioni di persone affette da schizofrenia, di cui 12 milioni sono uomini e i restanti 9 milioni sono donne, di fatto gli uomini sono più soggetti e tendono ad avere l’esordio prima rispetto alle donne («WHO | World Health Organization», 2018). Questo fatto perché l’assetto ormonale delle donne sembra essere un fattore protettivo, inoltre al genere maschile viene richiesto un ingresso nel mondo sociale e lavorativo precoce rispetto al genere femminile e tende ad avere più difficoltà a mantenere una rete sociale attiva (Dell’Acqua et al., 2010).

Sintomi

Il paziente schizofrenico si caratterizza principalmente per quattro sintomi che vengono riscontrati; isolamento dalla realtà, appiattimento affettivo, allucinazioni e deliri. I primi due rientrano nei cosiddetti sintomi negativi, mentre gli altri due rientrano nei sintomi positivi (Dell’Acqua et al., 2010). L’isolamento dalla realtà significa che la persona vive in una realtà tutta sua e questo le permette di “proteggersi” dall’angoscia che vive solitamente ed è molto difficile entrare in sintonia con questo mondo, il soggetto si isola rinchiudendosi in sé stesso e riducendo al minimo le interazioni sociali (Dell’Acqua et al., 2010). L’appiattimento affettivo invece è composto da apatia, abulia e anedonia (incapacità di provare piacere). Sebbene sembri il sintomo meno caratteristico, è di vitale importanza riconoscerlo perché esso causa una riduzione di energia e di emozioni non indifferente e nel complesso è ciò che caratterizza la schizofrenia. Va preso in seria considerazione in quanto rispetto agli altri sintomi, quest’ultimo difficilmente risponde al trattamento prettamente farmacologico e quindi bisogna intervenire con una serie di tecniche riabilitative per ridurre l’impatto che questo provoca. (Piccione & Di Cesare, 2018).Le allucinazioni vengono descritte come un’alterazione della percezione, il soggetto sente delle percezioni sensoriali reali quando in realtà esse sono inesistenti. Queste percezioni riguardano tutti e 5 i sensi, ma quelle più diffuse per questa psicopatologia sono quelle uditive, le cosiddette voci (Piccione & Di Cesare, 2018). Esse sono suddivise in elementari (caratterizzate da fischi e rumori, quindi basilari), parzialmente organizzate (suoni che si distinguono tra loro) e in complesse (con parole o addirittura frasi). Un altro tipo di allucinazioni sono quelle visive dove possono essere lampi di luce e colori, o ben definite e specifiche come vedere delle persone o figure solide. Ci sono ancora altri tipi come allucinazioni somatiche dove il paziente ha la sensazione di essere toccato, viscerali dove sentirà sensazioni come morsi o qualcosa che stringe le viscere e la trasformazione di uno o più arti o organi. Il pensiero, come già citato prima, è l’attività che permette di formulare giudizi critici in base alla realtà e funziona tramite le idee astratte (Fassino et al., 2007). L’ultimo sintomo è il delirio; questa manifestazione viene trattata in un capitolo a parte. Spesso prima di un esordio vero e proprio ci sono dei segnali che vengono definiti prodromi, e preannunciano uno stato di malessere psichico ed è importante riconoscerli per intervenire il più presto possibile (Dell’Acqua et al., 2010). Essi sono l’alterazione del ciclo sonno/veglia dove la persona inverte il ruolo del giorno e della notte, la mancanza di scopi in quanto l’individuo si sente spossato e con un’incapacità di provare piacere, esso solitamente viene accompagnato anche da una scarsa o totale mancanza cura di igiene, la difficoltà di concentrazione e perdita di memoria con pensiero disorganizzato dove a volte potrebbe sfociare in discorsi senza un filo logico (Dell’Acqua et al., 2010). Oltre alle difficoltà fisiche ci sono anche quelle psichiche come la negazione che porta la persona a negare le situazioni spiacevoli e non sempre

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12 accetta il confronto con le idee degli altri e inoltre spesso non riconosce di avere delle difficoltà riguardo al suo stato mentale, l’alterato senso di sé che porta l’individuo a percepire un cambiamento fisico del suo corpo, deformandosi oppure fa fatica a capire dove finisce il suo corpo e dove inizia il mondo (Dell’Acqua et al., 2010). Si possono notare anche le reazioni alterate a normali eventi della vita che sono distinte in due parti; possono essere spente portando la persona a non reagire a tutto ciò che accade oppure possono essere stimolate più del dovuto creando delle reazioni esagerate ed inadeguate (Dell’Acqua et al., 2010). Inoltre, l’isolamento sociale può essere sia il prodromo che un sintomo vero e proprio dove la persona si isola totalmente dal mondo circostante, senso di inadeguatezza e disperazione portano l’individuo a sentimenti di sconforto e impotenza davanti alla consapevolezza delle difficoltà della vita (Dell’Acqua et al., 2010).

Delirio

Il delirio è un sintomo che rientra nelle quattro caratteristiche principali della schizofrenia e viene categorizzato come positivo in quanto è un’attività aumentata nel sistema limbico (Dell’Acqua et al., 2010). Viene definito come una convinzione profonda di uno o più fatti che spesso non corrispondono alla realtà e difficilmente sono criticabili con il ragionamento e la capacità di giudizio (Dell’Acqua et al., 2010). Il delirio viene spesso prima preceduto da uno stato di disorientamento e di angoscia, questo fenomeno viene chiamato Wahnstimmung, e provoca un senso di malessere profondo e la sensazione che la realtà stia cambiando, percepisce una minaccia incombente (Rossi Monti, 2008). È in questa fase che lo sguardo degli altri inizia ad avere significati diversi, gli avvenimenti iniziano ad accadere in modo sospettoso e questi fenomeni provocano una rottura dell’esperienza della realtà come conosciuta e familiare; tutto diventa sospetto (Rossi Monti, 2008). La persona nella situazione di pre-delirio entra nel vortice della perplessità perché la sicurezza che la realtà confortante dava viene sostituita poco alla volta dai dubbi che la gente esterna provoca attraverso gesti, parole, sguardi, percepisce che qualcosa di imminente stia per accadere (Rossi Monti, 2008). Inizia a farsi strada la sensazione di frammentazione dell’identità e del sé, perdendo i vari punti di riferimento; l’individuo ha la necessità assoluta di ritrovare un punto a cui aggrapparsi e per questo succede il fenomeno della rivelazione o illuminazione dove un’idea che vista dall’esterno potrebbe risultare bizzarra, nella realtà della persona sofferente essa acquisisce un significato di assoluta verità e risulta come la migliore (Rossi Monti, 2008). A questa nuova realtà gli sguardi, i gesti e le parole che prima risultavano dubbiosi e incerti ora prendono un senso in relazione all’idea che egli ha sviluppato per ricostruire un’identità, cambia la chiave di lettura e la realtà comune diviene un codice da decifrare e che va oltre allo sguardo che gli altri individui hanno (Rossi Monti, 2008). Il paziente si ritrova da una parte a sentirsi da solo nel nuovo mondo che lo circonda e dall’altra si ritrova a decifrare ogni cosa in una linea apparentemente continua fatta di significati per arrivare ad un contenuto finale (Rossi Monti, 2008). Quando la persona entra in questa nuova realtà, i contenuti sono caratterizzati principalmente da tre temi; la polarizzazione, la singolarità e l’arbitrarietà dove il primo elemento fa riferimento al fatto di avere la sensazione di essere al centro del mondo e quindi qualsiasi discorso o fatto è rivolto alla persona, il secondo elemento è la sensazione di sentirsi da soli in questa esperienza e di avere la convinzione di dover svolger una vera e propria impresa per il mondo, difatti spesso si sente parlare di missione. L’ultimo elemento, l’arbitrarietà, significa che l’individuo è incapace di dare un significato alla realtà attuale e mantenere lo stesso significato nel tempo (Rossi Monti, 2008). Siccome nella persona psicotica

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13 l’identità primaria viene meno, il delirio si presenta con il tentativo di ridare un senso alla propria vita con una realtà e dei pensieri che sono ben definiti e chiari solo alla persona stessa in quanto cerca di colmare quest’angoscia che la frammentazione identitaria provoca (Rossi Monti, 2008). Le caratteristiche essenziali che compongono la persona vengono a mancare, così come il senso dell’interezza del sé nel mondo e della permanenza, dunque il delirio rappresenta una sorta di necessità per proteggersi(Rossi Monti, 2008). L’impossibilità di narrazione è uno degli elementi principali che permette al delirio di svilupparsi in quanto esso si manifesta il più delle volte dopo un’esperienza di rivelazione e questa manifestazione provoca una separazione nella vita e una rottura della quotidianità dell’individuo creando un prima e un dopo (Rossi Monti, 2008). Il prima è strutturato da dubbi e perplessità, mentre nel dopo è tutto diverso e pian piano inizia a diventare più chiaro dove il delirio comincia a ridare un senso alla vita dell’individuo ristrutturando l’esistenza di quest’ultimo in una chiave di lettura diversa, tutto riprende un senso ed è in connessione (Rossi Monti, 2008). Questo passaggio è un evento incomprensibile e perciò non è possibile una narrazione di questo fenomeno, non ci sono le parole adatte per descrivere la comparsa e l’evoluzione in quanto normalmente esso non fa parte dell’esperienza umana e quindi una comprensione e una narrazione appropriate non sono possibili(Rossi Monti, 2008). È un tema complesso anche perché il delirio non è un qualcosa di statico, non è un’identità fissa e lineare che a seconda della presenza o dell’assenza si prescrivono delle cure, ma è una vera e propria trasformazione continua della nuova realtà del soggetto ma sempre in un contesto patologico per cui ogni evento che si verifica rimane sempre dentro allo stesso modello interpretativo (Rossi Monti, 2008). Il delirante quando mostra la sua psicopatologia non è mai veramente solo, cerca sempre qualcuno che riesca a percepire il suo bisogno tramite il delirio espresso, si cerca un testimone di questo cambiamento(Rossi Monti, 2008). Spesso le idee deliranti non hanno un appoggio esterno che ascolta e approva il modo di pensare e quindi si fa strada anche la segretezza e la privatezza dove la persona sperimenta questo nuovo stato in solitaria e le proprie idee sono delle continue conferme, nulla succede per caso ma tutto è collegato con tutto, non esiste più la casualità (Rossi Monti, 2008). Il cambiamento dalla vita precedente a quella dopo si mostra in maniera netta in quanto in quella dopo c’è la presenza del delirio, non c’è nulla che indichi un cambiamento graduale perché nei pazienti deliranti c’è la mancanza del narratore interno del sé inteso come identità narrativa (Rossi Monti, 2008). Se ciò viene a mancare non ci sarà un’illustrazione del passaggio trasformativo in quanto il paziente presenta un’incapacità di percepire e raccontarsi i cambiamenti interni del sé e i vari passaggi trasformativi (Rossi Monti, 2008). Nel delirio vanno distinti due tipi di forme; l’intuizione delirante e la percezione delirante dove la prima si riferisce ad un’esperienza di presentimento, illuminazione e senza il coinvolgimento della percezione, mentre nella seconda forma citata la percezione è centrale, ad un fatto reale viene attribuito un significato abnorme ma di assoluta importanza, il significato è totalmente legato all’oggetto (Rossi Monti, 2008). Bisogna però prestare attenzione, la percezione delirante non è sinonimo di disturbo della percezione sensoriale, nella percezione delirante la persona è consapevole dell’oggetto coinvolto, sa cosa sia quest’ultimo in questione e infatti il disturbo si manifesta non nel significato oggettivo ma piuttosto in quello simbolico con una convinzione profonda e una rivelazione, quindi l’oggetto in sé acquisisce un significato simbolico dettato da una rivelazione indiscussa (Rossi Monti, 2008). La formazione del pensiero nel delirio non necessariamente è diversa dalla formazione del pensiero normale, sono delle teorie che si realizzano allo scopo di fornire una spiegazione, ma nel delirio questo processa

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14 risalta maggiormente in quanto è mirato a fornire una spiegazione di un’esperienza anormale, inusuale e non condivisa con altri.(Rossi Monti, 2008). Ciò che richiama l’attenzione del disturbo delirante più che il contenuto è la forma e bisogna focalizzarsi su quest’ultima per il trattamento; sul modo in cui un delirio viene espresso in quanto il contenuto nella fase più acuta del delirio è indiscutibile ed è la verità più assoluta per il paziente, quindi bisogna agire sulla forma dell’espressione per ricavare beneficio (Rossi Monti, 2008). Nel capitolo dei deliri vanno tenuti in conto anche i disturbi dei confini dell’Io intesi come disturbi del pensiero; la persona è fermamente convinta che gli altri possano sentire i suoi pensieri e addirittura influenzarli e quindi la mente non è più percepita come un luogo sicuro dallo sguardo degli altri, il senso del sé si sgretola (Rossi Monti, 2008). I processi che costituiscono la sensazione di appartenenza a noi stessi vengono alterati e il confine dell’identità del sé viene meno creando una confusione tra il sé interno e il sé esterno mettendo ulteriormente in crisi il pensiero che due menti separate possano mettersi in relazione mantenendo ognuno la propria intimità identitaria vivendo le altre menti come intrusive nella propria e capaci di influenzarne il corso (Rossi Monti, 2008). Ciò viene categorizzato nei deliri bizzarri intesi come una modificazione della forma dell’esperienza (Rossi Monti, 2008). Non per forza il delirio ha dei contenuti totalmente bizzarri, a volte hanno un iniziale filo logico e spesso questo sintomo rappresenta una visione distorta di fatti ed eventi che appartengono alla sua biografia.(Piccione & Di Cesare, 2018). Ci sono diversi tipi di delirio in base al contenuto; erotomatico, di grandezza, di persecuzione, somatico, mistico e di gelosia, anche se quest’ultimo in schizofrenia generalmente non si vede. Il delirio erotomatico ha come tema principale l’amore e i sentimenti, il paziente con questo disturbo crede di avere una relazione sentimentale con un’altra persona e con un legame molto intenso, tende a contattarla insistentemente e spesso fa degli appostamenti e pedinamenti cercando contatti in tutti i modi o al contrario crede di essere amata e corteggiata (Quartesan, 2009). Il delirio di grandezza fa credere al paziente di avere un talento speciale come ad esempio leggere nel pensiero, un grande intuito e capita anche che l’individuo si veda come una guida spirituale con un suo seguito, o di essere un personaggio molto famoso e con un influenza notevole sugli altri (Quartesan, 2009). Il delirio di persecuzione provoca nella persona uno stato di angoscia perché porta a credere di essere pedinato, molestato e vittima di un complotto dove è convinto che si trami qualcosa di brutto verso di lui (Quartesan, 2009). Ciò porta a percepire schemi di complotto semplici o complessi dove la persona avvertirà innocenti sgarbi come qualcosa contro di essa, e potrebbe capitare che la persona additata come la responsabile del complotto venga aggredita. Il delirio somatico è invece rivolto verso se stesso, ovvero il paziente avvertirà un odore sgradevole provenire dal proprio corpo (bocca, cute) oppure avvertirà la sensazione di essere infestato da parassiti internamente o di avere parti del corpo disfunzionali (Krupnick & Wade, 1996). Il delirio mistico ha a che fare con la religione, l’individuo è fermamente convinto di poter parlare con entità divine e religiose avendo una comunicazione e/o di essere stato scelto per svolgere una missione mistica, spesso questa condizione porta il soggetto a credersi superiore rispetto agli altri in quanto ha contatti con entità superiori (Quartesan, 2009)

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Decorso

Il decorso è fortemente correlato dai fattori ambientali, economici e politici in quanto se vi è un rifiuto dall’ambiente circostante come la famiglia e la società ci sarà un isolamento e ciò porta ad una lunga istituzionalizzazione, questo comporta una lunga e non sempre possibile ripresa completa perché l’individuo sarà indirizzato ad una cronicità e alla perdita delle interazioni sociali (Dell’Acqua et al., 2010). Mentre se i fattori ambientali e la rete sociale che attornia l’individuo sono adeguati alle cure, il decorso si mostrerà più favorevole (Dell’Acqua et al., 2010).

Terapia

La terapia farmacologica della schizofrenia si è evoluta a partire dagli anni Cinquanta, attenuando sempre di più gli effetti collaterali. C’è da precisare che i farmaci non curano la patologia e nemmeno influiscono sulle motivazioni che hanno scatenato quest’ultima, ma agiscono sui sintomi che essa scatena quindi hanno un’azione sui recettori dopaminergici interagendo con i meccanismi biologici naturali, in quanto la dopamina è implicata in maniera importante nella determinazione dei sintomi (Dell’Acqua et al., 2010) La terapia è in grado di influenzare in maniera sostanziale l’attività cerebrale modificando le attività di base accelerando o rallentando il flusso e la velocità di pensiero, sedando o stimolando le emozioni, influenzando la velocità delle associazioni mentali (elaborazione di idee, intuito, memoria) e la produzione di linguaggio (Dell’Acqua et al., 2010). Ci sono tre categorie principali di psicofarmaci utilizzati nel quadro di schizofrenia, e sono gli ansiolitici che riducono l’ansia e la tensione, gli antidepressivi che elevano il tono dell’umore e inducono un’attivazione del comportamento, vengono usati in modo limitato per ridurre alcuni sintomi di tipo depressivo (negativi) e gli antipsicotici che svolgono un ruolo fondamentale nel contenere i deliri e le allucinazioni (Dell’Acqua et al., 2010).

- Ansiolitici: la prescrizione e la durata di assunzione di questi farmaci solitamente devono essere limitate in quanto chi le assume corre il forte rischio della dipendenza, mentre nel disturbo schizofrenico vengono accettati periodi più o meno lunghi in quanto essi vengono dati insieme ai farmaci antipsicotici. Perciò non vengono prescritti come farmaco principale ma come terapia aggiuntiva quando si presenta rigidità muscolare, insonnia e tensione causate dall’assunzione degli antipsicotici, o in aiuto ad essi quando i sintomi positivi nelle fasi acute sono compromettenti. Ovviamente non vanno prescritti se sono presenti abusi o dipendenze da farmaci e alcool, se c’è ipersensibilità, se ci sono malattie respiratorie e in gravidanza. Potrebbero dare effetti collaterali quali sonnolenza marcata, atassia, cadute, confusione, amnesia e sintomi da privazione come le convulsioni quando si sospendono (Dell’Acqua et al., 2010). - Farmaci antipsicotici: essi attenuano i sintomi della schizofrenia e si dividono in due categorie; antipsicotici classici e antipsicotici di nuova generazione o atipici. I farmaci di prima generazione agiscono in maniera più generale e ampia prendendo in considerazione l’insieme delle psicosi e quindi schizofrenia, disturbi schizo affettivi, disturbi deliranti, ecc. questi farmaci danno effetti collaterali importanti e a volte anche irreversibili come la discinesia tardiva, sindrome neurolettica maligna caratterizzata da febbre alta, convulsioni, sedazione tardiva. Il monitoraggio e controlli di routine almeno trimestrali sono fondamentali durante il periodo di assunzione di questi farmaci in quanto se alcuni degli effetti collaterali sopracitati vengono diagnosticati precocemente possono essere attenuati e reversibili, il familiare ha un ruolo molto importante nel prestare attenzione se la mimica facciale, il tono muscolare o il linguaggio

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16 subiscono un cambiamento (Dell’Acqua et al., 2010). Come effetti indesiderati, oltre a quelli già sopracitati, potrebbero comparire una marcata sonnolenza tardiva (dopo una settimana), ritenzione urinaria ed effetti extrapiramidali come distonia ed irrequietezza motoria, vanno inoltre evitati associazioni con altri antipsicotici e massimo altri due psicofarmaci ed è sconsigliato cambiare la terapia in modo frequente senza monitorare gli effetti(Dell’Acqua et al., 2010). Gli antipsicotici di nuova generazione o atipici sono più recenti e si differenziano da quelli precedenti in quanto vengono definiti più selettivi e quindi agiscono solo su specifici recettori della dopamina invece che su tutti, questa evoluzione ovviamente permette una diminuita comparsa di effetti collaterali importanti e si mostra anche più efficace nella cura dei sintomi, soprattutto su quelli negativi (Dell’Acqua et al., 2010). Purché meno dannosi a livello generale, si è riscontrato comunque l’aumento di peso come effetto collaterale che accomuna tutti gli psicofarmaci di nuova generazione come la clozapina, il risperidone e l’olanzapina e ognuno di questi farmaci presentano lo stesso alcune peculiarità dove bisogna porre molta attenzione; la clozapina è nota per le alterazioni ematiche a livello dei leucociti, diminuendoli fino alla loro scomparsa, ciò è molto pericoloso e potrebbe causare gravi danni alla persona e per questo è consigliato un controllo ematico prima della prescrizione e durante l’assunzione vanno fatti i controlli mensili. Oltre all’aumento di peso e alla granulocitopenia, la clozapina potrebbe dare altri effetti collaterali come convulsioni, aritmie (si consiglia un elettrocardiogramma mensile), ipertensione, collasso circolatorio, ritenzione o incontinenza urinaria, disturbi della termoregolazione, sindrome neurolettica maligna (Dell’Acqua et al., 2010). Il risperidone è un antagonista della serotonina e della dopamina e quindi attenua sia i sintomi positivi che quelli negativi, con effetti extrapiramidali scarsi rispetto ai farmaci di vecchia generazione, tuttavia potrebbe causare ipotensione se la dose viene aumentata velocemente, aumento di peso, marcata sedazione, discinesia tardiva e alterazioni ormonali, perciò si consigliano esami di laboratorio in fase iniziale e un elettrocardiogramma in persone over 65 o con una cardiopatia conosciuta, inoltre va monitorata la discinesia tardiva trimestralmente (Dell’Acqua et al., 2010). L’olanzapina interagisce con la serotonina e la dopamina e anche essa provoca meno effetti extrapiramidali e viene tollerata bene, anche se provoca aumento di peso a lungo andare, così come aumento dell’appetito, sonnolenza, ipotensione e disturbi ormonali (Dell’Acqua et al., 2010).

- Antidepressivi: come già detto in precedenza, gli antidepressivi non sono una vera e propria cura ai sintomi della schizofrenia, ma vengono dati in associazione con i neurolettici per potenziarne l’effetto. Vengono distinte due categorie; gli antidepressivi triciclici e gli antidepressivi inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, questi ultimi sono più recenti, danno meno effetti indesiderati rispetto ai triciclici, che possono dare ritenzione urinaria, psicosi, allucinazioni, confusione, sintomi maniacali, iperattivi ed euforia, e si sono dimostrati anche più efficaci, come effetti indesiderati essi potrebbero causare agitazione, iperattività, euforia ed orticaria(Dell’Acqua et al., 2010). Quelli più usati nel trattamento della schizofrenia sono gli stabilizzatori d’umore in quanto sono in grado di prevenire e controllare le variazioni patologiche del tono dell’umore, soprattutto il litio e gli anticonvulsionanti specialmente quando ci sono sintomi come eccitamento, agitazione e iperattività(Dell’Acqua et al., 2010). Il litio viene usato in maniera aggiuntiva nei momenti acuti, e da solo nella terapia di mantenimento, ma bisogna porre molta attenzione soprattutto

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17 alla funzionalità renale a quella tiroidea oltre che ai valori del litio presenti nel sangue in quanto come effetti collaterali potrebbero insorgere oltre che a tremore, nausea e diarrea, alterazione della ghiandola tiroidea e della funzionalità renale (poliuria e polidispia), per questo si consiglia di eseguire un esame prima dell’inizio del trattamento e almeno ogni 6 mesi durante(Dell’Acqua et al., 2010). Gli anticonvulsionanti, invece, da soli non vengono mai prescritti per il disturbo schizofrenico, ma vanno in associazione con gli antipsicotici in quanto si sono rilevati efficaci negli episodi maniacali, essi interagiscono con altri tipi di recettori e a differenza del litio questi farmaci possono provocare danni a livello epatico e calo delle piastrine, quindi è indicato un esame iniziale dell’emocromo e della funzionalità epatica, dopo due mesi ed in seguito ogni sei mesi. Come altri effetti collaterali potrebbero esserci vomito e nausea, sedazione, vertigini, diplopia e leucopenia (Dell’Acqua et al., 2010). Ovviamente assumere una terapia farmacologica per un lungo periodo, se non a vita, richiede uno sforzo e un’aderenza al trattamento non indifferente, quindi l’informazione e l’educazione sono la base di un inizio terapeutico, in quanto se i farmaci non vengono assumenti regolarmente o si tende a cambiarli spesso, l’effetto che si ottiene molto probabilmente non sarà quello desiderato ma anzi si potrebbe andare in contro a peggioramento dei sintomi. È noto come in situazione di crisi sia difficile far assumere un farmaco alla persona in questione, quindi l’educazione è di vitale importanza sia alla persona che ai familiari quando la situazione è meno critica ed è necessario ripetere sempre che bisogna dotarsi di calma e pazienza allo scopo di persuadere (Dell’Acqua et al., 2010). La sospensione spontanea dei farmaci purtroppo non è così rara, si notano casi in cui l’individuo sospende i farmaci per conto suo in quanto dichiara che sta meglio e che la terapia lo rende troppo assonato, questo è un grande problema perché l’interruzione improvvisa spesso porta alla ricomparsa dei sintomi e allo sviluppo di un episodio acuto, la sonnolenza è nota e anche per questo i dosaggi vanno sempre controllati, anche perché ogni individuo reagisce in modo differente e ha un corpo diverso, quindi anche la reazione ai farmaci è individuale, non c’è uno standard preciso(Dell’Acqua et al., 2010).

Prognosi

Quando si parla di psicosi e schizofrenia la maggior parte della gente pensa che siano delle condizioni irreversibili, ma non è affatto così in quanto quasi l’80% dei casi di disturbo schizofrenico vanno incontro ad un esito abbastanza favorevole, più precisamente il 30% circa arriva ad una condizione chiamata guarigione clinica, ovvero ritrova e mantiene una situazione di benessere in assenza o un’attenuazione dei sintomi e con un recupero del ruolo sia sociale che familiare, mentre il restante 50% invece giunge ad una guarigione sociale dove alcuni sintomi permangono e vi è ancora la necessità di un sostegno terapeutico e farmacologico ma vi è anche un riadattamento alla vita a livello sociale (Dell’Acqua et al., 2010). Il rimanente 20% invece non va incontro ad una guarigione vera e propria, ma ad una resistenza al trattamento ovvero gli approcci terapeutici utilizzati con la persona si sono dimostrati inadeguati o il contesto non era quello adatto (Dell’Acqua et al., 2010). Non bisogna dare per scontato che la persona sia persa per sempre, ma bisogna provare nuovi strumenti e strategie affinché si superino i limiti del trattamento precedente, ed è fondamentale il contesto sociale, esso deve essere rispettoso della dignità della persona e della famiglia, quindi sarebbe opportuno mantenere l’individuo il meno tempo possibile nel contesto ospedaliero, trovare una terapia farmacologica adeguata,

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18 un percorso riabilitativo e lavorativo adeguato e un sostegno alla famiglia affinché questi elementi combacino, tutto ciò potrebbe portare ad una ripresa non indifferente (Dell’Acqua et al., 2010).

RUOLO DELL’INFERMIERE PSICHIATRICO; ASSISTENZA

Prima di tutto è importante sottolineare che la cura non farmacologica da sola non basta, deve essere associata ad una farmacoterapia per raggiungere l’efficacia massima, difatti viene anche definita terapia a rete, in quanto le cure di tipo farmacologico, psicoterapeutico e riabilitativo dovrebbero essere combinate per fare in modo di ottenere una cura equilibrata e duratura mantenendo il paziente al centro della rete poiché non tutti i sintomi rispondono in modo uguale (Piccione & Di Cesare, 2018). Il mio tema però è incentrato sulla relazione con lo sguardo infermieristico. Il concetto di crisi viene definito come cambiamento del comportamento con una rottura d’equilibrio, non è centrato sulla gravità o pericolosità, quindi è un momento temporaneo acuto con un esordio più o meno improvviso con una fase prodromica, acuta e una successiva risoluzione (Ciambrello, Cantelmi, & Pasini, 2005). A seconda dell’andamento della crisi, si parla poi di urgenza psichiatrica (ad esempio un’insorgente ideazione suicidaria in fase acuta è un’urgenza) e questo termine va differenziato dalla definizione di cronicità in quanto l’approccio e l’intervento sono diversi, nel caso di fase cronica è fondamentale la profonda conoscenza della storia clinica del paziente, la rete familiare e sociale (Ciambrello et al., 2005). Durante una crisi, le tappe fondamentali da svolgere sono essenzialmente tre; bisogna pianificare l’intervento creando una lista mentale di priorità quindi individuare o meno se si tratti di un’urgenza psichiatrica, poi bisogna valutare la condizione clinica del paziente individuando le aree di rottura dell’equilibrio e agire su esse ed infine bisogna captare i bisogni dell’individuo per tentare di soddisfarli in modo da diminuire il disagio (Ciambrello et al., 2005). Durante la gestione della crisi ci sono dei comportamenti da adottare che sono molto importanti per la buona riuscita di un esito positivo; bisogna placare l’ansia ed essere in grado di individuare i rischi che si assumono, rimanere calmi e usare toni di voce normali e non scontrarsi con il paziente per evitare ulteriori alterazioni, essere in grado di valutare eventuali diagnosi differenziali come disturbi organici e favorire il coping, tutto questo deve essere fatto con degli obiettivi (Ciambrello et al., 2005). Il paziente schizofrenico spesso ha dei bisogni difficili da comprendere durante un delirio o un’allucinazione, l’infermiere deve quindi sviluppare una capacità di rilevazione di questi bisogni specifici, il riconoscimento dei bisogni del paziente sta alla base della formazione degli obiettivi e di un futuro programma assistenziale (Tacchini, Invernizzi, & Zapparoli, 1998).

Le funzioni dell’infermiere in psichiatria

Per creare un rapporto solido di fiducia e di un coping terapeutico, la figura professionale deve essere ben formata per far fronte a situazioni riguardanti un delirio, difatti l’infermiere in salute mentale ha di base 9 ruoli prettamente relazionali e di ricerca; funzione di osservazione, oggetto meno qualificato, intermediario, veicolo del trattamento, funzione dell’oggetto inanimato, l’io ausiliario e contenitore emotivo, funzione terapeutica riabilitativa, ruolo di insegnante e funzione di ricerca (Tacchini et al., 1998).

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La funzione di osservazione

Con ciò si intende che il curante deve osservare il paziente da più punti di vista, si osserva per raccogliere i dati, la situazione clinica, si osserva anche il contesto familiare e sociale attorno ed è per questo che le visite domiciliari sono molto esaustive perché mostrano un quadro emotivo e relazionale più completo, la cura del sé, i bisogni, la sua storia e tutto questo per poter avere chiara la situazione attuale e pregressa e capire come agire(Tacchini et al., 1998).

L’oggetto meno qualificato

Una persona con la qualifica di curante viene percepita dal paziente come sì figura professionale ma con dei compiti che non richiedono studi complessi o specializzazioni, ad esempio spesso in psichiatria si vedono infermieri specializzati, che effettivamente sono molto qualificati, restare anche più ore con un paziente in silenzio ascoltandolo e dal punto di vista della persona in cura è un atto professionale semplice e di rassicurazione ma in realtà per svolgere questo compito in maniera ottimale serve molta competenza per assumere il giusto comportamento e le giuste parole e una buona osservazione prima (Tacchini et al., 1998).

Il ruolo da intermediario

L’infermiere funge da ponte tra la realtà del paziente e quella esterna, in quanto quest’ultimo ha la necessità di avere uno o più mediatori esterni a più livelli come ad esempio con gli altri medici, con la famiglia, con l’ambiente esterno e a volte anche con la rete sociale (Tacchini et al., 1998).

Il veicolo del trattamento

È quel ruolo dove l’infermiere funge da guida verso i trattamenti educazionali, farmacologici, ecc. osservando i bisogni e le capacità in quel momento dell’assistito per capire cosa è in grado di affrontare (Tacchini et al., 1998).

La funzione di oggetto inanimato

Questa funzione viene definita dal paziente stesso in base ai suoi bisogni al momento, quando il curante mette in atto l’ascolto attivo rimanendo in silenzio e dando lo spazio necessario all’altro, sta assumendo il ruolo di oggetto inanimato in quanto non interagisce attivamente dando pareri o facendo azioni, quando invece c’è uno scambio di parole, idee, un’interazione attiva e dei confronti l’infermiere avrà il ruolo di oggetto animato; questo viene appunto dettato dal paziente in base alle richieste; se ha bisogno di essere stimolato e aiutato allora renderà l’infermiere un oggetto animato, mentre se ci sono troppi stimoli che provocano in lui paura, angoscia, preoccupazioni sentirà il bisogno di rendere il personale inanimato e questo viene anche definito anche come ambivalenza ovvero che il paziente si rivolge al personale prima per lodarlo e chiederne la presenza e poco dopo manda via il curante (Tacchini et al., 1998).

L’io ausiliario

Questo ruolo invece è il carico che l’infermiere assume quando la sintomatologia della persona schizofrenica è in regressione o in fase catatonica quindi incapace momentaneamente di svolgere specifiche funzioni anche elementari come cucinare, lavarsi, la cura dell’abitazione e il curante ha il compito di sostituirsi momentaneamente all’Io del paziente per svolgere insieme i bisogni primari quindi lo laverà, lo nutrirà, lo dovrà proteggere e farlo sentire al sicuro, vestirlo,… deve accudirlo in quanto la

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20 persona in quel momento è totalmente indifesa da una realtà che percepisce pericolosa e minacciosa, tutto questo aiuterà l’individuo a riappropriarsi del proprio corpo e con l’esterno per quanto sia possibile (Tacchini et al., 1998). L’io ausiliario comprende quindi il maternage ma anche il ruolo di contenimento, soprattutto emotivo dove la figura professionale aiuterà la persona a ritrovare in equilibrio emotivo che in quel momento non è in grado di organizzare e filtrare in autonomia (Tacchini et al., 1998). L’accoglienza verso la persona malata da parte del personale curante è fondamentale, è necessario che l’assistito si trovi a proprio agio nei contesti di cura e che si senta al sicuro e per fare questo l’infermiere deve garantire la privacy usando i luoghi più idonei per i colloqui, deve sapere dare il giusto spazio e il giusto ascolto senza invadere la sfera intima e personale dando sempre risposte adeguate nel limite del possibile, inoltre deve anche orientare il paziente nel caso venisse ammesso in una struttura di cura mostrando la propria camera e letto, gli spazi principali, le attività e le altre persone in modo da farlo sentire meno a disagio (Tacchini et al., 1998).

La funzione psicoterapeutica e riabilitativa

I familiari spesso vengono visti in secondo piano ma in realtà è molto importante coinvolgerli e indirizzarli nei contesti giusti nei casi di bisogno; bisogna saper anche ammettere che non sempre si ha subito la risposta pronta e giusta e risulta più efficace dire così che dare una risposta vaga o affrettata. I familiari vanno accompagnati durante il ricovero e la riabilitazione del proprio caro stabilendo una collaborazione emotiva e di fiducia, inoltre il familiare va educato su quali comportamenti adottare e quali no, l’infermiere ha il compito di educare sia i familiari che il paziente (Tacchini et al., 1998). Il curante informa e forma l’individuo ad affrontare i momenti emotivamente difficili e apparentemente privi di speranza aiutandolo a rielaborare le cose belle del passato e a pensare con uno sguardo più positivo verso il futuro affinché egli possa sentirsi meno solo nei momenti di solitudine o di sconforto (Tacchini et al., 1998). È molto importante riuscire a far sviluppare le potenzialità residue, solitamente si usa la tecnica del problem solving che consiste nell’individuare insieme al paziente i piccoli problemi della vita quotidiana e trovare insieme le soluzioni, ciò aiuta non solo ad alleggerire il carico emotivo, ma anche a sviluppare il pensiero di riuscire a risolvere questioni più complesse nel futuro e ad aumentare le potenzialità residue, oltre a tutto questo è indispensabile coinvolgere una o più figure vicine al paziente per aiutarlo nei momenti più critici e per sostenerlo aumentando la propria autostima e fiducia verso di sé (Tacchini et al., 1998).

Il ruolo di insegnante

Questa funzione non è incentrata solamente per i pazienti ma anche per le figure professionali stesse, insegnando loro i vari metodi tratti dall’esperienza e tramite riunioni ed incontri tra équipe affinché si possa insegnare la teoria per poi passare alla pratica tramite accurati casi clinici. Difatti questa funzione assume il nome di funzione didattica e di ricerca; l’insegnamento didattico si basa principalmente su tre fattori; il primo è saper costruire un’alleanza di apprendimento tra gli operatori per accumunare i problemi relativi alla cura, il secondo è l’importanza di sensibilizzare ad individuare e a riconoscere le emozioni che la persona bisognosa fa emergere per poterle utilizzare nel miglior modo possibile e il terzo fattore è la capacità di tramutare la teoria in pratica con casi clinici e discuterne (Tacchini et al., 1998).

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La funzione di ricerca

Oltre alla funzione didattica, c’è anche quella di ricerca dove l’infermiere si impegna nei disegni e progetti di ricerca per incrementare i saperi e le tecniche acquisite in precedenza (Tacchini et al., 1998).

Le diagnosi infermieristiche

Ci sono diverse diagnosi infermieristiche e modelli di risposta umana che aiutano il curante per l’accertamento infermieristico. Mi sono basata principalmente sui modelli elencati dagli autori Krupnick e Wade, in seguito ho aggiunto delle diagnosi usando il metodo NANDA. È di vitale importanza riconoscere i modelli alterati ed intervenire affinché sia di aiuto al paziente in fase delirante e acuta; ad esempio ci potrebbero essere delle alterazioni nel modello nutrizionale dove si potrebbe osservare un calo ponderale dell’individuo per la paura che il cibo sia avvelenato, nel modello di percezione la persona spesso non riconosce di essere malata e quindi ci sarà negazione (Krupnick & Wade, 1996). In quello di attività fisica l’isolamento sociale gioca un ruolo negativo, mentre il sonno sarà disturbato portando a conseguenze e a peggiorare la malattia, il modello di percezione solitamente è quello più alterato in quanto frequentemente presenta alterazioni come la convinzione di essere il bersaglio di un complotto, mancanza di comprensione, incapacità di riconoscere le percezioni errate (Krupnick & Wade, 1996). Inoltre, anche la percezione del sé subisce cambiamenti come scarsa autostima e produce una sensazione di essere perseguitati che influisce anche sulla gestione dello stress in modo negativo aumentando il comportamento paranoide (Krupnick & Wade, 1996). Quindi si agisce stimolando il paziente ad esprimere le proprie emozioni ma senza aspettarsi subito una fiducia, attuare dei programmi fattibili, semplici e ripetuti per il paziente in modo da fargli capire che il curante è una figura solida e stabile di cui ci si può fidare (Krupnick & Wade, 1996). Una cosa che è molto importante capire è stimolare il paziente a parlare dei propri deliri ma senza assolutamente scontrarsi con essi perché altrimenti il curante verrà visto come un male da evitare, su questo argomento è necessario che anche i familiari vengano istruiti sui comportamenti da adottare, ossia non assumere un atteggiamento di scontro ma di fornire delle domande di approfondimento per avere un quadro più completo del delirio (Krupnick & Wade, 1996). Va ricordato che paziente ha la costante sensazione di frammentazione, l’angoscia della disgregazione lo perseguita rendendolo ancora più angosciato e accentua i deliri, quindi è anche per questo che la fiducia è la base per costruire un rapporto di compliance e sicurezza, per arrivare allo scopo finale dell’alleanza terapeutica dove l’individuo collaborerà per mantenere una continuità terapeutica per il proprio benessere (Ciambrello et al., 2005). Il compito del curante, uno dei tanti, è di fare in modo di mantenere l’identità del paziente salda e compatta così da permettergli di esistere come persona, perciò il professionista sarà un punto di riferimento per la garanzia di essere un solo ed unico individuo e non una fusione con gli altri disintegrata nel mondo (Ciambrello et al., 2005). Il fattore tempo gioca un ruolo fondamentale, per questo bisogna avere molta pazienza a rispettare i tempi della persona schizofrenica affinché si fidi della figura professionale permettendogli, una volta stabilito un rapporto solido, di sostituirsi ad esso per i bisogni che non riescono a venir soddisfatti in maniera autonoma, con ovviamente sempre un occhio di riguardo a mantenere la sua autonomia dandogli la propria responsabilità delle cose che ancora riesce a fare e valorizzando le sue capacità (Ciambrello et al., 2005). L’infermiere a sua volta assumerà il ruolo di insegnante, di consigliere, accoglierà l’angoscia e quindi avrà un ruolo di contenitore emotivo, di sostituto e di consulente, sia per il paziente che per la famiglia. Come detto

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