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Progetto di celle analogiche in tecnologia BCD6s per il pilotaggio e la lettura di flussimetri integrati

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Academic year: 2021

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(1)

produrre sia i sensori, che l’interfaccia di controllo e lettura del segnale, ha permesso l’integrazione in un unico die di silicio di entrambi i blocchi con conseguente abbattimento dei costi, derivante da una produzione a lotti, e un’ingombro ridotto a vantaggio di applicazioni dove lo spazio per l’allocamento del chip è ridotto. Questa tesi si inserisce in un lavoro di sviluppo di un interfaccia di lettura e pilotaggio di un sensore di flusso integrato. Vengono presentati i seguenti capitoli:

Capitolo1 : Viene fatta un introduzione alla Fluido-dinamica, passando poi alla descrizione dei sensori di portata presentando sia quelli macro-scopici, che quelli microscopici.

Vengono descritti, per entrambe le categorie, alcune implementazioni per le quali sono descritti funzionamento e limiti di applicabilità.

Nella parte finale è introdotto il sensore di riferimento: la struttura, il funzionamento, le caratteristiche elettriche e le problematiche legate alla dipendenza della sensibilità dalla pressione.

Capitolo2 : È introdotto lo schema di principio dell’interfaccia. Vie-ne approfondito il problema della dipendenza della sensibilità, partendo

(2)

Dapprima viene descritto lo schema a blocchi funzionali, e fatta un ana-lisi dei disturbi che permette un dimensionamento dei parametri specifici di tali blocchi. Sono, in seguito, descritti l’offset ed il rumore presenti nei dispositivi CMOS, e le tecniche usate per la reiezione di tali disturbi.

Viene presentata l’architettura della catena di lettura a modo comune, parte dell’interfaccia adibita alla compensazione degli effetti della pres-sione sulla sensibilità, e gli schemi circuitali dell’amplificatore da stru-mentazione, dell’amplificatore operazionale usati per implementare i bloc-chi funzionali precedentemente descritti, e implementare la tecnica CDS, scelta per la reiezione dell’offset e del rumore.

Capitolo 3 : È descritta la parte dell’interfaccia interessata alla lettu-ra del segnale utile chiamata catena di lettulettu-ra a modo differenziale. La tecnica scelta per la reiezione di offset (CHS) viene implementata da un sistema composto da un’amplificatore fully-differential modificato, un mo-dulatore di ingresso, un demomo-dulatore di uscita e un filtro Low-Pass come stadio finale. È descritta, in dettaglio, la topologia dell’amplificatore e del circuito di controllo del modo comune (CMFB). Infine, sono presenta-te le simulazioni effettuapresenta-te su due soluzioni riguardanti il CMFB, al fine di presentare i vantaggi ottenuti con le modifiche fatte ad un progetto precedente.

Capitolo 4 : Sono presentate le tecniche di disegno del layout con mag-gior attenzione per le problematiche e le soluzioni legate alla realizzazione di layout di celle analogiche.

L’applicazioni di tali tecniche viene descritta presentando il layout di tre celle analogiche utilizzate per implementare alcuni dei blocchi funzio-nali dell’interfaccia al sensore.

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mentazione di algoritmi che regolino le variazioni di grandezze fisiche i cui valori assumono importanza rilevante in un determinato sistema. Que-sto tipo di controllo viene eseguito, in molti casi, in tempo reale e senza alcun intervento umano; viene cosí ad essere necessaria un’interfaccia fra la grandezza fisica di ingresso e l’elettronica di controllo (solitamente implementata con un microcontrollore).

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Questo dispositivo é solitamente composto da due stadi:

• un sensore

• un interfaccia per la lettura del segnale.

Il primo converte la grandezza fisica che vogliamo controllare in un segnale elettrico (la variazione di tale grandezza viene convertita in variazione di corrente o tensione) mentre il secondo stadio amplifica e filtra il segnale migliorandone cosí il rapporto segnale-rumore.

Nell’ambito della nostro lavoro di tesi ci siamo occupati della progetta-zione e disegno del layout di un interfaccia per un sensore di portata. Nel prossimo paragrafo descriveremo la tipologia del misurando (il fluido), in-troducendo nozioni derivanti dalla fluidodinamica, per poi proseguire con la descrizione dei sensori di portata prima in generale e poi concentrandoci sul dispositivo a nostra disposizione.

2.2

Introduzione alla Fluido-dinamica

2.2.1

Definizione di fluido

La fluidodinamica è quella branca della meccanica del continuo che stu-dia la dinamica dei fluidi. La definizione di fluido è molto complessa e riguarda maggiormente la sua risposta ad azioni esterne piuttosto che la sua natura fenomenologica. Per darne una definizione coerente partiamo da una descrizione approssimativa della struttura della materia nelle sue forme di gas, liquido e solido.

Nei solidi atomi o molecole vibrano attorno a posizioni medie fisse nello spazio, mentre nei gas non hanno posizioni fisse e il loro movimento è costituito da repentini cambi di direzione dovuti agli urti con le altre molecole o con le pareti del contenitore. Definiamo λ la distanza percorsa da una particella fra un urto e il successivo1 e d la distanza di equilibrio fra le forze attrattive e repulsive esercitate da una molecola sulle altre.

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per modificare il suo volume sono necessarie variazioni pressione molto elevate.

Quindi i gas e i liquidi sono accumunati dalla proprietà di cambiare forma se sottoposti ad azioni di taglio esterne. Si definisce, pertanto,

fluido un materiale in grado di deformarsi indefinitivamente se sottoposto

a sforzi tangenziali esterni.

2.2.2

Concetto di continuo

La definizione di flusso si basa sulla reazione mascroscopica del materia-le a grandezze esterne, perciò è necessario valutare quantità su scamateria-le di ordini di grandezza maggiori di quelli relativi al mondo atomico. Se pren-diamo una quantità q e anpren-diamo a valutare la sua dipendenza dal volume otterremo un andamento come quello di figura 2.2.

Figura 2.2: Variazioni del valore misurato di una grandezza q in funzione del volume di misura

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Nella regione I la forte dipendenza di q dal volume è dovuta al ridotto numero di molecole contenute in piccoli volumi, variando di poco il volume il numero di molecole aumenta sensibilmente e la grandezza q ne risente. Quando il volume arriva in un certo intervallo di valori il numero N di molecole contenute è talmente grande che ogni sua variazione dovuta all’aumento di volume è trascurabile:

∆N + N ≈ N.

Questa situazione è relativa alla regione II dove ,si può notare, il valore di q rimane costante col volume. Nella regione III le dimensioni in gioco sono quelle relative al mondo macroscopico e la quantità, che è funzione del punto, dipende nuovamente dallo spazio.

Dato un volume di misura si potrà parlare di continuo se e solo se il numero di particelle contenuto sarà tale da garantire misure medie delle quantità in gioco indipendenti dal numero di particelle stesso.

Una mole di gas in condizioni normali2 occupa approssimativamente un volume di 22, 4l , all’interno del quale sono contenuti un numero di molecole pari al numero di Avogadro NA ≈ 6.022 · 1023. In un dm3

sa-rano contenuti, quindi, all’incirca 2, 5 · 1022 molecole, in un mm3 2, 5 · 1016 mentre in un µm3 2, 5 · 1010. Questo esempio numerico a prima vista garan-tisce l’ipotesi di continuo per molte applicazioni che possono, sotto queste condizioni, essere studiate con le leggi della fluidodinamica, ma l’ipote-si iniziale prevedeva una certa presl’ipote-sione ed una certa temperatura: se ci troviamo in condizioni di pressione P = 10−5atm e temperaturaT = 0◦C un mm3 contiene 4, 06 · 106 molecole mettendo in dubbio l’ipotesi di continuo

per volumi inferiori.

Per i gas esiste un parametro che ne misura l’indice di rarefazione e permette di stabilire se ci sono le condizioni per la validità dell’ipotesi di continuo. Questo parametro è il numero di Knudsen Kn definito secondo la seguente legge:

K n = λ L 2pressione P = 1atm e temperatura T = 15C

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fluidodinamica.

2.2.3

Teorema del trasporto

Quando un fluido si muove all’interno di un tubo cilindrico forma con esso un sistema che viene definito Tubo di Flusso caratterizzato dalla superficie laterale (Slat in fig2.3) tangente alla velocità del fluido. Nella

trattazio-ne a seguire considereremo ogni grandezza fisica costante trattazio-nella seziotrattazio-ne. Detta ψ una grandezza intensiva del fluido che ha densità ρ, la gran-dezza estensiva ad essa coniugata Ψ può essere ricavata dalla relazione seguente:

Ψ = Z

V

ρ ψ dV

, nel caso in cui Ψ è la massa abbiamo che ψ = 1. Riferendoci al tubo

Figura 2.3: schema di principio di un tubo di flusso

di flusso di fig.2.3 enunciamo la relazione del Teorema del trasporto di Reynolds che permette di calcolare la derivata totale di una grandezza

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estensiva a partire dalla sua coniugata intensiva. dt = ∂t Z V ψ ρ dV + Z S ψ ¯w · ¯n ρ dS (2.1)

dove ¯w è il vettore velocità del fluido e ¯n è la normale all’elemento

infini-tesimo di superficie dS.

Applicando la relazione alla massa M ,supposta costante, contenuta in un tubo di flusso attraversato da un fluido otteniamo:

dM dt = 0 → ∂t Z V ρ dV + Z S ¯ w · ¯n ρ dS = 0

Il secondo integrale si semplifica se ci rifacciamo alla definizione di tubo di flusso. La superficie totale, infatti, è costitita dalla superficie laterale più le aree delle sezioni di ingresso e uscita. Il secondo termine diventa quindi: Z S1 ¯ w · ¯n ρ dS + Z S2 ¯ w · ¯n ρ dS + Z SLAT ¯ w · ¯n ρ dS.

I’integrale effettuato sulla superficie laterale si annulla in quanto le velo-cità hanno direzioni tangenti alla superficie stessa, quindi ¯w · ¯n = 0. Le

velocità e le densità dei massa sono costanti su tutta sezione di ingresso e di uscita perciò otteniamo

Z S1 ¯ w · ¯n ρ dS + Z S2 ¯ w · ¯n ρ dS = w2ρ2S2− w1ρ1S1 w2ρ2S2− w1ρ1S1= ∂t Z V ρ dV

Definiamo a questo punto la Portata in massa come il prodotto fra la velocità del fluido, la sua densità e l’area della sezione che attraversa.

˙

m = w · ρ · S (2.2)

Sostituendo nella relazione precedente otteniamo che in un tubo di flusso la differenza fra la portata di ingresso e quella di uscita coincide con la

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2.2.4

Bilancio delle forze

Un altra applicazione del teorema di Reynolds permette di ricavare l’e-quazione di bilancio delle energie e l’el’e-quazione di Bernoulli. L’energia è una gradezza estensiva , di conseguenza la sua derivata totale rispetto al tempo può essere calcolata con l’equazione 2.1. Detta ec l’energia cinetica

per unità di massa, e Ec la grandezza estensiva coniugata abbiamo:

Ψ = EC = 1 2 Z V ecρ dV |ec

Per il teorema delle forze vive la variazione di energia cinetica in un si-stema è dato dal lavoro di tutte le forze agenti sul sisi-stema. La stessa relazione la otteniamo fra le potenze agenti sul sistema e la variazione di energia cinetica nel tempo. Il lavoro istantaneo totale delle forze è dato da vari contributi :

• forze dissipative esterne: forze di pressione se agenti

perpendicolar-mente alle superfici e forze di attrito se invece agiscono tangenzial-mente

• forze conservative esterne dovute all’azione del campo gravitazionale • forze dissipative interne dovute ad attriti e pressioni operanti

all’in-terno del fluido

• forze che non agiscono sul contorno ma scambiano energia con

l’in-terno del sistema, ad esempio eliche che alterano il flusso del fluido, chiamate forze mobili

(10)

Senza addentrarci nei calcoli riportiamo l’equazione finale di bilancio delle potenze: P0+ m˙ w2 2−w11 2 + g(z2− z1)  = − ˙mR12v dp −PAT T (A) (B) (C ) (D)

In questa relazione riconosciamo il lavoro che il fluido compie sulle pareti mobili per unità di tempo (A), l’energia cinetica e potenziale del fluido con portata in massa ˙m (B), il lavoro fatto dalle forze interne di pressione per

unità di tempo (C) e il lavoro delle forze di attrito interne e esterne (D). Dividendo per la portata in massa otteniamo il bilancio dei lavori delle forze per unitá di massa :

l0+ w 2 2 − w 2 1 2 + g(z2− z1)  = − Z 2 1 v dp − lAT T

che in forma differenziale rappresenta la versione generalizzata del

teo-rema di Bernoulli :

δl0− dw

2 

+ gdz = −vdp − δlAT T (2.3)

2.2.5

Meccanismi di trasferimento del calore

Lo scambio di calore fra due corpi a diversa temperatura può avvenire attraverso tre diversi meccanismi:irraggiamento,conduzione e convezione

Irraggiamento L’irraggiamento è quel meccanismo che permette lo scam-bio di calore fra due corpi posti ad una certa distanza fra di loro. La radiazione termica , il cui comportamento viene associato a quella elet-tromagnetica, viene emessa da un corpo per effetto della sua temperatura. Perciò due corpi posti ad una distanza opportuna (tale da non estinguere la radiazione) irradiano energia l’uno verso l’altro e il calore scambiato netto sarà positivo per il corpo più freddo( che quindi ha irradiato meno energia) e negativo per quello più caldo.

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dell’oscillazione elastica del reticolo cristallino.

Convezione La convezione è un meccanismo più complesso dei prece-denti in quanto comprende sia i meccanismi tipici della conduzione sia il trasporto macroscopico di massa. Data una superficie S e un fluido che scorre sopra essa la quantità di calore scambiata per unità di tempo e di superficie è data dalla relazione

q = h(T (¯x) − Tf) (2.4)

dove T (¯x) è la distribuzione di temperatura nello spazio, Tf la temperatura

del fluido e h il il coefficiente di trasmissione del calore per convezione. La convezione può essere di due tipi, libera o naturale e forzata. Nel primo caso il moto macroscopico del fluido è indotto dai campi dei temperatura presenti all’interno del fluido stesso, mentre nel secondo caso la causa del flusso è esterna al sistema stesso.

Nell’introdurre i fenomeni che intervengono nella convezione forzata supponiamo che la velocità abbia componenti solo lungo la direzione di scorrimento del fluido, promuovendo così un approccio monodimensionale. Dato un gradiente di velocità lungo la sezione trasversale al moto del fludo ( fig. 2.4 ), a causa di fenomeni di attrito fra molecole adiacenti, si ha che ogni strato di fluido più lento tende a rallentare lo strato di fluido più veloce applicando su di esso una forza superficiale o sforzo di

taglio. Lo stesso sforzo viene applicato dallo strato più veloce che tende

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Figura 2.4: Profilo di velocità all’interno di un fluido e sforzi generati

velocità allo sforzo di taglio è la seguente:

τ = −µ∂u

∂y (2.5)

dove con τ si è indicato lo sforzo di taglio, u la componente monodi-mensionale della velocità e con µ il coefficiente di viscosità cinematica. Quest’ultimo parametro è tipico del fluido e ,come si nota dalla realzione di cui sopra, determina l’entità degli sforzi in presenza di gradiente di ve-locità. Nei fluidi perfetti la viscosità è nulla, quindi sono assenti fenomeni di attrito al contrario di quanto avviene nei fluidi viscosi. In base all’entita del coefficiente di viscosità si classificano i fluidi in :

Ci sono forti gradienti dove la velocità passa da un valore nullo ad un valore diverso da zero. Questa situazione si presenta all’interfaccia fra un fluido e la superficie su cui scorre.

Vicino alla superficie, per fenomeni d’attrito, la velocità è nulla mentre poco distante il suo valore è diverso da zero. In questa zona ci sarà un forte gradiente di velocià mentre lontano dalla superficie la velocità tende a stabilizzarsi. Si definisce, quindi, strato limite superficiale la distanza dalla superficie in corrispondenza della quale la velocità del fluido è pari al 99% della velocità del fluido lontana dalla superficie( indicata con u∞). La

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zio illimitato all’esterno di un corpo. Come si nota dalla fig.2.5 lo strato limite di un fluido che incontra un corpo è nullo sul bordo e tende a crescere con x, mentre il gradiente di velocità lungo una generica sezione aumen-ta con l’aumenaumen-tare della disaumen-tanza di quesaumen-ta dal punto d’imbocco(x = 0). La viscosità infatti tende a variare la velocità di ogni strato a partire da quello adiacente alla superficie del corpo e ad una certa distanza possia-mo trovare una distribuzione di velocità lungo y come quella possia-mostrata in fig.2.5. In questa zona il moto è stazionario (∂u∂t = 0) e viene definito moto

laminare. Da un certo punto della superficie del corpo in poi il moto cessa

Figura 2.5: andamento dello strato limite di un fluido che scorre su una superficie

di essere stazionario e diventa turbolento, la velocità non è più costante nel tempo ma comincia a fluttuare attorno ad un valor medio. Per definire lo strato limite, in questi casi, si cerca la distanza della superficie dove la velocità media del fluido è in modulo il %99 della velocità del fluido lontano dalla superficie (u∞).

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Figura 2.6: Sviluppo dello strato limite in un flusso interno

flussi interni Quando un fluido entra in un condotto la situazione è differente. Man mano che scendiamo nel condotto abbiamo lo sviluppo dello strato limite tutto intorno alla superficie interna del condotto(fig.2.6), di conseguenza ci saranno zone dove il gradiente di velocità è nullo e altre dove è presente. Se il fluido entra con velocità u = u∞ costante su tutta

la sezione di ingresso la portata in massa sarà ˙

m = ρ · A · u∞

Dal teorema del trasporto applicato al condotto, ricaviamo che la portata in massa deve essere costante per ogni sezione , quindi

Z A ρ u dA = ρ · A · u∞→ Z A u dA = A · u∞

quindi, essendo il profilo delle velocità nullo sulla superfcie, avremo che la velocità nella zona centrale sarà maggiore di quella del fluido all’ingresso del condotto. Si possono verificare due eventi:

• u∞ è abbastanza piccolo e gli strati limite invadono tutto il condotto.

Si ha così il moto completamente sviluppato caratterizzato da un profilo di velocità, lungo ogni sezione, parabolico.

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da informazioni sul tipo di moto del fluido è il numero di Reynolds:

Re = ρu∞D

µ (2.6)

Figura 2.7: tipologia di moto in un condotto in relazione al valore del numero di Reynolds

Strato limite termico Quando un fluido si muove su una superficie di un solido a differente temperatura si ha uno strato limite di temperatura per un fenomeno del tutto simile a quello che si verifica per la velocità. Supponiamo che un fluido a temperatura uniforme T∞scorra su una piastra

piana isoterma la cui temperatura viene indicata con TS. Le particelle

nello strato adiacente alla piastra raggiungeranno l’equilibrio termico con la piastra portandosi a temperatura TS e scambieranno energia termica

con le particelle dello strato fluido contiguo e così via per gli altri strati. Si svilupperà, nel fluido in moto, un profilo di temperatura variabile da

TS a T∞ . Lo spessore dello strato limite δt in una certa posizione lungo

la superfici è defnito come la distanza dalla superficie in corrispondenza della quale si ha:

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Supponiamo ora di entrare con un fluido a temperatura più bassa del-le pareti del condotto. Il profilo di temperatura sarà costante, all’inizio, mentre poi ci sarà lo strato limite termico che invaderà tutto il condotto come nel caso della velocità. Dopo il punto di ingresso il profilo di

tem-Figura 2.8: Sviluppo dello strato limite termico e andamento del profilo di temperatura di un fluido che scorre in un condotto

peratura varia in quanto gli strati di fluido vicino alle pareti tenderanno a riscaldarsi. Man mano che il fluido scorre aumentano gli strati di fluido in equilibrio termico con le pareti del condotto e dopo una certa distanza il profilo di temperatura sarà piatto con temperatura pari a TS (fig. 2.8). Lo

strato limite termico e quello fluidodinamico sono legati fra loro tramite il

numero di Prandtl che è definito dalla relazione seguente:

Pr = ν α (2.7) δt = δf Pr13 (2.8) dove si è indicato con α la diffusività termica, e con ν la diffusività della quantità di moto. Dalle relazioni sopracitate di nota come a parità di strato limite fluidodinamico, lo scambio di calore è favorito per quelle sostanze che hanno un basso numero di Prandtl come succede per i gas (Pr < 1) nei confronti dei liquidi (Pr > 1).

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flussi di combustibile in motori per autoveicoli o veicoli aereospaziali. Nei prossimi paragrafi descriveremo la struttura e il principio di fun-zionamento di sensori adatti ad applicazioni di tipo mascroscopico sia per l’entità dei flussi misurati sia per l’ingombro che non permette il loro utilizzo quando sono richieste dimensioni minime.

2.3.1

Tecnica del gradiente di pressione

La tecnica del gradiente di pressione parte dai risultati degli studi di flui-dodinamica effettuati da Bernoulli e sintetizzati nella omonima equazione3.

p + ρ(1

2va

2

+ gy) = const (2.9)

dove p è la pressione in un tubo di flusso, g = 9.80665m2/s é la costante

di gravitá, e y è l’altezza dello spostamento del fluido. Se applichiamo la relazione a due punti diversi del condotto attraverso il quale scorre il fluido otteniamo: p1+ ρ( 1 2v1a 2+ gy 1) = p2+ ρ( 1 2v2a 2+ gy 2)

in caso di scorrimento orizzontale (y1= y2), si ottiene

∆p = ρ 2(v2a

2

− v1a2 ).

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Quindi misurando la differenza di pressione otteniamo informazioni sulla differenza di velocitá del fluido. Per ottenere un gradiente di pressione dobbiamo introdurre degli impedimenti al flusso del fluido. A seconda del

Figura 2.9: Tubo venturi che sfrutta la tecnica del gradiante di pressione tipo di impedimento usato abbiamo una diversa relazione fra la velocitá di ingresso e quella di uscita (A1 e A2 in fig.2.9). Per questioni di generalitá

chiameremo R il rapporto fra le due velocitá , cosí facendo si ottiene: ∆p = ρ 2(v2a 2− v2 1a) = k ρ 2v2a 2(1 − R2) (2.10)

dove k é il coefficiente correttivo rischiesto in quanto la pressione p2

rea-le é rea-leggermente inferiore di quella calcolata. Dalla equazione 2.10, la velocità media puó essere calcolata come:

v2a= 1 pk(1 − R2) s 2 ρ∆p (2.11)

Per determinare la portata del fluido la 2.11 si semplifica in ˙

m = ξA2

p

∆p (2.12)

dove ξ é il coefficiente correttivo che viene determinato attraverso la ca-librazione. La calibrazione deve essere eseguita con uno specifico gas o liquido su l’intero range di temperature alla quale il sensore si troverá a lavorare. I vantaggi di questa tecnica sono l’assenza di parti in movi-mento e l’uso di un sensore di pressione differenziale ( o di due assoluti

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impiegano onde sonore ad alta frequenza (detti ultrasuoni ). Questi di-spositivi possono sfruttare l’effetto Doppler o, nel caso di applicazioni a

tempo di transito, misurare la differenza di tempo impiegato da due onde

sonore a propagarsi attraverso un fluido lungo una determinata direzione ma secondo versi opposti. La velocità del suono in un mezzo mobile è data dalla somma di due contributi

• la velocità del suono nel mezzo in quiete indicata con c

• la velocità del mezzo mediata su tutto il percorso e proiettata lungo

la direzione di propagazione indicata con ±vccos Θ

Quindi in una struttura come quella di fig. 2.10 il tempo di transito T , ovvero il tempo impiegato dall’onda sonora ad arrivare a B partendo da A è dato da:

TAB=

D c + vccos Θ

mentre il tempo di transito da B ad A è:

TBA=

D c − vccos Θ

Differenziando i due tempi di transito si ottiene:

∆T = 2Dvccos Θ

c2− v

ccos Θ2

2Dvccos Θ c2

4Gli ultrasuoni sono onde meccaniche sonore caratterizzate da frequenze che vanno

da 20kHz a 200MHz e quindi non udibili dall’orecchio umano. Sono soggette ai fenomeni di riflessione, rifrazione e diffrazione e possono essere definite tramite parametri come la lunghezza d’onda, velocità di propagazione e frequenza.

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Figura 2.10: applicazione a tempo di transito

che è vera nella maggior parte delle applicazioni pratiche per le quali vale

c2 v

ccos Θ2. Da questa relazione lineare fra ∆T e vc possiamo ricavare

la velocità media (va) tenendo conto che5:

vc =

4

3va per un flusso laminare

vc = 1.07va per un flusso turbolento

Un tipico sistema per la misurazione della portata con l’impiego di onde ad ultrasuoni viene mostrato in fig. 2.11. In tale sistema i cristalli piezoe-lettrici vengono impiegati alternativamente sia come generatori di onde che come ricevitori, permettendo così la propagazione nei due versi. Il se-lettore inverte il senso di propagazione con una frequenza di clock di 400 Hz. Il trasmettitore invia un’onda alla freq di 3 MHz, che viene ricevuta con un ritardo di T (il tempo di transito) modulato dal flusso. Il rivelatore sincrono provvede, poi, a recuperare la differenza dei tempi di transito in entrambe le direzioni e fornire la misura della portata

(21)

l’impiego di onde ad ultrasuoni

2.3.3

Flussimetri di Coriolis

I flussimetri di Coriolis misurano direttamente la portata in massa di un fluido, differentemente a quanto visto per gli altri dispositivi che operano una misura della velocità. Hanno il grosso vantaggio di essere virtualmen-te insensibili alla pressione, virtualmen-temperatura, viscosità, e densità del fluido. Come risultato di ciò non necessitano di calibrazione o di compensazioni esterne a determinati parametri del fluido sotto misura; benché siano usati principalmente per i liquidi, possono essere usati anche con fluidi gassosi. Il sensore di Coriolis consiste in uno o due tubi, dotati di una bocca di uscita e una di ingresso e posti in moto vibrazionale da un sistema elet-tromeccanico ausiliario. Sono fatti solitamente con acciaio inossidabile, e sono sagomati a forma di U (anche se si trovano anche di altre forme). Come si vede dalla fig.2.12il fluido entra nel misuratore dalla bocca di

in-Figura 2.12: vibrazione (a)in assenza di flusso e (b)con flusso

(22)

dipendono dalla sua accelerazione e dalla vibrazione del tubo. La forza di Coriolis indotta dal fluido è la seguente:

F = 2mωv

dove m è la massa del fluido, v il vettore velocità media e ω la frequenza angolare del fluido. Come conseguenza delle forze il tubo viene sottoposto ad un momento torcente che è tanto più grande quanto è alta la portata massica del fluido(Fig. 2.12b). La torsione fa si che la vibrazione del tubo nelle bocche di ingresso e di uscita avvengano con un certo sfasamento ∆T (Fig. 2.13), assente in caso di flusso nullo(Fig. 2.12a), la cui misura ci fornisce lagrandezza desiderata.

Figura 2.13: vibrazione sfasata fra ingresso e uscita

La complessità del sistema, che prevede dispositivi di attuazione oltre che di rilevazione, rappresenta lo svantaggio di questo tipo di sensore in termini di elevati costi iniziali. Costi che vengono ammortizzati se si ha necessità di gestire fluidi diversi con un unico sistema.

2.3.4

Sensori Termici

Se, in un mezzo mobile, mettiamo un oggetto libero che sia in quiete rispetto al mezzo e calcoliamo il tempo impiegato ad andare da una certa posizione ad un altra, avremo misurato la velocità del fluido. Vengono usati a tale scopo elementi debolmente radioattivi, tinture che modificano

(23)

I sensori termici di portata sono suddivisi in tre categorie:

• Anemometri.

• Flussimetri a tempo di volo. • Sensori calorimetrici differenziali

Introdurremo le prime due nell’ambito di applicazioni macroscopiche, men-tre approfondiremo i sensori calorimetrici come dispositivi integrati, dato che a questa categoria appartiene il sensore di riferimento rispetto al quale è stato svolto il lavoro di questa tesi.

Figura 2.14: termoanemometro(A); rivelatore di temperatura(B)

Termoanemometro Come mostrato in Fig. 2.14A il termoanemometro è composto da tre piccoli tubi immersi in un fluido. Due contengono dei rivelatori di temperatura chiamati R0 e Rs. I rivelatori sono termicamente

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sia dal tubo dove scorre il flusso sotto misura. Entrambi i rivelatori sono connessi alla circuiteria esterna attraverso conduttori molto piccoli al fine di minimizzare perdite termiche per conduzione( fig. 2.14B).

Il sensore funziona come segue. Il primo rivelatore di temperatura R0

misura la temperatura del mezzo mobile. Il riscaldatore porta il mezzo cir-costante a temperatura elevata che viene misurata dal secondo rivelatore

Rs.

Se il fluido è in quiete dissipa il calore trasmessogli verso entrambi i ri-velatori di temperatura, per l’effetto combinato di conduzione termica e di

convezione libera.

Poiché il riscaldatore è posizionato più vicino a Rs, quel rivelatore

registrerà una temperatura più alta. Quando il fluido scorre la dissipazione di calore cresce a causa della convezione forzata e la temperatura rilevata da Rs sarà minore. Si ha così una relazione fra la velocità del fluido e la

dissipazioneperdita di calore che, nel caso del termoanemometro è basata sulla legge di King:

∆Q = kl 1 + r 2πρcdv k ! (Ts− T0) (2.13)

dove k e c sono la conduttività termica e il calore specifico del fluido ad una data pressione, ρ è la densità del mezzo, l e d sono la lunghezza e il diametro del sensore. Ts e T0 sono rispettivamente la temperatura sulla

superficie del sensore e la temperatura del fluido lontano dal sensore, e v la velocià del fluido (fig. 2.15A).

Collis e Williams hanno apportato delle correzioni, ricavate scperimen-talmente, alla legge teorica di King. Per un sensore cilindrico l’equazione, modificata, diventa v = K ρ  dQ dt 1 Ts − T0 1.87 , (2.14)

dove K è la costante di calibrazione. Dalla 2.14 segue che, per misurare un flusso deve essere misurato un gradiente di temperatura fra il sensore e il mezzo mobile, e il calore dissipato. Quindi, la velocità diventa funzione non lineare della caduta termica.

(25)

Figura 2.15: caratteristica temperatura - velocità (A);B

Per mantenre il rivelatore Rs a temperatura Ts e assicurare un

gradien-te gradien-termico sufficiengradien-te rispetto a T0 la dissipazione di calore deve essere

compensata fornendo potenza sufficiente al riscaldatore. In una struttura alternativa a quella di fig. 2.14 il rivelatore Rs si auto-riscalda per effetto

Joule. La corrente che scorre attraverso la resistenza interna al rivelatore

porta il rivelatore a temperatura Ts ,a tale temperatura la resistenza sarà

di un certo valore che chiameremo Rs. Se si assume che la perdita

condut-tiva attraverso i fili di collegamento e il rivestimento del tubo contenente la sonda di temperatura sia trascurabile, la legge di conservazione dell’e-nergia richiede che la potenza W sia pari al calore dissipato nel mezzo mobile:

W = dQ

dt .

Ma la potenza dissipata dalla resistenza del riscaldatore è legata alla tensione ai capi della resistenza :

W = e

2

R2

,

(26)

riscal-datore e la velocità di flusso. v = K ρ  e2 R2 1 Ts − T0 1.87 , (2.15)

In fig. 2.15B è mostrato un esempio di curva di calibrazione per un sensore di flusso che usa un termistore autoriscaldante(T = 75◦C) ope-rante con aria la cui temperatura varia da 20C fino a 45C. La tempe-ratura del termistore viene mantenuta costante per tutto l’intero range di temperature T0.

Esistono due metodi per effettuare la misura con questo tipo di dispo-sitivi. In uno di questi la resistenza e la tensione del riscaldatore vengono mantenute costanti mentre la differenza fra le due temperature Ts − T0 è

il segnale di uscita.

Nel secondo metodo la differenza di temperatura viene mantenuta co-stante da un circuito di controllo e che agisce sulla tensione ai capi del riscaldatore (e) che costituisce , in questo caso, il segnale di uscita.

In fig 2.16A viene mostrato un’applicazione che segue il primo metodo di misura illustrato. Il rivelatore di temperatura, un R.T.D.(Resistive

Tem-perature Detector) è montato a ponte con il rivelatore di temperatura di

riferimento. In assenza di flusso o per flusso molto basso, il circuito è fortemente sbilanciato: il fluido dissipa con difficoltà il calore scambiato dal riscaldatore ,quindi Ts >> T0. In tali condizioni abbiamo un tensione

di uscita alta, mentre, crescendo la velocità di flusso Ts si avvicina a T0

e vout diminuisce. Il grafico di fig. 2.16B mostra la risposta del sensore

per vari fluidi e gas. Anche se i produttori forniscono curve di calibrazione per ogni fluido, quando è richiesta una misura precisa è raccomandata la ricalibrazione.

In questo tipo di flussimetri possono essere impiegati molti tipi di ri-velatori di temperatura: resistivi, a semiconduttore o ottici. La scelta migliore ricade sui RTD per la sensibilità, la linearità e la stabilità su ampi range di temperatura.

(27)

Figura 2.16: Circuito a ponte per flussimetro(a); risposta del sensore per fluidi differenti(b)

sensori a tempo di volo I sensori a tempo di volo, (Fig. 2.17), sono composti da un riscaldatore ed uno o più sensori di temperatura posti a valle. Prima di tutto il riscaldatore viene eccitato con un impulso di calore, che viene trasportato, per convezione, al sensore di temperatura a valle. Poichè il tempo che il sensore di temperatura impiega per rilevare l’impulso di calore è dipendente dalla velocità del fluido, proprio la misura di tale intervallo costituisce l’uscita del sensore. In realtà l’impulso subisce una dispersione temporale dovuto a fenomeni a di diffusione termica. Il grafico in figura 2.18riporta, per diverse velocità, come viene rilevato dal sensore termico il profilo di temperatura. Ciò che se ne pu‘ dedurre è il fatto che questa tipologia di sensore non è adatta a rilevare basse velocità poichè in tali condizioni il calore viene trasportato al sensore non per conduzione, ma per diffusione. Il grafico seguente (Fig. 2.19) riporta la durata dell’intervallo in funzione della velocità. È evidente la presenza di una velocità di soglia al di sotto della quale si ha a una saturazione della risposta del sensore. Al di sotto di questa velocità si può considerare infatti che il calore sia trasportato solo per diffusione (attraverso gli urti tra le molecole), indipendentemente dalla velocità. In tali condizioni a il

(28)

Figura 2.17: sensore a tempo di volo

sensore è evidentemente inutilizzabile.

Figura 2.18: Dispersione temporale della temperatura dovuta alla diffusione termica

2.4

Sensori di portata integrati

Nei paragrafi precedenti abbiamo visto una serie di applicazioni di principi fisici per la misura della portata di un fluido. Quando sono richieste le medesime applicazioni su scale geometriche ridotte vengono impiegati i miscrosistemi.

(29)

Figura 2.19: Tempo di volo in funzione della velocità del fluido

I microsistemi o MEMS permettono di unire su scala micrometrica la capacità di misura, attuazione e controllo; di fatto strutture sensibili a grandezze a fisiche del mondo esterno - sensori - o che provocano effetti su di esso - attuatori - sono integrate su un unico die di silicio insieme all’elettronica di interfaccia e di controllo, realizzando quello a cui ci si riferisce con System On a Chip (SoC).

Con il termine MEMS, Micro-Electro-Mechanical Systems, vengono simultaneamente indicati sia la tecnologia realizzativa (più specificamente

micromachining), sia una classe di dispositivi integrati il cui principio di

funzionamento è legato ad aspetti meccanici ed elettrici combinati.

Tuttavia quest’ultima definizione è spesso riduttiva rispetto all’uso con-sueto e del termine, il quale designa anche microsistemi termici, flui-dici, chimici e magneto-elettrici.Per quanto riguarda i flussimetri termi-ci, il vantaggi dello scaling delle dimensioni geometriche possono essere sintetizzati nei seguenti punti:

• il fluido viene perturbato in piccola parte

• la velocità di risposta del sensore è migliorata (dimensione ridotte

-capacità termica ridotta)

(30)

di un sensore e misurare una distribuzione di velocità invece che operare una misura media.

• la tecnologia dei MEMS eredita dalla microelettronica(da cui

deri-va) aspetti caratteristici come la capacità di produzione a lotti con conseguente riduzione dei costi per unità prodotta

. L’interesse che si ha per i sensori di flusso è mutuato da vari campi:

• Biomedico: monitoraggio clinico delle funzioni polmonari e

cardio-vascolari;

• Automobilistico: l’elettronica di dispositivi di reflusso di gas di

sca-rico(es. il Turbo)

• Spaziale

Presenteremo brevemente due realizzazioni integrate di sensori che sfrut-tano tecniche di misura sopradescritte.

Sensore integrato a trasporto termico. In fig 2.20 è mostrato un micro-sensore che sfrutta il trasporto termico. Due film di titanio dello spessore di 0.1µm fungono sia da riscaldatori che da rivelatori di temperatura.

Come si nota dalla figura sono posti a sandwich fra due strati di SiO2.

Il titanio viene usato, sia per il suo alto TRC sia per un’eccellente adesione al biossido di Silicio.

I due microriscaldatori sono sospesi sul canale, sostenuti da quattro travi disilicio ad una distanza di 20µm l’una dall’altra. Ognuno dei due film di titanio ha una resistenza di 2kΩ.Un semplice circuito di interfaccia è mostrato in fig 2.20B.

Sensore integrato a gradiente di pressione. Come mostrato in fig. 2.21, il gas entra nella camera che ospita il microsensore ad una pressione P1.

La medesima pressione viene esercitata dal gas sulla piastra di silicio che contiene la faccia esterna di una membrana.Quando entra nel canale dalla bocca di ingresso, trova un’alta resistenza a causa del piccolo diametro. Di

(31)

Figura 2.20: microsensore a trasporto termico (A); interfaccia di lettura(B)

conseguenza la pressione, P2, del gas dentro la cavità sarà inferiiore a P1.

Dato il gradiente di pressione e l’equazione2.11si ricava la velocità media. La pressione differenziale è misurata grazie ad un sensore di pressione capacitivo composto da una membrana di silicio drogato con Boro p++

sospesa sopra una placca di metallo. La pressione differenziale modifica la capacità Cx fra la piastra di metallo e la struttura di silicio con una

risoluzione di 1mTorrfF , su una pressione di 4 Torr.

Figura 2.21: struttura di un microsensore che utilizza sensore differenziale di pressione

(32)

2.4.1

Sensori calorimetrici differenziali

I flussimetri differenziali hanno una struttura tipica (fig 2.22)data da un riscaldatore, di solito un resistore, posizionato simmetricamente fra due sensori di temperatura , che nell’esempio in fig. 2.23 sono due termopile.

Il flusso di gas induce una differenza fra le temperature T1 e T2 che si

traduce in una differenza fra le tensioni VT1 e VT2 prodotte dalle termopile.

Tale differenza è il segnale di uscita che ci permette di sapere non solo l’entità del flusso ma anche la direzione. Nella struttura a singolo o

dop-Figura 2.22: vista schematica di un flussimetro a singolo riscaldatore (a); a doppio riscaldatore (b).

pio riscaldatore, quest’ultimo e il sensori di temperatura devono essere termicamente isolati dal substrato di Silicio. Nel sensore di riferimento questo è possibile grazie a delle travi poste a 45che mantengono i due riscaldatori sospesi sopra una cavità scavata nel substrato di silicio (fig.

2.23). Se al posto delle termopile si usano resistori realizzati con layers dotati di un alto TCR, si possono ottenere sensibilità più alte che con le termopile, specialmente nei sensori molto piccoli dove non c’è abbastanza posto per allocare un certo numero di coppie. Questo tipo di dispositivi hanno lo svantaggio di essere sucettibili all’offset dovuto al mismatch delle resistenze e a all’autoriscaldamento a causa della corrente di

(33)

polarizza-Figura 2.23: sensore calorimetrico a doppio riscaldatore

zione. In un processo CMOS i layers disponibili per termopile sospese non polisilicio (drogato n o p), e alluminio per le interconnessioni.

La tensione di uscita dalle termopile è proporzionale alla differenza di temperatura fra le giunzioni calde (poste sull’estremità della mensola) e le giunzioni fredde (poste sopra il substrato di silicio).

2.4.2

Funzionamento

Introduciamo adesso un semplice modello per spiegare il comportamento del sensore. Si ipotizza che la temperatura del flusso di gas sia la mede-sima del substrato di silicio e che gli unici meccanismi di scambio siano la conduzione e la convezione forzata.

Date queste premesse possiamo considerare lineari le relazioni fra le tensioni delle termopile e la potenza dissipata dai due riscaldatori.

Struttura a singolo riscaldatore

(34)

dove P è la potenza mentre f(Q) è funzione del flusso

VT2 − VT1 = (a2− a1)P ≡ f (Q)P,

se si riscrive f (Q) secondo il polinomio di Taylor approssimato al primo ordine otteniamo

VT2 − VT1 = f (0)P + βPQ, con β =

df

dQ. (2.16)

Se fossimo in una struttura ideale avremo f (0) = 0 per ragioni di simmetria, mentre nel caso reale il mismatch fra le sensitività delle termopile e fra le conduttanze termiche sbilancia il sistema al punto da avere una differenza di tensione anche in presenza di flusso nullo . Questo porta ad un offset (Pf (0) nell’eq. 2.16) che deteriora l’accuratezza del sensore.

Struttura a doppio riscaldatore Per la struttura di fig. 2.22a valgono le seguenti equazioni

(

VT1 = a11P1+ a12P2

VT2 = a21P1+ a22P2

dove aij sono i parametri che tengono conto degli accoppiamenti termici

fra i riscaldatori(i) e le termopile(j). Differenziando membro a membro ottengo:

VT2 − VT1 = P2f2(Q) − P1f1(Q)

dove P1e P2 sono le potenze dissipate sui riscaldatori 1 e 2 mentre f1(Q) =

a11− a21 e f2(Q) = a22− a12.

Come nel caso della struttura a singolo riscaldatore mettiamo in evidenza i primi due termini dello sviluppo di Taylor delle due funzioni f ( · ) e ottengo:

VT2 − VT1 = (f2(0)P2− f1(0)P1) + (β2P2− β1P1)Q (2.17) dove β2 = df2 dQ e β1 = df1 dQ

(35)

dove notiamo, rispetto alla eq.2.16 l’assenza del termine di offset. Questo effetto ci torna utile per la diminuzione dell’offset nelle strutture reali do-ve il matching non perfetto fa sì che in assenza di flusso l’effetto dei due riscaldatori sulle termopile non sia simmetrico con risulatante una tensio-ne non nulla. L’offset comunque introdotto può essere cancellato fortensio-nendo potenze diverse ai due riscaldatori in modo da controbilanciare le asim-metrie termiche del sistema.

Un secondo metodo di interfaccia prevede l’uso di una configurazione ad anello aperto dove un opportuno circuito pilota i riscaldatori variando la differenza di potenza fornita P2 − P1 al fine di mantenere le temperature

sulle termopile uguali.

Se immettiamo la condizione sopra espsta nell’eq. 2.17, otteniamo (ipotiz-zando la struttura simmetrica):

P1− P2=

β2

f2(0)

· (P1+ P2)Q, (2.19)

Confrontiamo ora le relazioni 2.19e 2.18, focalizzando l’attenzione sui ter-mini che introducono la dipendenza dalle proprietà fisiche del fluido. Come si nota dall’eq. 2.18, in configurazioni circuitali ad anello aperto (con uno o due riscaldatori), verifichiamo la presenza del solo termine β che è legato agli effetti di convezione forzata.

Nella configurazione ad anello chiuso(eq. 2.19), la sensibilità è ancora proporzionale a β ma anche inversamente proporzionale a f (0). Questo significa che sono presenti anche termini legati alla conduzione statica( ovvero in assenza di flusso).

(36)

Come noto in letteratura, i flussimetri calorimetrici differenziali dipendono fortemente (tramite il termine β)dal calore specifico del gas a pressio-ne costante(Cp). Mentre il legame tramite f (0) riguarda la conducibilità

termica k.

2.4.3

Packaging

Lo studio e la realizzazione di particolari tipologie di packaging nei senso-ri integrati gioca un ruolo determinante per l’uso e la commercializzazione di sensori che debbano operare in condizioni particolari. Nel caso di un flussimetro, il packaging deve permettere al chip di poter gestire liquidi e gas senza essere danneggiato e, ovviamente, deve essere immune da perdite.

Di seguito verranno illustrate tre diverse soluzioni l’ultima delle qua-li è quella adottata nel sensore studiato e reaqua-lizzato presso il dip. di microsistemi e rispetto al quale è stata progettata l’interfaccia.

C.I.C. Col termine CIC 6si identifica un metodo di packaging che prevede di piazzare il chip e i bonding wires all’interno del canale.

In una struttura di tale tipo, un blocco di PMMA7 viene incollato sulla superficie superiore del DIP case per mezzo di resina espossidica. Il rive-stimento prevede anche due canali che convogliano il flusso di gas verso la camera dove è contenuto il chip come mostrato in fig. 2.24 Con questo tipo di package si ottengono sezioni di canale di circa 8mm2. La presenza

del chip, con le sue saldature, ostacola la riduzione della sezione di cana-le desiderabicana-le per l’aumento della sensibilità, e non permette la gestione di molti tipi di liquidi(es quelli conduttivi). Pur essendo una soluzione di semplice realizzazione i suoi limiti riducono il campo di applicabilità del sensore che contengono.

6Chip Inside Channel 7Polymethyl-Methacrylate

(37)

Figura 2.24: In questo tipo di package il chip è attraversato dal flusso

H.P. Nel H.P. (Half Pipe ovvero mezzo tubo)viene sagomato un canale a forma di mezzo cilidro, e posato sulla faccia superiore del chip, in modo da lasciare fuori i bonding pads. In questa tipologia di packaging, il canale comprende solo le strutture di sensing che devono essere poste sulla faccia superiore del chip. In fase di layout dovranno essere previste, oltre alla già citata posizione del sensore, il posizionamento dei Pads lungo i bordi del chip. Questo limita l’area disponibile per i contatti con i bonding wires e introduce difficoltà durante la fase di allineamento del tubo con il chip , e durante l’ esposizione di resina.

L.C. 8 In questa soluzione un adattatore di PMMA convoglia il fluido verso la superficie del chip evitando il contatto con i pad e i bonding wires. Nella faccia dell’adattatore viene intagliata una scanalatura a forma di U tramite una macchina di precisione e allineata alla parte superiore del chip in modo da includere (nella scanalatura) gli elementi di sensing ed evitare il contatto con i bonding pad.

Dopo l’allineamento l’adattatore viene spinto contro il chip, mantenu-to ad una temperatura di quasi 110C, prossima alla fusione del PMMA. Il riscaldamento del chip è necessario per ottenere un contatto privo di perdite fra la faccia piatta del PMMA e la superficie irregolare del chip.

(38)

Il riscaldamento del chip viene operato grazie ad mosfet di potenza e un sensore di temperatura chiusi in reazione tramite un amplificatore ope-razionale. L’ultima operazione prevede la deposizione di resina attorno all’adattatore per ottenere una struttura robusta.

2.5

Problematiche

2.5.1

Dipendenza della pressione

Il sensore viene usato per monitorare la portata di gas la cui pressione può variare da 0.1 a 1Atm. A parità di portata di massa variando la pressione varia la velocità del gas.

É stato rilevato che la pressione esercita un influenza ridotta fino a che il cammino libero medio del gas non diventa confrontabile con le dimensioni caratterisitche del sensore.

Il cambiamento della sensibilità per il sensore sviluppato presso il Dip. di Microsistemi della facoltà di Ingegneria di Pisa avviene già a 0.25Atm con un errore commesso del 10%. In fig.2.25viene mostrato un grafico che riporta le misure di portata effettuate su un gas introdotto nel sensore a diverse pressioni.

Come si può notare, quando la pressione scende sotto un certo livello, a parità di portata in massa la tensione di uscita del sensore diminuisce rispetto a quella che si ha quando il gas ha pressioni superiori.

2.5.2

Caratteristiche elettriche del sensore

Come visto, nel sensore di riferimento sono presenti due termopile costitui-te da 20 costitui-termocoppie n+−Al che forniscono complessivamente una tensione

dell’ordine di ∼ 1mV per ogni grado Kalvin di differenza di temperatura fra la giunzione calda e la giunzione fredda.

VT HPILA≈ Tcalda− Tf redda

(39)

av-Figura 2.25:

vengono delle variazioni di temperatura sia nella termopila a valle che in quella a monte del flusso stesso. La tensione di uscita è lineare con la differenza di variazioni di temperatura quindi avremo che

Vout ≈ α(∆Tvalle− ∆Tmonte)

dove si è posta uguale per entrambe le termoplie la temperatura della giunzione fredda. Essendo il sensore progettato per rilevare basse por-tate, le termopile saranno soggette a piccole variazioni di temperatura. La tensione differenziale di uscita sarà,quindi ,molto bassa con un limite superiore dell’ordine di 100µV.

Ognuna delle due termopile ha una resistenza RS = 75kΩ. Il rumore

termico da esse generato fissa il limite minimo teorico di tensione rico-noscibile dal sensore e, quindi, il flusso minimo rilevabile. La densità spettrale di potenza di rumore dovuta alle due termopile sarà data dalla

(40)

seguente relazione.

SnV = 4K (Tv + ∆T )RS+ 4K (Tm+ ∆T )RS ≈ 4K TvRS+ 4K TmRS

Per stimare la SnV poniamo Tv = Tm = 300K. Otteniamo che SnV = 4 · 1.38 · 10

−23· 300 · 2 · 75 · 103

= 2.484 · 10−15V2/Hz

Considerando una banda di 10Hz otteniamo il valore efficace della tensione in uscita dal sensore:

VRMS =pSnV · B =

8.28 · 10−18· 10 ≈ 157nV

che rappresenta la tensione di rumore minima in ingresso al sistema. Le termopile introducono anche una tensione di offset dovuta al mi-smatch fra le resistenze delle termocoppie, che si traduce in una tensione differenziale in ingresso diversa da zero anche in presenza di flusso nullo. Viste le problematiche esposte, l’interfaccia di lettura dovrà essere im-plementata da un sistema a basso rumore, che provveda a diminuire se non eliminare gli effetti dell’offset in ingresso sul segnale di uscita, e che pre-veda una catena per la compensazione degli effetti della pressione sulla sensibilità del sensore al fine di stabilizzarla anche per basse pressioni.

(41)

• catena di lettura differenziale

• catena di lettura a modo comune e driver del sensore.

Il primo sottosistema prende in ingresso le tensioni erogate dalle due ter-mopile e fornisce, in uscita una tensione proporzionale alla loro differenza e ,quindi, al flusso di gas che attraversa il sensore.

Il secondo preleva il modo comune delle due tensioni erogate dalle due termopile e, come vedremo in seguito, sfrutta questo segnale per compen-sare la variazione di sensibilità pilotando, opportunamente, il riscaldatore inserito nel sensore.

Nel lavoro della nostra tesi ci siamo occupati del progetto e realizza-zione di celle analogiche componenti le due catene di lettura fino a livello di layout. Nei prossimi paragrafi introdurremo il principio su cui si basa il funzionamento di entrambi i sottosistemi ed entreremo, poi, nello speci-fico illustrando le architetture circuitali usate per implementare i specifici blocchi della catena di lettura a modo comune.

(42)

Figura 3.1: Schema di principio dell’interfaccia al sensore di flusso integrato.

3.1

Dipendenza della sensibilità dalla pressione

3.1.1

Modello del sensore

Come visto in precedenza visto, il sensore è costituito da due termopile (VT H1 e VT H2 in fig.3.2) e un riscaldatore alimentato da una tensione

co-stante (schematizzata tramite un generatore) e che scalda le termopile e il fluido che l’attraversa.

L’accoppiamento termico fra le termopile e il riscaldatore è sintetizzato nei parametri α che mettono in relazione le tensioni ai capi delle termopile e la potenza P dissipata dal riscaldatore per effetto Joule. Si ha che:

VT H1 = α1· P VT H2 = α2· P.

Data una coppia di tensioni (VT H1 e VT H2 nel nostro caso), ciascuna delle

due può essere espressa in funzione della tensione a modo comune VC M

e di quella differenziale Vd. I prossimi calcoli porteranno a due relazioni

che legheranno la tensione a modo differenziale e quella a modo comu-ne in uscita dal sensore alla potenza del riscaldatore e i coefficienti di

(43)

Figura 3.2: Modello circuitale del sensore

accoppiamento termico. (

Vd = VT H1 − VT H2

VC M = 12· (VT H1 + VT H2)

sostituendo le relazioni di accoppiamento termico,ottengo (

Vd = 1− α2) · P

VC M = 12· (α1+ α2) · P

con αC M = 12· (α1+ α2) e αd = α1− α2 ottengo le relazioni volute:

Vd = αd· P

VC M = αC M· P

Esperimenti in laboratorio hanno mostrato che le variazioni di αC Mal

varia-re del al flusso del fluido (Q) risultano trascurabili rispetto alle variazioni di αd. Si può ,quindi, considerare αC M funzione esclusivamente della

(44)

empiriche trovate in [5] sono :

V

C M

=

αC M

z

}|

{

α

C M0

·

p

p + p

T Rcm

· P

(3.1)

V

d

= α

d0

(Q) ·

p

p + p

T Rd

|

{z

}

αd

· P

(3.2)

dove αC M0 e αd0 sono i coefficienti di accoppiamento tra la potenza e le

tensioni a modo comune e differenziale per alte pressioni, ed in condizioni di scambio di calore a regime stazionario.

Le costanti pT Rcm e pT Rd sono chiamate pressioni di transizione e

di-pendono dal tipo di gas e dalle dimensioni del sensore, in particolare più piccolo è il sensore, più è alta la pressione di transizione.

Per la maggior parte dei gas pT Rcm > pT Rd quindi ,se la pressione

del gas è maggiore di entrambe le pressioni di transizione, VC M varierà

percentualmente di più con la pressione rispetto a Vd.

Nel prossimo paragrafo introdurremo il metodo usato per compensare gli effetti della pressione partendo dalle ultime equazioni scritte.

3.1.2

Metodo di compensazione

La sensibilità di un sensore misura la variazione di tensione in uscita che si ha in corrispondenza di una variazione della grandezza da misurare. Nel caso del sensore di riferimento la grandezza misurata è il flusso Q e la tensione di uscita è Vd, data dalla differenza fra le tensioni erogate

dalle due termopile. Indicata con Sd la sensibilità, abbiamo che:

Sd =

∂Vd

∂Q (3.3)

La tensione differenziale di uscita è legata al flusso tramite un coefficiente di accoppiamento che è funzione sia dal flusso che dalla pressione del fluido che attraversa il sensore.

(45)

Conoscendo il valore della pressione, la tensione da imporre ai capi del riscaldatore sarebbe data dalla seguente relazione:

P = V 2 R R = p + pRT d p · P0 (3.5)

Questa soluzione è implementabile ricorrendo all’uso di un sensore di pres-sione e ad un sistema di elaborazione del segnale per pilotare il generatore di tensione. Per motivi di costo e di complessità dal punto di vista realiz-zativo questa tecnica di compensazione è stata abbandonata a favore di una tecnica oggetto di un recente brevetto ([12])

Come visto in precedenza, l’effetto della variazione di flusso sulla ten-sione a modo comune in uscita dal sensore si può trascurare rispetto agli effetti dovuti alla variazione di pressione. Questo ci permette di conside-rare VC M funzione della sola pressione del gas che entra nel sensore

Quindi la variazione di sensibilità ad opera della pressione viene ri-levata andando a misurare la variazione di VC M tramite un sistema

sche-matizzato in fig.3.3 dove T H1 e T H2 sono le termopile, R è la resistenza

del riscaldatore, e VREF la tensione di riferimento rispetto alla quale far

variare la VC M. Questa tecnica prevede che il guadagno di anello sia

de-bole perchè le pressioni di transizione sono diverse per la tensione a modo comune e quella a modo differenziale. Per compensare correttamente la

Vd, bisogna sottocompensare la VC M. Se dimensionassimo il sistema con

un guadagno di anello ottimale, annullando le variazioni di VC M, otterrei

una dipendenza della Vd dalla pressione come mostrato in [5].

(46)

Figura 3.3: Schema a blocchi del canale di lettura semplificato

AC M e sommate per ottenere la tensione di ingresso VC M. Il segnale che

si produce dalla differenza con VREF viene amplificato di un fattore A e

imposto come tensione ai capi del riscaldatore. Verifichiamo il funzionamento :      VC M = AC M· (V1+ V2) VR = A · (VREF − VC M) P = VR2 R

sostituendo V1 = α1· P e V2 = α2· P e posto 2 · AC M = A0C M si ottiene :

VC M = 2AC M· 1+ α2) 2 = A 0 C M· αC M· P →      VC M = A0C M· αC M· P VR = A · (VREF − VC M) P = VR2 R (3.6)

(47)

linearizzata e, poi, verificare il comportamento nella zona di lavoro li-neare tramite un linguaggio di simulazione e sintesi: il VHDL-AMS. Ri-portiamo qui solo le relazioni analitiche trovate al fine di giustificare il dimensionamento effettuato.

Il sistema viene linearizzato attorno a valori di riposo indicati con VC M0,

αC M0, VR0 e P0. Queste costanti si riferiscono a valori che assumono le

variabili ad alte pressioni, dove non si è ancora verificata la perdita di sensibilità.

Per piccole variazioni attorno al punto di riposo otteniamo il seguente sistema:        VC M0 + dVC M = A 0 C M· (αC M0 + dαC M) · (P0+ dP) VR + dVR = A · [VREF − (VC M0+ dVC M)] P + dP = (VR0−dVR)2 R (3.7)

Le espressioni ricavate, utili per il dimensionamento, sono le seguenti:

βA = −2 · αC M0· A · A 0 C M· r P0 R (3.8) −βA 1 − βA = pT Rd pT Rcm (3.9) VREF· −βA 2 1 −−βA2 = VR· A 0 C M· αC M0· P0 (3.10)

Nel progetto del sistema descritto in [7], il dimensionamento viene fatto considerando il sensore attraversato da un gas per cui siano note le

(48)

pres-sioni di transizione che nel caso dell’azoto e del sensore di riferimento sono pT Rd = 1.8kPa e pT Rcm = 2.7kPa . Dalla 3.9ottengo:

−βA

1 − βA = 2

3 → βA = −2

Fissato il guadagno d’anello, rimangono i seguenti parametri da dimensio-nare: A, A0

C M, R, VREF e P0. Occupiamoci della potenza alle alte pressioni

dissipata dal riscaldatore.

La potenza influisce sulla temperatura del riscaldatore che, se troppo elevata , porta a danneggiamenti nella struttura del riscaldatore provo-cando la fusione del film (che costituisce il riscaldatore stesso) oppure delle membrane che lo sorreggono.

Esperimenti hanno mostrato che la massima potenza erogabile dal sen-sore è 12mW. La potenza P0 viene fissata a 4mW tenendo conto che, al

diminuire della pressione, verrà aumentata per compensare la diminuzione di sensibilità.

I restanti 4 parametri devono essere dimensionati tramite 2 equazioni,

3.10 e 3.8, perciò il problema ha due gradi di libertà. Si fissa A0C M e dalla

3.10 otteniamo:

VREF = 0.291V

L’altro grado di libertà viene usato per fissare il guadagno A = 10, dalla

3.8 otteniamo:

R = 530Ω

3.2

Analisi dei disturbi

Nello studio del rumore, si applica un generatore di tensione Vn

all’ingres-so del blocco AC M, e si calcola gli effetti di questo generatore sulla potenza

erogata dal riscaldatore P e sulla tensione differenziale Vd in uscita dal

sensore.

(49)

Figura 3.4: Schema del canale di lettura per lo studio del rumore del rumore, dal quale come si è visto in precedenza, ricaviamo il seguente sistema di equazioni dove V1 e V2 sono le tensioni erogate dalle termopile

mentre le altre variabili mantengono il medesimo significato:      VC M = AC M· (V1+ Vn1) + AC M· (V2+ Vn2) VR = A · (VREF − VC M) P = VR2 R (3.11)

sostituendo V1 = α1· P e V2 = α2· P, otteniamo che

VC M = αC M· A0C M· P + A 0 C M· Vn (3.12) con αC M = α12 2 , Vn = Vn1+Vn2 2 e A 0 C M = 2 · AC M. Sostituita 3.12 in 3.11, 1Referred To Input

(50)

il sistema linearizzato nella quale si trascurano gli effetti della pressione diventa:        VC M0 + dVC M = A 0 C M· αC M· (P0+ dP) + A0C MVn VR + dVR = A · [VREF − (VC M0 + dVC M)] P + dP = (VR0−dVR)2 R (3.13)

Mediante approssimazioni si ottiene:

dP = βA

1 − βA·

Vn

αC M

(3.14)

Il segnale utile del sensore è (la tensione differenziale indicata con Vd), è

proporzionale alla potenza erogata dal riscaldatore tramite il coefficiente

αd. Per piccole variazioni vale la seguente relazione:

Vd0 + dVd = αd· (P0+ dP)

poichè V0 = αdP0 l’errore relativo sulla tensione di uscita dal sensore è:

dVd V0 = βA 1 − βA· Vn αC M· P

L’analisi del rumore è completamente analoga a quella dell’offset per-tanto le due tipologie di disturbo verranno trattate indistintamente. Le specifiche di rumore per cui il sensore è stato inizialmente progettato richiedevano che l’errore relativo della tensione differenziale fosse del 1%. Per verificare questa specifica, in condizioni di massima potenza ero-gata, è necessario che il contributo della tensione Vn sia :

Vn <

1 100·

1 − βA

−βA · αC M· P ≈ 20µV (3.15)

Da questa specifica è dipesa la scelta della topologia e delle dimensioni a dei transistor con cui è stato realizzato il sistema di compensazione ([7]).

La tecnologia adottata per realizzare il chip è il processo BCD6S della STMicroelectronics che, applicata in precedenti progetti di circuiti

(51)

realiz-ingente errore sulla potenza erogata.

Questo altera la sensibilità del sensore e rende poco riproducibile la misura del flusso ad opera della catena di lettura differenziale.

3.3

Offset e Rumore

3.3.1

Rumore

Nei dispositivi CMOS si hanno due sorgenti predominanti di rumore: ru-more termico e ruru-more flicker (ruru-more 1/f ) [9].

In fig.3.5 è mostrata la sagoma caratteristica dello spettro di rumore su un grafico bilogaritmico, che, come si vede, è piatta per alte frequenze, mentre, spostandoci verso le medie e basse frequenze (tipicamente f < 100 kHz), ha andamento lineare.

La parte piatta, detta anche rumore broad band è dovuta alle sorgenti di rumore termico. La frequenza per la quale le due DSP, quella broad band e quella 1/f , assumono lo stesso valore è detta frequenza di corner

fk ; essa rappresenta lo spartiacque tra l’intervallo di frequenze in cui è

dominante il rumore flicker e e l’intervallo di frequenze in cui è dominante il rumore termico (fig.3.5).

A differenza del rumore termico, il rumore flicker dipende dalla qualità del processo tecnologico. Fluttuazioni che obbediscono alla legge 1/f sono state osservate in tutti i dispositivi elettronici, ma anche in sistemi mec-canici, biologici, geologici. Una spiegazione fisica completa del fenomeno

(52)

Figura 3.5:

non è ancora stata sviluppata, ed alcuni esperimenti indicano che l’origine del rumore flicker sia diversa in dispositivi diversi.

Nel design kit del processo BCD6 sono implementati i modelli MOS Model 9 della Philips. Per quanto riguarda il rumore flicker sono uti-lizzati due modelli distinti per grado di accuratezza [8]. Nella libreria a disposizione è usato il modello più semplice, simile all’espressione usata, comunemente, nella progettazione:

Si1/f(f ) = g2

NF

mWef fLef f

·1

f (3.16)

dove Si1/f è la DSP di corrente, considerando il generatore posto tra drain e source, gm è la transconduttanza del MOSFET, NF è un coefficiente

distin-to per PMOS e NMOS, m è la molteplicità e Wef f , Lef f sono rispettivamente

la larghezza e la lunghezza di canale effettive.

Rispetto alle dimensioni metallurgiche W e L, Wef f è data al netto

dell’estensione dei pozzetti di drain e di source al di sotto del gate dovuta alla diffusione laterale. Lef f è data al netto della dimensione delle zone di

diffusione laterale dal bulk e verso il canale.

(53)

mo-Figura 3.6:

ids = gmvgs + in in A;

ids = gmvg0s = gm(vgs+ vn) in B,

le reti allora sono equivalenti ponendo vn = ginm. La densità spettrale di

rumore in tensione Sv(f ) è quindi legata a quella in corrente tramite un

2l’entità del rumore è tale da poter considerare le reti linearizzate attorno al loro

Figura

Figura 2.4: Profilo di velocità all’interno di un fluido e sforzi generati
Figura 2.5: andamento dello strato limite di un fluido che scorre su una superficie
Figura 2.8: Sviluppo dello strato limite termico e andamento del profilo di temperatura di un fluido che scorre in un condotto
Figura 2.12: vibrazione (a)in assenza di flusso e (b)con flusso
+7

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