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LA TECNOLOGIA SEMENTIERA: PRIMING ED OSMOPRIMING SU ALCUNE SPECIE ORTIVE

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UIVERSITA’ DI PISA

Facoltà di Agraria

Corso di Laurea Specialistica in Scienze della Produzione e Difesa

dei Vegetali curriculum Difesa dei Vegetali

LA TECOLOGIA SEMETIERA:

PRIMIG ED OSMOPRIMIG SU ALCUE

SPECIE ORTIVE

Relatore:

Candidato:

Chiar.mo Prof. Mario Macchia

Alessandro Battini

(2)
(3)

Indice

CAPITOLO 1: Introduzione

pag.

0

5

1.1 Trattamenti pregerminativi

pag.

0

9

1.2 Coldpriming

pag. 11

1.3 Soaking e hardening

pag.

12

1.4 Idropriming

pag. 18

1.5 Osmopriming

pag. 19

1.6

Fluid drilling e plug mix

pag. 31

CAPITOLO 2: Materiali e metodi

pag. 34

2.1

Testimone

pag. 35

2.2

Idropriming

pag. 36

2.3

Trattamento osmotico con soluzione di KNO

3

pag. 36

2.4

Trattamento osmotico con soluzione di PEG

pag. 37

(4)

CAPITOLO 3: Scopo della tesi

pag. 42

CAPITOLO 4: Risultati e discussione

pag. 44

4.1

Germinabilità

pag. 44

4.2

Tempo Medio di Germinazione, Tempo

di Germinazione al 50% e Indice di Germinazione

pag. 50

4.3

Interazione tra i trattamenti

pag. 55

4.4

Lunghezza delle radici

pag. 67

CAPITOLO 5: Considerazioni conclusive

pag. 74

(5)

CAPITOLO 1

Introduzione

Per secoli la semina diretta in campo ha rappresentato la base della coltivazione di gran parte delle specie vegetali. Negli ultimi decenni si è assistito ad una progressiva sostituzione della semina, in campo o in serra, con il trapianto di piantine allevate in vivaio, prevalentemente in pani di terriccio pressato di forma cubica o alveolare. Ciò è particolarmente vero per l’orticoltura, dove questa tendenza è dettata da precise esigenze economiche, legate alla possibilità di anticipare la produzione, di garantire un migliore investimento e di ottimizzare la produttività. Tuttavia il ricorso alla semina diretta non è stato completamente abbandonato e rimane in diversi contesti produttivi, o una valida alternativa al trapianto, o la soluzione migliore attualmente praticabile.

A tale riguardo possiamo evidenziare come, per le colture destinate al trapianto, l’allevamento in serra, permetta di modificare favorevolmente le condizioni climatiche, consentendo così di ottimizzare la nascita delle piantine e favorendo la rapidità, l’uniformità e la percentuale di germinazione. La coltivazione di semenzali riduce anche la quantità di seme necessaria per unità di superficie coltivata, migliora la qualità del materiale di propagazione in termini di sanità, determina un raccorciamento del ciclo colturale e facilita la programmazione dei calendari di produzione. Questo elimina i principali problemi legati ad una germinazione scalare, lenta e parziale che si verifica quando, in pieno campo le condizioni meteorologiche sono avverse o non ottimali.

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Disporre di una semente di qualità è il primo requisito per il successo di una coltura. Oltre a presentare un’elevata germinabilità, le sementi devono avere un tempo medio di germinazione piuttosto breve e dimostrare una buona uniformità germinativa. Tali caratteristiche, al di la dei fattori intrinseci della specie, dipendono in larga misura, dalle condizioni in cui il seme è stato prodotto (quindi dalla tecnica di coltivazione, all’ambiente di produzione ed in particolare dalle modalità di raccolta), nonché dalle modalità di conservazione.

Le caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche del terreno condizionano la scelta delle colture; esistono specie con ampie possibilità di adattamento e specie che esigono terreni di determinate caratteristiche. In rapporto alle condizioni edafiche delle piante, è da rilevare che, un eccesso di fertilità del terreno, favorisce lo sviluppo vegetativo a scapito di quello riproduttivo; oltre a questo, una vegetazione molto rigogliosa può determinare scarsa produzione di fiori con conseguente riduzione della produzione di seme.

Per quanto riguarda l’ambiente di coltivazione, oltre al tipo di terreno, fondamentale è l’esame dei fattori ambientali. Condizioni ottimali per una coltura da seme, sono rappresentate da ventilazione moderata (che favorisce l’impollinazione anemofila ed il volo dei pronubi), precipitazioni piovose moderate (soprattutto dalla fioritura in poi) e umidità relativa moderata (così da evitare lo sviluppo di malattie crittogamiche).

La densità di investimento della coltura da seme, generalmente inferiore a quella ritenuta ottimale per la normale produzione, offre una serie di vantaggi (dalla maggiore disponibilità di spazio, con conseguente influenza positiva

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sull’attività fotosintetica e sull’impollinazione, ad una facilitazione delle diverse operazioni colturali, tra cui la difesa sanitaria e la raccolta); altri elementi fondamentali della tecnica di coltivazione sono l’isolamento della coltura e la lotta alle infestanti.

La raccolta delle sementi deve essere effettuata all’epoca della completa maturazione fisiologica. Questa è un’operazione molto delicata e, allo scopo di evitare microlesioni al seme, è fondamentale una messa a punto delle macchine impiegate per ciascuna specie.

La vitalità delle sementi diminuisce nel tempo; la possibilità di mantenerne l’efficacia fisiologica dipende, in modo prevalente, da un’idonea conservazione. La tecnica di conservazione interessa due aspetti principali: il mantenimento dell’integrità fisica del seme e la difesa della vitalità. Questo secondo aspetto è influenzato dalla temperatura e dall’umidità che, oltre certi limiti ottimali per la conservazione, possono provocare una rapida perdita della germinabilità dei semi (Favero, 1983).

Le caratteristiche germinative riscontrate nelle prove di laboratorio, spesso non corrispondono però all’emergenza realmente ottenuta in vivaio (questo è ancor più vero in pieno campo), dove si riscontrano condizioni che, ovviamente, non possono uguagliare quelle ottimali, riproducibili per ciascuna specie, solo in laboratorio (Magnani et al., 1990).

L’esigenza di adeguate strutture per la regolazione dei fattori pedoclimatici durante l’accrescimento iniziale della piantina e la necessità di un avanzato livello professionale, ha determinato lo sviluppo di aziende vivaistiche specializzate. La

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produzione in vivaio di piantine destinate al trapianto, rappresenta però un aggravio di non lieve entità delle spese colturali. Molte specie ortive a seme piccolo normalmente impiegano molto tempo per l’emergenza; per i vivaisti la possibilità di ridurre il periodo di cura per le piantine consentirebbe di aumentare il turn over e ridurre i costi di produzione.

Il periodo compreso tra l’inizio della germinazione e l’emergenza è una fase molto delicata nel ciclo della coltura non solo per una minore capacità di difesa delle piante dalle avversità biotiche ed abiotiche ma anche perché le reazioni biochimiche che si svolgono in tale fase sono notevolmente influenzate da fattori ambientali quali la temperatura, la disponibilità di acqua, ossigeno e luce. Il seme cioè trova maggiori difficoltà a compiere il delicato processo germinativo, con ripercussioni negative sull’emergenza che risulta più lenta e disforme, e sullo sviluppo successivo delle piantine.

La ricerca si sta occupando del miglioramento delle tecnica colturale vivaistica; in questo contesto rientrano i trattamenti pregerminativi, che nati per la semina diretta in pieno campo, possono essere utilizzati nell’ambito del vivaismo per una migliore gestione del vivaio e una riduzione dei costi, senza alcuna modifica delle dotazioni strutturali preesistenti (Giulianini et al., 1992). Si tratta di tecniche basate sul principio di indurre e soprattutto controllare la prima fase del processo germinativo, facendolo svolgere in condizioni ottimali di temperatura, luce e umidità.

L’utilizzo delle tecniche di pregerminazione consente di ottenere del seme che ha totalmente o in parte già compiuto il delicato processo germinativo e

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garantisce un’emergenza più rapida ed omogenea anche in condizioni sfavorevoli. I trattamenti pregerminativi che sincronizzano e promuovono la germinazione, non sono altro che trattamenti fisici che consentono una lenta germinazione dei semi fino a completare un primo stadio del processo germinativo; si possono così ottenere piantine in un tempo ridotto, anche da semi che per le caratteristiche intrinseche della specie presenterebbero una germinazione lenta e poco uniforme. Evidenti sono i vantaggi che si ottengono con un materiale sementiero già pronto all’emissione del germinello e che vanno dal risparmio di sementi e di mano d’opera ad una migliore qualità delle piantine prodotte.

1.1 Trattamenti pregerminativi

In generale per conseguire risultati colturali soddisfacenti, e tanto più nell’attività di produzione delle piantine, è determinante predisporre di sementi che abbiano un elevato potere germinativo ma soprattutto un elevato vigore germinativo o energia germinativa. La letteratura definisce il vigore germinativo come un requisito del seme che ne permette, dopo che è stato posto a dimora, la più o meno rapida germinazione in un’ampia gamma di condizioni ambientali comprendenti anche condizioni non ottimali. I fattori che possono influenzare questo carattere sono il corredo genetico, le condizioni ambientali nelle quali si è sviluppata la pianta madre, lo stadio di maturità del seme al momento della raccolta, le sue dimensioni e il suo peso, gli eventuali danni a carico dei tegumenti

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o dei cotiledoni (provocati soprattutto dalla raccolta meccanica), il grado di invecchiamento e lo stato sanitario (Perry, 1978).

Per valutare il vigore di una semente si ricorre a prove indirette come il test del tetrazolo e prove dirette studiando il comportamento reale del seme durante la germinazione o l’emergenza, sia in condizioni favorevoli che sfavorevoli. In queste seconde prove si tiene conto di tre parametri: potere germinativo, tempo medio di germinazione (TMG) e uniformità di germinazione. Un equilibrato sviluppo della pianta madre, la raccolta del seme a completa maturazione, una conservazione in condizioni ottimali di temperatura e umidità sono i presupposti che permettono di ottenere una semente di eccellente qualità.

Per migliorare ulteriormente le caratteristiche germinative sono stati studiati una serie di trattamenti pregerminativi da eseguire prima della semina, che pur sfruttando principi diversi, hanno in comune l’obiettivo di soddisfare in condizioni controllate le esigenze che il seme manifesta in termini di acqua, luce e ossigeno durante le prime fasi del processo germinativo fino all’emissione della radichetta e anche oltre. In queste prime fasi, infatti, le condizioni ambientali possono risultare limitanti per la germinazione, rendendo il seme suscettibile di attacchi parassitari non sempre controllabili con la concia.

I risultati che si ottengono seguendo questi trattamenti non si riflettono tanto sull’aumento della percentuale di germinazione, quanto sull’incremento dell’energia germinativa (TMG) e dell’uniformità, che si traduce nella possibilità di ottenere in vivaio una più rapida e omogenea emergenza delle plantule.

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I trattamenti pregerminativi che andremo a considerare, si differenziano tra di loro soprattutto per la durata del processo di germinazione, che si svolge in ambiente artificiale.

1.2 Coldpriming

Questo trattamento si esegue a basse temperature (5-10°C), ponendo il seme su un substrato umido, in modo che esso possa liberamente assorbire acqua ed ossigeno.

L’ambiente nel quale si realizza il trattamento rende possibile l’attivazione del metabolismo, ma il livello termico è inadeguato per consentire l’emissione della radichetta. La durata del trattamento può essere variata in funzione delle temperature adottate e alle esigenze della specie.

Con il coldpriming è possibile ottenere un incremento della velocità e della uniformità di germinazione, anche in condizioni di stress, come osservato su semi di pomodoro. Su semi di lattuga il coldpriming, della durata al massimo di 48 ore, può attenuare i fenomeni di termodormienza che si manifestano al di sopra dei 20°C con una riduzione della percentuale di germinazione (Giulianini et al., 1992).

Secondo alcuni autori con questa tecnica sarebbe possibile conseguire anche un miglioramento della percentuale di germinazione, facendo precedere al trattamento a freddo un periodo di imbibizione a 20°C (Giulianini et al., 1992). Su

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sedano è stato anche visto che è possibile migliorare notevolmente le caratteristiche di germinazione (Nuvoli et al., 1989).

1.3 Soaking e hardening

Il soaking (to soak = imbibire) consiste in una semplice imbibizione prima della semina, dopo la quale i semi possono essere nuovamente disidratati. Nel caso in cui questi siano sottoposti a parecchi cicli di idratazione-disidratazione, il trattamento prende il nome di presowing drought–hardening o semplicemente hardening (to hard = indurire).

È ben risaputo dagli orticoltori che, i semi mantenuti per alcuni giorni ad imbibire al caldo prima di essere seminati, germinano più rapidamente del normale: i semi di pomodoro imbibiti a 25°C per 24 e 56 ore hanno rivelato un anticipo di germinazione rispettivamente di 2,7 e 4,2 giorni a 18°C e di 3,9 e 8,9 giorni a 10°C; i semi di riso imbibiti per 24 ore hanno evidenziato una riduzione del tempo di germinazione, un aumento della percentuale di germinazione, dell’indice di germinazione, dell’energia germinativa e della lunghezza delle radici (Farooq et al., 2006). Semi di Allium porrum posti in atmosfera satura per 30 giorni a 10°C hanno mostrato un T50 di 0,5 giorni rispetto agli 8,5 dei semi non

trattati (Heydecker et al., 1977). Effetti positivi del soaking sulla percentuale di germinazione e sull’emergenza, sono stati ottenuti anche su semi di vigna (Vigna

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caffè (Lima et al., 2001). L’uso di semi imbibiti permette anche la semina in condizioni in cui essa fornisce normalmente scarsi risultati: la percentuale di piantine di pomodoro emerse a 10°C passava così dal 4,2% per i semi non trattati, a più del 60% per i semi già imbibiti (Hennart, 1985).

Gran parte dell’effetto si conserva dopo la disidratazione dei semi, che si rivela normalmente non dannosa per la vitalità del seme se viene prima della divisione e dell’allungamento delle cellule della radichetta; ovviamente la disidratazione riduce l’anticipo di germinazione del tempo necessario alla nuova imbibizione del seme.

È anche possibile che l’alternanza idratazione-disidratazione possa aumentare il vigore dei semi e in particolare che induca una migliore resistenza alle carenze di acqua, alla salinità, all’elevata temperatura o all’invecchiamento (Hennart, 1985; Bravi, 1990); si parla allora di hardening. Come è stato osservato sui semi di cotone, barbabietola e frumento, basta talvolta anche una brevissima idratazione dei semi, dell’ordine di qualche ora o anche di qualche minuto, seguita da una disidratazione, per ottenere un aumento di vigore (Hennart, 1985). Su momordica (Momordica charantia L.) l’idratazione a 50°C e la successiva essiccazione all’aria, ha mostrato un incremento della percentuale e della velocità di germinazione (Wang et al., 2003; Lin et al., 2001).

Occorre riservare la massima attenzione alle condizioni in cui si esegue l’imbibizione; conviene infatti mantenere i semi nelle condizioni ottimali per indurre e mantenere il metabolismo di germinazione. La temperatura ottimale di germinazione è generalmente intorno ai 20°C, ma può variare secondo la specie;

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conviene, per esempio, usare temperature più basse per lo spinacio, ortiva per la quale la temperatura elevata crea problemi di dormienza, mentre per altre specie (peperone, melanzana) è preferibile usare temperature dell’ordine di 25°C (Hennart, 1985).

Tra i diversi modi di imbibire i semi, l’immersione completa nell’acqua non è certamente la migliore soluzione; infatti, quando l’ossigeno disciolto sarà assorbito dal seme, questo si ritroverà in condizioni di asfissia. È preferibile, per esempio, apportare una quantità limitata di acqua che i semi saranno in grado di assorbire in modo da ritrovarsi in aerobiosi alla fine del trattamento. La quantità di acqua che può essere rapidamente assorbita da parte dei semi è diversa a seconda della specie e varia, a seconda dei casi, dal 70% fino al 300% del peso secco dei semi (Hennart, 1985).

Nel caso di piccole quantità di semi, questi possono essere lasciati tra carta bibula o su un substrato di cellulosa; nel caso di grosse quantità si possono usare cilindri riempiti d’acqua e provvisti di un sistema di areazione. Un'altra tecnica, molto lenta ma interessante perché garantisce la presenza di molto ossigeno intorno al seme, è quella di mantenere i semi per 10-12 giorni a 20°C in un’atmosfera al 95% di umidità relativa. (Hennart, 1985).

L’esito positivo dell’imbibizione è spiegato dal fatto che spesso un ostacolo alla germinazione è rappresentato da sostanze che a determinati livelli sono inibitrici; l’acqua diminuendo la loro concentrazione, rimuove l’effetto inibente (Tognoni, 1980).

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Questi trattamenti potrebbero in particolare indurre un complesso meccanismo di stabilizzazione delle membrane. Numerose osservazioni sono state fatte dai ricercatori dei paesi dell’est Europa, dove la tecnica dell’hardening ha dimostrato di essere efficace per aumentare la resistenza del frumento alla siccità (Hennart, 1985).

Il fattore più critico è la durata del periodo d’imbibizione, perché all’avanzare delle germinazione diminuisce la resistenza dell’embrione all’essiccamento. Inoltre, anche se il seme non ha ancora emesso la radichetta, un contatto prolungato con l’acqua, potrebbe compromettere ugualmente la disidratazione; ad esempio l’essicazione del seme di lattuga comporta forti rischi anche dopo poche ore di imbibizione a temperatura ambiente (Currah et al., 1974).

Occorre quindi trovare un sistema che permetta al seme di ricevere una certa quantità di acqua senza controlli laboriosi, evitando l’uscita della radichetta; a tale scopo è possibile aggiungere nel mezzo d’imbibizione alcune sostanze stimolatrici della germinazione come sali minerali e regolatori di crescita (Hennart, 1985; Bravi, 1990). I semi immersi in tali soluzioni, incamerano il soluto come se la soluzione fosse solo di acqua; per tale fatto i processi che si attivano nei semi in presenza di acqua, avvengono ugualmente in presenza di soluzione salina, anche se la presenza dei sali può effettivamente rallentarli.

Altri fattori importanti sono la temperatura e la velocità d’imbibizione e di essiccamento.

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Una tecnica particolare di soaking è il “moisture equilibration”, con la quale l’imbibizione avviene attraverso l’instaurazione di un equilibrio tra il seme e l’ambiente circostante reso saturo di acqua alla temperatura di 20°C. Il più lento assorbimento dell’acqua da parte del seme, che in tal modo si realizza, determina una durata del trattamento piuttosto prolungata, anche se taluni autori riportano che 10-12 giorni sono sufficienti per ottenere risultati apprezzabili su peperone.

La necessità di un accurato e constante controllo della temperatura, per evitare fenomeni di condensazione, dell’umidità del seme, il cui livello di imbibizione non deve essere tale da consentire la germinazione durante il trattamento e il rischio di insorgenza di microrganismi patogeni in un ambiente così favorevole al loro sviluppo, rappresentano i principali limiti del “moisture equilibration” e rendono tale tecnica di scarso interesse applicativo (Heydecker et

al., 1977).

Sui semi delle colture ortive i risultati si sono rivelati molto variabili secondo la specie, la cultivar e il lotto di semi utilizzati. Fino ad oggi sono stati pubblicati moltissimi lavori sull’argomento ma i risultati si sono rivelati estremamente variabili perche le condizioni ottimali del trattamento non sono ancora ben stabilite.

La combinazione di trattamenti che ha ottenuto i maggiori benefici è quella che prevede tre cicli di idratazione-disidratazione; all’aumentare del numero di cicli fino a sei aumenta proporzionalmente il numero di cellule embrionali (Austin et al., 1969). Semi di pomodoro sono stati sottoposti ad un ciclo di imbibizione con una quantità di acqua pari al 70% del loro peso per 24 o

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48 ore a 20°C e successivamente riessiccati all’aria per 24 ore a 20°C. Il ciclo di 24 ore è stato ripetuto 1, 2 e 4 volte, quello di 48 ore 1 e 2 volte; i semi non hanno migliorato ne il T50 ne hanno evidenziato effetti significativi sulla percentuale di

germinazione (Bussel et al., 1976). Sempre su pomodoro, l’alternanza idratazione-disidratazione è risultata una tecnica alternativa per incrementare le performance dei lotti di seme dalle qualità fisiologiche medie, ma non di quelli con elevato vigore (Peñaloza et al., 1993).

Attualmente, dati gli sforzi necessari per ottimizzare i risultati conseguibili, la pratica dell’hardening trova interessanti applicazioni solo a livello sperimentale (Bravi, 1990).

Infine, dal punto di vista scientifico, il fenomeno dell’invigorimento del seme rimane per la maggior parte inspiegabile. Le risposte fisiologiche e biochimiche dei semi sottoposti a trattamenti pregerminativi sono ancora scarsamente comprese; alcuni studiosi suggeriscono che gli effetti dell’idratazione e della disidratazione, siano dovuti a numerosi cambiamenti fisiologici e chimici all’interno del citoplasma quali una maggiore idratazione dei colloidi, una maggiore viscosità ed elasticità del protoplasma e un aumento della temperatura necessaria per la coagulazione delle proteine. È possibile che tali cambiamenti vengano mantenuti nelle cellule e nei tessuti delle piante prodotte da semi sottoposti ad hardening conferendo un’elevata capacità di ritenzione dell’acqua, una maggiore traspirazione e un più efficiente sistema radicale. Tale spiegazione, rimane solo un ipotesi al cui riguardo non tutti gli studiosi sono concordi (Bravi, 1990).

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1.4 Idropriming

Una tecnica pregerminativa molto efficace, è l’idropriming. Il principio fondamentale su cui si basa questo metodo, è analogo a quello dell’osmopriming, e consiste in una imbibizione controllata del seme; a differenza dell’osmopriming però, non si utilizzano soluzioni a diverso potenziale osmotico, ma semplicemente acqua distillata. I semi vengono direttamente immersi, per un certo periodo di tempo e a temperatura ambiente, in recipienti contenenti acqua deionizzata.

Su ginestrino (Lotus corniculatus L.) l’idropriming, testato su due diversi lotti di seme, ha ridotto significativamente il T50, (da 51 a 30 ore per il lotto A e da

80 a 44 ore per il lotto B), il tempo di emergenza (del 18% e del 26% per ciascun lotto rispettivamente) e ha incrementato l’uniformità di emergenza, di germinazione ed il vigore (del 16% per il lotto A e del 145% per il B) (Artola et

al., 2003). Su elicriso (Helichrysum bracteatum L.), l’idropriming per sei giorni a

15°C, ha determinato un aumento della velocità di germinazione (Grzesik et al., 1998).

Questa tecnica ha influito positivamente sulla velocità di germinazione dei semi, talvolta, in maniera superiore all’osmopriming. Lo stabiliscono gli studi condotti su diversi lotti di seme di cipolla di diversa qualità, sottoposti sia a idro che a osmopriming; i risultati dimostrano che l’idropriming ha avuto successo su tutti i lotti di seme, nel promuovere la velocità di germinazione, mentre l’osmopriming ha dato risposte contrastanti (Caseiro et. al., 2004). Lo stesso su

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cavolfiore, dove i semi trattati con idropriming mostrano una germinazione più rapida rispetto a quelli sottoposti ad osmopriming (Fujikura et al., 1993).

Ma l’efficacia dell’idropriming non è soltanto relativa a questo aspetto. Su cece, sono state condotte prove per saggiare l’influenza di questa tecnica sull’attività degli enzimi del metabolismo del saccarosio e dell’azoto nei noduli radicali. Dopo tre anni di trattamenti è risultato che le attività di tali enzimi nei noduli delle piante trattate era maggiore rispetto a quella delle piante test (Kaur et

al., 2006). Su peperone l’idropriming ha incrementato l’attività degli enzimi del

ciclo del gliossilato coinvolti nella conversione dei lipidi in zuccheri durante la germinazione (Pandita et al., 2007).

L’idropriming è anche stato testato per studiare gli effetti sulla germinazione di semi di carota infestati dal fungo Alternaria spp. Ad un aumento della velocità e dell’uniformità di germinazione, si contrappone però un incremento della contaminazione fungina; questo dimostra come sia importante la scelta dei semi che devono essere sottoposti a trattamenti pregerminativi (Tylkowska et al., 2001).

1.5 Osmopriming

Il sopravvenire di uno stress idrico nella fase di germinazione, generalmente, comporta un ritardo nell’emissione della radice, ma, se lo stress è di sufficiente entità, tale evento può essere completamente soppresso (Bravi,

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1990). Partendo da questa semplice osservazione, è stata messa a punto una tecnica pregerminativa denominata osmopriming.

L’interesse del vivaista è quello di ottenere piantine tutte delle stesse dimensioni: un obiettivo che può essere raggiunto attraverso l’osmopriming o condizionamento osmotico, una tecnica, per mezzo della quale, si realizza una imbibizione controllata del seme, ad un livello che consente l’attivazione dei processi germinativi ma che non permette l’emissione della radichetta. L’osmopriming influisce simultaneamente sulla velocità e sulla contemporaneità di germinazione, consentendo la sincronizzazione dell’emergenza.

L’imbibizione del seme viene effettuata attraverso l’uso di soluzioni contenenti un agente a diverso potenziale osmotico; in tali condizioni l’entrata dell’acqua inizia normalmente per effetto della capacità di assorbimento del seme, ma si arresta quando viene raggiunto l’equilibrio tra le pressioni osmotiche interna ed esterna al seme stesso. In questo modo, regolando opportunamente la concentrazione dell’agente osmotico, viene impedita anche la fuoriuscita della radichetta, in quanto, la pressione osmotica non permette la distensione cellulare.

In pratica, i semi iniziano il metabolismo della germinazione finché non trovano una “barriera” che impedisce loro di proseguire, rappresentata dal potenziale osmotico. Durante il trattamento, tutti i semi vengono così gradualmente condotti ad uno stesso stadio (quello appena precedente l’uscita della radichetta), e quindi bloccati; questo consente di uniformare semi dalla diversa risposta germinativa (Giulianini et al., 1992).

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Tali semi, posti in condizioni normali di germinazione, danno origine rapidamente e contemporaneamente ai germinelli. Il fatto che i semi non abbiano emesso la radichetta, permette di disidratarli dopo il trattamento e conservarli per un certo periodo; successivamente, quando saranno posti nel terreno, accade che, la radice, dopo un leggero ritardo, si allunga, mentre lo sviluppo della plantula nel suo insieme viene accelerato.

Molte prove sono state eseguite per sperimentare l’agente osmotico più adatto, la sua concentrazione ideale e la temperatura migliore per effettuare il trattamento. Gli agenti osmotici possono essere di due tipi: organici o minerali.

Il polietileneglicole (PEG), un polimero organico, è l’agente più utilizzato. Il PEG è una sostanza ad alto peso molecolare (si usa generalmente quello di peso molecolare 6000), fisiologicamente inerte, le cui soluzioni sono molto viscose e povere di ossigeno. In tali soluzioni viene ridotta la solubilità e la mobilità dell’ossigeno; in letteratura ritroviamo che questi parametri vengono ridotti con il PEG del 50% e 90% rispetto all’acqua pura (Hennart, 1985; Bravi, 1990).

In bibliografia, si trovano lavori che mostrano gli effetti positivi dell’osmopriming, anche con PEG a diverso peso molecolare. Su grano e orzo sono state condotte prove con PEG 8000 a quattro diversi livelli di potenziale idrico, le quali hanno dimostrato che, il condizionamento osmotico dei semi, aumentava la percentuale di germinazione e diminuiva il tempo di germinazione del 50% ad alto potenziali idrico, con maggiori effetti sul grano (Ghazi, 1998). Trattamenti su riso con PEG 8000, hanno evidenziato un aumento dell’energia

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germinativa, dell’indice di germinazione e una significativa riduzione del TMG (Ruan et al., 2002).

Uno dei vantaggi del PEG ad alto peso molecolare, poiché non penetra nel seme (non è in grado di attraversare la parete cellulare), è quello di essere non tossico anche a concentrazioni di 500 grammi per litro (Hennart, 1985). Per queste sue caratteristiche è stato ampiamente utilizzato in laboratorio, ma l’alto costo connesso all’elevata quantità richiesta (per ottenere una pressione osmotica di -15 bars, a 15°C ne occorrono circa 300 g. per litro di acqua), ne limitano la possibilità di impiego, senza tener conto dei problemi di smaltimento che tali soluzioni potrebbero porre (Giulianini et al., 1992).

Possono anche essere impiegati i sali minerali come KNO3, K3PO4,

K2HPO4 e MgSO4. I sali come agenti osmotici, sono stati usati fin dal 1943 da

Lewitt e Hamm, ma gli studi sono stati ripresi solo nel 1963 con Ellis, il quale ha dimostrato che l’effetto del trattamento non dipende dal sale usato (Giulianini et

al., 1992). L’uso dei sali non presenta taluni inconvenienti visti per il PEG (non

riducono la disponibilità di ossigeno) e permettono per certe specie risultati migliori. Dagli studi svolti da alcuni autori su lattuga (Cantliffe, 1981), peperone (Hennart, 1983), zucca da zucchini (Mauromicale et al., 1991), asparago (Nuvoli

et al., 1989), pomodoro (Mauromicale et al., 1995-1997; Cavallaro et al., 1991) e

su alcune graminacee (F. arundinacea e D. glomerata) (Mauromicale et al., 1996), i sali si sono rivelati migliori del PEG in quanto aumentano la rapidità e la contemporaneità della germinazione. L’effetto superiore è presumibilmente dovuto alla presenza dei nitrati durante l’imbibizione, che possono fornire, nel

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caso del condizionamento, un substrato addizionale per la sintesi di aminoacidi e proteine. (Giulianini et al., 1992). I sali minerali si sono rilevati tossici alle concentrazione più elevate.

Alcuni sali possono avere un proprio ruolo come stimolatori di germinazione: così il KNO3, raccomandato dall’Ista per superare la dormienza di

alcuni semi. Soprattutto le soluzioni saline permettono, rispetto a quelle di PEG, un migliore assorbimento dell’acqua e dell’ossigeno da parte del seme. I semi di lattuga si imbibiscono, per esempio, più in una soluzione di K3PO4 che in una

soluzione di PEG a pressione osmotica identica. L’aumento del peso dopo nove ore d’imbibizione è, a seconda delle cultivar, da 1,4 a 2,4 volte superiore nel caso del K3PO4 rispetto al PEG (Hennart, 1985).

Possono essere impiegate anche altre sostanze a basso peso molecolare come certi zuccheri (mannitolo). È il caso di prove condotte su cece, relative, non tanto alla rapidità e alla percentuale di germinazione, quanto all’influenza sugli enzimi del metabolismo del saccarosio e dell’azoto nei noduli radicali (Kaur et al., 2006). Dopo tre anni di trattamenti è risultato che, le attività di tali enzimi nei noduli delle piante trattate con mannitolo al 4%, era maggiore rispetto a quella delle piante test, e di conseguenza, si aveva anche un aumento della biomassa. Semi di caffè privati dell’endocarpo, sono stati trattati sia con mannitolo che con PEG 6000 per testare l’imbibizione; il PEG ha dato migliori risultati come agente idratante (Lima et al., 2003).

Durante il trattamento deve essere posta molta attenzione alla pressione osmotica utilizzata, alla temperatura e alla durata dell’imbibizione. Non si

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possono dare dei dati standard per ognuno di questi parametri, in quanto, sono variabili a seconda delle caratteristiche delle diverse specie, e nell’ambito di queste, delle varietà. Il controllo che, attraverso le soluzioni osmotiche si realizza sulla germinazione, risulta dall’interazione di questi tre fattori, uno dei quali, la pressione osmotica, è direttamente influenzata dalla concentrazione e dalla natura dell’agente osmotico impiegato (per il rapporto tra concentrazioni e pressioni si veda la tabella n. 1) (Hennart, 1985; Bravi, 1990).

Le pressioni abitualmente utilizzate variano da -5 a -14,4 bars, secondo il tipo di seme, la durata e la temperatura del trattamento. Per trovare la pressione da utilizzare conviene, una volta stabilite la durata e la temperatura approssimative del trattamento, provare tutta una gamma di concentrazioni. Alla luce di questi primi risultati, si scarteranno tutte le pressioni troppo basse, che non abbiano completamente impedito l’emissione della radichetta, e quelle troppo elevate, che non abbiano permesso un buon svolgimento del processo germinativo, avendo rallentato e limitato l’entrata dell’acqua (Hennart, 1985), oppure che abbiano creato problemi di tossicità, che si manifestano con una riduzione della percentuale di germinazione o addirittura una precoce germinazione durante il trattamento stesso (Bravi, 1990).

(25)

Pressione osmotica

(bars)

Concentrazione (grammi di PEG 6000

per litro di acqua)

4 162 5 181 6 205 7 224 8 239 9 258 10 272 11 289 12 300 13 315 14 328

Tabella n. 1. Corrispondenza tra concentrazione e pressione osmotica del PEG (PM = 6000). È stata utilizzata la formula di Kaufmann e Michel (1973). I calcoli sono stati effettuati per la temperatura di 15° C.

Per la determinazione della pressione osmotica delle soluzioni saline si fa riferimento alla legge generale dei gas (PV=nRT) che non è applicabile alle soluzioni contenti PEG.

La temperatura deve essere rigorosamente controllata durante tutto il trattamento. Le condizioni di temperatura alle quali far avvenire il trattamento, corrispondono normalmente, a valori di qualche grado inferiori alla temperatura ottimale per la germinazione e variano in un intervallo compreso tra 10°C e 25°C. Secondo prove effettuate presso vari istituti, si è verificato che, la temperatura ottimale è di 15°C, ma può variare a seconda della specie. Studi condotti su sorgo dimostrano che l’osmopriming del seme ha funzionato meglio, in termini di velocità di germinazione, alle temperature più basse (inferiori a 10°C) (Foti et al., 2002). Temperature troppo basse rallentano eccessivamente l’attivazione del processo germinativo, al contrario, quelle troppo elevate, possono causare

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l’emissione della radichetta nel corso del trattamento e favorire lo sviluppo di microrganismi indesiderati (Giulianini et al., 1992; Bravi, 1990).

Si è osservato, in generale, che queste temperature leggermente sub ottimali per la germinazione, permettono di ottenere un migliore risultato sulla velocità e sulla contemporaneità di germinazione (forse la loro azione contribuisce ad impedire ai semi più vigorosi di germinare addizionandosi all’azione della pressione osmotica).

L’effetto è ovviamente legato anche alla durata del trattamento, che viene determinata in relazione alle esigenze specifiche della specie e della varietà (da poche ore a diversi giorni) (Hennart, 1985). Poiché la durata è inversamente correlata alla temperatura, è possibile ottenere risultati equivalenti combinando opportunamente i parametri (Giulianini et al., 1992); più si prolunga il trattamento, più si ottiene un anticipo della germinazione. Come regola, a un dato potenziale osmotico, una diminuzione della temperatura richiede un trattamento più prolungato; viceversa ad una data temperatura, un aumento del potenziale osmotico consente di ridurre la durata del trattamento.

I valori ottimali relativi ai fattori che concorrono alla riuscita del trattamento variano notevolmente a seconda della specie. L’effetto massimo si ottiene, per esempio, dopo 20 giorni per i semi di cipolla a 20°C in una soluzione di PEG a -12,5 bars (Hennart, 1985); per i semi di pomodoro posti in una soluzione di PEG, la durata ottimale è di 10 giorni alla pressione osmotica di -7,5 bars e di 15 giorni alla pressione di -10 bars. I semi di peperone sottoposti a priming con KNO3 al 3% per 48 ore germinano, a 15°C, sei giorni prima rispetto

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ai semi non trattati. I semi di lattuga trattati a 15°C per sei giorni con una soluzione di KNO3 a -8 bars risultano germinare a 8°C con quasi due giorni di

anticipo rispetto al testimone e inoltre viene quasi annullato il fenomeno della dormienza che si verifica ad elevate temperature (Bravi, 1990).

Gli studi eseguiti presso l’Istituto di miglioramento genetico e produzione delle sementi di Torino, sembrano dimostrare, che esistono differenze significative nel comportamento da una cultivar all’altra della stessa specie. È ovvio che, la durata del trattamento, dovrà essere abbastanza lunga per permettere a tutti i semi di compiere o quasi la totalità del loro processo di germinazione. Da un punto di vista pratico, ci si potrebbe basare sulla durata prevista per le analisi ufficiali della germinabilità. Se si prosegue il trattamento oltre ad un certo limite, si può creare una situazione di stress che, provoca una diminuzione del vigore dei semi o, anche, assistere alla germinazione di alcuni semi che riuscirebbero a superare la barriera osmotica. È molto importante considerare come indispensabile la presenza di una quantità sufficiente di ossigeno nel mezzo di imbibizione (Hennart, 1985).

Il trattamento viene eseguito per immersione diretta del seme nella soluzione (salina o a base di PEG) in capsule Petri, secondo i tempi e le temperature previsti per ciascuna specie. L’utilizzazione della tecnica dell’osmopriming sembra poter essere presa in considerazione soltanto dalle ditte sementiere poiché richiede personale e attrezzature specializzati. Pertanto la ricerca di un modo di conservazione adeguato è indispensabile alla commercializzazione dei semi trattati.

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Al termine del condizionamento, il seme, dopo essere stato lavato in acqua corrente, può essere immediatamente utilizzato o asciugato così da rendere possibile la semina meccanica. L’asciugatura offre il vantaggio di poter conservare il seme trattato anche per alcuni mesi dopo il condizionamento, non solo in presenza di basse temperature, ma anche in condizioni ambientali non controllate.

In generale, gran parte dell’invigorimento del seme, si conserva dopo la disidratazione; in particolare l’effetto del trattamento sul tempo di germinazione si conserva per l’80-90% (Hennart, 1985; Bravi, 1990). Sui semi di sedano l’aumento della velocità di germinazione indotto dal trattamento osmotico, si è mantenuto anche dopo sei mesi di conservazione (Nuvoli et al., 1991). L’asciugatura provoca sul seme un’attenuazione dell’effetto che il trattamento determina sulla velocità di germinazione: la maggiore lentezza della germinazione del seme trattato e asciugato rispetto a quello umido, viene attribuita al tempo occorrente per la reimbibizione dei tessuti seminali (Heydecker et al., 1977; Demir et al., 1999); in ogni caso non si vanifica il positivo effetto che il trattamento consegue sulle caratteristiche germinative in termini di uniformità e TMG (Giulianini et al., 1992; Hennart, 1985). Mediamente si ottiene un aumento della velocità di germinazione del 40% (Bravi, 1990).

Ovviamente, questo modo di conservazione va considerato soltanto per i semi che non hanno superato lo stadio di reversibilità dell’idratazione. Tale stadio risulta inoltre molto difficile da definire e in ogni modo avviene prima che compaia l’apice del germinello. Sul peperone in alcuni casi (trattamenti troppo

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lunghi, pressioni osmotiche troppo basse) si sono osservati, dopo disidratazione, un calo del vigore e del potere germinativo, entrambi correlati ad un aumento della proporzione di semi con apice radicale necrotizzato (Hennart, 1983).

Il metodo di disidratazione, la durata e la modalità di conservazione del seme influenzano i risultati conseguiti con il priming. Semi di pomodoro trattati con i sali e conservati a temperature elevate, hanno manifestato una più rapida perdita del vigore rispetto al seme non trattato. Nel caso del sedano, dopo sei mesi dal trattamento con KNO3 + K3PO4, i semi conservati a 15°C e a 20°C, hanno

manifestato una drastica riduzione della percentuale di germinazione (Nuvoli et

al., 1991). Utilizzando un flusso d’aria a temperatura variabile per disidratare i

semi di carota, cipolla e sedano, si ottengono migliori risultati a 15° C che a 30° C (Hennart, 1985).

Il metodo dell’essiccamento lento dei semi a temperatura ambiente (20°C), forse perché prolunga la durata del trattamento, sembra fornire i migliori risultati (Hennart, 1985; Bravi, 1990). Per esempio, l’essiccamento dei semi di lattuga in stufa a 32° C si è rivelato più sfavorevole rispetto a quello eseguito nelle condizioni ambientali del laboratorio.

Sul peperone le prove effettuate dimostrano che la temperatura di disidratazione non influisce sulla germinazione dei semi. Risulta possibile l’uso della temperatura di 35°C in modo da affrettare la disidratazione.

Una volta disidratati, i semi possono essere conservati, senza che si osservi perdita significativa dell’effetto dell’osmopriming. I semi di prezzemolo, spinacio e peperone conservati a temperatura ambiente per rispettivamente 4, 10 e

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16 settimane sono risultati germinare ancora molto più velocemente del testimone (Hennart, 1983). I semi di pomodoro trattati con il PEG conservano l’effetto del priming sulla velocità di germinazione per almeno 18 mesi se il seme è conservato a 20°C o a temperature inferiori (Bravi, 1990); a 10°C la riduzione del T50 indotta

dal PEG 6000 su panico si mantiene per più di due mesi (Usberti et al., 1997). La conservazione può anche essere eseguita al freddo senza disidratazione.

I semi trattati con osmopriming germinano o emergono sempre prima di quelli non trattati. Inoltre, quando le condizioni di germinazione sono sfavorevoli, in particolare in presenza di temperature troppo basse o troppo alte, l’aumento del vigore dei semi permette un notevole aumento del potere germinativo o della percentuale d’emergenza. Si osserva, per esempio, che i semi di carota o di pomodoro germinano bene persino a 5°C e 8°C rispettivamente e quelli di spinacio a 30°C. Le diverse prove di osmopriming effettuate per due anni, sia sulla lattuga che sul peperone, usando il KNO3 come agente osmotico,

confermano la validità della tecnica. I semi di lattuga sottoposti a trattamento risultano germinare a 8°C con quasi due giorni d’anticipo rispetto al testimone, mentre non si verifica quasi più il fenomeno di dormienza alla temperatura di 35°C (Giulianini et al., 1992; Hennart, 1985).

L’uso della tecnica dell’osmopriming sul peperone permette anche di anticipare la germinazione e l’emergenza delle piantine. La germinazione dei semi trattati per osmopriming, anche se viene notevolmente anticipata, si svolge nella maggior parte dei casi in modo del tutto normale. Si è però osservato un caso in cui il trattamento è risultato favorire sui semi di lattuga un comportamento del

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tutto anormale. L’osmopriming permette un notevole anticipo della contemporaneità della germinazione, ma purtroppo questo effetto non sempre sembra influire sull’uniformità dell’emergenza (Hennart, 1985). L’osmopriming è una tecnica certamente molto interessante per i numerosi vantaggi che arreca nella fase della germinazione e nei successivi stadi di sviluppo aumentando soprattutto il vigore e garantendo una crescita uniforme delle piantine. Pertanto, visto la possibilità di conservare il seme trattato, esso può essere preso in considerazione dalle ditte sementiere che potrebbero mettere direttamente in commercio semi pregerminati.

Attualmente i sempre più elevati standard qualitativi richiesti dal mercato delle sementi ortive hanno suscitato un nuovo interesse per tali tecniche rendendone praticabile tecnicamente ed economicamente l’impiego su diverse specie ortive (lattuga, cicoria, pomodoro, peperone e melanzana). I vivaisti e gli orticoltori, infatti, richiedono non solo del seme con elevate capacità germinative, ma anche con elevate caratteristiche di vigore. Fino ad oggi tali tecniche si sono dimostrate praticabili solo per le specie ortive a seme piccolo mentre per le specie da pieno campo a seme grosso (cereali, leguminose), i costi non compensano i benefici conseguibili.

1.6 Fluid drilling e plug mix

Con il fluid drilling e il plug mix, si prosegue il trattamento oltre l’uscita della radichetta. L’uso di semi già germinati permette di diminuire al massimo il

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tempo necessario all’emergenza delle piantine. Tale tempo risulta anche notevolmente ridotto rispetto ai casi in cui siano utilizzati semi già germinati (Hennart, 1985).

Per questo trattamento si pone un problema nuovo: quello di ottenere, al momento della semina, un campione più omogeneo possibile con il maggior numero di semi germinati, ma al contempo con una minima parte di semi che presentino radichette troppo lunghe. La lunghezza ottimale delle radici è di 1-3 mm.; quelle troppo lunghe (superiori a 5 mm.) rischiano di rompersi durante la semina.

Al fine di aumentare la rapidità e l’omogeneità dell’emissione della radichetta, potrebbe essere molto utile usare semi precedentemente trattati per osmopriming o coldpriming.

I semi appena germinati, sono dispersi in una certa quantità di gel e successivamente distribuiti mediante seminatrici appositamente realizzare per questa tecnica. I gel principalmente utilizzati sono di diversi tipi: alginato di sodio (Agrigel), argilla sintetica (laponita), polimero d’acrilica, agar o derivato dell’idrossietil cellulosa (natrasol). La natura del gel e la concentrazione possono influire sull’emergenza (Hennart, 1985).

La tecnica del fluid drilling fornisce generalmente risultati migliori delle altre tecniche nel campo dell’anticipazione dell’emergenza e della sua uniformità; però implica, al momento dell’inizio dell’imbibizione, la scelta della data precisa della semina. Nel caso in cui questa debba essere rimandata, sembra sia possibile conservare al freddo i semi già germinati (Hennart, 1985).

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In quasi tutte le specie considerate, la tecnica del fluid drilling ha permesso un’emergenza precoce anche in condizioni di temperatura sfavorevoli, un migliore sviluppo delle piantine e una maggiore resa. Con questa tecnica, i semi di sedano, pomodoro e cetriolo che, pur esigono temperature piuttosto alte per la germinazione, possono emergere in pieno campo in tempi brevi anche a temperature inferiori (Darby et al., 1980).

Con la tecnica del plug mix, i semi vengono fatti germinare in una certa quantità di torba o di terriccio e poi distribuiti sul terreno. Ottimi risultati sono stati ottenuti su lattuga e scarola, per le quali la germinazione dei semi in una miscela di torba e perlite, ha permesso un notevole aumento del vigore delle piantine (Hennart, 1985).

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CAPITOLO 2

Materiali e metodi

La ricerca è stata condotta nel biennio 2008-2009 presso il “Laboratorio di Ricerca ed Analisi delle Sementi” (LARAS) del Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’agroecosistema (DAGA) dell’ Università di Pisa.

Al fine di saggiare la germinabilità ed il tempo medio di germinazione in ambiente controllato di laboratorio, sono state impiegate le seguenti specie ortive:

Petroselinum crispum (Mill.) Fuss (varietà Prezzemolo gigante d’Italia Capua), Apium graveolens L. (varietà Sedano verde che imbianca da solo), Daucus carota

L. (varietà Nantese migliorata 2 o Nantese di Chioggia 2), Allium cepa L. (varietà Cipolla agostana bianca di Choggia-Serba) e Spinacia oleracea L. (varietà Spinacio Matador); i campioni di seme utilizzato, sono stati forniti dalla ditta SAIS. La scelta delle ortive è stata effettuata prendendo in considerazione le specie caratterizzate da tempi lunghi di germinazione.

Le tesi poste a confronto per ciascuna specie, (tabella n. 1), sono state eseguite secondo diverse modalità. Ogni tesi era costituita da quattro repliche di 100 semi. Riguardo alle varie metodologie adottate, alle temperature e alla durata dei trattamenti, sono stati presi come riferimento i suggerimenti delle norme I.S.T.A. (International Seed Testing Association, 2005).

Le prove sono state effettuate utilizzando capsule Petri di 15 cm. di diametro, all’interno delle quali i semi venivano posti a germinare su carta da

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trattamento previsto; durante la sperimentazione per mantenere le condizioni di umidità adeguate al processo di germinazione veniva aggiunta acqua distillata.

Al fine di evitare perdite di umidità, le capsule sono state avvolte in buste di polietilene trasparente e poste in armadi climatici provvisti di termo e fotoregolazione. L’illuminazione è stata fornita da lampade a luce bianca fredda (Osram 18w/20, 50 µmoli di fotoni m-2 s-1 come Photosynthetic Active Radiation).

Tabella n. 1. Trattamenti effettuati sulle specie in prova.

2.1 Testimone

Per Spinacia oleracea e Allium cepa i test sono stati effettuati ad una temperatura costante rispettivamente di 15°C e 20°C, mentre per Petroselinum

Specie Tesi Petroselinum crispum Apium graveolens Daucus carota Allium cepa Spinacia oleracea Testimone * * * * * Idropriming * * * * *

Trattamento con KNO3 a

20° C

* * * * *

Trattamento con PEG

(-9 bar) a 15° C *

Trattamento con PEG

(-10 bar) a 15° C * * * *

Trattamento con PEG

(-12 bar) a 15° C *

Trattamento con PEG

(-13 bar) a 15° C * *

Trattamento con PEG

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crispum, Apium graveolens e Daucus carota, a temperatura alternata: 20°C per 16

h in presenza di luce e 30°C per 8 h in assenza di luce.

Nel caso di Spinacia oleracea e Allium cepa, i semi sono stati precedentemente prerefrigerati alla temperatura di 4°C per quattro e due giorni rispettivamente.

I risultati ottenuti da queste prime indagini sono stati considerati come testimoni per le successive analisi.

2.2 Idropriming

Per ciascuna specie, prima di eseguire la prova di germinazione, 4 grammi di seme, sono stati posti ad imbibire in piccoli recipienti di plastica contenenti acqua distillata, per due giorni in condizioni di temperatura ambiente. Dopodiché i semi sono stati subito messi a germinare.

2.3 Trattamento osmotico con soluzione di KO

3

Per l’imbibizione è stata impiegata una soluzione al 2% di KNO3,

preparata sciogliendo 20 grammi di sale in 1 litro di acqua deionizzata. Per ciascuna specie sono stati pesati 4 grammi di seme, posti poi a imbibire direttamente in una capsula Petri, ricoperti completamente con tale soluzione,

(37)

plastica. Le capsule e il contenitore, sono state lasciate in armadio termoclimatico per una settimana, alla temperatura costante di 20°C e, giornalmente, agitate per evitare eventuali carenze di ossigeno.

Trascorso questo periodo, i semi sono stati sciacquati sotto acqua corrente per 3 minuti, asciugati, posti su carta assorbente e lasciati ad essiccare per 3 giorni in armadio termoclimatico alla temperatura di 30°C. Alla fine del trattamento i semi, in parte, sono stati posti a germinare e in parte conservati a temperatura ambiente in contenitori chiusi e a distanza di tre mesi sono stati di nuovo testati.

2.4 Trattamento osmotico con soluzione di PEG

Per i nostri trattamenti è stato impiegato il polietileneglicole 6000 [HO(C2H4O)nH]. Per conoscere le quantità opportune di agente osmotico da

sciogliere in acqua distillata per ottenere le diverse pressioni osmotiche necessarie per le nostre prove (-9, -10, -12, -13, -14 bars), ad una data temperatura, abbiamo fatto riferimento alla formula di Michel (1973):

[4-(5,16 P x T -560P +16)0,05]

PEG

=

258T-280

T = temperatura in °C, P = pressione in bar,

(38)

Per l’imbibizione dei semi, si è proceduto come nel caso del trattamento osmotico con KNO3, ponendone quattro grammi in capsule Petri per ciascuna

specie (foto n. 1), fatta eccezione per Allium cepa, i cui semi sono stati immersi in un contenitore di plastica riempito con la soluzione. Le capsule e il contenitore, sono state lasciate in armadio termoclimatico, alla temperatura costante di 15°C, per periodi di tempo diversi (tabella n. 2), a seconda della pressione osmotica utilizzata e, ad intervalli di qualche giorno, agitate per evitare eventuali carenze di ossigeno.

Foto n. 1: semi di spinacio trattati con soluzione a base di PEG 6000.

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in armadio termoclimatico alla temperatura di 30°C. Trascorso questo periodo, i semi, in parte, sono stati posti a germinare e in parte conservati a temperatura ambiente in contenitori chiusi e a distanza di tre mesi sono stati di nuovo testati.

Specie Tesi Petroselinum crispum Apium graveolens Daucus carota Allium cepa Spinacia oleracea

Trattamento con PEG

(-9 bars) a 15° C 7 giorni

Trattamento con PEG

(-10 bars) a 15° C 10 giorni 14 giorni 14 giorni 14 giorni

Trattamento con PEG

(-12 bars) a 15° C 12 giorni

Trattamento con PEG

(-13 bars) a 15° C 10 giorni 15 giorni

Trattamento con PEG

(-14 bars) a 15° C 14 giorni

Tabella n. 2. Durata del trattamento effettuato nelle specie in esame.

La durata delle prove di germinazione è stata di 12 giorni per Allium cepa, 14 giorni per Daucus carota, 21 per Spinacia oleracea e Apium graveolens e 28 giorni per Petroselinum crispum. Durante questi periodi, a giorni alterni, si è operata la conta dei semi germinati, considerando germinato quel seme che aveva emesso la radichetta di lunghezza superiore od uguale alla dimensione del seme stesso.

Utilizzando i risultati ottenuti, si è andati quindi a calcolare la germinabilità dei semi (Hartmann e Kester, 1990), l’Energia germinativa espressa come Tempo Medio di Germinazione (T.M.G.) secondo la formula di Ellis and Roberts, 1981, il Tempo di Germinazione al 50% (T50) secondo la formula di

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Coolbear et al., 1984 modificata da Farooq et al., 2005 e l’Indice di Germinazione (GI) secondo la formula dell’Association of Official Seed Analysts (1983):

T.M.G. = ΣΣΣΣ(n x g)/

n = numero di semi nati per ciascun giorno, g = numero di giorni impiegati a germinare,  = numero complessivo dei semi germinati.

(/2 - ni) x (tj-ti) T50 = ti +

nj – ni

 = numero finale di semi germinati,

ni e nj = numero di semi germinati rispettivamente a ti. e tj,

ti. e tj = numero di giorni trascorsi corrispondenti al numero di semi germinati

rispettando: ni <n/2< nj.

GI= ΣΣΣ(n/g) Σ

n = numero di semi nati per ciascun giorno, g = numero di giorni impiegati a germinare.

I due parametri, percentuale di germinazione ed energia germinativa, sono stati misurati aderendo alle indicazioni dell’International Rules for Seed Testing (2005) e ai Metodi Ufficiali di Analisi per le Sementi (1992).

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2.5 Analisi statistica

I dati ottenuti dalla sperimentazione sono stati sottoposti all’analisi della varianza, previa trasformazione dei valori percentuali in valori angolari secondo la formula di BLISS (Bliss, 1937). I vari parametri sono stati elaborati secondo due schemi sperimentali: blocco randomizzato e fattoriale AxB (Gomez and Gomez, 1984).

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CAPITOLO 3

Scopo della tesi

I trattamenti pregerminativi del seme sono stati affrontati in campo nazionale ed internazionale soprattutto negli anni ’90, quando sia le ditte sementiere che la sperimentazione, affrontarono questo problema con ricerche molte volte valide ma, anche, spesso dettate da necessità di mettere in commercio prodotti stimolanti la germinazione a caro prezzo ma di dubbia efficacia.

Il numero delle industrie sementiere sia nazionali che internazionali nell’ultimo ventennio è notevolmente diminuito ed ormai la grande commercializzazione del seme è in mano a poche multinazionali che hanno preferito rivolgere la ricerca sulla costituzione di varietà o ibridi rispondenti alle esigenze del mercato che non alla tecnologia sementiera.

Il settore tecnologico ormai è stato quasi abbandonato ed è rimasto esclusivamente quello relativo alla creazione di nuove varietà più produttive, più richieste e in linea generale “innovative”.

La bibliografia internazionale mostra chiaramente quanto sopra descritto. Il presente lavoro ha voluto soffermarsi su alcuni aspetti inerenti proprio la tecnologia sementiera atti ad esaltare le caratteristiche germinative di alcune specie che, usate essenzialmente in pieno campo, mostrano caratteristiche di lenta germinazione. Tale aspetto è da considerarsi negativo in quanto sono proprio le prime fasi di crescita delle piante che influiscono sulla produzione. Accorciare la

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negative biotiche ed abiotiche ed avere anche una maggiore uniformità nelle prime fasi di crescita, cosa che permette un miglior controllo delle infestanti ed una produzione più uniforme e qualitativamente migliore.

Quando poi, per ragioni di vivaismo, si opera in ambiente protetto, completare il ciclo di produzione delle piantine in termini più brevi da anche la possibilità di risparmiare sull’energia che, in generale, serve a compiere un ciclo produttivo. E’ evidente che tutti i trattamenti effettuati non devono e non possono tendere ad innalzare le caratteristiche di germinabilità di un singolo lotto di seme, cosa che non è perseguibile se non eliminando eventuali fenomeni di dormienza.

Quello che si è cercati di evidenziare è un miglioramento delle caratteristiche qualitative per quanto riguarda la velocità del processo di germinazione.

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CAPITOLO 4

Risultati e discussione

4.1 Germinabilità

Cipolla

Osservando il grafico n. 1 emerge che, in questa varietà di cipolla, la percentuale di germinazione rilevata nel testimone (96%) è risultata più elevata rispetto agli altri trattamenti analizzati. Discreti risultati sono stati ottenuti con la tesi trattata con PEG 12, nella quale si evidenzia a distanza di circa tre mesi dal trattamento, una percentuale di germinazione statisticamente uguale a quella del testimone. L’impiego delle altre sostanze non ha evidenziato alcuna differenza significativa e la germinabilità ottenuta evidenzia valori compresi tra 81% (idropriming) e 74% (PEG 10).

(45)

Per ciascun parametro analizzato, i valori contrassegnati da lettere uguali non sono significativamente diversi tra loro per P < 0,01.

* Si fa riferimento a prove ripetute dopo tre mesi circa dal trattamento iniziale.

Grafico n. 1. Effetto dell’impiego di diversi trattamenti sulla percentuale di semi germinati.

Spinacio

Dai dati riportati in tabella n. 1, possiamo osservare come la maggiore percentuale di germinazione, sia quella del testimone (94%). Buoni risultati sono stati ottenuti con la tesi trattata con PEG 13, nella quale, a distanza di circa tre mesi dal trattamento, non si rilevano differenze significative rispetto alle prove con idropriming e PEG 13. L’impiego del KNO3 è risultato la tesi peggiore tanto

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Testimone Idropriming KNO3 PEG 12 PEG 10 KNO3 * PEG 12 * PEG 10 *

Trattamenti A C C B C C AB C G er m in a b il it à ( % )

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da abbattere la percentuale di germinazione al 15% dopo circa tre mesi dalla prova iniziale. TRATTAMETI GERMIABILITA’ (%) Testimone 93,55 A Idropriming 84,00 B KNO3 57,25 C PEG 13 78,69 B PEG 13 * 74,75 B KNO3 * 14,75 D

Per ciascun parametro analizzato, i valori contrassegnati da lettere uguali non sono significativamente diversi tra loro per P < 0,01.

* Si fa riferimento a prove ripetute dopo tre mesi circa dal trattamento iniziale.

Tabella n. 1. Effetto dell’impiego di diversi trattamenti sulla percentuale di semi germinati.

Carota

In questa varietà di carota, come possiamo dedurre dai dati riportati nel grafico n. 2, emerge che la percentuale di germinazione osservata nel trattamento con idropriming (93%) è la migliore rispetto alle altre tesi analizzate. Risultati interessanti sono stati ottenuti con il trattatamento con PEG 9, per cui non si rilevano differenze significative, a distanza di circa tre mesi dal trattamento, nella percentuale di germinazione rispetto a quella del testimone e dell’idropriming. L’impiego di KNO3, PEG 9 e PEG 10, ha dimostrato una percentuale di

germinazione statisticamente uguale e la germinabilità ottenuta evidenzia valori compresi tra 85% (PEG 9) e 81% (PEG 10). Infine non si rilevano differenze

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significative nella percentuale di germinazione delle prove con PEG 10 e KNO3

dopo circa tre mesi dal trattamento.

Per ciascun parametro analizzato, i valori contrassegnati dalettere uguali non sono

significativamente diversi tra loro per P < 0,01.

* Si fa riferimento a prove ripetute dopo tre mesi circa dal trattamento iniziale.

Grafico n. 2. Effetto dell’impiego di diversi trattamenti sulla percentuale di semi germinati.

Sedano

In questa specie non sono state evidenziate differenze significative in ordine a tutti i trattamenti saggiati: il numero di semi germinati è variato tra 92 e 97. Soltanto nel caso in cui il seme, precedentemente trattato con KNO3, è stato

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Testimone Idropriming PEG 9 KNO3 PEG 10

PEG 10 * PEG 9 * KNO3 * Trattamenti AB A BCD BCD BCD D ABC CD G er m in a b il it à ( % )

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dopo circa tre mesi posto a germinare nelle medesime condizioni, la percentuale di germinazione è scesa al 63, mostrando una differenza fortemente significativa rispetto alle altre tesi.

TRATTAMETI GERMIABILITA’ (%) Testimone 96,00 A Idropriming 94,75 A KNO3 92,36 A PEG 10 95,20 A PEG 14 92,18 A PEG 10 * 96,75 A PEG 14 * 96,67 A KNO3 * 63,25 B

Per ciascun parametro analizzato, i valori contrassegnati da lettere uguali non sono significativamente diversi tra loro per P < 0,01.

* Si fa riferimento a prove ripetute dopo tre mesi circa dal trattamento iniziale.

Tabella n. 2. Effetto dell’impiego di diversi trattamenti sulla percentuale di semi germinati.

Prezzemolo

Secondo quanto riportato nel grafico n. 3, la maggior percentuale di germinazione di questa specie, è rappresentata dal trattamento con PEG 10 (79%); non si rilevano differenze significative nel numero di semi germinati rispetto al testimone e all’idropriming. Una percentuale di germinazione statisticamente uguale, si riscontra nelle tesi trattate con PEG 13 (72%), KNO3 (75%) e nei

trattamenti con PEG 10 e KNO3 ripetuti a distanza di circa tre mesi, in cui la

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semi germinati risulta inferiore nella prova in cui il seme, precedentemente trattato con PEG 13, è stato posto a germinare nelle medesime condizioni dopo circa tre mesi; in questo caso la percentuale di germinazione è del 64.

Per ciascun parametro analizzato, i valori contrassegnati dalettere uguali non sono

significativamente diversi tra loro per P < 0,01.

* Si fa riferimento a prove ripetute dopo tre mesi circa dal trattamento iniziale.

Grafico n. 3. Effetto dell’impiego di diversi trattamenti sulla percentuale di semi germinati.

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Testimone Idropriming PEG 13 PEG 10

KNO3 PEG 13 * PEG 10 * KNO3 * Trattamenti A A AB A AB B AB AB G er m in a b il it à ( % )

Figura

Tabella  n.  1.  Corrispondenza  tra  concentrazione  e  pressione  osmotica  del  PEG  (PM  =  6000)
Tabella n. 1. Trattamenti effettuati sulle specie in prova.
Foto n. 1: semi di spinacio trattati con soluzione a base di PEG 6000.
Tabella n. 2. Durata del trattamento effettuato nelle specie in esame.
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