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Case affettuose

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Academic year: 2021

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il cielo

in trentatré

stanze

Cronache di architetti #restati a casa

a cura di

Federico Bilò Riccardo Palma

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ISBN 978-88-6242-451-6 Prima edizione Giugno 2020 © LetteraVentidue Edizioni

È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Progetto grafico: Francesco Trovato

Impaginazione: Stefano Perrotta LetteraVentidue Edizioni Srl Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa, Italia www.letteraventidue.com

Questo volume è stato realizzato grazie al contributo

del Politecnico di Torino e e dell’Ateneo “G. D’Annunzio” di Chieti

Collana Alleli / Research Comitato scientifico

Edoardo Dotto (ICAR 17, Siracusa) Nicola Flora (ICAR 16, Napoli) Antonella Greco (ICAR 18, Roma) Bruno Messina (ICAR 14, Siracusa) Stefano Munarin (ICAR 21, Venezia) Giorgio Peghin (ICAR 14, Cagliari)

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il cielo in trentatré stanze

Cronache di architetti

#restati

a casa

a cura di

Federico Bilò e Riccardo Palma

con scritti di:

Giulio Barazzetta Federico Bilò Enzo Calabrese Antonio Clemente Isabella Cipolla e Luigi Coccia

Francesco Collotti Giovanni Corbellini Claudia Del Colle e Francesco Orofino

Susanna Ferrini Filippo Lambertucci Sara Marini Mauro Marzo Gabriele Mastrigli Paolo Mellano Maurizio Meriggi Paola Misino Luca Molinari Luca Montuori Manuel Orazi Riccardo Palma Valerio Palmieri Costantino Patestos Giorgio Peghin Pisana Posocco Domenico Potenza Carlo Prati Sara Protasoni Carlo Ravagnati Andrea Sciascia Fabrizio Toppetti Marco Trisciuoglio Alberto Ulisse Ettore Vadini

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Introduzione

Il cielo in 33 stanze

Federico Bilò e Riccardo Palma STUDIOLI

Gesamtexistenzminimum Giovanni Corbellini La Scrivania e la Città Gabriele Mastrigli

Interfacce. Riflessioni tra vita pubblica e privata durante il Covid Paola Misino

Stanza della memoria Luca Molinari

Di-stanze. Testimonianza dal civico 7 | Int. 4B Alberto Ulisse

STANZE

Le Covidor

Antonio Alberto Clemente

Tempo. Camere oscure, orizzonti luminosi Filippo Lambertucci

Dimorare Paolo Mellano Spazio centripeto Manuel Orazi

Stanze. Ovvero l’elogio della pantofola Giorgio Peghin

Dilatazioni. Il mondo in una stanza Domenico Potenza

CORRIDOI

Il corridoio, disimpegno della borghesia Luca Montuori

Abitare pre-moderno. Pratiche abitative versus pratiche progettuali Claudia Del Colle e Francesco Orofino

Interno privato Carlo Ravagnati 06 12 16 20 24 28 34 38 42 46 50 54 60 64 68

Indice

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FINESTRE Osservatorio Stoppani Giulio Barazzetta Finestra latina Federico Bilò Slow is Quick Enzo Calabrese Piattaforma

Isabella Cipolla e Luigi Coccia Case affettuose

Francesco Collotti

Finestre al sole. Di luce vera e dipinta Valerio Palmieri

Finestra. Lo sguardo come evasione Pisana Posocco Camera oscura Sara Protasoni La finestra e la città Fabrizio Toppetti GIARDINI

Un giardino, un’altana. I molti tempi di una casa Mauro Marzo

Loft, Milano, Bovisa-Quarto Oggiaro Maurizio Meriggi

Quel giardino Ettore Vadini CORTILI

Patio-Ipostilo. Memento Virus Federica Visconti e Renato Capozzi

Contatto. L’empatia nell’era umana post-pandemia Susanna Ferrini

L’ingresso. Uno spazio di riserva e un solo libro Sara Marini

Il cratere, il teatro, l’isolato Riccardo Palma Isolato Costantino Patestos Il vuoto e l’orizzonte Carlo Prati La stanza e la città Andrea Sciascia

BelVedere. Lat N 45°4’37.456’’ Long E 7°41’35.598’’ Marco Trisciuoglio 74 78 82 86 90 94 98 102 106 112 116 120 126 130 134 138 142 146 150 154

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Federico Bilò e Riccardo Palma

Il cielo in 33 stanze

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uando abbiamo proposto ad alcuni amici (e coetanei)

di partecipare a questa inziativa, la pensavamo come un divertissement che avrebbe potuto, nel migliore dei casi, offrire un insieme di considerazioni intelligenti, scaturite dalla condizione di confinamento domestico causata dalla pandemia da Covid-19. Tuttavia, con il procedere dei ragionamenti e con la lettura dei testi che cominciavano ad arrivare, abbiamo capito che quest’insieme poteva legittimamente ambire ad una qualificazione superiore. Poteva ambire a definire non solo una piattaforma di riflessioni e istanze da sviluppare nel futuro, ma anche un diverso orizzonte progettuale. Specie per quanto riguarda l’alloggio o appartamento o casa, che dir si voglia.

Tutti i contributi pervenuti ci sembrano infatti rimandare non solo al patrimonio di riflessioni sulla casa accumulate nel tempo, ma anche a quel patrimonio di opere letterarie e cinematografiche fondate su una doppia condizione: reclusione nella propria dimora e eccezionalità dell’osservazione che questa reclusione scatena sull’architettura della casa.

Tra queste, tre ci sono sembrate particolarmente utili per introdurre questo libro.

Nei primi mesi del 1790, Xavier de Maistre, giovane ufficiale

dell’esercito sabaudo, a causa di un duello viene punito con 42 giorni di arresto domiciliare nella Cittadella di Torino. In quelle settimane di reclusione scrive Voyage autour de ma chambre (“Viaggio intorno alla mia camera”). Nel 1954 esce Rear Window (“La finestra sul cortile”) di Alfred Hitchcock. Il protagonista del film, il reporter d’assalto L. B. “Jeff ” Jeffries, costretto dalla frattura di una gamba a rimanere a casa, avvia un’indagine ossessiva su un delitto avvenuto in un appartamento nel lato opposto del cortile sul quale si affaccia la sua finestra. Nel 1974 Georges Perec pubblica Espéces d’espaces (“Specie di spazi”), un breve libro che conduce una riflessione sullo spazio, a partire da La pagina fino ad arrivare a Il mondo.

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oduzione

propria abitazione scatena una modificazione dello sguardo sulle “cose”. L’ufficiale sabaudo, applicando alla sua camera i criteri di orientamento della cartografia militare, realizza un viaggio in un territorio formato da oggetti domestici trasfigurati in elementi del paesaggio. Il reporter di Hitchcock, impaziente di tornare al suo frenetico e dinamico lavoro, scopre che l’immobile occhio-finestra del suo appartamento può trasformare il cortile in un inaspettato e stupefacente teatro di eventi misteriosi. Diverso il caso di Perec, la riflessione del quale è piuttosto l’esito di un progetto cognitivo, l’esito di una descrizione antropologica dello spazio.

Lo spazio che Xavier attraversa è cartografico: «La mia camera è situata al quarantacinquesimo grado di latitudine […]; è orientata verso occidente; forma un rettangolo di trentasei passi all’ingiro, rasentando bene le pareti»1. Il suo programma è attraversare

la camera per avvicinarsi alla scrivania: «Dopo la mia poltrona, camminando verso nord, s’incontra il mio letto, che è posto in fondo alla mia camera, e forma una prospettiva la più gradevole»2.

Qualcosa però non torna: un tragitto di pochi metri dura 42 giorni. Nella camera di Xavier il tempo e lo spazio si sdoppiano, come su una carta dove è possibile ripetere all’infinito e con tempi diversi lo stesso tragitto. Xavier abita un primo spazio/tempo convenzionale al quale aggancia i pensieri che popolano le pagine del libro e che segnano il passare dei giorni, e un secondo spazio/tempo dilatato e sospeso che ospita il tragitto del viaggio e nel quale la stanza si trasforma in un territorio il cui attraversamento richiede settimane.

Lo spazio che Jeff attraversa è invece proiettivo. Jeff non viaggia e non si sposta nello spazio della camera, ma pratica un altro tipo di movimento che coinvolge il rapporto tra l’occhio e la “finestra sul cortile”. Attraverso la finestra lo sguardo prima si orienta, poi si volge in plurime direzioni per esplorare il cortile, ma soprattutto, ad un certo punto, si comporta come uno strumento ottico capace di ingrandire e rimpicciolire l’immagine. Il suo movimento si realizza avanzando o arretrando nella profondità della visione. Come il protagonista di Blade Runner nella scena in cui opera molteplici ingrandimenti di una fotografia che la macchina ottica realizza riquadrando l’immagine, il riquadro della finestra di Jeff assume il

1. X. de Maistre, Viaggio intorno alla mia camera, Rizzoli, Milano 1991, p. 47 (ed. orig. Voyage

autour de ma chambre, Losanna 1794)

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ruolo inaugurale di tutte le successive inquadrature che riproducono in soggettiva lo sguardo del protagonista.

Lo spazio che indaga Perec, infine, è quello dell’esperienza e

l’indagine segue una progressione dimensionale: dalla pagina al letto, dal letto alla camera, dalla camera all’appartamento, al palazzo, alla strada; e, successivamente: il quartiere, la città, la campagna, il paese, l’Europa, il mondo (anche se, con la crescita dimensionale, il libro perde decisamente d’incisività). Ma La pagina della quale Perec scrive, è quella sulla quale sta tracciando delle parole; sul letto, «spazio individuale per eccellenza», sta lo scrittore stesso, «steso a pancia sotto». E la soggettività dell’esperienza è anche quella della memoria. Parlando de La camera, scrive Perec: «La sola certezza cenestesica del mio corpo nel letto, la sola certezza topografica del letto nella camera, riattiva la mia memoria, le dà un’acutezza, una precisione che altrimenti non ha quasi mai»3. Così procede l’intero

scritto: nel campo tensionale prodotto da esperienza e memoria, Perec affila le proprie osservazioni concettuali. Ma fonte di tutto è, nuovamente, l’osservazione: il guardare e, di conseguenza, l’immaginare.

Sia i protagonisti-prigionieri, sia Perec – seppur diversamente –, seguono linee di fuga dagli spazi domestici che abitano. Linee che non potrebbero dispiegarsi senza la scelta di uno spazio in cui operare la rappresentazione e senza l’architettura della casa. Mentre il viaggio di Xavier proietta l’interno della camera in una dimensione territoriale grazie all’applicazione di un dispositivo cartografico, lo sguardo di Jeff esplora l’esterno in virtù della proiezione della cornice della sua finestra. Analogamente, l’osservazione conduce Perec ad una sorta di iper-realismo: ma, com’è inevitabile, nella dimensione più grande l’immaginazione deve giocoforza integrare l’esperienza. In questo modo, tutti abitano contemporaneamente lo spazio della casa e altri spazi a cui la casa rimanda. Il “qui” della casa è sempre anche un “altrove”.

Cosa c’entra tutto ciò con questo libro?

Rinchiudere nelle proprie abitazioni una moltitudine di architetti progettisti e studiosi di architettura, come è successo a causa della pandemia da Covid-19, significa attivare contemporaneamente centinaia di Xavier, Jeff e Georges, il cui sguardo fisso nello spazio e protratto nel tempo sulla casa e dalla casa ci è apparso come una

3. G. Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989 (ed. orig. Espèces d’espaces, Galilée,

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risorsa eccezionale che non doveva essere sprecata.

Abbiamo pensato allora che fosse questa l’occasione – irripetibile (speriamo), date le circostanze che l’hanno prodotta – per proporre ad una parte (purtroppo necessariamente limitata) di questi prigionieri-architetti di restituire le loro osservazioni scritte e disegnate sulle architetture che abitano e che li circondano. Siamo convinti infatti che sempre più la ricerca sul progetto di architettura debba rivolgersi alle nostre città e territori devastati dal consumo di suolo, alle parti antiche degli insediamenti svuotate dagli abitanti, alle aree interne del Paese abbandonate dalle popolazioni: debba cioè occuparsi di come utilizzare quanto già esiste e non certo di progettare il “nuovo”. La casa, ma anche gli spazi pubblici e semipubblici che si relazionano alla casa, è il tema che l’emergenza sanitaria ha rimesso al centro dell’attenzione di chi si occupa di architettura. Non si tratta quindi, come non si è mai trattato, di progettare la “casa del futuro”, ma di ri-velare nel “qui” delle case che già abitiamo, con tutti i loro problemi e tutto il loro fascino di “cose” soggette a cura, l’”altrove” delle possibilità che esse contengono. In fondo, grazie alle diverse rappresentazioni che possiamo impiegare per descriverle in vista del progetto, in queste case, come in quelle di Xavier, Jeff e Georges, risuonano, a volte anche solo per negazione, tutte le architetture.

Può darsi allora che, vista la diffusione mondiale e la pervasività, il coronavirus riesca ad estirpare alcuni precetti sulla progettazione degli alloggi, che finora si sono tramandati senza che le discussioni critiche, qualche volta anche ben fondate e feroci, ne abbiano scalfito la solidità. Nell’opinione corrente di abitanti, progettisti e costruttori, l’alloggio è quello stabilito dalla precettistica funzionalista, dalla manualistica e dagli exempla stabiliti nel Novecento. Le convivenze forzate nelle nostre case hanno revocato in dubbio tali convenzioni e convinzioni: sono molti i contributi, in questo libretto, che convergono su tale punto. Si definiscono quindi ampi spazi per molti ripensamenti o riposizionamenti: quegli spazi che la critica più alta al moderno, quella del Team 10, di Aldo Rossi e di tanti altri, non è mai riuscita a creare nella prassi diffusa. In fondo ci basterebbe che, riguardando la propria casa dopo avere letto questo libro, il lettore non solo architetto possa pensare, come scrive de Maistre alla fine del suo viaggio, «Mi hanno vietato la città, un punto; ma mi hanno lasciato l’universo intero; l’immensità e l’eternità sono ai miei ordini»4.

4. X. de Maistre, Viaggio intorno alla mia camera, cit., p. 141.

In

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Case affettuose

Francesco Collotti

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asa come me non è una sola. Casa come me sono tante.

Le case che mi hanno abitato mi sovvengono in questi giorni. Sono stanze, sono finestre, sono gesti e sono voci, sono presenze di persone care che, ora come allora, non sono andate via, ma forse, sono solo affaccendate come al solito nella camera accanto, sono i corridoi dove ho giocato a nascondino, sono i disegni delle mattonelle di una casa di città su cui fantasticavo strade e ferrovie, sono una boiserie in una casa antica dove – se guardo ancora con attenzione – ritrovo, tra le vene del legno e i nodi, gli animali fantastici e i mostri che cercavo da piccolo. In ogni casa dove sto, mi scopro a cercare, talvolta a ritrovare, le case che sono stato prima di quella. Come pure mi accade, in quelle che ho costruito o che ho cercato di riportare a nuova vita, di inserire angoli di case che sono stato, tre gradini, una sequenza di finestre, una nicchia, lo spessore di un muro, una ringhiera, la proporzione di una chiostrina.

La casa dove mi ha impigliato la quarantena, la prima casa, è una storia milanese, con una portafinestra sulla grande corte allungata. Senti le voci verso sera, l’acciottolio dei piatti, vedi il teatro di tutti i giorni, chi litiga e chi ride, le magnolie e le rose. Abbiamo cantato bella ciao il Venticinque Aprile e i terrazzini di ciascuno erano i balconi di tutte e di tutti.

La seconda casa è quella dei miei figli, fatta di nicchie e di finestre grandi che sono occhi e luce. Casa che guarda su una piazza di platani, in autunno aspetta la nebbia e in inverno sente il vento delle montagne. Casa dove ho visto la neve di marzo.

La terza casa è come una persona cara. È costruita di pietra sulla sua stessa cava, calcare bianco un po’ malato, come si trova sulle montagne al confine tra le province di Trento e di Vicenza. Questa casa ha le finestre che ridono ed è sempre in attesa. Era stata fatta per la stagione dell’estate centocinquant’anni fa, ma è stata attraversata dalla guerra, quella Grande intendo, ed è ancora un porto salvo, casa per una stagione che ne ha viste tante. Gli armadi, impropriamente chiamati mobili, sono qui una somma di naufragi portati bene.

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Fines

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e

La quarta casa è fatta di libri, ha una stanza azzurra con una finestra che guarda i treni e un tavolo-mondo intorno al quale ci ritroviamo senza tempo, per imparare ogni volta a stare insieme.

La casa dove vorrei stare le tiene dentro tutte.

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In alto: La prima casa. In basso: La seconda casa. Francesco Collotti composizioni in quattro

stanze con Arancia Poli. (Foto di Matteo e Chiara Collotti).

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In alto: La terza casa. In basso: La quarta casa.

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Giulio M. Barazzetta (1953), architetto e professore associato di Progettazione Architettonica

al Dipartimento ABC del Politecnico di Milano, vive a Milano al 6° piano tra due facciate: strada e cortile.

Federico Bilò (1965) insegna composizione architettonica e urbana presso il Dipartimento di

Architettura di Pescara. Vive a Roma in una casa troppo piccola, dotata di 17 mq. di finestre: non latine, però.

Renato Capozzi (1971) insegna Composizione architettonica presso il Dipartimento di

Architet-tura della Università Federico II di Napoli dove vive col fratello in una casa con tre finestre e un balcone che guardano i treni, che arrivano e che partono, ma oltre si vede il mare.

Antonio Alberto Clemente (1963) insegna Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura di

Pescara, vive a Foggia. Ha scritto confinato in mansarda e ha ideato e realizzato le immagini con Massimo Padrone.

Luigi Coccia (1963) insegna Composizione architettonica presso la Scuola di Architettura e

De-sign dell’Università di Camerino, Isabella Cipolla (1968) insegna Arte e immagine; vivono a Pescara in una casa al 4° piano sul mare.

Francesco Collotti (1960) insegna Composizione architettonica e urbana presso il Dipartimento

di Architettura di Firenze. Vive a Milano in una casa con la corte e ne ha diverse altre dentro di sé.

Giovanni Corbellini (1959), prova a insegnare progettazione architettonica presso il

Diparti-mento di architettura e Design del Politecnico di Torino. Vive a Padova in una casa piena di cose autocostruite.

Claudia Del Colle architetto e Francesco Orofino architetto, segretario generale IN/ARCH.

Vivono in una casa pre-moderna a Chieti

Susanna Ferrini insegna Progettazione Architettonica alla Facoltà di Pescara e studia le forme

dell’abitare. Spesso in viaggio tra Roma, Pescara, Francia, Cina, nell’era della pandemia si ritrova in una casa dove rappresenta in una nuova cronologia gli stessi viaggi.

Filippo Lambertucci (1962) insegna progettazione alla Sapienza, Roma, cercando di occuparsi

di interni che si tramutano sempre in qualcos’altro. Una casa con un 1/4 di superficie aeroillumi-nante rende cogente il tema del diaframma.

Sara Marini (1974) è professore ordinario di Composizione architettonica e urbana presso

l’Uni-versità Iuav di Venezia, vive in un appartamento affacciato su una corte interna nel centro storico di Venezia.

Mauro Marzo (1968) insegna Composizione architettonica presso l’Università Iuav di Venezia.

Abita, ancora per poco, in una casa al secondo piano, affacciata su un giardino e coronata da un’altana.

Gabriele Mastrigli (1969) insegna Teoria e Progettazione architettonica presso la Scuola di

Ar-chitettura e Design “Eduardo Vittoria” di Ascoli Piceno (Unicam). Vive a Roma in una piccola casa che si affaccia sulla Garbatella.

Paolo Mellano insegna Composizione architettonica al Dipartimento di Architettura e Design del

Politecnico di Torino, che dirige dal 2015. Vive in un trilocale, fra tanti libri e buona musica, ma spera presto di cambiare casa.

Paola Misino (1963) insegna Composizione Architettonica presso il Dipartimento di Architettura

di Pescara e vive a Roma all’ultimo piano con un terrazzo dove, quando può, mangia, scrive e lavora, come in una stanza

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Luca Montuori (1965) è architetto, professore di progettazione architettonica e urbana a Roma

Tre e assessore all’Urbanistica di Roma Capitale, vive in una casa con dodici porte che era dei suoi nonni.

Manuel Orazi lavora per la casa editrice Quodlibet di Macerata dove si occupa dei titoli di

ar-chitettura e dell’ufficio stampa. Ha scritto un libro sull’opera di Yona Friedman e insegna presso l’Accademia di Architettura di Mendrisio. Vive in un trilocale al terzo piano, con un piccolo ter-razzino da cui si vedono sia l’Adriatico sia i Monti Sibillini.

Riccardo Palma (1963) insegna Composizione architettonica presso il Dipartimento di

Architet-tura e Design del Politecnico di Torino e vive al 4° piano affacciato tra due balconi: uno su strada e uno sull’interno dell’isolato.

Valerio Palmieri (1961) insegna Composizione architettonica presso il Dipartimento di

Architet-tura dell’Università degli Studi Roma Tre e vive a Roma in una casa panoramica d’inverno, meno d’estate.

Costantino Patestos (1955) insegna Composizione architettonica presso il Dipartimento di

Ar-chitettura e Design del Politecnico di Torino e vive al terzo piano di una casa circondata da due vie e un giardino “a L”.

Giorgio Peghin (1965) insegna Composizione architettonica presso il Dipartimento di Ingegneria

Civile, Ambientale e Architettura dell’Università di Cagliari e vive ad Alghero, in una vecchia casa, con giardino e orto.

Domenico Potenza (1959), svolge attività didattica e di ricerca in Progettazione architettonica

e urbana presso il Dipartimento di Architettura a Pescara, dove si divide tra la casa in centro e lo studio in periferia.

Carlo Prati (Roma 1971) è dottore di ricerca (Ph.D) all’Università “La Sapienza” di Roma e

ricer-catore presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli studi G. d’Annunzio di Chieti/ Pescara. Abita con la sua compagna in una casa vicino al fiume.

Sara Protasoni insegna Architettura del Paesaggio al Politecnico di Milano. Vive in una vecchia

casa con un grande giardino fuori città, sul crinale di una piccola morena che a lei, donna di pianura, sembra una collina.

Carlo Ravagnati (1966) insegna Composizione architettonica presso il Dipartimento di

Architet-tura e Design del Politecnico di Torino e vive a Milano in una casa del 1933.

Federica Visconti (1971) insegna Composizione architettonica e urbana presso il Dipartimento

di Architettura della Università Federico II di Napoli dove vive in una casa con tre finestre che guardano, tra i vicoli, il cielo azzurro della città

Marco Trisciuoglio insegna architettura a Torino e a Nanchino. Vive sul tetto di una fabbrica

con Michela, nella casa che hanno disegnato insieme. Da due a quattro figli sono di stanza nella fortezza.

Alberto Ulisse (1978) insegna Composizione architettonica ed urbana presso il Dd’A di Pescara;

vive in una casa con orologio, con stanze senza tende e con balcone: 170 x 280 cm.

Ettore Vadini (1968) insegna Composizione Architettonica e Urbana presso il DiCEM di Matera.

Vive a Pescara in una palazzina e durante il lockdown ha convinto tutti i condomini a risistemare il giardino.

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9 788862 424516

€ 16,50 con scritti di: Giulio Barazzetta Federico Bilò Enzo Calabrese Antonio Clemente Isabella Cipolla e Luigi Coccia Francesco Collotti Giovanni Corbellini Claudia Del Colle e Francesco Orofino Susanna Ferrini Filippo Lambertucci Sara Marini Mauro Marzo Gabriele Mastrigli Paolo Mellano Maurizio Meriggi Paola Misino Luca Molinari Luca Montuori Manuel Orazi Riccardo Palma Valerio Palmieri Costantino Patestos Giorgio Peghin Pisana Posocco Domenico Potenza Carlo Prati Sara Protasoni Carlo Ravagnati Andrea Sciascia Fabrizio Toppetti Marco Trisciuoglio Alberto Ulisse Ettore Vadini Federica Visconti e Renato Capozzi

Questo libro è una casa. Una casa composta da 33 stanze. In ciascuna stanza un architetto racconta la sua casa e in ciascun racconto sono evocate altre case. Perciò questo libro è (almeno) una casa alla trentatreesima potenza. Nel periodo di forzato isolamento domestico, causato dalla pandemia da Coronavirus, trentatré architetti, studiosi e amici, hanno posato lo sguardo disciplinare sulle proprie case e su ciò che a partire dalle proprie case è possibile raccontare, disegnare o evocare.

Come per il protagonista della "Finestra sul cortile" di Alfred Hitchcock, la permanenza forzata nel proprio domicilio ha permesso di osservare diversamente o più intensamente i paesaggi domestici. Il tema della casa – di tutte le case: reali, immaginate o desiderate – oggi riguarda gli spazi che già abitiamo, nelle città e nei territori; riguarda la necessità e l'opportunità di progettare non tanto il "nuovo", quanto ciò che c'è già; riguarda la possibilità di evocare l'inesauribile immaginario architettonico che il tema della casa da sempre sollecita.

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