Corso di Laurea magistrale
in Amministrazione, Finanza e
Controllo
Tesi di Laurea
L’adozione dell’Enterprise
Risk Management e le
scelte di struttura
finanziaria delle imprese.
Un’analisi empirica.
Relatore
Ch. Prof.ssa Gloria Gardenal
Correlatore
Ch. Prof.ssa Elisa Cavezzali
Laureando
Gianluca Cardin
Matricola 828064
Anno Accademico
2013 / 2014
INDICE
Introduzione………...VI
Capitolo 1 Il concetto di rischio………….………..………..…..….1
1.1 La nozione di rischio………...1
1.1.1 La nascita del concetto di rischio e la sua definizione………1
1.1.2 La contestualizzazione del rischio nella realtà aziendale……….7
1.1.3 Le distinzioni del rischio aziendale………..………..9
• rischi imprenditoriali e rischi asscociati………9
• rischi puri e rischi speculativi………10
• rischi esogeni e rischi endogeni………...11
• rischi sistemici e rischi specifici………...11
1.2 Le tipologie di rischio……….…….13
1.2.1 Il rischio operativo……….14
• rischi operativi connessi alla strategia………..…..15
• rischi operativi connessi alle persone……….…….15
• rischi operativi conessi ai processi e ai sistemi………..16
• rischi operativi connessi agli eventi esterni……….16
1.2.2 Il rischio finanziario………..17
• rischio di liquidità……….17
• rischio di credito………....18
1.2.3 Il rischio di mercato………..19
• rischio di tasso d’interesse………..19
• rischio di cambio………20
• rischio di prezzo……….…21
1.2.4 Il rischio di business……….21
Capitolo 2 La gestione dei rischi d’impresa e l’ERM………..…………...23
2.1 L’evoluzione nella gestione dei rischi………23
2.1.1 Dalle prime forme assicurative fino alla nascita della gestione dei rischi…...23
2.1.2 L’evoluzione del Risk Management e l’origine dell’ERM………26
2.2.1 Definizione………..35
2.2.2 Caratteristiche e benefici dell’ERM………..40
• Considerazione di tutti i rischi………..…40
• Approccio integrato alla gestione dei rischi……….42
• Visione allargata del rischio………44
• Ottica di lungo periodo e focus sugli shareholders………..45
• Creazione di una struttura adeguata alla gestione dei rischi………….45
2.2.3 Il framework di riferimento dell’ERM………49
• L’ambiente interno………...53
• La definizione degli obiettivi………..56
• L’identificazione degli eventi……….58
• La valutazione del rischio……….59
• La risposta al rischio………61
• L’attività di controllo………...64
• Le informazioni e la comunicazione………..66
• Il monitoraggio………69
Capitolo 3 Le scelte di struttura finanziaria delle imprese………...……..……72
3.1 Introduzione………...………..………….72
3.2 La teoria dell’irrilevanza……….…75
3.3 La teoria del tarde-‐off………81
• Il vantaggio fiscale del debito rispetto all’equity……….81
• I costi del dissesto finanziario……….………84
• L’integrazione tra i benefici fiscali e i costi del dissesto……….………92
• Un allargamento della teoria del trade-‐off: i costi di agenzia dell’equity…….94
3.4 La teoria dell’ordine di scelta……….…..97
3.5 La signalling theory……….………102
3.6 Il market timing……….…105
3.7 Riflessioni conclusive………106
Capitolo 4 Analisi empirica: l’adozione dell’ERM e il suo impatto sulle scelte di struttura finanziaria...……….109
4.1 Introduzione: la definizione della nostra analisi empirica……...……….109
4.3 Il modello di riferimento a cui ci siamo ispirati………113
4.4 Definizione delle variabili ………...………..…118
4.5 La Research Question 1………...124
• La Research Question 1 sulla totalità del campione ………..……125
• La Research Question 1 sulle imprese non finanziarie……...129
• La Research Question 1 sul totale delle imprese finanziarie………131
4.6 La Research Question 2………...133
• La Research Question 2: ipotesi di contemporaneità……….………….133
• La Research Question 2 con effetti ritardati………..135
4.7 Riflessioni conclusive sulla base dei risultati ottenuti………..…...137
Conclusioni……….……….140 Bibliografia……….………144
Introduzione
“…risk does not begin and end on the floor of the New York Stock Echange.”1 (Bernstein, 1998).
Il rischio è qualcosa di connaturato a ogni aspetto della nostra vita. Eliminarlo è impossibile, ma questo non significa che dobbiamo accettarlo e subirlo in maniera passiva; dobbiamo anzi cercare di gestirlo. E’ proprio sulla base di questa riflessione che nasce l’interesse verso il modo con il quale le imprese si approcciano ai rischi a cui è esposta l’attività d’impresa.
Essendo il rischio un aspetto che contraddistingue l’attività d’impresa, i managers si sono sempre interessati alle sue modalità di gestione. Negli ultimi quindici anni è nato un nuovo approccio di tipo integrato, ovvero l’Enterprise Risk Management (ERM). Volendo introdurre in maniera sintetica le sue caratteristiche, possiamo dire che l’ERM si differenzia rispetto ai metodi tradizionali di gestione del rischio per il fatto che vengono ad essere eliminate le barriere funzionali nell’approcciarsi ai pericoli aziendali e viene a diffondersi una mentalità condivisa all’interno dell’impresa nell’interfacciarsi con i rischi aziendali. L’ERM è un approccio strategico e integrato che tende a valutare ogni signolo evento che può potenzialmente interessare la dinamica aziendale, consentendo quindi di risconoscere non solo i rischi potenziali ai quali può essere esposta l’attività aziendale, ma anche di cogliere le opportunità che si presentano. Non dobbiamo mai dimenticare che, contrariamente a quanto è espresso dai modelli tradizionali di gestione del rischio, il rischio non è un danno o un pericolo da cui difendersi, ma è una risorsa da gestire.
Sebbene siano state prodotte numerose ricerche sul tema dell’ERM, le analisi empiriche non hanno condotto a dei risultati universali. Per cui, dato l’interesse crescente per questa tematica, abbiamo deciso di comprendere e analizzare la gestione integrata dei rischi aziendali e di valutare quello che è il legame tra le scelte di finanziamento delle imprese e l’adozione dell’ERM nella realtà aziendale. In sostanza, il nostro obiettivo è comprendere se l’adozione della gestione integrata dei rischi aziendali da parte delle imprese è in grado di comportare delle differenze nelle scelte di finanziamento.
1 Bernstein, P. L. (1998), Against The Gods. The remarkable story of risk, John Wiley and Sons, Hoboken, New
Per cercare di raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissati, abbiamo suddiviso il presente lavoro in quattro capitoli.
Il Capitolo 1 (Il concetto di rischio) analizza la nozione di rischio. Nella prima sezione cercheremo di dare innanzitutto una definizione, passando dapprima per la trattazione dell’evoluzione storica del concetto e poi rifacendoci alle definizioni date da studiosi autorevoli e, infine, cercheremo di contestualizzare il concetto di rischio all’interno della dinamica aziendale, mettendo in luce gli aspetti più importanti. Nella seconda sezione parleremo delle tipologie di rischio cui l’impresa è esposta, soffermandoci maggiormente su quelli che a nostro parere risultano determinanti per una corretta gestione aziendale.
Il Capitolo 2 (La gestione dei rischi d’impresa e l’ERM) definisce quali sono i modelli e le tecniche per governare e gestire i rischi a cui è esposta un’impresa. Nella prima sezione presenteremo un’analisi storica delle tecniche che sono state utilizzate dall’uomo per approcciarsi al rischio. Partendo dalla trattazione delle prime forme di approccio ai pericoli aziendali, compieremo un percorso storico e concettuale che ci porterà, nella seconda sezione del presente capitolo, alla definizione di un approccio innovativo, ossia quello della gestione integrata dei rischi, che è l’oggetto principale di studio del presente lavoro.
Il capitolo 3 (La capital structure) va a definire le teorie sulla capital structure. Il nostro obiettivo in questo capitolo sarà quello di illustrare tali teorie: inizieremo da un’introduzione alla tematica, definendo le caratteristiche principali del debito e dell’equity, successivamente analizzeremo dettagliatamente le teorie sulla struttura del capitale proposte dalla letteratura sul tema e, infine, cercheremo di connettere tali teorie all’evidenza empirica, cercando di trarre le conclusioni di quello abbiamo imparato studiando tale tematica.
Nel capitolo 4 (L’adozione dell’ERM e il suo impatto sulle scelte di struttura finanziaria) l’intento è quello di legare tutte le tematiche trattate sotto il profilo teorico in un’analisi empirica. In particolare, procederemo alla verifica dell’esistenza di una relazione tra l’adozione dell’ERM in azienda e le scelte di struttura finanziaria adottate. Più precisamente la nostra analisi si comporrà di due Research Questions.
• Research Questions 1. Andremo ad indagare il legame tra il leverage delle aziende prese a riferimento e le sue determinanti, in particolare osservando se l’adozione dell’ERM abbia degli effetti sulle scelte di struttura finanziaria.
• Research Question 2. Verificheremo la probabilità che un’azienda adotti l’ERM, date una serie di variabili aziendali (compresa la leva finanziaria) che la caratterizzano.
Inizialmente, definiremo il campione che abbiamo preso a riferimento nelle nostre analisi, poi definiremo il modello a cui ci siamo spirati per la definizione della nostra analisi empirica, descriveremo e definiremo le variabili che utilizzeremo nei nostri modelli, presenteremo la descrizione delle Research Questions che abbiamo condotto, evidenziando i risultati ottenuti.
Infine, alla conclusione del percorso concettuale che presenteremo mediante i quattro capitoli esposti, cercheremo di mettere in evidenza quelle che possono essere considerate le conclusioni sulla base del lavoro esposto.
Capitolo 1
Il concetto di rischio
In questo capitolo parleremo di cosa si intende per rischio. Prima di passare alla trattazione di quelli che sono i criteri usati dalle aziende per governare i rischi d’impresa, è di fondamentale importanza introdurre la definizione e la corretta identificazione di cosa si intende per rischio. Questa è un’impresa non semplice; autori famosi hanno affrontato la tematica e, ognuno con il proprio contributo, ha messo in luce aspetti diversi, di cui si tratterà nel corso del capitolo.
Nella prima sezione cercheremo di dare una definizione di rischio passando dapprima per una trattazione dell’evoluzione storica del concetto e poi rifacendoci alle definizioni date da studiosi autorevoli e, infine, cercheremo di contestualizzare il concetto all’interno della dinamica aziendale mettendo in luce gli aspetti più importanti. Nella seconda sezione parleremo delle tipologie di rischio cui l’impresa è esposta, soffermandoci maggiormente sui quei rischi che a nostro parere risultano determinanti per una corretta gestione aziendale.
1.1 La nozione di rischio
1.1.1 La nascita del concetto di rischio e la sua definizione
“…risk does not begin and end on the floor of the New York Stock Echange.”2 (Bernstein, 1998).
“Everything changes, and changes can be good or bad for those affected by them. Change
therefore leads to risk, the prospect of gain or loss, and risk (or, more precisely, the risk of loss) is something that we must all come to terms with.”3 (Dowd, 1998).
2 Bernstein, P. L. (1998), Against The Gods. The remarkable story of risk, John Wiley and Sons, Hoboken, New
Jersey.
3 Dowd, K. (1998), Beyond value at risk. The New Science of Risk Management, John Wiley and Sons, Chichester.
Il rischio è qualcosa di connaturato a ogni aspetto della nostra vita. Eliminarlo è impossibile, ma questo non significa che dobbiamo accettarlo e subirlo in maniera passiva; dobbiamo anzi cercare di gestirlo. Dovremmo pensare a quali rischi accettare, come gestirli e quali sono da eliminare cercando di adottare la strategia migliore.
L’attività d’impresa è sempre contraddistinta dalla presenza di un certo margine di rischio, dato dalla capacità di raggiungere gli obiettivi gestionali e strategici definiti. Nel corso del tempo il concetto di rischio ha subito un’evoluzione notevole correlata all’idea che ad esso si associano possibili minacce, ma anche possibilità di creazione di valore. (Prandi, 2010).
In letteratura non vi è un’opinione condivisa sulla definizione di rischio. I vari studiosi propongono definizioni diverse. Per poter meglio chiarire l’argomento è opportuno valutare l’evoluzione storica del concetto.
Alcuni studiosi, tra cui Chiappori (2008) e Pellicelli (2004) sostengono che l’inizio della consapevolezza del rischio risalga al Codice di Hammurabi4, il più antico testo legale conosciuto. E’ infatti in quel testo che, secondo i due studiosi, si trovano le prime tipologie di contratti di condivisione del rischio, dove venivano integrati elementi di credito e di assicurazione.
Altri autori, tra cui Bernstein5 (1998) e Prandi (2010), sostengono che l’inizio di uno studio serio della tematica del rischio vada fatto risalire all’epoca rinascimentale. E’ il periodo in cui la maggior parte del mondo viene ad essere scoperto. E’ l’età in cui nasce il capitalismo, si impone un virtuoso approccio alla scienza e al futuro e le persone iniziano a mettere in dubbio le conoscenze da tempo coltivate e si aprono a nuove sfide.
E’ nel 1654, momento centrale dell’epoca rinascimentale, che Blaise Pascal avviò una corrispondenza epistolare con Pierre de Fermat. I due si scambiarono opinioni su alcune tematiche e, studiando i giochi di fortuna, formularono in un saggio le prime basi matematiche della teoria della probabilità, presupposto per lo sviluppo delle future tecniche di gestione del rischio. Probabilmente, al di là dei pareri contrastanti di alcuni studiosi, è proprio durante questo periodo che la tematica del rischio entra a far parte dell’oggetto di studio di molti esperti (Prandi, 2010).
4 Il Codice di Hammurabi è una delle più antiche raccolte di leggi conosciute nella storia dell'umanità. Venne stilato
durante il regno del re babilonese Hammurabi (o Hammu-Rapi), che regnò dal 1792 al 1750 a.C.
5 Bernstein sostiene che l’origine del termine rischio derivi dall’antico italiano “risicare”, che significa osare. Questo
pone l’accento sul fatto che il rischio è una scelta pittusto che un’attesa passiva degli eventi.
Per poter poi giungere ad un primo inquadramento del concetto di rischio dobbiamo fare un salto di qualche secolo. E’ nel 1921 che l’economista Frank H. Knight pubblica il libro Risk, Uncertainty and Profit in cui prova a dare una definizione di rischio. Knight mette in luce da subito un concetto di fondamentale importanza: il concetto di rischio si contrappone a quello di incertezza. Infatti, egli individua una situazione rischiosa quando, pur non conoscendo l’esito finale, è nota la distribuzione probabilistica dei suoi possibili esiti. A ciò si contrappone una situazione incerta, cioè una situazione con parametri non definibili e nella quale la distribuzione di probablità dei suoi possibili esiti è ignota (Conti, 1996). Per la prima volta si pongono in relazione i processi decisionali con le situazioni caratterizzate da rischio ed incertezza. La portata delle idee di Knight viene ridotta dal fatto che solo gli eventi in cui c’è la possibilità di sapere la probabilità a priori entrano a far parte dei modelli di gestione del rischio. Tutti gli altri eventi, in cui la distribuzione di probabilità non è nota, vengono esclusi. Al di là dei limiti appena citati, il lavoro di Knight fu condiviso da gran parte degli studiosi dell’epoca. Le sue idee furono ufficialmente accolte nel lavoro di Von Neumann e Morgenstern del 1944. Essi sono gli ideatori dell’expected utility theory, in base alla quale gli individui dovrebbero sempre scegliere, in condizioni di incertezza le alternative con l’utilità più elevata (Prandi, 2010).
Nei decenni successivi l’ipotizzata razionalità assunta nei modelli decisionali classici viene messa in discussione. Si contesta il mancato nesso tra la realtà d’impresa e gli assomi della teoria decisionale classica. Alcuni studiosi, tra cui Popper (1983), Kahneman e Tversky propongono una visione del rischio non più basata solamente sulle metodologie di misurazione quantitativo-‐statistica, ma dando valore anche alle percezioni soggettive della realtà dell’individuo. In sostanza si afferma la possibilità che gli agenti economici, con il proprio operare, possono condizionare gli esiti degli eventi (Conti, 1996).
La breve disamina storica dell’evoluzione del concetto di rischio ha messo in luce un problema che ci apprestiamo a trattare, cioè la difficoltà nell’individuare una definizione univoca del concetto stesso. La difficoltà nasce dal fatto che si può parlare di rischio riferendosi a varie situazioni, molto differenti tra loro; esistono, infatti, varie tipologie di rischio. Nella nostra analisi ci contreremo sul rischio aziendale, cioè l’insieme dei rischi ai quali è esposta un’impresa nel suo operare.
Nel prosieguo presenteremo una serie di definizioni di rischio date da alcuni studiosi che si sono occupati della tematica del Risk Management negli ultimi anni.
“...we defined risk as the volatility of returns leading to “unexpected losses,” with higher
numerous variables, which we called risk factors, and by the interaction between these risk factors.”6 (Crouhy, 2006).
“…Risk can be defined as the volatility of unexpected outcomes, which can represent the
value of assets, equity, or earnings.”7 (Jorion, 2007).
“Risk is present when the outcome of some defined activity is not known. {…} Risk refers to the variation in the range of possible outcomes; the greater the potential variation, the greater the risk. {…} Risk is implied by our inability to predict the future.”8 (Doherty, 2000).
Analizzando le definizioni di rischio date da questi tre studiosi, si capisce da subito come il concetto sia collegato alla volatilità di manifestazione degli esiti di un dato evento. Il rischio si considera tanto più elevato, quanto maggiore risulta essere questa volatilità. Queste tre definizioni, anche se ci aiutano nella strada di definizione del rischio, non colgono un aspetto importante, cioè la possibilità che esso possa essere considerato come un’opportunità di creazione di valore per l’impresa.
Andiamo a vedere cosa dice un altro studioso.
“We define risk as the distribution of possible outcomes in a firm’s perfomance over a
given horizon due to changes in key underlying variables. The greater the dispersion of possible outcomes, the higher the firm’s level of exposure to uncertain returns. These uncertain returns can have either positive or negative values, and hence both positive or negative changes in key variables must be viewed as sources of risk. Because of the potential for positive outcomes, risk can be a good thing.”9 (De Loach, 2000).
Questa definizione, a differenza delle tre prima analizzate, mette in luce un aspetto importante del concetto di rischio. De Loach riprende parte di ciò che abbiamo visto prima, ma evidenzia come il rischio possa essere qualcosa di positivo per l’impresa.
6 Crouhy, M., D. Galai, R. Mark (2006), The essentials of risk management, McGraw-Hill, Stati Uniti d’America. 7 Jorion, P. (2007), Value at risk: the new benchmark for controlling financial risk, McGraw-Hill, Stati Uniti
d’America.
8 Doherty, N. A. (2000), Integrated Risk Management: techniques and strategies for managing corporate risk,
McGraw-Hill, Stati Uniti d’America.
9 De Loach, J. (2000), Enterprise-wide risk management: strategies for linking risk and opportunity, Financial
Proprio per il fatto che esiste un aspetto positivo del rischio, dice De Loach, possiamo vedere il rischio come una risorsa positiva per l’impresa.
Sulla stessa linea di pensiero è Segal (2011), che non solo riprende le argomentazioni esposte da De Loach, ma propone una definizione più “sofisticata” di rischio. Segal sostiene che, parlando di rischio, è necessario considerare tre aspetti.
1. Risk is uncertainty. Il rischio è presente in ogni situazione in cui non si ha il 100% di certezza che un evento possa accadere così come ce lo si aspetta.
2. “Risk includes upside volatility”. Il rischio include l’up-‐side, l’aspetto positivo, e il
downside, l’aspetto negativo. Questo significa pensare a un evento con la possibilità
che generi non solo un risultato negativo (downside risk), ma anche un risultato positivo (upside risk). Per mettere in luce questo aspetto, Segal afferma: “A single
event that is downside risk event for one business might be an upside risk event for a second business segment”8.
3. Risk is deviation from expected. Il rischio è una deviazione rispetto a quanto previsto e le persone tendono a vederlo come una possibilità di perdita. In realtà il rischio è deviazione rispetto a quanto previsto sia in senso positivo (guadagno) sia in senso negativo (perdita).
Sullo stesso filone di pensiero di De Loach e Segal possiamo collocare quest’ultima definizione.
“In classical decision theory, risk is most commonly conceived as reflecting variation in the distribution of possible outcomes, their likelihoods, and their subjective values. Risk is measured either by nonlinearities in the reveled utility for money or by the variance of the probability distribution of possible gains and losses associated with a particular alternative {…} In the latter formulation, a risky alternative is one for which the variance is large; and risk is one of the attributes which, along with the expected value of the alternative, are used in evaluating alternative gambles.”10 (March e Shapira, 2010).
10 March, J. G., Z. Shapira (1987), “Managerial Perspectives on Risk and Risk Taking”, Management Science,
Tutte queste definizioni mettono in luce un aspetto: il rischio aziendale non è solo un pericolo, ma anche un’opportunità. Non si può quindi considerare il rischio come sinonimo di un danno. A tal proposito si consideri quanto detto da Mantovani e Gurisatti (2010):
“…il danno è cosa diversa dal rischio aziendale. Il danno è una certezza, perché rappresenta
l’effetto del rischio, specie quando si sviluppa la sua la faccia negativa. Per avere un danno devi prima avere assunto un rischio. Il rischio è un’alea, perché rappresenta la possibilità che gli eventi si sviluppino diversamente dalle attese. Confondere il danno ed il rischio significa intervenire sempre troppo tardi. L’informazione sul danno mette infatti nelle condizioni di decidere in merito al come porre rimedio al danno, non invece alla situazione di rischio che, essendo diventata danno, non c’è più.”11
Alla luce del percorso storico e concettuale che abbiamo svolto, possiamo trarre le nostre conclusioni. Il concetto di rischio si è evoluto nel corso del tempo. L’evoluzione del concetto è stata determinata dai diversi approcci utilizzati dalle imprese nella gestione dei rischi aziendali. Si evidenzia un cambiamento di atteggiamento nella gestione dei rischi, da una visione del rischio quale pericolo (insurance management) a una visione del rischio quale risorsa da gestire (risk management) (Prandi, 2010).
L’analisi delle definizioni date dai vari studiosi ci permette di capire come un approccio corretto al rischio neccessiti la considerazione del fatto che esso ha due facce: il downside, il lato negativo, e l’ upside, l’aspetto positivo, che può portare l’impresa a conseguire delle performance positive. Partendo da questa fondamentale considerazione possiamo provare a dare una definizione di rischio, rielaborando le informazioni apprese. Il rischio, quindi, può essere definito come la variazione degli esiti di un dato evento. Questi esiti possono essere positivi o negativi. Gli esiti non possono essere previsti con certezza, ma è chiaro da subito che l’impresa deve approcciarsi al rischio in maniera consapevole, riducendo/eliminando li downside e “prendendosi” tutto l’upside.
11 Mantovani, G., P. Gurisatti (2010), A ciascuno il suo rischio: le imprese italiane e la gestione dell’incertezza in
tempo di crisi, in Afferrate il futuro!, Edizioni Teofilo Intato per conto di Università Ca’ Foscari e Confindustria
Roma, Milano.
1.1.2 La contestualizzazione del rischio nella realtà aziendale
Dopo aver messo in luce a cosa ci riferiamo quando parliamo di rischio, è opportuno contestualizzare tale concetto nella realtà aziendale. Infatti, parlare di rischio aziendale senza prendere a riferimento l’impresa rischia di essere un lavoro di astrazione senza un fine delineato. In questo paragrafo ci poniamo l’obiettivo di chiarire il ruolo e la connotazione del rischio in azienda. Le argomentazioni che verranno esposte si baseranno sui lavori di Conti (1996) e Prandi (2010).
Partiamo dal presupposto che l’incertezza e il rischio sono elementi essenziali dell’attività aziendale. L’attività d’impresa si caratterizza per il fatto che i cambiamenti del contesto esterno e l’incertezza circa gli esiti delle scelte prese fanno sì che ogni previsione del futuro si configuri come un fenomeno aleatorio anche se necessario per una corretta ed efficace gestione aziendale. Qualsiasi tipologia di impresa noi andremo ad analizzare, vedremo che c’è un aspetto riccorrente in ogni attività economica: il fine di creare valore nel tempo, aspetto da cui dipende l’economicità aziendale. In questa accezione possiamo identificare il rischio aziendale come correlato alla possibilità che l’impresa non riesca a perseguire i propri obiettivi. Quindi, anche se gli obiettivi o le combinazioni economiche sono diverse, l’attività economica delle imprese si caratterizza sempre come un’attività rischiosa. 12
Bisogna partire dal presupposto che il rischio aziendale è un concetto poliedrico poiché assume connotazioni differenti in relazione ai soggetti che lo subiscono e alle aspettative di risultato che sono perseguite. Allo stesso tempo, il rischio è anche un concetto multidimensionale, ovvero non si possono individuare delle relazioni biunivoche tra i risultati aziendali con le variabili decisionali e le decisioni prese. Questo fa sì che l’approccio statistico possa cogliere delle uniformità nella manifestazione degli eventi rischiosi, che sono comunque imprevedibili (Del Pozzo, 2009).
Più nello specifico possiamo evidenziare come il rischio aziendale abbia almeno quattro caratteristiche.
1. La rilevanza economica del contenuto. Il rischio aziendale deriva dalle caratteristiche proprie dell’impresa (assetto istituzionale, combinazioni economiche, organismo personale, assetto organizzativo, assetto tecnico e
12 La dottrina economico aziendale tende a classificare le aziende in quattro macro-categorie: 1l’azienda familiare di
consumo e di gestione patrimoniale; 2 l’azienda di produzione; 3 l’azienda composta pubblica; 4 l’azienda non-profit. Sebbene siano aziende diverse, se analizziamo la loro attività economica, vedremo come tutte presentano un elemento costante, cioè la presenza del rischio.
patrimonio) e dall’ambiente esterno. Non dobbiamo mai dimenticarci che pur derivando da questi aspetti, il rischio aziendale stesso influisce sul meccanismo di creazione del valore, dato che si riferisce a eventi che possono essere misurati in termini monetari, finanziari e reddituali.
2. La concezione sistemica. L’approccio ai rischi aziendali deve per forza passare per un’ottica sistemica. I rischi in azienda sono legati da rapporti di complementarietà tanto da formare un sistema dove i vari elementi sono tra loro interrelati e si influenzano vicendevolmente. Non si può analizzare ogni rischio isolatamente perché il rischio globale non deriva dalla semplice somma algebrica dei rischi che lo compongono. Per capire bene questo aspetto, è utile pensare al fatto che ogni volta che ci troviamo di fronte ad un rischio, qualsiasi alternativa di gestione dello stesso venga perseguita, porterà delle conseguenze non solo su questo rischio, ma anche su altri. Si pensi ad esempio ad un’azienda che ha dei problemi con un impianto industriale: il rischio è l’interruzione dell’impianto per uno stock insufficiente di scorte. Un’alternativa di gestione del rischio può essere la ritenzione del rischio all’interno dell’impresa mediante l’aumento dell’ammontare medio delle scorte. Questa scelta elimina il rischio iniziale, ma ne introduce altri: l’ammontare di scorte fisse fa sì che l’impresa sia più esposta alle fluttuazione dei prezzi delle scorte ed al rischio di variazione dei tassi d’interesse relativi al finanziamento attivato per acquistare le scorte stesse.
3. La concezione generale. Il rischio aziendale, considerato l’approccio sistemico, non può essere individuato in modo assoluto, ma sempre come congiunzione, e non mera sommatoria, dei rischi particolari ai quali è esposta l’impresa.
4. La dinamicità. Quando si valuta l’insieme dei rischi ai quali un’impresa è esposta è necessario considerare che, così come l’impresa è un sistema dinamico sottoposto ai continui mutamenti dell’ambiente in cui opera, anche il rischio aziendale è un qualcosa di mutevole e dinamico. L’impresa pertanto, quando valuta la sua esposizione ai rischi, non può prescindere da un approccio che tenga conto di come i vari mutamenti dell’ambiente esterno siano in grado di far variare i rischi patiti.
1.1.3 Le distinzioni del rischio aziendale
In questo paragrafo, continuando il nostro percorso concettuale volto alla descrizione del concetto di rischio, cercheremo di mettere in evidenza quali sono le distinzioni del rischio aziendale proposte dalla letteratura sul tema.
Quattro sono le macro divisioni che andremo ad affrontare: • rischi imprenditoriali e rischi associati;
• rischi puri e rischi speculativi; • rischi esogeni e rischi endogeni • rischi sistemici e rischi specifici13
Rischi imprenditoriali e rischi associati
La distinzione tra rischi imprenditoriali e rischi associati è una classificazione non molto comune in dottrina, ma, come afferma Prandi (2010), molto importante perché aiuta le imprese di medio-‐grandi dimensioni a gestire in maniera più consapevole l’impresa. Questa distinzione deriva dal modello della catena del valore di Porter del 1987. Porter delinea un modello in cui si può suddividere l’attività d’impresa in attività primarie e attività di supporto.14 In sostanza è dalle attività primarie che deriva il rischio imprenditoriale, mentre dalle attività secondarie i rischi associati.
Il rischio imprenditoriale, che deriva dalle scelte in merito alle attività primarie, è un rischio per sua natura non eliminabile, non trasferibile a terzi e inoltre non può essere coperto mediante la stipulazione di polizze assicurative. Attenzione che questo non significa non considerarlo, ma anzi è possibile attuare una politica di prevenzione in grado di adottare politiche gestionali coerenti alla tipologia di impresa presa a riferimento.
13 La tassonomia esposta si basa sul’integrazione delle opere di Del Pozzo (2009) e Prandi (2010).
14 Porter afferma che ogni impresa può essere vista come un insieme di attività svolte per progettare, produrre,
vendere, consegnare e assistere i suoi prodotti. Queste attività sono suddivise in attivita primarie e in attività secondarie. Le attività primarie riguardano in maniera diretta l’attività di traformazione degli input in prodotti e servizi per il consumatore e sono: logistica in entrata, attività operative, logistica in uscita, marketing e vendite e servizi post-vendita. Le attività secondarie sostengono le primarie e, anche se non possono essere percepite in maniera diretta dal cliente, contribuiscono indirettamente al prodotto/servizio che viene acquistato. Esse sono: approvvigionamento, sviluppo della tecnologia, gestione delle risorse umane e attivita infrastrutturali (Santesso, 2009).
I rischi associati, così definiti perché derivanti dalle scelte in merito alle attività di supporto, riguardano aspetti collaterali della realtà aziendale. Essi, a differenza dei primi, sono oggetto di specifiche politiche volte a minimizzare il loro impatto sull’azienda.
La distinzione tra rischi associati e rischio imprenditoriale va adattata alla specifica azienda presa a riferimento. E’ una distinzione quindi che va relativizzata alle singole imprese, che non deve essere presa in maniera troppo rigida. In dottrina, si è consci del fatto che questa classificazione può risultare per certi versi fuorviante, ma l’obiettivo è quello di aumentare le potenzialità dell’impresa nel prevenire i pericoli a cui è esposta. Infatti non si può chiaramente escludere come si possa ampliare la gestione dei rischi anche all’attività primarie della catena del valore (Prandi, 2010).
Rischi puri e rischi speculativi
La seconda distinzione che ci apprestiamo ad analizzare è quella tra rischi puri e rischi speculativi. Per mettere in luce da subito quale sia la differenza, possiamo dire che mentre i rischi puri presentano eventi sempre sfavorevoli, i rischi speculativi possono produrre sia esiti favorevoli che sfavorevoli per l’impresa (Conti, 1996). Questa distinzione deriva dallo sviluppo degli studi sul Risk Management. Anche se può risultare difficile identificare la distinzione tra le due tipologie di rischi, proviamo a definirne meglio i tratti caratteristici.
I rischi puri sono quei rischi ai quali è associata la possibilità di sostenere un onere elevato, ma non la possibilità di un guadagno. Nascono da eventi improvvisi che non possono essere previsti ex-‐ante mediante attività di previsione. Possono solamente essere gestiti attraverso attività ex-‐post di trasferimento del rischio. Esempi di rischi puri sono: rischi di responsabilità civile, rischi che causano danni materiali alla proprietà d’impresa, rischi che causano danni materiali alle proprietà altrui che si ripercuotono sull’impresa e morte, invalidità e malattia dei dipendenti.
I rischi speculativi invece sono i rischi dai quali può derivare sia un’opportunità di guadagno che un’opportunità di perdita per l’impresa. Sono legati ad eventi futuri che non possono essere previsti a priori. Sono quei rischi che descrivono quanto sia profittevole o meno un’attività d’impresa: infatti, se gestiti correttamente, i rischi speculativi sono fonte di profitto (Prandi, 2010). Sono considerati rischi speculativi: i rischi operativi, i rischi finanziari, i rischi di mercato e i rischi di business15.
15 Vedremo meglio più avanti la trattazione di queste tipologie di rischi. Per adesso ricordiamoci che:
La distinzione tra rischi puri e speculativi può non essere agevole in alcuni casi. A tal proposito non possiamo dimenticare quanto detto da Conti (1996):
“…si rivela infine come tutti i rischi sarebbero qualificabili come speculativi qualora nei
loro riguardi venissero regolarmente formulate delle aspettative.”16
Rischi esogeni e rischi endogeni
La terza distinzione che analizzeremo è quella tra rischi esogeni e rischi endogeni. La differenza tra le due tipologie di rischi è che mentre i primi traggono origine da eventi interni all’azienda, i secondi originano invece da eventi esogeni al complesso aziendale.
I rischi interni derivano la loro origine dalle scelte del management riguardanti aspetti centrali dell’attività d’impresa. L’organizzazione della produzione, le scelte logistiche e la selezione del personale sono solo degli esempi di ciò a cui ci riferiamo. La caratteristica più importante dei rischi interni è che l’azienda è in grado di influenzare, almeno parzialmente, l’andamento e la portata di questi rischi. Proprio questa caratteristica rende importante parlare di questa distinzione (Prandi, 2010).
I rischi esterni sono quei rischi che nascono da fenomeni esterni all’azienda e sui quali l’azienda non ha alcuna possibilità di modificare la natura, la direzione e la dinamica. L’azienda può però attivare meccanismi di prevenzione e di trasferimento a terzi in modo da tutelarsi dall’eventuale manifestazione di questi pericoli. Esempi di questi rischi sono: le fasi espansive e recessive del ciclo economico, la dinamica dei tassi di interesse e di cambio, le catastrofi naturali e atmosferiche e più in generale qualsiasi variabile fuori dalla governabilità dell’impresa in grado di influire sui valori economici e patrimoniali dell’azienda.
Rischi sistemici e specifici
La quarta ed ultima macro divisione che andremo ad analizzare è quella tra rischi sistemici e rischi specifici.
• il rischio finanziario è il rischio inerente alle scelte di struttura finanziaria;
• il rischio di mercato è il rischio dato dal mercato finanziario; • il rischio di business è il rischio legato alla tipologia di attività svolta.
16 Conti, C. (1996), L’esposizione dell’impresa ai rischi finanziari, Egea, Milano.
I rischi sistemici sono i rischi che derivano dalle dinamiche dell’economia globale. Quindi ci riferiamo all’andamento del ciclo economico (recessivo o espansivo), all’andamento dei tassi di interesse e di cambio, alla propensione al rischio degli investitori e più in generale a qualsiasi evento la cui rischiosità non può essere eliminata attraverso la diversificazione17. Infatti, la caratteristica principale dei rischi sistemici, che li differenzia principalmente da quelli specifici, è proprio il fatto che non possono essere annullati con il processo di diversificazione.
I rischi specifici, o non sistematici come spesso vengono definiti, sono i rischi che derivano dalle caratteristiche proprie dell’impresa analizzata (immagine, reputazione, rapporto con i fornitori e con i clienti, competenze, condizioni di finanziamento, ecc…) e dalle caratteristiche specifiche del settore in cui opera (redditività e sviluppo del settore, tensione competitiva, barriere all’entrata e all’uscita, ecc…). Contrariamente ai rischi sistemici, questi rischi possono essere compensati e annullati attraverso la diversificazione.
Nella descrizione delle differenze tra le due tipologie di rischio dobbiamo però osservare come il management in alcuni casi possa incontrare delle difficoltà nel cogliere l’origine della volatilità dei risultati aziendali; può succedere che rischio sistemico e rischio specifico si combinino rendendo difficile la loro individuazione. Per esempio, il dimezzamento del fatturato di un’impresa durante un esercizio può dipendere sia da un periodo di recessione economica, ma anche dalla dinamica del settore e dall’incapacità dell’operatore economico nell’offrire i prodotti adeguati. In tali situazioni può risultare difficile individuare precisamente le cause di un problema. Non dobbiamo mai dimenticarci come la concezione sistemica del rischio aziendale debba sempre accompagnarci. L’azienda, come i rischi, è un sistema complesso in cui ogni parte è in relazione di interdipendenza con le altre.
17 In finanza, quando si parla di diversificazione ci si riferisce alla riduzione della rischiosità del rendimento di un
portafoglio titoli, dove sono presenti più attività finanziarie, i cui rendimenti non sono perfettamente correlati. L’operazione si sostanzia nell’inserimento nel portafoglio di titoli il cui rendimento risulta non correlato a quello degli altri titoli presenti nel portafoglio. Quindi, è chiaro che il grado di diversificazione che verrà raggiunto dipenderà fortemente dal livello di correlazione tra le singole variabili di rischio.
1.2 Le tipologie di rischio
Dall’inizio del nostro lavoro abbiamo sempre messo in evidenza come molti esperti si siano occupati della tematica del rischio e di come in materia non ci siano sempre opinioni condivise. Anche qui, parlando delle tipologie di rischi aziendali, ci troviamo a ribadire lo stesso concetto. Gli studiosi propongono tassonomie diverse dei rischi. Sulla base del lavoro di alcuni studiosi18 qui verrà esposta una classificazione dei rischi il più possibile esaustiva e completa. Siamo convinti che in altre opere potrete trovare classificazioni diverse, ma quella qui proposta è una classificazione che partendo dalla teoria cerca sempre di avvicinarsi all’aspetto operativo e pratico che le aziende si trovano ad affrontare nelle problematiche di gestione dei rischi.
Figura 1.1 -‐ Le tipologie di rischio
Fonte: elaborazione personale
18Chapman, R. J. (2006), Simple tools and techniques for enterprise risk management, John Wiley and Sons,
Chippenham, Wiltshire; Conti, C. (1996), L’esposizione dell’impresa ai rischi finanziari, Egea, Milano; Crouhy, M., D. Galai, R. Mark (2006), The essentials of risk management, McGraw-Hill, Stati Uniti d’America; Del Pozzo, A. (2009), Controllo finanziario e rischio di default, Franco Angeli, Milano; Dowd, K. (1998), Beyond value at risk. The
New Science of Risk Management, John Wiley and Sons, Chichester; Prandi, P. (2010), Il risk management. Teoria e pratica nel rispetto della normativa, Franco Angeli, Milano.
RISCHIO
OPERATIVO RISCHIO DI MERCATO
RISCHIO FINANZIARIO RISCHIO DI