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Studio delle relazioni tra la composizione chimica del latte ovino e la resa alla caseificazione per la produzione di formaggio pecorino

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Academic year: 2021

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INDICE

PARTE GENERALE____________________________________ 3

1. IMPORTANZA ECONOMICA DEL FORMAGGIO PECORINO ___ 4

1.2 FORMAGGI PECORINI A PASTA DURA E TENERA A LUNGO E MEDIO PERIODO DI STAGIONATURA________________________ 6 1.3 FORMAGGI DA TAVOLA A PASTA MOLLE E BREVE PERIODO DI STAGIONATURA ________________________________________ 7

2. COMPOSIZIONE DEL LATTE OVINO ____________________ 7

2.1 Caratteristiche fisiche del latte ovino _____________________ 8

2.1.1 Densità________________________________________________________ 8 2.1.2 Punto crioscopico________________________________________________ 8 2.1.3 pH ___________________________________________________________ 9 2.2 Caratteristiche chimiche_______________________________ 9 2.2.1 Grasso ________________________________________________________ 9 2.2.2 Proteina ______________________________________________________ 11 2.2.3 Lattosio ______________________________________________________ 13 2.2.4 Ceneri________________________________________________________ 14 2.2.5 Vitamine______________________________________________________ 15

3. QUALITA’ DEL LATTE ______________________________ 15

3.1 QUALITA’ NUTRIZIONALE ____________________________ 16 3.2 QUALITA’ IGIENICA _________________________________ 18 3.2.1 Contaminazione microbiologica ____________________________________ 18 3.2.2 Contaminazione chimica _________________________________________ 20 3.3 QUALITA’ SANITARIA ________________________________ 21 3.4 QUALITA’ ORGANOLETTICA ___________________________ 24 3.5 QUALITA’ TECNOLOGICHE ____________________________ 25

3.5.1 FATTORI DI VARIAZIONE DEI PARAMETRI LATTODINAMOGRAFICI ______ 29

4. METODO DI CASEIFICAZIONE:DAL RICEVIMENTO DEL LATTE

ALLA DISTRIBUZIONE DEI FORMAGGI __________________ 39

5. FATTORI CHE INFLUENZANO LA QUALITA’ _____________ 44

5.1 FATTORI ESOGENI __________________________________ 44

5.1.1 L’ ALIMENTAZIONE _____________________________________________ 44 5.1.2 IGIENE DELL’AMBIENTE DI ALLEVAMENTO __________________________ 53 5.1.2 TECNICHE DI ALLEVAMENTO _____________________________________ 55 5.1.3 STAGIONE ____________________________________________________ 55 5.1.4 FATTORI CLIMATICI DELLA ZONA DI ALLEVAMENTO _________________ 55

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5.2.1 RAZZA _______________________________________________________ 56 5.2.2 ORDINE DI PARTO _____________________________________________ 57 5.2.3 STADIO DI LATTAZIONE _________________________________________ 58 5.2.4 TIPO DI PARTO ________________________________________________ 59

PARTE SPERIMENTALE_______________________________ 60

8. OBIETTIVO DEL LAVORO ___________________________ 61

8.1 SISTEMI DI PAGAMENTO LATTE-QUALITA’ FINALIZZATO ALLA RESA DI CASEIFICAZIONE _______________________________ 62

8.1.1 Cooperativa Il Forteto ___________________________________________ 62 8.1.2 Caseificio Sociale Manciano _______________________________________ 64

9. MATERIALI E METODI _____________________________ 69

9.1 Descrizione aziendale________________________________ 69

9.1.1 RAZZA MASSESE _______________________________________________ 70

9.2 Campionamento ____________________________________ 71 9.3 Determinazioni analitiche_____________________________ 72

9.3.1 Analisi chimico-fisiche (latte e formaggio) ___________________________ 72 9.3.2 Analisi igienico- sanitarie _________________________________________ 74 9.3.3 Analisi tecnologiche _____________________________________________ 74 9.3.4 Analisi statistica ________________________________________________ 77

10. RISULTATI E DISCUSSIONE ________________________ 77

11. CONCLUSIONI __________________________________ 91

12. BIBLIOGRAFIA __________________________________ 92

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1. IMPORTANZA ECONOMICA DEL FORMAGGIO

PECORINO

Nell’Unione Europea il 20% dei circa 102 milioni di capi ovini sono utilizzati per la produzione di formaggio; l’allevamento ovino trova il suo massimo sviluppo nell’area del Mediterraneo (Italia,Spagna,Grecia e Portogallo) e l’Italia riveste un ruolo fondamentale nella produzione del latte di pecora, la cui destinazione è esclusivamente casearia. A livello mondiale la produzione di latte di pecora rappresenta circa il 22% del totale con 1,7 milioni di tonnellate prodotte (quello di capra è circa il 19%). Quindi nel sud Europa ed in particolare nelle regioni subdesertiche proprie del bacino mediterraneo, l’ovinicoltura è l’attività zootecnica prevalente. In tali aree si sfrutta la capacità di questi piccoli ruminanti ad utilizzare terre povere, pascoli a bassa produzione in zone declivi e marginali (Flamant e Morand-Fehr,1982).

La diffusione degli allevamenti ovini sul territorio italiano è pressoché ubiquitaria, e ciò conferma la notevole capacità di adattamento di questa specie alle diverse condizioni ambientali e alimentari;tuttavia la distribuzione degli allevamenti é prevalentemente concentrata nelle regioni centro-meridionali: 77.000 aziende distribuite per il 70% nel Sud e nelle isole, nelle quali si trovano 4.1 milioni di pecore, pari al 52% della consistenza nazionale e per il 20% nel Centro con 2.4 milioni di pecore, pari al 30% della consistenza, ove spicca una forte specializzazione nella produzione di latte ed il rimanente 10% al Nord.

Le razze ovine da latte (Altamura, Comisana, Delle Langhe, Leccese, Massese, Pinzirita, Sarda e Valle del Belice) rappresentano il 58% del patrimonio ovino nazionale.

La razza a maggior diffusione sul territorio italiano è la Sarda con 4.700.000 soggetti, distribuiti soprattutto in Sardegna e , da circa 30 anni a questa parte anche in alcune province della toscana; la Massese, con

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costiere della Toscana (Massa Carrara, Lucca, Pisa, Pistoia; Livorno e Grosseto), nell’Apennino centrosettentrionale, in alcune zone della Liguria ed infine un piccolissimo numero di greggi è presente in Abruzzo e Puglia. Le due razze allevate prevalentemente in Toscana sono la Massese e la Sarda, seguite dalla Comisana e dall’Appenninica; sono inoltre presenti razze autoctone come la Pomarancina, la Zerasca e la Garfagnina usate prevalentemente per la produzione della carne. La distribuzione delle razze sul territorio non è uniforme: la Massese, come già accennato, è presente soprattutto nelle province di Pisa, Lucca, Massa e Grosseto; la Sarda è diffusa abbastanza omogeneamente in tutte le province della regione; la Comisana ad Arezzo e Grosseto; l’Appenninica soprattutto a Grosseto e a Siena.

Il pecorino è il formaggio per eccellenza tra quelli prodotti con latte ovino e rappresenta il terzo formaggio italiano per importanza dopo il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano.

In generale, l’offerta dei prodotti del caseificio ovino italiano è costituita in prevalenza da formaggi a pasta dura o tenera.

Il ciclo di lattazione della pecora, così legato alle condizioni stagionali, nonché la prevalente localizzazione dell’allevamento ovino nelle regioni centro-meridionali del nostro Paese, caratterizzate da valori medi di temperatura piuttosto elevati, hanno determinato il tipico indirizzo produttivo del caseificio ovino. In esso prevalgono infatti i formaggi a pasta dura o tenera e a lungo o medio periodo di stagionatura, mentre assai limitata è la varietà dei tipi a pasta molle e a breve ciclo di maturazione o a pasta fresca. I formaggi a pasta dura o tenera, per il loro ridotto contenuto in umidità meglio si prestano ad essere conservati e stagionati a lungo e agevolmente trasferiti dal luogo di fabbricazione ai mercati terminali di consumo. Tali tipi di formaggi, potendo essere presenti sul mercato per tutto il corso dell’anno, costituiscono inoltre il

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stagionalità del ciclo produttivo del latte di pecora tipico del nostro sistema di allevamento.

Al contrario, i formaggi molli o freschi di latte di pecora hanno avuto, nella tradizione casearia del nostro Paese, scarsa affermazione e limitata diffusione, essendo destinati o all’autoconsumo del pastore e della sua famiglia o, ad alimentare un ristretto commercio sui mercati locali.

1.2 FORMAGGI PECORINI A PASTA DURA E TENERA A LUNGO E MEDIO PERIODO DI STAGIONATURA

1. PECORINO ROMANO

Il pecorino romano è uno dei più rinomati formaggi pecorini a livello mondiale, la cui tecnica di fabbricazione risale ad epoca romana. E’ un formaggio che si può pregiare della denominazione d’origine tutelata che può essere fabbricato esclusivamente nella provincia di Grosseto, nel Lazio e nella Sardegna. Le più significative modificazioni rispetto all’antica tecnica artigianale hanno riguardato l’introduzione della termizzazione del latte e il conseguente impiego di un innesto naturale che è costituito da una coltura naturale di fermenti lattici termofili in scotta (siero che residua dalla fabbricazione della ricotta) che assicura al formaggio il mantenimento dei caratteri tipici conferitigli dalla microflora proveniente dall’ambiente di produzione e di trasformazione del latte (Bottazzi e Ledda, 1967; Ledda, 1986).

Oggi la fabbricazione è attuata esclusivamente su piano industriale. 2. PECORINO SARDO, PECORINO TOSCANO E ABRUZZESE

E’ questa una categoria di formaggi a pasta semicotta che rappresenta una quota importante della produzione del caseificio ovino italiano. La loro fabbricazione, pur non essendo del tutto scomparsa a livello artigianale, viene oggi realizzata per massima parte nei caseifici industriali. Importante la microflora che conferisce alla pasta la caratteristica struttura e l’aroma (Ledda

et al

.,1972).

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3. FORMAGGI CANESTRATI

Sono il Pecorino Siciliano e il Canestrato Pugliese, a denominazione d’origine, il Moliterno, il Pepato Siciliano e il Crotonese; tutti a pasta cruda tranne il Crotonese la cui cagliata viene riscaldata a 42-43°C, a media o lunga stagionatura e pertanto utilizzati sia per il consumo da tavola sia per la stagionatura.

Vengono chiamati formaggi canestrati per l’originalità della loro forma, modellata secondo la tradizione in canestri di giunco. Hanno, inoltre, un gusto decisamente piccante.

1.3 FORMAGGI DA TAVOLA A PASTA MOLLE E BREVE PERIODO DI STAGIONATURA

Per i motivi cui si è fatto cenno il caseificio italiano tradizionale non presenta una grande varietà di tipi che rientrino a pieno titolo in questa categoria di formaggi.

La gran parte di tali formaggi è riconducibili al tipo caciotta. La produzione di questi formaggi viene oggi attuata per massima parte in caseifici industriali soprattutto in Sardegna, in Toscana e nel Lazio e in forma artigianale in piccoli caseifici o da singoli pastori particolarmente nelle zone vicine ai tradizionali mercati di consumo.

2. COMPOSIZIONE DEL LATTE OVINO

COMPOSIZIONE (g/100g) ACQUA 81.75 GRASSO 7.09 PROTEINE 5.75 % Caseina 4.42 α s1 + α s2 29.60 β 55.10 K 8.90

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Prot. Solubili 1.06 β–lattoglobuline 51.40 α -lattoalbumine+sieroalbumine 25.10

proteosi-peptoni 5.60

Globulina 17.90

N non proteico 0.265 urea 44.80

aminoacidi 15.70 creatinina 1.70 creatina 2.40 ammoniaca 0.10 ac. urico 2.10 n.d. 33.30 LATTOSIO 4.61 CENERI 0.93 SOLIDI TOTALI 18.25 PROPRIETA' CHIMICO FISICHE

DENSITA' 1.0347-1.0384

VISCOSITA' 2.86-3.93

PUNTO CRIOSCOPICO -0.57

pH 6.5-6.8

2.1 Caratteristiche fisiche del latte ovino

2.1.1 Densità

La densità o massa specifica è il rapporto tra la massa di un dato volume di latte a 20°C e quella dello stesso volume di acqua a 20°C.

I fattori che influenzano la densità del latte sono la densità del plasma latteo (composto da acqua e residuo secco magro) in maniera proporzionale e la densità del grasso (tra 0,930 e 0,950g/ml a 20°C) in maniera inversa.

2.1.2 Punto crioscopico

Detto anche punto di congelamento è la temperatura alla quale la fase solida (ghiaccio) e quella liquida (acqua o soluzione acquosa) coesistono; permette di riconoscere un eventuale frode da annacquamento del latte. Il

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(lattosio e sali minerali) sono quelle che hanno minore variabilità percentuale nel corso della lattazione.

2.1.3 pH

Il pH misura quanto una sostanza è acida o basica; può variare nel corso della lattazione in rapporto a fattori alimentari, fisiologici e patologici. L’ampiezza della variazione è modesta all’interno della stessa specie, mentre cambia da una specie all’altra.

Studi eseguiti da vari ricercatori (Ustonol

et al

.,1985; Manfredini

et al

., 1991) hanno messo in evidenza che il pH è uno dei principali fattori di variabilità delle caratteristiche di coagulabilità del latte, poiché le micelle caseiniche perdono la loro stabilità al suo diminuire e precipitano al punto isoelettrico di 4,6.

I tipi di latte con buona attitudine alla coagulazione presamica presentano un range di pH compreso tra 6,45 e 6,80 (Chiofalo

et al

.,1986,1989). All’aumentare del pH si osservano valori più elevati dei parametri tecnologici r, k20 e più bassi di a30 (Manfredini

et al

.,1989); questi risultati sono stati confermati dal fatto che in corrispondenza del valore più basso di pH, si hanno tempi di coagulazione e rassodamento del coagulo inferiori (Pilla

et al

.,1995).

2.2 Caratteristiche chimiche

2.2.1 Grasso

E’ il principale responsabile del sapore e dell’aroma tipico del latte delle diverse specie; inoltre nella frazione lipidica è disciolta anche la maggior parte degli aromi che provengono dagli alimenti assunti dagli animali, quali ad esempio gli aromi delle essenze pascolive. Il grasso, durante il processo di caseificazione, viene quasi interamente inglobato nella rete della cagliata ed influenza quindi positivamente la resa in formaggio.

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Si deve inoltre ricordare la sua importanza nutrizionale per l’elevato potere energetico che possiede e l’apporto di acidi grassi.

GRAFICO 1: Andamento della percentuale di grasso nel corso della lattazione di pecore di razza massese (Pugliese et al.1998)

E' la componente del latte più variabile, si osserva infatti una diminuzione della percentuale di grasso nella fase in cui la produzione di latte aumenta, e ciò avviene nel primo periodo dopo il parto, viceversa, nella coda di lattazione, quando la quantità di latte diminuisce progressivamente la percentuale di grasso aumenta. Differenze si verificano anche tra il latte della mungitura mattutina e di quello serale, solitamente più grasso; e infine, nel corso della stessa mungitura, il primo latte è più magro ed il grasso si concentra in quello degli ultimi getti.

Questo parametro è inoltre fortemente condizionato da molti fattori sia genetici che ambientali; è nota la differenza tra razze, ma anche all’interno della stessa razza vi sono pecore con caratteristiche migliori di altre. Questo fatto consente di migliorare il parametro anche attraverso la selezione genetica.

Il più importante fattore ambientale è sicuramente l'alimentazione, sulla quale l’allevatore può intervenire al fine di ottimizzare la propria produzione.

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un peso specifico minore del latte magro, così tendono ad aggregarsi ed ad affiorare spontaneamente nel latte lasciato a riposo, formando uno strato superficiale di crema.

I grassi sono costituiti per il 98% da trigliceridi, prodotti di esterificazione della glicerina con acidi grassi, sintetizzati a livello del citoplasma delle cellule alveolari e per il restante 1-2% da fosfolipidi, steroli ed altre sostanze liposolubili (Secchiari

et al.

2002). Gli acidi grassi più rappresentati sono l’ acido palmitico e l’ acido oleico (25% e 20%), ma una particolarità del latte ovino è la sua ricchezza in acidi a catena medio-corta, in particolare l’acido caprinico (C10:0) e caprilico (C8:0), in misura maggiore rispetto a quello di vacca e responsabili del sapore caratteristico dei formaggi ovini. Un altro gruppo di acidi grassi che caratterizza il latte ovino è quello degli isomeri coniugati dell’acido linoleico, presenti nel latte di tutti i ruminanti, ma di cui è particolarmente ricco il latte di pecora. Gli acidi grassi a catena corta e media (C4-C16) sono sintetizzati ex-novo dalla ghiandola mammaria a partire dall’acetato e dal β-idrossibutirrinato prodotti dalle fermentazioni dei carboidrati ad opera dei microrganismi presenti nel rumine (Peaker, 1977). Quelli a catena lunga (C>18), già preformati nel sangue, sono captati direttamente dalla mammella e possono provenire sia dagli alimenti che dalla mobilizzazione delle riserve lipidiche corporee.

2.2.2 Proteina

Le proteine sono tutte sintetizzate a livello della ghiandola mammaria a partire da aminoacidi prelevati dal sangue. Questa componente è costituita da due frazioni con caratteristiche diverse e di fondamentale importanza a riguardo della caseificazione.

La caseina, che rappresenta circa l'82% della proteina totale, è composta da 4 tipi di frazioni proteiche complesse (alfa-s1, alfa-s2, β, k), ed è quella

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costituendo la "cagliata" e imbrigliando in questa rete anche i globuli di grasso. La sua importanza è quindi fondamentale nel processo di caseificazione e la velocità di formazione del coagulo della cagliata e la sua consistenza sono determinanti per la resa e la qualità del formaggio. Il tasso di K-caseina, in particolare, gioca un ruolo determinante nel meccanismo di coagulazione presamica del latte, in quanto tale proteina ha un effetto marcato sulla velocità di aggregazione della micelle. Infatti il diametro medio delle micelle è inversamente proporzionale alla quantità di K-caseina presente nel latte. Le altre proteine sono le sieroproteine, le cosiddette proteine solubili (β-lattoglobulina, alfa-lattoalbumina e siero albumina), con un peso molecolare minore della caseina, non hanno la capacità di coagulare per azione del caglio e rimangono così in soluzione nel siero che residua dalla cagliata. Per provocare la coagulazione di tali proteine occorrono temperature elevate, pertanto riscaldando il siero esse si separano sotto forma di flocculi che, affiorando, possono essere raccolti per la produzione della ricotta. Le sieroproteine sono presenti nel latte di pecora in percentuale più elevata rispetto al latte caprino e vaccino e conferiscono al latte un alto valore biologico, essendo ricche di

amminoacidi essenziali.

La quantità percentuale della proteina del latte varia meno rispetto al grasso, ma risente ugualmente del periodo della lattazione seguendo la stessa dinamica del grasso.

In generale, con il procedere della lattazione, il latte tende ad arricchirsi di caseina e proteine solubili, mentre si impoverisce di azoto non proteico. Nel latte di pecora il rapporto tra le proteine e la materia azotata totale è molto levato (pari al 95%) ad indicare un contenuto in azoto non proteico molto basso, a tutto vantaggio del valore biologico dei formaggi.

Importanti sono anche in questo caso i fattori genetici e ambientali e tra questi ultimi ancora una volta primeggia l'alimentazione.

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Grafico 2 - Andamento della percentuale di proteina nel corso della lattazione di pecore di razza Massese (Pugliese et al.1998)

Importanti sono anche i sali minerali, presenti come ioni, parzialmente o totalmente complessati con la caseina: i più rappresentati sono il potassio, i cloruri di calcio, i fosfati e il sodio e in piccola quantità, i solfati, il magnesio, il ferro. Il calcio determina la coagulazione della caseina, legandosi con essa sotto l’azione enzimatica del caglio.

2.2.3 Lattosio

E’ lo zucchero contenuto nel latte; è un disaccaride formato da una molecola di glucosio e una di galattosio che conferisce al latte un sapore leggermente dolce e costituisce un substrato per numerosi microrganismi, tra cui quelli utilizzati per l’ottenimento di prodotti lattiero caseari a base di latte fermentato. La fermentazione più importante è quella lattica, che avviene spontaneamente nel latte lasciato a riposo. I batteri lattici idrolizzano il lattosio in una molecola di glucosio e una di galattosio, dopo di ché trasformano il galattosio in glucosio e, infine, fermentano le 2 molecole di glucosio in 4 molecole di acido lattico. Il lattosio, quindi, sotto l’azione dei batteri lattici, si trasforma in acido lattico che conferisce al latte stesso in poco tempo l’odore e il sapore tipico del latte inacidito.

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I fattori che influenzano la velocità di alterazione del lattosio sono le alte temperature e tutte le operazioni che, se non perfettamente controllate dal punto di vista igienico, facilitano la contaminazione del latte stesso. Nel processo di caseificazione una leggera acidificazione del latte facilita la formazione della cagliata e poi, durante la prima fase di maturazione del formaggio, la fermentazione del lattosio ad opera dei batteri lattici facilita lo spurgo del siero e determina la regolare maturazione del prodotto.

Grafico 3 - Andamento della percentuale di lattosio nel corso della lattazione di pecore massesi (Pugliese et al.1998)

2.2.4 Ceneri

I sali presenti nel latte si possono dividere in macro e micro-costituenti; dei primi sono particolarmente studiati calcio e fosforo, per l’importanza che rivestono dal punto di vista nutritivo, come pure il ruolo che esplicano sullo stato fisico e sulla stabilità delle proteine e sulla coagulazione presamica. Dei microelementi sono particolarmente importanti ferro e rame per la loro attività di catalizzatori dei fenomeni di ossidazione del grasso, come pure altri metalli costituenti di alcuni enzimi (Albonico e Cerutti,1996).

La frazione minerale riveste un ruolo essenziale sotto l’aspetto tecnologico poiché la stabilità termica e l’attitudine del latte alla coagulazione sono in

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stretta dipendenza con i contenuti di fosforo e calcio solubili. Il fosfato di calcio sia colloidale, sia cristalloide, è il fattore più importante, caratteristico ed essenziale della micella caseina.

La determinazione analitica delle ceneri viene ottenuta mediante incenerimento (carbonizzazione) e calcinazione a 550°C del latte (ASPA,1995).

2.2.5 Vitamine

Nel latte troviamo sia le vitamine liposolubili (A, D, E, K), le quali essendo legate alla materia grassa, si trovano nella crema e nel burro, risultandone pressoché privi il latte magro ed il siero; sia il gruppo delle idrosolubili (Gruppo B, PP, C), che si trovano nel siero e che rimangano pertanto anche nel latte scremato.

I contenuti vitaminici del latte sono soggetti a forti oscillazioni, in dipendenza di numerosi fattori e specialmente del regime alimentare.

3. QUALITA’ DEL LATTE

Il concetto di qualità di un alimento viene definito come una convergenza tra i desideri e le necessità dei consumatori e i requisiti qualitativi intrinsechi ed estrinsechi dei prodotti alimentari (Hocquette, 2005).

Tra i requisiti intrinsechi ed estrinsechi che concorrono a determinare la qualità del latte si ricordano:

• la sua composizione chimica (qualità nutrizionale)

• la limitata contaminazione batteriologica e l’assenza di sostanze chimiche nocive (qualità igienica)

• l’assenza di odori, sapori e colori anomali (qualità organolettica) • la buona attitudine alla trasformazione (qualità tecnologica) • la provenienza da animali sani (qualità sanitaria)

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3.1 QUALITA’ NUTRIZIONALE

La qualità nutrizionale di un alimento, sia che questo venga consumato direttamente sia che venga trasformato, dipende dalla sua composizione chimica.

Nel caso del latte ovino, destinato quasi esclusivamente alla caseificazione, i contenuti in proteine e in grasso sono evidentemente i due parametri che assumono la maggior importanza in quanto condizionano la rese in formaggio e in ricotta.

Il latte di pecora ha un contenuto nettamente maggiore in grasso, in proteine e in minerali rispetto al latte bovino, mentre il tenore in lattosio risulta simile.

La presenza del latte e dei suoi derivati (formaggio e yogurt) nella dieta umana è pressoché indispensabile per l’equilibrio e l’adeguatezza della razione alimentare.

Le proteine del latte hanno un buon valore biologico; importante è la componente peptidica contenente sostanze proteiche con funzione nutritiva (alfa- lattoalbumina, β- lattoglobulina, caseine) e immunitarie (immunoglobuline, lattoferrina); contiene inoltre proteso-peptoni e proteine minori del siero come la transferrina e le sieroalbumine. Esistono, inoltre, altri peptidi, con proprietà bioattive rilevanti, che si generano da alcune delle sostanze proteiche sopra citate, a seguito di processi idrolitici a loro carico che avvengono nel tratto gastrointestinale, durante la digestione del latte.

Questi peptidi possono essere suddivisi in base alle loro proprietà: esistono peptidi ad azione antimicrobica (lattoferrina, k-caseina, isracidina) e altri che sono in grado di interagire a vari livelli con il metabolismo animale ed umano (lattorfina, casochinina); tra questi ultimi, alcuni si dimostrano efficaci nel combattere l’ipertensione, altri nel combattere i fenomeni trombotici, altri ancora in grado di modulare la risposta

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Le proteine, le vitamine e il calcio caratterizzano il latte dal punto di vista nutrizionale perché le proteine assicurano da sole quasi 1/5 dell’apporto proteico totale della razione media e circa 1/3 del reale fabbisogno giornaliero medio ed inoltre forniscono una grande quantità di aminoacidi essenziali che non vengono sintetizzati dall’organismo umano.

Per quanto riguarda il calcio è un elemento necessario all’organismo durante tutte le fasi della vita, deve perciò essere assunto giornalmente con gli alimenti; svolge un ruolo essenziale nella formazione e nel mantenimento delle ossa e dei denti e nella regolazione di molti processi come la conduzione degli impulsi nervosi, la contrazione di muscoli e la coagulazione del sangue. Il latte e i suoi derivati riescono ad assicurare la massima parte (circa il 70%) dell’apporto alimentare di calcio, presente nel latte medesimo e nei prodotti di trasformazione come il fosfato di calcio, cioè in forma facilmente assimilabile, al contrario di quella (calcio fitinico) che caratterizza i vegetali (sia i lattanti sia l’uomo non hanno nel loro corredo enzimatico le fitasi necessarie a scindere il legame del Ca fitinico).

Per quanto riguarda la frazione lipidica, il contenuto di grasso nel latte varia a seconda della specie ed è costituito principalmente da trigliceridi (98-99%), fosfolipidi, steroli, ed altre sostanze liposolubili (1-2%).

Di estrema importanza è il gruppo degli isomeri coniugati dell’acido linoleico (CLA) e, in particolare, l’acido rumenico che, secondo la National Academy of Science (NRC, 1996) è “l’unico acido grasso che mostra in maniera inequivocabile attività anticarcinogena in esperimenti realizzati su animali”. Questa molecola, inoltre, si è dimostrata attiva anche in altre patologie come l’aterosclerosi, il diabete, l’obesità mostrando elevate capacità di interferire positivamente con il sistema immunitario. Fra le attività di alcuni isomeri CLA si ritrovano anche quella antiaterogenica ed ipocolesterolemica.

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Il contenuto energetico nel latte ovino è di 100 calorie/100 grammi di latte (contenuto molto maggiore rispetto al latte di vacca che fornisce circa 60 calorie/100 grammi di latte intero ed appena 35 nel latte totalmente scremato).

3.2 QUALITA’ IGIENICA

Il latte come ogni derrata alimentare è sottoposto all’azione di fattori esterni che possono indurre rilevanti modificazioni qualitative; i fattori di maggior interesse sono rappresentati dalla contaminazione microbiologica e da quella chimica.

3.2.1 Contaminazione microbiologica

Un latte ovino di ottima qualità dovrebbe avere un numero di germi mesofili inferiore a 100.000 per ml.

Oggigiorno la sicurezza e la salubrità rientrano tra i fattori più importanti in assoluto. Sfortunatamente, i prodotti di origine animale possono rappresentare una fonte potenziale di contaminazione biologica e chimica per i consumatori. L’introduzione di strategie di controllo lungo tutta la filiera alimentare e lo sviluppo di un sistema di gestione della sicurezza alimentare, dalla produzione primaria fino all’ambiente domestico rappresentano obiettivi fondamentali da raggiungere. I recenti regolamenti comunitari costituenti il cosiddetto “pacchetto igiene” (Regolamenti CE 852, 853, 854, 882/2004 e Direttiva 2002/99) approfondiscono e precisano le tematiche della sicurezza alimentare e le modalità di applicazione del sistema HACCP. La tracciabilità è un altro requisito qualitativo utilizzato per attuare la politica di sicurezza e qualità degli alimenti. La tracciabilità della razza e dell’identità di un animale, dell’origine geografica e della sua alimentazione in allevamento sta diventando un requisito sempre più richiesto (Hocquette, 2005).

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Rispetto a quello vaccino il latte ovino presenta, già subito dopo la mungitura, un tasso medio di contaminazione microbica più elevato in relazione con le differenti condizioni oggettive in cui si attuano le operazioni di mungitura.

La taglia ridotta dell’animale, la conseguente prossimità della mammella al suolo, la presenza del vello, il sistema di mungitura che impone l’ubicazione del secchio posteriormente e non lateralmente all’animale, l’impossibilita pratica di ricorrere al lavaggio e all’asciugatura della mammella (sia in condizioni di mungitura manuale che meccanica), il fatto che per ottenere la medesima quantità di latte di una bovina occorrere mungere un gran numero di capi ovini, sono senza dubbio condizioni sfavorevoli alla produzione di un latte con basse cariche microbiche. Indagini di laboratorio hanno dimostrato comunque, che in condizioni di mungitura manuale, è possibile ottenere un latte con un numero di microrganismi assai contenuto anche se al momento del trasferimento del latte dal luogo di produzione al caseificio, intervengono molti fattori che possono favorire la proliferazione batterica. Un aumento della contaminazione e proliferazione microbica del latte è causata da un allargamento della base territoriale di reperimento del latte e quindi dalla sua diversa provenienza, dai tempi di raccolta e di trasporto, dalle elevate temperature a cui è esposto il latte (Nudda, 1992).

Il latte di pecora, però, ha una spiccata attività immunologia, dovuta probabilmente all’attività di alcuni enzimi (Nudda,1996) che conferisce al latte maggior resistenza alla proliferazione batterica nel corso delle prime ore successive alla mungitura (Ledda

et al

.,1992). Inoltre l’abbassamento del pH è relativamente contrastato dall’elevato contenuto in sostanze minerali (calcio in particolare) e in caseina che ne innalzano il potere tampone. Queste caratteristiche sono vantaggiose nei confronti della conservazione del latte, ma svantaggiose quando il latte viene sottoposto

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Notevoli progressi sono stati ottenuti con l’introduzione della mungitura meccanica, che nel campo ovino è ancora affiancata da quella manuale, ma che permette di aumentare l’igiene e la qualità del latte e contribuisce a diminuire il numero di microrganismi (coliformi e batteri lattici) presenti nel latte, dalle 8 alla 85 volte rispetto alla mungitura manuale (Petrowa, 1981).

L’ ottenimento di latte con una bassa carica batterica è funzione dell’osservanza di alcune norme:

1. igiene dei ricoveri: mantenere la lettiera pulita e asciutta e i locali ben aerati per avere mammelle pulite e abbassare la carica microbica ambientale

2. igiene personale: il mungitore deve indossare abiti puliti e lavarsi accuratamente le mani

3. in caso di mungitura meccanica: lavare e disinfettare l’impianto di mungitura e controllare il buon funzionamento

4. refrigerare il latte subito dopo la mungitura

5. controllare che la refrigerazione avvenga in modo adeguato avendo cura che la temperatura nelle vasche di refrigerazione non sia troppo elevata (ideale 6°-8°), che la durata della conservazione in azienda non sia eccessiva (massimo 48 ore), che le vasche siano lavate accuratamente

6. se il latte non viene trasformato in azienda, controllare attentamente le condizioni in cui avviene il trasporto. Può infatti accadere che un latte ottenuto in buone condizioni igieniche e conservato adeguatamente fino al momento della raccolta, arrivi poi alla trasformazione in condizioni qualitative scadenti

3.2.2 Contaminazione chimica

La mammella, oltre alla funzione di organo secretorio, ha anche la funzione di organo emuntorio, serve cioè come via di eliminazione di

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potrebbero trovare un numero elevatissimo di composti chimici nocivi per la salute del consumatore: residui di farmaci, residui di pesticidi, metalli pesanti, micotossine, radionuclidi, residui di disinfettanti e detergenti, diossina, etc.. Fortunatamente nella pratica questo avviene solo raramente e, di norma, i soli residui che si possono ritrovare nel latte, per errori nella conduzione del gregge da parte dell’allevatore, sono quelli di farmaci e di pesticidi.

Un latte sano non deve contenere residui di antibiotici o di altri farmaci. I farmaci somministrati alla pecora vengono eliminati per vie diverse e quindi anche attraverso la mammella finendo, in quantità e tempi variabili da prodotto a prodotto, anche nel latte. I residui dei farmaci possono essere nocivi per l’uomo e possono influenzare negativamente i processi di trasformazione del latte nei diversi prodotti caseari.

Molto gravi risultano poi i danni legati alla presenza di residui di antibiotici nel latte, che indicano modificazioni del numero e dell’equilibrio della microflora normalmente presente nel latte.

I fermenti lattici che intervengono nel processo di trasformazione sono molto sensibili all’azione degli antibiotici, mentre i batteri indesiderabili come i coliformi sono molto più resistenti e quindi in grado di prendere il sopravvento sui primi. Si può così avere un andamento anormale dell’acidificazione, un’insufficiente spurgo della cagliata e la comparsa di difetti di struttura della pasta, quali occhiature e gonfiori.

Quanto detto non dovrebbe mai accadere se l’allevatore rispetta rigorosamente il tempo di sospensione dei farmaci, cioè il tempo necessario perché il farmaco non si ritrovi più nel latte.

3.3 QUALITA’ SANITARIA

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definisce infatti il latte il prodotto ottenuto dalla mungitura di animali in buono stato di salute e di nutrizione.

Un indicatore aspecifico di sanità della mammella è rappresentato dalle cellule somatiche (CCS). Esse sono costituite dall’insieme di globuli bianchi e delle cellule di sfaldamento della ghiandola mammaria. I globuli bianchi sono normalmente presenti nel latte perché vi passano dal sangue che irrora abbondantemente la mammella ed hanno il compito di difendere i tessuti dalle infezioni. Sono presenti in quantità molto elevata quando la mammella ha subito traumi o vi è una infezione in corso, anche in forma non manifesta. In ogni situazione di malessere dell’animale, ed in modo particolare della mammella, creata da infezioni da microrganismi, da urti, lesioni, mungitura non corretta, bruschi cambiamenti di alimentazione e stress ambientali, si possono registrare innalzamenti anche molto consistenti di cellule nel latte. Il controllo periodico di questo parametro costituisce quindi un ottimo sistema per la precoce individuazione e quindi prevenzione delle mastiti.

Grafico 4 - Andamento delle cellule somatiche nel corso della lattazione in latte di pecore Massesi (Pugliese et al.1998)

Le cellule di sfaldamento della ghiandola mammaria sono anch’esse presenti normalmente nel latte in quanto il processo di secrezione

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loro numero è piuttosto costante e quindi si concentrano nel latte quando la produzione si abbassa, ad esempio a fine lattazione.

Valori elevati di cellule somatiche peggiorano le caratteristiche casearie, aumentando i tempi di formazione della cagliata e diminuendone la consistenza. L’aumento oltre certi livelli è di norma associato ad una variazione importante della composizione chimica generale del latte, con una sensibile diminuzione delle caseine, dell’ordine del 6-9% ed un aumento delle sieroproteine dello stesso ordine di grandezza.

Il contenuto in cellule somatiche aumenta molto in caso di mastiti, quindi è indice di un processo infettivo in atto e si accompagna a una modificazione della conducibilità del latte, ma tale aumento può anche essere correlato a squilibri o a turbe di carattere alimentare che interagiscono sul normale funzionamento del rumine.

E’ quindi opportuno che il valore di questo parametro sia il più basso possibile per assicurare la sanità del gregge e la qualità del latte.

In Europa il tenore medio in cellule somatiche (CCS) nel latte ovino risulta alto ed è pari a 1,5-2 milioni di cellule/ml; secondo alcuni autori in Italia si riscontrano valori addirittura più alti della media europea (Tambirrano,1995). Recenti studi eseguiti nelle quattro regioni maggiormente vocate a livello nazionale per l’allevamento ovino da latte (Lazio, Toscana, Sicilia, Sardegna), hanno rilevato, tuttavia, che il valore medio generale in cellule somatiche è circa di 1.389.000 cell/ml. La classe di ampiezza di cellule somatiche maggiormente rappresentata è risultata, da questo studio, quella compresa nell’intervallo tra 500.000 e 1.500.000cell/ml (Rosati

et al

., 2004).

In effetti il parametro cellule somatiche rappresenta uno dei più variabili del latte e non si hanno ancora dei dati certi per tutte le cause di variazione del suo contenuto nel latte (La guardia, 1994). Ad esempio, in uno studio effettuato su pecore di razza Sarda, Camisana e Massese è

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stata riscontrata una variabilità del CCS compresa tra valori minori a 500.000 e maggiori di 3.000.000/ml di latte (Duranti

et al

.,1998).

Un altro parametro utile per la definizione della qualità sanitaria del latte è il livello di carica batterica (CBT). Esso è costituito dall’insieme di microrganismi formanti colonia (CFU) contenuti in un millilitro di latte, è quindi il risultato della sua contaminazione microbica, e il suo valore è il parametro utilizzato per valutare le condizioni igieniche delle operazioni di mungitura e stoccaggio del latte. Il latte infatti esce da una mammella sana in condizioni pressoche sterili, cioè privo di germi, che vi arrivano dall'esterno attraverso tutto quello con cui il latte viene a contatto: aria della stalla, cute dell'animale, mani del mungitore, secchi, condutture della mungitrice, bidoni e refrigeratori. Della carica microbica è quindi responsabile l'allevatore per le modalità con cui munge, conserva e trasporta il latte.

I batteri una volta presenti nel latte si moltiplicano velocemente e questa velocità aumenta quando la temperatura del latte supera i 6°C. La maggior parte di essi tuttavia, muore qualora il latte venga riscaldato a temperature superiori ai 40°C.

Un latte crudo, munto e conservato nelle migliori condizioni, può avere una carica batterica inferiore a 50.000 germi, mentre un latte munto in condizioni igieniche pessime e mal conservato può arrivare a contenere anche più di 20.000.000 di CFU per ml.

3.4 QUALITA’ ORGANOLETTICA

I caratteri organolettici sono quelli che possono essere rilevati con gli organi di senso, cioè il colore, l’odore e il sapore. E’ evidente l’importanza che questi rivestono per il consumatore.

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una maggiore viscosità a causa del più elevato contenuto in sostanza secca.

L’odore è caratteristico della specie e risulta particolarmente debole per un latte munto in buone condizioni.

La peculiare composizione in acidi grassi del latte ovino, in particolare l’elevata presenza di acido caprilico e acido caprinico nei trigliceridi del grasso, influisce in modo determinante sul sapore pronunciato dei suoi derivati.

Nei processi di caseificazione, il latte di pecora dà una cagliata più compatta rispetto a quello di vacca, la pasta dei formaggi è più bianca e si osserva un’assenza relativa di gusti amari legata probabilmente alla bassa percentuale di alfa-s1 caseina.

3.5 QUALITA’ TECNOLOGICHE

In un latte destinato alla trasformazione casearia, quale è quello ovino, alcuni requisiti specifici quali l’acidità titolabile, l’attitudine alla coagulazione presamica, la presenza di spore di clostridi, la presenza di batteri coliformi, assumono un’importanza particolare. Altri parametri quali la carica microbica, il numero in cellule somatiche, l’acidità reale, l’assenza di sostanze inibenti, il contenuto in caseina sono ugualmente importanti sia in un latte destinato alla caseificazione sia in uno destinato all’alimentazione.

L’acidità titolabile e l’attitudine alla coagulazione presamica sono strettamente correlate, infatti l’acidità influenza direttamente il processo di coagulazione. Un latte ipoacido o addirittura alcalino può dar luogo a una coagulazione difettosa con conseguente minor resa e scadente qualità del formaggio. Cause di variazioni di questo parametro sono varie e ricollegabili a fenomeni patologici, che interessano la mammella, a squilibri

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alimentari, alla presenza di residui di detergenti e/o disinfettanti, ma anche a temperature troppo alte dell’ambiente di allevamento.

I parametri lattodinamografici definiscono l’attitudine del latte a coagulare in presenza di caglio, cioè una reazione fra enzimi (naturali o artificiali) e le caseine del latte. E’ chiaro che un latte destinato alla caseificazione deve formare rapidamente una cagliata ferma e stabile.

L’analisi di questi parametri si effettua in laboratorio con una apparecchiatura specifica (lattodinamografo) che misura le caratteristiche di piccole cagliate effettuate con i campioni di latte da analizzare. Ogni mini cagliata viene misurata tramite le oscillazioni di un pendolino che vi penetra e ne rileva la resistenza (prova elastometrica).

Nella figura 1 è riportato schematicamente un tracciato della prova elastometrica.

I parametri lattodinamografici sono:

tempo di coagulazione

(r), che si misura in minuti e va dall’aggiunta del caglio fino all’inizio del processo di coagulazione.

velocità di formazione del coagulo

(k20), è il tempo misurato in minuti che va dall’inizio della coagulazione fino al momento in cui la cagliata raggiunge una consistenza standard (oscillazione di 20 mm sul lattodinamogramma).

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consistenza del coagulo

(a30), si misura in mm (oscillazione sul lattodinamogramma a 30 minuti dall’aggiunta del caglio).

In base ai parametri reologici il latte viene classificato in diversi tipi lattodinamografici (Cecchi

et al

.,1997):

• K20<4 e r<25: il latte origina coaguli rapidi e consistenti (latte

buono)

• 4≤ K20 ≤5 e r<30 o se K20<4 e 25≤r<30: latte con una sufficiente

attitudine alla coagulazione (latte mediocre)

• K20 ≥5 e 15< r<30 e r≥30: latte non reattivo (latte non idoneo)

L’attitudine alla coagulazione presamica rappresenta un parametro importante per il latte ovino, nella valutazione della sua qualità tecnologica.

Il latte stesso deve esser in grado di avere una buona reattività al caglio, in modo da ottenere una cagliata caratterizzata da un’ottima capacità di rassodamento e di contrazione, requisiti indispensabili per avere una buona eliminazione del siero e una equilibrata disidratazione della massa caseosa.

La caseificabilità del latte e quindi la struttura della cagliata e la sua elasticità, sono condizionati da diversi fattori fra i quali si ricordano:

- la concentrazione del caglio: la coagulazione è tanto più veloce e la cagliata tanto più serrata ed elastica quanto maggiore è la concentrazione dell’enzima;

- la temperatura del latte: la coagulazione avviene solo a temperature superiori a 15° C ed ha il suo ottimo fra 37 e 42° C; a temperature inferiori a 15° la paracaseina non precipita ed a temperature superiori a 50° l’enzima viene inattivato;

- l’acidità del latte: la coagulazione avviene solo in ambiente acido e, fino alla soglia di pH 4,6 la cagliata risulta tanto più elastica e consistente e tanto più rapida la sua formazione, quanto maggiore è la sua acidità.

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- la concentrazione salina del latte: la presenza di ioni calcio è indispensabile per la formazione del coagulo e quindi ogni trattamento che modifica la quantità di calcio disponibile (riscaldamento preventivo del latte, lunga conservazione del latte refrigerato, formazione di sali insolubili) rallenta la coagulazione.

Dai grafici 5, 6 e 7 si evidenzia come le migliori caratteristiche casearie del latte si abbiano nel periodo centrale della lattazione.

Grafico 5 - "tempo di formazione del coagulo" (r)

nel corso della lattazione di pecore di razza Massese (Pugliese et al.1998)

Grafico 6 - "velocità di formazione del coagulo" (k 20)nel corso della lattazione di pecore di razza Massese

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Grafico 7 - " consistenza del coagulo" (a 30) nel corso della lattazione di pecore di razza Massese (Pugliese at al.1998)

In conclusione, tenendo conto che i primi 20-30 giorni dopo il parto il latte è utilizzato dall’agnello, risulta evidente che il latte migliore, dal punto di vista dell’attitudine casearia, è quello del primo periodo della mungitura . Dal punto di vista della composizione chimica, invece, in corrispondenza del picco di lattazione si rileva un latte con minore concentrazione dei nutrienti.

3.5.1 FATTORI DI VARIAZIONE DEI PARAMETRI LATTODINAMOGRAFICI

I parametri lattodinamografici (

r,k20,a30

), sono stimati in laboratorio tramite apparecchiature che simulano il processo di caseificazione.

Alcuni ricercatori hanno messo in evidenza le relazioni che intercorrono tra i parametri lattodinamografici, individuando quelle positive tra r e k20 e negative tra quest’ultimi e a30 (Chiofalo e coll., 1989; Ubertalle e coll.,1989; Manfredini e coll.,1989; Micari e coll., 1989; Duranti e Casoli, 1991; Pugliese e coll., 1997; Martini e coll., 1999).

Alcuni studi (Chiofalo e coll.1986, 1989; Ubertalle e coll. 1989 e 1990; Casoli e coll. 1990; Manfredini e coll 1992, 1993; Cecchi e coll 1997) hanno tentato di classificare il latte ovino in base al tipo lattodinamografico. Queste ricerche sono state effettuate, tuttavia, prevalentemente su latti individuali e non risulatano omogenei come

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metodologia (tipo, quantità e forma fisica del caglio utilizzato) ed interpretazione dei dati. L’estenzione di questi risultati sperimentali alla realtà pratica porterebbero alla penalizzazione dei latti che per motivi di ordine genetico, fisiologico, ambientale o per la diversa tecnologia adottata, richiedano tempi più lunghi di caseificazione.

Ciò è stato messo in evidenza da un recente studio, condotto da Cecchi e coll. (1997), dal quale emerge che le classificazioni proposte da alcuni Autori non risultano soddisfacenti, ad esempio, per il latte della pecora Massese, per il quale sono stati trovati valori di r, k20, ma anche di a30 più elevati rispetto a quanto riportato in bibliografia (Ubertalle e coll. 1989 e 1990, Chiofalo e coll., 1989; Manfredini e coll.,1992; Casoli e coll., 1990). Questi risultati tenderebbero a far rientrare il latte della pecora Massese nella classe a scarsa attitudine casearia; ciò non trova riscontro nella realtà, visti i buoni risultati del formaggio prodotto (resa del 20-22% e grande apprezzamento sul mercato): sembra quindi che per la pecora Massese la qualità del prodotto trasformato non venga penalizzata da tempi di rassodamento maggiori. Questo è stato dimostrato anche da una valutazione espressa da una commissione di studio dell’Associazione Scientifica Produzione Animale (A.S.P.A.)riguardo l’attitudine alla coagulazione presamica del latte ovino: il latte della pecora Massese, pur mostrando un tempo di reazione all’enzima più elevato, ha presentato un tempo di rassodamento (k20) minore ed una migliore consistenza del coagulo (a30).

Quindi è oggi prematuro proporre una classificazione del latte di pecora in funzione dei tracciati lattodinamografici ed alcuni Autori (Scandolera 1994;1995; Orsillo 1995;1996; Rapaccini 1997; Martini e coll.1999) consigliano il rilevamento di più parametri lattodinamografici oltre a r, k20 e a30 per valutare la reale reattività del latte di pecora.

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indice caseinico molto basso, elevata % di sieroproteine, di cloruri e di sodio, basso rapporto potassio/sodio, alto pH e conducibilità.

Infine, un altro studio condotto da una commissione scientifica dell’ASPA ha valutato la ripetibilità e la riproducibilità del metodo lattodinamografico: la notevole variabilità osservata indica che i confronti tra le variabili lattodinamografiche sono possibili nell’ambito dello stesso laboratorio e che per rendere accettabili i confronti tra i diversi laboratori sono necessari ulteriori approfondimenti che consentano di ottenere risultati più omogenei.

Variazione dei parametri LDG in base a: Fattori qualitativi

• Proteine

All’aumentare della % di proteine del latte si riscontra una fase enzimatica (r) più lunga ma k20 e a30 migliori (Delacroix- Buchet e coll.,1994; Scaldolera, 1994;1995; Orsillo 1995;1996; Cecchi, 1996; Recio e coll 1997; Pugliese, 1997; Pellegrini e coll., 1997). In particolare, ad un aumento delle caseine diminuiscono r e k20 e aumenta la consistenza del coagulo a30 (Duranti e coll.,1991).

Le sieroproteine sono risultate correlate positivamente con il tempo di coagulazione (r) la durata di formazione del coagulo k20 (Duranti e Casoli 1991; Ubertalle e coll., 1991) e negativamente con la consistenza del coagulo a30 (Duranti e Casoli 1991; Ubertalle e coll., 1991; Piredda e coll., 1993; Serra e coll., 1995).

• Grassi

Ci sono opinioni disaccordi per quanto riguarda l’influenza della quantità di grasso nel latte rispetto ai parametri LDG.

Da una parte il miglioramento dei parametri LDG a fine lattazione potrebbe essere dovuto all’elevato tenore in grasso collegabile con la maggiore viscosità del latte. A conferma di ciò, Zumbo e coll. (1994)

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rilevato differenze di pH e k20, mentre i parametri r e a30 sono risultati peggiori nel latte scremato: questi risultati farebbero ipotizzare che il grasso del latte eserciti un certo peso sulle misure dei parametri LDG. Di contro Scandolera (1994;1995) rileva che all’aumentare della % di grasso si denota una maggiore durata di r, un leggero incremento di k20 e un valore minore di a30.

• Lattosio

Anche sull’influenza del lattosio i pareri sono diversi.

Secondo alcuni autori all’aumentare della percentuale di lattosio si ha una diminuzione di r e k20 con un aumento della consistenza del coagulo se misurato dopo 10 e 20 minuti dall’inizio della coagulazione (Scandolera, 1994;1995; Orsillo, 1995;1996); altri autori, invece, evidenziano che la % di lattosio non influisce sul processo di coagulazione del latte.

• pH

Il pH è uno dei principali fattori di variabilità dei risultati reologici in quanto le micelle caseiniche perdono stabilità al suo diminuire e precipitano al punto isoelettrico di 4,6.

All’aumentare del pH del latte si osservano valori statisticamente più elevati di r e k20 e più bassi di a30 (Manfredini e coll.,1989; Chiofalo e coll., 1989; Bolla e coll., 1994; ; Recio e coll 1997; Pugliese, 1997; Cecchi e coll.,1998; Martini e coll, 1999).

Il pH risulta correlato positivamente con l’acidità e le sieroproteine (Durati e Casoli, 1991) e negativamente con la consistenza del coagulo dopo 45 minuti (a45).

• Contenuto in cellule somatiche (CCS)

Molti autori ritengono che il CCS influenzi negativamente ed in maniera altamente significativa le caratteristiche di coagulazione. In particolare il tempo di coagulazione (r) e la durata di formazione del coagulo (k20) risultano positivamente correlati con il contenuto in cellule somatiche

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coagulo (a30) (Ubertalle e coll., 1991; Manfredini e coll.,1992; Rapaccini e coll., 1992; Pugliese e coll., 1997).

Di contro però, Scintu e coll.(1990) affermano che livelli elevati di cellule somatiche non sembrano influire significativamente sull’attitudine alla coagulazione del latte.

Fattori biologici

• Ordine di parto

Gli studi effettuati fino ad oggi sulle caratteristiche casearie del latte in funzione dell’ordine di lattazione non si presentano del tutto concordi però sembra che le caratteristiche tecnologiche migliori del latte si evidenziano agli inizi della carriera produttiva e ciò potrebbe essere imputabile oltre che alle condizioni fisiologiche sia anche al minor numero di patologie della mammella rilevabili in questa fase. Quindi r e a30 risultano migliori nelle pecore di 1° parto e 2° parto, con r e k20 ridotti e a30 migliore accompagnato da un pH più basso che, come è noto, favorisce la coagulazione. (Pugliese, 1997). Le pecore di 4° parto di differenziano nettamente dalle altre fornendo un latte tecnologicamente peggiore (più alti i valori di r, di k20 e di cellule somatiche e più bassi di a30 e a45). I parametri tendono invece a migliorare nella 5° e 6° lattazione probabilmente a causa di scelte manageriali che mantengono in produzione oltre la quarta lattazione le pecore migliori (Pugliese

et al

., 1997).

All’aumentare dell’età si osserva un peggioramento dell’attitudine casearia infatti la durata della fase enzimatica diminuisce ma, risultano ridotte, la velocità di formazione del coagulo e la consistenza dello stesso (Scandolera, 1994/95).

Di contro, Orsillo (1995/1996) riporta che all’aumentare della carriera produttiva si ha un miglioramento dell’attitudine alla caseificazione, con tempi minori ed una consistenza del coagulo migliore.

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Nell’arco della lattazione, sembrerebbe che i parametri tecnologici possano peggiorare verso la fine della lattazione, probabilmente sia per le condizioni anatomo–isto-fisiologiche della mammella sia per il cambio di alimentazione, ma anche in questo caso ci sono pareri diversi.

Un progetto di ricerca svolto sul latte ovino di massa in alcuni allevamenti dell’Emilia Romagna ha dimostrato che i latti “non reattivi” (r>30’) insieme a quelli che hanno mostrato una scarsa attitudine alla coagulazione (r>15’), si sono concentrati nel periodo in cui la maggior parte delle greggi si trovava a fine lattazione. Detti latti hanno mostrato la tendenza ad avere elevati valori di pH, sieroproteine, cellule somatiche e ceneri (Manfredini

et al

.,1993).

• Allattamento

I tempi di coagulazione sono diversi per il latte che proviene da pecore in mungitura rispetto a quello ottenuto da pecore che sono ancora nella fase di allattamento: i parametri LDG, infatti, nel primo caso sono peggiori (Bianchi e coll., 1983); anche Rassu e coll. (1993) riportano che per le pecore i cui agnelli sono sottoposti ad allattamento artificiale, le caratteristiche di caseificazione del loro latte peggiorano, rimanendone invariata la composizione.

• Produzione quantitativa del latte

Sono stati riportati risultati opposti: per la pecora Bolognese (Orsillo, 1995/96) è stato verificato che ad un aumento della quantità di latte prodotto corrisponde un peggioramento dei parametri LDG; invece per la pecora Laticauda si è visto il contrario (Scandolera, 1994/95).

• Stagione di parto

Pareri contrastanti si registrano per l’influenza della stagione di parto sulla attitudine alla caseificazione.

• Altimetria

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maggior concentrazione di sali che rende più rapida la coagulazione del latte e risulta inferiore l’inquinamento batterico (Bianchi e coll.,1991). • Mungitura

L’attitudine del latte alla caseificazione non sembra essere condizionata in maniera significativa dal numero delle mungiture. Ciò che può determinare un peggioramento delle proprietà di coagulazione, è la sospensione temporanea della mungitura (Lucaroni,1993). Infine il latte della mungitura serale evidenzia valori di r, k20, a30 peggiori rispetto al latte della mungitura del mattino (Scandolera, 1994;1995; Orsillo, 1995;1996). Tecnica di alimentazione

• proteine

Le proteine rivestono un ruolo fondamentale nel processo di caseificazione e l’alimentazione agisce attraverso la disponibilità di aminoacidi; il loro aumento a livello intestinale comporta una maggiore produzione quantitativa del latte e quindi di proteine totali nella lattazione ma, secondo Campus e coll. (1990), la concentrazione proteica della razione non influisce sulla coagulabilità del latte. Mentre, un eccesso proteico tende a peggiorare la qualità del latte ed in particolare le sue caratteristiche casearie poiché deprime la concentrazione caseinica ed aumenta il tasso di urea nel latte(Bianchi e coll., 1991).

Non è importante solo la quantità di proteine della dieta ma anche la loro qualità (Bertoni, 1993); somministrando una dieta caratterizzata da una composizione aminoacida più equilibrata a livello intestinale è stato evidenziato un lieve miglioramento dei parametri LDG.

• Grassi

In riferimento all’aggiunta di grassi protetti nella dieta i pareri sono discordi: alcuni autori sostengono la non influenza di diete integrate con fonti lipidiche sui parametri lattodinamografici, mentre altri lo trovato negativo (Campus e coll., 1990).

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L’attitudine alla caseificazione non risulta influenzata da questi contenuti nella dieta (Chiofalo e coll., 1993).

• Pascolo

Il latte prodotto da pecore al pascolo presenta una buona attitudine alla coagulazione (Pirisi e coll., 1995; Martini e coll., 1999), soprattutto se la razione comprende anche mangimi caratterizzati da un basso tenore di NDF.

• Insilati

Sia il fienosilo che l’insilato di mais hanno fatto registrare un miglioramento dei parametri lattodinamografici (Bianchi e coll., 1990; Pirisi e coll., 1994).

• Cereali

L’impiego di cereali sotto forma fioccata rispetto a quelli macinati o spezzati ha determinato, solo per r e k20, una migliore coaguabilità del latte (Bianchi e coll., 1994).

• Sanse di olive

L’introduzione di sanse di olive nella razione in fase terminale della lattazione ha fatto registrare un peggioramento dei parametri lattodinamografici (Bontempo e coll., 1993; Lanzani e coll., 1993).

Trattamenti del latte • refrigerazione

Partendo dal presupposto che la refrigerazione è utile solo per il latte di buona qualità microbiologica all’atto della mungitura, si può dire che l’uso del freddo può influire negativamente sulle caratteristiche di coaguabilità e fermentazione per l’azione negativa sulla flora casearia mesofita, il cui sviluppo viene ostacolato dal freddo a vantaggio dei germi psicrofili (Cosseddu, 1997).

Gli psicrofili che proliferano a T< di 7°C destabilizzano la struttura micellare delle caseine, modificando l’attitudine alla coagulazione del latte

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formaggi. Sono presenti in grande quantità nel latte munto in condizioni scadenti e tendono a moltiplicarsi rapidamente durante la refrigerazione, fino a costituire anche il 35% della carica microbica totale del latte refrigerato.

Altri Autori come Patti (1989), riportano che la refrigerazione non induce variazioni nell’attitudine alla coagulazione, anche se determina maggiori perdite di grassi e proteine.

• riscaldamento

Il riscaldamento, utilizzato per il risanamento del latte, allunga i tempi di coagulazione e determina un peggioramento delle caratteristiche della cagliata (Nudda, 1996).

• tipo do caglio

I 2 tipi di caglio, liquido e in polvere, non sembrano influenzare significativamente i parametri LDG (Chiofalo e coll., 1991).

La resa in formaggio è il parametro tecnico più importante.

La trasformazione del latte in formaggio consiste fondamentalmente in processo di separazione tra la parte solida (la cagliata) da quella liquida (il siero).

In definitiva il formaggio deriva dalla evoluzione e maturazione della cagliata. Nel processo di caseificazione pertanto risulta di primaria importanza il massimo recupero possibile della parte solida, maggiore è la quantità di solidi recuperati e migliore sarà la resa.

Si definisce resa casearia la quantità di formaggio espressa in kg che si ricava da 100 kg o litri di latte.

Nella resa globale del latte si deve considerare anche la produzione di ricotta dal siero perché questa rappresenta un prodotto di particolare pregio nella tradizione locale.

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Nella tabella 1 è descritto come i componenti del latte si separano tra siero e cagliata.

Tabella 1 - Ritenzione dei componenti del latte nella cagliata e nel siero (Salvatori del Prato, 1998)

Componenti Latte % Cagliata % Siero %

Grasso 100 92 8 Proteine totali 100 76 24 Caseina 100 94 6 Sieroproteine 100 17 83 Lattosio 100 5 95 Sali minerali 100 20 80 Acqua 100 7 93

La resa, oltre che dai parametri che caratterizzano il latte è ovviamente condizionata dalla tecnica di lavorazione e dalla stagionatura (temperatura, umidità e tempi di lavorazione, differenti manipolazioni sulla cagliata) e quindi i valori di resa devono essere riferiti al tipo di formaggio ottenuto.

Tabella 2 - Rese di alcuni pecorini artigianali toscani ottenuti da latte di pecore di razza Massese (Buratti M., Nesi C. (1986)

Tipo di formaggio Resa %

Pecorino (in primavera) 19 - 20 Pecorino (in inverno) 20 - 22

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4. METODO DI CASEIFICAZIONE:DAL RICEVIMENTO

DEL LATTE ALLA DISTRIBUZIONE DEI FORMAGGI

Ricevimento del latte

Pesatura e filtrazione

Conservazione del latte

Pastorizzazione

Raffreddamento

Aggiunta dello starter Preparazione

dello starter

Coagulazione Preparazione

del caglio

Rottura

Agitazione e separazione del siero

Cottura (formaggi duri)

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Estrazione della cagliata e riempimento delle forme

Stufatura Pressatura (formaggi duri) Trattamento

(raschiatura, oliazione, ceratura, lavaggio, imballaggio)

Distribuzione

Per quanto numerose siano le varietà di formaggio conosciute, il metodo di caseificazione è pressochè unico ed è sostanzialmente basato sulla coagulazione del latte. Il momento più importante per la produzione del formaggio è legato alla coagulazione della caseina; la cagliata subisce poi una serie di manipolazioni che, a seconda del modo in cui vengono condotte, danno origine a formaggi diversissimi: freschi (tipo caprino e tomini freschi), a pasta molle (tipo crescenza e italico), a pasta dura (tipo grana e pecorino), a pasta filata (tipo mozzarella e provolone). Resta comunque il fatto che le tecnologie di base individuano poche tipologie di formaggi. Le altre innumerevoli varianti sono determinate soprattutto da dettagli di lavorazione (in particolare l'uso di fermenti) o dalle condizioni di stagionatura, che sono in grado di conferire caratteristiche organolettiche molto differenti.

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La trasformazione casearia prevede diverse operazioni, molte delle quali risultano comuni a tutti i diversi tipi di formaggio. L'eliminazione di una parte dell'acqua e la coagulazione stanno alla base del processo di caseificazione. Inoltre, questo processo è regolato dalle attività dei microrganismi presenti naturalmente nel latte o inoculati per integrare la flora presente o per sostituirla. Le operazioni principali comuni a tutte le lavorazioni sono:

preparazione del latte

aggiunta del caglio e coagulazione rottura del coagulo

sgocciolamento e stufatura salatura

stagionatura

Inoltre, per una grossa percentuale di formaggi, un altro passaggio importante è costituito dalla cottura.

Nella fase di preparazione del latte i momenti più significativi sono: - analisi al ricevimento

- pesatura e filtrazione

- pastorizzazione (non per tutte le produzioni)

- sosta di affioramento e di maturazione (per i formaggi semigrassi) - riscaldamento del latte in caldaia

-inoculo degli starter

La pastorizzazione è utilizzata prevalentemente nella fabbricazione industriale di formaggi molli; è resa obbligatoria per legge per i formaggi a pasta filata. Il suo compito è distruggere i microbi patogeni e abbassare la carica microbica totale. Per la produzione di formaggi che non contengono l'intero quantitativo di grasso del latte di partenza, il latte è lasciato sostare in bacinelle per varie ore (da 8 a l2). In questo modo si ottiene sia un affioramento di una parte del grasso che poi viene allontanato, sia una

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crescita microbica, che provoca una maturazione del latte importante per il successivo sviluppo del sapore e dell'aroma del formaggio.

L'inoculo degli starter microbici, soprattutto per i latti pastorizzati, consiste in un'aggiunta di microrganismi filocaseari ritenuti idonei allo sviluppo di fermentazioni e trasformazioni che caratterizzano ciascun tipo di formaggio. Ha lo scopo di arricchire la flora microbica del latte da caseificare, per influire sulla coagulazione e sullo spurgo della cagliata attraverso l'incremento della produzione di acido lattico e anche di influenzare i processi di maturazione e ostacolare i processi putrefattivi. Il riscaldamento del latte serve a favorire l'azione degli enzimi coagulanti del caglio che svolgono un' azione ottimale a una temperatura poco meno di 40°C.

La coagulazione si ottiene riscaldando alla temperatura idonea il latte, posto in caldaie, e aggiungendo il caglio. Dopo un periodo di tempo, che varia a seconda del tipo di formaggio, avviene la separazione della massa caseosa dalla fase acquosa. In effetti, poiché nel frattempo nel latte si è verificata anche una certa acidificazione, la coagulazione si verifica non solo per azione dell’enzima chimasi del caglio, ma anche per l’abbassamento del pH del latte. Lo spurgo consiste nella separazione del siero (la parte acquosa) dalla cagliata. Il processo avviene naturalmente e si realizza in caldaia.

Quando il coagulo ha raggiunto la consistenza voluta, per favorire ulteriormente il processo di spurgo, il coagulo viene rotto. Più prolungata è l’opera di rottura e maggiore risulterà l'espulsione di siero. Nei formaggi molli, ricchi di acqua, la rottura sarà quindi grossolana e lo spurgo incompleto, mentre per i formaggi a lunga maturazione la rottura è più accurata e lo spurgo può essere reso ancora più estremo da un riscaldamento della cagliata detto "cottura". In questo caso, a cottura

Figura

Tabella 2 - Rese di alcuni pecorini artigianali toscani ottenuti da latte  di pecore di razza Massese (Buratti M., Nesi C
Tabella per la determinazione del prezzo d’acconto di latte di pecora in vigore  dal 1 marzo 2005
Tabella 1: Valori medi, minimi e massimi dei parametri chimici e tecnologici del  latte delle 12 caseificazioni
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