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Valutazione del magnesio sierico nel cane critico ospedalizzato: lo "ione dimenticato"

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Academic year: 2021

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(1)

U

NIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE VETERINARIE

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

“Valutazione del magnesio sierico nel cane critico

ospedalizzato: lo “ione dimenticato””

Relatore:

Prof.ssa Grazia Guidi

Candidato:

Anna Giuntoli

Correlatore:

Dott.ssa Gianila Ceccherini

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INDICE

RIASSUNTO……….. 5

ABSTRACT………. 5

PARTE GENERALE

Capitolo 1: il magnesio………

7

1.1 Fisiologia del magnesio………7

1.2 Ipermagnesemia………...19

1.2.1. Cause

1.2.2. Segni clinici

1.2.3. Approccio diagnostico e terapeutico

1.3 Ipomagnesemia………...24

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1.3.2. Segni clinici

1.3.3. Approccio diagnostico e terapeutico

Capitolo 2: l’importanza della valutazione del magnesio nel

paziente critico………

35

Capitolo 3: cenni sulle metodologie di determinazione della

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PARTE SPERIMENTALE

Capitolo 4: studio clinico………...

53

4.1. Scopo della tesi………53

4.2. Materiali e metodi………...54

4.3. Risultati………...64

4.4. Discussioni e conclusioni………...94

BIBLIOGRAFIA………...103

RINGRAZIAMENTI

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5

Riassunto analitico

Parole chiave: cane, paziente critico, magnesio, emogas venoso.

Obiettivo: valutazione della magnesemia nel paziente critico canino mediante l’utilizzo dello strumento IDEXX VetTest Chemistry Analyzer.

Materiali e metodi: i pazienti sono stati arruolati in base a codice di triage giallo/rosso ed in tutti i soggetti sono stati eseguiti visita clinica e prelievi venosi dalla vene giugulare o cefalica/safena. Sono stati eseguiti due prelievi: prelievo a T0 all’arrivo del paziente e a T1 terzo giorno di ricovero per la determinazione della magnesemia, emogas venoso e profilo biochimico. Gli animali sono stati divisi in base alla magnesemia: ipomagnesemici Mg<1,4mg/dl, normomagnesemici 1,4<Mg<2,38 mg/dl, ipermagnesemici Mg>2,38 mg/dl, in base alla patologia. È stato valutato l’indice di sopravvivenza tramite utilizzo della scala SPI2 e registrato l’outcome. Valutazione di differenza significativa tra i valori di magnesio a T0 ed i valori di magnesio a T1, tra i valori di magnesio a T0 nei soggetti sopravvissuti e i valori di magnesio a T0 nei soggetti deceduti. Valutazione di differenza significativa tra i valori di magnesio a T0 ed i parametri emogas-analitici, biochimici e clinici in ingresso. Valutazione di associazione tra i valori di magnesemia in ingresso e l’outcome dei soggetti. Per ciascun gruppo di patologie valutazione di differenza significativa tra i valori di magnesio a T0 ed i valori di magnesio a T1; valutazione della correlazione tra i valori di magnesio ed i parametri emogas-analitici rispettivamente a T0 e T1. Risultati: sono stati inclusi 30 cani pervenuti in Pronto Soccorso. È risultata differenza statisticamente significativa tra i valori di magnesio a T0 ed i valori di magnesio a T1 nel gruppo di soggetti. È risultata una debole correlazione negativa tra i valori di magnesio in ingresso e la FR, ma non per i parametri clinici FC e MAP. Non è risultata differenza statisticamente significativa tra la magnesemia in entrata ed i parametri emogas-analitici Ph, HCO3-, K+, Ca2+, Cl-, Na+, non è risultata differenza significativa tra la magnesemia in entrata e l’outcome. Nella

suddivisione in gruppi in base alla patologia è risultata differenza significativa tra i valori di magnesio a T0 ed i valori di magnesio a T1 solo nei soggetti gastroenterici ed è risultata differenza significativa solo tra i valori di magnesio a T0 ed i valori di HCO3-, Na+e Cl- a T0, rispettivamente, nello stesso gruppo, mentre non sono

risultate significative le stesse correlazioni negli altri gruppi di patologia.

Conclusioni: dal nostro studio sono emerse variazioni della magnesemia nel paziente critico canino. Il 50% dei soggetti è risultato ipermagnesemico. È probabile che il fallimento dell’attività dell’asse HPA sia la principale causa. Le differenze significative risultate solo per i valori di magnesio a T0 suggeriscono che le variazioni di magnesemia siano minime e facilmente correggibili dalla fluidoterapia e terapia medica. La significatività ottenuta nel gruppo di pazienti gastroenterici conferma che la magnesemia risenta di patologie legate a questo apparato, anche se dato il numero esiguo di soggetti per sottogruppo di patologie non possiamo escludere che i valori di magnesio si alterino anche in altre circostanze.

Abstract

Key words: dog, critically ill patient, magnesium, venous blood gas.

Objective: the aim of the study is to determine and evaluate serum magnesium concentration [Mg] in critically ill dogs using the IDEXX VetTest Chemistry Analyzer instrument.

Materials and Methods: we enrolled patients with triage code yellow/red. Clinical parameters were registered at the arrival of all patients. Serum sample was collected to determine [Mg] and biochemical and electrolyte panels at the arrival of the patients (T0) and at the third day in ICU (T1). Patients were divided into three groups: hypomagnesemic (<1,4 mg/dl), normomagnesemic (1,4<>2,38 mg/dl), hypermagnesemic (>2,38 mg/dl) and into categories on the base of the principal diagnosis, outcome has been evaluated. Evaluation of statistically significant difference between: [Mg] at T0 and T1; [Mg] at T0 between survivors and non-survivors; [Mg] at T0 and electrobiochemical parameters and clinical parameters at T0; [Mg] at T0 and outcome. For every pathological category evaluation of statistically significant difference between [Mg] at T0 and T1 and between [Mg] and electrolytes parameters at T0 and at T1 respectively.

Results: we enrolled 30 dogs admitted to ICU. Statistically significant difference between [Mg] at T0 and at T1 was found in the total group of patients. Weak negative correlation between [Mg] at T0 and respiratory rate was found. No statistically significant differences between [Mg] at T0 and heart rate, medium arterial pressure, electrolyte parameters and outcome were found. Statistically significant differences between [Mg] at T0 and T1 and between [Mg] at T0 and HCO3-, Na+e Cl- at T0 were found in the gastrointestinal category patients.

Conclusions: we found abnormalities in serum magnesium concentration of critically ill dogs. In our study 50% of patients were hypermagnesemic. Abnormalities in serum magnesium seems to be successfully correct with fluid therapy and medical treatment. The statistically significant differences found in the gastrointestinal category patients confirm the influence of the gastrointestinal homeostasis on the serum magnesium

concentration. We can’t excluded abnormalities in serum magnesium in the other pathological categories because of the low number of subject of our study. More studies should be performed to better defined movement of serum magnesium in critically ill dogs.

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Capitolo 1: Il magnesio

1.1. Fisiologia del magnesio

Il magnesio rappresenta uno dei cationi maggiormente presenti a livello intracellulare, secondo solo al potassio (Martin et Al. 2015).

Il 99% del magnesio si trova a livello intracellulare e solo l’1% a livello extracellulare. Il magnesio sierico è per il 30-40% legato alle proteine, di cui il 60-70% all’albumina, mentre la restante parte alle globuline; il 4-6% è legato in forma complessa ad anioni come citrato, fosfato, bicarbonato, lattato o solfato; il 55-65% è in forma ionizzata, costituisce la frazione biologicamente attiva (Shenck 2005; Sarais et al. 2000; Kroll et al. 1985).

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Sebbene il magnesio sia presente in tutte le cellule dell’organismo, la maggior parte della riserva è costituita dal tessuto osseo (67%) (Quamme et al. 1994), poi dal muscolo scheletrico (20%)ed infine da altri tessuti molli (19%). Il magnesio contenuto nelle cellule dei tessuti molli e della superficie ossea scambiabile, può essere mobilitato per mantenere l’omeostasi tra la concentrazione del catione ionizzato extracellulare e la concentrazione citosolica (Berkelhammer et al. 1985; Barnes 1963). A livello intracellulare è mantenuto ad una concentrazione costante di 0,5-1 mmol/L, al contrario delle significative fluttuazioni della concentrazione del magnesio extracellulare (Romani et al. 1991).

I meccanismi che regolano l’omeostasi intracellulare del catione sono tre: 1) il legame con le proteine, 2) afflusso ed efflusso di magnesio attraverso la membrana plasmatica cellulare 3) sequestro e movimentazione attraverso gli organelli cellulari. Il flusso attraverso la membrana cellulare sfrutta diversi “canali”: i recettori CaSR (calcium/magnesium sensing receptor) e Beta percepiscono bassi livelli di Mg²+

extracellulare, stimolano la proteina Gs, la quale aumenta i livelli intracellulari di AMP ciclico. Alti livelli intracellulari di Camp determinano il rilascio di Mg²+ dagli organelli

cellulari ed il suo aumento a livello citoplasmatico. Dopo di che il catione viene perso rapidamente attraverso la membrana cellulare per mezzo dello scambio Na+/Mg2+

oppure attraverso i canali basolaterali TRPM7. Così i livelli di Mg²+ citosolico

rimangono costanti. La stimolazione dei recettori CaSR aumenta anche l’espressione dei canali TPRM6 sulla membrana apicale delle cellule epiteliali intestinali e renali (Romani et al. 1991).

Il magnesio assolve a diverse funzioni metaboliche, tra le più importanti è coinvolto nella produzione ed utilizzo dell’adenosina trifosfato (ATP). L’elettrolita funge da coenzima per la pompa sodio-potassio ATPasi legata alla membrana e permette di mantenere il gradiente dei due ioni attraverso tutte le membrane. Anche la pompa calcio ATPasi e quella protonica necessitano del magnesio per funzionare. È inoltre essenziale per la sintesi degli acidi nucleici e delle proteine, per regolare il tono della muscolatura vasale liscia, come secondo messaggero di diversi sistemi cellulari e

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trasduttore di segnale. Dati rivelano che il magnesio eserciti una certa influenza anche sull’attivazione dei linfociti, sulla produzione di citochine e sull’infiammazione sistemica. (Friday et al. 1990; Tong et al. 2005; King et al. 2005).

Uno studio condotto in umana ha evidenziato che in un gruppo di adolescenti presi in esame coloro che consumavano meno della razione giornaliera raccomandata di magnesio presentavano valori di proteina C-reattiva sierica elevata (> 3,0 mg/L); il catione sembra quindi avere un ruolo diretto ed importante nella regolazione dell’infiammazione (King et al. 2007).

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Omeostasi intestinale del magnesio

Il sito primario di assorbimento del magnesio è l’ileo, ma anche digiuno e colon assumono il loro ruolo in questa funzione.

Ad oggi i meccanismi di assorbimento a livello dell’ileo rientrano tra quelli più studiati. Le vie di assorbimento intestinale sono due: passiva paracellulare e attiva transmembrana (Hardwick et al. 1990; Hayashi et al. 1992; Karbach et al. 1990). Lo spostamento dello ione per via paracellulare avviene attraverso le tight junction tra le cellule epiteliali, e le forze che lo determinano sono: il gradiente di concentrazione transepiteliale di magnesio, il gradiente di voltaggio transepiteliale determinato dall’assorbimento di acqua e Sali e la permeabilità delle tight junction al magnesio (Kerstan et al. 2002).

Il

gradiente di concentrazione transepiteliale

generalmente favorisce l’assorbimento intestinale di magnesio ed è influenzato dalla concentrazione intraluminale di magnesio ionizzato, a differenza del magnesio chelato o dei composti contenenti tale ione che, invece, non contribuiscono. L’apporto totale di magnesio e degli altri costituenti con la dieta, che va a determinare i composti contenti il catione, comunque, può influenzarne il suo netto assorbimento.

Il

gradiente di voltaggio transepiteliale

consiste in una debole carica positiva a livello intraluminale che determina una piccola forza in grado di favorire il movimento transepiteliale del catione, questa è generata dal movimento di acqua e Sali che anche grazie alla forza osmotica permettono lo spostamento di magnesio ed altri ioni.

La

permeabilità delle tight junction

è ancora argomento di studio, esistono numerose proteine che funzionano come canali di passaggio per gli ioni, ma a livello intestinale non sono stati ancora identificati con precisione. A livello renale invece le proteine prendono il nome di Paracellin-1 (PCLN-1) e si pensa che possano esistere in forma simile a livello intestinale.

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Per il meccanismo di trasporto attivo transcellulare si ipotizza l’esistenza di alcune proteine di trasporto sia sulla membrana cellulare basolaterale sia su quella luminale delle cellule epiteliali dell’intestino (Cole et al. 2000).

Recentemente sono stati identificati alcuni canali: una famiglia unica di geni chiamati

transient receptor potential

(TRP) codifica per entrambe le proteine, le quali appartengono alla sottofamiglia M (melastatina) ed etichettate rispettivamente TRPM6 e TRPM7. Le TRPM6 e TRPM7 sono largamente diffuse sulla superficie di membrana del piccolo intestino, colon e tubuli collettori distali dei reni, tutti siti coinvolti nei processi di regolazione del magnesio (Alexander et al. 2008; Chubanov et al. 2005; Konrad et al. 2004; Montell 2003; Pedersen et al. 2005; Schlingmann et al. 2007; Schmitz et al. 2004; van de Graaf et al. 2007).

Queste proteine sono uniche perché sono i soli canali che combinano una proteina canale con una protein-chinasi intracellulare o un enzima (Konrad et al. 2004; Montell 2003; Schmitz et al. 2004). Il magnesio-adenosin-trifosfato (Mg-ATP) sembra essere il substrato della porzione enzimatica di questi canali determinando l’inibizione dell’entrata di magnesio nella cellula attraverso il canale (Nadler et al. 2001).

È descritto che l’aumento dei livelli intracellulari di magnesio inibiscano l’entrata del catione attraverso questo meccanismo e che esso costituisca il processo di trasporto attivo energia-dipendente per il movimento transepiteliale del magnesio (Alexander et al. 2008; Chubanov et al. 2005; Durlach et al. 1997).

Nei reni i meccanismi di trasporto transcellulare e paracellulare del magnesio sono influenzati dal calcio e da vari ormoni, e sembra che similmente influenzino anche l’assorbimento del catione a livello intestinale.

Il ruolo di calcio e ormoni a livello renale sul rimaneggiamento del magnesio è maggiormente compreso, esistono comunque alcuni riscontri che supportano

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l’influenza positiva dei livelli di ormone paratiroideo (PTH) e di 1,25-diidrossicolecalciferolo (calcitriolo) sul riassorbimento di magnesio a livello intestinale (Hardwick et al. 1991; Krejs et al. 1983).

La percentuale di magnesio assorbita per via transcellulare e paracellulare, rispettivamente, dipende primariamente dalla concentrazione di magnesio assunta con la dieta. Quando l’apporto è elevato e così anche il gradiente di concentrazione la maggior parte dell’assorbimento avviene per via paracellulare mentre solo una piccola quota viene assorbita attraverso la cellula.

Al contrario quando l’apporto del catione è basso e di conseguenza anche il gradiente di concentrazione, il trasporto paracellulare è meno efficiente e il meccanismo attivo transcellulare gioca un ruolo maggiore nel mantenimento di un equilibrio adeguato dello ione (Bateman 2012).

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Omeostasi renale del magnesio

I reni costituiscono il vero sito di controllo e regolazione dell’equilibrio di questo ione e vari segmenti del nefrone sono implicati nella sua omeostasi (Bateman 2012).

Figura 1.2 Rappresentazione schematica del nefrone e del movimento di elettroliti a livello

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Tubulo Prossimale

Circa l’80% del magnesio sierico totale è filtrato dal glomerulo e raggiunge il tubulo prossimale (Quamme et al. 2000). Diversi studi documentano che circa il 10-15% del catione sia riassorbito a questo livello, questo contrasta con il destino della maggior parte degli altri cationi che viene riassorbito almeno per il 60% da questo segmento (Bateman 2012).

Il processo di riassorbimento in questo punto del nefrone avviene attraverso meccanismi passivi e non suturabili e non risente dei numerosi fattori che invece influiscono in altri segmenti del nefrone. Il trasporto sembra avvenire per via paracellulare, ma il meccanismo non si conosce ancora con esattezza. (Bateman 2012)

Ansa di Henle

L’ansa di Henle è il sito di maggior riassorbimento renale del magnesio. Il 60-70% del magnesio filtrato è riassorbito a livello del tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle (Quamme et al. 2000; Satoh et al. 2002). Il tratto ascendente spesso midollare non partecipa al riassorbimento (Shah 2002).

L’assorbimento del magnesio in questo segmento avviene per via paracellulare attraverso le tight junction tra le cellule epiteliali del rene e numerosi fattori ne influenzano il trasporto.

La forza principale che ne permette il trasporto a livello dell’ansa, così come nell’intestino, è il gradiente elettropositivo del versante luminale creato dal movimento di sodio e cloro dal lume verso lo spazio interstiziale (Quamme et al. 2000), e dall’effetto osmotico generato dallo spostamento di Sali e acqua.

Quindi la carica positiva intraluminale facilita il movimento di magnesio e calcio dal lume verso l’interstizio attraverso un “poro” o canale paracellulare. Recentemente la proteina della tight junction chiamata PCLN-1 o claudin-16 è stata descritta come

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canale primario di trasporto di cationi divalenti che permette il passaggio di magnesio e calcio nel tratto spesso ascendente dell’ansa di Henle (Blanchard et al. 2001; Cole et al. 2000; Günzel et al. 2009; Satoh et al. 2002; Simon et al. 1999).

Uno studio (Blanchard et al. 2001) condotto in umana su pazienti che presentavano un difetto ereditario di questa proteina ha dimostrato un riassorbimento significativamente alterato di magnesio e calcio a livello del segmento preso in considerazione, senza alterazione del riassorbimento di sodio e cloro.

Una anomalia genetica simile è stata documentata in soggetti bovini di razza Japanese Black che sviluppano precoce insufficienza renale (Hirano et al. 2002; Ohba et al. 2000; Sasaki et al. 2002), e comparando i risultati tra loro si osservano alterazioni simili tra bovino e uomo (Ohba et al. 2002).

Variazioni del voltaggio transepiteliale e della permeabilità paracellulare al magnesio, ne influenzano fortemente la capacità di assorbimento (Cole et al. 2000; Günzel et al. 2009); l’aumento del movimento di Sali dal versante luminale aumenta il potenziale elettrico transepiteliale e facilita il recupero di magnesio. Numerosi fattori possono influenzare entrambi questi fenomeni e determinare un aumento o una diminuzione dell’assorbimento del catione. Ad esempio ormoni come l’ormone paratiroideo, calcitonina, glucagone, ormone antidiuretico, aldosterone e insulina agiscono favorendo l’assorbimento di magnesio dal lume. Al contrario le prostaglandine E2,

l’ipokaliemia, l’ipofosfatemia e l’acidosi portano a un diminuito riassorbimento (Cole et al. 2000).

In aggiunta il recettore extracellulare basolaterale chiamato

calcium/magnesium

sensing receptor

o

cation-sensing receptor

(CASR) assume anch’esso un ruolo importante (Cole et al. 2000; Gamba et al. 2009; Shah 2002). Questi recettori percepiscono le concentrazioni di calcio e magnesio a livello della membrana basolaterale e sono associati a proteine G inibitorie intracellulari che inibiscono e neutralizzano l’effetto degli ormoni sopra citati (Cole et al. 2000; Dai et al. 2001; Gamba et al. 2009; Shah 2002).

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L’attivazione dei recettori CASR a livello dell’ansa di Henle riduce l’assorbimento di Sali (sodio, magnesio e calcio) (Dai et al. 2001; Gamba et al. 2009), ma non è noto se siano in grado di alterare la permeabilità delle proteine PCLN-1 al magnesio. Anche a livello intestinale questi recettori sono presenti e sebbene la loro funzione relativamente al magnesio a questo livello non sia stata ancora del tutto compresa, il loro ruolo sembra essere molto simile in entrambi gli organi (Kerstan et al. 2002).

Tubulo Contorto Distale

Il tubulo contorto distale non costituisce un sito di trasporto di massa come il tratto ascendente dell’ansa di Henle, ma rappresenta la porzione di nefrone che sotto diverse influenze determina l’escrezione finale del magnesio. Normalmente, riassorbe il 10-15% della quantità di ione filtrato, ma se necessario può aumentare di gran lunga la sua efficienza riassorbendo fino al 70-80% del magnesio proveniente dal tratto ascendente dell’ansa di Henle (Dai et al. 2001; Shah 2002).

Non essendoci evidenze che i tratti del nefrone distalmente al tubulo contorto siano implicati nel riassorbimento o escrezione del magnesio, il DCT costituisce il responsabile della concentrazione finale di magnesio nelle urine.

In questo tratto il riassorbimento avviene esclusivamente tramite meccanismo di trasposto attivo transcellulare, quindi un processo saturabile energia-dipendente, e influenzato positivamente dai gradienti di concentrazione e voltaggio transepiteliali come a livello intestinale (Dai et al. 2001). Il poro di ingresso principale per il catione è il

transient receptor protein

TRPM6 (Xi et al. 2009), mentre non è ancora chiaro il meccanismo di efflusso dalla membrana basolaterale, alcuni autori ritengono che possa esistere un contro-trasportatore sodio/magnesio (Dai et al. 2001; Shah 2002; Xi et al. 2009), presente in umana a livello dei globuli rossi e influenzato tra le tante sostanze anche dall’insulina (Ferreira et al. 2004).

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Ancora una volta numerosi ormoni regolano il movimento dello ione in questo tratto: ormone paratiroideo, glucagone, ormone antidiuretico, insulina, aldosterone, 1,25-diidrossicolecalciferolo, prostaglandine E2, agonisti β- adrenergici e l’aumento

della stimolazione simpatica attraverso il nervo renale hanno il ruolo di aumentare la conservazione di questo catione (Dai et al. 2001; Xi et al. 2009). I meccanismi intracellulari che seguono l’attivazione del recettore da parte di uno qualsiasi di questi fattori sono complessi e correlati tra loro, per cui il ruolo di ciascuno ormone preso singolarmente è difficile da definire, allo stesso tempo la quantità di segnali che regolano l’omeostasi del magnesio a questo livello del nefrone rivela l’importanza di questo catione nell’organismo.

Anche il DCT, così come l’ansa ascendente di Henle e l’intestino, possiede una concentrazione significativa di recettori CASR, questi recettori presentano siti di legame diversi rispettivamente per calcio e magnesio (Dai et al. 2001; van de Graaf et al. 2007) e sono in grado di percepire le concentrazioni extracellulari di entrambi gli ioni, ma inviano segnali indipendenti ai regolatori intracellulari, preferibilmente per il calcio, permettendo così un controllo completamente separato dell’equilibrio dei due cationi (van de Graaf et al. 2007).

Nella regolazione del magnesio il recettore CASR una volta attivato invia un forte segnale inibitorio attraverso le proteine G, che contrastano l’influenza positiva di peptidi e ormoni steroidei e vitamina D3 sul trasporto del catione. Come questo

avvenga ancora non è chiaro, ma alcuni possibili siti di azione includono il presunto contro-trasportatore basolaterale sodio/magnesio o i canali TRPM6 e TRPM7. L’influenza di altri elettroliti e la presenza di alterazioni dell’equilibrio acido-base possono esercitare un effetto potenzialmente negativo sul trasporto del magnesio in questo tratto, così come l’ipokaliemia, l’ipofosfatemia e l’acidosi diminuivano il suo riassorbimento a livello dell’ansa di Henle (Dai et al. 2001).

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Non si conoscono i meccanismi nel dettaglio ed è possibile che per ogni elettrolita ne esista uno differente, determinando un effetto additivo nei casi di azione combinata (Bateman 2012).

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1.2. Ipermagnesemia

I fattori che determinano la concentrazione totale di magnesio nell’organismo sono vari: apporto con la dieta, funzionalità gastrica, equilibrio ormonale, redistribuzione del catione ed escrezione nel terzo spazio o con le urine (Humphrey et al. 2015). L’ipermagnesemia sembra essere un reperto clinico raro rispetto all’ipomagnesemia (Dubè et al. 2003) e, se presente, è facile che si manifesti in associazione all’azotemia, poiché la maggior parte del catione è eliminata attraverso i reni (Martin et al. 2015). Una ricerca condotta su 48 cani ricoverati presso una piccola unità di terapia intensiva ha rilevato ipermagnesemia (>2,51 mg/dl) nel 13% dei pazienti contro il 54% di soggetti riportanti ipomagnesemia (< 1,89 mg/dl) in base a un range di riferimento ottenuto dallo studio di una popolazione normale (1,89-2,51 mg/dl) (Martin et al. 1994).

Cause

Le principali cause responsabili di determinare un aumento dei livelli di magnesio nel sangue, sia in pazienti umani che animali, sono due: quella

iatrogena

e l’

insufficienza

renale

(Martin et al. 1994; Chernow et al. 1989; Zaman et al. 2002; Jackson et al. 2004). Tra le cause iatrogene l’ipermagnesemia può essere la conseguenza della somministrazione di grosse dosi di farmaci contenenti magnesio quali antiacidi, lassativi, clisteri, in pazienti con una patologia renale sottostante (Swaminathan 2003; Zaman et al. 2002), oppure per un uso terapeutico improprio, mirato alla correzione dell’ipomagnesemia e responsabile di un overdose di magnesio, tanto è che si raccomanda di procedere con cautela nell’infusione di questo catione (Ali Am Walentik et al. 2003; Qurechi et al. 1996). Nel 2004, il primo case report in veterinaria, ha descritto l’intossicazione accidentale di due pazienti critici ospedalizzati, un cane e un gatto, sottoposti ad un infusione endovenosa di magnesio solfato per correggere

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lo stato di ipomagnesemia; errori di calcolo hanno condotto ad un trattamento non corretto risultando in una ipermagnesemia iatrogena, poi ristabilita con successo (Jackson e Drobatz 2004).

Anche alcune endocrinopatie si aggiungono alle cause di ipermagnesemia sopra descritte seppur determinandola meno frequentemente e secondo meccanismi non ancora del tutto chiari, tra tutte, sono riportate:

ipoadrenocorticismo o morbo di

Addison

,

iperparatiroidismo

e

ipotiroidismo

(Fascetti 2003).

Uno studio (Adler et al. 2007) ha evidenziato l’aumento della concentrazione di magnesio ionizzato nel 35% dei cani presi in esame che presentavano ipoadrenocorticismo. Il ruolo dell’aldosterone nella fitta rete di fattori che partecipano alla regolazione dell’equilibrio del magnesio non è chiaro, ma potrebbe riguardare uno tra i principali meccanismi di flusso di questo catione, ossia il contro trasporto sodio/magnesio, è quindi possibile che il deficit di aldosterone conduca in questo senso ad uno stato di ipermagnesemia. Lo stesso studio non ha invece evidenziato correlazioni tra la concentrazione di magnesio e il valore di pH venoso o la concentrazione sierica di creatinina, ipotizzando che l’acidosi e la diminuzione della capacità di filtrazione renale possano non incidere in maniera determinante sulla concentrazione di questo ione.

Segni Clinici

Seppur definita come un reperto clinico raro, l’ipermagnesemia può avere una tossicità fatale, come rilevato in pazienti umani geriatrici e con funzionalità renale compromessa (Karahan et al. 2015); uno studio descrive l’esito fatale delle

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complicazioni legate all’ipermagnesemia in una anziana a cui sono stati somministrati lassativi per la preparazione ad una chirurgia addominale, e a cui non era stata riconosciuta un’insufficienza renale; lo studio conclude che sarebbe prioritario valutare l’efficienza della funzionalità renale prima di procedere con la somministrazione di grandi quantità di magnesio orale (Schelling 2000).

Le fonti riguardo le manifestazioni cliniche associate ad un innalzamento dei valori sierici di magnesio sono numerose e concordi. I segni clinici coinvolgono il sistema nervoso, quello neuromuscolare e il sistema cardiocircolatorio (Martin et al. 2015). Tra i segni aspecifici includiamo: depressione, letargia, debolezza e malessere (Sachter 1992; Hansen 2000); anche la perdita dei riflessi tendinei profondi sono compresi tra i primi segni che si manifestano in corso di ipermagnesemia (Hansen 2000).

A seconda della gravità dell’ipermagnesemia si potranno presentare diversi gradi di blocco neuromuscolare, nei casi più gravi la tossicità da magnesio può condurre a depressione respiratoria con conseguente ipoventilazione ed ipossemia (Van Hook 1991); questo fenomeno è dovuto all’effetto bloccante neuromuscolare del magnesio che ad alte concentrazioni impedisce il rilascio di acetilcolina calcio-dipendente dall’estremità pre-sinaptica della giunzione neuromuscolare (Hansen 2000).

I riflessi possono essere fortemente ridotti, tanto è che è stata riportata l’assenza di minaccia e di riflesso palpebrale in un cane e in un gatto secondariamente ad overdose da magnesio (Van Hook 1991).

L’effetto del magnesio sui canali del calcio determina inoltre una diminuzione delle resistenze vascolari che spiegherebbe un altro tra i vari segni clinici legati all’ipermagnesemia: l’ipotensione (Van Hook 1991), altri autori ritengono che i meccanismi patogenetici responsabili di questo fenomeno siano, invece, meno chiari, ma che l’effetto bloccante neuromuscolare, vasodilatatorio e cardiotossico di questo catione, contribuiscano essi stessi a provocare l’ipotensione (Ferdinandus et al. 1981).

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Ancora Jackson e Drobatz nel case report del 2004 relativo all’intossicazione da magnesio in due pazienti animali riportano l’ipotensione insieme alla bradicardia come le due alterazioni cardiovascolari predominanti osservate nei due pazienti, includendo tra i possibili meccanismi responsabili dell’ipotensione, il rilassamento della muscolatura liscia secondariamente al blocco dei canali del calcio voltaggio dipendenti long lasting (L) da parte del magnesio, il blocco del rilascio e ricaptazione della norepinefrina a livello del terminale nervoso simpatico, la riduzione della gittata cardiaca e la depressione dei barocettori del corpo carotideo.

Dal punto di vista elettrocardiografico l’ipermagnesemia può portare ad un ritardo di conduzione atrioventricolare e interventricolare e quindi determinare un allungamento dell’intervallo PR sul tracciato oltre che un aumento di durata del complesso QRS (Fascetti 2003), (Jackson e Drobatz 2004). A concentrazioni pericolosamente elevate di magnesio si può arrivare all’arresto cardiaco ed asistolia (Fascetti 2003).

Approccio Diagnostico e Terapeutico

SPECIE RANGE IONE MG2+ RANGE MG TOTALE

Cani 1,03-1,36 mmol/L 1,61-2,51 mg/dl

Gatti 1,05-1,42 mmol/L 1,70-2,99 mg/dl

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Altre fonti riportano, come indicatori di ipermagnesemia, valori superiori di magnesio totale a 2,99 mg/dl nel gatto e 2,51 mg/dl nel cane (Martin et al. 1994; Norris et al.1999) e valori superiori di magnesio ionizzato a 0,7 mmol/L nel gatto e 0,6 mmol/L nel cane (Schenck e Chew 2005), considerando che:

1 mmol equivale a 2,46 mg/dl (Jackson e Drobatz 2004).

Il trattamento prevede l’interruzione di qualsiasi farmaco o fluido contenente magnesio, quindi a seconda del grado dell’ipermagnesemia, dei segni clinici e della funzionalità renale si può procedere nei casi più gravi con la somministrazione intravenosa di calcio gluconato (Sachter 1992; Fascetti 2003; Jackson e Drobatz 2004; Qurechi e Melanokos 1996; Kraft et al. 2005).

Il calcio si comporta come diretto antagonista del magnesio a livello della giunzione neuromuscolare e può contrastare gli effetti cardiovascolari dovuti all’ipermagnesemia. Deve essere somministrato come bolo endovenoso lento a un dosaggio di 0,5-1,5 ml/Kg in circa 15-30 minuti. Anche la Furosemide può essere somministrata per favorire l’escrezione del catione in eccesso, prestando attenzione allo stato di disidratazione o di ipovolemia del paziente.

Nei casi più gravi in cui l’ipermagnesemia abbia determinato effetti neurotossici si può ricorrere al trattamento con anticolinesterasi; la Fisostigmina dovrebbe essere somministrata a 0,02 mg/Kg ogni 12 ore per via endovenosa fino alla scomparsa dei segni clinici. Nei casi estremi di arresto respiratorio si procede seguendo le linee di emergenza e di rianimazione cardiopolmonare.

L’ipermagnesemia può essere complicata dalla sua refrattarietà verso vari vasopressori quali epinefrina e noriepinefrina ostacolando il successo della fluidoterapia rianimatoria (Sachter 1992; Fascetti 2003).

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1.3. Ipomagnesemia

La quasi totalità degli studi è concorde sul definire l’ipomagnesemia come un reperto molto più comune rispetto all’eccesso di magnesio, in umana risulta il disturbo elettrolitico per eccellenza nel paziente critico (Bateman 2012).

Sono state condotte diverse indagini e su differenti categorie di pazienti, una di queste ha rilevato l’ipomagnesemia nel 65% dei soggetti all’interno di un’unità di terapia intensiva (Ryzen et al. 1985). Un altro studio ha riportato un’incidenza di ipomagnesemia del 61% e solo il 5% di ipermagnesemia nel post operatorio di pazienti ancora una volta ricoverati in terapia intensiva (Chernow et al. 1989).

Riguardo all’indice di mortalità invece, alcuni autori riportano l’ipomagnesemia come un fattore di rischio indipendente nei pazienti critici umani (Bateman 2012) e come un fattore responsabile di determinare un outcome peggiore nei ricoverati (Tong et al. 2005); altri studi, invece, ritengono che non esista associazione tra bassi livelli di magnesio nel sangue e la mortalità dei pazienti (Guérin et al. 1996).

Analogamente a quanto descritto in medicina umana possiamo affermare che anche i pazienti animali non sono esenti dagli squilibri relativi al magnesio e, anche in questo caso, più comunemente dall’ipomagnesemia.

Uno studio condotto da Martin et al (1994) su 93 cani sani e 48 soggetti ricoverati in terapia intensiva ha evidenziato una netta prevalenza di ipomagnesemia.

Un’incidenza simile è stata riscontrata anche in una popolazione di gatti presi in esame e in cui l’ipomagnesemia è stata descritta come alterazione più comune rispetto all’ ipermagnesemia; lo studio afferma che lo sviluppo dell’ipomagnesemia sia molto probabilmente multifattoriale e la associa a un diminuito apporto con la dieta, all’utilizzo di farmaci che promuovono l’escrezione del catione e alla somministrazione di fluidi poveri di magnesio (Toll et al. 2002).

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Anche in questo caso l’associazione tra ipomagnesemia e mortalità non è chiara e gli autori trovano una spiegazione nel fatto che non sia l’ipomagnesemia di per sé un fattore determinante, quanto un cofattore in grado di esacerbare tutta una serie di complicazioni che possono rivelarsi fatali: disfunzioni cardiache, neuromuscolari, e concomitanti alterazioni elettrolitiche come riportato in medicina umana (Toll et al. 2002; Whang et al. 1994).

Cause

I motivi che determinano l’ipomagnesemia possono essere raggruppati in tre grandi classi: diminuzione dell’apporto con la dieta, aumento delle perdite, alterazione della distribuzione. (Martin et al. 2015).

La diminuzione dell’apporto di magnesio con la dieta, se sostenuto nel tempo, determina un abbassamento significativo del valore di questo catione (Berkelhammer et al. 1985), così anche malattie cataboliche, fluido terapia prolungata o nutrizione parenterale non adeguatamente addizionata del supplemento di magnesio possono dare il loro contributo (Friday et al. 1990; Crisp et al. 1989). Uno studio ha rilevato per la prima volta l’associazione tra ipomagnesemia e chirurgia esofagea, ipotizzando nella gravità della patologia, e quindi nella scarsa assunzione di magnesio, la causa di questo fenomeno (Chernow et al. 1989).

Le perdite invece possono essere:

a)

Gastrointestinali

:

malassorbimento, ampia asportazione di un tratto del piccolo intestino, diarrea cronica, infiammazione intestinale, colestasi epatica (Berkelhammer et al. 1985; Tong et al. 2005).

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b)

Renali

:

danni tubulari intrinseci come glomerulonefriti, necrosi tubulare acuta, diuresi post ostruttiva (Tong et al. 2005; Norris et al. 1999), farmaci che determinano danno tubulare (aminoglicosidi, amfotericina B, cisplatino, ciclosporine); fattori extrarenali che influenzano l’omeostasi del magnesio come utilizzo di diuretici (furosemide, tiazide, mannitolo), somministrazione di digitale, chetoacidosi diabetica, ipertiroidismo, iperparatiroidismo primario (Berkelhammer et al. 1985; Friday et al. 1990).

c)

Lattazione

Uno studio condotto su 5 Yorkshire Terrier che presentavo una grave enteropatia proteino-disperdente ha rilevato la presenza di bassi livelli di magnesio e calcio, a sostegno del fatto che la patogenesi dell’ipomagnesemia coinvolge perdite intestinali e malassorbimento (Kimmel et al. 2000).

Gli aminoglicosidi, tra cui ricordiamo gentamicina, tobramicina, amikacina, sono responsabili di grave nefrotossicità ed ototossicità nel 35% dei pazienti trattati e nel 25% hanno causato ipomagnesemia (Shah et al. 1991), anche un altro studio riporta che normali dosaggi di tali antibiotici abbiano causato ipomagnesemia in oltre 1/3 dei pazienti trattati (Zaloga et al. 1984).

Sembra che le alte concentrazioni di aminoglicosidi vadano ad accumularsi fino a determinare la perdita di magnesio con un effetto ritardato nel tempo ed in grado di perdurare per mesi successivamente all’interruzione della somministrazione del farmaco (Wilkinson et al. 1986).

A supporto dell’ipomagnesemia causata dall’utilizzo di amfotericina B esiste uno studio condotto su 10 pazienti affetti da una infezione sistemica fungina, alla quarta

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settimana di trattamento si rilevano bassi valori sierici di magnesio e un’aumentata escrezione del catione (Barton et al. 1984).

Anche il Cisplatino è responsabile di ipomagnesemia a causa della sua nefrotossicità, ed analogamente agli aminoglicosidi, sembra aggravare il quadro elettrolitico per effetto cumulativo del trattamento (Lam et al. 1986; Ariceta et al. 1997); uno studio condotto su topi dimostra anche il ridotto assorbimento di elettroliti a livello del digiuno conseguentemente ad alte dosi di trattamento e potrebbe aggiungere un’ulteriore componente alla patogenesi dell’ipomagnesemia causata da questo farmaco (Bearcroft et al. 1999).

Un altro studio condotto su topi suggerisce che l’ipomagnesemia causata dal Cisplatino favorisca a sua volta l’accumulo del farmaco a livello renale determinando l’aggravarsi del danno renale e il perpetuarsi dell’ipomagnesemia (Yokoo et al. 2009). Il mannitolo permette di aumentare il flusso renale ematico e con esso l’escrezione dei soluti, abbassando così anche i livelli di magnesio (Quamme et al. 2000); la furosemide ed altri diuretici d’ansa inibiscono il riassorbimento di cloro e quindi l’efflusso di questo ione a livello basolaterale, alterando il potenziale luminale positivo che ricordiamo essere una delle forze principali in grado di determinare il riassorbimento paracellulare del magnesio, in questo modo aumenta la quota di catione escreta e il suo valore nel sangue si abbassa (Quamme et al. 1981).

L’alterazione della distribuzione del magnesio e conseguente ipomagnesemia può dipendere dalla somministrazione di glucosio, insulina o aminoacidi che determinano lo shift intracellulare dello ione. L’aumento delle catecolamine dovuta a sepsi, shock, traumi, ipotermia si aggiungono alle cause di ipomagnesemia, la stimolazione β adrenergica della lipolisi, infatti, determina la liberazione di acidi grassi liberi che chelano il magnesio per produzione di Sali insolubili. Nelle trasfusioni massive di sangue il citrato di sodio utilizzato come anticoagulante può anch’esso chelare il catione.

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Anche la pancreatite è coinvolta nelle cause della ipomagnesemia ed è probabile che la patogenesi abbia a che fare con il malassorbimento intestinale o il sequestro del magnesio sotto forma di saponi insolubili nel pancreas infiammato, soprattutto a livello delle aree di necrosi grassa (Berkelhammer et al. 1985; Friday et al. 1990).

Segni Clinici

I segni clinici legati all’ipomagnesemia sono numerosi e dovuti principalmente agli effetti delle variazioni di livello di questo catione sul potenziale di membrana a riposo, sulla trasduzione di segnale e sul tono della muscolatura liscia (Martin et al. 2015).

Ipokalemia refrattaria

In oltre il 50% dei casi di ipokalemia clinicamente significativa è presente una concomitante ipomagnesemia (Huang et al. 2007); i bassi livelli di magnesio contribuiscono ad aggravare la perdita di potassio (Solomon 1987) ed in questo senso rendono l’ipokalemia refrattaria al trattamento di reintegrazione, per cui si rende necessaria una co-somministrazione di entrambi i cationi (Huang et al. 2007).

La patogenesi di questo fenomeno sembrerebbe legata alle perdite di potassio determinate da un malfunzionamento della pompa sodio-potassio che trova tra le sue cause di compromissione proprio l’ipomagnesemia (Whang et al. 1963).

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Resistenza all’insulina

La secrezione di insulina è attivata dall’entrata di calcio nella cellula, meccanismo di cui il magnesio costituisce un inibitore per competizione con il calcio; ciò sembrerebbe giustificare l’inversa proporzionalità tra livelli di magnesio e di insulina nel sangue (Gunther 2010).

Il ruolo del magnesio come cofattore di numerosissime reazioni enzimatiche lo rende quindi responsabile nel caso della sua carenza, di aumentare i livelli sierici di glucosio, diminuire l’utilizzazione di quest’ultimo, interferire con il rilascio glucosio dipendente di insulina dalle cellule β del pancreas, ridurre la sensibilità all’insulina, diminuire la fosforilazione della sub-unità β del recettore che permette l’entrata dell’insulina nella cellula e l’esplicazione della sua funzione, in concomitanza con la diminuzione dell’attività della tirosin-chinasi (Barbagallo et al. 2003; Suarez et al. 1995).

Uno studio condotto in umana ha confermato la presenza di valori significativamente bassi di magnesio in pazienti diabetici, comparati con quelli di un gruppo di controllo costituito da individui sani (Badyal et al. 2011).

Un altro studio (Guerrero-Romero et al. 2011), sempre condotto in medicina umana, su soggetti non diabetici, ma ipomagnesemici, ha voluto valutare l’effetto della somministrazione orale di una soluzione di MgCl2 al 5% in un gruppo finale di 49

individui, secondo diversi criteri di esclusione, confrontandolo con un gruppo placebo costituito da 48 individui a cui invece veniva somministrata una soluzione inattiva. Valutando le curve relative alla capacità delle cellule β del pancreas di compensare le variazioni di sensibilità all’insulina, all’inizio dello studio entrambi i gruppi presentavano andamenti simili e suggestivi di una scarsa capacità compensatoria a secernere insulina nei casi di diminuita sensibilità a quest’ultima. Alla fine dello studio, invece, mentre la curva finale e quella iniziale del gruppo placebo non presentavano differenze, la curva finale del gruppo trattato mostrava un andamento completamente differente ed iperbolico a dimostrare l’aumentata

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capacità delle cellule del pancreas a compensare la ridotta sensibilità all’insulina. A conclusione dello studio gli autori sostengono che la carenza di magnesio influisca in maniera importante sulla sensibilità all’insulina e sui processi di secrezione di quest’ultima e supportano l’ipotesi che il reintegro di questo catione abbia il suo ruolo nell’aumentare la capacità compensatoria delle cellule del pancreas nei confronti della resistenza all’insulina in soggetti non diabetici.

Ipocalcemia

È stato condotto uno studio (Suh et al. 1973) su 8 bambini che presentavano ipomagnesemia primaria ed ipocalcemia secondaria; i pazienti se sottoposti a un periodo di trattamento con supplemento di magnesio manifestavano valori di magnesio e calcio all’interno dei range fisiologici, mentre tornavano rapidamente alla condizione di partenza con l’interruzione del trattamento di reintegrazione.

Durante la fase in cui i valori di magnesio nel sangue erano normali, anche la concentrazione sierica di ormone paratiroideo (PTH) non presentava alterazioni, ma il reperto interessante riguardava il mancato aumento del livello ormonale quando i pazienti erano nella fase di ipomagnesemia, nonostante, normalmente, la condizione di ipocalcemia ne stimoli un aumento di secrezione; in realtà l’ormone paratiroideo non era più misurabile alla fine del periodo di restrizione dal trattamento con magnesio.

Lo studio, quindi, supportava la stretta correlazione tra i bassi livelli di magnesio e l’alterata sintesi e secrezione dell’ormone in causa, tali da determinare una forma di ipoparatiroidismo e giustificando, così, la condizione associata di ipocalcemia.

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Effetti gastrointestinali

La carenza di magnesio sembra determinare conseguenze anche sulla funzionalità e motilità gastrointestinale (Humphrey et al. 2015).

Dopo una settimana di condizione di ipomagnesemia si apprezza una evidente infiammazione della mucosa intestinale, e dopo tre settimane una pronunciata infiltrazione di leucociti (Weglicki et al. 2011).

Gli effetti dell’ipomagnesemia a livello gastrointestinale sono stati riportati in particolare nei cavalli che sottoposti a chirurgia per colica andavano più facilmente incontro ad ileo nel post operatorio e tra i quali l’incidenza di eutanasia risultava essere maggiore (Garcia-Lopez et al. 2001).

Effetti cardiovascolari

Le alterazioni della conduzione a livello cardiaco sono uno tra i segni più comuni e gravi dovuti alla carenza di magnesio (Humphrey et al. 2015).

Uno studio (Sasaki et al. 2000) condotto su un elevato numero di pazienti che presentavo patologie cardiovascolari o fattori di rischio per tali patologie, in particolare: ischemia cardiaca, aritmia, diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, ha rilevato una significativa diminuzione del magnesio ionizzato nel sangue dei pazienti che presentavano aritmia cardiaca e diabete.

Tra i vari sintomi troviamo tachicardia ventricolare e complessi ventricolari prematuri, allungamento degli intervalli PR e QT, appiattimento dell’onda T, tachicardia sopraventricolare e fibrillazione atriale, spasmo dell’arteria coronaria, aumentata sensibilità alla digitale ed aritmia (Reinhart, 1988), (Iseri, 1990). La patogenesi che regola questi fenomeni non è chiara e la sua comprensione è ostacolata dalla compresenza di altre alterazioni elettroliche, quali ipopotassiemia e

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ipocalcemia, le quali contribuiscono a modificare la normale conduzione elettrica cardiaca (Humphrey et al. 2015).

Seelig nel 1980 cita Bajpai et al. (1978) i quali, attraverso uno studio su topi, correlano le alterazioni elettrocardiografiche dovute all’ipomagnesemia con un difetto della fosforilazione ossidativa mitocondriale; essi suggeriscono, infatti, che la carenza di magnesio, diminuendo questo meccanismo, determini una riduzione della produzione di energia e quindi della trasmissione del segnale elettrico tra le cellule. Per quanto riguarda gli effetti vascolari, in particolare la pressione sanguigna, sembra che numerosi fattori siano sensibili al magnesio e che il catione influisca in questo senso sul tono e le resistenze vascolari; in particolare il magnesio indurrebbe il rilassamento dell’endotelio vascolare, quindi la sua carenza giustificherebbe il fenomeno di vasospasmo ed ipertensione (Laurant et al. 1994; Yogi et al. 2011).

Effetti infiammatori

La carenza di magnesio è inoltre associata a riduzione della concentrazione di glutatione eritrocitario circolante, aumento dei mediatori dell’infiammazione, perossidazione dei lipidi, a sostegno del suo effetto pro infiammatorio (Weglicki et al. 1994) e sembra essere proprio l’infiammazione una delle cause che determinerebbe lo stress ossidativo di cui sempre l’ipomagnesemia è ritenuta responsabile (Zheltova et al. 2016).

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Approccio Diagnostico e Terapeutico

SPECIE RANGE IONE MG2+ RANGE MG TOTALE

Cani 1,03-1,36 mmol/L 1,61-2,51 mg/dl

Gatti 1,05-1,42 mmol/L 1,70-2,99 mg/dl

Tabella 1.1 Range di referenza dei normali valori di magnesio sierico (Cortés et al. 2007)

Il trattamento dell’ipomagnesemia dipende, come nel caso dell’eccesso di magnesio, dal grado di carenza del catione e dalle condizioni cliniche del paziente. Può essere sufficiente nei casi più moderati, gestire le cause sottostanti e intervenire con una fluido terapia adeguata (Martin et al. 2015).

Gli animali sintomatici dovrebbero essere trattati con soluzioni endovenose di magnesio solfato (MgSO4) o cloruro di magnesio (MgCl2), ma il dosaggio e la velocità

di infusione per la somministrazione di magnesio per infusione non è ancora stata definita chiaramente in medicina veterinaria (Humphrey et al. 2015).

Uno studio (Nakayama et al. 1999) ha valutato l’infusione di solfato di magnesio in cani di razza Beagle anestetizzati, sani, riportando che dosi cumulative di 1,0-2,0 mEq/Kg possono determinare un aumento della frequenza cardiaca e della gittata; sopra i 2,0 mEq/Kg si osservano ipotensione, aritmie cardiache ed un’alterazione dei parametri emodinamici dose-dipendente.

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Grazie a questi rilievi è stato possibile stabilire un dosaggio raccomandato di infusione, del solfato di magnesio, 0,2-0,3 mEq/Kg ad una velocità di 0,12 mEq/Kg/min per il trattamento delle complicazioni potenzialmente fatali associate alla carenza di magnesio (Nakayama et al. 1999).

Per i soggetti con perdita cronica di magnesio è raccomandabile una velocità di infusione pari a 0,2-1 mEq/Kg/min (Nakayama et al. 1999).

Le soluzioni contenenti il solfato o il cloruro di magnesio sono iperosmolari, è consigliabile quindi portarle ad una diluizione inferiore al 20% utilizzando una soluzione fisiologica al 0,9% o destrosio al 5% (Bateman 2012).

Le soluzioni contenenti calcio o bicarbonato non sono compatibili con le soluzioni contenenti Sali di magnesio (Bateman 2012).

Gli effetti collaterali legati alla possibile tossicità provocata dall’infusione di magnesio, per il trattamento dell’ipomagnesemia, sono inclusi diarrea, vomito, ipotensione, debolezza, depressione respiratoria e bradicardia (Humphrey et al. 2015).

Gli altri elettroliti come potassio, sodio, calcio e cloro devono essere monitorati durante l’infusione endovenosa di magnesio.

Nei pazienti con insufficienza renale, il trattamento di reintegrazione del catione, può essere molto rischioso, a causa della ridotta escrezione a cui il magnesio va di per sé incontro in questi pazienti, la possibilità che sviluppino segni di tossicità prima del raggiungimento delle dosi tossiche riportate per gli altri animali è, quindi, maggiore (Dai et al. 2001; Swaminathan 2003).

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Capitolo 2: L’importanza della valutazione del magnesio

nel paziente critico

Per quanto descritto fino ad ora, possiamo affermare che le alterazioni relative ai valori di magnesio nel sangue, nei pazienti critici umani, siano comuni e significative. Uno studio condotto su pazienti pediatrici critici umani, che manifestavano ipermagnesemia, ha descritto una riduzione dell’indice di sopravvivenza ed un aumento della durata di ospedalizzazione all’interno dell’unità di terapia intensiva rispetto ai pazienti normomagnesemici (Broner et al. 1990).

La morbilità e mortalità associate alle alterazioni sieriche del magnesio suggerirebbero quindi, l’importanza di una misurazione routinaria dei livelli del catione ed un eventuale terapia di reintegro se necessaria, per ridurre l’ospedalizzazione, la mortalità dei pazienti e, per quanto riguarda l’ambito veterinario, i costi che gravano sul proprietario (Martin et al. 1994).

Nello studio di Martin et al. (1994), gli autori avevano rilevato che le alterazioni della magnesemia erano comunemente presenti e tra le più frequenti se comparate agli altri elettroliti, in particolare avevano riscontrato una maggior incidenza di carenza del catione rispetto al suo eccesso, in parallelo con gli studi condotti in umana (Ryzen et al. 1985; Chernow et al. 1989).

All’interno dello studio di Martin et al (1994) i valori di magnesio erano significativamente differenti tra i vari pazienti critici, ma i gruppi di soggetti con patologie gastrointestinali e shock e traumi presentavano i valori medi più bassi di magnesio sierico, rispettivamente 1,80 mg/dl e 1,70 mg/dl, considerando un valore limite di 1,89 mg/dl, inferiormente al quale poter parlare di ipomagnesemia.

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Le cause sembrano essere state associate alla perdita del catione attraverso il tratto gastrointestinale, secondariamente a fenomeni infiammatori e/o neoplastici ed è stato attribuito un certo grado di incidenza alla diarrea cronica ed al vomito; nel caso dello shock, invece, il fenomeno della redistribuzione del catione potrebbe giustificare l’ipomagnesemia.

In un altro studio (Bebchuk et al. 2000), invece, su 21 cani con sindrome della dilatazione-torsione gastrica, l’analisi del magnesio e la sua carenza non sono risultate patofisiologicamente rilevanti in questi soggetti, nonostante la patologia, e non hanno inciso sulle aritmie cardiache rilevate in questi pazienti.

I pazienti ipermagnesemici dello studio di Martin et al (1994) presentavano il doppio del normale rischio di andare incontro a morte per la loro patologia, rispetto agli altri soggetti critici con valori di magnesio sierico normali.

Le possibili spiegazioni erano o che la condizione patologica dei pazienti con alti valori di magnesio fosse più grave degli altri, così da determinare una incidenza di mortalità più elevata, o che esistesse un significato patologico diretto tra gli alti livelli di magnesio e la prognosi infausta.

La durata dell’ospedalizzazione dei soggetti ipomagnesemici, invece, era due volte più lunga se comparata con il decorso ospedaliero dei cani che presentavo normali valori di magnesio.

Uno studio sperimentale condotto in medicina umana (Cannon et al. 1987) ha voluto valutare eventuali correlazioni tra magnesio sierico, altri elettroliti ed il successo della rianimazione cardiopolmonare.

I soggetti, 22 in totale, erano vittime di arresto cardiaco e presentavano fibrillazione ventricolare o tachicardia, dissociazione elettromeccanica, o asistolia, i valori di magnesio erano alterati nel 59% dei soggetti; il gruppo di controllo costituito da 19 pazienti, non presentava aritmia ventricolare o alterazioni dei valori di magnesio significative, con un’incidenza di normomagnesemia del 90%.

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La totalità dei pazienti ipermagnesemici ed ipomagnesemici è deceduta, nel gruppo di soggetti che presentavano valori di magnesio nella norma il 44% è stato rianimato con successo. Lo studio, quindi, conferma una correlazione statisticamente positiva tra normomagnesemia e successo della rianimazione cardiopolmonare, mentre non rileva correlazione tra quest’ultima e gli altri elettroliti presi in esame.

Questo reperto suggerisce l’importanza di monitorare le aritmie cardiache insieme con i valori sierici di questo catione, soprattutto nei pazienti in cui sia stata rilevata ipermagnesemia (Martin et al. 1994).

Lo studio di Martin et al. (1994) getta le basi per ipotizzare che le alterazioni dei valori di magnesio nel sangue siano comuni anche nel paziente critico canino e che per questo meritino ulteriori approfondimenti.

Un aspetto non da poco per quanto riguarda l’inquadramento degli squilibri del magnesio ed il paziente critico è il reperto della stretta associazione tra ipomagnesemia ed altre alterazioni elettrolitiche, quali ipokalemia ed iponatriemia (Whang et al. 1990; Whang et al.1984).

La simultanea carenza di magnesio e potassio può essere giustificata dalle cause patologiche sottostanti, responsabili di determinare la deplezione di entrambi questi due cationi, ad esempio l’utilizzo di una terapia diuretica o la diarrea che porterebbero a una consistente escrezione sia di magnesio che di potassio. In realtà la patogenesi è legata anche agli effetti che l’ipomagnesemia determina di per sé sull’altro catione (Kobrin et al. 1990; Kelepouris et al. 1998).

Come accennato in precedenza, relativamente al fenomeno dell’ipokalemia refrattaria legata all’ipomagnesemia, i canali ROMK, presenti sulla membrana apicale della porzione tubulare distale del nefrone, e che regolano l’escrezione renale del potassio, risentono di un meccanismo di inibizione mediato dal magnesio; per cui quando questo catione si trova a valori di concentrazione normali, i canali ROMK consentono per lo più l’influsso del potassio, quando, invece, il magnesio è carente,

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il suo meccanismo inibitorio viene meno, e l’efflusso di potassio aumenta, con conseguente perdita di quest’ultimo per via renale (Huang et al. 2007).

Nello studio condotto in umana da Liamis et Al nel 2012 per valutare le cause sottostanti all’ipomagnesemia, le sue caratteristiche cliniche e biochimiche e le concomitanti alterazioni elettrolitiche ed acido-base, l’ipokalemia era compresente nel 26,1% dei casi.

Nello stesso studio la carenza di sodio, invece, in concomitanza con l’ipomagnesemia aveva un’incidenza del 25,1%, ma gli autori escludono una diretta correlazione tra la carenza di magnesio e la carenza di sodio, basandosi su un’ulteriore indagine, sempre condotta da Liamis et Al, qualche anno prima nel 2007. Le cause sono, quindi, state associate alle patologie sottostanti dei pazienti presi in esame, responsabili di inficiare sia l’omeostasi del magnesio che quella di acqua e Sali, come l’insufficienza cardiaca o l’utilizzo dei diuretici.

Tra tutte le alterazioni elettrolitiche rilevate nello studio tra i pazienti ipomagnesemici presi in esame da Liamis et al, nel 2012, quello che però presentava una incidenza maggiore, con precisione del 31,1%, era l’ipofosfatemia; anche in questo caso però non viene ipotizzata una correlazione diretta tra la carenza di magnesio e quella dei fosfati, quanto una possibile relazione con le cause patologiche sottostanti, come l’aumento della perdite gastroenteriche di fosfato, dell’ingresso di quest’ultimo a livello intracellulare, il suo diminuito apporto con la dieta e la fosfaturia indotta dall’ipokalemia.

Secondo altri studi infatti, la carenza di magnesio causa solo raramente la riduzione dei valori dei fosfati, anche se può permetterne la perdita per via renale (Knochel 1977).

L’ultima tra le alterazioni elettrolitiche correlate alle variazioni dei valori di magnesio è l’ipocalcemia, associata anch’essa alla carenza dello ione magnesio.

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Nello studio di Liamis et al, del 2012, l’incidenza dell’ipocalcemia associata ad ipomagnesemia era del 22%, le cause sono principalmente correlate con l’influenza del magnesio relativamente al rilascio dell’ormone paratiroideo (PTH), che nel caso dell’ipomagnesemia risulta alterato, e alla resistenza che i tubuli renali offrono all’azione del paratormone (Shils 1980; Cronin et al. 1983).

A supporto di questa teoria, è stato dimostrato che una terapia reintegrativa di magnesio che permetta di ristabilire la normale concentrazione del catione nel sangue, è in grado di stimolare il rilascio dell’ormone paratiroideo immagazzinato oltre che determinarne anche la neo sintesi (Habener et al. 1975).

Un altro reperto clinico comune, che tendenzialmente caratterizza il paziente critico, è l’ipotermia.

Uno studio condotto in umana nel 2001 da Polderman et al, nell’unità di terapia intensiva dell’ospedale universitario di Amsterdam, ha voluto valutare gli effetti benefici dell’ipotermia indotta sui pazienti che erano andati incontro ad un grave danno cerebrale, ai fini di limitare il danno neuronale post ischemico e controllare gli elevati valori di pressione intracranica (ICP).

Dal trattamento, però, erano emersi diversi effetti collaterali, uno fra tutti la tachiaritmia cardiaca, e che oltretutto aveva costituito seriamente un rischio mortale per i pazienti. Da questo reperto gli autori hanno ipotizzato ed indagato che la causa dell’aritmia fosse legata agli squilibri elettrolitici indotti dall’ipotermia terapeutica. Il rischio di sviluppare aritmie diventava potenzialmente drammatico per temperature corporee inferiori ai 30° C. Tra i motivi legati alla perdita di elettroliti dovuta all’ipotermia gli autori hanno riportato la poliuria indotta dall’ipotermia, e l’utilizzo di farmaci come il mannitolo. Gli elettroliti coinvolti erano magnesio, potassio e fosfato.

Lo ione magnesio è coinvolto in oltre 300 reazioni enzimatiche, e come già menzionato, uno dei suoi importanti ruoli come cofattore e regolatore, coinvolge la

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pompa sodio-potassio; bassi livelli di magnesio sarebbero quindi, responsabili di aritmie cardiache, irritabilità neuromuscolare, ipertensione e vasocostrizione (Nadler et al. 1995) e per questo associata all’aumento del rischio di mortalità nel paziente critico (Chernow et al. 1989).

Figura 2.1 Rappresentazione schematica delle variazioni elettrocardiografiche dovute ad

ipomagnesemia moderata (A) e grave (B), comparate a quelle date da iper-kalemia e – calcemia, ed ipo-kalemia e –calcemia (Seelig 1969)

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È chiaro che le alterazioni elettrolitiche possono di per sé costituire un rischio, così come contribuire ad incentivare le complicazioni cardiache legate alle basse temperature corporee e al trauma neurologico.

Nello studio di Polderman et al. (2001) non solo si considera che la riduzione dei valori sierici degli elettroliti sia dovuta all’aumentata escrezione urinaria, ma si tiene conto anche di una componente data dallo shift intracellulare degli ioni; i pazienti infatti sono stati trattati con alti volumi di infusione per indurre uno stato iperdinamico, la sola perdita urinaria di elettroliti, quindi, non avrebbe ragione di determinare l’abbassamento dei loro livelli nel sangue, ma le perdite dovrebbero essere compensate.

Lo shift è dovuto ai valori di pH che a causa dell’ipotermia si abbassano, determinando l’acidosi, le cariche positive quindi, come gli ioni potassio, si muovono verso l’interno della cellula, come meccanismo compensatorio.

È anche probabile che alla base della perdita renale di elettroliti si nasconda un’alterazione della normale funzionalità renale, considerando la criticità dei pazienti presi in esame; questo aspetto si sommerebbe alla diuresi indotta dall’ipotermia che, da sola, sarebbe un elemento troppo debole per giustificare le alterazioni elettrolitiche rilevate (Polderman et al. 2001).

L’ipomagnesemia, ipokalemia, ipocalcemia ed in misura minore l’ipofosfatemia, sono quindi associate alle aritmie cardiache, a maggior ragione se più di uno solo di questi stati è presente nel paziente. È giusto considerare che per quanto riguarda i pazienti presi in esame nello studio di Polderman, il danno cerebrale che li caratterizzava è di per sé associato ad una danno del miocardio ed ad alterazioni elettrocardiografiche (Keller et al. 1993), ciò non toglie però, che il monitoraggio degli elettroliti e, nel nostro caso di particolare interesse, il magnesio, costituisca un aspetto rilevante nella gestione del paziente critico.

Lo studio, tiene conto dell’ipotermia indotta come strumento terapeutico, nello specifico del danno cerebrale, ma i meccanismi alla base dei conseguenti squilibri

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elettrolitici sono gli stessi dell’ipotermia a cui i pazienti critici vanno spontaneamente incontro.

Uno studio condotto su topi (Vink et al. 1988) ha indagato sulla natura del danno che colpisce il sistema nervoso centrale secondariamente ad un trauma, rilevando che per la maggior parte le conseguenze sono dovute non al danno primario, ma alle alterazioni biochimiche che lo seguono; in particolare, gli autori hanno valutato i valori di magnesio libero intracellulare.

Nel gruppo di animali che avevano subito il danno, rispetto al gruppo di controllo, il magnesio era significativamente diminuito, fino al 69% nell’arco di un’ora, contro il 13% di riduzione del magnesio totale. Gli animali che avevano subito un danno minore mostravano scarsi deficit neurologici a distanza di 24 ore, al contrario di quelli che avevano subito un danno più consistente; l’outcome di questi pazienti è risultato essere correlato al grado di carenza di magnesio, infatti i topi appartenenti al gruppo di animali meno danneggiato presentava anche una diminuzione dei valori di magnesio meno importante, in contrasto con il gruppo più colpito ed in cui l’alterazione dei valori del catione risultava essere più consistente.

Il rapporto tra la deplezione post traumatica di magnesio e l’outcome neurologico degli animali si pensa possa essere dovuto al danno secondario tissutale; i topi infatti se trattati per via endovenosa con solfato di magnesio (MgSO4), prima di subire il

danno neurologico, non andavano incontro alla deplezione del catione, come succedeva invece nel gruppo di controllo trattato con una soluzione salina, in cui il magnesio si abbassava del 79% dopo circa 3 ore.

Un rilievo da considerare è che, secondo lo studio di Vink et al (1988), il trattamento preventivo con solfato di magnesio migliorava significativamente l’outcome neurologico degli animali già dopo 24 ore, in confronto al gruppo di controllo. Uno studio sperimentale (Salem et al. 1995) condotto su 299 topi, ha voluto valutare se la progressiva carenza di magnesio potesse avere dei risvolti sull’outcome dei

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pazienti che presentassero endotossiemia; gli autori hanno suddiviso lo studio in tre esperimenti.

Nel primo sono stati valutati i valori di magnesio totale e ionizzato nel sangue degli animali a cui erano state somministrate in maniera randomizzata o una soluzione placebo o endotossine, tutto ciò utilizzando un campione basale e successivi campioni a diverse distanze di tempo dall’infusione.

Nel secondo esperimento gli animali sono stati suddivisi e valutati in base all’apporto nutrizionale di magnesio, per cui alcuni topi non erano stati sottoposti a nessun tipo di restrizione alimentare, alcuni erano stati alimentati per tre settimane con una dieta carente di magnesio, e gli ultimi allo stesso modo, ma per un periodo di sei settimane, sempre con metodo randomizzato.

Nel terzo esperimento, i topi che erano stati sottoposti alla restrizione di magnesio, sono stati trattati alcuni con cloruro di magnesio (MgCl2), altri con una soluzione

placebo e valutati.

I risultati ottenuti sono significativi ed interessanti. La somministrazione di alte dosi di endotossine ha determinato, infatti, un forte aumento delle concentrazioni di magnesio totale circolante, e similmente anche il magnesio ionizzato è risultato aumentato a dosaggi di endotossine oltretutto inferiori rispetto al magnesio totale. Il gruppo di soggetti che erano stati sottoposti a restrizione alimentare di magnesio nel secondo esperimento quindi, presentavano un’incidenza di mortalità maggiore, a causa dell’associazione tra endotossiemia e carenza di magnesio.

Nei topi in cui l’apporto di magnesio era normale, il tasso di mortalità era del 43%, in quelli sottoposti a tre settimane di restrizione invece era del 65%, ma il picco veniva raggiunto negli animali che avevano subito una restrizione di sei settimane, in cui l’incidenza della mortalità arrivava all’ 83%.

Infine negli animali che erano stati preventivamente trattati il tasso di sopravvivenza aumentava significativamente rispetto al gruppo di controllo.

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