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Sintesi e polimerizzazione di un fluoroforo organico a base julolidinica per la realizzazione di nuovi copolimeri stirenici con caratteristiche vapocromiche

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Academic year: 2021

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Sommario

Riassunto ... 3

1 Introduzione ... 5

1.1 Fluorescenza ... 7

1.1.1 Resa quantica ... 10

1.2 Molecole organiche che modificano le proprietà ottiche: ACQ, AIE e rotori molecolari fluorescenti ... 11

1.2.1 Rotori molecolari fluorescenti a base di julolidina ... 20

1.3 Rotori molecolari come sonde fluorescenti ... 22

1.4 Fluorofori in matrici polimeriche ... 27

1.5 Polimeri contenenti fluorofori come indicatori ottici di composti organici volatili ... 31

1.6 Processo di permeazione di composti volatili in matrici polimeriche ... 35

1.6.1 Processo di permeazione di VOCs in polimeri vetrosi ... 39

2 Scopo della tesi ... 41

3 Risultati e discussione ... 42

3.1 Sintesi del rotore molecolare a base julolidinico ... 42

3.2 Studio delle proprietà ottiche in soluzione del rotore molecolare JCBF ... 46

3.3 Sintesi dell’omopolimero di JCBF ... 53

3.4 Caratterizzazione in soluzione dell’omopolimero di JCBF ... 55

3.5 Sintesi del copolimero statistico di JCBF con Stirene ... 56

3.6 Caratterizzazione in soluzione del copolimero statistico di JCBF con Stirene ... 58

3.7 Preparazione delle pellicole dei polimeri di JCBF/Sti... 61

3.8 Caratterizzazione dei film ottenuti mediante analisi di assorbimento UV-Vis e fluorescenza ... 61

3.9 Comportamento vapocromico dei film di JCBF/Sti ... 63

4 Conclusioni ... 74

5 Parte Sperimentale ... 76

5.1 Materiali utilizzati ... 76

5.2 Sintesi di JCBF ... 77

5.2.1 Sintesi della 9-Formil-Julolidina (FJUL) ... 78

5.2.2 Sintesi del 2-[4-vinil(1,1'-bifenil)-4’-il]-acetonitrile (CBF) ... 83

5.2.3 Sintesi del [4-vinil(1,1'-bifenil)-4’-il]-cianoviniljulolidina (JCBF) ... 88

5.3 Preparazione di soluzioni di JCBF ... 93

5.4 Sintesi di polimeri contenenti JCBF ... 93

5.4.1 Sintesi dell’omopolimero di JCBF ... 93

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5.5 Preparazione di film sottili di JCBF/Sti a diverse concentrazioni ... 101

5.6 Caratterizzazione dei materiali ... 101

5.6.1 Spettroscopia di fluorescenza ... 101 5.6.2 Spettroscopia Uv-Visibile ... 101 5.6.3 Analisi NMR ... 102 5.6.4 Analisi FT-IR ... 102 5.6.5 Analisi TGA ... 102 5.6.6 Analisi DSC ... 102 5.6.7 Analisi GPC ... 102

5.6.8 Determinazione della resa quantica ... 103

5.6.9 Calcolo dell'indice di rifrazione delle miscele di solventi ... 103

5.6.10 Calcolo della viscosità delle miscele di solventi ... 104

5.6.11 Calcolo della costante dielettrica delle miscele dei solventi ... 104

5.6.12 Determinazione effettiva del contenuto di JCBF all’interno del polimero ... 104

5.6.13 Misure spessore dei film ... 104

5.6.14 Transilluminatore ... 105

5.7 Misure di Vapocromismo ... 105

5.7.1 Apparato sperimentale ... 105

5.7.2 Apparato sperimentale per l’individuazione della sensibilità dei dispositivi polimerici contenenti JCBF ... 106

6 Bibliografia ... 107

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Riassunto

Il presente lavoro di tesi ha come oggetto la caratterizzazione di un rotore molecolare fluorescente, una classe di luminofori organici in grado di modulare l’intensità della propria emissione di fluorescenza caratteristica in base alle interazioni con il mezzo in cui sono dispersi. In particolare risultano poco emissivi in solventi a bassa viscosità dove la radiazione luminosa assorbita viene dissipata mediante transizioni non radiative, grazie alla rotazione attorno ad un legame. Questa risulta più impedita in solventi viscosi o allo stato solido così da consentire un’emissione per fluorescenza. È stato caratterizzato in soluzione e in matrice polimerica un rotore molecolare, il 2-[4-vinil(1,1'-bifenil)-4’-il]-cianoviniljulolidina (JCBF) derivante da un gruppo Julolidinico, opuranatamente sintetizzato in laboratorio. Quest’ultimo, è caratterizzato da una struttura derivabile da dicianoviniljulolidina (DCVJ) e carbossicianoviniljulolidina (CCVJ), rotori molecolari che si trovano in commercio, ma è stato funzionalizzato inserendo una porzione di molecola polimerizzabile grazie alla presenza di un gruppo vinilico. In particolare si è voluto valutare come varia il segnale di fluorescenza di un film di poli(stirene-JCBF) quando esposto ad un ambiente saturo di vapori di composti organici volatili (VOCs). I vapori di solvente che diffondono attraverso il film polimerico, se affini per la matrice, causano un rilassamento delle catene macromolecolari con un conseguente aumento del volume libero ed una diminuzione della microviscosità locale che porta a una maggior libertà di movimento per i rotori molecolari e favorisce quindi un rilassamento non radiativo. Questo si traduce in una diminuzione progressiva dell’intensità di fluorescenza in funzione del tempo di esposizione. Tale fenomeno è stato osservato per tutti i rotori molecolari precedentemente studiati, ma in particolare impiegando il rotore JCBF ha manifestato una risposta migliore nel rilevare la presenza di vapori di solventi volatili. Infatti la sua particolare struttura gli conferisce affinità per il poli(stirene) e nella polimerizzazione le catene di rotore molecolare sono completamente disperse all’interno della matrice. Si può concludere quindi che i rotori molecolari fluorescenti si prestano bene ad essere impiegati come additivi fluorescenti nella realizzazione di indicatori ottici di tipo on/off reversibili sensibili ai vapori di quei solventi che sono affini per la matrice plastica che costituisce il dispositivo.

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1 Introduzione

Questo lavoro di tesi si inserisce in un progetto di ricerca volto allo studio di una nuova classe di materiali, i cosiddetti materiali “intelligenti”. Questi materiali sono in grado di fornire una risposta rapida, sensibile e reversibile a piccoli cambiamenti dell’ambiente circostante e per questo motivo possono essere impiegati come efficienti indicatori ottici di sollecitazioni esterne di varia natura. Essi infatti sono in grado di trasformare in modo significativo una delle loro proprietà facilmente misurabili, quando sottoposti ad uno stimolo esterno, come ad esempio luce, calore, sollecitazioni meccaniche e stimoli chimici1. Un modo facile per conferire queste proprietà ad un materiale è quello di impiegare molecole organiche capaci di modulare le loro proprietà ottiche (in assorbimento o in fluorescenza) in funzione del tipo di sollecitazione esterna. Questi coloranti organici possono essere dispersi o legati covalentemente a delle matrici polimeriche anche in basse concentrazioni (< 0.1% in peso) in modo da creare materiali funzionali versatili, plastici e a basso costo2. Infatti i polimeri detti “commodities” hanno bassi costi ed hanno interessanti proprietà meccaniche e termiche, ma mancano di qualsiasi risposta ottica essendo solitamente trasparenti alle lunghezze d'onda sopra 200-300 nm3.

Negli ultimi anni sono state sviluppate delle interessanti molecole organiche caratterizzate da proprietà ottiche modulabili in funzione del loro stato di aggregazione. In particolare, alcuni coloranti organici sono in grado di modulare l’intensità della loro emissione a seconda della loro aggregazione (aggregation-induced emission, AIE). Il grande interesse per questi fluorofori nasce dalla loro luminescenza allo stato solido che permette loro di trovare potenziali applicazioni high-tech come chemiosensori, bioprobes, emettitori di luce con diversi range di emissione, che operano allo stato solido4,5,6. Lo sviluppo di tali materiali basati su AIE è in rapida espansione in letteratura6. L’effetto AIE nasce dalla limitazione dei movimenti intramolecolari (RIM) ed è tipico di queste molecole la cui struttura è costituita da due o più unità che possono ruotare in modo dinamico le une contro le altre6,7. Sistemi AIE chimicamente funzionalizzati con gruppi funzionali donatore-accettore (D-A) sono inoltre indicati come rotori molecolari fluorescenti (FMRs). I FMRs sono cromofori flessibili aventi una risposta di fluorescenza che dipende dalla viscosità locale dell'ambiente. In ambienti poco viscosi, i rotori molecolari possono dissipare l’energia dallo stato eccitato attraverso un canale di rilassamento non radiativo, senza alcuna emissione di luce. Al contrario, in ambienti altamente viscosi o in soluzioni concentrate, in cui è favorito lo stato

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di aggregazione, la rotazione interna è molto limitata bloccando quindi il percorso di rilassamento non radiativo e intensificando l’emissione di fluorescenza8.

La capacità di modulare la loro emissione allo stato solido rende tali coloranti organici molto interessanti per la loro applicazione in materiali polimerici. La matrice polimerica è come noto caratterizzata da un’elevata viscosità. Nel suo interno le molecole di FMR sono di conseguenza costrette ad emettere la loro massima intensità di fluorescenza. Qualsiasi sollecitazione esterna che andrebbe a modificare (diminuire) la viscosità del sistema provocherebbe di conseguenza un’istantanea variazione (diminuzione) dell’emissione della molecola FMR dispersa provocando quindi un rapido cambiamento di colore in funzione dell’entità dello stimolo esterno. Tale comportamento suggerisce quindi la possibilità di utilizzare il sistema FMR/matrice polimerica come materiali innovativi per la segnalazione di variazioni di viscosità promosse, ad esempio, mediante stimoli chimici. Oltre ad avere grande sensibilità e basso costo questi materiali possiedono anche buona processabilità e possono essere preparati nella forma di film sottili ad elevata area superficiale9,10,11. Un esempio di stimolo chimico può essere rappresentato dai composti organici volatili (Volatic Organic Compounds o VOCs) dal momento che per effetto dei vapori dei solventi si ha una plastificazione nella matrice polimerica ottenendo così un calo significativo della micro viscosità locale e quindi dell’emissione del rotore molecolare.

I VOCs sono sostanze aventi uno scheletro carbonioso che hanno tensioni di vapore significative a temperatura ambiente. La legislazione italiana definisce composti organici volatili quei composti organici che, alla temperatura di 293,15 K (20 °C), abbiano una pressione di vapore di 0,01 kPa o superiore12.

I composti organici volatili possono essere generati sia da attività antropiche, ma possono essere anche di origine naturale, vengano classificati VOCs anche gli olii essenziali vegetali. L'importanza delle emissioni biogeniche, soprattutto in alcune zone è veramente notevole. Negli Stati Uniti, ad esempio, negli anni 2000 venne stimata un'emissione biogenica di composti organici volatili pari a 30.860 tonnellate all'anno, contro 21.090 tonnellate all'anno di VOC antropogenici. La quantità di emissioni biogeniche è maggiore delle emissioni antropogeniche, soprattutto nel periodo estivo e in concomitanza dell'aumento del quantitativo di ozono, in particolare nelle zone rurali13.

I VOCs possono avere un ruolo di notevole importanza per la chimica dell’atmosfera terrestre, molti di essi infatti contribuiscono in maniera significativa all’effetto serra, sia per la loro attività nell’infrarosso che per le loro proprietà ossido-riduttive. Inoltre altri VOCs, ad esempio quelli alogenati, possono contribuire all’assottigliamento dello strato di ozono. I

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VOCs devono quindi essere rilevati sia per non avere ripercussioni sull’ambiente, ma anche per altri motivi (economici, clinici, sicurezza). La loro presenza può infatti portare alla formazione di atmosfere infiammabili o tossiche.

1.1 Fluorescenza

Una molecola che si trova al suo stato elettronico eccitato dopo un assorbimento di un fotone con energia sufficiente a causare una transizione elettronica può liberare energia in due modi: in maniera non radiativa, prevalentemente come cessione di calore all’ambiente esterno prodotto tramite movimenti rotazionali o vibrazionali; o in maniera radiativa attraverso, ad esempio, luminescenza. La luminescenza può avvenire in due modi differenti: si parla di fluorescenza quando il tempo di decadimento è molto breve (10-8 s), mentre si parla di fosforescenza quando i tempi di decadimento sono più lunghi (anche superiori a 1 ms). Il fotone emesso in maniera radiativa non ha necessariamente un’energia uguale a quella assorbita, e tale differenza si traduce in una differenza di frequenza tra la radiazione assorbita e quella emessa (spostamento di Stokes). Quando il momento di dipolo di una molecola fluorescente è più elevato nello stato eccitato, che nello stato fondamentale, lo spostamento di Stokes aumenta con la polarità del solvente. Nella maggior parte dei casi la radiazione riemessa ha energia inferiore a causa della dissipazione di una parte dell’energia assorbita nei livelli energetici vibrazionali dello stato eccitato, mentre in alcuni materiali la transizione allo stato eccitato avviene tramite la combinazione del fotone incidente con un fonone vibrazionale e porta all’emissione di una radiazione a frequenza superiore a quella assorbita14.

Per visualizzare chiaramente tutte le transizioni vibroniche, ovvero quelle transizioni che combinano fenomeni elettronici e vibrazionali, a seguito di una eccitazione luminosa, è conveniente ricorrere al diagramma di Perrin-Jablonski15 (Figura 1.1).

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Figura 1.1: diagramma di Perrin-Jablonski15

Con S0, S1, S2 si indicano i primi tre stati elettronici di singoletto con i relativi livelli vibrazionali associati: S0 è lo stato elettronico fondamentale, S1 e S2 sono gli stati eccitati. Con T1 e T2 sono indicati gli stati elettronici di tripletto che, a differenza degli stati di singoletto, risiedono a un’energia inferiore in accordo con la legge di Hund16. A temperatura ambiente lo stato elettronico più popolato è l’S0 e in seguito all’assorbimento di un fotone con energia adeguata, si può promuovere un elettrone in uno dei livelli eccitati degli stati elettronici. Il passaggio da uno stato all’altro è controllato dalla temperatura; più questa è elevata e più l’eccitazione è facilitata poiché gli elettroni possiedono un’energia superiore. Gli elettroni sono localizzati negli stati eccitati solo per pochi pico o nanosecondi e il tempo trascorso allo stato eccitato è associato al fattore di incertezza relativo al livello energetico eccitato secondo il principio di Heisemberg17.

𝛥𝐸𝛥𝑡 ≥

ћ

2 (Equazione 1.1)

Dove ΔE è l’incertezza sull’energia, Δt è il tempo di residenza dell’elettrone nello stato eccitato e ћ/2 è la costante di Plank ridotta.

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La conversione interna (IC) è una transizione non radiativa tra due stati elettronici con la stessa molteplicità di spin. Questa porta a rilassamenti vibrazionali responsabili della progressiva perdita di energia. La conversione interna è un processo della durata di circa 10-11 – 10-9 secondi.

La conversione interistema (ISC) è responsabile della transizione non radiativa tra la stato S1 e Tn 16.

Si parla invece di fluorescenza quando sia lo stato fondamentale che quello eccitato hanno la stessa molteplicità di spin elettronica e la transizione di decadimento dallo stato eccitato è dell’ordine di 10-8 s. In particolare, è possibile notare come il tempo della conversione interna sia nettamente minore e per questo motivo il decadimento avviene quasi sempre tra il livello vibrazionale più basso dello stato eccitato. Questo è il motivo per cui gli spettri di emissione sono di solito indipendenti della lunghezza d'onda di eccitazione (proprietà conosciuta come regola di Kasha18). Il passaggio è molto veloce dal momento che la molteplicità è la stessa. Il tempo medio tra l’eccitazione e il ritorno allo stato fondamentale è denominato "come tempo di vita dello stato eccitato" del fluoroforo e viene indicato con la lettera “τ”. Per quasi tutte le molecole organiche il fenomeno della fluorescenza avviene tra due livelli con molteplicità di singoletto. Poiché l’eccitazione elettronica non altera significativamente le posizioni dei nuclei, la spaziatura dell'energia vibrazionale negli stati elettronici eccitati, è simile a quella degli stati fondamentali, di conseguenza la forma dello spettro di emissione è tipicamente una immagine speculare di quello di assorbimento. Se invece i tempi di decadimento sono più lunghi e il passaggio avviene tra due livelli con molteplicità diverse parliamo di fosforescenza. Nel diagramma di Perrin-Jablonski viene riportato il passaggio di un fotone da uno stato eccitato con molteplicità di singoletto ad uno stato eccitato con molteplicità di tripletto ad energia minore; quando il fotone decade dallo stato eccitato di tripletto allo stato fondamentale di singoletto parliamo appunto di fosforescenza. Questo processo a differenza della fluorescenza è molto più lento perché la transizione di decadimento è proibita dalle regole della selezione ed il ritorno allo stato fondamentale è impedito dalla buca di potenziale dal momento che lo spin dell’elettrone allo stato eccitato è uguale a quello che si trova allo stato fondamentale. Per questo motivo la cinetica è estremamente lenta con tempi anche superiori a 1 s.

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1.1.1 Resa quantica

Oltre ai tempi di vita degli stati eccitati e dello spostamento di Stokes, un parametro molto importante per la completa caratterizzazione di un fluoroforo è la resa quantica (ϕ). La resa quantica è il rapporto tra i fotoni che decadono in maniera radiativa e quelli assorbiti dal fluoroforo. Dal momento che tutti i processi di decadimento hanno una cinetica del primo ordine, la resa quantica può essere descritta secondo l’equazione 1.2:

𝜙 =

𝑘𝑟

𝑘𝑟+𝑘𝑛𝑟 (Equazione 1.2)

Dove kr e knr sono rispettivamente le costanti cinetiche dei processi radiativi e quelli non radiativi. Calcolando in questo modo la resa quantica, una molecola può essere non fluorescente come risultato di una grande velocità di IC o da un’emissione lenta. Grandi variazioni delle costanti di velocità possono derivare da diversi fattori come ad esempio, il pH, la forza ionica della soluzione, la concentrazione del fluoroforo, le interazioni con altre molecole in soluzione o con le molecole di solvente. I processi di decadimento radiativi sono quindi influenzati da una serie di parametri esterni che possono ridurre l’intensità della radiazione emessa. Il fenomeno di decadimento può essere di due tipi: nel caso il fenomeno sia reversibile parliamo di spegnimento temporaneo “quenching”, mentre se invece il fenomeno non è reversibile parliamo di fotodegradazione “photobleaching”. Quest’ultimo fenomeno porta alla degradazione fotochimica del fluoroforo, dovuta ad esempio ad un’eccessiva intensità di radiazione assorbita. Questo fenomeno può essere più o meno intenso a seconda della reattività del fluoroforo, dall’intensità e dalla lunghezza d’onda della radiazione incidente ed anche dall’ambiente circostante.

Al processo di “quenching” invece non è associato alcuna modifica chimica del fluoroforo dal momento che il calo di fluorescenza è dovuto alla diminuzione del tempo di vita medio dello stato eccitato che influisce notevolmente sulla resa quantica. Il quenching può essere dipeso da diversi fattori e avvenire quindi con diversi meccanismi. Per esempio, all’interno di una soluzione possono essere presenti agenti chimici responsabili dei processi di decadimento non radiativo (“quenchers”); il fluoroforo può interagire con queste specie allo stato fondamentale (quenching statico), o allo stato eccitato (quenching collisionale), mediante collisioni responsabili di disperdere l’energia dell’eccitazione in maniera non

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radiativa mediante vibrazioni o rotazioni molecolari-indotte. Il fluoroforo e il “quencher” ritornano allo stato fondamentale non alterati chimicamente. Per questo motivo parliamo di spegnimento temporaneo e non definitivo. Un gran numero di molecole può agire come “quenchers” collisionali ed il meccanismo di spegnimento dipende dalla coppia fluoroforo- “quencher”. L’effetto dei “quenchers” ad azione collisionale può essere quantificato mediante l’equazione di Stern-Volmer19:

𝜙([𝑄]) 𝜙0

=

1

1+𝑘𝑆𝑉[𝑄]

(Equazione 1.3)

Dove ϕ ([Q]) è la resa quantica ad una data concentrazione di quencher, ϕ0 è la resa quantica in assenza di quencher, kSV è la costante di Stern-Volmer che è caratteristica delle coppie fluoroforo-“quencher” e [Q] è la concentrazione del “quencher”.

Oltre alla perdita di fluorescenza per effetto di altre molecole ci può essere uno spegnimento dovuto al solvente, spesso però l’interazione con il solvente non porta ad un vero e proprio spegnimento ma ad uno spostamento ad energie minori del picco di emissione. Questo accade soprattutto per i solventi più polari che riescono a stabilizzare lo stato eccitato e non quello fondamentale. In questo modo l’energia dello stato eccitato è inferiore mentre quella dello stato fondamentale è maggiore15,16. Questo effetto porta ad una riduzione della frequenza della radiazione emessa spostando quindi il picco di emissione ad energie più basse e quindi a lunghezze d’onda maggiori facendo così aumentare lo spostamento di Stokes15,20.

1.2 Molecole organiche che modificano le proprietà ottiche: ACQ, AIE e

rotori molecolari fluorescenti

Alcuni fluorofori sono in grado di modificare le proprie caratteristiche ottiche in seguito a modifiche della mobilità molecolare: i più danno fenomeni di smorzamento della fluorescenza a causa della loro aggregazione (Aggregation Caused Quenching, ACQ). Le molecole che presentano caratteristiche ACQ hanno un abbattimento di fluorescenza all’aumentare della concentrazione, dal momento che gli anelli aromatici delle catene si trovano sempre a distanze minori e quindi diventa molto più probabile che ci sia un interazione di tipo π-π. Questi coloranti luminescenti infatti sono caratterizzati dalla presenza di anelli aromatici che li rendono poco solubili in acqua, dove invece tendono ad aggregare,

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e molto solubili in solventi organici. La presenza di questi anelli aromatici favorisce inoltre la formazione di aggregati che vengono tenuti insieme da interazioni secondarie. L’abbattimento di fluorescenza per le molecole ACQ può essere causato anche da un aumento della mobilità molecolare che può essere causato da un’analita21, da un aumento della temperatura22, od anche da uno stimolo meccanico. Questo li rende dei buoni indicatori ottici allo stato solido anche perché sarebbe molto facile ripristinare le caratteristiche iniziali anche solo andando ad aumentare la temperatura e raffreddando velocemente in modo da bloccare cineticamente le molecole del fluoroforo. E’ da notare come l'effetto ACQ sia dannoso però per altre applicazioni pratiche. Per esempio, in applicazioni di rilevamento in acqua i fluorofori organici utilizzati per la produzione di sonde luminescenti tenderebbero ad aggregare visto la loro natura idrofoba. Pertanto, essi precipiterebbero e aggregherebbero in acqua, con conseguente effetto ACQ. Per questo motivo la ricerca è spinta nel sintetizzare coloranti organici con gruppi polari in modo da aumentarne la solubilità in acqua.

Altri sistemi fluoroforici sono invece caratterizzati da un’emissione indotta dopo loro aggregazione (Aggregation Caused Emission, AIE)23. Queste ultime tipologie di fluorofori stanno riscontrando sempre più attenzione nella comunità scientifica.

Al contrario delle molecole ACQ le molecole AIE presentano fluorescenza durante la loro aggregazione e questo comportamento (aggregacromico) è stato ricondotto alla restrizione dei moti intramolecolari (Restriction of Intramolecular Motions, RIM6). Le molecole capaci di AIE più comuni infatti sono dotate di gruppi con elevata inerzia (come ad esempio sistemi aromatici) legati da legami semplici che permettono di far ruotare le varie porzioni della molecola. Quando i moti intramolecolari vengono ostacolati la dissipazione dell’energia assorbita dai fotoni incidenti in cammini non radiativi viene fortemente ostacolata e la riemissione di fotoni nello spettro visibile diventa più probabile.

La variazione di fluorescenza per le molecole AIE e ACQ è specifica per ogni fluoroforo: tra i più studiati in letteratura c’è il tetrafeniletilene (TPE) e il perilene (Figura 2.1), rispettivamente, data la loro semplicità strutturale. Entrambi i fluorofori possono difatti presentare forte tendenza all’aggregazione a causa delle interazioni di “stacking” tra i sistemi aromatici π.

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Figura 1.2: Composto organico in grado di dare ACQ (il perilene, a sinistra) e un composto organico in grado di dare AIE (il tetrafeniletilene, a destra)

In figura 1.3 sono invece riportate fotografie fatte sotto lampada UV di soluzioni contenenti un fluoroforo capace di avere effetto ACQ, la fluoresceina (vedasi formula sulla destra della figura), e un fluoroforo capace di avere effetto AIE, l’esafenilsilolo.

Figura 1.3: Fotografie in fluorescenza di soluzioni e aggregati di (A) Fluoresceina (15μM) in miscele di acqua-acetone con differente frazione volumetrica di acetone (Fa) e (B) Esafenilsilolo (10μM) in

miscele di THF-Acqua con differente frazione volumetrica di acqua (Fw)5

In particolare, è possibile osservare come l’aggiunta di un non-solvente nel caso della fluoresceina promuova il “quenching” della fluorescenza (ACQ); al contrario per il derivato

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esafenilsilolo l’aggiunta di un non-solvente provoca l’attivazione della fluorescenza indotta dall’aggregazione (AIE).

Il motivo per cui l'aggregazione può aumentare l'emissione nelle molecole con fenomeni di AIE è facilmente spiegabile con la fisica fondamentale: qualsiasi movimento molecolare (rotazione, vibrazioni, ecc) consuma energia. I sei anelli fenilici dell’esafenilsilolo possono dinamicamente ruotare contro l'anima silolo. In soluzione diluita di un buon solvente, queste rotazioni intramolecolari sono attive e consentano la disattivazione energetica dello stato eccitato attraverso un canale di rilassamento non radiativo. Come risultato, la fluorescenza si spegne. Al contrario, nello stato di aggregazione in cattivi solventi, queste rotazioni sono limitate a causa di vincoli fisici, che bloccano il canale non radiativo allo stato fondamentale, consentendo la diseccitazione via emissione di luce. In generale, l'effetto AIE deriva dalla limitazione del movimento intramolecolare (RIM), che comprende sia la limitazione della rotazione intramolecolare (RIR) e la restrizione della vibrazione intramolecolare (RIV). Il processo RIM consiste, essenzialmente, in un irrigidimento strutturale4,24.

Una classe particolare di molecole organiche che danno fenomeni di AIE sono i rotori molecolari fluorescenti; questa classe di composti è caratterizzata dalla presenza di due gruppi: uno elettron attrattore e uno elettron donatore separati da uno spaziatore coniugato e quindi planare che consente una migliore circolazione degli elettroni della molecola. In questa configurazione la molecola risponde alla fotoeccitazione con un trasferimento di carica intramolecolare (Intramolecular Charge Transfer ICT) dal gruppo donatore all’accettore. In particolare, in seguito alla fotoeccitazione la molecola assume una conformazione distorta (Twisted Intramolecular Charge Transfer, TICT) per effetto delle forze elettrostatiche date dalla separazione di carica25,26,27,28.

L’ipotesi dell’esistenza di un “trasferimento di carica intramolecolare ruotato” fu proposta da Grabowski basandosi sugli studi relativi all’anomala fluorescenza in soluzione di 4,4’dimetilamminobenzonitrile (DMABN) (Figura 1.4), disciolto in solventi polari.

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Grabowski osservò la formazione di due bande di emissione e ipotizzò che la seconda banda fosse dovuta alla presenza di un secondo stato eccitato anch’esso stabilizzato soprattutto in solventi polari. Oltre quindi allo stato eccitato LE (“Local excited”) era presente anche uno stato eccitato TICT che diseccitava anch’esso in maniera radiativa. (Figura 1.5).

Figura 1.5: Diagramma Perrin-Jablonski relativo ad una molecola di DMABN29

Dal diagramma di Perrin-Jablonski riportato in Figura 1.5 si vede chiaramente come la molecola di DMABN abbia due bande di emissione, una dovuta dal decadimento dallo stato eccitato LE e una dovuta dal decadimento dallo stato eccitato TICT. Come è possibile vedere dalla Figura 1.5 il picco di emissione dallo stato TICT sarà caratterizzato da una minore energia e quindi sarà spostato a lunghezze d’onda superiori. La formazione dello stato ruotato TICT è fortemente influenzata da tutta una serie di parametri relativi al mezzo in cui è disciolta/dispersa la molecola. L’ingombro sterico della molecola stessa può ridurre il grado di formazione dello stato TICT dal momento che può essere ostacolato il movimento di distorsione tra i due gruppi carichi e pertanto il fenomeno risulta meno probabile allo stato solido. Un altro parametro è legato alla natura del solvente, in particolare alla sua costante dielettrica poiché in solventi molto polari si possono avere interazioni tra i dipoli delle molecole di solvente che possono favorire o meno la configurazione distorta e quindi la formazione dello stato TICT. La barriera energetica tra la forme planare e ruotata può essere inoltre impedita anche con l’utilizzo di solventi a viscosità crescente30.

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Per comprendere al meglio le interazioni tra i rotori molecolari e il mezzo circostante bisogna prima esaminare i cambiamenti dell’energia dallo stato fondamentale a quello eccitato e successivamente a quello ruotato.

Nei processi di fluorescenza (Figura 1.1) abbiamo inizialmente l’assorbimento di un fotone che promuove il passaggio di un elettrone dallo stato fondamentale a quello eccitato, dopo di ché un elettrone presente nel più basso stato eccitato può decadere allo stato fondamentale e dare il fenomeno della fluorescenza. Una tipica transizione di fluorescenza avviene tra gli orbitali π*-π. I complessi a trasferimento di carica intramolecolare sono caratterizzati dalla presenza di gruppi elettron donatori e accettori uniti mediante un sistema coniugato come nel caso dei rotori molecolari in cui l’atomo donatore cede elettroni di non-legame agli orbitali liberi dell’accettore.

In questo trasferimento gioca un ruolo chiave la coniugazione π che rende trascurabile la differenza energetica tra gli orbitali interessati. La promozione ad un livello energetico più alto può comportare un rilassamento vibrazionale dell’elettrone prima che questo possa tornare allo stato fondamentale con emissione di un fotone. Nei complessi di tipo TICT la formazione dello stato ruotato può essere interpretata come un rilassamento vibrazionale dominante che porta ad un’ulteriore transizione elettronica di energia minore.

Figura 1.6: Energie potenziali dello stato fondamentale e dello stato eccitato nella conformazione planare (φ0) e ruotata (φ1)

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La barriera energetica tra LE e TICT è fortemente influenzata dall’intorno chimico del fluoroforo che deve stabilizzare la forma eccitata in modo da poter favorire il passaggio allo stato TICT. La velocità con cui questo passaggio avviene deve essere molto elevata, nell’ordine di 108 - 1010 secondi, per evitare l’emissione istantanea del fotone per fluorescenza27,31.

Dopo aver spiegato come funziona il passaggio dallo stato LE allo stato TICT è possibile capire come invece il solvente è in grado di interagire per modificare la barra energetica dei due stati.

Nello stato fondamentale, la conformazione planare è energeticamente favorita, mentre la conformazione distorta è preferita nello stato eccitato. La molecola allo stato eccitato assume la configurazione di stato D+ - π - A-. Subito dopo l'eccitazione, la molecola assume rapidamente la conformazione dello stato distorto a meno che la barriera di energia tra il LE e lo stato TICT (linea tratteggiata in figura 1.7) non viene bloccata da vincoli fisici come ad esempio la viscosità del mezzo. In quest'ultimo caso, il raggiungimento dello stato TICT è impedito, e la resa quantica di fluorescenza dalla transizione LE è massima. La separazione di carica nello stato eccitato è accompagnato da un aumento del momento di dipolo. Nel caso di DMABN, per esempio, il momento di dipolo allo stato fondamentale è circa 6 Debye (1 Debye [D] ≈ 3,336 × 10-30 C × m), mentre i momenti di dipolo allo stato eccitato sono circa 10 Debye. Il dipolo nella conformazione planare è compresa tra 19 e 22 Debye, mentre nella conformazione TICT cambia a seconda della natura del solvente. Infatti, se le molecole di solvente possiedono un momento dipolare alto, l’orientamento delle molecole di solvente che circondano le molecole di colorante allo stato eccitato può stabilizzare lo stato TICT e quindi abbassare la sua energia. In tal modo, il livello di energia dello stato S1 è abbassato e l'energia dello stato S0 viene sollevata, aumentando così lo spostamento di Stokes. Questo processo è denominato come “solvent relaxation” 15,32,33.

I rotori molecolari possono essere classificati in base alla loro struttura principale ed al tipo di decadimento che avviene allo stato TICT (Tabella 1.1).

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18 Tabella 1.1: Principali classi di rotori molecolari

Gruppo Esempio Picco emissione LE (nm) Struttura Fluorofori a base di benzonitrili 4,4’-dimetilamminobenzonitrile (DMABN) 342 Benzildene malononitrili 9-(2,2-dicianovinil)-julolidina (DCVJ) 496 Stilbene p-(dimetiammino)-stilbene (p-DASPMI) 560 Coloranti

arilmetinici Cristal violet 630

Come già riportato in precedenza, il rilassamento dallo stato TICT può verificarsi in un modo radiativo come nel caso della DMABN, ma può verificarsi anche in un modo non radiativo. Nel caso di DMABN, per esempio, il divario S1-S0 nello stato distorto è grande abbastanza da permettere una emissione radiativa quando la molecola ritorna allo stato fondamentale della conformazione distorta (Figura 1.6). Viceversa, quando il gap energetico nello stato TICT è molto più piccolo dello stato LE è possibile che ci sia un rilassamento attraverso un percorso non radiativo. Nel caso della 9-(2,2-dicianovinil) julolidina (DCVJ), per esempio, il salto energetico S1-S0 dello stato TICT sarebbe tre volte più piccolo del salto che ci sarebbe con lo stato LE. Di conseguenza, fluorofori di questa classe mostrano solo un banda di emissione attribuita alla transizione dello stato LE, la cui intensità è modulabile in funzione di tutti quei fenomeni che favoriscono la formazione dello stato eccitato34 (Figura 1.7).

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Figura 1.7: Diagramma Perrin-Jablonski relativo ad una molecola di DCVJ34

Il fenomeno di “Solvent relaxation” è il motivo per cui i rotori molecolari tipicamente mostrano forte solvatocromismo della banda di emissione dello stato TICT. In solventi a bassa polarità, l'emissione proviene principalmente dallo stato LE ed ha una elevata resa quantica. Al contrario in solventi ad alta polarità, l'emissione (ove presente) si verifica principalmente dallo stato TICT, che ha una bassa resa quantica. La formazione dello stato TICT è stata riconosciuta come il fattore principale che determina la doppia emissione per alcuni FMR. Vale la pena notare che nella forma solida cristallina, la restrizione nel passaggio dallo stato LE allo stato TICT può portare alla formazione di emissioni molto intense35.

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1.2.1 Rotori molecolari fluorescenti a base di julolidina

Una classe di rotori molto studiata e tra le più promettenti per l’applicazione nella sensoristica è quella dei derivati della julolidina. In questa classe le due molecole organiche che hanno avuto maggior successo anche in campo biomedico sono la (dicianovinil)julolidina (DCVJ) e la (carbossicianovinil)julolidina (CCVJ) (Figura 1.8).

Figura 1.8: I rotori molecolari fluorescenti dicianoviniljulolidina (DCVJ, a sinistra) e carbossicianoviniljulolidina (CCVJ, a destra)

In questa classe di molecole la conformazione push-pull è garantita dalla presenza dell’azoto julolidinico, push, e dal gruppo nitrilico, pull. La presenza di un gruppo con un elevato ingombro sterico contribuisce all’aumento della barriera energetica tra lo stato eccitato LE e quello TICT dal momento che la rotazione è molto impedita. Rotori di questo tipo hanno una solo banda di emissione di fluorescenza dovuta al decadimento radiativo dallo stato LE, mentre quando si forma lo stato TICT il decadimento diventa non radiativo con l’energia dissipata sotto forma di calore dovuto a moti rotazionali e vibrazionali.

Da studi computazionali è stato dimostrato come il raggiungimento dello stato TICT viene raggiunto tramite una rotazione intramolecolare attorno al doppio legame vinilico34. Questo chiaramente sarebbe impedito allo stato fondamentale, ma al contrario risulta molto favorito energicamente allo stato eccitato rispetto al legame singolo C-C. Allo stato eccitato infatti il doppio legame vinilico a causa delle strutture di risonanza dovute al trasferimento di carica intramolecolari assume il carattere di un legame singolo permettendo la rotazione36. Se tali rotazioni sono ostacolate dalla riduzione del volume libero molecolare (corrispondente ad ambienti ad alta viscosità), la rotazione viene impedita e aumentando quindi l’emissione dallo stato LE e la resa quantica di fluorescenza del composto37,38. La rotazione attorno al legame singolo a livello eccitato sarebbe troppo lenta per il raggiungimento dello stato TICT a causa dell’elevata barriera energetica presente allo stato eccitato (Figura 1.9).

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Figura1.9: Grafici dell’andamento dell’energia potenziale della DCVJ in funzione dell’angolo di torsione rispetto al doppio legame (grafico sopra, immagine a sinistra) e singolo (grafico sotto,

immagine a destra) per lo stato fondamentale (▲) ed eccitato (●)34

Come si può notare dalla figura 1.9, il minimo di energia per il DCVJ allo stato fondamentale risulta essere al momento in cui la molecola si trova nella configurazione planare. L’energia minima dello stato eccitato si raggiunge invece quando i due gruppi, donatore e accettore, sono ruotati di 90˚ l’uno rispetto all’altro. Dal momento che il salto energetico è poco intenso la rotazione intramolecolare nello stato eccitato può avvenire molto rapidamente, con tempi dell’ordine dei picosecondi, quando la rotazione non è ostacolata dal solvente. È possibile inoltre notare come ci sia una differenza energetica di circa 100 kJ/mol tra lo stato eccitato ruotato del singolo legame e del doppio legame vinilico. Il rilassamento non radiativo avviene a causa del ridotto gap energetico tra gli stati S1 e S0 nel TICT.

Vale la pena evidenziare che i calcoli computazionali riportati in letteratura per tali sistemi non tengono di conto delle influenze del solvente sui livelli dell’energia, un solvente polare potrebbe ad esempio stabilizzare meglio lo stato eccitato.

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Per la DCVJ è stato riscontrato un momento di dipolo poco intenso allo stato LE con uno scarso comportamento solvatocromico. Al contrario, la sua resa quantica di fluorescenza è fortemente influenzata dalla microviscosità locale30,39.

Di particolare importanza nella famiglia dei rotori molecolari a base di julolidina oltre la DCVJ è anche la CCVJ dal momento che il gruppo carbossilico si è dimostrato un buon funzionale sintetico per ottenere ciano-julolidine funzionalizzate con catene laterali anche molto diverse come polarità, ma con caratteristiche di ingombro chimico tali da garantire inalterate le proprietà viscocromiche della molecola40,41,42,43. Tra le classi più promettenti di FMR le cianojulolidine funzionalizzate con gruppi polimerizzabili e funzioni bersaglio per il monitoraggio biochimico risultano essere quelli più d’interesse44.

1.3 Rotori molecolari come sonde fluorescenti

Le tecniche analitiche basate su misure di fluorescenza sono sempre più diffuse45,46,47 grazie alla loro elevata sensibilità, bassi costi, tempi di risposta brevi e facilità di applicazione. La maggior parte di ioni e molecole, non sono fluorescenti e per questo motivo è necessario che ci sia un metodo indiretto per la loro rivelazione. Esempi di tali metodi sono:

• Derivatizzazione dell'analita con un composto fluorescente marcato: si ha quando la molecola fluorescente è già presente nel sistema che si intende rivelare, come ad esempio il triptofano nelle proteine. Con questo metodo è possibile ad esempio seguire la vita di una cellula dalla nascita alla morte andando ad individuare una particolare molecola fluorescente presente al suo interno.

• Formazione di complessi fluorescenti grazie alla formazione di legami tra un particolare analita da analizzare e una molecola fluorescente introdotta nel sistema. Con questo metodo è possibile seguire il movimento di un determinato analita introducendo in esso una molecola fluorescente capace di legarsi covalentemente. Se l’analita non disturba elettronicamente la molecola fluorescente questa continuerà a cedere energia in maniera radiativa permettendo così l’individuazione dell’analita.

• Spegnimento della fluorescenza indotto all’analita mediante l’aggiunta di particolari molecole “quenchers”. Con questo metodo all’interno di un campione è presente una molecole fluorescente, aggiungendo una molecola “quencher” è possibile determinare grazie alla relazione di Stern-Volmer la concentrazione dell’analita. Le molecole spegnitrici posso infatti legarsi all’analita sia con deboli interazioni secondarie, sia attraverso legami covalenti. I nuovi complessi formatosi possono avere una configurazione diversa che

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favorisce la perdita di energia in maniera non radiativa, ad esempio per moti vibrazionali o rotativi, che porta allo spegnimento di fluorescenza.

Pertanto la scelta di un indicatore fluorescente deve essere fatta in relazione alle proprietà dell’ambiente che si vuole rilevare tenendo conto che le uniche interazioni che devono influenzare l’intensità di fluorescenza sono quelle tra la molecola e il sistema target.

La tecnica analitica basata sulla fluorescenza è sempre più diffusa per l’alta sensibilità e selettività e per la possibilità di avere una misura semplice e in tempo reale utilizzando ad esempio un sistema di campionamento a fibre ottiche. L’utilizzo di molecole fluorescenti, che presentano abbattimento di fluorescenza in risposta a stimoli esterni permettono lo sviluppo di nuovi metodi per valutare le proprietà fisiche che precedentemente erano determinabili solo con metodi costosi, invasivi e spesso distruttivi.

I rotori molecolari fluorescenti sono diventati molto appetibili negli ultimi anni grazie alla loro facile applicabilità come indicatori ottici di viscosità. Sorprendentemente, la loro sensibilità verso la viscosità e per i cambiamenti di viscosità ha raggiunto una precisione paragonabile a quella dei reometri meccanici commerciali, ma con il vantaggio di una risposta in un tempo minore41,48,.

I metodi per misurare la viscosità più utilizzati oggi sono:

• Viscosimetro a capillare49, questo metodo classico di misura è dovuto a George Gabriel Stokes e consiste nel misurare il tempo che un fluido impiega a transitare attraverso un capillare di vetro di lunghezza nota. Questo metodo è tuttora utilizzato per la misurazione standard della viscosità dell'acqua e più in generale per i fluidi newtoniani. In condizioni ideali può avere una precisione dello 0,1% circa. Non è adatto però alla misura in fluidi ad alta viscosità o contenenti particelle solide. Inoltre non si può utilizzare con fluidi non newtoniani.

• Viscosimetro di Engler50, in onore del suo inventore Karl Oswald Victor Engler, si basa sull'efflusso per gravità di una data quantità di fluido (200 mL) attraverso un capillare, necessario per generare il moto del liquido secondo un regime laminare. È costituito da un recipiente di modeste dimensioni in ottone, immerso in una vasca termostatica, provvisto di un foro calibrato (orifizio) disposto in basso ed al centro. Il rapporto fra il tempo impiegato ad affluire del volume del liquido in esame alla temperatura di prova, attraverso il foro calibrato, nel matraccio disposto in asse, ed il tempo impiegato dallo stesso volume di acqua distillata alla stessa temperatura, esprime la viscosità in gradi Engler (°E) del liquido in esame.

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• Viscosimetro a rotazione51, Il viscosimetro a rotazione è costituito da un elemento rotante di forma cilindrica o sferica inserito in un contenitore cilindrico contenente il fluido di cui si vuole misurare la viscosità. Quando l'elemento rotante viene posto in movimento, a causa della viscosità del fluido, si esercita una coppia di forze sul contenitore cilindrico. Dalla misura dell'intensità della coppia si può risalire con precisione alla viscosità del fluido. Questi viscosimetri hanno in comune che il campione deve essere sottoposto a forze di taglio affinché si possa avere una risposta di viscosità; gli strumenti registrano queste forze di taglio (attrito interno) a cui viene correlata una misura di viscosità. L'attrito interno è infatti proporzionale alla viscosità dinamica η e al gradiente di velocità tra gli strati con differente velocità. Il concetto di viscosità fu introdotto da Newton52 come il fattore di proporzionalità tra il gradiente di velocità (dv/dx) in direzione perpendicolare al flusso e la forza per unità di area (F/S) richiesta per mantenere il flusso. Un fluido che obbedisce a questa relazione lineare è detto “Fluido Newtoniano”. In tutte le tecniche di fluorescenza che permettono la stima della fluidità mediante l’utilizzo di sonde fluorescenti, la grandezza fisica fondamentale da prendere in considerazione è il coefficiente di diffusione, in quanto rappresenta la resistenza viscosa delle molecole che circondano la sonda.

Tipicamente per la determinazione della viscosità vengono utilizzati tra 1 e 5 mL di fluido e il processo di misurazione richiede tra 1 e 5 minuti. Gli alti tempi e la relativa elevata quantità di fluido campione da utilizzare per la determinazione della viscosità preclude le misure di viscosità in tempo reale e in piccoli campioni o in regioni localizzate (basso risoluzione spaziale). Al contrario l’utilizzo di FMR consentirebbe di fare misure di microviscosità all’interno di campione da analizzare53. Per i rotori molecolari in cui la diseccitazione dallo stato TICT si verifica in maniera non radiativa, abbiamo uno spegnimento progressivo dell’emissione con la diminuzione di viscosità del solvente. Poiché la formazione dello stato TICT dipende molto dalla possibilità della molecola di subire una rotazione intramolecolare, che è, a sua volta, una funzione del volume libero del microambiente, ecco che ad alta viscosità (volume libero basso) corrisponde un’inibizione della rotazione intramolecolare e quindi un aumento della resa quantica di fluorescenza. In altre parole, la fluorescenza semplicemente aumenta all'aumentare della viscosità del mezzo.

La viscosità è un parametro macroscopico che perde il suo senso fisico su scala molecolare, per cui a livello microscopico è più opportuno parlare di “fluidità” per caratterizzare in maniera generale gli effetti della resistenza viscosa del micro-ambiente in cui si trova la sonda molecolare (polimeri, gel, membrane, doppi strati lipidici, etc.).

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È necessario quindi andare ad indagare le interazioni sonda-solvente direttamente a livello molecolare, in particolare introducendo il concetto di “volume libero”, sviluppato da Gierer e Wirtz54, che prevede la presenza di spazi vuoti tra le molecole di solvente.

Comunemente la diffusività di un fluoroforo viene correlata alla viscosità massiva mediante la relazione di Debye-Stokes-Einstein in cui la costante di diffusione è inversamente proporzionale alla viscosità52. Tuttavia, a livello molecolare, questa relazione è solo un’approssimazione ed esiste un approccio per l’ottenimento di un valore di microviscosità locale.

Una relazione matematica stretta tra viscosità η e Φ resa quantica è nota come equazione di Forster-Hofmann (Equazione 1.4)41, con questa equazione, mediante l’utilizzo di un fluoroforo è possibile avere una corrispondenza tra la microviscosità locale e la resa quantica di fluorescenza:

𝜙

𝐹

= 𝐶 ∗ (𝜂)

𝑥 (Equazione 1.4)

Dove ϕF è la resa quantica di fluorescenza di un fluoroforo in un solvente, C è una costante dipendente dalla molecola di fluoroforo, 𝜂 è la viscosità del mezzo e x è un parametro che dipende dall’interazione che il fluoroforo ha con il solvente. Se l’equazione viene riportata in scala logaritmica è possibile costruire una retta di taratura ed ottenere in tempi brevi (quasi reali), la viscosità all’interno di un determinata soluzione.

Misurare la viscosità di fluidi utilizzando rotori molecolari è quindi possibile e si possono ottenere risultati che raggiungono una precisione comparabile a quelli ottenuti attraverso l’impiego di strumentazioni convenzionali come i reometri o i viscosimetri. In Figura 1.10 è possibile osservare il confronto tra il valore di viscosità misurato mediante i rotori molecolari e attraverso i viscosimetri tradizionali.

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Figura 1.10: Confronto tra i valori di viscosità di miscele glicole etilenico/glicerolo misurate con un reometro a piatto-cono e con la fluorescenza di un rotore molecolare (DCVJ)42

Come è possibile vedere dall’immagine l’errore commesso nella misurazione della viscosità utilizzando un rotore molecolare risulta essere molto basso (inferiore al 5 %) e comunque paragonabile a quello ottenuto misurando con un reometro a piatto cono.

In uno studio di Allen34 è stato osservato come la variazione di viscosità comporti un cambiamento della velocità della formazione dello stato TICT. In questo studio in particolare sono stati utilizzati diversi alcol lineari con lunghezza di catena differenti; la viscosità è stato dimostrato dipendere dalla lunghezza della catena del fluoroforo FMR (Figura 1.11).

Figura 1.11: Effetto della viscosità sulla costante di velocità per la disattivazione del primo stato di singoletto eccitato e la formazione dello stato TICT in una serie di alcoli lineari a 20°C34

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27 Dove KD è descritta dall’equazione 1.5:

𝐾

𝐷

=

𝜐

𝜂𝛼

exp (−

𝐸𝐴

𝑅𝑇

)

Equazione 1.5

Dove il fattore di frequenza υ corrisponde alla pressione esercitata dal rotore per unità di viscosità e 𝛼 è un coefficiente che descrive le forze di attrito da solvente e soluto, 𝜂 è la viscosità del mezzo e EA è l’energia di attivazione dello stato TICT alla temperatura T. I rotori molecolari sono maggiormente utilizzati in applicazioni per le quali è sufficiente la determinazione della variazione di viscosità di un mezzo piuttosto che il suo valore assoluto. Ad esempio, le applicazioni di maggior interesse dei rotori molecolari risultano essere nella determinazione delle variazioni dei parametri dei fluidi biologici e nello studio delle cinetiche di polimerizzazione.

Ad esempio è infatti possibile controllare il grado di avanzamento di una polimerizzazione dal momento che la resa quantica è legata in maniera dinamica ai cambiamenti di volume libero che dipende dal peso molecolare del polimero4,43,55,56.

Durante la polimerizzazione la mobilità dei rotori molecolari è progressivamente impedita man mano che si formano strutture polimeriche sempre più lunghe, con conseguente diminuzione del volume libero.

Un altro esempio pratico in cui il controllo della viscosità può essere utile è quello della biomeccanica delle cellule. La viscosità difatti influenza l’attività delle proteine di membrana e quindi la viscosità cellulare può comportare modifiche fisiologiche che possono portare anche a stati patogeni (diabete, morbo di Alzheimer, malignità delle cellule)57.

1.4 Fluorofori in matrici polimeriche

I cosiddetti “smart materials” sono materiali polimerici contenenti molecole che sono in grado di modulare una delle proprietà facilmente misurabili quando sottoposti ad una sollecitazione esterna di varia natura, quali, ad esempio, sollecitazioni meccaniche, termiche o chimiche permettendo così l’individuazione dello stress subito dal materiale2,58. Essi infatti sono in grado di modificare in modo significativo una delle loro proprietà ottiche facilmente misurabili, quando sottoposti ad uno stimolo esterno di varia natura (ad esempio luce, calore, sollecitazioni meccaniche e stimoli chimici)1. Un modo facile per conferire queste proprietà ad un materiale è quello di impiegare molecole organiche fluorescenti capaci di modulare la

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loro emissione in funzione del tipo di sollecitazione esterna. Questi fluorofori possono essere dispersi o legati covalentemente alle matrici polimeriche anche in basse concentrazioni (< 0.1% in peso) in modo da creare materiali versatili, plastici e a basso costo. Infatti i polimeri di largo consumo detti “commodities” hanno bassi costi ed hanno interessanti proprietà meccaniche e termiche, ma mancano di qualsiasi risposta ottica essendo solitamente trasparenti alle lunghezze d'onda sopra 200-300 nm. Quest’ultima proprietà ben si unisce con l’utilizzo di molecole organiche in grado di modulare le loro emissioni dal momento che il materiale strutturale non copre lo spettro di emissione del colorante3.

Figura 1.12: A sinistra polimero vergine, a destra polimero dopo miscelazione con colorante

Tuttavia, ci sono alcune eccezioni, ad esempio alcuni polimeri altamente coniugati (come politiofeni, polianiline, etc.) presentano proprietà di assorbimento/emissione della radiazione luminosa grazie all'elevata mobilità degli elettroni lungo la loro catena. Tuttavia questi materiali sono caratterizzati da una struttura molecolare rigida che ne influenza negativamente il tipico comportamento viscoelastico facendo cioè perdere alcune caratteristiche dei polimeri termoplastici come ad esempio le proprietà termo-meccaniche, l’elevato modulo elastico o la temperatura di fusione. Questo rende questa classe di polimeri non utilizzabile per applicazioni su larga scala. Di conseguenza, il modo migliore per ottenere materiali intelligenti con ottime caratteristiche termo meccaniche e responsività ottica è l'aggiunta di un colorante organico fluorescente alla matrice polimerica. Per la realizzazione di tali materiali ci sono due metodi distinti che portano vantaggi e svantaggi2: • disperdere il fluoroforo a livello molecolare all’interno del polimero.

• legare covalentemente il fluoroforo al polimero mediante l’aggiunta di pendagli alla molecola organica.

Il primo approccio si basa sul mescolamento di un fluoroforo in un matrice polimerica, l’aggiunta di tale colorante porta alla colorazione del bulk polimerico. Le macromolecole rimangono strutturalmente inalterate, e il sistema è generalmente bifasico al meno che i coloranti non siano completamente solubili nel polimero. Il metodo della dispersione viene

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ampiamente applicato a materiali plastici ed è di base il metodo convenzionale usato per i materiali pigmentati. In questo caso, il colorante è in grado di fornire proprietà funzionali che vanno oltre gli scopi meramente estetici. La dispersione di un colorante in un polimero può essere realizzata sia in soluzione che nella massa del polimero fuso (o rammollito), usando un’apparecchiatura specifica in base alle caratteristiche chimico-fisiche della miscela.

Nel caso di polimeri la cui unità ripetente ha una buona compatibilità con la molecola di colorante si possono adottare tecniche che prevedono la miscelazione di polimero e colorante in un comune solvente e la successiva evaporazione mediante riscaldamento o a temperatura ambiente (Figura 1.13). In questo modo si ottiene una miscela sotto forma di film in cui il colorante risulta disperso a livello molecolare all’interno della fase amorfa della matrice polimerica. I polimeri più utilizzati con questa tecnica sono il poli(metacrilato di metile), il policarbonato e il polistirene.

Figura 1.13: Preparazione di film polimero/colorante mediante la tecnica “film casting”59

Tuttavia, quando la matrice polimerica è completamente apolare e non interagente con il colorante (come spesso accade per polietilene e polipropilene), miscibilità e compatibilità possono essere limitati, quindi durante l’evaporazione del solvente può formarsi un sistema bifasico che porta alla formazione di aggregati indesiderati.

Un altro modo di disperdere il colorante all’interno del polimero è quello di utilizzare un estrusore o un miscelatore meccanico discontinuo, capaci cioè di rendere la massa di polimero fluida durante il processo di mescolamento (Figura 1.14).

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Figura 1.14: Preparazione di film polimero/colorante mediante l’utilizzo di un estrusore

L’utilizzo di un estrusore può portare ad una migliore miscibilità rispetto alla tecnica del “solvent casting” visti gli elevati sforzi di taglio durante la miscelazione meccanica che favoriscono la dispersione molecolare dell’additivo fluorescente2. Questa metodologia risulta inoltre vantaggiosa in quanto non prevede la sintesi di una nuova struttura polimerica. Un altro approccio per combinare i polimeri con i coloranti è quello di legare covalentemente le due specie copolimerizzandole, oppure innestando il colorante sulle catene polimeriche preformate. In figura 1.15 sono riportate alcune possibili combinazioni per legare covalentemente il polimero al fluoroforo.

Figura 1.15: Schema di strategie per legare un colorante organico ad una matrice polimerica60. Le

spiegazioni dettagliate di ogni singolo step vengono riportate di seguito

Polimeri con all’interno rotori molecolari posso essere prodotti con varie strategie sintetiche che dipendono dal tipo di fluoroforo e dal polimero. La figura 1.15 illustra i metodi tipici per incorporare fluorofori nelle strutture polimeriche. Nella prima tecnica il fluoroforo

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contiene già porzioni di molecole capaci di omopolimerizzare (Figura1.15 A), mentre nel secondo caso il fluoroforo copolimerizza con altri monomeri non fluorescenti (Figura 1.15 B). Nel terzo caso (Figura 1.15 C) i precursori AIE inattivi possono polimerizzare e generare catene di rotori molecolari. I fluorofori possono anche essere fissati sul polimero come catene laterali, per esempio possono essere vincolate a un monomero polimerizzabile, che poi subisce omo o copolimerizzazione per formare polimeri con catene lineari con appese unità di fluorofori (Figura 1.15 D ed E). Un altro approccio interessante è quello di utilizzare fluorofori contenenti iniziatori di polimerizzazione in grado di ottenere polimeri lineari aventi un fluoroforo in catena (Figura 1.15 F).

Oltre ad utilizzare meccanismi di polimerizzazione diretta, è possibile modificare polimeri già esistenti con l’aggiunta di molecole fluorescenti attraverso processi di post-funzionalizzazione. Un metodo è quello di collegare direttamente i fluorofori ai polimeri tramite l’utilizzo di particolari gruppi funzionali presenti sia nel polimero che nel fluoroforo (Figura 1.15 G). Un modo alternativo è quello di costruire nuovi polimeri attraverso reazioni di polimerizzazione tra polimeri inattivi e piccoli precursori molecolari (Figura 1.15 H). È anche possibile che i polimeri non fluorescenti diventano altamente emissivi per reazione con composti ingombranti (Figura 1.15 I). Inoltre, se il polimero ha gruppi funzionali terminali, può reagire con fluorofori con uno o due siti di reazione per permettere polimeri con una unità fluorescenti terminale o centrale (Figura 1.15 L e M).

Materiali polimerici contenenti rotori molecolari fluorescenti possono essere utilizzati, ad esempio, per la determinazione di tutti quei fattori, interni o esterni alla matrice, capaci di variare la propria viscosità e mobilità delle catene macromolecolari. In questi ultimi anni ci sono stati numerosi studi in cui tali sistemi sono stati esposti a vapori di solventi o sostanze volatili. Questi possono generare un forte cambiamento della viscosità del materiale a livello locale e produrre quindi un cambiamento delle proprietà ottiche46.

1.5 Polimeri contenenti fluorofori come indicatori ottici di composti

organici volatili

I VOCs sono sostanze aventi uno scheletro carbonioso che hanno pressioni di vapore significative a temperatura ambiente. La legislazione italiana definisce composti organici volatili quei composti organici che, alla temperatura di 293,15 K (20 °C), abbiano una pressione di vapore di 0,01 kPa o superiore.

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I composti organici volatili possono essere generati sia da attività antropiche che di origine naturale, come ad esempio olii essenziali vegetali. I VOCs possono avere un ruolo di notevole importanza per la chimica dell’atmosfera terrestre, molti di essi infatti contribuiscono in maniera significativa all’effetto serra, sia per la loro attività nell’infrarosso che per le loro proprietà ossido-riduttive. Inoltre altri VOCs, ad esempio quelli alogenati, possono contribuire all’assottigliamento dello strato di ozono. I VOCs devono quindi essere rilevati sia per non avere ripercussioni sull’ambiente, ma anche per altri motivi (economici, clinici, sicurezza61,62,63). La loro presenza può infatti portare alla formazione di atmosfere infiammabili o tossiche.

La difficoltà nel realizzare dispositivi ottici per la determinazione dei VOCs sta nel trovare un sistema che sia selettivo per certi composti, che sia attivo anche per bassissime concentrazioni (ppb/ppm) e che dia una risposta accurata e semplice. Negli anni le tecnologie a film sottile sono state largamente sfruttate per creare dei sistemi in grado di riconoscere un’ampia gamma di composti volatili anche per concentrazioni dell’ordine di pochi mg/L64. Il successo di questa tecnica sta nel fatto che questi film sottili possono essere posizionati su differenti superfici; inoltre i VOCs sono in grado di penetrare all’interno del film e quindi interagire con i coloranti organici dispersi o legati all’interno e dare una risposta, elettrica o ottica, veloce. Per gli esempi in cui la risposta ottica viene efficacemente trasdotta in un segnale elettrico determinabile si può parlare di sistemi che vengano chiamati “nasi elettronici”.

La progettazione di nuovi materiali fluorescenti, sensibili ai vapori, costituiti da miscele di fluoroforo-polimero, si basa sulle interazioni tra fluoroforo e analita che devono essere più forti di quelle di un semplice adsorbimento fisico. Infatti, l'energia dello stimolo è correttamente trasdotto in variazioni ottiche (cioè assorbimento, emissione, indice di rifrazione) in funzione di interferenze esterne. Chimicamente i fluorofori reattivi rientrano generalmente in tre classi: (a) fluorofori con grandi dipoli permanenti che rispondono alla polarità locale (ad esempio caratteristiche solvatocromiche dei fluorofori), (b) indicatori di pH che rispondono ad acidità/basicità di Brønsted, (c) fluorofori con la mobilità modulabile che rispondono alla viscosità locale (ad esempio ACQ e AIE).

Negli anni si pensa di sfruttare sistemi polimerici contenenti composti organici per l’individuazione di VOCs dal momento che questi presentano un elevato effetto vapocromico che li rende interessanti come indicatori ottici di tipo on/off.

I primi studi hanno impiegato questi coloranti per l’individuazione di composti nitroaromatici (NAC) volatili dato che questi composti sono presenti in molti esplosivi come

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ad esempio il TNT. L’individuazione di tali composti è possibile mediante l’utilizzo di molecole ad alta coniugazione π. Le molecole elettronpovere dei NAC posso interagire con le diimmine (Figura 1.16) inibendo la diseccitazione per fluorescenza47.

Figura 1.16: Struttura chimica della diammina utilizzata per la rilevazione dei NACs

Le forti interazioni π-π tra l’anello elettronricco della diimmina e l’anello del DNT favoriscono infatti una diseccitazione non radiativa così da poter rilevare la presenza di un esplosivo attraverso il “quenching” della fluorescenza.

Un'altra strategia è basata sull’impiego di coloranti aggregacromici (ACQ, AIE) che interagendo con specifiche molecole di VOCs vengono solvatati inducendo una diversa risposta ottica. Una classe di tali composti è stata sintetizzata all’interno del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa46. In questo studio sono state sintetizzate molecole AIE della classe di benzildene malononitrili ed in particolare 9-(2-(1H,1H,2H,2H-perfluorodecancarbalcossi)-2-cianovinil)julolidina (CCVJ) (Figura 1.17).

Figura 1.17: Formula di struttura di 9-(2-(1H,1H,2H,2H-perfluorodecancarbalcossi)-2-cianovinil)julolidina (CCVJ)

Questo fluoroforo è stato quindi disperso in polistirene in concentrazione in peso dello 0.05% ed esposto a vapori di cloroformio. L’utilizzo di ridotte quantità di fluoroforo è consentito dall’elevata luminosità di quest’ultimo e risulta benefico in termini di costi. L’interazione cloroformio-polimero porta ad un rilassamento delle catene e quindi ad un aumento del volume libero. Per questo motivo il fluoroforo è più libero di muoversi e quindi è favorita la dissipazione di energia non radiativa dello stato TICT. Conseguentemente, questo porta ad una diminuzione di efficienza quantica e quindi ad un abbattimento

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dell’emissione di fluorescenza. Per questo motivo questi sistemi possono essere utilizzati per l’individuazione di solventi altamente volatili.

Figura 1.18: Sovrapposizione degli spettri di emissione (λexc = 450 nm) acquisiti su un film di polistirene

spesso 140 μm contenente CCVJ dispersa allo 0.05% in peso esposto a vapori di cloroformio46

In particolare l’utilizzo di una catena per-fluorurata sul fluoroforo consente alla molecola durante la fase di evaporazione del solvente di distribuirsi maggiormente presso la superficie di contatto polimero-aria in modo da avere una risposta il più veloce possibile una volta che il materiale viene esposto ai VOCs.

Uno sviluppo di questa tecnica è stato fatto sempre all’interno dell’Università di Pisa65, in questo caso il rotore molecolare a base di julolidina è stato direttamente copolimerizzato con stirene mediante una polimerizzazione radicalica. In particolare, questo è stato possibile grazie all’aggiunta di un gruppo polimerizzabile (metacrilato di metile) al derivato julolidinico (Figura 1.19).

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Figura 1.20: Sovrapposizione degli spettri di emissione (λexc = 430 nm) acquisiti su un film di

copolimero JCAEM/polistirene allo 0.06% in peso esposto a vapori di cloroformio46

È possibile notare come in questo studio la velocità di risposta ai vapori è molto più breve, questo probabilmente è da attribuire al fatto che ci sia una maggiore omogeneità all’interno del film e quindi una maggiore esposizione delle molecole organiche responsabili del cambiamento di fluorescenza.

1.6 Processo di permeazione di composti volatili in matrici polimeriche

Le grandi dimensioni e l’elevato numero di gradi di libertà delle catene rendono i polimeri molto complessi dal punto di vista conformazionale. Se le catene sono simili tra di loro queste si possono organizzare in strutture organizzate dal punto di vista orientazionale e posizionale dando luogo alla formazione di cristalli. A causa delle innumerevoli imperfezioni e a fattori probabilistici nel processo di formazione del cristallo questo non si estende per tutta la massa del polimero. La presenza di imperfezioni porta la formazione di domini amorfi attorno a queste fasi cristalline, in questo caso le catene sono semplicemente aggrovigliate (“entangled”). Il grado di cristallinità di un polimero è definito come la frazione della sua massa che si trova in domini cristallini e di solito non supera mai l’80%, mentre è facile ottenere polimeri quasi del tutto amorfi.

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