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Follow-up sulla relazione tra i disturbi del sonno e del comportamento in età evolutiva

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Academic year: 2021

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INDICE

RIASSUNTO p. 3

INTRODUZIONE 4

CAPITOLO 1

1.1. I Disturbi del Comportamento Dirompente in età evolutiva 6 1.2. I fattori di rischio nel complesso panorama dei Disturbi

del Comportamento Dirompente 7

1.2.1. Propensione temperamentale 8

1.2.2. Parenting 9

1.2.3. Le variabili ambientali 10

1.2.4. Vulnerabilità genetica 11

1.3. Inquadramento nosografico dei Disturbi da Comportamento Dirompente 13 1.3.1. Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività (DDAI) 14

1.3.2. Disturbo Oppositivo-Provocatorio (DOP) 19

1.3.3. Disturbo della Condotta (DC) 23

CAPITOLO 2

2.1. I disturbi del sonno in età evolutiva 28

2.2. Fisiologia del sonno 28

2.2.1. Stadio 1 (N1-NREM) 29

2.2.2. Stadio 2 (N2-NREM) 29

2.2.3. Stadio 3 e 4 (N3-NREM) 30

2.2.4. Stadio REM 30

2.3. Modificazioni del sonno nel corso della vita 31

2.4. Classificazione dei disturbi del sonno in età pediatrica 32 2.4.1. Disturbi del sonno: prevalenza, fattori di rischio e fattori protettivi 34

2.5. Le funzioni del sonno 35

2.5.1. L’effetto del sonno sulla memoria 36

2.6. Focus sull’interazione tra i problemi del sonno e del comportamento 37

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CAPITOLO 3

3.1. I comportamenti aggressivi in ambito scolastico p. 44 3.1.1. Le differenze comportamentali predicono

il rendimento scolastico? 44

3.2. Disturbi del sonno e comportamento a scuola 46

CAPITOLO 4 – PARTE SPERIMENTALE

4.1. Presentazione dello studio longitudinale 49

4.2. Strumenti utilizzati 50

4.2.1. Sleep Disturbance Scale for Children 50

4.2.2. Strengths and Difficulties Questionnaire 51

4.3. Studio di follow-up 53

4.3.1. Il campione 54

4.3.2. Le variabili misurate 55

4.3.3. Lo strumento: Strengths and Difficulties Questionnaire 55

4.4. Risultati e analisi dei dati 57

4.5. Discussione 59

CONCLUSIONI 64

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RIASSUNTO

Sono molti i cambiamenti che i bambini affrontano durante i primi anni di scuola, spesso, però, alcuni di loro hanno difficoltà ad adattarsi alla nuova situazione. L’allontanamento dal clima familiare, il confronto con i coetanei, le prime imprese di socializzazione, gli insegnanti e le materie di studio possono far insorgere dei problemi nei bambini che hanno già un profilo ad alto rischio. Il progetto di ricerca si è occupato di indagare una parte del variegato panorama dei problemi in età infantile. Lo scopo è stato quello di verificare se i problemi del sonno nei bambini possono prevedere i disturbi della condotta e l’iperattività a scuola.

Da quattro anni, la fondazione IRCCS Stella Maris in collaborazione con l’Università di Pisa e con l’Istituto Comprensivo Tongiorgi stanno lavorando sullo studio di queste due variabili per capirne e approfondirne la relazione. Abbiamo coinvolto attivamente i genitori attraverso la compilazione di un test di screening che individua le problematiche del sonno (SDSC; Bruni, Ottaviano, Guidetti, Romoli, e Innocenzi, 1996) e, parallelamente, abbiamo chiesto agli insegnati di compilare un questionario (SDQ; Goodman, 1997) sui comportamenti a scuola dei bambini, siamo così riusciti a monitorare, in questi anni, l’andamento delle due variabili. Il presente progetto di ricerca riguarda lo studio di follow-up a distanza di un anno, l’ipotesi sperimentale è quella di verificare se la variazione dei disturbi del sonno sia predittiva delle problematiche comportamentali in ambito scolastico. I risultati da noi ottenuti mostrano una relazione tra i disturbi di inizio e mantenimento del sonno e i problemi di attenzione e iperattività in classe. Ci siamo inoltre preoccupati di valutare quanto queste variabili incidessero realmente sulla vita quotidiana del bambino. I dati che abbiamo raggiunto ci permettono di affermare che 1/4 dei bambini che compongono il nostro campione hanno difficoltà comportamentali che interferiscono sia sulla sfera sociale che sull’apprendimento scolastico.

Alla luce del lavoro finora svolto è possibile promuovere un intervento che si occupi di modificare le abitudini del sonno dei bambini in età scolare. L’auspicio è che gli effetti benefici si ripercuotano anche sui problemi di comportamento in classe e che prevengano lo sviluppo di veri e propri comportamenti patologici.

Parole chiave: età evolutiva, attenzione/iperattività, sonno, comportamento, scuola, prevenzione.

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INTRODUZIONE

Sempre più spesso le istituzioni scolastiche richiedono dei programmi di natura preventiva per rispondere ai bisogni degli studenti e le richieste maggiori vertono sulla riduzione dei problemi di comportamento esternalizzanti. Nella maggior parte dei casi i comportamenti aggressivi e disattentivo-iperattivi a scuola rappresentano una sintomatologia sottosoglia dei comportamenti patologici esternalizzanti, quindi riuscire a identificarli, rappresenta un’occasione privilegiata di prevenzione e sensibilizzazione sulla popolazione scolare. Per poter intervenire in maniera efficace è necessario individuare i fattori di rischio che influenzano i disturbi del comportamento. Dalla letteratura è noto che i disturbi del sonno aumentano la probabilità di sviluppare disturbi psichiatrici, somatici e di regolazione emotiva. Allo stesso modo, una buona qualità del sonno e l’apprendimento di sane abitudini prima di coricarsi, favorisce il benessere psicofisico e rafforza le capacità neurocognitive dell’individuo.

Nel primo capitolo vengono affrontati i Disturbi del Comportamento Dirompente, secondo i dettami della nuova classificazione nosografica del DSM-V e successivamente vengono descritte le principali peculiarità di ogni disturbo. I comportamenti patologici descritti nel capitolo sono utili a comprendere quei comportamenti sottosoglia ai quali il nostro studio si è interessato. I problemi lievi che alcuni di questi bambini hanno, possono compromettere una crescita sana. In particolare, la disattenzione e l’iperattività, limitano il potenziale di apprendimento scolastico. Per facilitare la comprensione, sono stati descritti i principali fattori di rischio che favoriscono e aggravano l’insorgenza di tali disturbi.

Nel secondo capitolo è stato doveroso approfondire la tematica del sonno in età pediatrica. Andremo a vedere come il sonno si modifica a partire dai primi mesi di gestazione fino all’età puberale. Si parlerà delle importantissime funzioni che il sonno svolge nel proteggere l’omeostasi del nostro organismo e soprattutto del ruolo che riveste sulle capacità di memoria, di attenzione e di elaborazione dell’informazione. Infatti, la letteratura scientifica è d’accordo nell’affermare che le buone abitudini del sonno influenzano il benessere psicofisico del bambino. Ci soffermeremo, poi, sull’analisi dell’interazione tra problemi del sonno e il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (DDAI). Infatti, numerosi studi evidenziano il sonno come uno dei potenziali fattori di rischio per lo sviluppo di comportamenti disattentivi, iperattivi ed aggressivi.

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Il terzo capitolo si preoccupa di mettere in evidenza la stretta relazione che esiste tra la cattiva routine nel coricarsi e le capacità neurocognitive nei bambini. Verranno trattati gli articoli della letteratura scientifica che, in maniera analoga alla nostra ricerca, si sono occupati di indagare questo fenomeno. Per quanto sia ormai assodato che una buona qualità del sonno generi un maggiore benessere sull’organismo, sono ancora pochi gli studi che si sono occupati di indagare longitudinalmente l’influenza del sonno sul comportamento scolastico.

Nel quarto capitolo viene presentato lo studio che è stato portato avanti in questi anni, l’ipotesi è quella di verificare se i disturbi del sonno possono prevedere i problemi di condotta, disattenzione e iperattività nell’ambiente scolastico. Verrà descritto il campione e, successivamente, i metodi di ricerca utilizzati per l’analisi delle variabili. Gli strumenti sono: Sleep Disturbance Scale for Children (SDSC; Bruni, Ottaviano, Guidetti, Romoli, e Innocenzi, 1996) per la valutazione del sonno, e il Strengths and Difficulties Questionnaire (SDQ, Goodman, 1997). Infine verranno riportati i risultati che finora abbiamo ottenuto.

Nel quinto capitolo verrà preso in esame lo studio di follow-up effettuato a distanza di un anno, che rappresenta l’oggetto di interesse di questa tesi. Verrà presentato il campione normativo che ha effettuato tutte le misurazioni ai vari steps. Il follow-up si è occupato dell’analisi del solo comportamento scolastico, per verificare se al variare del sonno variasse anche il comportamento in classe del bambino. Inoltre, abbiamo deciso di valutare qualitativamente quanto i problemi a scuola interferissero realmente sulle capacità di apprendimento e di socializzazione di questi bambini. Successivamente il capitolo esporrà i risultati e li discuterà sulla base della letteratura scientifica.

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CAPITOLO 1

1.1. I Disturbi da Comportamento Dirompente in età evolutiva

Con il termine età evolutiva ci si riferisce alla fascia d’età compresa tra i 3 e i 18 anni, cioè dall’infanzia all’adolescenza. Durante questi anni, il bambino deve affrontare numerosi ed importanti cambiamenti fisici, comportamentali, affettivi ed emotivi. É chiamato a fronteggiare la separazione dalla mamma e dal papà, il primo approccio alla scuola, le prime prestazioni scolastiche e ovviamente l’apprendimento di nuove regole sociali attraverso il confronto con i pari. Per alcuni di questi bambini il percorso appare più faticoso che per altri. Questo disagio raramente viene espresso a livello verbale e più spesso si manifesta a livello comportamentale ed emotivo. Infatti, i disturbi del comportamento sono tra le condizioni cliniche maggiormente diagnosticate nei servizi sanitari per l'età evolutiva (Phelps & McClintock, 1994), dove si può affermare che il disturbo è 10 volte più frequente nei maschi che nelle femmine, questo dato indirizza verso l'ipotesi di cause genetiche (come vedremo successivamente) al di là delle evidenti influenze dettate dall'ambiente (Barkley, 1998; Swanson et al., 1998). Appare perciò fondamentale riconoscere precocemente le criticità riscontrate nel bambino per predisporre un intervento tempestivo e adeguato.

Molte volte la prima richiesta di consultazione specialistica avviene tardivamente, quando ormai le problematiche comportamentali hanno già influenzato il funzionamento globale ed adattivo del minore nei suoi vari contesti di vita (Bloomquist & Schnell, 2002).

Il problema della diagnosi psicopatologica in età evolutiva è particolarmente complesso dal momento che il clinico deve prendere in considerazione una serie di vari elementi: è fondamentale considerare sempre gli aspetti interpersonali e gli aspetti intrapsichici del soggetto bambino/soggetto adolescente (i comportamenti, le interazioni, i contesti, le rappresentazioni, le relazioni) a contatto con il sistema di riferimento delle figure significative (le figure genitoriali-famiglia) e il sistema allargato (società, cultura) sia da un punto di vista dello sviluppo normale che dal punto di vista della psicopatologia. I disturbi del comportamento in età evolutiva dovrebbero essere tenuti sotto controllo per i problemi di inserimento sociale che causano nell’immediato e per le possibili conseguenze che si possono verificare a distanza di tempo nell’ambito cognitivo, relazionale, ed emotivo-affettivo (Roza et al., 2003). Infatti sempre più spesso bambini che in età prescolare o scolare hanno presentato sintomi riferibili ad un Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (DDAI) o ad

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un Disturbo Oppositivo-Provocatorio (DOP), manifestino anche un’associazione con disturbi della sfera emotivo-relazionale (prevalentemente di tipo ansioso-depressivo) e/o difficoltà di apprendimento. Inoltre, tendono in fasi successive del loro sviluppo a manifestare i sintomi tipici del Disturbo della Condotta (DC; Mannuzza et al., 2004). Risulta fondamentale un intervento di tipo socio-sanitario e psicoterapeutico in età evolutiva precoce, che sia in grado di riconoscere e prendere in carico le situazioni a rischio psicopatologico evitando che evolvano, nel tempo, in modo irreversibile (Lavigne et al., 2009; Rescorla et al., 2011).

In questi ultimi anni gli episodi di violenza e aggressività da parte di adolescenti e giovani sembrano essere aumentati sia a livello scolastico che all'interno dell'ambiente familiare e in quello dei pari (Finkelhor et al., 2009), questi dati hanno catturato l'attenzione dei clinici e non solo, si riscontra un interesse crescente da parte dei genitori e degli insegnati nell'individuazione precoce di quei fattori che possono guidare il bambino verso percorsi di vita più funzionali e desiderabili (Hartup, 1985; Lewis, 1995). Tali conoscenze permetterebbero agli individui che influenzano lo sviluppo psicosociale del bambino di poter promuovere valori e ideali che evitino lo sviluppo di problematiche sociali (Cairns et al., 1995).

Prima di vedere come la concezione dei disturbi del comportamento è cambiata nel passaggio alla quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) è importante andare ad analizzare i principali fattori di rischio che possono portare all'evoluzione di problematiche comportamentali durante i primi anni di sviluppo.

1.2. I fattori di rischio nel complesso panorama dei Disturbi del

Comportamento Dirompente

L'eziologia dei Disturbi del Comportamento Dirompente (DCD) è incerta e come spesso accade nelle psicopatologie è molto complessa. Verranno riportati di seguito i principali fattori di rischio su cui la letteratura scientifica si è concentrata in questi ultimi anni.

I bambini con DCD mostrano già precocemente difficoltà temperamentali, iperattività e difficoltà nel mantenimento dell'attenzione (Pennington, 2002), a queste caratteristiche più genetiche si associano fattori ambientali specifici: si tratta molto spesso di famiglie disfunzionali, con climi ostili e rifiutanti in cui prevalgono discordie tra i partner, che si rispecchiano in modalità educative spesso contraddittorie, situazioni di abuso fisico o psicologico e trascuratezza dei bisogni del bambino.

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1.2.1. Propensione temperamentale

I DCD hanno alla base delle caratteristiche temperamentali comuni come l'aggressività, l'impulsività e la mancanza di rispetto per le regole (Patterson, Degarmo & Knutson, 2000). Il temperamento è la nostra base neurobiologica di risposta agli stimoli ambientali, può anche essere descritto come il principio dei nostri tratti di personalità.

I bambini che sviluppano DCD hanno fin dai primi mesi di vita un temperamento che può essere definito come “difficile”, sono spesso irritabili, aggressivi e hanno un minor controllo delle proprie emozioni in risposta allo stress. Con l'andare degli anni questa propensione di base si riflette non solo sulla sfera emotiva, ma anche sul controllo volontario del comportamento, che a sua volta richiede buone capacità di pianificazione dell'azione, di inibizione della risposta impulsiva e di attenzione, che sappiamo essere compromesse nel DC, nel DOP e nel DDAI (Hobson, Scott & Rubia, 2011).

I quadri clinici dei DCD, sono molto diversi tra loro, ma una delle principali differenze è legata al tipo di aggressività del bambino. Esiste un'aggressività reattiva, caratterizzata da crisi di rabbia, facile irritabilità e impulsività che si associa più spesso al DC, al DOP e al DDAI. I bambini con questi disturbi manifestano un minore controllo delle proprie reazioni emotive. Possiamo avere un altro tipo di aggressività, più cognitivo, detta pro-attiva, legata alla messa in atto di comportamenti volti ad ottenere qualcosa di vantaggioso per sé stessi, senza considerare se l'azione danneggi emotivamente o fisicamente l'altro (Vitiello, Behar & Hunt, 1990). Quest'ultima forma è più comune nel DC con tratti Callous-Unemotional (CU).

In sintesi, da una parte abbiamo dei soggetti con aggressività reattiva che hanno come tendenza quella di sovrastimare gli stimoli esterni percepiti come minacciosi, a cui si associa una maggiore attivazione dell'arousal, una bassa capacità di etichettare correttamente le proprie emozioni e anche una bassa autostima. Dall'altra parte, abbiamo dei ragazzi che pensano che l'aggressività, in questo caso pro-attiva, sia un buon modo per ottenere ciò che vogliono (Arsenio, Adams & Gold, 2009).

Inoltre, è frequente il verificarsi di un'inadeguata interazione tra il temperamento del bambino e lo stile educativo del genitore. Per esempio, l'eccessiva rigidità del genitore rispetto alle regole e alla disciplina, al "modo in cui si fanno le cose”, potrebbe scontrarsi con l'eventuale curiosità e il desiderio del bambino di sperimentare e di esplorare, con la sua necessità di trovare sempre nuovi stimoli, creando così un aumento dei comportamenti problematici nel bambino.

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1.2.2. Parenting

Non solo il temperamento, ma anche le abilità educative dei genitori, come già accennato precedentemente, hanno un ruolo nel rinforzare i comportamenti dei bambini. In particolare, è stato osservato che, se i genitori sono incapaci di dare delle regole, il bambino non mette dei limiti al suo comportamento. Questo tipo di atteggiamento genitoriale spesso conduce allo sviluppo di condotte aggressive. Al contrario, se si impone una disciplina troppo coercitiva che ricorre a punizioni fisiche, o a esplosioni emotive, il bambino apprende ad utilizzare le stesse modalità di relazione con il gruppo dei pari (Patterson, 1995). Le modalità educative inadeguate, sono ancora più dannose quando i genitori mettono in atto dei passaggi repentini e ingiustificati da un eccessivo lassismo a una marcata durezza, ciò porta all'instaurarsi di relazioni educative ambigue e incoerenti (Speranza, 2001a). Inoltre, alcuni fattori aumentano il rischio di sviluppare i DC, come delle gravi patologie genitoriali, ad esempio una ricerca del 2002 ha dimostrato come le mamme con depressione, percepiscono il comportamento dei figli come più disturbato nei momenti di peggiore depressione. La percezione alterata del genitore porta ad un uso maggiore di metodi educativi duri e aggressivi, che a loro volta alterano il comportamento del figlio, rafforzando in questo modo la falsa percezione del genitore (Querido, Bearss & Eyberg, 2002). Ma non solo, spesso i genitori con bambini che hanno DCD pongono maggiore attenzione ai comportamenti problematici, trascurando, in questo modo, i comportamenti positivi, che tenderanno a verificarsi sempre con minor frequenza. Ciò comporta un circolo vizioso negativo che può rimandare al bambino un'immagine negativa di sé e delle proprie capacità, inibendo qualsiasi desiderio di migliorare. Dal canto loro i genitori avranno una percezione distorta delle proprie capacità di parenting: ciò porterà ad un aumento dei livelli di stress e frustrazione, che può condurre ad un abbassamento del limite di tolleranza. Infatti, da un punto di vista cognitivo giocano un ruolo fondamentale anche le cosiddette distorsioni cognitive, ovvero i pensieri e le credenze messe in atto rispetto a ciò che avviene realmente, questo genera distorsioni sul modo in cui si interpretano le situazioni. In particolare, ad esmpio, sia i bambini con DOP, che i loro genitori, tendono ad avere un locus of control esterno, attribuiscono cioè i comportamenti problematici a cause e motivi non dipendenti da sé. I genitori considerano questi comportamenti come tratti intenzionali, stabili e volutamente non controllati; i bambini hanno difficoltà nel valutare in maniera corretta le situazioni che si presentano, nello scegliere una soluzione adeguata per risolvere i conflitti e, quindi, nel valutare l'efficacia della propria strategia.

L'apprendimento per imitazione è un’altra delle cause che può contribuire a influenzare il comportamento disadattivo del bambino, basti pensare ad un genitore che è aggressivo verso

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l'altro membro della coppia, ciò offre al bambino un modello di relazione interpersonale basato sulla violenza, sia essa di tipo fisico o verbale/emotivo. Senza contare che un genitore che aggredisce il suo partner e più portato ad utilizzare gli stessi metodi punitivi anche con il figlio, questa modalità di interazione genitore-figlio è uno dei fattori di rischio maggiori alla base dello sviluppo del DC (Baden, Lochman & Wells, in press).

Esiste inoltre, una familiarità del disturbo, ossia capita frequentemente che bambini con DDAI abbiano genitori, soprattutto la figura paterna, con storie di disturbi simili e più in generale di disturbi del comportamento (Negri et al., 1990).

Per finire, anche le esperienze di perdita di un genitore o di precoce separazione, svolgono un ruolo importante nella genesi di questi disturbi (Hinshaw & Anderson 1996; Romani, Di Scipio & Levi 2003).

1.2.3. Le variabili ambientali

Al di fuori del contesto familiare, sono molteplici le variabili che influenzano il rischio che il bambino sviluppi problematiche comportamentali.

Sia i bambini esposti a contesti di violenza e di condotte antisociali nel loro quartiere, che i bambini che appartengono a famiglie con basso livello socio-economico hanno maggiori probabilità di sviluppare DCD (McCabe et al., 2005).

Nell'ambiente scolastico, i bambini con DC presentano un peggioramento del quadro sintomatologico quando sono collocati in aule con alti livelli di aggressività generale (Barth et al., 2004) e questo effetto può ripercuotersi negli anni scolastici successivi (Kellam et al., 1998). Spesso i bambini con DCD possono subire il rifiuto da parte del gruppo dei pari e venire isolati; questo a sua volta porta gli individui aggressivi a unirsi fra loro e a formare gruppi con condotte devianti (Miller-Johnson et al., 1999). Studi longitudinali retrospettivi evidenziano che maschi con DC selezionano gruppi di pari che riportano livelli di devianza coerenti alla propria predisposizione genetica e temperamentale (Kendler et al., 2008). Così, i soggetti che hanno un profilo più a rischio per lo sviluppo di DCD tendono a selezionare ambienti che aumentano ulteriormente questa predisposizione.

Come provato dalla ricerca scientifica (Yates & Yates, 1990) anche la relazione studente-insegnate influenza la manifestazione e il perdurare dei comportamenti problematici del bambino: infatti insegnanti con maggiori metodi punitivi ottengono prestazioni peggiori rispetto ai colleghi che premiano in maniera costruttiva gli sforzi del bambino.

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I continui rimproveri degli insegnanti, e le reazioni con i compagni che tendono ad isolarli, contribuiscono ad acuire i problemi nell'apprendimento e nelle relazioni. Il bambino che sperimenta l'altro come ostile e giudicante, si creerà la convinzione che gli altri sono pericolosi e che, pertanto, bisogna difendersi dalle relazioni interpersonali. Non è dissimile neppure l'esperienza scolastica dei bambini con DDAI, che accumulano “insuccessi” e frustrazioni accademiche e sociali (Loe & Feldman, 2007).

Pertanto, per concludere possiamo dire che fattori genetici (come vedremo di seguito), temperamentali e ambientali interagiscono in maniera sinergica nel determinare l'evoluzione dei DCD.

1.2.4. Vulnerabilità genetica

Molte ricerche si sono focalizzate sul tentativo di identificare (Dodge & Pettit, 2003; Frick & Viding, 2009; Moffitt, 2015) i fattori di rischio per il comportamento aggressivo del bambino: tra questi sono stati individuati fattori neurochimici, come i bassi livelli di serotonina; autonomi/vegetativi, per esempio la bassa frequenza cardiaca; deficit neurocognitivi, come deficit delle funzioni esecutive; deficit nelle processazioni delle informazioni sociali, per esempio l’attribuzione di ostilità; vulnerabilità temperamentali, caratterizzati da una ridotta regolazione emotiva e, infine, predisposizioni della personalità, come l’impulsività.

Negli ultimi anni è emersa, grazie al contributo delle Neuroscienze, lo studio delle dinamiche genetiche nell'osservazione del comportamento umano di tipo prosociale o antisociale. Patrimonio genetico ed ambientale esercitano da sempre un'influenza reciproca, che ha conseguenze dirette sull'agire delle persone. Si è già dimostrato, che situazioni ambientali stressanti o avverse sono più dannose per quelle persone che possiedono una specifica vulnerabilità genetica (Craig, 2007; Reif et al., 2007). Possedere una variante allelica rispetto ad un’altra, influisce sui processi cognitivi regolando il metabolismo dei neurotrasmettitori coinvolti in vari processi: meccanismi di gratificazione e punizione, meccanismi attenzionali deficitari, regolazione degli impulsi e del temperamento della persona.

Un 'esempio di come la genetica influenzi la parte biologica e di conseguenza anche la sfera cognitiva e comportamentale si ha prendendo in esame l'enzima MAOA (monoammino ossidasi-A), che è implicato nel metabolismo dei neurotrasmettitori di norepinefrina, serotonina e dopamina rendendoli inattivi. La variante allelica Low del MAOA, produce una

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bassa efficienza dell'enzima, che causa una maggiore reattività dell'amigdala e una minore funzionalità inibitoria della corteccia prefrontale (CPF). La CPF svolge diversi ruoli, tra cui quello di inibire i comportamenti impulsivi e di veicolare i processi attenzionali. Quindi, possedere la variante ipofunzionante dell'allele aumenta la probabilità di sviluppare condotte antisociali a carattere violento (Caspi et al., 2002).

Esistono altri polimorfismi legati alla messa in atto di comportamenti antisociali. In particolare la forma Short, dell'allele del gene 5-HTTLPR, porta ad una ridotta attività dell'amigdala. L’amigdala è una parte del cervello che svolge numerosi compiti, tra cui quello di giudicare la valenza delle emozioni (in particolare la paura) che si provano in un determinato momento e ne conserva una traccia emotiva. Quindi un’amigdala ipofunzionante genera manifestazioni più fredde e calcolate dell'aggressività (Sadeh et al., 2010).

Studiando i legami tra geni-cervello e comportamento Heike Tost (Tost et al.,2010) ha scoperto che, una variante del gene per il recettore dell'ossitocina è correlato a variabilità del temperamento sociale. L’ossitocina è un ormone che viene prodotto in grandi quantità già dalla gravidanza, regola i meccanismi di attaccamento madre-bambino e viene rilasciato ogni volta che il soggetto si prende cura di sé o degli altri (Feldamn et al., 2007). Tuttavia, chi possiede la variante allelica rs53576A (il gene per il recettore dell'ossitocina è noto come rs53576) ha di solito una struttura anatomica non-standard: diminuzione della quantità di materia grigia nell'ipotalamo, maggiore connettività tra ipotalamo e amigdala e tra ipotalamo e corteccia del cingolo anteriore; solo nei maschi si riscontra un aumento del volume della materia grigia nell'amigdala. Si ricorda che, anche l’ipotalamo e la corteccia del cingolo anteriore, come l’amigdala, svolgono un ruolo nell’espressione e nella regolazione delle emozioni. A livello comportamentale, la produzione alterata di ossitocina, è associata all’estinzione dei comportamenti prosociali, ad una minore responsività dei segnali emotivi altrui e ad una maggiore probabilità di sviluppare DC (Beitchman et al., 2012).

I paradigmi sperimentali tramite risonanza magnetica hanno messo in evidenza una riduzione dell'attività della corteccia prefrontale ventro-mediale (CPFVM) sia nei soggetti con DC senza CU, che nei soggetti normali di fronte a stimoli punitivi inaspettati, tale riduzione non è presente nei soggetti con DC e tratti di CU, i quali tendono a portare avanti un compito indipendentemente dai segnali che gli arrivano dal contesto, in questo caso si sono dimostrati scarsamente sensibili alle punizioni (Viding & McCrory, 2012). Studi di risonanza magnetica strutturale mostrano sviluppi atipici delle zone cerebrali legate alle funzioni esecutive e di autocontrollo, mentre nei soggetti con DCD e tratti CU, sembrano più compromesse le zone

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del sistema nervoso centrale legate ai dilemmi morali e alla decision making (De Brito et al., 2009).

Inoltre, la ricerca di Trentacosta (Trentacosta et al., 2011) ha messo in evidenza come, i bambini che provano uno scarso senso di colpa nei confronti delle loro azioni aggressive, hanno fin dai primi mesi di vita una scarsa capacità di mantenimento del contatto oculare. Lo sguardo, durante questo periodo di sviluppo, ha un ruolo fondamentale di comunicazione tra genitore e figlio, trasmette calore o biasimo per le sue condotte, attraverso l'interiorizzazione di queste esperienze il bambino costruirà le basi della sua morale. Perciò, quando il contatto oculare è minimo, avremo una maggiore probabilità che il bambino crescendo sviluppi problemi comportamentali.

Naturalmente, è doveroso ricordare che la predisposizione genetica per i fenomeni comportamentali complessi è un fattore probabilistico piuttosto che deterministico (Iofrida, Palumbo & Pellegrini, 2014), esattamente come i fattori di rischio indagati precedentemente.

1.3. Inquadramento nosografico dei Disturbi da Comportamento

Dirompente

Con la recente uscita della quinta edizione del DSM, il DDAI è stato inserito nella sezione dedicata ai “Disturbi del Neurosviluppo”, un insieme di disturbi ad esordio molto precoce, spesso in età prescolare, caratterizzati da deficit dello sviluppo che portano ad una notevole compromissione del funzionamento personale, sociale e scolastico. Oltre al DDAI, ne fanno parte, le Disabilità Intellettive, i Disturbi della Comunicazione, i Disturbi dello Spettro Autistico, il Disturbo Specifico dell’Apprendimento, i Disturbi del Movimento, i Disturbi da Tic e, infine, altri Disturbi del Neurosviluppo con altra specificazione o senza specificazione.

Il DOP e il DC sono stati inseriti, invece, nella sezione denominata “Disturbi da comportamento Dirompente, del Controllo degli Impulsi e della Condotta”. All’interno di questa sezione in linea con la nuova prospettiva life span, adottata dal gruppo tecnico che si è occupato della revisione del DSM, troviamo disturbi tipici sia dell’età evolutiva, sia dell’età adulta. Nello specifico fanno parte di questa sezione: DOP, Disturbo Esplosivo Intermittente, DC, Disturbo Antisociale di Personalità, Piromania, Cleptomania e Disturbi da

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Comportamento Dirompente, del Controllo degli Impulsi e della Condotta con altra specificazione o senza specificazione. Questi disturbi sono caratterizzati da problemi di autocontrollo delle emozioni e del comportamento; tali problemi si manifestano attraverso azioni che violano i diritti altrui e mettono l’individuo in contrasto con le norme sociali e le autorità. Questi aspetti disfunzionali e pervasivi nei vari contesti di vita (famiglia, scuola, contesto sociale, contesto sportivo, ecc.) devono essere di gravità tale da interferire in maniera significativa sul funzionamento globale ed è fondamentale, per una diagnosi corretta, tenere in considerazione la frequenza e la persistenza.

1.3.1. Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività (DDAI)

Il deficit di attenzione e iperattività, meglio noto come “Attention Deficit Hyperactivity Disorder” (ADHD), costituisce una delle condizioni psicopatologiche più frequenti e anche più studiate nelle aree di studio dell'età evolutiva. É un disturbo molto complesso che in passato ha avuto i nomi più fantasiosi, come “danno cerebrale minimo”, “disarmonia evolutiva” e “sindrome borderline” (Celi & Fontana, 2010).

Il termine 'deficit' in questo disturbo è legato ad una “organizzazione disarmonica della personalità” caratterizzate da forte angoscia, bizzarrie, senso di estraneità, aggressività forte e mal contenuta (Marcelli, 1999), ma anche scarsa tolleranza alle frustrazioni, insicurezza, bassa autostima, immaturità emotiva e condotte regressive come l'isolamento e l'iperdipendenza (Pelham et al., 1986; Taylor et al., 1996; Van der Meere et al., 1998).

Il quadro clinico generale di questo disturbo riguarda la disattenzione, l'impulsività e l'iperattività motoria, ciò rende difficile capire quale sia il reale confine tra normalità e patologia nei comportamenti di un bambino. In una certa misura, l'esuberanza motoria, la voglia di saltare, correre da una parte all'altra, come anche la mancanza di riflessione prima di agire o la difficoltà a concentrarsi in compiti che richiedono sforzo, e la facilità alla noia, fanno parte della natura stessa del bambino. Quando però un bambino mostra livelli persistenti di iperattività rispetto a quelli tipici della sua età o quando l'impulsività non gli permette di stabilire relazioni positive con i coetanei o ancora, quando la disattenzione non gli permette di giocare e di imparare serenamente, ci troviamo di fronte ad un bambino che soffre e che ha bisogno di aiuto.

Quindi l'aspetto della frequenza, non rappresenta un mero parametro temporale, ma un elemento fondamentale in base al quale si può inquadrare a livello clinico un comportamento. Infatti, i bambini con DDAI mostrano uno stato costante di tensione e irrequietezza motoria anche durante attività cognitive e di gioco, tipici di questo disturbo sono i movimenti automatici, detti fidgeting, tamburellare, battere e oscillare costantemente le dita delle mani e

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dei piedi.

Fanno parte del nucleo psicopatologico del DDAI la difficoltà a mantenere lo sguardo oculare con l'interlocutore, mentre nel gioco e a scuola, l'impulsività non gli permette di aspettare il proprio turno e interrompono spesso gli altri, senza riuscire a cogliere i limiti e i confini di una normale interazione sociale.

Alcune ricerche italiane, una condotta in Toscana e in Umbria (Gallucci et al.,1993) e due più recenti svolte in Emilia (Camerini et al., 1996; Marzocchi & Cornoldi, 2000), mostrano che la frequenza del disturbo nella popolazione infantile è del 4%, ossia un bambino in ogni classe di 25 alunni, con un rapporto maschi e femmine di 3:1. I risultati ottenuti non si discostano molto dalle stime nord-europee e nord-americane (Swanson et al., 1998). Questi dati rappresentano il crescente interesse che tale psicopatologia riveste nell'ambito clinico.

Come abbiamo detto, il DDAI viene classificato come un Disturbo del Neurosviluppo piuttosto che essere compreso nei Disturbi del Comportamento Dirompente.

I criteri diagnostici della dimensione disattentiva ed iperattivo-impulsiva non sono stati modificati ed anche la concettualizzazione clinica di base del disturbo non è cambiata rispetto alla quarta edizione, i criteri proposti dal DSM-5 (American Psychiatric Association, 2013) sono:

A. Un pattern persistente di disattenzione e/o iperattività-impulsività, che interferisce con il funzionamento o lo sviluppo, come caratterizzato da (1) e/o (2):

1. Disattenzione: sei (o più) dei seguenti sintomi sono persistiti per almeno 6 mesi con un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto negativo diretto sulle attività sociali e scolastiche/lavorative.

Nota: I sintomi non sono soltanto una manifestazione di un comportamento oppositivo, sfida, ostilità o incapacità di comprendere i compiti o le istruzioni. Per gli adolescenti più grandi e per gli adulti (17 anni e oltre di età) sono richiesti almeno cinque sintomi.

a. Spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività (per es., trascura o omette dettagli, il lavoro non è accurato)

b. Ha spesso difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco (per es., ha difficoltà a rimanere concentrato/a durante una lezione, una conversazione o una lunga lettura).

c. Spesso non sembra ascoltare quando gli/le si parla direttamente (per es., la mente sembra altrove, anche in assenza di distrazioni evidenti).

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d. Spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze o i doveri sul posto di lavoro (per es., inizia i compiti ma perde rapidamente la concentrazione e viene distratto/a facilmente).

e. Ha spesso difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività (per es., difficoltà nel gestire compiti sequenziali; difficoltà nel tenere in ordine materiali e oggetti; lavoro disordinato, disorganizzato; gestisce il tempo in modo inadeguato, non riesce a rispettare le scadenze). f. Spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono sforzo

mentale protratto (per es., compiti scolastici o compiti a casa; per gli adolescenti più grandi e gli adulti, stesura di relazioni, compilazione di moduli, revisione di documenti).

g. Perde spesso gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es., materiale scolastico, matite, libri, strumenti, portafogli, chiavi, documenti, occhiali, telefono cellulare).

h. Spesso è facilmente distratto/a da stimoli esterni (per gli adolescenti più grandi e gli adulti, possono essere compresi pensieri incongrui).

i. È spesso sbadato/a nelle attività quotidiane (per es., sbrigare le faccende; fare commissioni; per gli adolescenti più grandi e per gli adulti, ricordarsi di fare una telefonata; pagare le bollette, prendere appuntamenti).

2. Iperattività e impulsività: Sei (o più) dei seguenti sintomi persistono per almeno 6 mesi con un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo che ha un impatto negativo diretto sulle attività sociali e scolastiche/lavorative.

Nota: I sintomi non sono soltanto una manifestazione di comportamento oppositivo, sfida, ostilità o incapacità di comprendere i compiti o le istruzioni. Per gli adolescenti più grandi e per gli adulti (17 anni e oltre di età) sono richiesti almeno cinque sintomi.

a. Spesso agita o batte mani e piedi o si dimena sulla sedia.

b. Spesso lascia il proprio posto in situazioni in cui si dovrebbe rimanere seduti (per es., lascia il posto in classe, in ufficio o in un altro luogo di lavoro, o in altre situazioni che richiedono di rimanere al proprio posto).

c. Spesso scorrazza e salta in situazioni in cui farlo risulta inappropriato (Nota: negli adolescenti e negli adulti può essere limitato al sentirsi irrequieti).

d. È spesso incapace di giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente.

e. È spesso “sotto pressione”, agendo come se fosse “azionato/a da un motore” (per es., è incapace di rimanere fermo/a, o si sente a disagio nel farlo, per un periodo di tempo prolungato come nei ristoranti, durante le riunioni; può essere descritto/a dagli altri come una persona irrequieta o con cui è difficile avere a che fare).

f. Spesso parla troppo.

g. Spesso “spara” una risposta prima che la domanda sia stata completata (per es., completa le frasi dette da altre persone; non riesce ad attendere il proprio turno nella conversazione). h. Ha spesso difficoltà nell’aspettare il proprio turno (per es., mentre aspetta in fila).

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giochi o attività; può iniziare a utilizzare le cose degli altri senza chiedere o ricevere il permesso; adolescenti e adulti possono inserirsi o subentrare in ciò che fanno gli altri).

B. Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività erano presenti prima dei 12 anni. C. Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività si presentano in due o più contesti

(per es., a casa, a scuola o al lavoro; con amici o parenti; in altre attività).

D. Vi è una chiara evidenza che i sintomi interferiscono con, o riducono, la qualità del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.

E. I sintomi non si presentano esclusivamente durante il decorso della schizofrenia o di un altro disturbo psicotico e non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale (per es., Disturbo dell’Umore, Disturbo d’Ansia, Disturbo Dissociativo, Disturbo di Personalità, intossicazione o astinenza da sostanze).

Specificare quale:

314.01 (F90.2) Manifestazione combinata: Se il Criterio A1 (disattenzione) e il Criterio A2 (iperattività-impulsività) sono soddisfatti entrambi negli ultimi 6 mesi.

314.00 (F90.0) Manifestazione con disattenzione predominante: Se il Criterio A1 (disattenzione) è soddisfatto ma il Criterio A2 (iperattività-impulsività) non è soddisfatto negli ultimi 6 mesi.

314.01 (F90.1) Manifestazione con iperattività/impulsività predominanti: Se il Criterio A2 (iperattività-impulsività) è soddisfatto e il Criterio A1 (disattenzione) non è soddisfatto negli ultimi 6 mesi.

Specificare se:

In remissione parziale: Quando tutti i criteri sono stati precedentemente soddisfatti, non tutti i criteri sono stati soddisfatti negli ultimi 6 mesi e i sintomi ancora causano compromissione del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.

Specificare la gravità attuale:

Lieve: Sono presenti pochi, ove esistenti, sintomi oltre a quelli richiesti per porre la diagnosi, e i sintomi comportano solo compromissioni minori del funzionamento sociale o lavorativo.

Moderata: Sono presenti sintomi o compromissione funzionale compresi tra “lievi” e “gravi”. Grave: Sono presenti molti sintomi oltre a quelli richiesti per porre la diagnosi, o diversi sintomi che sono particolarmente gravi, o i sintomi comportano una marcata compromissione del funzionamento sociale o lavorativo.

Nel DSM-5 la definizione di DDAI è stata aggiornata, modificando i criteri diagnostici in base all’età del bambino: per confermare la diagnosi, il bambino deve presentare i sintomi prima dei 12 anni, e non più prima dei 7, come riportato nella precedente edizione; inoltre, i

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sintomi devono manifestarsi in più di un contesto, come ad esempio a casa, a scuola o al lavoro. Oltre a ciò sono state apportate modifiche per descrivere in maniera più accurata le caratteristiche della patologia in età adulta. Tale revisione si basa su circa dieci anni di ricerche che hanno dimostrato come il DDAI si possa protrarre in età adulta, nonostante insorga principalmente durante l’infanzia. Si ha quindi una considerazione della patologia come life span, ossia che tende ad essere presente, sotto diverse forme sintomatologiche, in tutto l'arco della vita dell'individuo. L'American Psychiatric Association, definisce così evoluzione dei sintomi che compongono questa psicopatologia:

Nell’età prescolare la principale manifestazione è l’iperattività. La disattenzione diventa più preminente durante la scuola elementare. Durante l’adolescenza, i segni di iperattività (per es., correre e arrampicarsi) sono meno comuni e possono essere limitati ad agitazione o a una sensazione interiore di nervosismo, irrequietezza o impazienza. Nell’età adulta, insieme alla disattenzione e all’irrequietezza, l’impulsività può rimanere problematica anche quando l’iperattività è diminuita (APA, 2014, p. 72).

Inoltre, la specificazione in «sottotipi», che tendeva ad ipotizzare la presenza di tre diverse articolazioni del disturbo, relativamente stabili nel singolo individuo, lascia spazio all’idea di un unico disturbo, che può esprimersi in modo diverso e variabile, sia tra individui che nello stesso individuo nel corso del tempo.

La prognosi è peggiore quando l'ADHD si trova in comorbidità con altri disturbi, i più frequenti sono:

• Disturbi del Comportamento Dirompente, circa il 35-50% dei bambini con DDAI ha anche DOP, mentre il 25% circa, ha in associazione un DC (Jensen, Mrazek & Knapp, 1997);

• Disturbi dell'Umore e Disturbi d'Ansia, il 15% dei bambini con DDAI presentano anche un Disturbo Depressivo (ancora più frequente un Disturbo Distimico) o Maniacale (Biederman et al., 1996). Oppure è molto frequente un’associazione con il Disturbo d'Ansia Generalizzato (Kuhne, Schachar & Tannock, 1997).

• Disturbi del Linguaggio e dell'Apprendimento, dal 15 al 40% dei bambini con DDAI presenta anche un Disturbo dell'Apprendimento, e tra il 15 e il 75% un Disturbo del Linguaggio attuale o pregresso (Cohene et al., 2000; Tannock, Martinussen & Frijters, 2000).

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saranno le esperienze negative dei bambini con DDAI (frustrazione, emarginazione scolastica o dai coetanei, cattiva relazione con i caregivers, ecc.) più alto sarà il rischio di una prognosi sfavorevole (Taylor et al., 1996).

Infine, le ricerche degli ultimi vent'anni hanno portato ad individuare diversi fattori che supportano l'esistenza di una forte componente genetica e biologica alla base di questo disturbo, da qui lo spostamento del DDAI nella sezione dei Disturbi del Neurosviluppo.

1.3.2. Disturbo oppositivo-provocatorio (DOP)

Nell’ambito della psicopatologia dell’età evolutiva, il DOP può rappresentare un esempio di complessità diagnostica ed interpretativa. Infatti tutti i bambini possono essere scontrosi e capricciosi, però quelli con DOP presentano queste caratteristiche amplificate tanto da arrivare a compromettere in maniera significativa il loro inserimento sociale. I comportamenti interpersonali sono il risultato di una rete di interazioni che difficilmente possono essere spiegate con un unico fattore, ma anzi sono la somma di un elevatissimo numero di variabili (Farruggia et al., 2008).

Il DOP è una patologia dell’età evolutiva caratterizzata da una modalità ricorrente di comportamento negativistico, ostile e di sfida, che però non arriva a violare le norme sociali né i diritti altrui. Si può parlare di DOP quando il comportamento ostile, anziché svanire lentamente, persiste nel tempo ed in forme accentuate, tanto da creare difficoltà relazionali, inizialmente nell’ambiente familiare poi in quello sociale. Rispetto ai bambini della stessa età questi soggetti presentano un’aggressività molto più invalidante e difficilmente modificabile. Sono bambini spesso arrabbiati, risentiti, insofferenti che non accettano l’autorità degli adulti e si ribellano apertamente. La loro aggressività non è esclusivamente reattiva, ma amano provocare, sfidare gli altri, disturbare volontariamente, senza mostrare tuttavia alcun tipo di violenza fisica (Mastroeni, 1997).

Le prime manifestazioni del disturbo si manifestano già intorno ai 3-4 anni, ma sarà soltanto con l’ingresso a scuola che il problema diverrà sempre più evidente. Questi bambini, infatti, mostrano una totale incapacità di adattamento alle regole scolastiche e la loro oppositività finisce con il condizionare l’attività didattica dell’intera classe: scatenano risate generali, innervosiscono i compagni, ribaltano le sedie e assumono un atteggiamento di passivo rifiuto nei confronti di chiunque cerchi di avvicinarsi (Colvin & Kame'enui, 1993; Nelson et al., 2002). Anche se dotati di un normale livello intellettivo, spesso i bambini con DOP non ottengono buoni risultati accademici, in quanto sono penalizzati dalle loro condotte,

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manifestando l'incapacità di conformarsi alle regole anche nelle relazioni tra pari, come i lavori di gruppo o le attività ricreative. Questi bambini tuttavia soffrono molto a causa del loro isolamento ma, in un certo senso lo giustificano. Il bambino con DOP ha una bassa considerazione di sé che nasce proprio dall’ambiente domestico (Patterson et al., 1989). Convinto di non meritare affetto, arriva a considerare normale l’atteggiamento di chi vuole allontanarsi da lui. Se qualcuno gli si avvicina per instaurare un rapporto, anziché esserne felice, si mostra diffidente e reagisce con comportamenti ostili, come a voler mettere alla prova le intenzioni del suo interlocutore. Il soggetto con DOP è convinto che anche chi cerca di avvicinarsi amichevolmente, chi dice di volergli bene e di volerlo aiutare alla fine, imparando a conoscerlo, cambierà idea e lo lascerà nuovamente solo, questo è il quadro generale di un bambino oppositivo-provocatorio.

La prevalenza del DOP varia da 1 a 11%, ma le percentuali tendono a modificarsi a seconda dell’età e del genere. In età preadolescenziale il disturbo è più frequente nei maschi che nelle femmine, con un rapporto di 4:1.

I criteri proposti dal DSM-5 (American Psychiatric Association, 2013) per il Disturbo Oppositivo-Provocatorio sono i seguenti:

A. Un pattern di umore collerico/irritabile, comportamento polemico/provocatorio o vendicativo che dura da almeno 6 mesi evidenziato dalla presenza di almeno quattro sintomi di qualsiasi tra le seguenti categorie, e manifestato durante l’interazione con almeno un individuo diverso da un fratello.

Umore collerico/irritabile 1. Va spesso in collera.

2. È spesso permaloso/a o facilmente contrariato/a. 3. È spesso adirato/a e risentito/a.

Comportamento polemico/provocatorio

4. Litiga spesso con figure che rappresentano l’autorità o, per i bambini e gli adolescenti, con gli adulti.

5. Spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare le richieste proveniente da figure che rappresentano l’autorità o le regole.

6. Spesso irrita deliberatamente gli altri.

7. Spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento. Vendicatività

8. È stato/a dispettoso/a o vendicativo/a almeno due volte negli ultimi 6 mesi.

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distinguere un comportamento che è entro i limiti della normalità da quello che rappresenta un sintomo. Per bambini di età inferiore a 5 anni, il comportamento dovrebbe verificarsi quasi tutti i giorni per un periodo di almeno 6 mesi, se non diversamente specificato (Criterio A8). Per gli individui di 5 anni o maggiori, il comportamento dovrebbe verificarsi almeno una volta alla settimana per almeno 6 mesi, se non diversamente specificato (Criterio A8). Mentre questi criteri forniscono indicazioni sul livello minimo di frequenza per definire i sintomi, anche altri fattori devono essere considerati, come per esempio se la frequenza e l’intensità dei comportamenti sono al di fuori dei limiti considerati normali per il livello di sviluppo, il genere e la cultura dell’individuo.

B. L’anomalia del comportamento è associata a disagio dell’individuo o di altre persone nel suo immediato contesto sociale (per es., famiglia, coetanei, colleghi di lavoro), oppure ha un impatto negativo sul funzionamento in ambito sociale, educativo, lavorativo o in altre aree importanti.

C. I comportamenti non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un disturbo psicotico, da uso di sostanze, depressivo o bipolare. Inoltre, non vengono soddisfatti i criteri per il disturbo da disregolazione dell’umore dirompente.

Specificare la gravità attuale:

Lieve: I sintomi sono limitati a un unico ambiente (per es., a casa, a scuola, al lavoro, con i coetanei).

Moderata: Alcuni sintomi sono presenti in almeno due ambienti. Grave: Alcuni sintomi sono presenti in tre o più ambienti.

L’elemento di novità più rilevante è la ripartizione dei descrittori su tre pattern prevalenti: − Umore collerico/ irritabile;

− Comportamento polemico/ provocatorio; − Vendicativo.

Tali componenti, vanno a definire tre diversi fenotipi clinici, con possibili diverse traiettorie evolutive: il primo a maggiore componente affettiva, è descrittivo di quei bambini che non sopportano le minime provocazioni, e sono molto sensibili alle frustrazioni, in adolescenza possono sfociare verso stadi depressivi; il secondo a maggiore componente trasgressiva, è rappresentativo dei bambini che mettono in atto comportamenti aggressivi verso gli altri, può evolvere verso il DC; il terzo a maggiore componente manipolatoria, rappresenta i bambini con più marcata dipendenza da rinforzo, detti anche hard head.

Sono stati inseriti nel DSM-5 modifiche dei descrittori sintomatologici relativi alla persistenza e alla frequenza dei sintomi, che permettano di far diagnosi di DOP in bambini di età inferiore ai 5 anni. Il DSM-5 prevede, diversamente dal DSM-IV, la possibilità di

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comorbidità tra DOP e DC, seguendo le indicazioni di alcuni studi che hanno mostrato come le traiettorie evolutive dei due disturbi siano spesso indipendenti. Procedendo con il criterio dimensionale, come per le altre patologie descritte nel DSM-5, nel DOP sono descritti tre livelli di gravità (lieve, medio e grave), sulla base della intensità e pervasività dei sintomi in uno o più contesti di vita. Tale componente dimensionale è comunque quella che condiziona la qualità e la quantità degli interventi terapeutici (Masi et al., 2008a, 2014a).

Il DOP diviene di solito evidente durante i primi anni della scuola primaria e non dopo l’adolescenza (Wray & Fraser, 2008). L’esordio è tipicamente graduale, di solito nel corso di mesi o anni. In una quantità significativa di casi il DOP precede il DC, soprattutto se l’esordio è più precoce. Nei maschi, il disturbo ha maggior prevalenza se in età prescolare erano presenti temperamenti problematici o intensa attività motoria. Il DOP è più prevalente tra i maschi in epoca prepuberale piuttosto che tra le femmine, per poi gradualmente equipararsi nei due sessi con il raggiungimento della pubertà. I sintomi sono di solito simili in entrambi i generi tranne per il fatto che i maschi possono avere un comportamento con maggiore tendenza al confronto/scontro e sintomi più persistenti. Ancora non è chiara l’evoluzione del DOP nelle femmine e in quale misura sia una tappa fondamentale nello sviluppo di un DC. Ad ogni modo, nelle donne l’insorgenza del DC è più tardiva, ed è plausibile che una parte di queste non mostri un profilo DOP precedente. Si può pensare che per il genere femminile esistano vie alternative nello sviluppo del DC (Loeber & Keenan, 1994).

Nel DOP si sottolinea una frequente comorbidità con altre patologie. Ampiamente confermata dalla letteratura è l’associazione con i Disturbi dell’Umore (Depressione Maggiore, Distimia, Disturbo Bipolare). Frequente è anche la comorbidità tra DOP e Disturbo d’Ansia (Ansell et al., 2007).

Il DOP per di più, è considerato un precursore ed un fattore predisponente all’insorgenza del DC. Il DSM-5 permette ai clinici di porre diagnosi di comorbidità di DOP e DC. La sintomatologia è molto simile a quella del DC, ma i comportamenti caratteristici di quest’ultimo sono molto più gravi e persistenti, tanto che gli esperti sono soliti considerarlo come un proseguimento del DOP. I due disturbi sono strettamente interconnessi e, sebbene non sempre si verifichi una transizione dalla prima alla seconda patologia, i dati della letteratura ci informano che la quasi totalità dei soggetti con DC ha, alle spalle, una diagnosi di DOP.

È ampiamente dimostrata anche la comorbidità tra DOP e DDAI (Biederman, Munir & Knee, 1987), ciò può essere il risultato di comuni fattori di rischio temperamentali. I casi in cui si associa una comorbidità tra DC, DDAI e DOP mostrano un quadro sintomatologico più grave e un’evoluzione più sfavorevole, con condotte antisociali e problemi con la giustizia, o

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abuso di sostanze stupefacenti. Si procederà quindi ad una doppia diagnosi solo nei casi in cui siano contemporaneamente soddisfatti i criteri di ambedue le patologie, il che significa che i soggetti dovranno presentare condotte ostili in percentuale maggiore rispetto a chi ha solo un problema di attenzione e iperattività e al tempo stesso, mostreranno comportamenti iperattivi che solitamente non sono connessi al DOP. Quando la comorbidità è realmente presente, rappresenta un grave fattore di rischio evolutivo, che potrà portare all’insorgenza del DC e del Disturbo Antisociale di Personalità, peggiorandone la prognosi.

1.3.3. Disturbo della Condotta (DC)

Con il termine DC ci si riferisce ad un’ampia costellazione di comportamenti aggressivi e antisociali che possono comparire nella prima infanzia e persistere nell'adolescenza fino all'età adulta. La prevalenza di questo disturbo è intorno al 5% della popolazione preadolescente e tende ad aumentare nell'adolescenza fino al raggiungere il 7-10% (Phelps & McClintock, 1994), colpendo prevalentemente il genere maschile, con un rapporto di 4 a 1 rispetto alle femmine.

I criteri diagnostici per il DC non presentano modifiche sostanziali rispetto a quanto presente nel DSM-IV-R, viene conservata la classificazione mediante sottotipi derivati dall’età di insorgenza (cut-off 10 anni): una forma ad insorgenza infantile, una forma adolescenziale ed una terza forma riservata ai casi in cui non sia possibile determinare l’età di comparsa.

La forma ad esordio infantile viene descritta come quella a prognosi peggiore, con maggiori implicazioni genetiche e temperamentali, mentre la forma ad esordio adolescenziale è maggiormente contesto-dipendente ed è legata a fattori come, life events traumatici, stili educativi parentali disfunzionali, frequentazione di gruppi di pari con condotte devianti (Masi et al., 2008).

La forma ad esordio infantile, come già evidenziato, risulta essere quella con prognosi peggiore poiché i bambini sono più aggressivi; manifestano maggiori menomazioni nel funzionamento; hanno maggiori problemi temperamentali, cognitivi e neuropsicologici; hanno spesso una storia familiare per tali disturbi; provengono da ambienti più deprivati e hanno problemi sociali più seri (Moffit et al., 1996). Inoltre l’associazione con il DC anche in età adulta è prevalentemente maggiore rispetto alle forme ad esordio adolescenziale.

Le forme ad esordio adolescenziale, hanno meno probabilità di manifestare comportamenti aggressivi e tendono ad avere un maggior numero di relazioni considerate normali con i coetanei. É meno frequente il persistere del DC in età adulta. La gravità della trasgressione è destinata ad aumentare con l’età e con le potenzialità del soggetto. Le

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caratteristiche specifiche sono l’assoluta mancanza di scrupoli; l’insensibilità-mancanza di empatia; l’indifferenza per i risultati; l’affettività superficiale o anaffettività. Il DC spesso evolve in un Disturbo di Personalità Antisociale (prognosi infausta).

I criteri proposti dal DSM-5 (American Psychiatric Association, 2013) sono i seguenti:

A. Un pattern di comportamento ripetitivo e persistente in cui vengono violati i diritti fondamentali degli altri, oppure le principali norme o regole sociali appropriate all’età, che si manifesta con la presenza nei 12 mesi precedenti di almeno tre dei seguenti 15 criteri in qualsiasi fra le categorie sotto indicate, con almeno un criterio presente negli ultimi mesi: Aggressione a persone e animali

1. Spesso fa il/la prepotente, minaccia o intimorisce gli altri. 2. Spesso dà il via a colluttazioni.

3. Ha usato un’arma che può causare seri danni fisici ad altri (per es., un bastone, un mattone, una bottiglia rotta, un coltello, una pistola).

4. È stato/a fisicamente crudele con le persone. 5. È stato/a fisicamente crudele con gli animali.

6. Ha rubato affrontando direttamente a vittima (per es., aggressione, scippo, estorsione, rapina a mano armata).

7. Ha costretto qualcuno ad attività sessuali. Distruzione della proprietà

8. Ha deliberatamente appiccato il fuoco con l’intenzione di causare seri danni.

9. Ha deliberatamente distrutto proprietà altrui (in modo diverso dall’appiccare il fuoco). Frode o furto

10. È penetrato/a nell’abitazione, nel caseggiato o nell’automobile di qualcun altro.

11. Spesso mente per ottenere vantaggi o favori o per evitare dei doveri (cioè raggira gli altri). 12. Ha rubato articoli di valore senza affrontare direttamente la vittima (per es., furto nei

negozi, ma senza scasso; contraffazione). Gravi violazioni di regole

13. Spesso, già prima dei 13 anni di età, trascorre la notte fuori, nonostante le proibizioni dei genitori.

14. Si è allontanato/a da casa di notte almeno due volte mentre viveva nella casa dei genitori o di chi ne faceva le veci, o una volta senza ritornare per un lungo periodo.

15. Spesso, già prima dei 13 anni di età, marina la scuola.

B. L’anomalia del comportamento causa una compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.

C. Se l’individuo ha 18 anni o più, non sono soddisfatti i criteri di disturbo antisociale di personalità.

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Specificare quale:

312.81 (F91.1) Tipo con esordio nell’infanzia: Gli individui presentano almeno un sintomo caratteristico del disturbo della condotta prima dei 10 anni di età.

312.82 (F91.2) Tipo con esordio nell’adolescenza: Gli individui non mostrano alcun sintomo caratteristico del disturbo della condotta prima dei 10 anni d’età.

312.89 (F91.9) Esordio non specificato: Sono soddisfatti i criteri per la diagnosi di disturbo della condotta, ma non sono disponibili informazioni sufficienti per determinare se l’esordio del primo sintomo si è verificato prima o dopo i 10 anni d’età.

Specificare se:

Con emozioni pro sociali limitate: Perché gli venga assegnato questo specificatore, un individuo deve aver mostrato in modo persistente, per almeno 12 mesi e in diversi tipi di relazioni e ambienti, almeno due delle seguenti caratteristiche. Queste riflettono i tipici pattern di funzionamento interpersonale ed emotivo dell’individuo in un determinato periodo e non solo in eventi occasionali in alcune situazioni. Pertanto, per valutare i criteri dello specificatore sono necessarie più fonti di informazione. Oltre a ciò che riferisce l’individuo, è necessario prendere in considerazione le testimonianze di altre persone che sono state in contatto con lui per lunghi periodi di tempo (per es., genitori, insegnanti, colleghi, altri parenti, coetanei).

Mancanza di rimorso o senso di colpa: Non prova rimorso o senso di colpa quando compie qualcosa di sbagliato (escludere il rimorso se questo viene espresso solo dall’individuo in arresto e/o messo di fronte a una punizione). L’individuo mostra una generale mancanza di preoccupazione per le conseguenze negative delle sue azioni. Per esempio, l’individuo non è pentito dopo aver ferito qualcuno o non si preoccupa delle conseguenze derivanti dall’infrangere le regole.

Insensibilità- mancanza di empatia: Disprezza ed è incurante dei sentimenti degli altri. L’individuo è descritto come freddo e indifferente. Appare preoccupato più per gli effetti che le sue azioni hanno su di sé che per quelle sugli altri, anche quando comportano un grave danno per gli altri.

Indifferenza per i risultati: Non mostra preoccupazione per lo scarso/problematico rendimento a scuola, al lavoro o in altre attività importanti. L’individuo non mette l’impegno necessario per una buona riuscita, anche quando le aspettative sono chiare, e tipicamente incolpa gli altri per i suoi scarsi risultati.

Affettività superficiale o anaffettività: Non esprime sentimenti né mostra emozioni verso gli altri, se non in modi che sembrano poco profondi, insinceri o superficiali (per es., le azioni contraddicono l’emozione mostrata; può “accendere” o “spegnere” in fretta le proprie emozioni) o usando espressioni emotive per il proprio vantaggio (per es., emozioni mostrate per manipolare o intimidire gli altri).

Specificare la gravità attuale:

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problemi causano altri danni relativamente minori (per es., bugie, assenze ingiustificate, stare fuori fino a tardi senza permesso, altre infrazioni delle regole).

Moderata: Il numero dei problemi di condotta e i loro effetti sugli altri sono intermedi tra quelli definiti “lievi” e quelli “gravi” (per es., rubare senza affrontare direttamente la vittima, vandalismo).

Grave: Numerosi problemi di condotta oltre a quelli richiesti per porre la diagnosi, oppure questi problemi causano danni notevoli agli altri (per es., sesso forzato, crudeltà fisica, uso di armi, rubare affrontando direttamente la vittima, furto con scasso).

Il maggiore elemento di novità nel DSM-5, che appare come un tentativo di superamento di una descrizione puramente comportamentale del DC, è la descrizione di un sottotipo specifico denominato “con emozioni prosociali limitate”. Questo sottotipo si caratterizza sul piano clinico per la presenza di scarso rimorso o scarso senso di colpa; scarso interesse per la qualità delle proprie prestazioni; freddezza; scarsa empatia ed anaffettività, non esprimono i loro sentimenti agli altri, se non in modo superficiale e/o non sincero o per ottenere un vantaggio in modo manipolatorio. Tale entità clinica, che appare in parte una rivisitazione del vecchio concetto di psicopatia utilizzato prevalentemente per l’età adulta, è stata ampiamente discussa e validata nella letteratura internazionale come forma caratterizzata dalla presenza di «Callous-Unemotional (CU) Traits».

I minori con DC con tratti CU presentano quadri clinici particolarmente gravi, condotte aggressive di tipo proattivo/predatorio, spesso tese al raggiungimento di obiettivi personali di vendetta, dominio o sopraffazione dell’altro, fattori di rischio genetici e aspetti neurocognitivi specifici. I minori con DC con tratti CU presentano quadri clinici particolarmente gravi, condotte aggressive di tipo proattivo/predatorio, spesso tese al raggiungimento di obiettivi personali di vendetta, dominio o sopraffazione dell’altro, fattori di rischio genetici e aspetti neurocognitivi specifici.

Questi quadri clinici costituiscono fattori prognostici negativi essendo spesso correlati allo sviluppo di quadri psicopatologici complessi, maggiormente resistenti sia ad interventi farmacologici (Masi et al., 2006, 2008b, 2009) che non farmacologici (Masi et al., 2011, 2013), in cui le condotte aggressive e dissociali possono gradualmente intensificarsi e portare allo sviluppo di un Disturbo Antisociale di Personalità. La presenza di tratti CU elevati si associa ad un deficit delle capacità di processazione emozionale e delle competenze empatiche, determinando una difficoltà a valutare le conseguenze emotive delle proprie azioni su gli altri (Masi et al., 2014b). La difficoltà prevale nel riconoscimento negli altri di espressioni di paura, tristezza e stress cui questi soggetti non rispondono con un’adeguata

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sintonizzazione comportamentale e/o affettiva. La presenza di tratti CU elevati è spesso accompagnata da altri tratti temperamentali, quali novelty seeking e sensation seeking, e da una sottostima dei rischi personali. Tale caratterizzazione clinica ha chiare implicazioni terapeutiche, giacché i minori con DC e tratti CU sono descritti come scarsamente responsivi agli interventi terapeutico-riabilitativi ritenuti comunemente efficaci nei bambini ed adolescenti con DC e che prevedono strategie cognitivo-comportamentali basate su punizione e ricompensa. (Masi et al., 2015).

La letteratura ha sottolineato come la prevalenza del DC sia molto diversa in base al genere: il DC è più frequente nei maschi, nei quali l’esordio è più frequentemente infantile (57% intorno ai 7 anni), mentre nelle femmine l'insorgenza è quasi esclusivamente adolescenziale (14-16 anni). I criteri diagnostici sembrano non tenere conto della diversa manifestazione nelle condotte aggressive tra i due sessi: i maschi manifestano spesso aggressività fisica, furto, vandalismo e problemi di disciplina scolastica; le femmine mostrano con maggiore probabilità menzogne, assenze da scuola, fughe, uso di sostanze e condotte sessuali devianti. Anche il decorso clinico si differenzia tra i due sessi: nei maschi si rileva più spesso l'evoluzione in età adulta verso comportamenti antisociali e delinquenziali, mentre nelle femmine il decorso prevalente è quello di un Disturbo di Depressione o un Disturbo d’Ansia.

Inoltre il DC si associa spesso ad altri disturbi. Esiste una comorbidità molto alta tra DC e DDAI (dal 30 al 60%). Molto frequente è anche l'associazione con la depressione (50%), con l'ansia, con i deficit intellettivi e con l'abuso di sostanze in adolescenza.

Diversi studi longitudinali hanno cercato di delineare la prognosi a lungo termine del DC. Kratzer e Hodgins (1997) hanno seguito un vasto gruppo di adolescenti con DC, fino al compimento dei 30 anni, ed hanno evidenziato come nei maschi la più frequente evoluzione naturale in età adulta è la delinquenza, i comportamenti antisociali, lo sviluppo di abuso di sostanze stupefacenti o di alcool (75% dei casi), mentre in percentuale minore i soggetti evolvono verso una patologia psichiatrica franca (Schizofrenia, Disturbo Depressivo Maggiore). Infine il DC può consolidarsi in un Disturbo di Personalità Borderline o in un Disturbo Antisociale di Personalità.

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CAPITOLO 2

2.1. I disturbi del sonno in età evolutiva

I disturbi di sonno in età evolutiva sono frequenti e rappresentano la quinta causa di preoccupazione per i genitori, dopo le malattie pediatriche, l’alimentazione, i problemi comportamentali e le anomalie fisiche (Mindell et al., 1994), ma nonostante questo a livello pediatrico alcuni professionisti tendono a non considerarli come problematiche gravi ed ingravescenti. Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che circa un terzo dei bambini soffre di problemi del sonno (Simonds et al., 1984; Kahn et al., 1989; Blader et al., 1997; Rona et al., 1998). I disturbi del sonno vanno ad incidere sia sulla qualità che sulla quantità del sonno, creando effetti negativi sulle attività diurne del bambino e di conseguenza sulla famiglia. Le diverse problematiche sono caratteristiche di specifiche fasce d’età, mentre si può affermare che l’insonnia sia il disturbo più comune a tutte le età (Wiggs et al., 2001).

Il ciclo sonno veglia subisce, dal periodo fetale fino all’età adulta, notevoli variazioni neurofisiologiche e comportamentali come effetto della maturazione cerebrale: sul piano neurofisiologico si nota una graduale diminuzione della quantità di sonno totale; si riduce il sonno caratterizzato da rapidi movimenti degli occhi (Rapid Eye Movements, REM) a favore della veglia; mentre il sonno a movimenti oculari non rapidi (Non-Rapid Eye Movements, NREM) rimane praticamente costante. Esiste una forte associazione tra i problemi del sonno e le problematiche comportamentali in età evolutiva, perciò prenderemo in esame le componenti del sonno, partendo dallo studio della macrostruttura, continuando con lo sviluppo e il cambiamento del sonno dai primi mesi di gestazione fino all’età adulta.

2.2. Fisiologia del sonno

Il sonno è uno stato comportamentale che si alterna alla veglia e occupa un terzo della nostra vita. È caratterizzato da una postura supina, da una ridotta attività motoria, da un aumento della soglia di stimolazione sensoriale e da un comportamento unico: il sogno.

L’addormentamento è un fenomeno che avviene gradualmente, con progressiva disconnessione dall’ambiente esterno. La fisiologia del sonno può essere suddivisa in quattro fasi, che vanno a costituire l’alternarsi periodico e ciclico delle fasi NREM e REM che accompagnano il nostro riposo (Terzano et al., 1985). Le fasi del sonno sono caratterizzate e distinte attraverso l’uso della polisonnografia (PolySomnoGraphy, PSG), una tecnica

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