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4. Disturbi del sonno ancora oggetto di studio e di indefinitiva conferma diagnostica

2.7. I disturbi del sonno e il DDA

Merita un paragrafo a parte la relazione tra il DDAI e i disturbi del sonno, perché c’è un cospicuo interesse in ambito scientifico nell’indagare le dinamiche che innescano la genesi e il mantenimento di questi disturbi. Ad esempio, i disturbi dell’addormentamento e della regolarità del sonno si evidenziano non infrequentemente in bambini con DDAI: in essi il sonno notturno agitato, superficiale ed incompleto, acuisce, a seguito di conseguente sonnolenza diurna, che porta a difficoltà di mantenimento dell’attenzione, successiva ipereccitabilità e ovviamente a difficoltà di apprendimento scolastico. Si tratta chiaramente di un circolo vizioso. Senza contare che, come abbiamo detto precedentemente, anche la

deprivazione di sonno e l’EDS, soprattutto nei bambini, si manifesta con un corteo sintomatologico ed un profilo cognitivo simile al DDAI. Infatti, una buona igiene del sonno migliora l’attenzione e la concentrazione durante la veglia, tre fattori che sono alterati nei bambini con DCD (Ivanenko & Jhonson, 2008).

Per tali motivi sono state fatte delle ipotesi sul legame tra sonno e DDAI, che si possono dividere in quattro categorie: 1) molti bambini con DDAI presentano disturbi del sonno che rientrano a far parte dell’inquadramento sintomatologico; 2) i disturbi del sonno sono una conseguenza del disturbo del comportamento e/o della terapia farmacologica: gli psicostimolanti usati per aumentare i livelli di attenzione e diminuire i sintomi dell’iperattività, agiscono anche sui patterns del sonno, modificandoli, si riduce il tempo totale di sonno e la sua efficacia, ed aumentano l’insonnia precoce e la sonnolenza diurna (Spruyt & Gozal, 2011); 3) il DDAI è un disturbo primario dei livelli di vigilanza (stato di “ipoarousal”) che si associa al disturbo del ritmo circadiano; 4) le alterazioni neurochimiche e neuro-strutturali spiegano sia i disturbi del sonno che il DDAI.

I lavori actigrafici (metodica che permette di monitorare lo stato di movimento e di riposo, dando un indice oggettivo del ritmo sonno-veglia) dimostrano la presenza di un’alterazione del ritmo circadiano, con un ritardo nell’orario di addormentamento e la tendenza a saltare il sonnellino pomeridiano nei bambini con riferita insonnia e DDAI (Van Der Heiyden et al, 2007). Un altro lavoro, svolto con la metodica actigrafica, ha preso in esame 80 bambini con DDAI. I risultati mostrano che questi bambini differiscono dai controlli per un risveglio più precoce, una maggiore frammentazione del sonno, senza che si verifichi un aumento della latenza al sonno (Owens, 2008). Anche gli studi effettuati con i questionari del sonno, compilati prevalentemente dai genitori, riportano una elevata frequenza (25-50% dei casi) di disturbo di inizio e mantenimento del sonno, con resistenza ad andare a letto, frequenti risvegli notturni, difficoltà al risveglio mattutino, sonno agitato e sonnolenza diurna (Kaplan et al., 1987; Ball et al., 1997; Corkum et al, 1998; Cortese et al., 2006; Cohen Zion & Ancoli Israel, Sung et al, 2008; Weiss & Salpekar, 2010). Recentemente è stata riportata la presenza di sonnolenza diurna e tendenza a dormire di più, solo nel sottotipo inattentivo, mentre l’insonnia veniva più frequentemente riportata nei bambini con il sottotipo combinato (Mayes et al., 2008).

Il gruppo di lavoro condotto da Gruber (Gruber et al., 2011) ha valutato, sempre tramite actigrafia, l’impatto di un’ora di restrizione di sonno per sei notti consecutive sulle funzioni neurocognitive di un gruppo di bambini con DDAI e un gruppo di controllo, formato da soggetti sani. Le abilità neurocognitive prese in considerazione sono state l’attenzione

sostenuta e la vigilanza, calcolate con il Continuous Performance Test (Conners, 1994), un test in cui ai soggetti vengono mostrate delle lettere e la persona deve rispondere solo quando vede lo stimolo target, la lettera X, con tempistiche e condizioni diverse. Dopo la restrizione di sonno, i risultati mostrano che le prestazioni di entrambi i gruppi peggiorano, ma i DDAI passano da una valutazione che rientra nel range subclinico, ad una che raggiunge il range clinico. Ciò indica che la loro performance è peggiorata ancora di più, raggiungendo dei valori clinicamente significativi e che la restrizione di sonno provoca un netto peggioramento delle loro abilità cognitive: aumentano i tempi di reazione (TR), aumentano gli errori di omissione (non rispondono quando si vedono lo stimolo target) e aumentano anche i “falsi errori” (tendenza a rispondere anche quando non si vede lo stimolo target). L’analisi dei dati indica che, tutti i bambini erano meno responsivi agli stimoli esterni e che la deprivazione di un’ora di sonno lede i sistemi attentivi. Le aree cerebrali che coordinano i processi di attenzione sono principalmente i lobi frontali, che sono quelli maggiormente danneggiati nei bambini con DDAI e sono anche le aree più vulnerabili alla restrizione di sonno. Questa ricerca esprime la stretta correlazione e influenza reciproca che esiste tra il disturbo del comportamento, l’alterazione del sonno e la conseguente o concomitante modificazione della sfera neurocognitiva.

È noto che i disturbi del sonno nel DDAI si associano ad un livello socio-economico basso, una tendenza ad arrivare tardi a scuola, un aumento del distress familiare e dei disturbi psichiatrici in famiglia (Sung et al, 2008); uno studio ha dimostrato come questi fattori migliorano dopo il trattamento. Infatti per concludere, Hiscock e il suo team (Hiscock et al., 2015) hanno verificato se un traning progettato per migliorare le problematiche del sonno avesse degli effetti positivi anche sulla sfera comportamentale e sulle abilità neurocognitive dei bambini con DDAI. Hanno preso in considerazione se, tale miglioramento si verificava sia nell’ambiente domestico che a scuola, e se i genitori beneficiassero di questi cambiamenti, con la riduzione del loro distress. Il traning consisteva nell’apprendimento, da parte dei genitori, di strategie comportamentali che sappiamo generano degli effetti positivi sullo sviluppo del bambino (Mindell & Owen, 2010; Quach et al., 2011; Sciberras et al., 2011). I risultati mostrano che i problemi di sonno, dopo un follow-up di sei mesi, sono diminuiti ed è aumentata la percentuale di minuti di sonno totali. Sia gli insegnanti che i genitori notano un miglioramento del comportamento esternalizzante del bambino e un aumento delle sue capacità prosociali. Beneficiano del trattamento anche le abilità neurocognitive, in cui si registra un aumento delle capacità di WM e di attenzione. Non sembra invece migliorato il distress dei genitori, ma parallelamente affermano che i ritardi e i giorni persi al lavoro a causa del comportamento del figlio sono diminuiti e risultano minori anche i ritardi a scuola

da parte del bambino. Questo studio ci dimostra la costante interazione tra la componente comportamentale e quella cognitiva, tra il trattamento dei disturbi del sonno e il beneficio ottenuto sui problemi esternalizzanti sia a scuola che a casa. Ci permette di ricordare che il cambiamento di una variabile causa la modificazione delle variabili ad essa connesse. Andremo a vedere meglio nel prossimo capitolo come le modificazioni di uno o più fattori abbiano degli effetti positivo sul comportamento e la rendita scolastica dei bambini con DCD.

CAPITOLO 3

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