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CAPITOLO 4 – PARTE SPERIMENTALE

6. l’ultima sottoscala è l’iperidrosi notturna (IPN item: 9,16) è un disturbo legato a un’eccessiva sudorazione notturna Nei bambini può essere causata da un aumento del

4.4. Risultati e analisi dei dat

I risultati ottenuti tramite regressione lineare multipla mettono in evidenza la correlazione tra la variabile indipendente, disturbi di inizio e mantenimento del sonno, (DIMS) e la variabile dipendente, scala di misurazione dell’iperattività/disattenzione. Mentre non risulta alcuna correlazione tra la variabile DIMS e la sottoscala dei problemi del comportamento.

Inoltre non risultano altre correlazioni tra le sottoscale misurate tramite SDSC e quelle del comportamento relative all’SDQ.

Variabili Coeff. Standard. Beta R2

Reddito annuo familiare .031

.237* Titolo di studio –.021 Genere –.100 BMI .032 DIMS – SDSC .287* DES – SDSC .031 DA – SDSC .032 DTVS – SDSC –.031 DRS – SDSC .032

Tabella 2. Regressione lineare tra la variabile indipendente, problemi del sonno (SDQ), e la variabile dipendente, difficoltà comportamentali (SDSC).

Abbreviazioni * = p < 0.05

SDSC = Sleep Disturbance Scale for Children

DIMS = Disturbo di inizio e mantenimento sonno (sottoscala del SDSC) DES = Disturbi da eccessiva sonnolenza (sottoscala del SDSC)

DA = Disturbi dell’arousal (sottoscala del SDSC)

DTVS = Disturbi della transizione veglia-sonno (sottoscala del SDSC) DRS = Disturbi respiratori nel sonno (sottoscala del SDSC)

Alla luce dei risultati ottenuti nel progetto di follow-up, svolto a distanza di un anno, emerge che DIMS possono esercitare un’influenza significativa sulle difficoltà di disattenzione e iperattività.

Inoltre abbiamo deciso di valutare quanto i problemi all’interno del campione incidessero sulle attività scolastiche.

 Interferenze dei problemi comportamentali: un’indagine qualitativa dei dati Dall’analisi sull’impatto dei problemi comportamentali (siano essi disattentivo/iperattivi, di condotta, emozionali, o legati al rapporto con i pari) emerge che, su un campione di 89 bambini, 23 di essi presentano difficoltà che interferiscono in maniera diversa con le attività giornaliere. Per semplificare la spiegazione, suddividiamo i 23 bambini in due macro gruppi.

a) Gruppo con difficoltà minori:

Diciassette bambini presentano difficoltà minori, 16 di questi hanno difficoltà da 12 mesi o da più di un anno. Ciò causa problemi leggermente marcati o lievi sull’apprendimento e sulle amicizie, ed un disagio lieve o nullo sulla classe e/o sugli insegnati. È molto lieve anche l’impatto sullo stato emotivo, i bambini non sono turbati né risentono dei loro problemi. Questo gruppo sembra avere un profilo stabile, nel senso che, pur avendo delle difficoltà, rispetto al resto dei coetanei, queste, non si ripercuotono negativamente sulla vita quotidiana. Possiamo perciò supporre che il loro disagio comportamentale si è adattato in maniera funzionale alle esigenze del mondo esterno.

È presente un’eccezione. Solo un bambino ha difficoltà minori da meno di un mese che causano marcato disagio emotivo, una severa compromissione del rapporto con i pari e una difficoltà significativa sull’apprendimento scolastico. Tuttavia i problemi non interferiscono con il clima della classe o delle lezioni. Probabilmente questo bambino, ha una storia diversa dal resto del gruppo, è plausibile ipotizzare che un recente evento negativo abbia generato difficoltà che si stanno ripercuotendo in maniera significativa sulla sua vita.

b) Gruppo con difficoltà severe:

Sei bambini hanno problemi severi che durano da 12 mesi o da più di un anno. In questo caso, le difficoltà creano un disagio marcato o severo a livello emotivo. Si ripercuotono negativamente sulla socializzazione e sull’apprendimento. Tali difficoltà generano disagio significativo sia agli altri studenti che agli insegnati.

È chiaro che questo gruppo, pur restando in un range clinico sottosoglia, risponde in maniera disfunzionale alle richieste ambientali.

Facendo una stima per valutare l’omogeneità della variabile genere nei gruppi. Osserviamo che, nel gruppo con difficoltà minori il genere è pressoché identico, abbiamo 9

maschi e 8 femmine. Risulta invece diversa la proporzione del gruppo con difficoltà severe, in cui abbiamo 5 maschi e una femmina. Anche se stiamo ragionando su piccolissime cifre che appartengono ad un campione normativo, quest’ultimo dato è in accordo con la letteratura scientifica. L’epidemiologia dei DCD ha un rapporto di 4:1 per i maschi rispetto alle femmine, questo dato indirizza verso l’ipotesi di cause genetiche, al di là delle evidenti influenze ambientali (Swanson et al, 1998).

4.5. Discussione

La maggior parte degli studi che troviamo in letteratura, prende in analisi popolazioni cliniche che, ancora di più, possono sottolineare il collegamento tra una scarsa igiene del sonno e l’accrescersi dei problemi disattentivo/iperattivi. Mentre il campione che abbiamo preso noi è di tipo normativo, per cui i bambini che presentano delle anomalie comportamentali possiedono un range di punteggi sopra la media standard, ma che non rientra nei criteri di una vera e propria patologia clinica.

È difficile capire quale sia il reale confine tra normalità e patologia nei comportamenti di un bambino. In una certa misura, l'esuberanza motoria, la voglia di saltare, correre da una parte all'altra, la mancanza di riflessione prima di agire, la difficoltà a concentrarsi, gli scontri nell’interazione con i coetanei fanno parte della natura stessa del bambino. Tuttavia i soggetti che presentano un pattern di sonno notturno agitato, superficiale ed incompleto hanno difficoltà a mantenere l’attenzione, queste due componenti sintomatologiche tendono perciò ad accentuarsi. La maggiore conseguenza di queste difficoltà risulta in un peggioramento delle abilità di apprendimento (O’Brien et al., 2003; Owens et al., 2008).

I DIMS rientrano nella categoria diagnostica delle dissonnie, più comunemente conosciute come insonnie. Si definisce insonnia in età evolutiva la presenza di: elevata latenza del sonno (maggiore di 45 minuti), risvegli notturni che richiedano almeno 30 minuti per riaddormentarsi e risvegli precoci; per 3 o più notti a settimana, per almeno 3 settimane. Solitamente l’insonnia è la rappresentazione di un’alterazione di processi fisiologici. In età evolutiva l’insonnia iniziale (difficoltà ad addormentarsi) di solito si associa a un disturbo emotivo (ad es., ansia o stati fobici), dolore, problemi respiratori, assunzione di farmaci stimolanti, scarsa igiene del sonno (come orari di sonno variabili) e disturbi del sonno (es. apnea nel sonno e sindrome della fase ritardata del sonno).

In età pediatrica l’insonnia rappresenta un disturbo per il quale è necessaria una buona osservazione e valutazione, le manifestazioni comportamentali più frequenti sono il “rifiuto”

di andare a dormire e la difficoltà a riaddormentarsi autonomamente, senza l’intervento dei genitori, durante i risvegli notturni. La patogenesi dell’insonnia prevede un’interazione di più fattori: fisiologici, genetici e comportamentali; in età evolutiva gioca un ruolo fondamentale l’interazione con le figure genitoriali (Bruni et al., 2010).L’insonnia in età scolare può essere di tipo psicologico, quindi legata alle paure all’addormentamento oppure legata a problematiche di natura relazionale, come difficoltà da parte dei genitori nello stabilire delle regole al momento dell’addormentamento e a farle rispettare.

I risultati da noi trovati ci permettono di affermare l’importanza di progettare un intervento di sensibilizzazione e prevenzione sulla qualità del sonno da promuovere nelle scuole. La scuola è un luogo privilegiato perché ci permette di intervenire in vivo su un maggior numero di soggetti rispetto alla clinica e può sfruttare tutti quei meccanismi di gruppo che si instaurano spontaneamente fra i pari all’interno della classe.

Intervenendo sulle abitudini di sonno dei bambini in età scolare è auspicabile che gli effetti benefici dell’intervento si possano ripercuotere anche sui disturbi del comportamento, per prevenire lo svilupparsi di veri e propri comportamenti patologici.

• Proposta di sensibilizzazione sulla buona igiene del sonno nell’ambiente scolastico Vista l’influenza del sonno sulle attività diurne, sarebbe auspicabile portare nelle classi un programma di sensibilizzazione in modo tale da far comprendere ai bambini l’importanza di dormire bene. In età evolutiva le abitudini del sonno interagiscono con la compromissione delle facoltà neurocognitive che, a loro volta, rendono difficoltoso lo svolgimento delle attività scolastiche. Bisognerebbe proporre un intervento di prevenzione che coinvolga gli insegnati, i bambini e ovviamente i genitori, che rappresentano il fulcro per l’insegnamento delle buone abitudini ai loro figli.

Di seguito vengono proposte alcune indicazioni che i genitori possono osservare per facilitare il sonno dei figli:

− Resistenza al sonno: cercare di creare una sana routine per il sonno che non sia rigida, ma prevedibile.

− Risveglio precoce: cercare di stabilire delle regole, adatte all’età del bambino, quando si sveglia.

− Risvegli notturni: spesso sono una conseguenza dell’ansia di separazione, bisogna cercare di attutirli con piccole attenzioni durante il giorno.

comunicare, con tono deciso ma non aggressivo, una nuova regola, quella di dormire nel suo lettino.

− Incubi e terrori notturni: rassicurare e cullare il bambino, anche se non è cosciente, per tranquillizzarlo; la mattina aiutarlo a parlare dei brutti sogni fatti durante la notte. − Sonnambulismo: il bambino non deve essere svegliato, prendere le dovute

precauzioni nell’ambiente in cui dorme.

− Paura del buio: farlo parlare e cercare di combattere la paura con calore, sicurezza e appoggio.

Le indicazioni riportate sopra, sono state valutate in due ricerche (Wolfson, Manca & Futterman, 1992; Mindell et al., 2006). I risultati ottenuti documentano che, gli interventi di prevenzione che mirano ad insegnare ai genitori come migliorare le abitudini del sonno dei loro bambini, ottengono buoni risultati, sono economici e si stabilizzano nel tempo. Si registrano esiti favorevoli sia sull’igiene del sonno del bambino che sul distress genitoriale.

Altri programmi di prevenzione riguardano l’insegnamento di strategie comportamentali ai soli bambini. Uno di questi programmi prende il nome di Sleep-Smart Program (Rossi, Campbell, Vo, Marco & Wolfson, 2002), l’obbiettivo è quello di promuovere delle sane abitudini prima di andare a letto, che prevedono l’apprendimento di una fase di rilassamento trenta minuti prima di coricarsi e la riduzione degli stimoli ambientali che possono indurre una cattiva qualità del sonno come: l’illuminazione della stanza, l’utilizzo di videogiochi (Calamaro, Mason, & Ratcliffe, 2009), l’ingestione di grosse quantità di cibo poco prima di coricarsi, o il consumo di bevande eccitanti (Pollak & Bright, 2003; Drapeau et al., 2006).

Il programma si svolge a scuola e prevede 8 sessioni della durata di due ore ciascuna, durante gli incontri i bambini vengono istruiti tramite: informazioni generali sull’importanza del sonno, attività di gioco in aula come la risoluzione di cruciverba, o di labirinti, o di giochi di ruolo focalizzati sul sonno. Inoltre, i bambini sono chiamati a compilare un diario del sonno e a scegliere degli obbiettivi personali da raggiungere che mirino a modificare la cattiva routine, con una più funzionale. Gli obbiettivi raggiunti vengono monitorati nella sessione successiva, dove oltre a fornire un feedback ai bambini e a svolgere altre attività, si rinforzano, con dei piccoli premi, i traguardi raggiunti da ogni bambino. I risultati ottenuti sono positivi, i bambini diminuiscono la latenza del sonno, dormono per più ore e mettono in partica le abitudini apprese a scuola.

A dimostrazione dell’efficacia dei programmi sui bambini è necessario prendere in considerazione un altro studio. Tan e il suo gruppo di collaboratori (Tan et al., 2012) ha ideato un programma di trattamento di disturbi del sonno, il F.E.R.R.E.T, acronimo che sta per Food, Emotions, Routine, Restrict, Environment and Timing, che potrebbe essere preso come modello per un ipotetico intervento di prevenzione nelle scuole, esattamente come quello precedente. Il programma prende spunto dai risultati di numerosi studi condotti sul sonno in cui si identificano diversi fattori che influiscono su di esso (Roberts, Roberts & Chen, 2002). Il F.E.R.R.E.T. è stato applicato ad un gruppo di 22 giovani fra i 10 e i 17 anni, si basa su tre semplici regole da rispettare prima di coricarsi suddivise in sei diversi ambiti.

AMBITO REGOLA 1 REGOLA 2 REGOLA 3

Cibo Non bere niente 30 minuti prima di andare a dormire

No cibo e caffeina nelle 3 ore prima di andare a dormire

No alcolici e fumo nelle 3 ore prima di andare a dormire

Emozioni Ritagliare del tempo durante il giorno per pensare e programmare

Coricarsi e rilassarsi 30 minuti prima di andare a dormire

Prova a non

preoccuparti e a non pianificare le cose da fare quando sei a letto Routine Svegliati e vai a dormire

più o meno sempre alla stessa ora ogni giorno

La luce della tua stanza deve essere molta quando ti svegli e soffusa prima di coricarti

La tua routine prima di andare a dormire dovrebbe essere mantenuta costante

Limitare No supporti elettronici 30 minuti prima di andare a dormire

No attività fisica 3 ore prima di andare a dormire

Non usare il letto per svolgere attività diverse dal dormire (no

compiti…) Ambiente Devi sentirti comodo

con il pigiama e nella tua camera

Controlla luce temperatura e rumori

Fai in modo da non vedere l’orologio

Sincronizzazione Cerca di non dormire di più o di meno rispetto alle ore consigliate

Controllare le regole prima di coricarsi

Prova a seguire le regole

Considerati i successi dello studio F.E.R.R.E.T e dello Sleep-Smart Program consigliamo di considerare la possibilità di utilizzare questi semplici modelli, per un futuro programma di prevenzione e di sensibilizzazione nelle scuole. Riteniamo che un lavoro di questo tipo possa stimolare i bambini a comprendere il valore del sonno sulla loro vita.

CONCLUSIONI

Lo scopo del progetto di follow-up è stato quello di prevedere come la variazione dei disturbi del sonno, considerati nel T1 e nel T2, sia predittiva delle problematiche comportamentali a scuola in una fase successiva, T3. Parallelamente è stato valutato, a livello qualitativo, quanto i problemi riscontrati nel campione avessero un’incidenza reale sulla vita quotidiana.

I risultati ottenuti mostrano la relazione tra i DIMS e i problemi di iperattività/disattenzione in classe. Tali esiti sono confermati dalla letteratura scientifica: lo studio di Shur-Fan Gu (2006) mette in evidenza che, all’aumentare delle dissonie (di cui i DIMS fanno parte), aumentano, nell’ambiente scolastico, le difficoltà attenzionali, l’iperattività e l’impulsività, quest’ultima non ha ottenuto riscontro nel nostro follow-up; anche la ricerca di Mulraney e del suo gruppo (2016) mostra l’influenza che il sonno esercita nelle attività diurna, infatti, l’incremento dei disturbi del sonno aumenta la probabilità di insorgenza o di peggioramento dei comportamenti esternalizzanti.

Anche l’analisi qualitativa dei dati dell’SDQ mostra come alcuni dei problemi riscontrati generano un impatto sulla sfera emotiva, sociale, sull’apprendimento scolastico del singolo e sul clima generale della classe. Tale analisi, trova riscontro in un altro studio, quello di Lagenbauer e il suo team (2012), che hanno mostrato come all’aumentare dei DIMS nei bambini, aumentano le difficoltà emotive e di socializzazione nell’ambiente scolastico.

Lo studio presenta dei limiti, la maggiore limitazione riguarda gli strumenti di valutazione. L’utilizzo di questionari eterovalutativi da una parte risulta fondamentale, vista l’età del campione, ma dall’altra non è sufficiente per valutare in maniera completa la presenza di disturbi del sonno e del comportamento. Per il futuro, probabilmente l’utilizzo di uno strumento actigrafico, parallelamente alla valutazione eterovalutativa, sarebbe stato più idoneo. Inoltre, per il futuro si potrebbe estendere il campione, annettendo i ragazzi delle scuole medie, in modo tale da poter somministrare dei questionari di tipo autovalutativo.

Il punto di forza per eccellenza di questo studio è l’aspetto longitudinale, che ha permesso di valutare i cambiamenti nel tempo del sonno sugli aspetti comportamentali. Questa tipologia

di ricerca nell’ambito dello sviluppo è fondamentale, perché questa fascia di età risulta costellata di rapidi cambiamenti che interessano sia il fisico che la psiche.

Poter intervenire prima che le difficoltà, del sonno e del comportamento, assumano un carattere stabile e patologico, dovrebbe essere una delle future priorità delle ricerche in quest’ambito.

Prendere in carico non solo i bambini che presentano un profilo ad alto rischio, ma tutti i bambini che frequentano le classi elementari del nostro territorio, potrebbe essere l’obbiettivo di un ulteriore studio per garantire il benessere dei bambini, degli insegnanti e delle famiglie. Infatti, i programmi di sensibilizzazione del sonno nell’ambiente scolastico, che lentamente stanno prendendo avvio in questi ultimi anni, ottengono risultati positivi: il F.E.R.R.E.T (Tan et al., 2012) e lo Sleep-Smart Program (Rossi, Campbell, Vo, Marco & Wolfson, 2002) hanno già mostrato l’efficacia della prevenzione sui bambini.

Un’altra evidenza scientifica sulla prevenzione del sonno in età evolutiva, ci viene fornita dalla ricerca di De Sousa, Araújo e De Azevedo (2007). Questi ricercatori hanno ideato un programma di educazione scolastica sull’igiene del sonno, che prevedeva una lezione, della durata di 50 minuti, in cui i bambini svolgevano varie attività (quiz, costruzione di una mappa sull’ontogenesi del sonno, dibattiti sulle cause e le conseguenze di dormire poco o di avere un sonno irregolare), successivamente hanno valutato gli eventuali cambiamenti nel ciclo sonno- veglia. Gli esiti sono positivi, il programma si dimostra efficace nel ridurre i pattern irregolari del sonno, nel diminuire la latenza e il numero dei sonnellini pomeridiani.

Per il futuro, si potrebbe pensare di utilizzare un programma simile a questo. Risulta economico, di facile somministrazione, non interferisce periodicamente sullo svolgimento della didattica in classe e, allo stesso tempo, presenta dei risultati positivi significativi.

Lo studio sperimentale, a cui aderisce questo progetto di tesi, è uno dei primi in Italia che analizza, per un lungo periodo di tempo, l’interazione tra sonno e comportamento. Ci auguriamo di continuare a lavorare nell’ambito della prevenzione del sonno, con l’auspicio di migliorare il benessere dei bambini e di aiutare le famiglie e la scuola in questo importante compito.

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