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Studi sull’omeostasi del NAD mitocondriale e sulla modulazione farmacologica di processi NAD-dipendenti in un modello murino di encefalomiopatia mitocondriale

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DOTTORATO DI RICERCA IN

Farmacologia e Tossicologia

CICLO XXV

COORDINATORE Prof. Flavio Moroni

Studi sull’omeostasi del NAD mitocondriale e sulla

modulazione farmacologica di processi NAD-dipendenti in

un modello murino di encefalomiopatia mitocondriale

Settore Scientifico Disciplinare BIO-014

Dottoranda Tutore

Dott.ssa Felici Roberta Prof. Chiarugi Alberto

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INDICE

INTRODUZIONE ... 5

LE MALATTIE MITOCONDRIALI ... 6

Bioenergetica mitocondriale ... 7 Genetica mitocondriale...10

Malattie mitocondriali associate a mutazioni del DNA mitocondriale ...12

Malattie mitocondriali associate a mutazioni del DNA nucleare ...14

Approcci terapeutici ...15

Modelli murini per lo studio delle malattie mitocondriali ...17

OMEOSTASI DEL NAD ... 21

Biosintesi del NAD ...22

Catabolismo del NAD ...24

PARPs ...25

MARTs ...29

Sirtuine ...31

CD38 ...33

La regolazione del NAD nei mitocondri ...35

SCOPO DELLA RICERCA ... 38

MATERIALI E METODI ... 42

Colture cellulari ... 43

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Misurazione della concentrazione di NAD ... 43

Separazione dei compartimenti cellulari ... 44

Saggio enzimatico per l’attività NMN-adenililtrasferasica ... 44

Western blotting ... 45

PCR, clonaggi e trasfezioni ... 45

Valutazione dell’effetto funzionale dell’upstream ORF ... 47

Immunocitochimica ... 47

Valutazione del potenziale di membrana mitocondriale ... 48

Analisi strutturale dei prodotti del gene nmnat3 ... 48

Valutazione dei contenuti di NAD mitocondriali con il mitoPARP-1cd .. 49

Immunoprecipitazione ... 49

Trattamento animali ... 49

Genotipizzazione e generazione della colonia di topi doppi knockout per

Ndufs4 e PARP-1 ... 50

Valutazione della progressione della malattia nei topi Ndufs4 KO ... 51

Analisi statistica ... 51

RISULTATI ... 52

PARTE I: Studio dell’origine metabolica del NAD mitocondriale ... 53

Identificazione delle varianti di NMNAT3 espresse nelle cellule umane ...53

Effetto del silenziamento di NMNAT1 e -3 sull’attività NMNAT e sul contenuto di NAD intracellulare ...58

Effetto dell’overespressione delle due isoforme di NMNAT3 sull’attività NMNAT e sull’omeostasi del NAD ...62

Ulteriori tentativi per identificare la proteina NMNAT3 endogena ...68

Effetto del NAD esogeno e dei suoi precursori sul contenuto di NAD cellulare e mitocondriale in cellule overesprimenti FKSG76 ...73

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4

PARTE II: Modulazione farmacologica della poli(ADP)ribosilazione

in un modello murino di encefalomiopatia mitocondriale ... 75

Effetto del trattamento con il pan-inibitore PARP KU-0058948 sulla progressione della malattia in topi deficienti per Ndufs4 ...75

Valutazione dell’attivazione PARP e dei livelli di NAD nel cervello di topi deficienti per Ndufs4 ...78

Generazione e caratterizzazione del fenotipo di topi doppi knockout per Ndufs4 e PARP1 ...80

DISCUSSIONE ... 84

BIBLIOGRAFIA ... 93

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5

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6

LE MALATTIE MITOCONDRIALI

Le malattie mitocondriali rappresentano un gruppo eterogeneo di sindromi cliniche accomunate da un deficit energetico del metabolismo mitocondriale, causate da mutazioni ereditarie o spontanee del DNA mitocondriale (mtDNA) o del DNA nucleare (nDNA) codificante proteine coinvolte nel funzionamento mitocondriale (Wallace, 1999). Dal momento che il mitocondrio provvede alla maggior parte della produzione energetica cellulare, i deficit mitocondriali affliggono preferenzialmente il funzionamento di tessuti ad elevata richiesta energetica come cervello, muscolo, cuore e sistema endocrino. Difetti energetici sono associati a forme di cecità, sordità, disordini nel movimento, demenza, cardiomiopatie, miopatie, disfunzioni renali e all‟ invecchiamento

Sebbene le malattie mitocondriali siano considerate malattie genetiche rare, studi epidemiologici rivelano che la frequenza delle sole patologie associate a mutazioni del mtDNA è nell‟ordine di 1:5000 (Schaefer et al., 2004) e che mutazioni del mtDNA sono rilevabili nel cordone ombelicale di un neonato su 200 (Elliott et al., 2008). Inoltre, mutazioni del nDNA che influenzano geni mitocondriali sembrerebbero essere ancora più comuni rispetto a quelle a carico del mtDNA (Wallace et al., 2010). Perciò, il background genetico della disfunzione energetica è verosimilmente enorme.

Poiché i mitocondri sono considerati i maggiori responsabili della produzione energetica cellulare, la comprensione della fisiopatologia delle malattie mitocondriali e lo sviluppo di nuove terapie non può prescindere dalla conoscenza e dallo studio della biologia del mitocondrio.

Un ampio spettro di complesse manifestazioni cliniche è stato collegato a mutazioni di geni mitocondriali. Come mutazioni molto diverse possono causare

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7 una serie simile di fenotipi, mutazioni nello stesso gene possono dare luogo ad una varietà di sindromi cliniche e la stessa mutazione nel mtDNA a differenti livelli di eteroplasmia può provocare fenotipi totalmente diversi.

Bioenergetica mitocondriale

La produzione di energia negli organismi multicellulari è basata sulla disponibilità di equivalenti riducenti (idrogeni), originati dal catabolismo di carboidrati e grassi, che reagiscono con l‟ossigeno molecolare per generare acqua attraverso la fosforilazione ossidativa mitocondriale (OXPHOS). (Fig. 1)

Fig.1 Rappresentazione schematica della respirazione cellulare

Il glucosio è trasformato in piruvato attraverso la glicolisi nel citosol, riducendo il NAD+ citosolico a NADH (nicotinamide adenina dinucleotide ridotto). Il piruvato così generato entra nel mitocondrio mediante l‟azione della piruvato deidrogenasi, convertito in acetil-CoA, NADH + H+ e CO2. L‟acetil-CoA, entra

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8 generando NADH e H+. Gli acidi grassi sono ossidati interamente nel compartimento mitocondriale attraverso la beta ossidazione, generando acetyl-CoA mitocondriale, NADH + H+ e FADH2. Due elettroni sono trasferiti dal NADH

alla NADH deidrogenasi (complesso I) o dal FADH2 tramite la succinato

deidrogenasi (complesso II) per ridurre l‟ubiquinone (coenzima Q10) a

ubisemiquinone e, quindi a ubiquinolo (Fig. 2). Gli elettroni poi dall‟ubiquinolo sono trasferiti alla la parte restante della catena di trasporto degli elettroni, passando attraverso il complesso III (complesso bc1), il citocromo c, il complesso

IV (citocromo c ossidasi o COX) e infine all‟ossigeno molecolare per generare acqua. L‟energia liberata durante il flusso degli elettroni nella catena respiratoria è usata per pompare protoni all‟esterno della membrana interna mitocondriale attraverso i complessi I, III e IV. Questo fenomeno crea un gradiente elettrochimico di protoni (Δψ), generando un ambiente acido e positivo nello spazio intermembrana e alcalino e negativo nella matrice mitocondriale. L‟energia potenziale fornita dal gradiente protonico è usata per molteplici scopi::

1) importare proteine e Ca2+ nel mitocondrio 2) per generare calore

3) per sintetizzare ATP nella matrice mitocondriale

L‟energia per convertire ADP e Pi a ATP origina dal flusso di protoni attraverso l‟ATP sintetasi (complesso V) nella matrice. L‟ATP di matrice viene così continuamente scambiato con ADP cistosolico dal trasportatore dei nucleotidi adenilici (ANT) presente sulla membrana interna mitocondriale. L‟efficienza con cui gli equivalenti riducenti sono convertiti ad ATP dalla OXPHOS è nota come

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9 Mutazioni delle proteine mitocondriali modificano l‟efficienza di accoppiamento della OXPHOS, influenzando la produzione di specie reattive dell‟ossigeno (ROS), modulando l‟uptake di Ca2+ e il meccanismo apoptotico.

Fig. 2 Catena di trasporto degli elettroni e fosforilazione ossidativa

Il mitocondrio è costituito da proteine codificate sia dal mtDNA che dal nDNA. Il complesso I della OXPHOS è formato da 45 polipeptidi, dei quali 7 (ND1, 2, 3, -4, -4L, -5, -6 ) sono codificati dal mtDNA; il complesso II da 4 polipeptidi codificati dal nDNA; il complesso III da 11 proteine, delle quali 1 (il citocromo b) è codificato dal mtDNA; il complesso V da circa 16 polipeptidi, dei quali 2 (ATP6 e –8) codificati dal mtDNA. Dei 5 complessi solo il I, il III, il IV e il V trasportano protoni e sono proprio quei complessi che conservano polipeptidi codificati da mtDNA.

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Genetica mitocondriale

Sebbene il mtDNA codifichi 13 proteine della OXPHOS, 22 RNA transfer (tRNA) e le subunità ribosomiali 12S e 16S necessarie per la sintesi proteica mitocondriale, il nDNA codifica il rimanente 80% delle proteine mitocondriali. Inoltre, il nDNA codifica per tutte le proteine coinvolte nei processi metabolici che avvengono nel mitocondrio e per tutti gli enzimi necessari alla biogenesi mitocondriale, inclusi la DNA polimerasi mitocondriale (polimerasi gamma o POLG), l‟RNA polimerasi, fattori di trascrizione mitocondriali e proteine ribosomi ali. Quindi, il genoma mitocondriale comprende approssimativamente 1500 geni del nDNA e 37 geni del mtDNA (Wallace, 2005;Wallace, 2007). E‟ proprio perché il genoma mitocondriale è distribuito tra il mtDNA – a trasmissione monoparentale - e il nDNA - a trasmissione biparentale – che la genetica del metabolismo mitocondriale è così complessa.

Figura 3. Struttura del DNA mitocondriale

Il mtDNA è costituito da un‟unica molecola circolare chiusa, a doppio filamento, di 16569 paia di basi (Fig. 3). Nei mammiferi, i due filamenti differiscono per la loro distribuzione in guanine e citosine e si può distinguere tra un filamento leggero

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11 (L) ricco di residui citosinici e un filamento pesante (H) ricco di residui guanidici. Nei mammiferi, il riarrangiamento genico è conservato e, oltre ai geni strutturali, il mtDNA contiene una regione di regolazione comprendente i promoters per la trascrizione di entrambi i filamenti e l‟origine di replicazione del filamento H. L‟origine di replicazione del filamento L, invece, è situata a due terzi della sequenza in direzione oraria. Tutti i geni codificanti rRNA e proteine sono situati sul filamento H, fatta eccezione per l‟ND6, situato sul filamento L. I tRNA punteggiano i geni e i trascritti maturi sono quindi generati dal trascritto policistronico attraverso il clivaggio dei tRNA, seguito dalla poliadenilazione degli rRNA e mRNA (Anderson et al., 1981). I geni del mtDNA hanno una frequenza di mutazioni molto più alta rispetto ai geni del nDNA e una ragionevole motivazione può essere la loro prossimità al sito di produzione dei ROS (Schriner et al., 2000).

Ogni cellula di mammifero contiene centinaia di mitocondri e migliaia di molecole di mtDNA. Quando si verifica una mutazione nel mtDNA, si crea una popolazione mista contenente mtDNA normale e mutato, dando luogo ad una condizione denominata eteroplasmia. Quando una cellula eteroplasmica si divide, mtDNA normale e mutato si distribuiscono casualmente nelle cellule figlie, con la possibilità di generare mutanti puri o wild type, una condizione definita omoplasia (Wallace, 2007). All‟aumento della percentuale di mtDNA mutato corrisponde il declino della funzione energetica.. Quando la produzione di energia è insufficiente per il normale funzionamento del tessuto, si supera il limite, i simtomi appaiono e possono avere inizio processi apoptotici o necrotici (Wallace, 2005).

Il mtDNA umano è strettamente a trasmissione materna (Giles et al., 1980). E‟ stata riportata solo un‟eccezione in un individuo che ha sviluppato una miopatia mitocondriale. Il suo tessuto muscolare conteneva alcune molecole di mtDNA

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12 ereditate dal padre, caratterizzate da una mutazione deleteria (Schwartz and Vissing, 2002)

Malattie mitocondriali associate a mutazioni del DNA mitocondriale

Le varianti del mtDNA clinicamente rilevanti possono essere suddivide in tre classi (Wallace, 2005):

a) Mutazioni deleterie che causano una patologia a trasmissione materna b) Varianti adattative che predispongono gli individui a patologie in ambienti

differenti

c) Accumulo di mutazioni somatiche a carico del mtDNA associato all‟invecchiamento.

Mutazioni patogenetiche del mtDNA comprendono sia sostituzioni di base che riarrangiangiamenti genici.

Le sostituzioni di base possono essere suddivise in mutazioni missenso che interessano i 13 geni del mtDNA codificanti proteine e mutazioni che riguardano i geni per rRNA o tRNA, le quali hanno un effetto globale sulla sintesi delle proteine mitocondriali. Mutazioni di geni codificanti polipeptidi sono alla base della patogenesi di un ampio spettro di manifestazioni cliniche come la neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHNO) (Wallace et al., 1988a), la sindrome di Leigh (Holt et al., 1990) e la miopatia mitocondriale (Andreu et al., 1998). Mutazioni nei tRNA e rRNA che provocano alterazioni della sintesi proteica mitocondriale possono risultare in patologie multisistemiche come l‟epilessia mioclonica con fibre rosse stracciate (MERRF) (Wallace et al., 1988b), encefalopatia mitocondriale con acidosi lattica ed episodi tipo stroke (MELAS) (Goto et al., 1990), encefalomiopatia, miopatia mitocondriale e intolleranza all‟esercizio, oftalmoplegia esterna progressiva cronica (CPEO), la sindrome di

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13 Kearns Sayre, sindrome gastrointestinale, distonia, diabete, sordità, cardiomiopatia, disturbi renali, morbo di Alzheimer e Parkinson (Wallace, 2005).

I riarrangiamenti genici possono essere sia delezioni de novo che inserzioni a trasmissione materna in grado di generare delezioni in cellule postmitotiche. La maggior parte delle delezioni causa la rimossione di almeno un tRNA, modificando l‟intero processo di sintesi proteica (Wallace et al., 2010). Le sindromi associate a riarrangiamento del mtDNA sono eteroplasmiche e possono risultare in un range di manifestazioni cliniche con diverso grado di severità. I fenotipi meno severi associati a riarrangiamento del mtDNA sono rappresentati da diabete di tipo 2 a trasmissione materna e sordità, mentre le patologie più gravi comprendono la CPEO e la KSS associata ad oftalmoplegia, ptosi e miopatia mitocondriale con fibre rosse stracciate (RRFs). La RRFs è spesso associata alla presenza nel muscolo scheletrico di fibre COX-negative e succinato deidrogenasi iperattive che contengono elevate concentrazioni di mtDNA riarrangiato (Mita et al., 1989;Wallace, 2005). La più severa manifestazione clinica dovuta a riarrangiamento del mtDNA è la sindrome di Pearson. I pazienti affetti da questa patologia sviluppano pancitopenia nei primi anni di vita e diventano completamente dipendenti dalle trasfusioni (Kapsa et al., 1994). Se riescono a sopravvivere alla pancitopenia, la patologia si evolve in KSS (Rotig et al., 1995)..La differenza nei fenotipi associati a riarrangiamento del mtDNA sembra derivare dalle differenze tra inserzioni e delezioni, dal tipo di tessuto interessato dal riarrangiamento e dalla percentuale di mtDNA mutato per ogni tessuto (Wallace et al., 2010).

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Malattie mitocondriali associate a mutazioni del DNA nucleare

Mutazioni di geni nucleari codificanti proteine appartenenti alla OXPHOS sono state associate ad un‟ampia varietà di patologie multisistemiche, che spaziano da malattie letali nell‟infanzia come la sindrome di Leigh alla predisposizione verso la depressione (Tabella 1).

Tabella 1 Esempi di mutazioni a livello del nDNA che causano malattie mitocondriali

Queste mutazioni includono:

1. mutazioni nei geni codificanti proteine strutturali o coinvolte nell‟assemblaggio dei complessi della OXPHOS (Procaccio and Wallace, 2004;Zhu et al., 1998)

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15 2. mutazioni nei geni codificanti enzimi coinvolti nella biogenesi mitocondriale come, ad esempio POLG (Spelbrink et al., 2001;Van et al., 2001)

3. mutazioni nel metabolismo dei nucleosidi o nucleotidi (Palmieri et al., 2005;Saada et al., 2001)

4. mutazioni in geni coinvolti della fusione o nella fissione mitocondriale (Delettre et al., 2000;Zuchner et al., 2004)

Approcci terapeutici

Nonostante i recenti progressi nella comprensione dei difetti genetici alla base dello sviluppo delle malattie mitocondriali, le terapie per il trattamento di queste gravi patologie restano ancora estremamente limitate. Una recente ricerca pubblicata dalla “Cochrane collaboration” (Pfeffer et al., 2012) ha valutato i risultati di numerosi studi clinici controllati randomizzati sull‟effetto sia di trattamenti farmacologici che non farmacologici (vitamine e integratori alimentari), e dell‟esercizio fisico, in pazienti con malattie mitocondriali. L‟analisi include in primo luogo la valutazione del miglioramento della forza muscolare, della resistenza o dei sintomi neurologici; in secondo luogo la qualità della vita, markers biochimici della patologia e possibili effetti negativi. In seguito alla revisione di circa 1335 articoli, gli autori hanno concluso che attualmente non

esiste alcuna evidenza a supporto dell’uso delle terapie proposte per i pazienti

mitocondriali e che, quindi, sono necessari ulteriori studi per stabilire l‟efficacia di

questi approcci terapeutici.

L‟assenza di una cura, però, non coincide con la mancanza di trattamenti ed una terapia sintomatica può risultare realmente efficace in pazienti affetti da malattie mitocondriali. Tra le manifestazioni più comuni della encefalopatia mitocondriale, le convulsioni, ad esempio, solitamente rispondono agli antiepilettici

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16 convenzionali. Tuttavia, l‟acido valproico dovrebbe essere usato in associazione con L-carnitina, perché in grado di inibire il suo uptake (Tein et al., 1993). Nei pazienti con oftalmoplegia progressiva esterna, la chirurgia può migliorare la ptosi, anche se non in modo permanente. Anche la cataratta congenita può essere trattata chirurgicamente. Il diabete mellito, insulino-dipendente o non insulino-dipendente, risponde positivamente alla dieta e alla terapia farmacologica. Se effettuato per tempo, l‟impianto di un pacemaker può salvare la vita ai pazienti con KSS. Al contrario, il trapianto di cuore in pazienti con cardiomiopatie associate ad una patologia multisistemica è un argomento controverso, giustificato solo quando il coinvolgimento cardiaco è il problema predominante o esclusivo del paziente (Bohlega et al., 1996;Santorelli et al., 2002). I pazienti con perdita dell‟udito neurosensoriale possono trarre benefici dall‟impianto cocleare (Sue et al., 1998). L‟insufficienza epatica, spesso associata a malattie derivanti da mutazioni nel mtDNA, potrebbe essere risolta da un trapianto di fegato (Dubern et al., 2001). E‟ stata osservata una mioglobinuria ricorrente in pazienti con deficienza primaria di coenzima Q10 o con mutazioni nel mtDNA di geni codificanti proteine. Durante gli episodi acuti, tutti i pazienti dovrebbero essere reidratati e soggetti a dialisi quando la mioglobinuria è complicata da insufficienza renale. Farmaci psicotropi sono efficaci in pazienti con sintomi psichiatrici (in particolar modo depressione), che non sono così infrequenti nei pazienti mitocondriali (Kiejna et al., 2002).

Vari cocktail di vitamine e cofattori sono usati in pazienti con encefalomiopatie mitocondriali, che comprendono riboflavina (vitamina B2), tiamina (vitamina B1), acido folico, CoQ10, l-carnitina, e creatina. Tutti questi sono composti naturali e sono presumibilmente privi di effetti collaterali alle dosi utilizzate. Alcuni come la riboflavina e il coenzima Q10 sono componenti della catena respiratoria, ma non

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17 ci sono evidenze di una loro carenza in seguito a malattie mitocondriali primarie (Matsuoka et al., 1991).

Modelli murini per lo studio delle malattie mitocondriali

Gli studi sui pazienti hanno rivelato molti particolari sugli aspetti genetici delle malattie mitocondriali, ma i meccanismi fiiopatologici alla base del complesso quadro clinico delle patologie rimangono tuttora sconosciuti. Nuove informazioni sono state recentemente ottenute mediante lo studio dei modelli murini di malattie mitocondriali, alcuni dei quali sono descritti di seguito.

Topi deficienti per AIF (Topi arlecchino). L‟ apoptosis-inducing factor (AIF) è una

flavoproteina dello spazio intermembrana (Susin et al., 1999) che contribuisce all‟apoptosi (Cande et al., 2002) e svolge un ruolo importante nella sopravvivenza cellulare mantenendo la struttura mitocondriale (Cheung et al., 2006). Sebbene AIF non faccia parte del Complesso I, sembra svolgere un ruolo cruciale per la sua biogenesi e/o per il suo mantenimento (Benit et al., 2008a). I topi arlecchino possiedono un‟inserzione ectopica nell‟introne 1 del gene per AIF sul cromosoma X, che causa una diminuzione dell‟‟80% dell‟espressione di AIF e una sostanziale riduzione dell‟attività del complesso I (Klein et al., 2002a). Dal punto di vista clinico, maschi eterozigoti e femmine omozigote per l‟allele mutato mostrano un fenotipo eterogeneo, con un ampia variabilità nell‟esordio e nella severità dei sintomi (Benit et al., 2008b). Alla nascita, i topi arlecchino perdono completamente il pelo, che poi ricresce in seguito in modo irregolare, a macchie. Il peso alla nascita è molto basso, e subisce un ulteriore decremento intorno ai 6 mesi di vita (Benit et al., 2008b) Si sviluppa intorno ai 3 mesi di vita una progressiva atassia cerebellare, con perdita di neuroni cerebellari in circa l‟8% dei topi (Benit et al., 2008b). Questi topi hanno un rischio molto elevato di

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18 sviluppare cardiomiopatie ipertrofiche e sono altamente sensibili al danno da ischemia/riperfusione (van Empel et al., 2005a). Presentano patologie oculari rappresentate da ipoplasia oculare nel 20% dei topi e assenza del nervo ottico nel 40% (Klein et al., 2002b;van Empel et al., 2005b). Analisi biochimiche mostrano una riduzione dell‟attività del complesso I nel cervelletto, nel cervello, nel muscolo scheletrico, nella retina, nel nervo ottico e, in minor misura, nel midollo spinale e nel rene. L‟attività del complesso I rimane invece inalterata nel cuore, nel fegato e nei testicoli. A livello istologico, i topi arlecchino risultano normali fino a 3 mesi di vita. A 4 mesi si evidenziano i primi segni di una precoce degenerazione neuronale e astrogliosi con estesa proliferazione vascolare (Klein et al., 2002b). Le femmine eterozigote sono invece istologicamente e clinicamente normali fino a 26 mesi di vita. (Klein et al., 2002b).

Topi Ndufs4 knockout. Recentemente, il gruppo del Prof. Palmiter ha sviluppato

un modello di deficit del complesso I della catena respiratoria mitocondriale, attraverso la delezione del secondo esone del gene per la proteina NADH ubiquinone Fe-S 4 (Ndufs4) (Kruse et al., 2008). Nell‟uomo, il gene Ndufs4, localizzato sul cromosoma 5, codifica una subunità del complesso I di 18 KDa, coinvolta nel corretto assemblaggio dell‟intero complesso (Loeffen et al., 2000). Pazienti che presentano mutazioni di questo gene sono caratterizzati da una patologia simile alla sindrome di Leigh che li porta a morte entro il sedicesimo mese di vita (Anderson et al., 2008;Leshinsky-Silver et al., 2009;Petruzzella and Papa, 2002). Topi eterozigoti per il gene NDUFS4 mutato sono indistinguibili da topi wild-type. Al contrario, topi knockout (KO) per NDUFS4 (Fig. 4) sono caratterizzati da ritardo nella crescita e perdita reversibile del pelo, ma non presentano ulteriori sintomi fino alla quarta/quinta settimana di vita. A partire dal trentesimo giorno dopo la nascita (P30) i topi KO diventano letargici e incapaci di mantenere la temperatura corporea (~2°C più bassa rispetto a topi wild-type). Dal

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19 P35 mostrano una severa atassia e debolezza muscolare. Alcuni NDUFS4 KO hanno inoltre difetti della vista (possono sviluppare la cataratta e/o essere incapaci di aprire gli occhi completamente) e, a partire dal P35, perdono l‟udito. Circa il 30% di questi topi, inoltre, sviluppano epilessia. Tra P30 e P50 smettono di nutrirsi e acquistare peso, mostrano un peggioramento dell‟atassia e, infine, muoiono intorno a P60 (Kruse et al., 2008).

Fig.4. Fenotipo dei topi Ndufs4 Knockout

I livelli di lattato nel siero degli animali che hanno raggiunto uno stadio avanzato della malattia risulta essere leggermente aumentato. La glicemia a digiuno è normale. La valutazione biochimica dell‟attività dei complessi della catena respiratoria nel fegato rivela circa la metà di attività per il complesso I e attività inalterata per gli altri complessi ad eccezione di una lieve diminuzione dell‟attività del complesso III. L‟elettroforesi in condizioni native mostra che la quantità di complesso I assemblato correttamente è ridotta nei topi KO. D‟altro canto, il consumo di ossigeno e la produzione di ATP in condizioni basali sono paragonabili a topi di controllo. Un‟analisi mediante Southern Blot indica un normale numero di genoma mitocondriale. La valutazione microscopica del

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20 cervello, cervelletto, tronco encefalico e dell‟occhio non rivela differenze tra topi KO e WT.

Topi deficienti per Tfam. L‟inattivazione del gene codificante il fattore di

trascrizione mitocondriale Tfam può simulare un modello di delezione del mtDNA. (Larsson et al., 1998). Topi eterozigoti per Tfam sono vitali e in grado di riprodursi, mostrano una riduzione del 50% del trascritto e dei livelli di proteina per Tfam, del 34% per il numero di copie del mtDNA, del 22% dei livelli di trascritto mitocondriale e una parziale riduzione dei livelli della COX nel cuore, ma non nel fegato. I topi knockout per Tfam, invece, muoiono intorno all‟ottavo/decimo giorno di gestazione (E8/E10) e mostrano una delezione completa della proteina Tfam e livelli bassissimi di mtDNA. I mitocondri di questi topi sono più grandi del normale e presentano creste di forma anomala, sono deficienti per la COX, ma non per l‟SDH (Larsson et al., 1998).

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OMEOSTASI DEL NAD

Durante il secolo scorso, numerosi scienziati contribuirono alla scoperta della nicotinamide adenin dinucleotide (NAD) ed alla comprensione della sua struttura e funzione. Tra questi, quattro premi Nobel: Sir Arthur Harden, che nel 1904 identificò nell„estratto di lievito un composto di basso peso molecolare (cozimasi), indispensabile per l„attività degli enzimi della fermentazione, Hans von Euler-Chelpin, che nel 1920 descrisse la ― cozimasi ― come l„insieme dei nucleotidi NMN ed AMP, Otto Warburg, che nel 1936 scoprì la funzione del NAD di trasferire idrogeno da una molecola ad un„altra e Arthur Kornberg, che nel 1948 ne descrisse la sintesi, cioè l„unione di NMN ed AMP da parte dell„enzima NMNAT (Berger et al., 2004).

Oggi il NAD (insieme al suo analogo fosforilato NADP) è considerato la principale molecola responsabile del trasferimento di elettroni in molteplici reazioni di ossidoriduzione (Di Lisa and Ziegler, 2001). Dal momento che la maggior parte delle vie metaboliche necessita di questi nucleotidi piridinici come cofattori, essi svolgono senza dubbio un ruolo chiave nel metabolismo energetico.

Durante gli ultimi anni abbiamo assistito ad un rinnovato interesse per la biosintesi del NAD (Berger et al., 2004;Magni et al., 2008). Questo perché l‟omeostasi del NAD non dipende esclusivamente dalla sua semplice conversione nella corrispondente forma ridotta (NAD+/NADH) ma anche dalla sua irreversibile trasformazione in una numerosa serie di metaboliti che svolgono un ruolo chiave in diversi processi di segnalazione cellulare (Berger et al., 2004;Houtkooper and Auwerx, 2012). Sono stati infatti identificati numerosi enzimi che utilizzano NAD come substrato per la loro attività enzimatica, quali le poli(ADP-ribosio)polimerasi (PARPs), le mono(ADP-ribosio)transferasi (MARTs), le sirtuine e la NADasi CD38. Numerose ricerche si stanno ora concentrando sulla comprensione del ruolo fisiopatologico di questi enzimi, con particolare

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22 attenzione allo sviluppo di tools farmacologici che permettano la modulazione della loro attività per eventuali scopi terapeutici (Belenky et al., 2007;Chiarugi et al., 2012;Houtkooper and Auwerx, 2012;Sauve, 2008).

Recenti evidenze dimostrano che è proprio la disponibilità di NAD all‟interno dei distinti compartimenti cellulari a regolare l‟attività degli enzimi NAD dipendenti (Bai et al., 2011b;Pittelli et al., 2011). Il concetto che, al contrario di quanto precedentemente sostenuto, anche le reazioni metaboliche -le ossidoriduzioni NAD-dipendenti- siano limitate dalle concentrazioni di NAD intracellulare, amplia notevolmente le potenziali applicazioni terapeutiche della modulazione del NAD intracellulare (Houtkooper and Auwerx, 2012).

Biosintesi del NAD

Poiché continuamente degradato durante l‟attività fisiologica degli enzimi menzionati in precedenza, il NAD deve essere necessariamente re-sintetizzato. Lo step comune a tutte le vie di sintesi del NAD è la formazione di un dinucleotide composto da una molecola di AMP (la porzione adenilica dell‟ATP) e un mononucleotide piridinico, l‟NMN (nicotinamide mononucleotide) o l‟acido nicotinico mononucleotide (NAMN) (Fig. 5)

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Fig.5 Rappresentazione schematica delle possibili vie di sintesi del NAD nelle cellule eucariotiche.

Le nucleobasi (come la nicotinamide (Nam) o l‟acido nicotinico (NA) chiamati collettivamente vitamina B3 o niacina) o i nucleosidi (Nam riboside NR o NA riboside (NAR) sono convertiti nei corrispondenti mononucleotidi, NMN e NAMN: Nam e NA dalle fosforibosiltrasferasi e NR e NAR dalle nicotinamide riboside chinasi (NRKs) (Bieganowski and Brenner, 2004). Lo step successivo, che è la trasformazione del mononucleotide in dinucleotide, è operata dalle NMN adenililtrasferasi (NMNATs) ed è comune a tutte le vie di sintesi (Fig). Nei mammiferi, ci sono 3 isoforme distinte di NMNAT che hanno differente distribuzione tissutale e distinta localizzazione intracellulare (Berger et al., 2005;Lau et al., 2010). Mentre l„NMNAT1 ha localizzazione nucleare ed è

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24 espressa in modo ubiquitario in tutti i tessuti, l„NMNAT2 è localizzata a livello dell‟apparato del Golgi ed è espressa maggiormente nel cervello (Raffaelli et al., 2002). Recentemente è stata identificata l„isoforma NMNAT3, localizzata nei mitocondri, i cui livelli di espressione sono minori rispetto all„isoforma 1. Sembra essere espressa in modo ubiquitario, ma maggiormente nel polmone e nella milza ed in misura minore nella placenta e nel rene (Zhang et al., 2003)

Nella classica via di Preiss-Handler il NAD viene sintetizzato a partire dall‟NA. Questa via è predominante negli organismi unicellulari e necessita dell‟amidazione finale dell‟acido nicotinico da parte della NAD sintetasi (Fig). Nel mammifero, anche il triptofano può essere utilizzato per generare NAD attraverso la via delle chinurenine o via de novo (Fig) ma, contrariamente alla niacina, non è in grado da solo di mantenere livelli fisiologici di NAD. La maggior parte del NAD nell‟uomo è sintetizzata a partire dalla Nam nella via di salvataggio. La conversione della Nam a NAD attraverso la Nam fosforibosiltrasferasi è la via più diretta ed economica. La nicotinamide che viene rilasciata nelle reazioni NAD dipendenti, infatti, può tramite la NamPRT essere totalmente riciclata per mantenere i livelli di NAD tissutali. La NamPRT è stata identificata come l‟enzima limitante la biosintesi del NAD nei mammiferi.

Catabolismo del NAD

Quattro famiglie distinte di enzimi utilizzano il NAD come substrato: le poli(ADP-ribosio)polimerasi, le mono(ADP-ribosil)trasferasi, le NADasi e le sirtuine. Questi enzimi sono in grado di scindere il legame glicosidico tra NAM e la porzione ribosidica del NAD e sono responsabili della breve emivita del NAD (1-10 ore)(Houtkooper and Auwerx, 2012;Sauve, 2008).

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PARPs

Quella della poli (ADP ribosio) polimerasi (PARPs) è una superfamiglia di enzimi scoperta per la prima volta nel 1963 dal gruppo di Mandel, a Strasburgo (Chambon et al., 1963). La sua identificazione ha prodotto un interesse biologico crescente ed ha aperto uno dei campi più innovativi e competitivi del panorama scientifico attuale. Ad oggi si conoscono circa 16 isoforme PARP, e ben 18 geni codificanti per tali enzimi, suddivisi in 3 gruppi: le “PARP-1 like”, enzimi la cui attivazione è dipendente da un danno al DNA, le Tankirasi e le Macro-PARPs. Di questa famiglia, l‟enzima più rappresentativo è la PARP-1, una proteina nucleare molto rappresentata, attivata dal danno al DNA. La principale attività catalitica della PARP-1 e simili è quella di trasferire, in seguito all‟attivazione da parte di un danno al DNA, una prima unità di ADP-ribosio dal NAD ad un residuo di glutammato di una proteina bersaglio; quindi, questa prima molecola di ADP-ribosio, viene legata con altre analoghe attraverso un legame O-glicosidico tra l„ossigeno in C-2„ della prima unità di ribosio e il carbonio in C-1‟‟ della seconda unità di NAD che è stata privata della nicotinamide. La reazione prosegue per addizione successiva di monounità, fino all„ottenimento di un biopolimero la cui catena principale è costituita dal motivo ribosio (1‟‟-> 2‟) ribosio-fosfato-fosfato (Fig. 6)

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Fig. 6 Attività catalitica della PARP: la nicotinamide che si libera dalla reazione può essere riciclata nella via di salvataggio per risintetizzare NAD attraverso la NamPRT

In condizioni fisiologiche, in cui le cellule non presentano danni al DNA, la PARP-1 ha un„attività enzimatica molto bassa e risiede per lo più nel nucleoplasma. Quando agenti genotossici provocano una frammentazione della doppia elica del DNA, la proteina si lega ai punti di rottura ed incrementa di circa 500 volte la sua attività enzimatica (Krupitza and Cerutti, 1989). Il poli (ADP-ribosio) (PAR) è un polimero polianionico che può arrivare a superare in peso i 100 KDa ed in estensione le 200 unità monometriche (Alvarez-Gonzalez and Jacobson, 1987;Hayaishi and Ueda, 1977), la cui sintesi ha come target molteplici bersagli biologici, con conseguenze rilevanti sulla regolazione di numerosi aspetti della vita cellulare. Il PAR svolge la funzione di messaggero intracellulare perché,

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27 quando legato alle proteine istoniche, è in grado di rilassare la cromatina e favorire il processo di riparazione del DNA. Infatti, grazie a fenomeni di repulsione elettrostatica dovuti alla presenza dei numerosi gruppi fosfato caricihi negativamente, l„ADP-ribosilazione porta ad uno svolgimento del DNA dagli istoni e all‟esposizione del sito danneggiato agli enzimi di riparazione. Il legame tra la PARP-1 e la doppia elica del DNA ha anche un„altra funzione importante, che consiste nell„arrestare momentaneamente l„attività della DNA-polimerasi nel punto in cui si è verificata la rottura del DNA. Questo ritardo nell„avanzamento della forca replicativa può fornire alla cellula il tempo necessario per riparare il danno, prima che avvenga la duplicazione del DNA. Numerose osservazioni confermano questa interazione tra la PARP-1 ed alcuni componenti del sistema replicativo quali la topoisomerasi I e la DNA-polimerasi α (Simbulan-Rosenthal et al., 1996) dimostrando che in condizioni di alterazioni genetiche questo enzima gioca un ruolo importante nel controllo della replicazione del DNA (Fig. 7).

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28 Se, dunque, in condizioni di blando danno al DNA, la PARP-1 appare come fondamentale per il mantenimento dell„omeostasi genomica cellulare, quando la rottura del DNA risulta essere massiva, la PARP-1 passa da un livello di normale attivazione ad uno stato di iperattivazione, dando inizio ad un processo che concorrerà in ultima analisi alla morte cellulare. All„aumento dell„attività della PARP-1 corrisponde infatti una riduzione della concentrazione di NAD intracellulare, suo substrato. La forte variazione di questo nucleotide è in grado di regolare una grande quantità di processi cellulari come la glicolisi e il ciclo degli acidi tricarbossilici, e dunque la produzione di ATP; il NAD è inoltre il precursore del nicotinamide adenin dinucleotide fosfato (NADP), che agisce da cofattore nella via dei pentoso fosfati ed in molte reazioni di ossidoriduzione, ed è coinvolto nel mantenimento delle riserve di glutatione ridotto. Inoltre, la deplezione di NAD attiva il processo di resintesi del nucleotide, la via di salvataggio, con un consumo totale di un ATP per ogni molecola di NAD re- sintetizzata. Per cui una significativa riduzione delle concentrazioni intracellulari di NAD ha come prima conseguenza una riduzione del metabolismo energetico (Sims et al., 1983). Trattando cellule con alte concentrazioni di agenti genotossici, si arriva al blocco dei processi che necessitano energia (inclusa la sintesi di DNA, RNA ed altre proteine) e, dunque, dopo un iniziale picco di attività, anche del sistema di riparazione del DNA. In condizioni normali il NAD è sottoposto ad un processo omeostatico di metabolismo e rigenerazione continuo, mentre un„eccessiva attivazione della PARP provoca l„alterazione di questo equilibrio spostandolo verso il catabolismo del NAD, con conseguente riduzione del coenzima disponibile. Tutto ciò porta alla deplezione delle riserve energetiche cellulari, aggravando situazioni patologiche in cui l„omeostasi della cellula è già compromessa (Cipriani et al., 2005). Il trattamento con inibitori della PARP blocca la deplezione di NAD e ATP e preserva i processi dipendenti da tali fonti

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29 di energia dall„esposizione ad agenti dannosi per il DNA (Cipriani et al., 2005). Sulla base di queste osservazioni Berger propose la cosiddetta “teoria del suicidio” (Berger, 1985), secondo la quale un grosso danno al DNA porterebbe a morte cellulare per deplezione di NAD e ATP. Questo suicidio cui va incontro la cellula è in realtà un meccanismo di salvezza, perché evita che una cellula estremamente danneggiata continui a vivere e replicarsi rischiando di andare incontro a mutazione e riduce, quindi, la potenzialità di una trasformazione maligna. Tutt„oggi restano tuttavia controversie sul ruolo che l„enzima gioca nel segnalare un danno al DNA e sulla modalità attraverso la quale il DNA danneggiato induca morte cellulare.

Attualmente, gli inibitori PARP sono valutati in trials clinici per il cancro e i disordini cardiovascolari. Sono farmaci ultrapotenti (IC50 1-3 nM) con un buon profilo di sicurezza e si sono rivelati efficaci in numerosi modelli sperimentali di neurodegenerazione.

MARTs

Un‟ulteriore reazione enzimatica che necessita del NAD come substrato è catalizzata dalle mono (ADP-ribosil) transferasi, che trasferiscono un residuo di ADP-ribosio dal NAD su uno specifico amminoacido (solitamente arginina o cisteina) di proteine accettrici. Questo processo è distinto da quello catalizzato dalle PARPs, che trasferiscono polimeri ramificati di ADP-ribosio su proteine bersaglio (Corda and Di, 2003). Nelle cellule di mammifero, la reazione di mono-ADP-ribosilazione è regolata anche da enzimi in grado di revertire queste modificazioni post-traduzionali: le ADP-ribosil idrolasi citosoliche e le pirofosfatasi citosoliche ed extracellulari (Moss et al., 1992;Zolkiewska et al., 1994). Le prime

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30 idrolizzano completamente il legame ADP-ribosio-proteina rilasciando l‟ADP-ribosio, mentre le pirofosfatasi scindono il pirofosfato, rilasciando AMP e lasciando un ribosilfosfato ancorato alla proteina. La scoperta delle mono(ADP-ribosil) transferasi di mammifero è abbastanza recente. La prima è stata isolata nel coniglio negli anni ‟90 (Zolkiewska et al., 1992). Da allora sono state identificate 5 ART nell„uomo (ART1-5, anche se la 2 ha un codone di stop prematuro e probabilmente non è funzionale) e 6 nel topo (Corda and Di, 2003;Koch-Nolte et al., 1997). Queste ART di mammifero sono ectoenzimi ancorati al glicosilfosfatidilinositolo (GPI), che possiedono un sito attivo extracellulare (Corda and Di, 2003). Al contrario, uno di questi enzimi, ART5, manca della sequenza segnale per il legame al GPI in C terminale ed è secreta nello spazio extracellulare (Glowacki et al., 2002). La mono-ADP-ribosilazione negli eucarioti superiori modula la risposta immunitaria, l„adesione cellulare, varie cascate di segnalazione ed il metabolismo cellulare. La funzione dell„ADP-ribosilazione proteica da parte delle ecto-ART è stata studiata nel dettaglio e col tempo sta emergendo un quadro sempre più chiaro. ART1 è prevalentemente espressa nel muscolo scheletrico, nel cuore, nel polmone, nei neutrofili e nelle cellule T (Peterson et al., 1990;Zolkiewska et al., 1992). ART2 è stata descritta in cellule T mature di topo, ma nell‟uomo sembra non essere tradotta a causa della presenza di codone di stop prematuro. Al momento non molto è noto sulla funzione di ART3, ART4 ed ART5 poiché non sono ancora state identificate le proteine target. ART3 ed ART5 sono caratterizzate da elevati livelli di espressione nei testicoli, mentre ART4 è espressa maggiormente nel tessuto linfatico (Grahnert et al., 2002).

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Sirtuine

Le sirtuine sono un‟altra classe di proteine NAD-dipendenti che possiedono attività enzimatica come istone deacetilasi o mono-ribosiltransferasi. Nei mammiferi sono state identificate sette sirtuine, denominate SIRT1-7 e numerose proteine bersaglio, coinvolte nella regolazione della trascrizione, dell„apoptosi e del metabolismo (Imai and Guarente, 2010). In particolare, la deacetilazione istonica NAD-dipendente operata da SIRT1, la sirtuina nucleare più caratterizzata, gioca un ruolo critico nella regolazione di fondamentali risposte biologiche a stimoli nutrizionali ed ambientali in ogni compartimento cellulare (Blander and Guarente, 2004;Imai, 2009;Schwer et al., 2002). Nelle cellule eucariotiche, i cromosomi sono strutture altamente organizzate; il DNA è compattato in cromatina, superavvolto alle proteine istoniche. Gli istoni giocano importanti ruoli strutturali e funzionali in tutti i processi che avvengono nel nucleo (Mai et al, 2005; Fire et al, 1998). Le modificazioni istoniche, incluse l„acetilazione, la metilazione e la fosforilazione, svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione di processi come la trascrizione, il silenziamento genico e la memoria epigenetica (Strahal et al, 2000; Berger, 2002). Tra le varie modificazioni istoniche, l„acetilazione è il fenomeno meglio studiato (Kurdistani et al, 2003). Le lisine amino terminali delle proteine istoniche vanno incontro ad acetilazione-deacetilazione a seconda delle diverse condizioni fisiologiche (Kornberg et al, 1999). Il bilancio tra le modificazioni viene raggiunto attraverso l„azione degli enzimi istone acetiltransferasi (HATs) e istone deacetiltransferasi (HDACs). Questi enzimi catalizzano il trasferimento di un gruppo acetile da molecole di acetil-Coenzima A ai gruppi aminici di lisine delle code N terminali degli istoni (Yang et al, 2004). Poiché la lisina regola la trascrizione interagendo con l„eterocromatina ben impacchettata in modo da renderla eucromatina allo

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32 stato rilassato, l„acetilazione, catalizzata dalle HATs, è associata ad attivazione della trascrizione genica. Al contrario la deacetilazione catalizzata dalle HDACs è associata al silenziamento genico. Le sirtuine sono HDAC di classe III e, a differenza di tutte le altre deacetilasi, possiedono un meccanismo deacetilasico NAD dipendente (Shahper et al, 2010). Alcune patologie possono essere associate a disfunzioni nei livelli di acetilazione delle proteine istoniche (iperacetilazione di regioni cromosomiche che sono normalmente silenziate o la deacetilazione di regioni cromosomiche che sono attivamente trascritte) come ad esempio casi di asma severa insensibile a steroidi (Bergeron et al, 2006), obesità (Lagace et al, 2004), malattie neurodegenerative (McCampbell et al, 2001), e cancro (Jones et al, 1999). Oltre al ruolo che svolgono nella regolazione della trascrizione, le sirtuine possono avere anche bersagli non istonici (Porcu et al, 2005) come, ad esempio, l‟oncosoppressore p53, i fattori di trascrizione FOXO che regolano il metabolismo, la progressione del ciclo cellulare e la tolleranza allo stress, la proteina Ku70 coinvolta nella riparazione del DNA e la subunità p65 di NF-kB, un fattore di trascrizione che gioca un ruolo chiave nella regolazione della risposta immunitaria. Poiché SIRT1 dipende dal NAD per la sua attività deacetilasica, lo stato metabolico della cellula può influenzarne l‟attivazione. In cellule esposte a danno genotossico o ad uno shock, ad esempio, i livelli di NAD potrebbero ridursi notevolmente come conseguenza dell„attivazione PARP, influenzando notevolmente l‟attività delle sirtuine (Zhang, 2003). Crescenti evidenze dimostrano che la biosintesi di NAD, mediata dall‟enzima NamPT a partire dalla Nam, riveste un ruolo fondamentale nella regolazione dell„attività di SIRT1 in diversi tessuti. Questa osservazione ha destato l‟interesse della comunità scientifica nello studio di possibili strategie per aumentare i livelli di NAD intracellulari, al fine di ottenere effetti benefici a livello metabolico, tramite l‟attivazione di SIRT1.

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CD38

Il NAD è, inoltre, mediatore di diverse vie di segnalazione implicate in varie condizioni fisiologiche, perchè substrato per la generazione di secondi messagger come l„ADP-ribosio ciclico (cADPR). L„enzima responsabile della formazione di cADPR dal NAD è la NADasi o NAD glicoidrolasi di cui esistono due omologhi nei mammiferi, CD38 e CD157 (Liu et al, 2005). La presenza di CD38 è pressoché ubiquitaria a livello del sistema immunitario (Malavasi et al, 2008); CD38 è espresso significativamente nei timociti umani, nei linfociti T e B in modo dipendente dal grado di attivazione (d„Arbonneau et al, 2006; Deaglio et al, 2001), nei monociti circolanti (Musso et al, 2001), nelle cellule natural killer (NK) (Mallone et al, 2001), nei granulociti (Fujita et al, 2005) e nei precursori di osteoclasti ed osteoblasti circolanti (Shalhoub et al, 2000). Per quanto riguarda i tessuti non immunitari, forme attive dell„enzima sono state trovate, ad esempio, sulla membrana esterna degli eritrociti (Zocchi et al, 1993), delle piastrine (Ramaschi et al, 1996), dei neuroni (Mizuguchi et al, 1995) e degli astrociti di ratto (Verderio et al, 2001). L‟enzima è in grado di idrolizzare il NAD a Nam e ADPR e, inoltre di ciclizzare la molecola di ADPR, trasformandola in cADPR. L„attività ribosil ciclasica è stata trovata in diverse specie, dagli organismi unicellulari agli invertebrati, alle piante, ai mammiferi, suggerendo che il metabolismo del cADPR sia stato preservato nell„evoluzione come un secondo messaggero ubiquitario (Higashida et al, 1999; Okamoto, 1999). In realtà CD38 è molto inefficiente nel produrre questo secondo messaggero, poiché sono necessarie quasi 100 molecole di NAD per generare una molecola di cADPR (Kim et al, 1993; Zielinska et al, 2004). In base a ciò, CD38 è stato valutato, più che come un enzima in grado di generare il secondo messaggero, come una NADasi che controlla i livelli intracellulari di NAD (Aksoy et al, 2005). Questo

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34 concetto è confermato dal fatto che topi knockout per il gene codificante CD38 hanno livelli basali di NAD 10-20 volte maggiori rispetto a topi wild-type. In realtà, CD38 è un ectoenzima e possiede il sito catalitico sulla superficie extracellulare della membrana citoplasmatica (Aksoy et al, 2005), perciò la questione di come sia in grado di regolare i livelli di NAD intracellulari, piuttosto che extracellulari, e di come possa generare cADPR nel citoplasma, dove sarebbe disponibile per interagire con i canali del calcio, rimane molto controversa. Sono stati proposti diversi meccanismi per spiegare queste osservazioni, inclusa la traslocazione di cADPR promossa da CD38 e l„internalizzazione di CD38 stesso, ma senza giungere ad una conclusione (Guse, 2000). CD38 può anche catalizzare una reazione di transglicosilazione (che consiste nella deamidazione della Nam del NADP) che porta alla sintesi di un altro secondo messaggero il NAADP. Questa reazione enzimatica avviene solo a pH acido, suggerendo che NAADP serva come secondo messaggero in particolari condizioni di alterazione dell‟equilibrio acido-base (Lee, 2004). L‟enzima CD38, generando i secondi messaggeri cADPR e NAADP dal NAD e dal NADP rispettivamente, modula il rilascio di calcio dai compartimenti intracellulari (Lee, 2001). Mentre il cADPR, come il noto inositol (1,4,5)-trifosfato, rilascia calcio con un meccanismo calcio-indotto (CICR), l„effetto del NAADP è indipendente dalla concentrazione di calcio citosolica (Chini et al, 1996). Il cADPR attiva, inoltre, il rilascio di calcio dal reticolo endoplasmatico (o sarcoplasmatico) con il coinvolgimento di recettori rianodinici, mentre il NAADP libera il calcio dai lisosomi tramite un recettore di membrana non ben identificato (Patel et al, 2001; Galione et al, 2000). Eventi cellulari importanti correlati alla mobilizzazione di calcio indotta da cADPR e NAADP includono la contrazione muscolare, i flussi ionici, la secrezione di catecolamine, la secrezione di insulina e l„attivazione di cellule T (Lee, 2001; Patel et al, 2001).

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La regolazione del NAD nei mitocondri

i mitocondri hanno bisogno del NAD come cofattore essenziale per la produzione di ATP e per il mantenimento del potenziale di membrana. Poiché il ciclo degli acidi tricarbossilici e la fosforilazione ossidativa necessitano di NAD e NADH rispettivamente, è indispensabile mantenere un rapporto NAD/NADH ottimale all‟interno dell‟organello per un metabolismo mitocondriale efficiente.

Studi recenti hanno dimostrato che i livelli di NAD intracellulari sono limitanti per il corretto funzionamento mitocondriale (Alano et al., 2004;Bai et al., 2011b;Pittelli et al., 2011). Inoltre, la biosintesi, la localizzazione subcellulare e il trasporto del NAD e dei suoi intermediari giocano un ruolo importante nella regolazione di vari processi biologici, in particolare coinvolti nel corretto funzionamento mitocondriale(Alano et al., 2004;Sauve, 2008;Stein and Imai, 2012)

Il pool di NAD mitocondriale sembra essere distinto dal quello citoplasmatico (Pittelli et al., 2010;Yang et al., 2007a). Mentre il rapporto NAD/NADH nel citoplasma di una tipica cellula eucariotica è nell‟intervallo tra 60 e 700, nei mitocondri è mantenuto tra 7 e 8 (Williamson et al., 1967). I livelli di NAD mitocondriale possono essere più elevati di quelli citoplasmatici, ma la differenza nei contenuti intra-compartimentali del nucleotide dipendono dal tipo cellulare considerato (Sauve, 2008). Ad esempio, nei miociti cardiaci il NAD mitocondriale rappresenta il 70% del pool cellulare, (Alano et al., 2007;Di Lisa et al., 2001), il 50% nei neuroni (Alano et al., 2007), il 30-40% negli epatociti (Sauve, 2008) e negli astrociti (Alano et al., 2007).

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Fig.8 Omeostasi del NAD mitocondriale

Queste differenze rispecchiano, presumibilmente, le necessità metaboliche della cellula (Di Lisa et al., 2001). Crescenti evidenze dimostrano che il NAD mitocondriale può essere preservato almeno per 24 h anche in seguito ad una deplezione massiva del NAD citoplasmatico (Alano et al., 2007;Alano et al., 2010;Di Lisa et al., 2001;Houtkooper and Auwerx, 2012;Pittelli et al., 2010;Yang et al., 2007a). Questo pool di NAD potrebbe essere sequestrato nei mitocondri per mantenere i livelli di ATP e, quindi, la sopravvivenza cellulare fino alla rottura della membrana mitocondriale. Alcuni studi suggeriscono che i mitocondri possiedano un meccanismo autonomo per la biosintesi del NAD in grado di mantenere il pool di NAD mitocondriale in seguito a stress ambientali o nutrizionali(Yang et al., 2007a). Ciò nonostante, non è stato ancora chiarito se il NAD mitocondriale sia realmente originato all‟interno dell‟organello o sia di origine citoplasmatica, ed è attualmente argomento di intenso dibattito. Infatti, dal momento che la permeabilità della membrana interna mitocondriale è altamente

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37 regolata, l‟esistenza (o l‟assenza) di una via biosintetica all‟interno dell‟organello ha fatto sorgere la questione di come i precursori del NAD (o il NAD stesso) possano entrare nella matrice mitocondriale. Nel lievito, il NAD non viene sintetizzato nei mitocondri (Todisco et al., 2006), ma viene trasportato dalle nucleosidi deossiribosiltrasferasi Ndt1 e Ndt2 mediante antiporto con AMP e GMP mitocondriali (Todisco et al., 2006). Un trasportatore mitocondriale del NAD, denominato AtNDT2, è stato identificato anche in Arabidopsis (Palmieri et al., 2009). Al contrario, nelle cellule di mammifero, non è stato ancora identificato un trasportatore mitocondriale per il NAD (Todisco et al., 2006;Yang et al., 2007a) e il NAD non è in grado di attraversare la membrana interna mitocondriale di organelli isolati (Barile et al., 1996), ma questo non è sufficiente per escludere la possibilità di un eventuale scambio del nucleotide tra citoplasma e mitocondri. Come mostrato in Fig. 8 l‟enzima NMNAT3 sembra essere localizzato nei mitocondri (Berger et al., 2005;Nikiforov et al., 2011), ma numerosi studi hanno riportato la presenza della NamPT esclusivamente nel citoplasma (Nikiforov et al., 2011;Pittelli et al., 2010;Revollo et al., 2004;Sasaki et al., 2006). Questo presupporrebbe l‟esistenza di un trasportatore per l‟NMN, prodotto dalla NamPT nel citoplasma, sulla membrana interna mitocondriale, che però non è stato ancora identificato. Le informazioni attuali sulla biosintesi del NAD nei mitocondri lasciano ancora aperti numerosi interrogativi e sono necessari ulteriori studi per identificare la vera origine del NAD mitocondriale e per poter sviluppare strategie efficaci al fine di preservare la funzionalità mitocondriale.

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SCOPO DELLA RICERCA

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39 Le malattie mitocondriali sono un gruppo di devastanti patologie per le quali non esistono ancora trattamenti efficaci. Tuttavia, è necessario conoscere i meccanismi patogenetici indotti dal difetto genetico primario per identificare una strategia farmaco-terapeutica e per capire se la disfunzione mitocondriale possa essere in parte attenuata stimolando vie metaboliche alternative.

Alcune evidenze suggeriscono che la produzione di specie reattive dell‟ossigeno (ROS) sia la causa principale della morte cellulare in queste patologie (Fato et al., 2008). L‟iperattivazione dell‟enzima PARP1, che utilizza il NAD come substrato, è un evento chiave nella morte cellulare ROS dipendente. Infatti, un‟eccessiva attività di PARP-1 depleta i contenuti di NAD e ATP intracellulari, portando a squilibrio energetico e morte cellulare (Chiarugi, 2002). Inoltre, recenti studi hanno dimostrato che due enzimi della famiglia PARP, PARP-1 e PARP-2, regolano negativamente la bioenergetica cellulare limitando l‟attività di SIRT1, riducendo la disponibilità di NAD e downregolando la sua espressione rispettivamente (Bai et al., 2011a;Bai et al., 2011b).

I nucleotidi piridinici NAD(H) e NADP(H) giocano un ruolo fondamentale nel funzionamento mitocondriale. E‟ sorprendente come, ciò nonostante, l‟origine metabolica del NAD mitocondriale sia ancora completamente sconosciuta. Recenti teorie sostengono che il NAD sia formato all‟interno dell‟organello (Nikiforov et al., 2011;Stein and Imai, 2012) ma ancora non esistono chiare evidenze biochimiche che questo avvenga. Inoltre, non è noto se difetti genetici primari di geni codificanti proteine mitocondriali possano alterare l‟omeostasi del NAD all‟interno dell‟organello, evento che di conseguenza potrebbe contribuire al peggioramento dello squilibrio energetico. Studi recenti dimostrano che l‟aumento del NAD intracellulare è in grado di migliorare la funzionalità

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40 mitocondriale (Bai et al., 2011b;Pittelli et al., 2011) e potrebbe essere di rilevanza terapeutica per pazienti che soffrono di disordini metabolici, incluse le malattie mitocondriali.

Alla luce di queste osservazioni, lo scopo della tesi è stato quello di ottenere nuove informazioni sul metabolismo del NAD mitocondriale, di valutare il possibile ruolo patogenetico di enzimi -le PARPs- che utilizzano il NAD come substrato e di valutare l‟effetto farmacologico dell‟inibizione PARP in un modello murino di malattia mitocondriale.

La ricerca è stata suddivisa in due parti fondamentali:

La prima parte è stata incentrata sullo studio dell‟origine metabolica del NAD mitocondriale. In particolare, abbiamo valutato il contributo dell‟NMNAT3, unico enzima della via biosintetica del NAD al momento individuato nell‟organello, al mantenimento del pool di NAD mitocondriale.

Fino a questo momento, l‟enzima NMNAT3 è stato studiato esclusivamente mediante l‟utilizzo di vettori plasmidici in grado di indurne artificialmente l‟espressione e non è stata mai valutata la rilevanza funzionale della proteina endogena nell‟omeostasi del NAD mitocondriale. La nostra ricerca ha avuto come scopo quello di valutare l‟espressione costitutivi dell‟enzima, a livello di RNA messaggero e come proteina, in differenti condizioni sperimentali; di studiare l‟effetto del silenziamento transiente e stabile dei livelli endogeni di NMNAT3 nella linea cellulare HEK293 sull‟attività enzimatica NMNAT e sui livelli di NAD intracellulari e mitocondriali. Come controllo, è stato valutato anche l‟effetto del silenziamento di NMNAT1 sugli stessi parametri nei differenti compartimenti cellulari. Sono stati analizzati anche i contenuti di ATP e il consumo di ossigeno come indice del contributo bioenergetico dell‟enzima.

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41 Abbiamo inoltre trasfettato in cellule HEK293 le diverse varianti dell‟NMNAT3, da noi identificate per la prima volta, per studiarne la localizzazione, l‟attività e l‟effetto funzionale. Inoltre, abbiamo analizzato l‟effetto del NAD esogeno e dei suoi precursori aggiunti al medium di coltura delle cellule HEK293 sui livelli di NAD mitocondriali, in diverse condizioni sperimentali, utilizzando una nuova metodica per l‟analisi indiretta del pool di NAD nell‟organello.

Lo scopo della seconda parte della ricerca è stato quello di valutare la possibile alterazione dei contenuti di NAD e l‟attivazione PARP in un modello murino di malattia mitocondriale e di analizzare l‟effetto della soppressione genica o farmacologica di PARP sull‟esordio e la progressione della patologia.

Per questo scopo abbiamo utilizzato, come modello animale, i topi NDUFS4 knockout gentilmente fornitici dal gruppo del prof. Palmiter dell‟Howard Hughes Medical Institute di Washington. In questi topi abbiamo misurato i livelli di NAD cerebrali e la quantità di poli(ADP)ribosio come indice di attivazione PARP, sia all‟esordio che ad uno stadio avanzato della malattia per stabilire un‟eventuale correlazione tra livelli di NAD (e/o attivazione PARP) e la severità della malattia. Ancora, i topi sono stati sottoposti al trattamento cronico con un potente inibitore PARP sviluppato da Astrazeneca e sono stati valutati gli effetti sul peso e su diversi parametri neurologici caratteristici della malattia mitocondriale. Infine, incrociando i topi Ndufs4 KO con topi deficienti per PARP-1 abbiamo generato per la prima volta toppi KO per entrambi i geni PARP-1 e NDUFS4. In questo modo, abbiamo potuto valutare l‟effetto selettivo della soppressione genica di PARP-1 sull‟esordio della malattia, sui sintomi e sulla sopravvivenza dei topi trattati rispetto a topi esposti al solo veicolo.

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Colture cellulari

Le linee cellulari utilizzate nello studio sono state mantenute in coltura in Dulbecco„s modified Eagle„s medium (DMEM) integrato con 2mM di glutamina, 10% di siero fetale bovino e antibiotici. Il giorno prima dell„esperimento le cellule sono state piastrate ad una confluenza del 50-70% e successivamente esposte al trattamento voluto. Le cellule sono state esposte a NAD, NAM, NMN, nicotinamide riboside e acido nicotinico o ad altri composti, direttamente disciolti nel terreno di coltura. NR è stata sintetizzata come descritto da Yang et al. (Yang et al., 2007b).

Shock termico

Per gli esperimenti di shock termico, cellule HEK293, piastrate il giorno precedente al 50-70% di confluenza, sono state incubate per 30 minuti in un bagnetto riscaldato a 44°C e poi soggette a differenti periodi di recupero a 37°C (da 1h a 3h). In seguito, è stato estratto e retro-trascritto l‟RNA totale come descritto nei paragrafi seguenti e sono stati valutati i livelli di espressione delle NMNAT1-3.

Misurazione della concentrazione di NAD

I contenuti di NAD intracellulari sono stati quantificati mediante l„uso di una reazione enzimatica ciclica descritta in Cipriani et al. (Cipriani et al., 2005). Questo saggio colorimetrico prevede l„ossidazione della miscela MTT - Fenazina etosolfato da parte dell„Alcol deidrogenasi, che utilizza il NAD come cofattore, con conseguente colorazione verde-bluastra che si forma in maniera

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44 proporzionale ai contenuti di NAD presenti nell‟estratto cellulare. La valutazione dell„intensità di colore viene dunque valutata con uno spettrofotometro Victor3 (PerkinElmer) alla lunghezza d„onda di 600 nm. Per calcolare i contenuti di NAD di ciascun campione è stata utilizzata una curva standard ottenuta con soluzioni di NAD a diverse concentrazioni (da 1μM a 10mM).

Separazione dei compartimenti cellulari

I mitocondri e i nuclei sono stati isolati da cellule HEK293 usando un omogenizzatore vetro-vetro (80 colpi) in 500 μl di tampone di isolamento (TRIS/MOPS 10mM, EGTA/TRIS 1mM, saccarosio 200mM, pH 7.4) come descritto in Formentini et al (Formentini et al., 2009). Brevemente, i surnatanti sono stati prima centrifugati 600 g per ottenere la frazione nucleare e poi sono stati centrifugati a 7000 g per ottenere il pellet mitocondriale.

Saggio enzimatico per l’attività NMN-adenililtrasferasica

Per il saggio enzimatico, le cellule, i nuclei o i mitocondri sono stati lisati in 200 µl di buffer di lisi (25 mM Tris/HCl pH 8, 150 mM NaCl, 0,5% Triton-X). Gli estratti sono stati incubati per 30 minuti a 37°C in un buffer di reazione contenente 50 mM Tris/HCl pH 8, 200 mM NaCl, 1 mM MgCl2 insieme a 1 mM NMN e/o 1 mM ATP. La formazione di NAD è stata valutata utilizzando il metodo enzimatico ciclico descritto in precedenza.

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Western blotting

Per il western blotting, le cellule da pozzetti a confluenza (24 o 48 multiwell) sono state lisate in un tampone di lisi (50mmol/L Tris, pH 7,4, 1mmol/L EDTA, 1mmol/L PMSF, 4μg/ml aprotinina e leupeptina, 1% SDS). Sono state dosate le proteine e caricate su gel di elettroforesi (4-20% SDS-PAGE). Le proteine separate sul gel sono state poi trasferite su membrana (Hybond-ECL, Amersham,UK) bloccate in TBS contenente 0.1% Tween–20 e 5% di latte per 1 ora e incubate overnight con l„anticorpo primario (1:1000 in TBST/5% latte). Il giorno dopo le membrane sono state lavate in TPBS e successivamente incubate con anticorpo secondario corrispondente coniugato alla perossidasi diluito 1:2000 in TPBS/5% latte. Le bande delle proteine legate alla perossidasi sono poi visualizzate mediante incubazione con ECL-Plus (Amersham, UK). L„anticorpo anti-PAR (10H) e l‟anticorpo monoclonale anti-ubiquitina utilizzati sono stati acquistati dall„Alexis (Vinci, Italia). L‟anticorpo policlonale anti-NMNAT3 è stato gentilmente fornito dal gruppo del prof. Magni (Università Politecnica delle Marche).

PCR, clonaggi e trasfezioni

L‟RNA totale è stato estratto da cellule HEK293 o da tessuti umani tramite l‟utilizzo dell‟ RNeasy mini kit (Qiagen, Milano). Gli acidi nucleici sono stati poi sottoposti ad un processo di digestione con la RNasi-free DNasi e l‟RNA risultante è stato quantificato. Un µg di RNA è stato retrotrascritto utilizzando la iScript (Bio-Rad Milan Italy) e amplificato con specifici primers descritti in Tabella. I prodotti di PCR sono stati separati su gel di agarosio al 2% e le relative bande sono state analizzate tramite Sanger sequencing.

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46 Le PCR Real-Time sono state effettuate, usando lo strumento Rotor-Gene 3000 (Qiagen) e il kit per PCR Rotor-GeneTM SYBR® Green (Qiagen, Milano). Sono stati utilizzati i seguenti primers: per NMNAT1 forward 5‟-TCCCATCACCAACATGCACC-3‟ e reverse 5‟-TGATGACCCGGTGATAGGCAG-3‟; per NMNAT3v1/FKSG76 forward 5‟-ATGGGAAGAAAGACCTCGCAG-3‟ and

5‟-AGTTTGCTGTGATGATGCCTC-3‟; per 18S, forward

5‟-CGGCTACCACATCCAAGGAA-3‟ e reverse 5‟-GCTGGAATTACCGCGGCT-3‟. I primers sono stati acquistati alla IDT (Leuven, Belgio). I primers utilizzati per il

clonaggio sono per NMNAT3v1: forward 5‟-

GGTACCGTTATGGGCTACCAGGTCATCCAGGGT-3‟ e reverse 5‟-

GAACTCGAGCTAGCTTGTCTTGCCCTCAGTGC-3‟. Il prodotto di amplificazione ottenuto da cDNA di HEK293 è stato clonato nel vettore pCDNA3.1+ (Invitrogen, Milano, Italia) contenente la sequenza FLAG.

Le cellule HEK 293 sono state trasfettate con 4 µg dei differenti plasmidi pCDNA3-NMNAT3v1-FLAG, pFLAG5-FKSG76 (Berger et al., 2005), mitoPARP1-cd (Dolle et al., 2010) o con il vettore vuoto. Il silenziamento è stato ottenuto adottando un protocollo di silenziamento a “doppio colpo”, esponendo le cellule a 50 nM di siRNA (Dharmacon, Lafayette, CO, USA) contro NMNAT1 or NMNAT3 al tempo zero e dopo 48 ore. Per la trasfezione ed il silenziamento è stato usato il kit jetPRIME™ (Polyplus, Illkirch, France).

Riferimenti

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