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Analisi sperimentale dell'effetto di getti elettroidrodinamici sullo scambio termico in ebollizione

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Academic year: 2021

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(1)

I

INDICE

SOMMARIO...

1

INTRODUZIONE...

1

FONDAMENTI TEORICI...

2

1. CENNI SULL’EBOLLIZIONE...

2

1.1

E

VAPORAZIONE ED EBOLLIZIONE

...

2

1.2 P

OOL BOILING

...

4

1.3

I

NIZIO DELL

EBOLLIZIONE NUCLEATA ED ISTERESI DELLA CURVA

...

6

1.4 Ebollizione nucleata...

7

1.5

N

UCLEAZIONE DELLE BOLLE DI VAPORE

...

9

1.6

C

RISI DELL

EBOLLIZIONE NUCLEATA E FLUSSO TERMICO CRITICO

...

15

1.6.1 Effetto dell’inclinazione della superficie sul flusso critico...

19

2. EBOLLIZIONE IN PRESENZA DI GETTI IMPATTANTI SULLA SUPERFICIE

SCALDANTE...

21

2.1

G

ETTI SOMMERSI MONOFASE

...

21

2.2

G

ETTI BOLLENTI

...

25

2.2.1 Onset dell’ebollizione nucleata...

26

2.2.2 Ebollizione nucleata completamente sviluppata...

27

2.2.3 Flusso critico...

31

3.

CONCETTI

DI

ELETTROIDRODINAMICA

(EHD)...

35

3.1

C

ONDUZIONE IN UN FLUIDO DIELETTRICO

...

35

3.1.1 Ionizzazione per collisione...

36

3.1.2 Mobilità ionica aumentata dal campo elettrico applicato...

37

3.1.3 Dissociazione di elettroliti promossa dal campo elettrico...

38

3.1.4 Emissione di elettroni dal catodo...

39

3.1.5 Ion injection...

40

3.2

L

E EQUAZIONI DELL

ELETTROIDRODINAMICA PER UN FLUIDO MONOFASE

...

42

3.2.1 Il bilancio di vorticità...

47

3.3

E

FFETTI IDRODINAMICI INDOTTI DALL

ION INJECTION

...

48

3.4

A

NALOGIA TRA GETTI

EHD

E GETTI FLUIDODINAMICI ORDINARI

...

51

(2)

II

4.

L’APPARATO

SPERIMENTALE...

56

4.1

D

ESCRIZIONE GENERALE DELLA SEZIONE DI PROVA

...

56

4.2

E

LENCO DEI COMPONENTI DELL

APPARATO SPERIMENTALE

...

58

4.3

D

ETTAGLIO DEI COMPONENTI PRINCIPALI

...

61

4.3.1 La lastra scaldante...

61

4.3.2 Sostegno dell’elemento scaldante...

65

4.3.3 Sistema di movimentazione dell’elettrodo...

68

4.3.4 Il bagno termostatico e lo scambiatore di calore...

69

4.4

I

L CIRCUITO IDRAULICO

...

72

4.5

I

L SISTEMA ELETTRICO

...

73

5.

ALLESTIMENTO

DELL’APPARATO

SPERIMENTALE...

76

5.2

T

ARATURA DELLE TERMORESISTENZE

...

78

5.3

T

ARATURA DELLE LASTRE SCALDANTI

...

87

5.3.1 Taratura preliminare...

88

5.4

A

PPLICAZIONE DELLE TERMOCOPPIE E SECONDA TARATURA

...

93

5.4.1 Taratura delle termocoppie...

99

5.4.2 Seconda taratura delle lastre...

102

6.

IL

SISTEMA

DI

ACQUISIZIONE...

113

6.1

GRANDEZZE MISURATE

...

113

6.2

GRANDEZZE ACQUISITE

...

114

6.2.1 Misura di temperatura tramite la termocoppia...

116

6.2.2 Misura della corrente nel circuito di bassa tensione...

116

6.2.3 Misura del flusso termico e della temperatura media della

lastra scaldante...

117

6.2.4 Misura della pressione nella cella di contenimento del fluido....

118

6.2.5 Misura della corrente nel circuito di alta tensione...

119

6.2.6 Misura della temperatura media del fluido...

120

(3)

III

7. CAMPAGNA SPERIMENTALE...

125

7.1

F

ASE SPERIMENTALE

1...

125

7.1.1 Conclusioni sui risultati della fase 1...

129

7.2

F

ASE SPERIMENTALE

2...

129

7.2.1 Conclusioni sui risultati della fase 2...

137

7.3

F

ASE SPERIMENTALE

3...

138

7.3.1 Conclusioni sui risultati della fase 3...

147

7.4

F

ASE SPERIMENTALE

4...

148

7.4.1 Conclusioni sui risultati della fase 4...

154

7.5

F

ASE SPERIMENTALE

5...

155

8. CONCLUSIONI...

162

APPENDICE A - Proprietà del fluido di lavoro HFE-7100...

167

APPENDICE B – Accuratezze degli strumenti di misura...

169

APPENDICE C – Curva di taratura della termoresistenza campione...

170

APPENDICE D –

Valutazione del transitorio termico delle lastre in taratura..

171

APPENDICE E – Valutazione del coefficiente di scambio delle lastre nel

forno di taratura...

178

APPENDICE F – Parametri tipici della campagna sperimentale...

181

APPENDICE G – Il software di acquisizione dati...

183

BIBLIOGRAFIA...

187

(4)

1

SOMMARIO

Lo scopo di questo lavoro è quello di studiare l’effetto di getti elettroidrodinamici sullo scambio termico in regime di ebollizione nucleata del fluido dielettrico HFE-7100 su una lastra scaldante piana. Lo studio è stato condotto per via sperimentale con test effettuati in condizioni stazionarie. Nel seguito saranno dapprima introdotti gli aspetti fondamentali riguardanti la fenomenologia del pool boiling e l’effetto di getti fluidodinamici su di essa. Successivamente si illustreranno alcuni effetti dell’applicazione di un campo elettrico in un fluido dielettrico. Saranno descritte la configurazione dell’apparato sperimentale e la sua messa a punto. Verranno analizzati gli effetti di un getto elettroidrodinamico sullo scambio termico confrontando i risultati con quelli ottenuti nel caso di pool boiling. L’analisi sarà ripetuta per vari livelli di sottoraffreddamento del fluido e per vari livelli di intensità del getto. I risultati di scambio termico saranno affiancati da visualizzazioni fotografiche del regime di ebollizione.

INTRODUZIONE

Le applicazioni industriali e le tecnologiche che richiedono uno stretto controllo della temperatura e la dissipazione di alti flussi termici sono numerose. Lo scambio termico con ebollizione o con l’impiego di getti impattanti su una superficie permette di ottenere coefficienti di scambio estremamente elevati, rendendo queste tecniche molto attrattive. I coefficienti che si raggiungono con semplici getti liquidi monofase possono superare valori di 10000 W/(m2∙K) [1].

Per anni il raffreddamento tramite getti fluidodinamici è stato importante nell’industria metallurgica e più recentemente è stato individuato come possibile soluzione per il raffreddamento di microchip e circuiti elettronici che introducono anche vincoli stringenti per quanto riguarda lo spazio disponibile [1,2].

L’interesse sull’impiego di getti impattanti è anche dovuto al fatto che l’efficienza dello scambio termico in ebollizione dipende dall’orientazione della superficie da raffreddare rispetto alla forza di gravità. Questa gioca un ruolo fondamentale poiché le forze di galleggiamento hanno un’influenza primaria sul moto del vapore che si forma sull’elemento scaldante.

(5)

2 Inoltre esistono applicazioni, come quelle spaziali, in cui la forza di gravità viene praticamente a mancare. L’utilizzo di getti la cui generazione è indipendente dalla forza di gravità potrebbe essere una buona risposta a queste situazioni.

Il mantenimento di un getto fluidodinamico richiede comunque di fornire una certa potenza al sistema che lo genera. L’impiego di getti indotti in un fluido dielettrico tramite l’iniezione di ioni da un elettrodo metallico a punta è stato provato essere un metodo efficiente di ottenere alti coefficienti di scambio termico nel raffreddamento di una superficie con una richiesta di potenza molto bassa [3,4,5,6].

FONDAMENTI TEORICI

1. CENNI SULL’EBOLLIZIONE

1.1

E

VAPORAZIONE ED EBOLLIZIONE

Con evaporazione si intende il cambiamento di fase liquido-vapore che avviene sul pelo libero di un liquido macroscopicamente in quiete senza la formazione di bolle. Se il liquido si trova ad una certa temperatura le sue molecole avranno un’energia cinetica media. L’energia cinetica delle singole molecole oscillerà attorno a questo valor medio, raggiungendo eventualmente valori tali da superare il lavoro di estrazione. Alla superficie libera del liquido la possibilità di movimento molecolare aumenta e le molecole possono passare allo stato aeriforme, vincendo la forza di coesione con le altre particelle a spese della propria energia cinetica [7].

Vicino al pelo libero le forze di attrazione delle molecole del liquido hanno una risultante non nulla e tendono a trattenere le molecole che vorrebbero sfuggire. Questo è il motivo per cui si parla di lavoro di estrazione. Per poter estrarre una molecola dal liquido è necessario compiere lavoro per portarla nello strato più superficiale di spessore pari al raggio d’azione delle forze intermolecolari, ovvero è necessario compiere lavoro per aumentare la superficie dell’interfaccia liquido-vapore [7].

(6)

3 Fig. 1.1 Andamento delle forze intermolecolari al variare della distanza [7]

Questo lavoro si riconduce formalmente all’azione della tensione superficiale. L’intero strato superficiale di spessore è attratto dal liquido sottostante che risulta quindi in pressione rispetto all’ambiente esterno. Da questa osservazione si capisce che l’effetto della tensione superficiale causa una variazione di pressione a cavallo dell’interfaccia del liquido con un altra sostanza o, ad esempio con il suo stesso vapore.

Finora con il termine evaporazione è stato definito il semplice cambiamento di fase liquido-vapore che avviene su una superficie libera. Per ebollizione si intende invece un cambiamento di fase che avvenga con formazione di bolle di vapore. La formazione delle bolle è detta omogenea (o di massa) quando esse si originano in seno al liquido, non a contatto con le pareti di contenimento. L’ebollizione parte casualmente da un centro di nucleazione e si espande nella massa di liquido. Un altro tipo di ebollizione è detta eterogenea o superficiale e si ha quando la nucleazione delle bolle non si origina in seno al liquido, ma a contatto con una superficie scaldante immersa nello stesso. Anche in questo caso l’ebollizione inizia in siti di nucleazione ben precisi sulla superficie.

(7)

4

1.2

P

OOL BOILING

Con pool boiling si indica l’ebollizione eterogenea (o superficiale) su un riscaldatore immerso in un fluido inizialmente in quiete. I moti che si vengono a creare nel fluido sono dovuti unicamente alla convezione naturale e alla generazione di vapore sulla superficie scaldante. I dati di scambio termico in queste condizioni vengono tipicamente visualizzati in grafici logaritmici che riportano in ordinata il flusso termico sulla superficie ed in ascissa la sovratemperatura di parete, ovvero la differenza tra la temperatura di parete e la temperatura di saturazione del fluido alla pressione dell’ambiente.

La curva che si ottiene osservando la variazione del flusso termico fissata la temperatura di parete è detta curva caratteristica di Nukiyama o curva di ebollizione.

Fig 1.2 Curva caratteristica di Nukiyama o curva di ebollizione [1]

A sinistra del punto A si ha convezione naturale monofase ed il flusso termico aumenta con la temperatura della parete. Quando si raggiunge il punto A si osserva la formazione delle prime isolate bolle di vapore. Dopo questo punto, detto di inizio dell’ebollizione nucleata (onset of nucleate boiling ONB), la pendenza della curva cambia drasticamente e ad un

(8)

5 piccolo aumento della temperatura di parete corrisponde un notevole aumento del flusso termico. Dopo il punto A’ la curva in coordinate logaritmiche è rettilinea e si dice che l’ebollizione a nuclei è completamente sviluppata (fully developed nucleate boiling FNB), ma esistono varie definizioni di questo regime [1]. Percorrendo la curva nel tratto AB si ha inizialmente la formazione di bolle di vapore con una certa frequenza da siti di nucleazione ben distinti. All’aumentare della temperatura di parete i siti di nucleazione attivi aumentano in numero ed aumenta anche la frequenza con cui le bolle si distaccano dalla superficie. All’aumentare della temperatura e del flusso termico i siti di nucleazione coprono una porzione sempre maggiore della superficie e si generano dei filari di bolle che ci susseguono distaccandosi dalla superficie. Le bolle possono anche incontrarsi e coalescere con quelle che si originano da siti vicini. In prossimità del punto B la frequenza di distacco delle bolle è tale che non si distinguono più, ma si hanno dei veri e propri getti colonnari di vapore. Il flusso in corrispondenza del punto B è detto flusso termico critico poiché in queste condizioni si giunge alla crisi dell’ebollizione nucleata ed i getti di vapore interagiscono lateralmente tra loro impedendo al liquido di raggiungere la parete e formando uno strato di vapore isolante sulla superficie dell’elemento scaldante. Se si lavora a temperatura imposta da questo punto in poi si ha una diminuzione del flusso termico all’aumentare della temperatura della parete. La pellicola di vapore che ormai ricopre la superficie è tuttavia instabile tra il punto B ed il punto C della curva e in modo irregolare si rompe riformando i getti di vapore. Questo regime di ebollizione è detto di transizione. Il punto C è il punto di flusso termico minimo perché si abbia uno strato di vapore stabile sulla superficie scaldante ed il tratto di curva CD è detto appunto ebollizione pellicolare o a film. Lo strato di vapore in questo regime è stabile nel senso che ricopre sempre completamente la parete, ma la sua interfaccia con il liquido sovrastante è percorsa da rapide onde. Proseguendo in questo tratto della curva la temperatura dell’elemento scaldante aumenta molto, può raggiungere anche il punto di fusione del materiale e una quota sempre maggiore di calore viene trasmessa per irraggiamento [7].

Se si impone solo il flusso termico non è possibile ottenere tutti i regimi finora descritti. Una volta raggiunto il punto B si forma sul riscaldatore un film di vapore e la sua temperatura aumenta in maniera distruttiva lungo il tratto BB’.

(9)

6 La condizione di flusso termico critico o CHF (critical heat flux) costituisce un limite al flusso termico che si può raggiungere in un sistema bollente, quindi è l’aspetto su cui si sono focalizzati maggiormente gli sforzi della ricerca.

1.3

I

NIZIO DELL

EBOLLIZIONE NUCLEATA ED ISTERESI DELLA CURVA

L’inizio dell’ebollizione si ha tipicamente dopo che la temperatura della parete ha superato di almeno qualche grado quella di saturazione del fluido, ma non è sempre un fenomeno graduale. A volte a seconda del tipo di superficie e di fluido può capitare che la sovratemperatura di parete aumenti di diversi gradi senza che si abbia la formazione di alcuna bolla per minuti; poi all’improvviso l’ebollizione inizia casualmente da un sito di nucleazione e si espande bruscamente su tutta la superficie con un abbassamento della temperatura della parete [7]. Questo fenomeno è detto overshoot di temperatura.

Fig. 1.3 Overshoot ed isteresi della curva di ebollizione

Inoltre tale condizione non si ripete abbassando il flusso termico, l’andamento della curva è diverso. La generazione di bolle persiste anche a temperature più basse di quella a cui sono comparse la prima volta e la temperatura decresce in modo monotono, senza salti.

(10)

7 La curva di ebollizione può presentare isteresi anche se percorsa nel medesimo verso. Ad esempio un riscaldatore che in un primo momento non ha mostrato overshoot di temperatura può invece andarvi incontro se l’ebollizione viene interrotta per un certo tempo ed in seguito si innalza di nuovo il flusso termico [7]. Un altro comportamento che a volte viene riscontrato in questo caso è che dopo la ripresa violenta dell’ebollizione che segue l’overshoot alcune zone della parete rimangono calde e non presentano nucleazione, solo a flussi molto alti la superficie viene completamente ricoperta dalle bolle [7].

1.4

E

BOLLIZIONE NUCLEATA

Nel tratto della curva di Nukiyama che si identifica come quello di ebollizione nucleata si possono distinguere più regimi tipici al variare del flusso termico.

Fig. 1.4 Regimi dell’ebollizione nucleata [7]

Poco dopo il punto di inizio dell’ebollizione nucleata le bolle si generano da siti di nucleazione ben distinti distaccandosi dalla superficie con una certa frequenza.

(11)

8 Dopo il distacco se il liquido è sottoraffreddato la bolla collassa rapidamente, al contrario se il liquido è saturo essa risale sotto la spinta della forza di galleggiamento e frenata dall’attrito fluidodinamico oscillando attorno ad una posizione di equilibrio (fig. 1.5a). Aumentando il flusso termico la frequenza di generazione delle bolle aumenta fino a che non si riesce più a distinguere una bolla dall’altra poiché le bolle precedenti trascinano quelle successive nella loro scia, ma la frequenza di distacco è tanto alta da farle toccare e coalescere verticalmente. A flussi maggiori si ha una zona di transizione (fig.1.5b) in cui le bolle coalescono sporadicamente anche con quelle che si generano da siti di nucleazione vicini. Dopo questa transizione la coalescenza laterale tra quelli che ormai sono getti di vapore è stabile e si ha la conformazione cosiddetta a funghi di vapore (fig. 1.5c).

Avvicinandosi al flusso critico la massa di vapore dei funghi tende ad entrare in contatto con la superficie scaldante, non è più alimentata solo dai piccoli getti che si originano dai siti di nucleazione poiché anche questi coalescono tra loro (fig. 1.5d). Questo meccanismo porta presto alla crisi dell’ebollizione nucleata. Le teorie sull’instabilizzazione del regime di ebollizione nucleata sono molte e non c’è accordo definitivo fra gli autori. Più avanti ne saranno brevemente introdotte alcune.

(12)

9

1.5

N

UCLEAZIONE DELLE BOLLE DI VAPORE

Per nucleazione si intende il processo per cui in un liquido saturo in piccolissimi raggruppamenti di vapore si innesca un rapido processo di crescita che porta alla formazione di una bolla di vapore. Generalmente in ebollizione omogenea questi piccoli raggruppamenti si generano in corrispondenza di residui o impurità presenti nel fluido, mentre nel caso dell’ebollizione eterogenea la nucleazione avviene in piccole imperfezioni o cavità della superficie scaldante di diametro dell’ordine del micron [7].

Come si è detto in precedenza per aumentare la superficie dell’interfaccia liquido vapore è necessario compiere un lavoro misurato dalla tensione superficiale.

Immaginiamo a titolo di esempio che la superficie dell’interfaccia liquido-vapore sia sferica, ovvero si ha una bolla di vapore in un liquido. Si può valutare la pressione all’interno della bolla tramite il principio dei lavori virtuali. Si immagina che il raggio della bolla aumenti di una quantità e si impone l’eguaglianza tra il lavoro fatto dalla pressione e quello fatto dalla tensione superficiale [7].

Dove è il raggio della bolla e è la differenza di pressione tra il vapore all’interno ed il liquido all’esterno della bolla:

Se ipotizziamo che la fase liquida ed il vapore siano in equilibrio termico con la parete da cui si forma la bolla e indichiamo con la temperatura della parete si ha [7]:

(13)

10 Sia che sono inferiori alla pressione di saturazione corrispondente alla temperatura della parete, ma considerando che in genere la densità del vapore è molto inferiore a quella del liquido:

Segue che il liquido fuori dalla bolla deve essere surriscaldato affinché questa si possa formare [7], infatti il liquido si trova alla temperatura della parete, ma ad una pressione inferiore a quella di saturazione relativa a .

Questo surriscaldamento può essere stimato utilizzando la relazione Clausius-Clapeyron per i cambiamenti di fase: Posto: Si ottiene [7]:

Il surriscaldamento necessario dipende dunque dall’inverso del raggio della bolla. È opportuno ricordare che la trattazione riportata è basata sulle ipotesi di equilibrio termodinamico e di trasformazioni quasi statiche, quindi non è rigorosamente applicabile visto il processo dinamico di formazione di una bolla. Nonostante ciò se ne possono ottenere delle indicazioni di base valide.

(14)

11 Si può osservare anche che il lavoro da fare per creare un settore sferico di vapore di volume

e raggio del nucleo critico è [7]:

Fig. 1.6 Rappresentazione delle tensioni superficiali agenti su una bolla alla parete [7]

Dove le sono le tensioni superficiali fra le tre fasi: liquido e vapore del fluido e

parete solida. ed sono le superfici delle interfacce, mentre è il volume della bolla.

Osservando gli angoli di contatti tra fluido e parete si può far comparire solo , finora

indicata semplicemente con . Esaminando tre casi in cui la bolla si formi su una superficie piana, su una protuberanza emisferica o in una cavità emisferica si ha che la differenza di pressione necessaria a formare un nucleo critico è di centinaia di atmosfere [7]. Questo fatto mostra che l’ebollizione è quasi impossibile in una superficie perfettamente bagnata e rende necessario postulare che vi siano sempre dei gas adsorbiti nelle sue cavità che fungono da siti di nucleazione [7,8]. In questo modo la pressione dei gas va a sommarsi a quella del vapore e sono richiesti valori di molto più bassi per la nucleazione [7].

In un sito di nucleazione che si attiva, la formazione continua di bolle è garantita in seguito dal vapore che vi resta intrappolato dopo il distacco di una bolla.

(15)

12 La figura seguente mostra l’avanzamento di un fronte liquido su una superficie in cui c’è una cavità.

Fig. 1.7 Fronte liquido che invade una cavità [7]

Indicando con l’angolo di apertura della cavità e con l’angolo di contatto tra fluido e parete si vede che se:

il liquido bagna completamente la cavità senza che vi restino gas intrappolati. Al contrario se:

rimarrà del gas sul fondo della cavità che quindi non sarà completamente bagnata.

La bagnabilità della superficie da parte del liquido è un parametro molto importante, infatti una superficie poco bagnata richiede generalmente un surriscaldamento più basso per l’inizio dell’ebollizione, ma se la parete non è bagnata affatto l’area di contatto con il liquido è molto ridotta e l’ebollizione ha le caratteristiche tipiche dell’ebollizione a film, con flussi termici molto bassi.

(16)

13 Noti il tipo di fluido, nell’ipotesi di angolo di contatto e di cavità conica si può ricavare il raggio di apertura delle cavità che diventano siti di nucleazione attivi ad una certa temperatura di parete [7]:

Questa relazione può essere corretta per angoli di contatto non retti per cavità con una certa apertura .

All’aumentare di si attivano cavità sempre più piccole ed aumenta il numero di cavità

attive per unità di superficie, indicato con . Il flusso termico può essere legato ad tramite la relazione [7].

Un gran numero di lavori è stato fatto per determinare la costante e gli esponenti di questa relazione. Questi ultimi risultano e . Per molti materiali prodotti industrialmente o perciò si ha all’incirca [9]. Tuttavia questa è solo una linea guida, si registra in letteratura una grande varietà di esponenti trovati per l’espressione .

Questa relazione fu introdotta da Yamagata, ma è valida solo per il primo regime di ebollizione nucleata, quello di bolle distinte [9]. Una correlazione empirica che non tiene conto del regime e dà risultati accettabili in tutto il campo dell’ebollizione nucleata fu elaborata da Rohsenow [10].

Con le proprietà del fluido valutate alla temperatura di saturazione e una costante

(17)

14 Questa correlazione dà errori del 25% sul e anche del 100% sul flusso termico [9]. Le

correlazioni esistenti elaborate in seguito a quella riportata sono molteplici, ma resta la difficoltà di prevedere con precisione il parametro , cosa che impedisce di avere correlazioni generali e precise per la stima del flusso termico in ebollizione nucleata [9]. Nella correlazione di Rohsenow compare un parametro fondamentale nei fenomeni di pool boiling, ovvero la lunghezza di capillarità di Laplace:

Questa grandezza compare ad esempio nella formula di Fritz per il diametro delle bolle al distacco dalla superficie, ricavata imponendo l’equilibrio tra forza di galleggiamento e forza dovuta tensione superficiale [7].

Dove è una costante.

La lunghezza di capillarità è una dimensione caratteristica dei fenomeni di ebollizione dei fluidi reali [7]. Essa influisce sulla crescita e sul distacco delle bolle e sulla dinamica delle interfacce, ad esempio quando si tratta la stabilità di un film di vapore [11,12]. La lunghezza di Laplace viene utilizzata anche come lunghezza di riferimento per le dimensioni dell’elemento scaldante o la profondità della vasca di fluido, infatti l’ebollizione su riscaldatori piccoli rispetto a presenta caratteristiche particolari [12].

La lunghezza di capillarità di Laplace può essere inglobata in un numero adimensionale detto di Bond:

Dove è la lunghezza caratteristica del riscaldatore. Questo parametro adimensionale interviene nei fenomeni di instabilità di uno strato di vapore a contatto con un liquido, quindi entra in gioco nel regime film boiling [11].

(18)

15 Inoltre, grazie alla dipendenza dalla lunghezza di Laplace, esso tiene conto della gravità o delle forze di volume che ne influenzano il valore apparente.

Osservando la formula di Fritz si nota anche l’effetto della gravità sulla formazione delle bolle. Se l’accelerazione di gravità si abbassa il diametro delle bolle al distacco cresce, inoltre il distacco stesso diventa difficoltoso e si ha coalescenza laterale con rapida copertura di vapore della parete. Ciò abbassa nettamente il flusso termico critico.

1.6

C

RISI DELL

EBOLLIZIONE NUCLEATA E FLUSSO TERMICO CRITICO

I modelli con cui viene rappresentato il CHF sono molteplici e si dividono in due grandi categorie [13]: quella per cui il flusso massimo è governato dalle caratteristiche della superficie e quella per cui il flusso massimo è governato dalla fluidodinamica e dall’instabilità che si forma all’interfaccia liquido-vapore nel regime dei getti colonnari.

Nella prima categoria rientrano le superfici poco bagnate per cui il regime di ebollizione ha caratteristiche simili a quelle dell’ebollizione a film fin dall’inizio.

Le teorie per il flusso critico riportate nel seguito sono tutte relative al caso in cui esso sia governato da effetti fluidodinamici. Il modello più longevo e discusso in questo campo è quello elaborato da Kutateladze e da Zuber. Kutateladze giunse ad un’espressione per il flusso termico critico tramite un’analisi dimensionale [7,13]. Nel modello fisico da lui immaginato il CHF sopraggiunge quando la generazione di vapore sulla superficie diventa tanto intensa da spingere via il liquido a contatto con essa distruggendo la stabilità della configurazione a getti colonnari e causando il dryout della superficie. Zuber giunse alla stessa conclusione di Kutateladze, ma conducendo un’analisi di stabilità del flusso di vapore dei getti colonnari [7,13]. In questa analisi quando la velocità del getto raggiunge un valore critico i getti vanno incontro ad un’instabilità di Taylor-Helmholtz e si raggiunge il CHF. In questo modello l’interfaccia liquido-vapore viene studiata come bidimensionale.

(19)

16 Kutateladze trovò che il seguente rapporto doveva essere uguale ad una costante, detta poi numero di Kutateladze [7]:

Il denominatore rappresenta un flusso termico di riferimento, mentre il numeratore è il flusso termico critico misurato. Kutateladze ricavò questa costante per il caso di ebollizione satura su una superficie piana infinita e trovò .

La seguente relazione per il calcolo del CHF è detta di Zuber-Kutateladze [7,14]:

Posto che lontano dalla pressione critica:

Si ottiene:

Tramite lo studio sulla stabilità precedentemente ricordato Zuber trovò il valore:

per la costante numerica invece del valore di 0,16 trovato da Kutateladze. Da notare che questa correlazione è valida per una superficie infinita, non fanno ipotesi sullo stato superficiale o su altre caratteristiche del riscaldatore.

Tutti gli autori che hanno proposto teorie idrodinamiche del CHF hanno impiegato gruppi di grandezze che compaiono in questa espressione, il meccanismo fisico supposto alla base del CHF è lo stesso e le formulazioni che si ottengono sono simili tra loro [13].

Un altro modello idrodinamico di CHF fu elaborato da Katto e Yokoya, poi raffinato da Haramura e dallo stesso Katto [15].

(20)

17 In questo modello si presuppone, in prossimità del CHF, la presenza di una bolla o fungo di vapore che si mantiene ad una certa distanza dalla superficie scaldante ed è rifornita da getti di vapore. Tale bolla rimane in equilibrio per un certo tempo, finché sono equilibrate le forze di galleggiamento e quelle di inerzia. Al disotto della bolla di vapore si trova uno strato di liquido attraversato in punti discreti dai getti di vapore.

Fig. 1.8 Modello di Katto e Haramura [13]

Il CHF sopraggiunge quando il flusso termico è tale da far evaporare completamente questo strato di liquido (macrolayer) facendo collassare tra loro i getti di vapore che alimentano la bolla soprastante. Lo spessore iniziale dello strato di liquido viene ricavato combinando questo modello con quello dell’instabilità utilizzato da Zuber [13].

Un modello differente è stato proposto da Sefiane [16] e riguarda la linea di contatto tra l’interfaccia liquido-vapore e la superficie dell’elemento scaldante. Il CHF è visto come conseguenza dell’instabilizzazione di detta linea di contatto. Questa instabilità è dovuta alla differenza di velocità che si può creare fra la fase liquida e la fase vapore che viene generata all’interfaccia. La velocità maggiore di quest’ultima può generare uno sbilanciamento della quantità di moto all’interfaccia che causa un contraccolpo (recoil force) sull’interfaccia stessa destabilizzandola. Questo effetto è più sensibile in prossimità della linea di contatto e può arrivare a sollevarla, causando il CHF [16]. Tuttavia alcuni autori obiettano che non è chiaro come tale instabilità conduca al CHF, anche perché un contatto intermittente ed irregolare del liquido con la parete è una situazione tipica in molti regimi di ebollizione seppur non critici [13].

(21)

18 Fig. 1.9 Modello della linea di contatto (Sefiane) [13,16]

Un aspetto positivo di questo ultimo modello è la capacità di tenere in considerazione l’angolo di contatto tra fluido e superficie. Come si è visto parlando di superfici scarsamente bagnate questo parametro è di fondamentale importanza.

Osservando tramite visualizzazioni a infrarossi la distribuzione di temperatura sul loro un elemento scaldante Theofanous et al. [17,18] hanno focalizzato l’attenzione sull’evoluzione dei punti caldi che si vengono a formare in prossimità del CHF ed in generale l’andamento della temperatura nei centri di nucleazione. Questi autori hanno notato che l’evoluzione del campo di temperatura della superficie scaldante all’aumentare del flusso termico andava verso una uniformità sempre maggiore, nonostante la caotica fluidodinamica bifase che la sovrastava. Ciò li ha spinti a ritenere che sia opportuno operare una separazione delle scale quando si studia il CHF, ovvero che l’attenzione vada focalizzata sulle caratteristiche dell’interazione tra la superficie ed il microscopico strato di fluido immediatamente a contatto con essa [18]. Secondo gli autori il CHF è dunque indipendente dagli effetti idrodinamici macroscopici, ma è legato all’evoluzione dei siti di nucleazione ed alla formazione di punti caldi irreversibili sulla superficie (a flusso termico fissato).

(22)

19

1.6.1 Effetto dell’inclinazione della superficie sul flusso critico

L’influenza della gravità sull’ebollizione è già stata accennata in precedenza. È opportuno notare come questa influenzi fortemente anche il flusso critico, infatti gran parte dei modelli elaborati si riferisce a condizioni in cui l’elemento scaldante è orizzontale e rivolto verso l’alto, condizione in cui la forza di galleggiamento tende ad asportare il vapore dalla sua superficie.

A seconda dell’inclinazione del riscaldatore si ottengono regimi di ebollizione molto diversi e diversi valori del flusso critico. In configurazione orizzontale rivolta verso l’alto si hanno bolle che si staccano verticalmente dal riscaldatore. Quando questo è inclinato rispetto all’orizzontale su una regione della sua superficie si crea un film di vapore percorso da onde. Questa regione si estende sempre di più all’aumentare dell’inclinazione. Il vapore sfugge poi da un lato dove eventualmente si ha ancora la formazione di bolle distinte.

Se infine il riscaldatore è orizzontale ma rivolto verso il basso si ha uno strato di vapore che cresce in spessore su tutta la sua superficie finché non diventa instabile e trova una via di fuga. Questo processo si ripete ciclicamente.

(23)

20 La variazione del flusso critico in funzione dell’inclinazione è stata studiata da alcuni autori, fra cui Howard e Mudawar [19].

Nel grafico seguente è riportato il rapporto tra il CHF ad una certa inclinazione, indicato con , ed il CHF nel caso orizzontale con riscaldatore rivolto verso l’alto, indicato con [19].

Fig. 1.11 Variazione del flusso critico al variare dell’inclinazione della superficie scaldante

Come si può osservare il CHF si riduce drasticamente all’aumentare dell’inclinazione, fino a diventare praticamente nullo quando il riscaldatore è rivolto verso il basso. Queste osservazioni costituiscono un’ulteriore attrattiva dell’impiego di getti impattanti che potrebbero una buona soluzione per applicazioni in cui la direzione della forza di gravità giochi a sfavore dello scambio termico.

(24)

21

2. EBOLLIZIONE IN PRESENZA DI GETTI IMPATTANTI SULLA

SUPERFICIE SCALDANTE

2.1

G

ETTI SOMMERSI MONOFASE

Con il termine getto si intende una corrente libera di fluido che si muove in un ambiente composto anch’esso di fluido. Se l’ambiente è composto dello stesso fluido del getto di parla di getto sommerso.

I getti possono essere descritti dalle equazioni dello strato limite in quanto rappresentano regioni del dominio fluido in cui si concentrano gli sforzi viscosi, mentre il moto al loro esterno può essere descritto con la teoria potenziale. Un getto fluidodinamico solitamente si genera quando un orifizio mette in comunicazione due ambienti a pressione diversa, causando il passaggio di fluido dall’ambiente a pressione più alta a quello a pressione più bassa.

Si distinguono quattro regioni in un getto sommerso che impatta su una parete piana:

 Il nucleo potenziale

 La zona del getto libero

 La zona di ristagno

 La zona del moto parallelo alla parete

(25)

22 Nel nucleo potenziale, che solitamente si estende dall’origine del getto a fino ad una distanza di 4-5 diametri dell’orifizio, la velocità, almeno sull’asse, è uguale a quella di uscita del getto ed il moto mantiene le sue caratteristiche iniziali [20]. Nella zona del getto libero, specie per un getto sommerso, si ha una forte interazione con il fluido circostante e la sezione del getto tende ad allargarsi, rallentandolo. In questa zona, finché si è abbastanza lontani dalla parete, l’andamento radiale della velocità può essere schematizzato come una gaussiana [20]. Nella zona di ristagno, a circa 1,2 diametri dell’orifizio di distanza dalla parete [20], il flusso viene fortemente rallentato e deviato fino ad assumere una direzione parallela al piano della parete, sulla quale continua a scorrere.

Una caratteristica dei profili di velocità di un getto alle varie distanze dall’origine è quella di essere autosimili, proprio come nel caso di uno strato limite su una lastra piana, tuttavia nel caso del getto non esiste una velocità indisturbata della corrente fluida, al contrario la velocità lungo l’asse diminuisce. Ad ogni distanza dall’ugello si prende come velocità caratteristica quella massima della sezione, ovvero quella sull’asse .

Fig. 2.2 Semispessore del getto ed entrainment

L’ipotesi di profili di velocità simili a se stessi si può scrivere come:

Dove è la velocità diretta lungo e è il semispessore del getto.

(26)

23 In figura 2.2 è rappresentata graficamente un’altra caratteristica del getto, ovvero la sua capacità di richiamare fluido dall’esterno che ne aumenta la portata. Questo fenomeno è detto entrainment ed è legato alla legge di continuità.

Un getto non è quasi mai laminare se non nelle immediate vicinanze dell’orifizio da cui si origina [20], i processi di miscelamento con il fluido circostante sono molto intensi e la turbolenza sopraggiunge a numeri di Reynolds, riferiti al diametro dell’ugello, molto bassi. Tuttavia quando il getto arriva in prossimità della parete, nella zona di ristagno, il flusso tende a laminarizzare, ma poi viene deviato ed accelerato. Quando questa accelerazione ed il gradiente di pressione favorevole svaniscono si ha una rapida transizione alla turbolenza sulla parete ad una certa distanza dall’asse del getto. In questo punto si ha un’intensificazione notevole dello scambio termico. Nel grafico seguente è riportato il numero di Sherwood locale al variare della distanza dal punto di ristagno del getto adimensionalizzata con il diametro dell’ugello [20].

Fig. 2.3 Numero di Sherwood al variare della distanza dal punto di ristagno [20]

Questo diagramma è stato ricavato in condizioni in cui i coefficienti del trasferimento di massa equivalgono a quelli di scambio termico [20].

(27)

24 Valgono le analogie di Chilton-Colburn [21]:

Quindi il numero di Nusselt sarà:

Dove sono stati introdotti il numero di Prandtl e quello di Schmidt:

Con diffusività termica del liquido, la sua viscosità cinematica e il coefficiente di diffusione della massa (ad esempio di una specie chimica).

Il coefficiente di scambio termico varia anche in funzione della distanza dell’orifizio dalla superficie su cui impatta il getto [22].

Fig. 2.4 Numero di Nusselt sul punto di ristagno al variare della distanza dalla parete [22]

La costante dipende dall’intensità della turbolenza e dal gradiente medio radiale di velocità, una valore tipico è [22].

(28)

25 Come si può osservare in fig. 2.4 il numero di Nusselt rimane pressoché invariato finché la parete non è più lontana della zona del nucleo potenziale, in cui la velocità all’impatto è alta. All’aumentare della distanza il numero di Nusselt decresce rapidamente.

Infine si nota che il profilo di velocità del flusso sulla parete indotto dal getto è associato ad un profillo di pressione che è massima nel punto di ristagno e declina fino al valore della pressione ambiente allontanandosi da esso. Se il fluido su una superficie colpita da un getto è in ebollizione, la pressione indotta dall’impatto modifica la temperatura di saturazione locale e quindi può modificare lo stesso regime di ebollizione [1].

2.2

G

ETTI BOLLENTI

In questa sezione sarà illustrata l’influenza di getti impattanti su una superficie sulla quale si ha ebollizione. Gli effetti che si osservano sono dovuti sia all’influenza del getto sul campo di velocità, sia sul profilo di pressione che si viene ad avere sulla superficie.

La presenza di un getto che impatta su una superficie scaldante introduce delle disuniformità nello scambio termico e quindi influisce sul profilo di temperatura. La fenomenologia dell’ebollizione risente di questo effetto e del gradiente di pressione indotto dal getto che modifica la temperatura di saturazione locale.

Un getto impattante può quindi essere in grado di inibire l’ebollizione sul riscaldatore fissato un certo livello del flusso termico. Per questo motivo, la presenza di un getto può creare delle disuniformità non solo sulla temperatura, ma anche sul regime di ebollizione nelle varie zone della parete scaldante. Fissata una certa velocità di uscita del getto si può osservare il regime di ebollizione al variare della distanza dal suo asse [1]. Si immagina una situazione iniziale in cui non c’è ebollizione sulla superficie. In queste condizioni la temperatura della superficie è minima al punto di ristagno ed è massima ad una certa distanza da questo. Aumentando la potenza termica dissipata dal riscaldatore si osserva a che distanza dall’asse del getto si innesca l’ebollizione.

In presenza di un getto impattante l’ebollizione sulla zona di ristagno è inibita e l’onset si ha ad un certo flusso termico ad una certa distanza dall’asse.

(29)

26 Questa distanza corrisponde al punto in cui il getto, dopo essere stato deviato nella zona di ristagno, scorre parallelo alla parete e va incontro ad una transizione alla turbolenza.

Fig. 2.5 Temperatura della parete al variare della distanza dall’asse del getto [1]

Si vede che l’aumentare del flusso termico accelera il processo di transizione alla turbolenza che avviene sempre più vicino al punto di ristagno. Un altro aspetto visibile in fig. 2.5 è che l’ebollizione non inizia su tutta la superficie oltre il punto di transizione alla turbolenza, ma su zone distinte. Inoltre la temperatura non diventa uniforme finché l’ebollizione non è completamente sviluppata su tutta la superficie. Dalla figura risulta anche che l’ebollizione completamente sviluppata si ha prima sulla regione di ristagno del getto, anche se non si osserva nel resto della superficie [1].

2.2.1 Onset dell’ebollizione nucleata

La presenza di un getto, innalzando la pressione locale in corrispondenza del punto di impatto, tende a ritardare a flussi termici più alti l’inizio dell’ebollizione in questa zona. Ciò ritarda il forte incremento del coefficiente di scambio termico tipico del passaggio tra convezione naturale monofase ed ebollizione.

(30)

27 Tuttavia il coefficiente di scambio in tutta la regione della convezione naturale è di solito nettamente più grande in presenza del getto che rende la convezione, di fatto, forzata. Questa regione di convezione monofase si estende semplicemente a flussi più alti che nel caso di assenza del getto.

La predizione del flusso termico e della temperatura di parete che innescano il processo dell’ebollizione ha ricevuto meno attenzione da parte della ricerca rispetto ad altri aspetti, come il CHF. Esistono tuttavia delle correlazioni, in gran parte per getti liberi. Un punto condiviso nello studio dell’ebollizione incipiente è la dipendenza funzionale dai soli e , ovvero dal flusso termico e dalla sovratemperatura di parete [1]. Un esempio di correlazione per getti sommersi è [23]:

Dove è il raggio massimo, dell’ordine del micron, delle cavità di nucleazione attive alla temperatura di parete corrispondente all’onset dell’ebollizione.

Appare talvolta nelle correlazioni in letteratura [24] la dipendenza dalla velocità del getto e dal sottoraffreddamento, ma è una dipendenza implicita [1]. Ciò si può capire osservando che la relazione tra sottoraffreddamento, sovratemperatura di parete e flusso termico è:

La velocità influenza solo , quindi conoscere la relazione che lega la velocità del getto

ed il coefficiente di scambio fornirebbe la relazione necessaria a chiudere il problema.

Da notare che quando si parla di velocità del getto ci si riferisce alla velocità di uscita dall’ugello, anche se rigorosamente parlando questa è diversa dalla velocità all’impatto sulla superficie.

2.2.2 Ebollizione nucleata completamente sviluppata

Come detto l’influenza del getto è sicuramente notevole nella zona della convezione monofase e modifica le condizioni per cui inizia l’ebollizione.

(31)

28 Aumentando abbastanza il flusso termico, l’ebollizione inizia anche nella zona spazzata con maggior intensità dal getto. Un tema che ha suscitato un discreto interesse è la capacità del getto di influenzare lo scambio termico anche in queste condizioni. In generale in regime di ebollizione completamente sviluppata in presenza di un getto fluidodinamico lo scambio termico risulta uguale al caso del pool boiling.

La differenza sta nel fatto che la curva di ebollizione in questo modo viene estesa con la stessa pendenza a flussi e temperature di parete maggiori, ovvero il getto è in grado di mantenere intatto il regime di ebollizione nucleata anche oltre il valore di flusso che rappresentava il CHF in pool boiling.

Influenza della velocità del getto

In genere la velocità del getto non influenza lo scambio termico nel regime di ebollizione completamente sviluppata, come riportato da Katto e Kunihiro [25], anche se per un range molto ristretto di velocità.

Fig. 2.6a Effetto della velocità del getto sull’ebollizione sviluppata [25]

Fig. 2.6b Estensione della curva di ebollizione ad opera del getto [25]

(32)

29 Nella figura 2.6b si vede anche come il getto possa estendere la curva di ebollizione mantenendone l’andamento. Il grafico 2.7, ripreso da Monde e Furukawa [26], si riferisce ad un getto di R113 saturo che colpisce un riscaldatore immerso in una vasca. Il livello del liquido nella vasca è di 4mm sopra la superficie scaldante, mentre l’ugello da cui si origina il getto è a 5mm di distanza dalla superficie.

Questa configurazione è detta “plunging jet” perché il getto si deve tuffare nella vasca di fluido per poter colpire il riscaldatore. In questo caso il getto percorre solo 1mm in aria come getto libero prima di incontrare il fluido nella vasca, non si è molto lontani dalla condizione di getto sommerso. Osservando la figura in questione, si nota come il limite superiore al flusso termico di ebollizione nucleata sia in realtà legato alla velocità del getto.

Fig. 2.7 Influenza della velocità del getto alla transizione verso il flusso critico [26]

Se il getto è abbastanza vigoroso riesce a ritardare il CHF rispetto al pool boiling estendendo la curva di ebollizione nucleata. Tutte le velocità superiori a quella minima necessaria per innalzare il CHF si comportano in questo modo e non si distinguono differenze, come detto finora. All’aumentare del flusso termico oltre certi valori la crisi viene comunque raggiunta, ma la si raggiunge a valori diversi del flusso, dipendenti dal vigore del getto e quindi dalla sua velocità.

(33)

30 È stata riscontrata [27], nello studio di getti liberi, una dipendenza del tasso di scambio termico dalla velocità del getto, ma solo per portate molto basse, nel caso in cui il calore asportato dalla superficie ( nel caso di riscaldatore a sezione circolare) è circa uguale al calore necessario a far evaporare tutta la massa di liquido saturo che il getto spinge sulla superficie nell’unità di tempo ( nel caso di getto a sezione circolare).

In ogni caso oltre una certa velocità del getto non si distinguono più differenze.

Influenza del sottoraffreddamento

Anche il sottoraffreddamento sembra avere una scarsa influenza sullo scambio termico in regime di ebollizione completamente sviluppata, non varia la pendenza della curva in coordinate logaritmiche, ma è in grado di traslarla [23].

Fig. 2.8 Effetto del sottoraffreddamento sull’ebollizione nucleata con getti [23]

Questa immagine è significativa poiché mostra molti comportamenti tipici dell’ebollizione sotto l’effetto di getti impattanti. Come detto mostra la traslazione della curva di ebollizione che mantiene la stessa pendenza. In secondo luogo mostra l’isteresi della curva, presente anche quando è attivo il getto che però di solito la riduce.

(34)

31 Inoltre si può osservare come il getto ritardi l’ebollizione fino a flussi molto alti, dopodiché la curva di ebollizione prosegue con la stessa pendenza che aveva in pool boiling a flussi molto più bassi.

Le correlazioni solitamente utilizzate per esprimere il flusso termico in funzione della sovratemperatura di parete nel regime di ebollizione nucleata sono del tipo:

Effetto del rapporto e della distanza tra ugello e superficie di impatto

L’effetto del rapporto tra il diametro del getto ( ) e del riscaldatore ( ) e della distanza tra l’ugello e la superficie scaldante è stato indagato in letteratura. Non sono stato rilevate influenze sostanziali di questi due parametri sul regime di ebollizione nucleata [1].

Influenza dell’inclinazione della superficie

La presenza di un getto impattante risulta annullare anche l’influenza dell’inclinazione della superficie scaldante rispetto all’orizzontale, come riportato da Ruch e Holman [28] e da Monde e Katto [29]. Nel regime di ebollizione nucleata ciò è vero sia per getti liberi che sommersi [1].

2.2.3 Flusso critico

Se nel regime di ebollizione nucleata completamente sviluppato lo scambio termico è governato da fenomeni di pool boiling che si ripropongono anche in presenza di getti impattanti, le cose cambiano quando ci si avvicina al flusso critico. I getti sono in grado di estendere la curva di ebollizione nucleata mantenendone invariate le caratteristiche, al contrario la crisi è fortemente legata alle proprietà del getto e dell’accoppiamento con il riscaldatore [1]. I parametri ambientali influenti nel pool boiling, come il sottoraffreddamento, restano influenti anche in presenza di getti. Questo ultimo aspetto induce a pensare che la presenza di un getto non modifichi la fisica della crisi dell’ebollizione a nuclei, ma piuttosto ritardi il verificarsi della condizione critica a temperature e flussi più

(35)

32 alti, infatti il modello di CHF di Katto e Haramura [15], menzionato al paragrafo 1.5 sul pool boiling, è stato sviluppato proprio nello studio di getti bollenti.

Fig. 2.9 Getti di vapore sulla superficie scaldante in prossimità del CHF [1]

In fig. 2.9 si vede il regime di ebollizione in prossimità del CHF come descritto da Katto e Haramura.

Si vedrà nel seguito che non sempre un getto è in grado di ritardare la crisi, può addirittura anticiparla [1,26].

Regimi di CHF e influenza della velocità del getto

La dipendenza del CHF dalla velocità del getto è stata studiata soprattutto nel caso di getti liberi, ma in generale si può dire che essa influenza diversamente il CHF a seconda delle condizioni dell’ambiente e dell’entità della portata del getto. Tipicamente si individuano quattro regimi di CHF [1]:

Regime “L” :

Dipendenza lineare dalla velocità del getto. Rilevato a pressione atmosferica per basse portate del getto. Si ha quando il calore asportato dal riscaldatore è circa uguale al calore necessario a far evaporare tutta la massa di liquido saturo che il getto spinge sulla superficie nell’unità di tempo.

(36)

33

Regime “V” :

Dipendenza dalla radice cubica della velocità del getto. Rilevato a pressione atmosferica per portate più alte del getto. La frazione di liquido evaporato nell’unità di tempo è piccola rispetto alla portata del getto.

Regime “I” : non dipende da

Dipendenza debole o inesistente dalla velocità del getto. Rilevato solo per pressioni superiori a quella atmosferica (6-28 bar [1]). Oltre una certa velocità del getto, dati il fluido di lavoro ed il diametro del riscaldatore, non si ha più aumento del CHF all’aumentare della velocità. Questo fatto è stato espresso da Katto e Shimizu [30], per getti liberi, in termini di un numero di Weber critico:

Dove è il diametro del riscaldatore.

Regime “HP” :

Dipendenza dalla radice quadrata della velocità. Rilevato per alte pressioni, superiori a quelle del regime “I” (oltre 28 bar) con alti rapporti tra il diametro del riscaldatore e quello dell’ugello.

Nei regimi elencati è diversa anche la dipendenza del CHF dal rapporto di densità tra liquido e vapore e dal rapporto tra diametro del riscaldatore e diametro del getto.

Influenza del sottoraffreddamento

Come nel caso del pool boiling il flusso termico critico aumenta all’aumentare del grado di sottoraffreddamento del fluido [1]. Le correlazioni che tengano conto del sottoraffreddamento sono numerose, ma la loro validità è solitamente limitata a casi particolari o per piccole variazioni del sottoraffreddamento.

Influenza del rapporto

Il rapporto tra il diametro del riscaldatore e quello dell’ugello da cui si origina il getto è un parametro molto influente sul valore del CHF. All’aumentare del rapporto il flusso termico critico si abbassa [1]. Ciò è dovuto al fatto che la crisi dell’ebollizione nucleata si ha nella zona in cui lo scambio termico è peggiore.

(37)

34 Nel caso di getto impattante lo scambio termico peggiora nella zona in cui il flusso scorre parallelo alla parete. All’aumentare di aumenta la porzione di parete su cui il getto scorre parallelamente con velocità sempre più bassa, quindi è più facile che si formi un film di vapore alla periferia dell’elemento scaldante. Il film così originatosi tende ad espandersi a tutta la superficie, invadendo anche la zona di ristagno del getto [1,25].

L’influenza del rapporto è tale che se questo parametro aumenta troppo può portare a valori di CHF inferiori a quello del pool boiling, come accade nello studio di Monde e Furukawa [26] relativo a getti liberi, plunging e sommersi. In questo studio il diametro del riscaldatore è , mentre quello del getto è .

Fig. 2.10 [26]

Dove “H” è il livello del fluido sopra la superficie scaldante e “z” è la distanza tra questa e l’ugello. Il valore del CHF per il pool boiling rappresentato dalla retta tratteggiata in figura è quello predetto dalla correlazione di Kutateladze. Da questo diagramma si nota anche come la configurazione di getto sommerso (H=8mm e z=5mm) sia quella a cui corrispondono CHF più alti, cosa ritenuta generalmente vera e riscontrata anche da altri autori [25].

Influenza della distanza tra ugello e superficie di impatto

All’aumentare della distanza tra ugello e parete di impatto il valore CHF decresce. Questo è essenzialmente dovuto al fatto che la velocità del fluido all’impatto diminuisce all’aumentare della distanza dalla parete a parità di velocità di uscita dall’ugello.

(38)

35

Influenza dell’inclinazione della superficie

Gli studi sul CHF sono stati fatti per inclinazioni diverse della superficie scaldante [1,29], ma non è stata notata alcuna influenza significativa di questo parametro. Una possibile eccezione è stata individuata da Monde e Okuma [27] con uno studio sul regime “L” del CHF su un riscaldatore orizzontale rivolto verso il basso. Questo regime di CHF si ha per basse portate del getto e dipende dal rapporto tra la quantità di liquido evaporato rispetto a quella di liquido che il getto spinge sulla superficie scaldante. Gli autori hanno ritenuto che dipendesse in larga parte dal fatto che il liquido, respinto a seguito dell’impatto con la superficie, venisse allontanato dalla forza di gravità. Per questo motivo immaginarono che il comportamento e la correlazione utilizzata per potessero essere diversi nel caso di un riscaldatore rivolto verso l’alto.

3.

CONCETTI

DI

ELETTROIDRODINAMICA

(EHD)

3.1

C

ONDUZIONE IN UN FLUIDO DIELETTRICO

L’applicazione di un campo elettrico tra due elettrodi immersi in un fluido isolante è in grado di metterlo macroscopicamente in moto. Ciò è dovuto principalmente al’iniezione di cariche elettriche all’interfaccia elettrodo-fluido ed al loro successivo moto sotto l’effetto del campo elettrico. La formazione di getti elettroidrodinamici è quindi legata al passaggio di corrente in un fluido dielettrico. In primo luogo sarà illustrato come questo passaggio di corrente sia possibile.

Nei dielettrici di comune utilizzo è contenuta una piccola quantità di impurità che favoriscono la conduzione elettrica. Questo tipo di dielettrico è detto “leaky dielectric”. Un comportamento tipico della conduzione in queste sostanze è la dipendenza della corrente che le attraversa al variare della tensione, imposta ad esempio tra due elettrodi che vi sono immersi.

(39)

36 Fig. 3.1 Densità di corrente in funzione del campo elettrico in un fluido dielettrico [31]

Si può notare che oltre certi valori del campo elettrico applicato la resistività del dielettrico si riduce di diversi ordini di grandezza con aumento della densità di corrente.

Questo fenomeno non ha niente a che vedere la rottura del dielettrico ed è reversibile [31]. L’aumento della corrente nel dielettrico può essere dovuto essenzialmente a cinque fenomeni:

 Ionizzazione per collisione

 Mobilità ionica aumentata dal campo elettrico applicato

 Dissociazione di elettroliti promossa dal campo elettrico

 Emissione di elettroni dal catodo

 Ion injection

Mentre i primi tre sono meccanismi che si originano in seno al fluido, gli ultimi due sono fenomeni di interfaccia.

3.1.1 Ionizzazione per collisione

Per i fluidi considerati in questa analisi la ionizzazione per collisione è praticamente inesistente per campi elettrici fino a 10 MV/cm, quindi non ha un effetto significativo nel fenomeno descritto in fig. 3.1 [31].

(40)

37

3.1.2 Mobilità ionica aumentata dal campo elettrico applicato

Il moto di deriva di uno ione non è realmente continuo, ma consiste in numerosi salti da un sito a bassa energia a un altro che richiedono un’eccitazione termica per superare la barriera di energia potenziale che li separa.

Fig. 3.2 Moto di deriva di uno ione

Il campo elettrico può influenzare la velocità di deriva in due modi. In primo luogo è possibile dimostrare che la velocità di migrazione degli ioni è crescente con il campo [31]. In secondo luogo a tensioni dell’ordine dei 10kV si manifesta in maniera intensa la convezione elettroidrodinamica, ovvero gli ioni sono spostati dal moto macroscopico del fluido a velocità molto superiori a quella propria di deriva. Questo è vero per i liquidi, ma non per i gas [32,33,34].

In ogni caso questi due effetti non bastano a spiegare l’aumento di densità di corrente osservato, anche perché non sono responsabili della generazione di nuove cariche ma solo dell’accelerazione di quelle presenti [31].

(41)

38

3.1.3 Dissociazione di elettroliti promossa dal campo elettrico

Considerando la dissociazione di un composto in una coppia di ioni in seno al fluido si può osservare che la barriera energetica da superare per separarli viene abbassata dal campo elettrico (fig. 3.3b), mentre la probabilità di separazione viene aumentata.

Fig. 3.3 Separazione di una coppia di ioni in seno al fluido

Questo fenomeno non è necessariamente quello responsabile dell’aumento della densità di corrente nel fluido, infatti è possibile confonderlo con l’iniezione di ioni dagli elettrodi che ha un effetto molto simile. I due fenomeni sono distinguibili quando il campo elettrico viene applicato a gradino. Nel caso dell’iniezione di ioni da parte di un elettrodo la corrente inizialmente cresce con il tempo, mentre nel caso della dissociazione di un composto in ioni in seno al fluido la corrente ha una diminuzione monotona [31]. Con questo metodo si può capire quale dei due effetti prevale globalmente, tuttavia non è facile catturare questi fenomeni poiché i tempi caratteristici ( ) su cui si sviluppano sono piccolissimi.

(42)

39

3.1.4 Emissione di elettroni dal catodo

Creare una carica libera estraendola da superficie metallica richiede una spesa di lavoro. La barriera di energia potenziale da superare è detta “work function” ( ) e dipende in primo luogo dal materiale metallico. L’applicazione di un campo elettrico abbassa significativamente il valore della barriera [31]. La figura seguente si riferisce al caso di una superficie metallica nel vuoto. Il campo elettrico applicato deve essere notevole e l’emissione nel vuoto a volte è giustificabile solo assumendo che ci sia un aumento locale del campo dovuto a protrusioni a curvatura molto alta sulla superficie metallica [31].

Fig. 3.5 Barriera energetica per l’emissione di un elettrone nel vuoto [34]

Nel caso in cui il metallo sia a contatto con un liquido dielettrico la soglia di potenziale da superare si abbassa ulteriormente. Ciò è dovuto al fatto che le cariche libere in soluzione nel liquido si avvicinano all’elettrodo di segno opposto. In questo modo sulla superficie dell’elettrodo si forma un doppio strato di cariche, di spessore dell’ordine di (5∙10–8cm), che causa un innalzamento locale del campo elettrico. Di conseguenza la barriera energetica da superare è ancora abbassata. Inoltre la materia a contatto con l’elettrodo presenta bande o livelli accettori di elettroni liberi la cui energia è inferiore a quella di un elettrone nel vuoto [31].

(43)

40

3.1.5 Ion injection

Questo fenomeno ha sempre a che fare con l’estrazione di cariche da un elettrodo metallico, ma è diverso dall’emissione di elettroni appena descritta.

In questo caso le cariche estratte possono essere di entrambi i segni. Il fenomeno dell’ion injection consiste nell’estrazione di ioni formatisi da reazioni elettrochimiche che avvengono all’interfaccia liquido-elettrodo.

L’elettrodo cede o acquista elettroni da sostanze neutre che ha adsorbito. Questo processo, detto elettronazione è piuttosto rapido [31] e porta alla formazione di ioni. Tali ioni devono superare la barriera energetica di cui si è parlato in precedenza per poter essere estratti dall’elettrodo e iniettati nel fluido.

Fig. 3.7 Formazione di ioni negativi (a) e positivi (b) all’interfaccia liquido-elettrodo [31]

Anche in questo caso l’applicazione di un campo elettrico abbassa la barriera energetica da superare. In presenza di un campo elettrico abbastanza forte questo fenomeno dà luogo ad un netto aumento della corrente che attraversa il fluido.

(44)

41 Fig. 3.8 Barriera energetica per l’iniezione di ioni formatisi con reazioni elettrochimiche [34]

La formazione di un doppio strato di cariche in prossimità dell’elettrodo è necessaria affinché l’ion injection possa avvenire [34], tuttavia la formazione di tale strato è diversa nel caso di fluidi isolanti polari o non polari. Nel caso dei liquidi apolari le impurità presenti hanno un ruolo fondamentale e sono proprio le intrusioni di specie che si possono dissociare che determinano le caratteristiche elettriche del fluido [35].

Nel caso di liquidi polari l’influenza della concentrazione delle impurità è minore ed è più facile che le molecole stesse del fluido prendano parte alle reazioni elettrochimiche.

È da notare che gli ioni prodotti tramite il processo di ion injection sono sempre dello stesso segno dell’elettrodo da cui vengono estratti, perciò la corrente che si genera è unipolare. Gli ioni che riescono ad uscire dal doppio strato sono poi allontanati dall’elettrodo da una forza di Coulomb repulsiva. Al contrario quando gli ioni si generano per dissociazione in seno al fluido si formano cariche di entrambi i segni che vengono attratte dall’elettrodo di segno opposto, il verso della corrente è differente rispetto al caso unipolare. Data la sua natura, il fenomeno dell’ion injection è controllato dall’intensità del campo, dalla composizione, dalla forma e dalla polarità dell’elettrodo, dalle caratteristiche del fluido, dalla natura e dalla quantità delle impurità in esso disciolte [31,34].

(45)

42 Fissata la differenza di potenziale tra due elettrodi l’iniezione di carica avviene sull’elettrodo dalla forma più acuminata [34,36], dove il campo è più intenso, perciò nel presente studio viene utilizzato un elettrodo a punta come emettitore di ioni ed un elettrodo piano come collettore. È da notare che l’ion injection è un fenomeno caratterizzato da una forte variabilità visti tutti i parametri da cui dipende.

3.2

L

E EQUAZIONI DELL

ELETTROIDRODINAMICA PER UN FLUIDO MONOFASE Finora sono stati brevemente illustrati alcuni meccanismi che danno luogo alla formazione di cariche elettriche in un fluido dielettrico. Adesso è possibile studiare gli effetti fluidodinamici dell’applicazione di un campo elettrico in un fluido isolante che abbia una distribuzione di carica di volume. Da notare che questo tipo di approccio sottintende l’ipotesi del continuo, ovvero lo studio è di tipo macroscopico. Non si restringe mai l’attenzione al comportamento di cariche isolate, la dimensione più piccola a cui è lecito applicare la seguente trattazione deve essere molto più grande della distanza tra singole cariche adiacenti tra loro. Il volume elementare della particella fluida in questa analisi deve essere tale che il numero di cariche in esso contenuto abbia una media statisticamente stazionaria.

SI richiama il sistema di equazioni di Navier-Stokes:

Il campo elettrico si inserisce nell’equazione della quantità di moto, inducendo una forza di volume aggiuntiva a quella di gravità:

Dove fu ricavata da Melcher come [37]:

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