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La decorazione delle basiliche paleocristiane : un tentativo per ricostruire i cicli affrescati di S. Pietro in Vaticano e S. Paolo fuori le mura

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(1)

CULTURE E TRASFORMAZIONI DELLA CITTÀ E DEL TERRITORIO

Sezione

STORIA E CONSERVAZIONE DELL’OGGETTO D’ARTE E D’ARCHITETTURA - XXII CICLO

Tesi di dottorato in ICONOGRAFIA CRISTIANA,

ARCHEOLOGIA CRISTIANA E MEDIEVALE L-ANT/08

L

A DECORAZIONE DELLE BASILICHE PALEOCRISTIANE

:

UN TENTATIVO PER RICOSTRUIRE I CICLI AFFRESCATI

DI

S.

P

IETRO IN

V

ATICANO E

S.

P

AOLO FUORI LE MURA

Dottoranda Cecilia Proverbio

Tutor Prof. Fabrizio Bisconti

(2)

- I - I SISTEMI DI FONTI PER L’ANALISI DEI CICLI FIGURATI DI S.

PIETRO IN VATICANO E S.PAOLO FUORI LE MURA A ROMA

pag. 1

Introduzione pag. 2

La decorazione delle pareti laterali nella navata centrale di S. Pietro in Vaticano attraverso le fonti

pag. 8

Il codice dell’Archivio di S. Pietro A64 ter e il codice Barb. Lat. 2733 della Biblioteca Apostolica Vaticana

pag. 9

La decorazione ciclica delle pareti laterali nella navata centrale di S. Paolo fuori le mura attraverso le fonti

pag. 15

Il codice Barb. Lat. 4406 della Biblioteca Apostolica Vaticana pag. 18

Il codice Vat. Lat. 9843, folio 4r della Biblioteca Apostolica Vaticana

pag. 25

La sezione del Ruspi e dell’Alippi pag. 28

Le notizie sui restauri a S. Paolo fuori le mura e i problemi dei successivi interventi

pag. 30

-II- I CICLI VETEROTESTAMENTARI DI S.PIETRO IN VATICANO E DI S.

PAOLO FUORI LE MURA

pag. 40

Struttura del catalogo pag. 41

Catalogo pag. 43

Considerazioni per la definizione di due decorazioni gemelle e attendibilità rispetto ai formulari tardoantichi

pag. 272

-III- IL CICLO CRISTOLOGICO DI S.PIETRO IN VATICANO pag. 300

Considerazioni sul ciclo evangelico di S. Pietro in Vaticano pag. 301

- IV - IL CICLO PAOLINO DI S.PAOLO FUORI LE MURA pag. 318

Struttura del catalogo pag. 319

(3)

Aspetti problematici e incongruenze interne pag. 475

Le architetture pag. 477

Le figure umane pag. 478

Gli schemi pag. 481

I riferimenti iconografici pag. 485

Tracce di un ciclo apostolico in epoca paleocristiana pag. 485

Un distacco dall’arte paleocristiana: confronti con le testimonianze altomedievali riferibili ad un ciclo paolino

pag. 498

Schemi paleocristiani non riferibili alle storie di Paolo pag. 510

Proposta per una reinterpretazione pag. 524

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE pag. 544

(4)

1

-

I

-

I

SISTEMI DI FONTI PER L

ANALISI DEI CICLI FIGURATI DI

S.

P

IETRO IN

V

ATICANO E

S.

P

AOLO FUORI LE MURA A

R

OMA

(5)

2

INTRODUZIONE

Le basiliche romane di S. Pietro in Vaticano e S. Paolo fuori le mura furono, fin dalla loro origine, accomunate da un peculiare rapporto che potremmo quasi definire simbiotico, in virtù del ruolo di fondatori congiunti della Chiesa occidentale attributo ai due apostoli titolari. Gli edifici ad essi dedicati appaiono, quindi, indissolubilmente connessi sia sotto l‟aspetto concettuale, che li rende, accanto alla cattedrale lateranense, i monumenti-simbolo della Roma costantiniana, ma anche in relazione alle fasi evolutive e ai processi di trasformazione che li modificarono nel corso dei secoli.

Il legame profondo e, per così dire, innato fra i due poli cultuali risale addirittura alla più antica testimonianza offertaci dalle fonti in merito alla presenza dei trofei che indicavano e commemoravano i luoghi di sepoltura degli apostoli Pietro e Paolo, collocati rispettivamente nelle necropoli del Vaticano1 e della via Ostiense2. A darcene notizia è un passo dell‟Historia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea3, il quale, riportando la controversia sull‟antichità delle sedi apostoliche fra il presbitero Gaio e la setta dei Catafrigi (fine del II secolo), cita testualmente le parole di Gaio, il quale

vantava di poter mostrare i “ ”. Si tratta

di quelle stesse memorie presso le quali, almeno a partire dal 258 secondo l‟attestazione della Depositio Martyrum, veniva celebrata la festa congiunta di Pietro e Paolo il 29 di giugno4. Un nesso, dunque, quello fra i poli ostiense e vaticano, che ha radici profonde, e basa la propria ragion d‟essere sulla conservazione del ricordo di quei luoghi, salienti per la futura storia della città, nei quali avevano trovato sepoltura, secondo la tradizione, le spoglie dei fondatori della Chiesa dell‟Urbe.

Il carattere martiriale è il punto nodale della futura evoluzione che entrambi i siti conosceranno, secondo dinamiche analoghe dettate dalla comune vocazione funeraria e dalla volontà preponderante di perpetuare la memoria delle tombe venerate. Gli scavi

1

Per un‟informazione in merito alla topografia della zona in epoca arcaica e classica si rimanda ai lavori di carattere generale che possano offrire una sintesi dei dati acquisiti, con ampia bibliografia in relazione alle singole scoperte e alle problematiche CASTAGNOLI 1992, LIVERANI-WEILAND 1999, con un esaustivo inquadramento topografico alle pp. 13-43 e la segnalazione dei ritrovamenti nell‟area del Vaticano peri quali si veda anche la completa presentazione della CARTA ARCHEOLOGICA, LIVERANI 2003, LIVERANI 2006B.

2 In relazione alle emergenze funerarie sulla via ostiense in prossimità della basilica si vedano STEVENSON 1897, STEVENSON 1898, LUGLI 1919, CORSETTI 1981, LIVERANI 1988, LIVERANI 1989.

3

Eus. Hist. Eccl. II, 25, 7.

4 MGH AA, IX, p. 71, VALENTINI ZUCCHETTI 1942, pp. 1-11 e nota 1 pp. 19-20, SAXER 1969, SAXER 2000.

(6)

3 svolti nella necropoli vaticana sottostante la basilica5 hanno permesso di ricostruire perfettamente le fasi della monumentalizzazione di cui fu oggetto la sepoltura petrina fin dalla fine del II secolo, con l‟addossamento dell‟edicola marmorea al “muro rosso” del campo P, privo di copertura, proprio con la funzione di proteggere oltre che segnalare il fulcro della venerazione6. Meno precisa è la conoscenza dell‟originario sacello paolino, costituito probabilmente da un piccolo mausoleo, o meglio da una piccola struttura per la quale non disponiamo di una ricostruzione precisa7 a causa della differente conformazione della sepoltura, la cui indagine risulta strutturalmente meno agevole. Indubbie sono comunque le fonti che ci parlano di un precoce interesse verso le due aree, presupposto necessario per comprendere le fondazioni di più ampio respiro che interverranno per volontà dell‟imperatore Costantino in accordo con il vescovo di Roma.

Un dato fondamentale in questo senso, nonostante la differenza dimensionale che le fondazioni costantiniane mostreranno, è la volontà di mantenere, in entrambi i casi, inalterato il polo cultuale. L‟operazione appare in tutta la sua monumentalità a S. Pietro, dove la costruzione della basilica martiriale comportò un adattamento del pendio del colle Vaticano, oltreché l‟interramento della necropoli pagana, per poter ospitare il monumento sito immediatamente sopra il sepolcro, nonostante le evidenti problematiche di ordine tecnico che tale progetto comportava8. La basilica prevedeva

5

Per la necropoli, sviluppata da epoca adrianea fino al momento della costruzione della basilica, e per le sue progressive fasi di sviluppo si veda APOLLONJ GHETTI-FERRUA-JOSI-KIRSCHBAUM 1951, pp. 23-104 nonché la più recente analisi e periodizzazione in MILELSCH-VON HESBERG 1986, MILELSCH-VON HESBERG 1996. Per la topografia e la necropoli in generale KRAUTHEIMER-CORBETT-FRAZER 1980, pp. 183-189.

6 Nello specifico in relazione alla zona denominata “campo P” e al trofeo di Pietro con le problematiche interpretative connesse si vedano APOLLONJ GHETTI-FERRUA-JOSI-KIRSCHBAUM 1951, per il campo “P”, pp. 10-117, sulla memoria pp. 119-144, GUARDUCCI 1958, GUARDUCCI 1959, GUARDUCCI 1961, PIETRI 1974, RUYSSCHAERT 1976, LIVERANI 2006.

7 La documentazione venne raccolta dal Vespignani durante le indagini nel 1838 e fu successivamente pubblicata da Rodolfo Lanciani (LANCIANI 1917), ma in relazione alla monumentalizzazione precedente alla sistemazione costantiniana non sussistono dati sufficienti a causa della successiva sovrapposizione dell‟altare, con i progressivi rifacimenti. Un‟ipotesi ricostruttiva è stata avanzata da Apollonj Ghetti, che vede nelle tracce indagate dal Vespignani i lacerti di un mausoleo entro il quale fosse conservata l‟arca marmorea, APOLLONJ GHETTI 1969, pp. 24-26, CECCHELLI 1950. Per le indagini in corrispondenza della tomba di Paolo, situata al di sotto dell‟altare di S. Timoteo FILIPPI 2006, FILIPPI 2007-2008 e da ultimo FILIPPI 2009 con una sintesi dei dati raccolti nelle campagne di indagine 1998-1999/2007-2008.

8 Della vastissima bibliografia sulla basilica costantiniana si segnalano alcuni lavori fondamentali, accompagnati dalle più recenti trattazioni che offrono una sintesi dei dati APOLLONJ GHETTI-FERRUA-JOSI-KIRSCHBAUM 1951, pp. 147-172 KRAUTHEIMER-CORBETT-FRAZER 1980, in particolare le pp. 191-212 sulle fondazioni e sui lacerti murari costantiniani, le pp. 246-266 sull‟edificio (per la definizione della cronologia si vedano le pp. 278-283), PIETRI 1974, KRAUTHEIMER-CARPICECI 1995, KRAUTHEIMER-CARPICECI 1996, BRANDENBURG 2004, pp. 92-103, e da ultimo LIVERANI 2006A.

(7)

4 uno sviluppo in cinque navate pari a oltre 100 metri di lunghezza per circa 60 di ampiezza, con abside rivolta a ovest, sulla cui corda campeggiava la confessio comprendente all‟interno l‟antico trofeo di Gaio9

. La navata maggiore era longitudinalmente scandita, dal transetto fino all‟ingresso, da un colonnato composto da 23 intercolumni che la dividevano dalle navate laterali, a sostegno di una trabeazione liscia su cui si impostavano le pareti culminanti in una serie di finestre immediatamente al di sotto della copertura.

Anche la memoria paolina venne dotata dallo stesso Costantino di un edificio che la comprendesse, rispondendo contemporaneamente alle esigenze del culto, tuttavia esso presenta un‟ampiezza ed una monumentalità nettamente minori. Dell‟antica struttura, di cui abbiamo menzione nel Liber Pontificalis10, è stata rinvenuta, durante le ricognizioni del Belloni11 a metà del XIX secolo, solamente parte dell‟abside, riportata alla luce in occasione delle esplorazioni del 2002 e del 200612. Questa risulta orientata verso ovest, come a S. Pietro, ma presenta dimensioni nettamente minori rispetto all‟abside vaticana, con un massimo di estensione di 9 m circa13. Dunque, l‟edificio dedicato all‟apostolo Paolo edificato sotto Costantino era significativamente ridotto rispetto alla monumentale basilica di S. Pietro, e si dovrà attendere l‟intervento dei tre imperatori Teodosio, Valentiniano II e Arcadio14 intorno all‟anno 386, attestato dal famoso rescritto al praefectus Urbi Sallustio e dall‟iscrizione che campeggiava sull‟arco trionfale15, per assistere ad una fondazione paragonabile a quella eretta sul colle Vaticano. Il nuovo progetto, che aveva come fine quello di accrescere le dimensioni dell‟edificio costantiniano per le esigenze del culto restituendole una dignità pari alla

9 APOLLONJ GHETTI-FERRUA-JOSI-KIRSCHBAUM 1951, pp. 161-172, KRAUTHEIMER-CORBETT-FRAZER 1980, pp. 263-265

10 LP I, p. 178, ma il Krautheimer giudica il passo sospetto KRAUTHEIMER-CORBETT-FRAZER 1980, pp. 101-102.

11 BELLONI 1853, KRAUTHEIMER-CORBETT-FRAZER 1980, pp. 122-123, FILIPPI 2007-2008. 12

FILIPPI 2007-2008 e FILIPPI 2009, pp. 37-40. 13 BRANDENBURG 2009.

14 CSEL XXV, p. 46. 15

THEODOSIVS COEPIT, PERFECIT HONORIVS AVLAM/DOCTORIS MVNDI SACRATAM CORPORE PAVLI, ICVR, II, nn. 81, 17 e 17a, ICVR-NS II, n. 4780). L‟epigrafe musiva in origine non figurava sull‟arco trionfale, ma vi venne probabilmente apposta in uno dei restauri moderni del monumento, dal momento che viene qui registrata per la prima volta dai dipinti eseguiti dal Pannini nel corso del XVIII secolo, seppure con una minima variante (GARDNER 1999, pp. 245-246). Una seconda iscrizione, databile al pontificato di papa Siricio attesta che nel 390 era terminata, con la conseguente dedicazione, la sezione presbiteriale compreso il transetto (ICVR-NS, II, n. 4778), attestando allo stesso tempo i nomi dei responsabili della costruzione ancora in corso.

(8)

5 sua antichità16, fu direttamente ispirato alla basilica vaticana, ma risultò ancora più esteso del suo stesso prototipo17: le dimensioni superavano, infatti, quelle di S. Pietro, con una lunghezza che giungeva fino a 128 m, per un‟ampiezza pari a 65. Uniche differenze rispetto alla struttura vaticana erano l‟inversione dell‟orientamento, originariamente verso ovest, e ora ruotato di 180° con abside rivolta a est, e la presenza di archi al posto della trabeazione liscia in corrispondenza del colonnato divisorio fra navata centrale e navate laterali, composto da venti colonne. Le motivazioni di tale manifesta emulazione della basilica petrina devono essere rintracciate nell‟ambito storico-politico del maturo IV secolo, periodo in cui la figura di Paolo viene in qualche modo rivalutata in vista del nuovo ruolo, potremmo quasi dire propagandistico, affidato all‟apostolo delle genti18

. Nella intervenuta esigenza di rispondere alla crescente conversione delle ultime sacche di paganesimo corrispondenti in massima parte con l‟élite senatoria, la figura del dotto apostolo orientale bene corrispose, infatti, alle esigenze del progetto politico imperiale e papale.

Dunque, nel corso del IV secolo la concezione portata avanti dalle autorità politica e religiosa a Roma poteva fondare il proprio manifesto sull‟appartenenza alla tradizione dell‟Urbe di entrambe le figure, petrina e paolina, che venivano ad incarnare tradizioni e tendenze differenti, occidentale e orientale, pragmatica e teorica, sotto il simbolo unificante della nuova Roma cristiana. Alla luce di questa fondamentale premessa va letto il definitivo assetto assunto sullo scorcio del IV secolo da entrambe le memorie apostoliche, trasformate ora in veri e propri martiria fulcro della spiritualità e, quindi, del pellegrinaggio alle tombe venerate. Risulterebbe in questa sede fuorviante ricordare tutti gli interventi successivi che interessarono nel corso della loro lunga vita le due fondazioni, tuttavia un dato interessante per comprendere come il concetto cardine fosse il fondamentale legame con la presenza delle reliquie venerate ci viene dagli interventi di Gregorio Magno. Il pontefice, infatti, apportò una sostanziale modifica all‟interno dell‟area presbiteriale creando in entrambe le basiliche le cripte semianulari per

16

“Desiderantibus bobis contemplatione venerationis antiquitus iam sacratae basilicam Pauli

apostoli pro sanctimonio religionis ornare, pro antiquitate conventus amplificare, pro studio devotionis attollere”, CSEL XXV, p. 46.

17 Per la basilica, la sua costruzione e le motivazioni ideologiche che mossero la committenza si vedano in particolare MARTINEZ FAZIO 1972, KRAUTHEIMER-CORBETT-FRAZER 1980, pp. 97-169, CORSETTI 1981, KRAUTHEIMER 1982, LIVERANI 1989A, BRANDENBURG 2004, pp. 114-130, BRANDENBURG 2009.

(9)

6 permettere la celebrazione direttamente sulle tombe degli apostoli19, a conferma del rapporto ininterrotto con la sepoltura martiriale. Si tratta, in effetti, dell‟ultima modifica strutturale compiuta sugli edifici, i quali manterranno sostanzialmente intatta la loro articolazione in modo stabile fino alla loro pressoché totale perdita motivata da differenti vicende storiche20, ma ugualmente rovinosa, specie dal punto di vista che interessa l‟oggetto della presente ricerca.

Infatti, proprio a causa del costante interesse verso i due monumenti, che comportò continue trasformazioni dal punto di vista del decoro interno, la decorazione risulta uno degli aspetti maggiormente controversi nella ricostruzione e nello studio da parte della critica. Poco o nulla sappiamo dell‟originaria ornamentazione dell‟abside di S. Pietro, che secondo la maggior parte della critica doveva essere pressoché aniconica, e constare della sola camera fulgens citata dal Liber Pontificalis come donazione dell‟imperatore Costantino21. Ben presto, però, probabilmente già nell‟avanzato IV secolo, il motivo eminentemente decorativo dovette lasciare spazio al famoso tema della traditio legis, con una rappresentazione, dunque, iconica che possiamo solo desumere dalla sua riproduzione su una serie di sarcofagi e oggetti nel campo delle cosiddette “arti minori”22

. Tuttavia, anche questa seconda fase appare per noi completamente perduta in quanto sostituita dal restauro promosso da papa Innocenzo III, il quale trasformò l‟originale tema della traditio legis nella maiestas Domini che occupò la conca absidale fino allo smantellamento23. A parte i cicli vetero e neotestamentario dei quali ci si occuperà in modo approfondito nei successivi capitoli, ad epoca paleocristiana doveva risalire anche la decorazione della facciata trasmessaci da un disegno dell‟XI secolo

19

LP I, p. 310.

20 Per le vicende successive allo smantella mento della basilica costantiniana iniziato agli esordi del Cinquecento e proseguito nel secolo successivo si vedano LUITPOLD FROMMEL 2009, BELLINI 2009, CONNORS 2009, CONNORS 2009A. In merito all‟incendio del 1823 e alla successiva opera di ricostruzione della basilica ostiense CERIONI 1988, TOMEI 1988, PALLOTTINO 1997, PALLOTTINO 2003, SEBASTIANELLI 2004.

21 LP I, p. 176. Sul problema dell‟identificazione e della consistenza delle camrae fulgentes citate sia per S. Pietro che per S. Giovanni in Laterano (LP I, p. 172) e consistenti probabilmente in rivestimenti in oro o tessuti preziosi si vedano GUARDUCCI 1981, pp. 799-817, DE BLAAUW 1994, pp. 116-117, p. 458 ANDALORO-ROMANO 2000A , pp. 93-98, BISCONTI 2000, pp. 452-454, BISCONTI 2000D, pp. 186-187, BISCONTI 2002, BISCONTI 2005, p. 181.

22 BUDDENSIEG 1959, DAVIS-WEYER 1961, RUYSSCHAERT 1967-1968, TESTINI 1973-1974, BISCONTI 2003C, BISCONTI 2005, per una sintetica ma esaustiva trattazione delle principali ipotesi si veda da ultima MORETTI 2006.

(10)

7 conservato a Windsor24, con rappresentazione dell‟Agnus Dei fra gli evangelisti e i ventiquattro vegliardi dell‟apocalisse acclamanti, databile, grazie all‟iscrizione dedicatoria che ne riconduceva la realizzazione al console Mariano e alla Moglie Anastasia, sotto il pontificato di Leone Magno25. Anche in questo caso, tuttavia, il soggetto venne trasformato a più riprese, fino al definitivo rifacimento nel XIII secolo ad opera di Gregorio IX26, mentre altamente controversa è l‟immagine di Costantino, corredata da iscrizione, in atto di offrire il modello della basilica, che figurava in corrispondenza dell‟arco trionfale27

.

Ancora più problematica è la situazione in relazione al monumento ostiense, per il quale, in conseguenza del deleterio incendio del 1823, la gran parte della decorazione andò distrutta, permettendo il recupero solamente di alcune parti del mosaico absidale, comunque completamente rifatto sotto Onorio III28, di tre pannelli relativi alla narrazione veterotestamentaria (di cui si è perse traccia29) e di quaranta ritratti papali, documenti relativi alla decorazione della navata centrale, nonché di alcuni lacerti del mosaico dell‟arco trionfale. Quest‟ultimo costituisce a tutt‟oggi30 l‟unica

testimonianza31 originale della decorazione antica, in quanto i clipei con i busti dei pontefici appaiono fortemente rimaneggiati. Alcune porzioni del mosaico dell‟arco trionfale, ascrivibile32 al restauro compiuto da Leone Magno e Galla Placidia in seguito all‟incendio che colpì l‟edificio nel 44133

, sono state integrate nel rifacimento ottocentesco, mentre un lacerto con il volto di Pietro, conservato nelle Grotte Vaticane, è stato riconosciuto solo in un secondo momento da Maria Andaloro come pertinente al

24

WEC, Cod. Farf. 124, folio 122. 25 ICVR, II, n. 10 e ICVR-NS, II, n. 4102.

26 WAETZOLDT 1964, pp. 67-68, BORDI 2006, KESSLER 1998, pp. 1166-1170. 27 KESSLER 1999, p. 7, LIVERANI 2006, BRANDENBURG 2004, 98-99

28 DEMUS 1984, p. 19, PACE 1991, p. 182, GARDNER 1999, p. 248. 29

KESSLER 2004, pp. 22-23.

30 Il tema riporta, come la facciata dell‟antica S. Pietro, alla tematica apocalittica, attraverso la rappresentazione del busto di Cristo attorniato dagli esseri tetramorfi e dai ventiquattro vegliardi dell‟Apocalisse, con gli apostoli Pitero e Paolo acclamanti sui piedritti ai lati dell‟arco. ANDALORO 1992, pp. 571-578, CHRISTE 1996, pp. 72-74, BORDI 2006B, BORDI 2006C, UTRO 2009, n. 14, pp. 127-128

31 la prima parola non compare nelle altre versioni. Lungo la ghiera dell‟arco PLACIDIAE PIAE MENS OPERIS DECUS (H)OM(I)NE PATERNI/GAUDET PONTIFICIS STUDIO SPLEND(E)RE LEONIS, in cui si nota un‟eguale differenza, per quanto minima, rispetto a quanto tramandato dai documenti che concentrano la propria attenzione specificamente sull‟arco trionfale.

32 La testimonianza è offerta dall‟epigrafe musiva (ICVR-NS, n. 4784) che corredava l‟arco trionfale, riprodotta nei restauri ottocenteschi con alcune varianti rispetto alle attestazioni dei disegni antichi presenti nell‟acquerello del codice Barb. Lat. 4406, folii 139v-140r della Biblioteca Apostolica Vaticana e nell‟opera del Ciampini alla tavola 68 (CIAMPINI 1693).

33 LP I, p. 239. Si veda anche l‟iscrizione commemorativa che ricorda gli interventi del pontefice (ICVR, n. 831, e UTRO 2009, n. 12, pp. 125-126).

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8 documento figurato34. Alla luce di queste brevi, ma necessarie premesse, è possibile intraprendere lo studio approfondito dei cicli narrativi nelle basiliche di S. Pietro in Vaticano e S. Paolo fuori le mura, prendendo avvio dalla documentazione che ci attesta la presenza e l‟articolazione della materia affrescata che si spiegava sulle pareti della navata centrale di entrambi gli edifici.

LA DECORAZIONE DELLE PARETI LATERALI NELLA NAVATA CENTRALE DI S.PIETRO

IN VATICANO ATTRAVERSO LE FONTI

Per comprendere l‟articolazione delle pareti interessate dalla decorazione narrativa in relazione al contesto interno dell‟intera basilica, il documento principale cui fare riferimento è rintracciabile nel folio 104v-105r del codice Barb. Lat. 2733 della Biblioteca Apostolica Vaticana35. La tavola di mano del pittore Domenico Tasselli illustra, infatti, uno spaccato, colto dall‟ingresso, della porzione superstite dell‟antica basilica costantiniana, dalla quota pavimentale fino al culmine della copertura. Nell‟ottica del presente lavoro, interessa rilevare la scansione degli ampi riquadri che campeggiano nella sezione della parete al di sopra del colonnato divisorio fra navata centrale e laterali. Qui, infatti, appaiono perfettamente osservabili i campi, che, come si vedrà meglio in riferimento alle tavole specificamente dedicate dal Tasselli alla riproduzione delle singole pareti, ospitavano la decorazione ciclica. Sullo sfondo, si nota il muro divisorio eretto nel 1538 da papa Paolo III36 per dividere il settore occidentale della basilica, abbattuto e in costruzione secondo il nuovo progetto, da quello orientale costantiniano ancora aperto al culto.

34 ANDALORO 1989, BORDI 2006A, da ultimo UTRO 2009, n. 13, pp. 126-127. 35

Si anticipa qui la menzione del codice Barb. Lat. 2733 che verrà compiutamente trattata nel successivo paragrafo in quanto offre una prima veduta d‟insieme in tutto confrontabile con quella di Giovan Battista Ricci da Novara citata di seguito.

36 Sul muro eretto da Paolo III abbiamo notizie proprio grazie a quanto lo stesso Grimaldi riferisce in proposito sia negli appunti contenuti nel folio 17r del codice A64 ter dell‟Archivio Vaticano, che all‟interno della Descrizione. Nel primo, sulla tavola del 1606 attribuita a Domenico Tasselli, compare la nota del Grimaldi che recita “Murus dividens novam basilicam a veteri sub Paulo III factus et sub Paulo

V anno 1615 mense martio et aprili usque ad diem XII quae fuit dominica palmarum solo aequatus” (in

proposito NIGGL 1971, pp. 328-329). Più completa è, come di consueto, la menzione all‟interno del codice Barb. Lat. 2733, in cui nei folii 115v-116r viene copiata la tavola contenente la raffigurazione del muro, corredata dalle note del notaio apostolico sul folio 115r (“Exemplum muri divisorii veteris

basilicae a templo novo a Paulo tertio exstructus”) e sugli stessi folii 115v-116r (“Muro dividens nouam a veteri Basilica Pauli III. Pont. Max. iussu exstructus”). Inoltre sul folio 117r il notaio apostolico annota

la costruzione della struttura eseguita per dividere le due parti della basilica e proteggere dalle intemperie la sezione della antica basilica costantiniana.

(12)

9 A questa prima veduta, va associata una seconda testimonianza, di poco successiva e con tutta probabilità derivata proprio dal disegno del Tasselli, la quale mostra, con ancora maggiore attenzione al dettaglio, la struttura entro cui si inseriva la materia narrativa. Si tratta dell‟affresco eseguito da Giovan Battista Ricci, all‟incirca negli stessi anni della documentazione del Grimaldi, per la cappella della Madonna della Bocciata nelle Grotte Vaticane37. Qui, si nota ancora meglio come i pannelli disposti su due registri, fossero inquadrati da pilastri laterali e cornici modanate (superiori e inferiori), le quali, secondo quanto mostra la caratterizzazione dell‟affresco, sembrano essere stati aggettanti. Tali spaccati offrono, dunque, una prima informazione sull‟articolazione dell‟edificio e specialmente delle pareti laterali della navata centrale, tuttavia per analizzare più da vicino i temi figurati occorre fare riferimento ad una documentazione più specifica.

Vista la distruzione del settore occidentale dell‟edificio per circa metà della sua estensione longitudinale, i dati tramandatici dalle fonti Secentesche appaiono insufficienti a ricostruire l‟intera decorazione della nave maggiore, ma forniscono comunque utili indicazioni per il tratto prossimo all‟ingresso.

Il codice dell’Archivio di S. Pietro A64 ter e il codice Barb. Lat. 2733 della Biblioteca Apostolica Vaticana

Al contrario di quanto si vedrà in merito alla basilica paolina sulla via Ostiense i documenti che illustrano la situazione decorativa interna alla basilica vaticana prima della completa distruzione nel corso del XVII secolo sono estremamente ridotti. Mentre per S. Paolo disponiamo di una serie, comunque limitata, ma differenziata tipologicamente e cronologicamente di fonti, per l‟edificio dedicato a S. Pietro esiste sostanzialmente un‟unica testimonianza che ci documenti la decorazione interna, conservata in due versioni distinte ma riferibili ad un‟unica redazione di base. Si tratta della redazione ad opera del notaio apostolico Giacomo Grimaldi38, contenente la descrizione delle condizioni della basilica agli inizi del Seicento, quando erano in piena attività le operazioni di cantiere per la costruzione del nuovo assetto dell‟edificio.

37 L‟affresco, datato al 1618-1619, venne rimosso dalla parete orientale della cappella nel 1949 dove era stato eseguito per essere trasferito su tela (si veda in proposito la recente scheda dedicata all‟opera all‟interno del catalogo della mostra dal titolo San Paolo in Vaticano, con precedente bibliografia, UTRO 2009, pp. 237-238).

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10 L‟attività di documentazione relativa ai lavori in corso, che prevedeva di porre una particolare attenzione ai monumenti interni che sarebbero stati rimossi o completamente distrutti in occasione della ricostruzione, venne commissionata dallo stesso pontefice Paolo V a partire dal 160539, che incaricò il Grimaldi di redigere, appunto, i verbali dello smantellamento comprendenti anche una sorta di censimento delle opere d‟arte. Il lavoro del notaio apostolico prevedeva, oltre alla stesura di un testo descrittivo, anche la presenza di una serie di tavole affidate, per la realizzazione, al pittore Domenico Tasselli da Lugo con l‟illustrazione di alcune vedute generali o di opere particolari. Nello specifico, ai fini della ricostruzione dei cicli affrescati che occupavano entrambe le pareti della navata centrale, appaiono di fondamentale importanza sia i disegni originali, contenuti nel codice A64 ter dell‟Archivio Capitolare di S. Pietro, sia le copie allegate alle descrizioni del Grimaldi confluite nell‟opera di quest‟ultimo, indirizzata al papa e completata nel 1619 (codice Barb. Lat. 2733) con il titolo Descrizione della

basilica antica di S. Pietro in Vaticano o Instrumenta autentica translationum sanctorum corporum et sacrarum reliquiarum e veteri in novum templum Sancti Petri40.

La prima testimonianza utile in questo senso è costituita dal codice A64 ter dell‟Archivio di S. Pietro41

, il cosiddetto Album Vaticano, che comprende diversi documenti utilizzati per la redazione definitiva dell‟opera del Grimaldi, raccolti in 52 folii non rilegati e di differenti dimensioni, contenti sia appunti scritti di mano dello stesso Grimaldi che disegni di mano del Tasselli. In particolare, secondo la più tarda numerazione dello Stornajolo, il folio 13r è costituito da una tavola di ampio formato, che misura cm 42,3x56,6, eseguita nel 1606 per mano del pittore Domenico Tasselli, comprendente la veduta della parete destra della navata centrale dell‟antica basilica di S. Pietro. Originariamente il folio doveva presentare una differente numerazione, come indicail numero che si rintraccia a destra

Il disegno mostra come la parete fosse ancora conservata per una lunghezza pari ad undici degli originari ventitré intercolumni, mentre in verticale presenta un‟estensione dal piano di calpestio fino all‟imposta della copertura, al di sopra delle finestre che

39 Per il manoscritto e la sua nascita si vedano NIGGL 1971, pp. 34-48 NIGGL 1972, pp. XI-XVIII, in particolare per l‟incarico da parte di Paolo V si veda p. XII, per la redazione definitiva anche NIGGL 1971, pp. 49-59.

40 BAV, codice Barb. Lat. 2733, folio 1r. In realtà il titolo si riferisce alla prima parte dell‟opera completata, appunto, nel 1619, mentre la seconda parte, terminata un anno dopo, rimase priva di un titolo proprio, NIGGL 1972, sull‟edizione in particolare pp. XII-XIII.

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11 occupano la fascia superiore. Il soggetto della tavola è indicato da una nota che compare nel margine superiore, leggibile nello stesso senso dell‟immagine, di mano del Grimaldi, come indica il confronto con il codice Barb. Lat. 273342, che recita “Picturae

antiquissimae et iam vetustate quasi obliteratae iussu Formosi primi Pont. Max. factae in muro maioris navis versus palatium Apostolicum”. Al di sopra del colonnato che

divideva la navata centrale da quelle laterali si nota una cornice modanata, sulla quale si distingue una prima fascia con motivi spiraliformi e i tondi con i ritratti papali entro clipei che compaiono anche alla base del registro inferiore della decorazione narrativa. Questa si articola in due ordini sovrapposti, attraverso scene collocate in pannelli rettangolari che occupano la larghezza di un intercolumnio, inquadrati lateralmente da partiti architettonici composti da colonne scanalate, forse aggettanti, come sembrerebbe indicare la tenue ombreggiatura che si nota in corrispondenza dei plinti. La decorazione viene completata, nella porzione superiore, da figure stanti e nimbate, che rappresentavano profeti e personaggi biblici, come si rintraccerà anche a S. Paolo, collocati a coppie antro lo spazio di risulta ricavato tra le aperture arcuate delle finestre. Da rilevare come in questo stesso settore, a sinistra, si collochi un riquadro incorniciato da una doppia lista entro il quale campeggia una figura angelica con la nota del Grimaldi appuntata di fianco, che attribuisce la figura a Giotto43.

I pannelli riprodotti integralmente sono in realtà solamente dodici distribuiti su entrambi i registri, mentre altri due presentano una raffigurazione solamente parziale (il primo del registro superiore ed il secondo di quello inferiore), segno evidente che, come indica chiaramente la didascalia riportata, le pitture versavano in uno stato di conservazione affatto ottimale.

Un secondo documento utile per confrontare, e in parte integrare, la testimonianza figurata del Tasselli, si rintraccia, come si accennava, nell‟opera manoscritta del Grimaldi, nella quale, accanto alla copia del disegno del Tasselli che costituisce folii 108v-109r, sono elencati i temi ancora discernibili con i quali erano campiti i riquadri figurati. Il testo, dopo aver ricordato la presenza delle figure dei profeti a livello delle finestre, segnala in totale diciannove storie, quindi cinque in più rispetto a quelle presenti nella ricostruzione visiva, permettendo di identificare anche quei pannelli che risultavano in parte incompleti o non abbastanza conservati da essere riprodotti

42 Si veda in proposito WAETZOLDT 1964, cat. 23, NIGGL 1971, pp. 324-325, NIGGL 1972, p. XVII. 43 “Hic angelus manu Iotti pictus erat”.

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12 figurativamente. Nello specifico al folio 106r il Grimaldi annota i seguenti soggetti “In

dextro parete ab ingressu eiusdem navis erant in summitate ad planum fenestrarum prophetae stantes. Immediate sub fenestris erant istae historiae: Animalia ingredientur in arcam; arca ferebatur super aquas; Abraham tres vidit et unum adoravit; eicit ancillam et filium; stravit asinuum suum, ut imolaret Isaach;Abraham extendit brachium ad imolandum; Isaach petit asini afferri venatione;affertur venatio” per il

registro superiore, segnalando inoltre che “Tres alias historias offuscatas et pulvere

caecatas excipere non potui”44.

Per il registro inferiore la situazione appare più completa, nel senso che le indicazioni offerte dal Grimaldi permettono di ricostruire l‟intera successione degli episodi veterotestamentari presenti in questa sezione della navata, sebbene molti vengano tralasciati nelle restituzione figurata della parete: “Infra, in alio ordine: Moyses

et Aaron loquuntur ad Pharaonem, ut dimittat populum. Virgam vertit in serpentem coram Pharaone. Aquam virga vertit in sangiunem. Tangit aquam fluminum et exeunt ranae. Tangit terram et exeunt cinipe. Spargit cinerem et grando interficium iumento. Ignis et grando interficium nomine. Plaga locusta rum. Angeli interficiunt primogenitos. Subversio pharaonis in mari rubro. Et egressio Moysis tangentis virga aqua maris”45.

Dunque, la consultazione comparata della tavola contenuta nel folio 13r del codice A64 ter e del commento che accompagna la copia del medesimo disegno del Tasselli nel codice Barb. Lat. 2733, permette di avere un quadro certo non esaustivo, vista la completa perdita del settore occidentale della navata centrale, ma comunque abbastanza ricco del ciclo veterotestamentario in S. Pietro. La precisa identificazione dei soggetti si desume, infatti dal testo del Grimaldi, mentre la formulazione iconografica viene descritta, con notevole dovizia di particolari, dal disegno originale dell‟Album Vaticano, nonostante il formato piuttosto ridotto dei singoli riquadri.

A tale proposito, questa versione dell‟immagine appare preferibile, in quanto eseguita dal vero, rispetto alla sua copia presente nei folii 108v-109r del codice Barb. Lat. 2733. Sebbene, infatti, non si notino differenze sostanziali nello schema delle singole composizioni, tuttavia la redazione inserita nella Descrizione della basilica

antica di S. Pietro in Vaticano soffre sia di una minore leggibilità conseguente alle

tracce di inchiostro trasparite dalle pagine retrostanti, sia di una resa meno articolata che

44 BAV, codice Barb. Lat. 2733, folio 106r. 45 BAV, codice Barb. Lat. 2733, folio 106v.

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13 ne denuncia il carattere di testimonianza secondaria. In questo senso le figure mostrano proporzioni leggermente differenti rispetto al pannello in cui sono comprese, ed un grado di definizione più approssimativo, con contorni meno netti e precisi, accompagnati da una campitura decisamente approssimativa. Pertanto, nel confronto degli schemi con le testimonianze relative alla decorazione pittorica di S. Paolo fuori le mura, relativa all‟Antico Testamento esattamente come nella basilica vaticana sarà indicato come referente privilegiato esclusivamente il folio 13r del codice A64 ter dell‟Archivio di S. Pietro, che risulta la fonte primaria e più particolareggiata.

L‟unione delle due testimonianze permette, inoltre, di comprendere il verso di lettura del ciclo, i cui momenti narrativi mostrano uno sviluppo da sinistra verso destra, sia nel registro superiore che in quello inferiore. Ciò indica chiaramente che la decorazione doveva prendere avvio nell‟ordine superiore in prossimità dell‟abside e terminare in corrispondenza dell‟ingresso, per poi riprendere, nel secondo registro sempre dal punto più occidentale della navata e seguire un identico andamento.

Un‟articolazione analoga allo svolgimento della decorazione sulla parete destra interessava anche la parete opposta, la meridionale, della quale si conserva, sempre all‟interno dell‟Album Vaticano46

, un disegno di mano del Tasselli, datato al 1606, con l‟illustrazione degli undici intercolumni tra l‟ingresso e il setto divisorio di Paolo III. La tavola, di dimensioni leggermente maggiori (cm 43,4x57) rispetto alla precedente riferibile alla parete destra della navata centrale, era anche in questo caso segnalata con un ordine numerico differente rispetto a quello definitivo attuale, come si nota dalla segnalazione in inchiostro scuro in corrispondenza del margine superiore destro considerando il verso di lettura dell‟immagine.

La notazione di mano dello stesso Grimaldi, visibile sul margine superiore nel senso di lettura della scena, recita “Murus maioris navis supra altare Sanctissimi Sacramenti,

picturae erant Formosi primi, sed obliteratae ex summa nigredine pulvere cum murus penderet palmis.V. historiae erant novi Testamenti”. La tavola presenta una scansione

della parete perfettamente corrispondente a quella opposta, con un colonnato sormontato da una cornice lineare sulla quale si impostava una decorazione a meandro scandita, in corrispondenza delle colonne, dai ritratti dei papi. Il settore intermedio era occupato, anche qui, da un doppio ordine di pannelli inquadrati da colonnine scanalate

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14 su basi aggettanti, con un‟evidente anomalia che corrisponde grosso modo al centro della zona rappresentata. Infatti a partire dal sesto pannello di entrambi i registri figura, come unico soggetto iconografico copiato, la crocifissione, la cui estensione si articola non in uno, ma in ben quattro riquadri, ovvero il sesto ed il settimo di entrambi i registri; oltre, la successione doveva nuovamente riprendere normalmente, come si evince da un ritorno all‟articolazione in ordini sovrapposti, scanditi da pannelli rettangolari.

In totale, dunque, all‟epoca della documentazione prodotta dal Grimaldi, sulla parete sinistra della basilica vaticana vie era posto per diciannove pannelli relativi alle storie neotestamentarie, tuttavia le condizioni, come recita anche la nota che correda l‟immagine, dovevano risultare tanto precarie da non permette al Tasselli di copiare, almeno in questo primo momento, che la crocifissione centrale articolata su quattro riquadri. Anche la fascia decorativa superiore si presenta completamente priva di motivi figurativi, mentre, come si è visto per la parete destra, gli spazi di risulta che separavano le finestre erano originariamente occupati dai profeti disposti a coppie.

Poco di più emerge dal confronto con il manoscritto della Descrizione della basilica

antica di S. Pietro in Vaticano, il quale viene corredato di una seconda tavola realizzata

dal Tasselli47 contente ben quattro scene in più rispetto all‟Album Vaticano collocate in vari punti della sequenza narrativa. Inoltre, in base alle indicazioni fornire nel testo dallo stesso Grimaldi, è possibile ricavare il soggetto iconografico solamente di poche delle scene relative, secondo le indicazione dello stesso autore, ad un ciclo cristologico “In altero pariete e regione erant historiae novi testamenti, sed quia pulvis ob

inclinatum parietem in ipso facile consistebat picturae erant penitus caecatae, has solas notavi: Baptismus. Suscitatio Lazari. In medio parietis supra altare apostolorum Simonis et Iudea est Cricifixio cum latronibus et iuxta crucem Maria mater eius et sanctus Ioannes Evangelista; immediate sub cruce immagine capitum apostolorum Simonis et Iudae, in festo eorundem accendebantur lumina ante ipsas, etiam novissime. Descensus ad Limbum. Apparet XI apostolis, ut clarius sequens declarat exemplum”48.

Seguendo la breve menzione delle scene il verso di lettura del ciclo sembra procedere in senso opposto rispetto a quanto si notava per il ciclo veterotestamentario, ovvero da destra, dove si rintraccia la prima scena in ordine di narrazione biblica,

47 BAV, codice Barb. Lat. 4406, folii 113v-114r. 48 BAV, codice Barb. Lat. 4406, folio 106v.

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15 ovvero il battesimo, verso sinistra, seguendo appunto la sequenza di crocefissione-discesa al limbo-apparizione suggerita dagli ultimi riquadri del registro inferiore. Dunque, anche in questo caso la materia narrativa prendeva, con tutta verosimiglianza, avvio dal punto più prossimo all‟abside, per poi svolgersi in direzione dell‟ingresso, in corrispondenza del quale si dovevano collocare i pannelli conclusivi.

Come riferito, la datazione degli affreschi viene ricondotta dal Grimaldi, il quale trae probabilmente la notizia dal Liber Pontificalis49

, a papa Formoso, mentre all‟opera di Giotto riferisce la ridipintura dell‟angelo che campeggia nel pannello accanto alla prima finestra da sinistra nella sezione superiore della parete destra. Dunque, si individuano varie fasi pittoriche, la cui trattazione viene rimandata al capitolo specifico relativo decorazione della parete sinistra della navata centrale (capitolo III), in quanto le scene qui riprodotte offrono alcuni interessanti spunti di riflessione. In ogni caso la datazione all‟epoca paleocristiana, almeno in relazione al ciclo veterotestamentario, non viene messa in dubbio, e se ne colloca l‟esecuzione sotto il pontificato di Leone Magno per l‟analogia con la narrazione presente a S. Paolo fuori le mura, e a causa del sicuro intervento del pontefice sul monumento, come testimoniava la decorazione della facciata dell‟edifico corredata da un‟epigrafe commemorativa50. Tutt‟al più Herbert

Kessler negli ultimi interventi a riguardo51 ha anticipato la datazione al terzo quarto del IV secolo, poco dopo il completamento della basilica, senza fornire, però, ulteriori dati di riferimento.

LA DECORAZIONE CICLICA DELLE PARETI LATERALI NELLA NAVATA CENTRALE DI S.

PAOLO FUORI LE MURA ATTRAVERSO LE FONTI

L‟attestazione dei cicli vetero e neotestamentari che decoravano la navata centrale della basilica di S. Paolo fuori le mura si deve per la prima volta al Ghiberti, il quale fu anche il primo ad identificare la mano del pittore con quella di Pietro Cavallini52, tuttavia a parte la menzione, peraltro parziale, dei soggetti rappresentati, l‟autore non descrive in alcun modo la successione delle scene, o la disposizione delle pitture,

49 LP II, p. 227. 50

ICVR, II, n. 10, ICVR-NS, II, n. 4102. 51 KESSLER 1989 e KESSLER 1999 (2002). 52 Cfr. infra.

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16 indicandone semplicemente la collocazione sulle pareti della navata centrale. Per comprendere quale fosse l‟aspetto complessivo dell‟interno del monumento, in qualche modo il colpo d‟occhio, appaiono utili una serie di vedute, che, a partire dal Settecento, in particolare da quella considerata il primo esempio di questo tipo ad opera del Piranesi, immortalarono la disposizione e l‟ampiezza degli spazi. Da queste, si comprende con molta chiarezza la scansione dei partiti decorativi, la monumentalità che essi contribuivano a conferire all‟edificio e la loro perfetta integrazione rispetto alla disposizione, ma la loro attendibilità rispetto ai soggetti decorativi si limita tutt‟al più all‟arco trionfale, tanto imponente da essere solitamente scelto come fuoco terminale verso cui far convergere l‟attenzione dell‟osservatore e reso, proprio per il punto d‟osservazione privilegiato e le grandi dimensioni, in modo non preciso, ma comunque aderente al vero.

Le vedute generali eseguite sia prima che dopo l‟incendio del 182353 risultano sicuramente molto utili, dunque, per determinare lo svolgimento della decorazione della basilica, e per permettere di capirne la relazione con la struttura architettonica che scandisce l‟articolazione dello spazio interno, tuttavia, esse risultano poco significative per comprendere le tematiche specifiche di ogni singolo pannello, rispondendo in massima parte ad un criterio estetico o documentaristico che privilegia l‟osservazione e lo stato di conservazione dell‟intero monumento, piuttosto che la precisa registrazione del dettaglio decorativo. In base a queste particolari vedute d‟insieme, tra le quali spiccano per l‟attenzione al dettaglio, in particolare, i due dipinti del Pannini54

, le vedute di Piranesi e del Rossini, si può avere un‟idea visiva dell‟articolazione della decorazione, che comprendeva una fascia inferiore con la rappresentazione dei ritratti papali appena al di sopra del colonnato, un secondo ordine composto da due registri sovrapposti di pannelli, ed un terzo settore articolato in figure stanti intercalate alle aperture in corrispondenza della sommità della navata.

53 BOCCOLINI 1954, KRAUTHEIMER-CORBETT-FRAZER 1980, pp. 146-151.

54 Gardner sottolinea come l‟attenzione del pittore verso la scansione della parete e il cromatismo siano estremamente importanti per ricostruire, appunto, l‟aspetto complessivo dell‟interno, in cui si nota, ad esempio che le finestre nell‟ordine superiore della navata centrale vennero in massima parte chiuse, GARDNER 1999. Tuttavia, a parte la scansione architettonica e la presenza di cornici o di fondali che conferiscono, al ciclo una notevole unità, il Gardner non indica il contenuto delle scene come criterio di affidabilità, se non per la resa cromatica strettamente associata alla revisione di Niccolò III del Sancta

Sanctorum (GARDNER 1999, p. 251), proprio perché non vi è una corrispondenza fra i soggetti che si intravedono nella veduta del Panini e quelli riferiti dagli acquerelli, dal d‟Agincourt e dalla tavola del Nicolai.

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17 I ritratti papali55, entro clipei circolari, sono rappresentati con una disposizione a coppie, nell‟ordine di una coppia per ogni intercolumnio, e la perfetta integrazione fra architettura e decorazione si evince anche dalla scansione dei pannelli della fascia mediana, che corrispondono esattamente all‟ampiezza dell‟intercolumnio, mentre le figure dei profeti si vengono a trovare in corrispondenza dei pilastrini tortili, particolarmente evidenti nella veduta del Rossini che delimitano lateralmente i campi figurati. Si è a lungo discusso se questi ultimi costituissero un elemento realistico, effettivamente aggettante rispetto alla superficie della parete, oppure se fossero semplicemente dipinti in modo magari illusionistico, come sembrerebbero suggerire le più tarde vedute quali quella del Rossini, ma anche i dipinti del Panini56, nonché la ricostruzione del Ruspi e dell‟Alippi57. Secondo il Belting58 originariamente tale sistema fu progettato in stucco59, e solo successivamente, durante uno dei restauri al ciclo affrescato, sarebbe stato sostituito da cornici e colonne realizzate ad affresco ad imitazione delle precedenti.

Al contrario, è possibile rintracciare una serie di documenti che concentrano la propria attenzione specificamente sulle tematiche presenti all‟interno di ogni singolo riquadro, per quanto riguarda la navata centrale e la controfacciata, o partito decorativo, con riferimento all‟arco trionfale e alla facciata dell‟edificio. Tali fonti costituiscono la base imprescindibile dalla quale partire per l‟analisi di tutta l‟ornamentazione figurativa

55 Le copie dei ritratti papali costituiscono una raccolta a parte, sempre pertinente alla serie di riproduzioni degli edifici romani fatta eseguire dal cardinale Francesco Barberini e racchiusa nel codice Barb. Lat. 4407 della Biblioteca Apostolica Vaticana. Nonostante gli esemplari staccati dalla parete siano unici lacerti della decorazione pittorica sopravvissuti al disastroso incendio del 1823, i clipei contenenti i ritratti papali non mostrano minori problemi interpretativi. Se ne conservano quaranta, tutti provenienti dalla parete meridionale che, come mostrano anche le incisioni prodotte dopo l‟incendio, risultava la meno compromessa, mentre nulla si possiede della serie della parete settentrionale. Le condizioni e i restauri ripetuti rendono molto ardua la lettura stilistica in base alla quale sarebbe possibile ancorare le ipotesi delle varie ridipinture ad un dato certo, comunque secondo le ultime riflessioni sembra possibile riconoscervi un impianto riferibile all‟epoca tardoantica, collocabile fra il V e il VI secolo (DE ROSSI 1870, WILPERT 1916, 560-577, DE BRUYNE 1934, DE BRUYNE 1934A, e BORDI 2006D con una trattazione delle principali ipotesi interpretative).

56 Per l‟analisi specifica dei dipinti realizzati da GARDNER 1999, p. 250. 57 NICOLAI 1815, tav. II.

58

BELTING 1977, p. 156. Sulla questione si vedano anche TOUBERT 1970, in particolare p. 106, KESSLER 1989 (2002), p. 50 ROMANO 2002, p. 615 e note 9 e 10, p. 628, ROMANO 2002A, p. 106, KESSLER 2004, pp. 13-15.

59 È da notare che un sistema con sottili pilastrini e cornici reali doveva trovarsi a S. Pietro, come mostrano le vedute di ciò che sopravviveva dell‟antica basilica vaticana realizzate nel Seicento sia dal Tasselli (BAV, codice Barb. Lat. 4406, folii 105v-106r) che da Giovan Battista Ricci da Novara nell‟affresco della parete orientale della cappella della Madonna della Bocciata prima della sua rimozione nel 1949 (UTRO 2009, n. 77, pp. 237-238).

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18 dello spazio interno. Sebbene in questa sede interessino specificamente i cicli narrativi che si articolavano nei riquadri intermedi lungo le pareti destra e sinistra della navata centrale, si darà notizia, anche di altre fonti utili a fornire un‟idea della decorazione, per cercare di fornire un quadro più possibile ampio dell‟aspetto dell‟interno monumento.

Il codice Barb. Lat. 4406 della Biblioteca Apostolica Vaticana

La testimonianza più completa ci viene sicuramente offerta da uno dei codici che compongono la ricca serie di riproduzioni ad acquerello, relative a monumenti pittorici e musivi di Roma risalenti ad epoca paleocristiana e medievale, commissionata dal cardinale Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII, a partire dagli anni trenta del XVII secolo60. L‟intensa attività di recupero di alcuni fra i più significativi edifici di culto cristiani promossa da quest‟ultimo, era affiancata anche dalla documentazione grafica del materiale pittorico e scultoreo conservato nelle basiliche romane e ritenuto particolarmente rilevante per antichità o prestigio. La collezione di disegni che attestano questa monumentale operazione di valorizzazione dell‟antico consiste nei codici Barb. Lat. 4402-4408 conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana, eseguiti in massima parte dal pittore Antonio Eclissi e da suoi collaboratori. Nello specifico, i dati utili per ricostruire il soggetto delle scene, singolarmente analizzate, che componevano il ciclo narrativo della navata mediana, sono contenuti all‟interno del codice Barb. Lat. 4406. La fonte risulta di eccezionale importanza in quanto rappresenta la più antica e particolareggiata copia della decorazione disposta al disopra del colonnato centrale, sia nella porzione superiore delle pareti in corrispondenza degli spazi compresi tra le finestre, che nei due registri che si trovavano fra queste e la fascia con i tondi dei ritratti papali, immediatamente al di sopra della trabeazione.61

Il codice è formato da fogli cartacei tutti di dimensione in folio, con misure che si aggirano all‟incirca fra i cm 41x27, legati fra loro in corrispondenza del lato maggior.

60 Infatti, l‟opera di restauro precedentemente intrapresa agli inizi del „600 dal Cardinale Cesare Baronio, fu l‟esempio e lo sprone per le intense campagne di restauro degli edifici ecclesiastici tardoantichi intraprese dalla famiglia Barberini nel periodo di massima rilevanza della famiglia stessa durante il pontificato di Maffeo Barberini, con il nome papa Urbano VIII (1623-1644). In particolare, si deve al nipote di quest‟ultimo, il cardinale Francesco Barberini appunto, il progetto di restaurare una serie di edifici ecclesiastici (SS. Cosma e Damiano, S. Sebastiano al Palatino, S. Urbano alla Caffarella, S. Teodoro e il palazzo Laterano).

61

I tondi con i ritratti dei papi sono compresi in un secondo codice dedicato alla decorazione della basilica di S. Paolo fuori le mura, ugualmente pertinente alla committenza di Franceso Barberini e conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, codice Barb. Lat. 4407, vedi infra.

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19 Ciascuna pagina è contrassegnata da due distinte numerazioni leggibili nel senso di apertura del codice: una prima realizzata a penna nel vertice superiore destro, che rende conto del numero progressivo del folio figurato, ed una seconda realizzata a stampo con inchiostro blu, successiva, visibile nel vertice inferiore destro, che annovera nel computo anche i due folii bianchi inseriti all‟inizio.

Seguendo la prima numerazione, il codice si compone di 142 folii, ognuno dei quali ospita il disegno di un unico campo figurato che viene tracciato esclusivamente sul

recto, mentre il senso di lettura dell‟immagine è analogo a quello di apertura del codice

oppure ruotato di 90° a seconda del maggiore sviluppo in altezza o in larghezza del pannello riprodotto. L‟unica eccezione a questa disposizione è costituita dalla riproduzione della raffigurazione che campeggiava sull‟arco trionfale, la quale occupa, senza soluzione di continuità, gli ultimi due folii, 139v e 140r, presentando un senso di lettura analogo a quello di apertura del volume.

I folii sono tutti provvisti di una cornice rettangolare interna al profilo della pagina, che presenta però dimensioni variabili, e soprattutto un grado di finitura differenziato, nel senso che nella maggior parte dei casi tale riquadro venne prima tracciato a matita, e solamente in un secondo momento ripassato a penna, tuttavia in molti esempi il procedimento non venne condotto a termine, lasciando solo alcuni o tutti e quattro dei lati della squadratura a matita. All‟interno, il disegno viene condotto con analoghe modalità, ovvero tracciato nelle sue linee fondamentali a matita, ed solo in seguito ricalcato in inchiostro bruno, come dimostrano le numerose tracce ancora visibili degli originari contorni delle figure.

Se il primo disegno doveva essere realizzato sul posto, la finitura a penna e le campiture a colore erano, invece, eseguite in un secondo momento, ed infatti sotto la stesura dell‟acquerello sono rintracciabili le indicazioni che i copisti avrebbero seguito, sottoforma di lettere che indicano le iniziali della tinta riservata ad una determinata area: giallo (G), rosso (R), turchese (T), verde (V), prugna (P, solitamente usato per una tinta marrone-violacea), lilla (L, usato molto raramente), e vengono in alcuni casi anche segnalate le zone da lasciare bianche, ovvero prive di campitura (B,b)62. Come si evince da alcuni dei folii che verranno più compiutamente analizzati per rendere conto dei temi che interessavano i cicli narrativi della navata centrale, sono presenti alcune correzioni

62 Più rara, ma comunque presente, è la menzione per esteso del cromatismo, specie in zone ridotte che necessitavano di una particolare attenzione per non essere campite come l‟area circostante.

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20 rispetto alla formulazione definitiva, ottenute semplicemente sovrapponendo il nuovo profilo, delineato con un tratto a penna, alla campitura cromatica già ultimata, spesso associando a questo una seconda stesura di colore con una tinta più pastosa e coprente a tempera. Evidentemente, dunque, doveva essere prevista una fase di verifica finale sul posto a lavoro già ultimato, che comprendesse il confronto con gli originali e la correzione almeno di quegli elementi che differivamo in modo evidente dalla pittura.

Vale la pena mettere in luce alcuni aspetti sui quali si ritornerà più volte nel corso del presente studio, in quanto rappresentano notazioni apportate dal copista che contribuiscono a mettere in luce la problematicità di questo sistema di fonti. Alcune delle note a cui si sta facendo riferimento indicano semplicemente il settore della decorazione che viene copiato, e servono da punto di riferimento per la ricostruzione della successione dei pannelli. In questo caso si tratta di riferimenti a matita o a penna (spesso i secondi riportano in modo più esteso i primi) appuntati in corrispondenza del margine inferiore rispetto al senso di lettura dell‟immagine. In base a tali indicazioni, è possibile risalire sia al criterio di ordinamento dei folii all‟interno del codice, che alla collocazione nel contesto architettonico dei soggetti riprodotti:

folii 1-22: profeti collocati nei pannelli della fascia superiore della parete destra tra le finestre;

folii 23-60: scene di argomento veterotestamentario collocate nella fascia intermedia della parete destra, al di sopra dei tondi dei papi e al di sotto del finestrato;

folii 61-82: profeti collocati nei pannelli della fascia superiore della parete sinistra tra le finestre;

folii 87-128: (i folii 83-86 mancano, o meglio la numerazione riprende dal numero 87 senza che vi sia una reale mancanza di folii) scene di argomento apostolico collocate nella fascia intermedia della parete sinistra, al di sopra dei tondi dei papi e al di sotto del finestrato;

folii 129-136: pannelli relativi alla controfacciata con evangelisti e scene della passione di Cristo;

folii 137-138: figure degli apostoli Pietro e Paolo sui piedritti dell‟arco trionfale; folii 139v-140r: arco absidale;

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21 folii 141-142: monumenti sepolcrali rispettivamente di Giovanni XIII e

Giovanni XVIII.

In particolare, per lo studio dei sistemi narrativi presenti in S. Paolo i dati più utili si desumeranno dall‟analisi dei folii 23-60 e 87-128, riferibili rispettivamente ai cicli veterotestamentario ed apostolico, presenti lungo la fascia intermedia di entrambe le pareti della nave centrale. Ritornando, invece, a considerare le notazioni che corredano le copie Barberini, alcune rivestono un particolare interesse in quanto dimostrano una parziale incomprensione di dettagli o elementi che costituiscono parte integrante della scena. Tali appunti sono direttamente riferiti ad alcuni particolari, per i quali viene segnalata la necessità di una revisione, e costituiscono la prova di una difficoltà di lettura dell‟immagine dovuta, verosimilmente, allo stato di conservazione dell‟intonaco e della pittura. Ed in effetti, l‟inserzione di settori più o meno ampi perfettamente distinguibili come lacune della superficie pittorica, permettono di affermare che il copista cercò di operare una lettura quanto più possibile fedele del testo figurato, segnalando le porzioni ormai illeggibili attraverso una differente caratterizzazione, senza tentarne una ricostruzione interpretativa.

Concettualmente simili appaiono i casi nei quali vengono annotati sul verso del folio singoli dettagli che interessano la raffigurazione riportata sul recto del folio successivo. Si tratta, in effetti, di rare eccezioni che si possono rintracciare esclusivamente nelle sezioni narrative della materia riprodotta, ovvero all‟interno dei cicli veterotestamentario e apostolico63, e solamente in presenza di scene che mostrano una particolare complessità. Con tutta probabilità, si tratta di una sorta di controllo o correzione avvenuta in un secondo momento ad opera della personalità che aveva la funzione di supervisionare l‟attività di copiatura, la quale sottolinea alcuni particolari modificandoli leggermente rispetto alla stesura definitiva dell‟acquerello, riportandoli, appunto, sul verso del folio procedente64 mantenendo lo stesso senso di lettura65.

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Solamente in tre dei folii che compongono il codice è possibile cogliere questo procedimento. La ripresa di alcuni dettagli sul verso del folio precedente si nota tra i folii 29v-30r, 110v-111r, 111v-112r, i quali presentano alcune problematiche legate all‟interpretazione o alla stessa lettura corretta della scena. Al di là del dato generale sul quale è unicamente concentrata l‟attenzione in questo momento, si rimanda alle schede specifiche per la descrizione e le relative considerazioni.

64

HETHERINGTON 1979, p. 84.

65 Questo particolare risulta piuttosto interessante, in quanto se ne deduce che era già stato effettuato un ordinamento dei folii e una rilegatura in volume.

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22 In questi casi l‟incertezza mostrata dal copista nei confronti della tematica riprodotta appare evidente anche nel testo figurato definitivo, in cui non mancano correzione e revisioni imputabili alla verifica dal vero. Si pone, dunque, il problema della leggibilità complessiva dell‟opera, strettamente legato, come si tenterà di evidenziare più avanti, agli interventi sul ciclo pittorico necessariamente verificatisi nel corso dei secoli, i quali costituiscono, nel momento in cui vennero effettuate le copie del XVII secolo, un connotato imprescindibile dell‟immagine. Ancora sul verso di alcuni folii66 sono ugualmente riportate le note che segnalano la completa perdita di pannelli decorativi, con l‟indicazione del numero dei successivi riquadri non più decifrabili, dei quali è necessario tenere conto per la ricostruzione dell‟apparato decorativo. In particolare, ai fini dell‟analisi dei cicli narrativi sarà fondamentale la registrazione della mancanza di tre pannelli nel registro superiore e di uno nel registro inferiore nel racconto delle vicende veterotestamentarie67.

Nonostante il codice Barb. Lat. 4406 costituisca, in buona sostanza, il necessario punto di partenza per qualsiasi ricerca che intenda approfondire lo studio della decorazione affrescata interna alla basilica di S. Paolo fuori le mura, si segnala come l‟interesse della critica si sia preferibilmente rivolto verso determinati episodi, prendendo solo raramente in considerazione l‟intera sequenza, e soprattutto come le analisi sul codice vero e proprio appaiano ormai piuttosto datate. Il primo ad occuparsene in modo sistematico fu il Müntz68, cui si deve in qualche modo la valorizzazione della fonte e che provvide all‟identificazione esclusivamente delle scene veterotestamentarie, fornendone una sintetica descrizione comprensiva di alcune notazioni apposte dai copisti69. In seguito esclusivamente il Garber70 e il Waetzoldt 71 compirono un lavoro sistematico considerando tutti i folii, fornendo un‟interpretazione dei temi e riportando molte delle note che corredano le scene. Si tratta delle edizioni che costituiscono ancora i riferimenti principali quanto a completezza, sebbene non comprendano una descrizione esaustiva dei soggetti, specie delle scene appartenenti alla

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Tali notazioni si rintracciano sul verso dei folii 2, 36, 54, 61. 67 Vedi infra.

68 MÜNTZ 1898.

69 Nello studio, assolutamente fondamentale, tuttavia è estremamente ridotta la sezione dedicata alle storie apostoliche, di cui manca sia la descrizione che l‟identificazione specifica delle relative scene, e a cui l‟autore dedica solamente poche righe, MÜNTZ 1898, p. 9 e 11.

70 GARBER 1918, pp. 3-22. 71 WAETZOLDT 1964, pp. 55-64.

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23 materia ciclica, e necessitino di alcune correzioni in riferimento alla trascrizione delle postille dei copisti. Più completa risulta l‟opera del Koenen72

, che comprende, però, una descrizione ed un‟analisi esclusivamente di quegli episodi che permettono un confronto con la croce argentea del Laterano oggetto dello studio, e specificamente dei folii 23-44 con le storie a partire dalla creazione fino ad arrivare ad alcune delle scene che hanno come protagonista Giuseppe.

Gli studiosi sono concordi nell‟affermare che il codice non sia stato redatto da un‟unica mano, ma piuttosto da un‟equipe composta da più copisti, il cui numero viene fissato a tre per il Müntz73, e a quattro per il Garber74, il Waetzoldt75 e l‟Hetherigton76, tuttavia a parere di chi scrive sull‟intero codice è possibile rintracciare, in base alle corrispondenze interne osservabili nei tratti del disegno per le scene di carattere narrativo, sei mani differenti, con una ripartizione sintetizzata come segue:

1. folii 23, 24, 25, 26, 31, 35, 37, 38, 39, 40, 41, 46, 55, 56, 57, 58, 59, 60; 87, 89, 91, 93, 97, 103, 104, 105, 106, 107, 127; 2. folii 27, 28, 29, 30(?), 43, 44, 51, 52, 53, 54; 108, 109, 110, 111, 112(?), 113, 114, 115, 119, 126; 3. folii 116, 117, 118, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 128; 4. folii 90, 92, 94, 95, 96, 98, 99, 100, 101, 102; 5. folii 32, 42, 45, 47, 48, 49, 88; 6. folii 33, 34, 36, 50.

Le differenze risultano apprezzabili soprattutto nella resa delle figure umane, ed in primo luogo dei tratti del volto e nella differente resa anatomica e delle posture, che appaiono più o meno fluide, nelle proporzioni e nel disegno di alcuni elementi naturalistici, quali la definizione del suolo o delle componenti quali alberi, cespugli e manto erboso. Tuttavia, come notato dall‟Hetherington77, l‟uniformità nella gamma cromatica, nella preparazione della pagina e le notazioni che sembrano appartenere a poche mani differenti, sembrano suggerire un lavoro di preparazione e stesura preliminare compiuto forse addirittura da un‟unica personalità, cui seguì l‟opera di

72 KOENEN 1995, pp. 96-121. 73 MÜNTZ 1898, p. 10. 74 GARBER 1918, p. 19. 75

WAETZOLDT 1964, p. 57, l‟ipotesi viene accettata anche dal Koenen, KOENEN 1995, pp. 103-107. 76 HETHERINGTON 1979, pp. 82-84.

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