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Oltre il dolore, oltre la pena

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Academic year: 2021

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Premessa

Oltre il dolore, oltre la pena

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è il titolo di un film svedese di qualche hanno fa che narra la vicenda di un uomo il quale, rimasto invalido in seguito ad un incidente d’auto, cerca con fatica di ristabilire un contatto con la realtà circostante. Mi è sembrato che il titolo calzasse perfettamente all’argomento di questa tesi che tratta il binomio cinema-handicap attraverso l’analisi di quattro opere, Matti da slegare, A proposito di sentimenti, Amleto…frammenti e Miserere (Cantus), le quali si spingono “oltre” il deficit dei protagonisti, ponendo l’attenzione sulla loro umanità.

La scelta dell’argomento è legata all’esigenza di coniugare il percorso accademico con esperienze che, svincolate dallo studio, hanno partecipato alla mia formazione. Nasce dall’incontro, avvenuto tre anni fa, con un’associazione di volontariato che opera nel settore della disabilità: tutto inizia con la decisione di svolgere l’attività di servizio civile promossa dall’Anffass di Lucca, presso la casa famiglia gestita dall’ente.

Il contatto quotidiano con persone gravate da problematiche fisiche e mentali, ha corretto il mio rapporto con l’handicap, falsato dalla non conoscenza di una condizione che troppo spesso, nel sentire comune, è percepita come “reparto”

disgiunto dal mondo dei normali.

L’handicappato non è un’entità aliena con la quale si è “costretti” a fare i conti, qualcosa di pericoloso da tenere lontano, o, nel migliore dei casi, da affrontare con un’insana compassione di matrice cristiana. Se si prestasse loro attenzione, se ci fermassimo ad ascoltare, senza imbarazzi e falsi pudori, quello che hanno da dire, capiremmo che gli handicappati sono semplicemente delle persone: come ogni altro essere umano, sono incoerenti e pieni di limiti, hanno difetti, vigliaccherie, accanto a pregi e qualità.

1

Oltre il dolore, oltre la pena (Agneta Elers-Jarleman, 1983)

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In una società massmediatica come l’attuale, la percezione che abbiamo della realtà è sfacciatamente influenzata dai mezzi della comunicazione. Il medium, in quanto estensione dell’uomo, accelerazione e ampliamento delle sue funzioni, «ha il potere di imporre agli incauti i propri presupposti»

2

, di far cadere le masse «nell’intorpidimento, o effetto narcotico, della nuova tecnologia, la quale tende a cullare l’attenzione mentre a sua volta la nuova forma chiude violentemente le porte del giudizio e della percezione»

3

. L’uomo, sovraccaricato dagli stimoli prodotti dai media, sembra richiedere a livello fisiologico tale operazione anestetizzante: gli strumenti del comunicare, in virtù della capacità di narcotizzare il pensiero, esercitano su di lui una grande forza manipolatrice, diventano macchine per attivare coscienze e costruire opinioni.

In una sì fatta situazione, il cinema (più tardi il video) ha saputo sfruttare le sue potenzialità persuasive: incanto di forme in movimento ha contribuito a formare e modificare, nel corso del tempo, la nostra percezione del mondo. Ha influenzato quindi anche il nostro rapporto con la diversità, contribuendo a costruire, attraverso le sue storie, l’immaginario sociale sull’handicap.

Sono numerosi i film che hanno raccontato, sotto molti profili, le tematiche connesse al problema, sia alla disabilità fisica, genetica, o acquisita (quest’ultima per esempio legata alla guerra), sia al disagio mentale. Film che, alternando momenti di denuncia e satira puerile, di affermazione e frustrazione, di retorica e impegno civile, hanno spesso offerto un’immagine distorta della diversità, svelando in verità una serie di deficit a livello di pregiudizi nello sguardo “normodotato” dei registi che gli hanno realizzati.

Sono molti i lavori in cui il problema della disabilità è rivisitato come ingrediente dello spettacolo, asservito ai meccanismi commerciali della grande industria cinematografica e falsato in questo modo nel suo autentico significato. Le tematiche legate alla disabilità sono abusate, ora per ricavarne

2

M. McLuhan, Understanding Media, McGraw-Hill, New York, 1964, trad. it.: Gli strumenti del comunicare, Net, Milano, 2002, pp. 23-24

3

Ibidem, p. 73

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melodrammatiche morali paternalistiche, ora, associate a sentimenti di terrore, per provocare paura e panico.

Come denuncia il giornalista Giuseppe Iannicelli, «i protagonisti disabili non esistono. Essi svaniscono nella loro menomazione e nell’oggetto del film.»

4

: diventano bersaglio di “piagnucolosa” compassione, o simulacro del male. «In questo contesto lo spazio destinato all’handicap è assolutamente marginale e la raffigurazione del corpo e della mente menomati assumono caratteristiche di un giudizio che da estetico si fa etico»

5

.

Solo a partire dalla fine degli anni Sessanta, quando il cinema, sulla scia della contestazione del ’68, presta sempre più attenzione ai grandi temi di denuncia sociale, i “diversi” iniziano a parlare: parallelamente al lungo cammino per la conquista dei più elementari diritti civili, fino a quel momento loro negati, cominciano a trovare una collocazione attiva anche nella rappresentazione cinematografica. Escono dalla condizione di passività, strappano il diritto alla parola e all’immagine che vogliono essere loro a controllare: la diversità dichiara la propria bellezza e pretende che la definizione di sé si discosti dal ritratto proditorio eseguito dai “normali”.

Parlare di diversità, partendo dai diversi, questo è l’obiettivo che molti autori si impongono, per costringere a guardare gli “altri” con occhi più attenti e rispettosi.

A questo punto però il rischio che si corre è un altro, quello dell’integrazione a tutti i costi: o “negando” la diversità e affermando una falsa uguaglianza che livella le alterità e porta ad una normalizzazione alienante, oppure idealizzandola a tal punto da perdere il contatto con la realtà.

Si manifesta, dunque, nel cinema, ma più in generale nel rapporto con l’handicap, il rischio che l’integrazione sia sostituita da un sentimento di

«integrismo, o integralismo - individuato da Andrea Canevaro, pedagogista

4

G. Iannicelli, Cinema ed handicap: schermi di solidarietà, in G. Iannicelli (a cura di), Cinema ed handicap: schermi di solidarietà, Cinecircoli Giovanili Socioculturali, Roma, 2002, p. 6

5

P. D’Antonio, Corpi desideranti, corpi perturbanti, ibidem, p. 24

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che da anni si occupa di disabilità - come desiderio di portare ad unità armonica ciò che invece si presenta come dissociazione»

6

. Questo atteggiamento nasconde una nuova volontà sopraffattrice «che vuole imporre una visione unica, un pensiero unico, un umanesimo ed un’omogeneità senza scalfitture»

7

, cela la volontà di annullare la diversità, che, in quanto elemento irregolare, crea disordine.

Da costruire è, al contrario, un’integrazione che si basa sulla curiosità verso l’altro da sé, nei tratti del quale rintracciare un valore da aggiungere alla propria esperienza. Dobbiamo capire e coltivare le differenze, senza avere pretesa di cancellarle, perché è nella pluralità la vera essenza del mondo.

Prestare attenzione a chi si sceglie di rappresentare questo è l’atteggiamento che un regista deve assumere dinnanzi alla situazione indagata.

Frequentemente però accostandosi a temi e circostanze marginali, chi racconta, più che concedere la parola ai protagonisti, allestisce la messa in scena dei luoghi comuni e dei pregiudizi che guidano il suo sguardo innanzi a tali problematiche, filtra la realtà da rappresentare attraverso gesti rassicuranti, manie personali, per tentare di occultare, o esorcizzare, le paure nei confronti di elementi che destabilizzano le sue convinzioni.

Jean Breschand evidenzia invece come nel cinema, soprattutto in quel cinema che fa del rapporto diretto con la realtà la sua caratteristica principale, l’azione di chi sta dietro l’apparecchio di registrazione debba acquisire un significato preciso: «Filmare non significa sorvegliare ciò che accade nell’oculare della cinepresa. Significa, al contrario, essere presenti a ciò che si riprende, essere sensibili alla presenza della persona ripresa, essere ricettivi in maniera istintiva, animale, alla sua respirazione. L’altro non è dietro un vetro, è nello stesso spazio, durante lo stesso tempo del cineasta»

8

, quest’ultimo deve quindi

6

A. Canevaro, Handicap, le storie e la storia, in A. Canevaro e A. Goussot (a cura di), La difficile storia degli handicappati, Carocci, Roma, 2005, pp. 12-13

7

Ibidem, p. 13

8

J. Breschand, Le documentaire. L’autre face du cinéma, Cahiers du Cinéma, Paris, 2002, trad. it.: Il documentario. L’altra faccia del cinema, Lindau, Torino, 2005, pp.

76-77

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«partire direttamente dalla vita delle persone ordinarie senza applicare uno schema che permetterebbe di farne una presunta narrazione di adattamento per il cinema»

9

.

Partire dalla vita delle persone comuni, dalla loro realtà, sfruttare la capacità intrinseca del cinema di stringere un legame stretto con il mondo, per far emergere un’immagine più vera dei tempi che viviamo.

Questo atteggiamento, per lo più estraneo alla logica del circuito ufficiale, è praticato nell’ambito di un cinema che potremmo definire “indipendente”. Un

«cinema dei margini»

10

, come lo chiama Goffredo Fofi che, pur limitato nei mezzi, grazie anche alle possibilità offerte dal video, l’uso del quale ha permesso di abbassare sensibilmente i costi di produzione, ha potuto coltivare la libertà di esprimere gli aspetti più contraddittori della società contemporanea, sapendo mediare il dato documentaristico con quello narrativo ed estetico e dando vita a nuovi ibridi, stimolanti e produttivi.

Matti da slegare, A proposito di sentimenti, Amleto…frammenti e Miserere (Cantus), i film che ho scelto come oggetto della mia ricerca, praticano lo stesso sguardo sincero e libero da tabù nei confronti della diversità che si trovano a raccontare, pur percorrendo strade estetiche e narrative molto diverse: si va da una pellicola di cinema militante anni Settanta, come Matti da slegare, ad un videoclip artistico, ricco di contaminazioni e suggestioni, qual è Miserere (Cantus). Per perseguire questa sincerità gli autori hanno sentito l’esigenza di attivarsi, prima di iniziare le riprese, anche a livello umano nei confronti di situazioni fino a quel momento loro estranee, di intraprendere un processo di conoscenza concreta che permettesse di tratteggiare un ritratto più genuino ed onesto dei protagonisti da rappresentare.

9

Ibidem, p. 80

10

G. Fofi, Per un cinema impietoso, in AA.VV., Lo sguardo degli altri. Cinema e

handicap, catalogo dell’omonima rassegna cinematografica, LEDHA, Milano, 1987,

p. 14

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Dedicando un capitolo a ciascun titolo, ho cercato volta in volta di far emergere l’approccio con cui i registi si sono relazionati alla disabilità.

Sono partita dall’analisi di Matti da slegare e A proposito di sentimenti i due lavori che, accomunati da una struttura più documentaristica, mantengono un’aderenza maggiore alle esperienze individuali delle persone che si concedono all’obiettivo, presentando, tuttavia, evidenti differenze legate anche alla loro collocazione storica.

Matti da slegare, film documento sulla riforma psichiatrica nella Provincia di Parma, girato nel 1975, accanto a scelte innovative, come quella di far parlare i “pazzi” e relegare gli interventi delle istituzioni ad un ruolo del tutto marginale, mantiene alcune delle ingenuità del cinema politico di quel periodo. Il piano estetico è sottomesso a quello narrativo: la forma viene sacrificata in virtù della piena chiarezza espositiva, per raggiungere la quale si ricorre ad elementi tipici del reportage televisivo, quali la voce iniziale dello speaker che anticipa l’argomento affrontato, la suddivisione della materia filmata in capitoletti introdotti da un titolo, le didascalie che presentano i personaggi chiamati a parlare, la voce off degli autori che continuamente intervengono nel dialogo con i protagonisti. Questa impostazione conferisce alle immagini un andamento preciso e lineare, per certi versi didascalico.

A proposito di sentimenti, girato alla fine degli anni Novanta, racconta invece

la sfera sentimentale di un gruppo di ragazzi Down. Come il precedente, parte

dalla testimonianza diretta dei giovani, ma accanto all’attenzione per il dato

reale, è praticata una ricerca linguistica avanzata: contenuto e forma

acquistano la stessa importanza al fine di una comunicazione intensa con gli

spettatori. L’autore, Daniele Segre, non si limita a registrare la realtà nel suo

divenire, ma mediante l’artificio del cinema, attraverso una messa in scena ben

organizzata, l’uso attento delle luci, l’eliminazione degli interventi diretti degli

interpellanti, cerca di svincolare la narrazione dalla situazione contingente, per

conferirle un respiro più ampio e condiviso.

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In virtù delle loro caratteristiche intrinseche le due opere hanno richiesto un approccio analitico diverso. Per quanto riguarda Matti da slegare mi sono attenuta molto al film: prima ho tratteggiato brevemente la situazione della psichiatria in Italia nel secondo dopo guerra, poi, seguendo la pellicola passo passo, mi sono soffermata sulle vicende dei personaggi, cercando di individuare alcuni espedienti utilizzati dagli autori (si tratta di un progetto collettivo) per vivificare la forza della loro comunicazione.

Per quanto riguarda A proposito di sentimenti ho messo l’opera in relazione con l’intera filmografia di Daniele Segre, con il suo particolare metodo di rapportarsi alle realtà più umili e marginali, alla concretezza delle storie di tutti i giorni, per trasmettere i disagi della società contemporanea.

Amleto…frammenti di Bruno Bigoni e Miserere (Cantus) di Antonello Matarazzo, diversamente, valicano l’esperienza documentaria verso linguaggi più astratti e simbolici. Nel video di Bigoni la complessità della natura umana, è espressa attraverso il confronto di un gruppo di ragazzi disabili con alcuni brani dell’Amleto shakespeariano, mentre nell’opera di Matarazzo i protagonisti invalidi, costretti sulla sedia a rotelle, diventano metafora dell’impotenza del genere umano condannato ad una ciclicità senza senso, né uscita.

In Amleto...frammenti si parte dal testo per esprimere, attraverso le parole del principe di Danimarca, dell’amata Ofelia e dell’odiata madre, dinamiche interne ai giovani, sentimenti, ansie e paure, che condividono con i personaggi della tragedia. La rappresentazione è vissuta nella sua funzione “terapeutica”, come possibilità per esprimere parti di sé nascoste, altrimenti difficili da comunicare.

In Miserere infine la realtà soggettiva viene definitivamente abbandonata, metaforizzata, per approdare ad un discorso profondo circa il significo ultimo della vita, nel tentativo di cercare una risposta ai suoi dolorosi quesiti.

L’angoscia esistenziale dell’uomo viene trasmessa attraverso un tessuto visivo

affascinante, ricco di rimandi e citazioni, di echi della grande tradizione

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artistica occidentale mescolati al folklore delle usanze popolari: la pittura di Magritte e Bacon accanto ai riti penitenziali del cattolicesimo meridionale.

Un ultimo appunto, prima di passare all’analisi dei quattro film, desidero farlo circa il materiale bibliografico.

Gli scritti su Matti da slegare sono numerosi, ma parte della critica, soprattutto quella più vicina all’uscita del film, risente, proprio come la pellicola, del clima “politico” degli anni Settanta: vi si presta pochissima attenzione all’estetica della rappresentazione, soffermandosi quasi esclusivamente sul messaggio. Gli interventi più tardi e ponderati invece commettono spesso un altro errore: non tengono conto della collettività che ha portato alla realizzazione del film, girato a più mani da Agosti, Bellocchio, Petraglia e Rulli, e attribuiscono il merito registico quasi esclusivamente ai primi due, tralasciando l’importante contributo dei futuri sceneggiatori Rulli e Petraglia.

Su A proposito di sentimenti non ci sono materiali rilevanti se non qualche breve presentazione on-line relativa alle proiezioni in giro per l’Italia, organizzate soprattutto nell’ambito del settore sociale. Tuttavia la letteratura sull’autore Daniele Segre è corposa e la visione di altre sue opere mi ha permesso di inserire il video sui ragazzi Down nell’ambito delle esigenze che stanno alla base di tutto il cinema del regista piemontese, trovando punti di contatto con molti altri lavori. Per avere informazioni specifiche sul titolo in questione ho inoltre preso contatto con Anna Contardi, coordinatrice nazionale dei progetti dell’Associazione Italiana Persone Down, la quale ha seguito Segre durante le riprese, facendo da intermediaria tra le sue esigenze e quelle degli interpreti.

Il video Amleto…frammenti sembra essere passato del tutto inosservato alla

critica, se si escludono pochi articoli usciti in concomitanza con la

presentazione del film al festival di Venezia, e le schede contenute nei

cataloghi delle rassegne che ha girato, non ci sono interventi che lo

riguardano. Poche sono anche le notizie sull’autore, perciò ho ritenuto utile

incontrare direttamente il regista Bruno Bigoni che, mostrandomi grande

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disponibilità, si è rivelato prezioso nel raccontarmi le dinamiche che hanno concorso all’ideazione del film. Ho giudicato interessante intervistare anche uno dei membri dello “staff tecnico” che ha “guidato” l’autore nel suo rapporto con i disabili: il colloquio con la sociologa Lara Gastaldi, oltre a farmi conoscere l’esperienza da un punto di vista diverso, mi ha fornito notizie più precise circa il gruppo che ha preso parte al progetto.

Su Miserere (Cantus) e il suo autore Antonello Matarazzo, pittore e videomaker, il materiale è ricco, recensioni, cataloghi di mostre, articoli e numerose interviste, tutto diligentemente raccolto sul sito personale

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. Manca, tuttavia, uno studio organico sul percorso artistico, sia pittorico, che audiovisivo, dell’artista avellinese e, dal momento che alcuni punti del suo programma, della concezione che ha dell’arte, mi rimanevano oscuri, ho deciso, pure in questo caso, di rivolgermi all’autore.

Per l’analisi di Matti da slegare mi sono inoltre servita della sceneggiatura desunta, pubblicata dagli stessi autori. Dal momento che si è rilevata uno strumento di lavoro utile, ho deciso di ricavare da ciascuno dei restanti film (dei quali non esisteva un testo già stampato), una descrizione analitica per grandi quadri, che ha agevolato il mio percorso critico.

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www.antonellomatarazzo.it

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