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Ri-generazione del canale Burlamacca

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione. Acqua o terra?………3

1 . Analisi

1.1 Acqua e terra . Evoluzione e disegno del territorio……7

1.2 Spazio e tempo. L’identità del waterfront……….11

1.3 Areali………..17

1.4 M . argini ……….23

1.5 Vuoti. Nodi. Mobilità ………..27

1.6 Degrado e criticità ……….31

1.7 Potenzialità e previsioni ……….35

2 . Proposta e strategia

2.1 La scelta del waterfront ……….38

2.2 Rigenerazione……….39

2.3 Proposta alla scala areale………..40

2.4 Un masterplan lineare………..41

2.5 Piano strategico………44

3 . Progetto

3.1 Progetto diffuso………49

3.2 Patchwork. Immagini del progetto………..51

Bibliografia………59

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Introduzione . Acqua o terra ?

Il canale Burlamacca si distende come il filo d’Arianna attraversando un complesso labirinto urbano e suburbano, costituito da stanze architettoniche che variano con un continuo dilatarsi e comprimersi di spazi: mura urbane, piazze di terra e cemento, piazze d’acqua, alberi di vele e vele di reti, terre sottratte all’acqua e acque sottratte alla terra. Spazi rumorosi e concentrati, spazi silenziosi e vuoti.

Attraversare questi spazi aiuta a percepirne le valenze locali, ma lo sguardo è miope, aderisce alle pareti; solo alzandoci in volo è possibile visualizzare il integralmente il labirinto.

Un’ operazione questa, che si rifà alle teorie urbanistiche di Patrick Geddes, circa l’evoluzione della città, per le quali, elevandoci in quota all’ultimo piano della Outlook Tower, si ha una visione sinottica del territorio circostante, da leggere non tanto con gli occhi dello storico, quanto interrogandoci verso quale direzione la città dovrà evolversi.

L’analisi diacronica mi ha permesso di rilevare sia i segni sul territorio che hanno contribuito alla conformazione dell’oggetto di studio, sia le attività che hanno gravitato e gravitano tutt’oggi attorno a questo sistema. In questo modo è stato possibile circoscrivere l’intero corso d’acqua, maturando un punto di osservazione personale, che riconosce nella Burlamacca un elemento consolidato nella struttura del disegno del territorio e l’arteria centrale di un sistema la cui evoluzione è in equilibrio tra acqua e terra.

Leggere complessivamente un territorio eterogeneo per morfologia e vocazione, nelle diverse tratte percorse dal canale, richiede un approccio metodico tramite parametri che accomunino le diverse aree. Si è proceduto monitorando il testo

architettonico utilizzando archetipi elementi, di fede Platonica: l’area, la linea e il punto. In questo modo è stato possibile rappresentare, talvolta rinunciando anche alla rappresentazione canonica per favorire la lettura, le disposizioni spaziali di terra ed acqua, gli spazi del waterfront e le interferenze con le arterie di traffico.

Si evince ad oggi una situazione estremamente critica che vede la totale compromissione degli spazi pubblici, dovuta alle carenze nelle organizzazioni spaziali e al tipo di uso del suolo che determinano un disinteresse generale per le aree lungocanale. Si propone dunque un piano strategico di utilizzo del canale finalizzato a rigenerare lo spazio del fronte d’acqua e i modi di viverlo. Un progetto esteso a tutta la lunghezza del canale definito da percorsi ciclopedonali che senza soluzione di continuità connettano l’area lacustre di Massaciuccoli al porto di Viareggio. Si genera un asse attrattore di spazi collettivi destinati ad attività culturali, ludiche, sportive e del tempo libero, che ricoprano l’intero corso dell’anno in tempi diversificati, mirando ad una progressiva intensificazione di attività correlate negli anni futuri.

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1. Analisi

1.1 Acqua e terra . Evoluzione e

disegno del territorio

“il territorio non è un dato, ma il risultato di diversi processi che fanno uno spazio incessantemente rimodellato” A.Corboz

I due fenomeni che dal punto di vista morfologico, hanno contribuito alla formazione del territorio originario versiliese sono riassumibili nella formazione di un cordone di dune costiere, dovuta all’accumulo dei detriti trasportati dal fiume Serchio e dai lobi deltizi dei torrenti che hanno riempito la laguna compresa tra i tomboli e la fascia montano-collinare retrostante. E’ da questa situazione iniziale, costituita da una nebulosa di specchi d’acqua e lembi di terra che hanno inizio le operazioni antropiche di controllo e modifica del territorio. La prima testimonianza si evince dalla tabula Peutingeriana, (rappresentante i luoghi e le vie militari dell’impero romano nel I sec d.C.) nella quale il toponimo Fosse Papiriane connota appunto, secondo il Repetti, l’area dell’attuale Versilia.

L’impossibilità di attraversare via terra l’area palustre, impose la centuriazione mediante fosse, tracciando un canale principale parallelo alla linea di costa “fossa Colubraria”, che dal bacino di Massaciuccoli arrivava all’attuale lago di Porta; a tale fossa si attestavano perpendicolarmente 8 fosse di scolo con sbocco a mare: fosso Motrone, fossa Delica, fossa Selice, fossa Nugalia, fossa Bargicchia, fossa Piaggetta, fossa di Massaciuccoli e fosso dei Montioni. Si concretizzava così la prima maglia a scala territoriale, assolvendo sia alla funzione di bonifica delle terre sia alla fruizione del luogo con un sistema di vie d’acqua navigabili. La fossa Selice è il primo frammento dell’attuale canale Burlamacca.

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8 Nella fascia pedecollinare, al capolinea delle fosse, puntualmente piccoli porti assolvevano a ruoli mercantile e militari, tra loro connessi tramite la via Emilia, arteria stradale di collegamento tra Luni, Pisa e soprattutto Lucca.

La situazione rimane pressoché invariata fino al XII sec. periodo in cui le questioni economico-politiche decidono l’evoluzione del territorio.

La Repubblica di Lucca tracciò un collegamento stradale “via Regia” seguendo l’andamento della fossa Selice, tra il porto di Montramito, capolinea a monte e la foce a mare del canale (area attualmente di Viareggio) dove eresse nel 1172 una torre a presidio del territorio. Un altro fortilizio controllava lo sbocco a mare di Motrone.

Questi pochi segni, riscontrabili in linearità costituite da precari tracciati stradali e fosse navigabili e da polarità rappresentate da torri di guardianaggio, sono la materializzazione di una strategia politica che ha interessato tutta l’area di studio conferendogli un’identità stabile e protratta nel tempo.

Alla fine del XV sec. con il lodo di Papa Leone X si mise fine a secoli di lotte tra Lucca, Pisa e Firenze circa il controllo del territorio , e si mise fine anche al presidio dei Lucchesi sul porto di Motrone.

Questa, storicamente ed economicamente è stata una svolta decisiva, dalla quale è scaturito lo sviluppo del borgo di Viareggio lungo la fossa Selice e quindi il consolidarsi dell’importanza a livello territoriale del canale.

La situazione territoriale era quella comune pressoché a tutte le aree costiere toscane di quel periodo, caratterizzate da folte selve palustri di ontani, lecci, pioppi, querce e un sottobosco mediterraneo, luoghi dunque inospitali ad attività economiche, se non quelle della caccia e della pesca d’acqua dolce. Iniziano così imponenti opere pubbliche e private di bonifica del territorio; la Repubblica di Lucca istituisce diversi Offizi che insistono sul territorio costiero: l’Offizio sopra l’abbondanza, l’Offizio sopra la foce e l’Offizio sopra la Maona. La “Maona” operò in termini di bonifica dei terreni paludosi, tracciando canali importanti sia per

dimensione (sezione ed estensione) che per funzione; in direzione nord-sud il territorio viene solcato dalla fossa della Maona in posizione pedecollinare, dalla fossa Burlamacca (che dal lago di Massaciuccoli in località Piaggetta va ad attestarsi alla vecchia fossa Selice), dai canali Malfante, Le 20, Le 15, tutti emissari del lago. Questa vasta porzione di terra, circa 1500 [ha] viene suddivisa in macro-lotti “colonnelli”, 28 strisce di terra, separate tra loro da fosse minori di scolo e da strade poderali, che tagliano trasversalmente i canali di bonifica, suddivisi a loro volta in 12 particelle ciascuno. Questa sistemazione si sovrappone, in parte recuperandola, alla suddivisione romana. Il territorio così evoluto si presenta con un paesaggio definito geometricamente, dove i colonnelli costituiscono strumento di misura metrica ed economica in quanto valutati secondo la resa agraria, si riesce così a gestire l’equilibrio precario tra terra ed acqua.

Sul fronte marino, l’offizio sopra la foce, nel 1534 erige a fianco al canale, la nuova torre di Viareggio; a questo nuovo intervento nodale si saldano due elementi fondamentali: la costruzione dei moli lungo il canale e l’allineamento di una cortina di magazzini, perpendicolarmente al canale, a protezione del piccolo borgo spontaneo sorto affianco alla torre . Si tracciano quindi i due assi di espansione del borgo, schematizzabili nelle direttrici della Burlamacca e dei magazzini. L’ “uso del suolo” riferito a quel periodo riporta oltra alle strutture militari e di stoccaggio: chiesa, osteria, servizio postale e una piazza.

La bibliografia riferisce al periodo a cavallo tra XVI-XVII sec, una serie di progetti, quali su carta quali parzialmente realizzati, interessanti sia per capire le ambizioni del governo lucchese sul territorio e le difficoltà legate alla gestione delle acque, sia per captare l’aria di innovazione e scambio culturale che si respirava. E’ interessante un documento riguardante i lavori affidati all’ingegner Guglielmo Raet nel 1583:

L’opera fu bensì limitata ai paduli fra la Burlamacca ed il monte, che si rinchiusero col mezzo di un’arginatura per impedirvi l’ingresso delle acque esterne, mentre tenevansi

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9 asciutti da quelle di filtrazione e di pioggia mediante trombe mosse da ruote, cui davano movimento, in appositi edifici, le acque cadenti dai colli di Bozzano e di Quiesa. Per alcuni anni il sistema del fiammingo fu in esercizio, ma qualunque ne fosse il motivo, questo modo artificiale di bonificazione secondo l’usanza d’Olanda e d’altri luoghi oltramontani, qua non allignò e di lì a poco fu abbandonato. (ASL_acque e strade)

La vita sul canale si intensifica nel XVII sec, con la dichiarazione di Viareggio porto franco; si amplia la sezione della Burlamacca ai fini di migliorarne la navigabilità e si ipotizza di fortificare la foce: un progetto di De Bourdeilles prevedeva di proteggere il piccolo borgo con un perimetro pentagonale di mura con bastioni ai vertici sull’impronta del modello lucchese, tuttavia l’ingente spesa fece ripiegare sul potenziamento della cortina di magazzini che assolvessero a pieno al ruolo di difesa.

Questo è stato un altro nodo nevralgico determinante l’evoluzione del disegno del territorio, si lascia infatti spazio alla realizzazione del piano dell’ing. G.Azzi nel 1682 che segna il primo tassello dell’evoluzione urbanistica di Viareggio: sul “piano cartesiano” individuato dalle direttrici canale e linea dei magazzini disegna una maglia ortogonale “espandibile all’infinito” che lottizza l’area a nord-ovest della Burlamacca, l’intersezione tra la rigidità della maglia e la lieve irregolarità del canale genera una sequenza di spazi affacciati al canale che lentamente si proiettano verso mare seguendo l’avanzamento della linea di costa.

Il borgo marino fiorisce, il canale si punteggia di piccole attività artigianali legate sia alla pesca che alla nautica, ma anche alle pratiche necessità dei pochi abitanti del borgo; il trasporto di merci su acqua si intensifica e l’entroterra è solcato quotidianamente da navicelli e barconi, carichi di prodotti importati destinati al porticciolo lucchese di Massaciuccoli, o da esportare come pietrame, falasco e riso, frutto delle attività dell’epoca. Nell’entroterra la situazione si mantiene precaria, la

presenza abbondante di acqua è causa di malaria e il mescolamento delle acque salate con quelle dolci causa danni alle colture; si attuano dunque importanti provvedimenti puntuali a valenza territoriale, ovvero la costruzione su progetto dell’ing. Sebastiano Roccatagliata di cateratte sulla Burlamacca per impedire la risalita delle acque salate lungo il canale; sistemazioni invece a scala paesaggistica coinvolgono il taglio delle macchie (1635) dando quindi aria ai terreni totalmente ricoperti di fitta vegetazione e la suddivisione delle aree ricavate in “chiuse” appezzamenti di terra di forma regolare, recintati da siepi, strade e canali di scolo. Ancora una volta, il paesaggio si trasforma globalmente con la necessità di gestire al meglio il rapporto tra acqua e terra, e le attività che attorno ad esso ruotano.

Il XVIII sec. è riassumibile a grandi linee, con 2 personaggi che attuano sistemazioni a scala territoriale, riguardanti il comprensorio connesso al corpo d’acqua; partendo dalla gestione del territorio, figura nevralgica è l’ing. veneziano Bernardino Zendrini, il quale dopo minuziosi studi idraulici sulla natura del territorio, progetta e realizza nuove cataratte a bilico, posizionate non lontane dalla torre difensiva, il manufatto costituito da sponde murate e portoni mobili, consentirà il regolare deflusso delle acque solo in direzione monti-mare e ridurrà quindi drasticamente il problema della risalita delle acque salate nelle fasi di alta marea. Un secondo progetto, di “architettura del paesaggio” è quello riguardante l’abbattimento quasi totale delle macchie e la piantumazione di pini, infine una terza sistemazione riguarda il paesaggio disegnato a quadri, suddiviso cioè secondo la sistemazione a chiuse. Lo skyline cambia notevolmente, da prima si appiattisce, poi lentamente assume la connotazione attuale visibile dalla spiaggia: un paramento verde di chiome di pini si innalza sorretto dagli esili e ramificati tronchi. L’altro skyline, quello a scala urbana, è disegnato invece dall’arch. Valentino Valentini che redige il secondo piano urbanistico di Viareggio, attenendosi al disegno ortogonale del precedente piano, lo prolunga compiendo una leggera rotazione in modo da

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10 mantenersi perpendicolare al mare; materialmente si vanno a

completare i lotti vuoti e sul lungo canale sorgono le prime ville, i palazzi Cittadella e Mansi, un teatro e la Piazza Grande connotando quindi anche una crescita culturale delle attività e della vita pubblica. Le trasformazioni di questo periodo, dettate da lottizzazioni sia a scala urbana che territoriale, costituiscono di fatto una prima vera e propria rigenerazione territoriale, gestita dal patriziato lucchese.

Ma è con la restaurazione Borbonica che si ha il decollo urbano sin dai primi decenni del XIX sec, si registrano infatti profonde trasformazioni infrastrutturali che si attestano o si intersecano con la linea d’acqua oggetto di studio. Il Nottolini nel 1824 disegna il terzo piano urbanistico di Viareggio, continuando ad attenersi alla griglia storica, ma stavolta l’espansione riguarda anche l’area a sud del canale, dove si realizzano progressivamente durante il corso del secolo, le 4 darsene storiche inserite all’interno del disegno urbano. L’area a nord prosegue la sua ascesa, completando lentamente “la scacchiera” e delineando la prima vera e propria infrastruttura pubblica, costituita dall’asse della passeggiata prospiciente al mare, al quale si attestano gli stabilimenti balneari su palafitte.

Anche la parte a monte dell’abitato subisce sostanziali modifiche, rintracciabili seguendo a ritroso il corso del canale in tutta la sua lunghezza, fino cioè al lago di Massaciuccoli.

Il tracciamento della linea ferrata Viareggio-Pisa nel 1861, determina un taglio netto nel territorio, ma soprattutto nella griglia urbana, creando una cesura alla possibile espansione ordinata. Si tira in questo modo il sipario tra il centro storico e ciò che gergalmente viene definito “al di là dalla ferrovia” e nel XX secolo, la Burlamacca perde il ruolo di asse guida e la crescita urbana, a seguito dei bombardamenti e quindi dei PEEP, avverrà non più gravitando attorno al porto-canale ma disperdendosi lungo arterie stradali di scorrimento e di distribuzione.

Quest’espansione è a sua volta limitata da una successiva infrastruttura: il viadotto autostradale A11 che segna la netta divisione tra area urbana e area aperta.

Tale linea coincide approssimativamente anche con i confini comunali tra Viareggio e Massarosa.

Le trasformazioni di questo periodo, soprattutto riguardanti la seconda metà del secolo, sono ben leggibili nel palinsesto territoriale dell’entroterra. Le quiete aree palustri, coltivate a falasco e per breve tempo a risaia, diventano oggetto di interesse economico a scala nazionale, riferito agli estesi giacimenti di torba e sabbia silicea rilevati a fine 800 nell’area umida.

I macro-spazi definiti dalle sobrie linee dei 4 canali di bonifica, mappati a loro volta dalle quadrature dei fossi di scolo, vengono lacerati da lingue irregolari d’acqua che con larga sezione si protendono dal lago verso la zona palustre, tracce queste dei lavori di escavazione della torba. Tuttavia il paesaggio si trasforma definitivamente a partire dagli anni ’30, due aree di vocazioni economiche diverse sono inquadrate dalla linea del canale Burlamacca: a sud il piano di coltivazione delle cave di sabbia silicea investe interamente l’area umida, erodendo progressivamente i lotti delle chiuse e dei colonnelli, generando bacini di escavazione crescenti in numero e dimensione, talvolta fondendosi tra loro e lacerando i corsi d’acqua. Viene fuori un disegno irregolare, sovrapposto al precedente generando così un paesaggio dove l’acqua si sostituisce lentamente alla terra. L’area a nord è invece interessata dalle imponenti opere di bonifica consorziale, il prosciugamento dei terreni fa emergere i campi resi coltivabili e il reticolo drenante adesso ben definito mostra il disegno questa volta della terra strappata all’acqua.

L’istituzione del Parco Regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli nel 1979 e la successiva inclusione nei suoi confini delle terre di bonifica e delle aree umide contigue al lago, fotografa il processo evolutivo di tali aree, ponendosi l’obiettivo di una tutela globale. Scelta questa che consente tuttavia la fruizione delle aree ai praticanti di attività consolidate nel tempo come la caccia e la pesca, ma anche ad attività sportive come la canoa, il kayak e la vela.

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1.2 Spazio e tempo . L’identità

del waterfront

“Quali trasformazioni stanno coinvolgendo waterfront e

arenili italiani? Quale rapporto tra struttura urbana e risorsa acqua si sta sviluppando nelle città della costa e quali strategie stanno guidando pubbliche amministrazioni e progettisti nella definizione di una nuova immagine dell’affaccio a mare?”

Quanto scritto è ciò che si domanda “Paesaggio Urbano, mag-giu 2007, speciale -Trasformazioni territoriali-”, che estende poi la trattazione al progetto del “Parco della Blanda, a Maratea” nel quale si considera un sistema unitario di acque, quello costituito dal mare, dal fiume e dagli specchi d’acqua lacustri interni, situazione questa assimilabile al mio oggetto di studio. Procedendo quindi in questa direzione vado ad analizzare gli aspetti che hanno maggiormente influenzato l’identità del fronte d’acqua e che connotano il paesaggio attraversato dal canale. Mi concentro su 4 aspetti identitari propri del canale, riguardanti l’evoluzione degli spazi nei diversi tempi (relativi al XX sec.)

_Avanzamento della linea di costa

Si legge su una pubblicazione di M.Marando sul canale Burlamacca:

“i viareggini, con una frase impropria, ma felicemente espressiva, vanno dicendo che il mare si ritira continuamente, in media di 3 metri all’anno”

Questa semplice frase ci suggerisce un importante fattore nel processo identitario del nostro oggetto di studio, considerando infatti come testo architettonico, la Burlamacca nella sua totalità, si registra una metamorfosi anche a livello dimensionale; dal 1600 ad oggi si è progressivamente estesa seguendo l’avanzamento della linea di costa e insieme ad essa il reticolo

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13 urbano e gli isolati sono andati ad occupare porzioni di terra

strappate all’acqua.

La serie dei moli costruiti per addizione nei diversi periodi scandisce con efficienza le fasi evolutive urbane, puntualizzate dall’edificazione di strutture di guardianaggio; la forma urbana è saldamente legata alla direttrice del canale che assolve anche a ruolo di porto, fino alla costruzione del vero e proprio impianto portuale, costituito inizialmente dalla “darsena Lucca” 1818, “darsena Toscana” 1871, “darsena Italia” 1903, “darsena Europa” 1936 mantenendo uno stretto contatto con la via d’acqua; l’area portuale così delineatasi è perfettamente inserita nel disegno urbano, le darsene rappresentano vere e proprie piazze d’acqua su cui la città si affaccia e gode della semplice bellezza degli opifici, della vita di mare e delle imbarcazioni sempre più imponenti, come i “Barcobestia” che quando ormeggiati o in transito nel canale assolvono anche alla funzione di arredo urbano mobile. La città portuale, senza cadere troppo nel gusto della retorica, costituisce sempre più un aspetto identitario del canale e della città stessa, l’evoluzione pianificatoria che va dal 1908 fino all’ultimo piano portuale del 1967, sostiene la crescita cantieristica del porto di Viareggio, ri-generando con un’ondata di modernità le piccole attività portuali legate al commercio e alla pesca, improntando l’economia sulla nautica da diporto e sulla produzione di mega-yachts; morfologicamente la città cambia in quest’area vedendo aprirsi un avamporto di circa 220.000 mq al quale si attestano “scatoloni di ferro e pannelli”, semplici contenitori di preziosi giganti in attesa di sontuosi vari. Tuttavia le attrezzature e i servizi che ruotano attorno a queste attività si mostrano carenti e fanno fronte a problematiche legate a spazi e gestione del territorio; la città portuale si inserisce tra la pineta e il canale Burlamacca, mostrando quindi una delle due facce del tratto a mare, consolidata, ma trascurata.

Se la crescita economica di Viareggio, da un lato ha trovato riscontro nelle attività portuali, dall’altro il fervore culturale della società viareggina, si identifica in una vocazione balneare e artistica; la nascita della città balneare ha attratto sin dalla fine

dell’ 800 turismo di massa, emerge così l’aspetto ludico del luogo di mare, rappresentato integralmente dal primo vero e proprio spazio pubblico attrezzato, costituito dalla passeggiata, pensata come quinta prospettica continua di padiglioni dal gusto eclettico ed esotico e da piante orientali, affacciata ad un mare, ancora poco conosciuto, con folcloristici stabilimenti balneari su palafitte. E’ evidente che questo meccanismo ha instaurato una serie di eventi a catena che ha modificato totalmente l’identità della città, pubblicizzata sulle guide del Touring club dell’epoca e raccontata e vissuta da artisti di fama internazionale. Vita mondana che toccava i culmini nei periodi estivi lasciando spazio in larga parte dell’anno alla semplice e povera, ma veritiera vita quotidiana del “vecchio borgo sul canale”, ben espressa nei quadri di Lorenzo Viani, ma con altrettanta efficacia dalle canzoni di Egisto Malfatti, cantautore locale:

“ Ci son trenta panchine un po’ stinte fra le più distinte

che trovi in città.

Quattro chioschi forniti con niente e poi c’è la gente

che viene e che va.

C’è un ritrovo per vecchie signore, tre ore per bere

Una tazza di tè. Ci son dodici vele sul mare…”

Passeggiata Margherita

_Limiti e dispersione urbana

“Operosità” è il titolo di un’opera di Ruggero Sargentini, artista minore viareggino, il titolo e la rappresentazione, non potrebbero meglio descrivere l’area a monte del centro abitato di Viareggio. Il tracciamento della linea ferroviaria, determina una netta distinzione della forma e della qualità urbana, questi due fattori sono strettamente legati come detto all’asse del canale che subisce quindi un mutamento della forza attrattiva che mette in

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14 relazione le sue sponde con gli spazi progettati e costruiti.

Uscendo dalla rumorosa città, quindi il canale continua a scorrere silenzioso in aperta campagna, al fruscio dei natanti carichi di falasco e pietrame assumendo una chiara identità di luogo di passaggio. Da luogo di passaggio a luogo industriale il passo è breve, immediatamente e fino alla prima guerra mondiale si insediano sulle sponde del canale fabbricati industriali, in prossimità dei varignani avvalendosi quindi del trasporto via acqua. L’identità del canale varia nuovamente e diventa talmente forte da conferire il toponimo al quartiere popolare, che a seguito dei bombardamenti e dei piani di ricostruzione degli anni ’50 e ‘60, si proietta nel territorio ignorando la presenza del canale, luogo adesso di vocazione operosa, e sviluppandosi lungo arterie stradali di scorrimento o di distribuzione. Modesti borghi lineari su porzioni di vie storiche vengono inglobati nella maglia irregolare di palazzi e ampi spazi verdi non progettati, trasformati in breve tempo con iniziative spontanee in aree a parcheggio.

_Attività estrattive

Draghe, ciminiere, linea elettrica, pontoni galleggianti. E’ questo il riassunto analitico dell’identità paesaggistica che caratterizza nel corso del 900 pressoché l’intera area umida, triangolo compreso tra i canali Burlamacca e Le 15 che va dal lago di Massaciuccoli fino alla località di San Rocchino. Gli interessi iniziano a scala locale a fine ‘800, quando dai rilievi stratigrafici del terreno emergono importanti banchi di torba e sabbia silicea più in profondità. Il marchese Carlo-Ginori-Lisci avviò una modesta torbiera; il materiale estratto era poi utilizzato per concimare o, compattato in blocchi, come combustibile fossile. Una massiccia opera di estrazione della torba, riprese durante la prima guerra mondiale, ricavandone dalla combustione nello stabilimento di Torre del Lago, energia elettrica che tramite un elettrodotto su tralicci attraversando lo specchio del lago proseguiva poi fino a servire la linea ferroviaria pistoiese.

I postumi degli interessi legati invece all’estrazione della sabbia silicea, si leggono dalla carta batimetrica redatta dall’Autorità di

Bacino, la quale offre un’interessante lettura sulla geomorfologia del territorio. La massiccia attività estrattiva che dal 1927 al 1991 interessa globalmente l’area suddetta stravolge completamente l’equilibrio idrologico di un già precario ambiente, bacini di dragaggio vari per forma e dimensione, raggiungono profondità dai 5 ai 25 m, si fondono tra loro, deturpano l’andamento dei corsi d’acqua creando invasi attestati ad essi che ne compromettono la sobria linearità, obbligando quindi ad un’attenta lettura per non per perder d’occhio le tracce dei canali stessi.

Il canale Burlamacca è interessato dall’attività estrattiva in 9 diverse cave, che contribuiscono a modificarne notevolmente la forma lungo il tratto dal lago alla località di San Rocchino, punto in quale si ha la completa perdita del margine e il canale è inglobato totalmente nel bacino di cava.

Dal punto di vista ambientale queste operazioni hanno compromesso la falda e causato un danno di notevole importanza e di difficile soluzione. Ad oggi l’autorità di bacino sta studiando il problema e le direttive da attuare in funzione di un risanamento ambientale. All’atto pratico il PRAE (piano di recupero per le attività estrattive) non prevede ad oggi, soluzioni e metodi di recupero.

I bacini oggi si presentano come una continuità di specchi d’acqua, suggestivi paesaggisticamente, ma di fatto costituiscono una natura artificializzata che necessita importanti provvedimenti di tutela ambientale; le archeologie industriali che insistono sull’area sono puntiformi, si mostrano come colossi di forma archetipa, costruiti in lamiera che troneggiano ai bordi degli specchi d’acqua; di particolare interesse è il rudere della ciminiera della piccola torbiera di Massaciuccoli, che si erge solitario in mezzo a una distesa di acqua e vegetazione acquatica, modesto segno architettonico, simbolo tuttavia di un importante periodo dell’area. Sembra quasi si vada a creare una sorta di collegamento ciclico con la fase primordiale versiliese punteggiata di torri a presidio di aree palustri.

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Regime idraulico

La Burlamacca assume come abbiamo visto aspetti eterogenei nelle 3 diverse aree: costiera, periferica e dell’entroterra, tuttavia è importante tener presente l’aspetto identitario complessivo del canale, legato alla natura prettamente geografica; merita affrontare, se pur a grandi linee, il funzionamento idraulico del bacino per capire anche l’importanza a livello di infrastruttura territoriale che assume il canale, costituendo di fatto la spina dorsale di un vasto sistema idrico.

Considerazioni queste che rafforzeranno poi in fase di progetto l’ipotesi di un recupero e di una valorizzazione dell’area fluviale. Il Canale Burlamacca riconosciuto dal DL 1936/1917, via navigabile di II classe, ha una sezione varia da 8 a 25 m (escludendo gli invasi dei bacini di cava), si estende per 9,3 km costituendo l’emissario principale del lago di Massaciuccoli, principale perché nel suo percorso, prima di raggiungere il mar Ligure a Viareggio, riceve le acque degli altri 3 emissari (Malfante, Le 20, Le 15);

Un aspetto senza dubbio identitario delle aree lungocanale è quello relativo alle terre bonificate. Il territorio versiliese è regimato da un sistema di impianti idrovori, 21 stazioni di pompaggio coadiuvano il deflusso della fitta rete di “acque basse”, andando a sopperire alla carenza di pendenza utile per farle giungere al mare; sulla Burlamacca insistono ben 4 impianti idrovori: Pioppogatto, Portovecchio, Beatrice e Quiesa convogliando in essa quindi le acque del reticolo drenante di circa 1100 [ha] di superficie agraria. L’equilibrio fra terra e acqua scardinato dal continuo pompaggio dei mezzi idrovori ai fini di bonifica, ha le sue conseguenze tangibili in termini di identità del territorio, in quanto i campi resi asciutti si abbassano con una media di 3 cm all’anno a causa del processo di gassificazione che ha la torba chimicamente alla sottrazione d’acqua. In circa 80 anni di attività delle idrovore, il terreno si è abbassato fino a -3m slm, con previsioni di continua diminuzione date dalla consistente presenza di strati toorbosi nel sottosuolo.

Ancora, le acque del bacino imbrifero a settentrione del canale, sono raccolte dalla Gora di Stiava e dal fosso Farabola e sfociano anch’esse nella Burlamacca. Questo è ciò che riguarda il flusso naturale monti – mare; perché un altro tipo di corrente interessa il canale ed è quella indotta dall’innalzamento delle maree che risalendo lungo il molo arriva sino alle cateratte, trovando non sempre uno sbarramento efficiente ad impedire la risalita, in quanto si presentano difettose, ma soprattutto vittime di forzature frequenti per aprirle al traffico di piccole imbarcazioni. Anche questi piccoli dettagli offrono spunti progettuali importanti, ovvero la soluzione di problemi puntuali finalizzati al coinvolgimento di un territorio ben più ampio. Architetture al servizio della collettività.

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1.3 Areali

Tre Macro-aree. Individuazione dei contesti

L’operazione di analisi diacronica, mi ha permesso di leggere la stratificazione del territorio circoscritto al canale, riconoscendo valenze spaziali riferibili propriamente a determinati areali; ho potuto così schematizzarli in 3 diversi insiemi, con caratteristiche eterogene tra loro, ma omogenee al loro interno per morfologia del territorio, tipologia edilizia e uso del suolo; insiemi che hanno a comune le linee di tangenza e separazione al tempo stesso, costituite dagli assi di collegamento a scala territoriale.

Si definiscono così 3 macro-aree, la prima corrisponde alla conurbazione consolidata di Viareggio lungo il canale limitata dal tracciato della linea ferroviaria; la seconda macro-area è la fascia di terra compresa tra la linea ferroviaria e il viadotto autostradale, nella quale si disperde in modo incerto la città in divenire; oltre il viadotto autostradale si distende il territorio aperto connotato da un paesaggio essenzialmente non costruito in verticale, ma ben definito in orizzontale.

La macro-area1 a sua volta comprende 2 sotto-zone di cui la Burlamacca ne è cerniera e margine: la città portuale e la città storico-turistica; la macro-area2 avvolge la linea del canale non presentando elementi tipologici da decretare un ulteriore suddivisione; la macro-area 3 invece, la più grande per estensione, raccoglie 3 diversi sottoinsiemi: uno minore riferibile all’area artigiano-produttiva attorno al ex bacino di dragaggio di San Rocchino, le altre due invece sono nuovamente connesse e separate dalla linea d’acqua che sottende l’area umida e l’area bonificata.

Il problema che mi sono posto a questo punto è quello di correlare la quantità di dati urbanistici rilevati e di rappresentarli

graficamente, rinunciando talvolta alla rappresentazione canonica, preferendo quindi una forma espressiva analitica più coerente ai fini dell’analisi. Ho trovato soluzione al problema sviluppando una sequenza di aree, scelte per praticità, di forma quadrata, che inquadrassero significativamente di volta in volta il corso d’acqua e le aree strettamente connesse per tutta la sua estensione e per una fascia larga 500m; per ogni quadrato, un totale di 20, ho eseguito una scansione delle superfici, individuando quelle terrestri e quelle acquatiche e classificandole secondo la loro natura e vocazione.

Tali superfici, sono riassunte in un grafico dove si confrontano le percentuali di acqua e terra in proporzione all’areale in cui si trovano. Potremmo definirlo un grafico del verde e del blu, dove infatti le aree campite rappresentano, per quanto riguarda il verde: aree manutenzionate, abbandonate, verde sportivo, aree coltive e aree umide. In questa parte del grafico, per completezza, sono state riportate anche le percentuali a terra del tessuto residenziale e di quello produttivo. Le aree blu comprendono: il mare, le acque del canale Burlamacca stesso, i bacini portuali, i fossi, i bacini di dragaggio della sabbia silicea, i chiari di caccia, i bacini di escavazione della torba ed infine le acque del lago. L’individuazione di queste aree non è fine a se stessa, bensì ci permette di capire le vocazioni delle diverse aree e le funzioni che si svolgono al loro interno osservate a larga scala. La rappresentazione fisica delle scansioni effettuate è costituita da 6 sezioni ambientali significativamente scelte, 2 per ogni macro-area, che diano immediata lettura di come il territorio si manifesta.

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Foto scattate da un volo di perlustrazione,

a bordo di un autogiro.

Macroarea 1

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1.4 M . argini

Dal piano alla linea . Individuazione

dei percorsi

E’ parlando di margini, che Alessandro Forino in “Paesaggi sull’acqua” scrive:

“La riscoperta dell’acqua come luogo della costruzione della città diventa occasione di ridefinizione del margine urbano. La descrizione del bordo architettonico, come margine che disegna una precisa forma geometrica che si separa da un esterno indifferenziato, è sviluppata attraverso l’esperienza della città europea.

La costruzione del margine esplicita la volontà di sottrarre al confine d’acqua il suo originale carattere di provvisorietà, di stabilizzare uno spazio dotandolo di misura … I lungofiume, le piazze e i viali litoranei irrigidiscono le linee di sponda nella figura del bordo architettonico, come perentoria soglia tra città e acqua. In ciò è ancora riconoscibile quell’antica fede platonico-pitagorica nell’uso costruttivo della linea come confine che segna la differenza e la separazione”

L’intersezione tra due aree genera un margine, linea di contatto tra terra ed acqua. Tale m.argine coincide con l’argine, elemento costante lungo la linea d’acqua, ma variabile nella forma, sezione e nella materia di cui si compone; passando quindi da uno studio areale ad uno lineare, mi sono concentrato sullo sviluppo effettivo della linea d’acqua, percorrendo personalmente a piedi e con una bicicletta, gli argini (dov’è stato possibile) per tutta la loro lunghezza, ho raccolto una serie di informazioni fotografiche e morfologiche relative al rapporto della città e della campagna con le aree lineari strettamente connesse lungo il canale. I contesti mutano notevolmente e con frequenza variabile, sia per conformazione del canale, sia per organizzazione spaziale, sia anche per attività qualificanti che vi si attestano e le attrezzature di cui dispongono.

Planimetricamente è stato possibile individuare 10 tratti del canale assimilabili per caratteristiche dimensionali, i quali hanno per capolinea nodi urbani, sia strutturali che percettivi; successivamente ho operato in modo tomografico, andando ad eseguire una serie di 10 sezioni (una per tratta), riuscendo a fornire una rappresentazione che permettesse la coesistenza delle diverse variazioni: morfologiche, spaziali e di utilizzo.

La sez. 1 si sviluppa per una lunghezza di 650m dalla punta del Molo della Madonnina fino alla passerella pedonale, nodo in cui la Passeggiata si attesta al canale; gli spazi sono pressoché tutti pubblici, caratterizzati da un arredo urbano sintetizzabile nella continuità delle barche ormeggiate, nelle bitte, in una serie di lampioni e sulla sponda destra in un paramento murario che funge da barriera alle alte maree, sul quale si aprono piccole nicchie che ospitano sedute. La vocazione di quest’area è totalmente ricreativa, ospitando attività del tempo libero, come il passeggio, la pesca e la balneazione o sportive quali il surf.

La sez. 2 prosegue per un breve tratto interrompendosi all’innesto della darsena Toscana con il canale, la larghezza della

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26 sezione diminuisce e agli spazi destinati al passeggio, si somma

una viabilità di distribuzione nella sponda sinistra e di scorrimento in quella destra. Dalla darsena toscana al ponte girante ancora un breve tratto modifica la sezione, aumentando le alberature e destinando a piazza sul canale un modesto spazio soffocato dai persistenti parcheggi. Sulla sponda destra l’elemento barriera prosegue con i suoi lampioni, e le pavimentazioni variano matericamente: pietra storica, lastre di cemento prefabbricate, asfalto.

Dal ponte girante, al ponte di Pisa la sezione 4 è caratterizzata dalla presenza costante di parcheggi locali, perlopiù di servizio alle residenze e di ormeggi continui di piccole imbarcazioni. Se fino ad ora le sezioni hanno cambiato forma frequentemente, dopo il ponte di Pisa il corpo del canale si mantiene di forma costante per circa 2200m, fino alle cave di San Rocchino; le sponde cementate e parallele disegnano una linea d’acqua netta che attraversa il contesto periferico. Non si riscontrano attività qualificanti; solo nel breve tratto terminale del quartiere Varignano, una dotazione di verde costituisce un luogo qualificante solo da progetto.

La cava di san Rocchino costituisce di per se un tratto importante per dimensioni e relazioni, il margine viene completamente perso in quanto il canale è inglobato nel bacino d’acqua; quest’area è tuttavia intensamente vissuta dai praticanti di sport acquatici come la vela e la canoa, senza però registrare adatte strutture di supporto. L’arredo da questo punto in poi muta, da quello urbano a quello ambientale, costituito da vegetazione palustre, arbusti, eucalipti e ontani.

E’ dalla sezione 7 che sulla sponda destra (sponda nord) inizia il tratto con arginatura a doppia sezione trapezia, sulla quale scorre la strada sterrata consorziale di servizio agli impianti idrovori; sul lato prospicente il canale compaiono i rimessaggi dei barchini, mostrandosi come precari manufatti in legno e lamiera. “Le bilance”, manufatti caratteristici, si ergono su palafitte più frequentemente lungo l’argine compreso nel padule rispetto a

quello a contatto con la terra ferma, raggiungibili quindi tramite una piccola imbarcazione.

La continuità del margine è segnata dalla costante presenza di canneti e falascheti, mentre le discontinuità sono causate dagli invasi residui delle attività di escavazione.

Quest’operazione di analisi ha messo in evidenza la totalità dei percorsi attuali che si sviluppano lungo i “m.argini” del canale, le loro dimensioni e le vocazioni che insistono su di essi, offrendo spunti progettuali nell’ottica di una rigenerazione che comprenda anche i modi di vivere il canale Burlamacca.

Allegare a questa lettura la planimetria relativa all’uso del suolo, aiuta a capire come gli spazi variano dimensionalmente, che tipo di relazione hanno con il canale e dove le attività trovano ubicazione. Nella macro-area 1 si legge una prevalenza del tessuto residenziale compatto, con affacci su piazze che offrono una continuità di bar ed esercizi ristorativi; comprende anche uffici pubblici, poche attività culturali e alcune destinate al tempo libero (palestre). Sul fronte del porto si nota una concentrazione di attività produttive e direzionali legate strettamente alla cantieristica che vanno a saldarsi con un suolo pubblico incerto e frazionato, ma costante. Il tappeto residenziale-produttivo della macro area 2 è punteggiato di aree verdi non progettate, ma offre tuttavia un’area a verde sportivo affacciata proprio sul lungo canale. La macro area 3, riporta emergenze di tipo infrastrutturale nell’area di San Rocchino, con impianti tecnologici di smaltimento rifiuti, sabbifici, cementifici e attività artigianali. Prosegue poi il disegno dell’uso del suolo trasformandosi in una carta della vegetazione, in quanto le distinzioni delle aree sono date dai differenti tipi di aggregazioni di specie arboree.

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1.5 Vuoti. Nodi. Mobilità

Dalla linea al punto. Definizione dei luoghi

Urbanistica n.140 “la città oltre la crisi dell’automobile”

La situazione delle città italiane risente di un pesante deficit di trasporto collettivo, soprattutto su ferro che sostiene il ricorso massivo al mezzo privato.

Questa situazione di crisi complessiva del sistema della mobilità mette in causa l’organizzazione stessa della città. Motorizzazione di massa e diffusione urbana sono andate di pari passo.

Nel suo complesso, la città è oggi soggetta al predominio dell’auto: i nuovi insediamenti residenziali ed i poli di consumo e di intrattenimento sono progettati in funzione degli spostamenti automobilistici; nei quartieri consolidati e nei centri storici strade, piazze e persino i marciapiedi sono invase dai veicoli circolanti ed in sosta; gli spazi pubblici e di relazione sono sempre più privatizzati a svantaggio dei pedoni in particolare dei bambini e degli anziani.

Questo binomio, spazi vuoti e mobilità, è stato lo strumento di ricerca dei nodi dati dalla stretta relazione e dalle interferenze che si creano nel coesistere degli spazi pubblici e degli assi viari, ricerca finalizzata alla progressiva sostituzione della mobilità a favore del soddisfacimento degli standard urbanistici, in quanto la difficoltà di movimento e di accesso ai beni e ai servizi genera forme di marginalità, iniquità e disagio sociale.

Sarà opportuno operare ripensando le relazioni tra edifici e spazi pubblici, favorendo l’accessibilità e i percorsi pedonali e ciclabili. Estraendo dalla planimetria dell’uso del suolo, le aree a vocazione pubblica, costituite quindi dagli spazi pubblici e da quelli di pubblica utilità, si legge come una continuità di spazi si affianchi allo sviluppo lineare del canale, dilatandosi e comprimendosi, andando ad occupare tutti gli spazi non privati. Ne ricaviamo uno sviluppo planimetrico dei vuoti, intesi nell’accezione della traduzione inglese di void: vuoto, nullo, vacante, invalido e privo. Questo perché? Nel tratto della macro-area 1, la continua frammentazione dei vuoti, interrotti dalle direttrici di traffico e invasi da persistenti sistemazioni a parcheggio, fa perde la percezione dello spazio stesso e ne limita la fruizione. Nella macro-area 2, i vuoti lungo canale sono aree difficilmente accessibili e comunque rappresentano il retro di edifici produttivi, non esiste insomma l’idea collettiva di vivere tali aree. Per quanto riguarda la macro-area 3 si ha una situazione ancora differente, i vuoti (non privati sottolineo) sono intensamente vissuti e in perfetta simbiosi, ma dai soli pochi frequentatori del padule, ovvero i cacciatori e i pescatori, che se ne sentono in qualche modo padroni ed è giusto quanto difficile dargli torto, in quanto quelle aree vivono solo delle loro attività. Oltre da loro, sono vissute sporadicamente da qualche “impavido esploratore” alla ricerca della foto buona, il quale si addentra nella terra di nessuno sentendosi quasi un ospite indesiderato. Il problema relativo alla fruizione di queste aree è dunque legato alla mancata appartenenza alla mentalità comune.

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30 La schematizzazione di Bernardo Secchi, dei flussi di traffico di

cose e persone in “Tubi e Spugne” si adatta bene in questo caso allo studio della mobilità pedonale. I rimandi all’idraulica non sono solo una fortunata coincidenza, ma sono strumento utile per descrivere concettualmente un territorio pesantemente interessato dalla mobilità. Per tubi si intendono i tratti in cui il traffico scorre fluidamente ed ho considerato tubi, i percorsi sul lungo canale, mentre le spugne sono le zone dove il traffico rallenta e si diffonde capillarmente, riferibili quindi ai luoghi dello stare, alle piazze, alle banchine alle semplici aree vuote.

Un estensione di questo studio agli altri tipi di mobilità: carrabile, ferroviaria e navigabile, mi ha permesso di individuare i nodi di intersezione tra i percorsi lungo canale e le altre arterie di traffico. La sagoma delle spugne riguardanti i parcheggi, le darsene, i rimessaggi a terra dei barchini e le aree di scalo ferroviario, mi ha permesso di capire dove e come lo spazio pubblico era maggiormente invaso e limitato.

Ne risulta una planimetria che evidenza le intersezioni, le sovrapposizioni e le strade di accesso al canale, mettendo in evidenza la continuità di accessi e di nodi nel tratto urbano, la carenza di accessi invece nel tratto periferico ed infine, la presenza di accessi, a maglia più ampia, nel tratto del territorio aperto, con intersezioni del solo traffico navigabile, confermando anche da questo punto di vista l’importante presenza del contesto acquatico.

I nodi, sono stati classificati secondo parametri di giudizio scelti soggettivamente e riguardanti:

 Capacità di traffico  Interferenza tra i traffici

 Ampiezza della sconnessione

 Valenza del nodo rispetto all’intorno

Assegnando poi un valore a ciascun parametro, in una scala di giudizio da 1 a 5 e facendone la somma, si è ottenuto il valore qualitativo di ogni nodo. Un’ulteriore classificazione riguarda la tipologia di intersezione: a raso, su livelli sfalsati e con altro corpo d’acqua. Questo procedimento ci ha permesso di confrontare i 14 nodi individuati, decretando così le aree di intervento. I nodi con minore entità avranno bisogno di piccoli accorgimenti locali, i nodi principali, saranno interessati invece da interventi a scala urbana e infrastrutturale. Si determina così una strategia di intervento che può essere messa in atto in modo complessivo, attuando una vera e propria rigenerazione urbana e territoriale, ma potrà anche avanzare a reparti stagni, andando gradualmente e secondo necessità e finanziamenti a completare il piano programmatico degli interventi.

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1.6 Degrado e criticità.

La Burlamacca, costituisce il mio oggetto architettonico di studio, che considerandola nella sua interezza si presenta come

un’infrastruttura territoriale. Ai fini di un intervento complessivo è stato necessario realizzare prima di tutto una mappatura del degrado, urbanistico e ambientale, che mettesse in evidenza le criticità diffuse e quelle puntuali; successivamente un’individuazione delle potenzialità e delle attività potenziabili che con ordine gerarchico differente insistono sul comprensorio. Queste operazioni mi hanno permesso di determinare le aree che maggiormente necessitano interventi di recupero e quelle che hanno solamente bisogno di un potenziamento.

Ciò è stato possibile attenendomi alla vasta letteratura pianificatoria, andando talvolta a parlare di persona con tecnici dei diversi enti per risolvere questioni poco chiare o troppo intrigate.

Solo per dare un’idea della dimensione dell’area e della difficoltà legate alla comprensione degli aspetti prettamente urbanistici, alle problematiche del territorio, ai vincoli e alle previsioni che vi insistono, passo in rassegna i piani consultati:

PIT Regione Toscana, PTC Provincia di Lucca, PAI Autorità di Bacino del fiume Serchio, PdG ente Parco Regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli, PS Comune di Viareggio, PRG Porto di Vireggio, PS e RU Comune di Massarosa.

A questi segue ovviamente una serie di strumenti pianificatori subordinati come il PIUSS Programma Integrato Urbano di Sviluppo Sostenibile, PGTU Piano Generale del Traffico Urbano, il PRAE Piano di Recupero delle Attività Estrattive, il RU di Viareggio approvato ma non ancora adottato, e alcuni studi pubblicati in collaborazione tra Autorità di Bacino del fiume Serchio e il Consorzio di Bonifica Versilia Massaciuccoli.

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32 “L'industria delle costruzioni n. 428 novembre/dicembre 2012” apre così il numero sugli - SPAZI PUBBLICI -

Il degrado fisico e sociale che caratterizza molte aree urbane, rende evidente una condizione di sofferenza della sfera pubblica. Tale declino viene collegato da un lato al generale prevalere di forme individualistiche sulla dimensione pubblica del vivere sociale, dall’altro alla dispersione degli spazi collettivi conseguente alla separazione delle funzioni nella città.

Degrado Urbanistico

Sull’area urbana, è stato doveroso, in termini di degrado urbanistico, affrontare il tema della qualità degli spazi pubblici, individuando vaste aree con scarsa qualità o prive di qualità urbana, deturpate soprattutto dalla mancanza di un arredo urbano omogeneo e dalle ossessive sistemazioni a parcheggio. I siti che maggiormente ci interessano sono quegli spazi interstiziali tra la geometria delle darsene storiche e gli isolati urbani, dove gli stalli dei parcheggi arrivano fino alle bitte, venendo meno così i luoghi dello stare, trasformando aree dall’alto potenziale pubblico, in aree con fini logistici-economici. Queste aree ovviamente sono adiacenti con porzioni di città interessate da degrado da traffico. I problemi principali legati alla mobilità carrabile si riscontrano dunque nella zona di piazza D’Azeglio, nel nodo riferibile al ponte girante, in corrispondenza del nucleo storico cinquecentesco e nella vasta circonvallazione del largo Risorgimento. Le aree che riportano degrado fisico, sono riferite in particolare all’estesa fascia adiacente ai binari ferroviari in prossimità della stazione vecchia, rimasta un monumento ai binari arrugginiti, al pietrisco stabilizzante e agli arbusti d’occasione. A fianco a quest’area, il piano attribuisce all’attuale mercato ortofrutticolo un degrado economico dovuto alla mancata resa ti tale attività; un’altra forma di degrado economico è costituita dalla mancata valorizzazione e utilizzo dei beni storici, come la Torre Matilde e i Magazzini del Sale, i quali offrono

volumetrie di valore architettonico, ma sono oggi solo osservati dall’esterno.

Degrado igienico invece riguarda i fabbricati industriali dismessi ma non ancora recuperati, primo tra tutti lo stabilimento dell’ex oleificio Salov sorto sulle sponde del canale e sui resti dell’antica torre di guardia, ma di cospicuo interesse anche i giganti di lamiera, sabbifici sorti sulle sponde delle ex cave di sabbia; vaste aree degradate da abbandono disegnano isole verdi, in contatto con il canale per ampie tratte sono il parco della ex Vetraia e l’area denominata Lisca, stretta striscia di terra tra viadotto autostradale e nuovamente il bacino di San Rocchino. Infine si punteggiano una serie di attrezzature incompatibili con il luogo dovute a concentrazione di distributori di carburanti (l’area del Largo Risorgimento, nel tratto a cavallo con la Burlamacca ne conta ben 5 posizionati quasi consecutivamente), attività incompatibili con il contesto sono quelle artigianali produttive incuneate nel precario tessuto residenziale periferico; infine impianti tecnologici di smaltimento rifiuti vanno “ovviamente” a insediarsi nella delicata area umida che abbraccia ancora una volta la cava di San Rocchino.

Degrado Ambientale

Questo tipo di degrado è legato alla gestione del territorio e alla tutela della salute del paesaggio; riguarda per natura del territorio la macro-area 3 ed è tutt’oggi oggetto di numerosi studi da parte degli enti preposti.

Iniziando la lettura di questo tipo di degrado si ha il primo elemento di disturbo, riscontrabile nel malfunzionamento delle cateratte alle porte di Viareggio, così che la l’acqua marina di risalita si mescola con il deflusso delle acque dolci. Il fenomeno della salinizzazione, è riconducibile inoltre all'abbassamento estivo del livello delle acque del lago, che oltre che alla evapotraspirazione è connesso ai prelievi idrici effettuati a scopo irriguo. Non è escluso inoltre che l’aumento della salinità possa essere connessa anche all’attività estrattiva che si è sviluppata dagli anni ’50, con massima espansione nel ‘70, dal momento che

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33 è in questo periodo che si sono manifestati in maniera più vistosa

i valori massimi di salinità. Tuttavia le cave sembrano rappresentare non tanto le cause, quanto il ricettacolo delle acque saline che risalgono dal mare attraverso il Canale Burlamacca.

E' da evidenziare che agli inizi degli anni '40, studi eseguiti sul lago permettevano di classificare le acque come "oligoaline" e "oligotrofiche" cioè acque totalmente dolci e con bassa presenza di nutrienti. Il fenomeno dell’eutrofizzazione si manifesta a causa dell’aumento di disponibilità di nutrienti (P, N, K) in un corpo idrico contraddistinto da un debole ricambio delle acque, che consente la loro permanenza e l’accumulo sia nel fondale sia nelle molecole organiche vive o in decomposizione.

I nutrienti derivano in parte dai canali e dalle idrovore che pompano dentro il lago una parte delle acque di bonifica, interessate da attività agricole, floricole e zootecniche oltre che dagli insediamenti produttivi ed attività industriali.

Anche la presenza di depuratori e reti fognarie malfunzionanti, concorre all'incremento del fenomeno in questione.

L’altro dei 3 aspetti riguardanti il degrado a larga scala è la Subsidenza. L’attività degli impianti idrovori strettamente legata alla regimazione delle acque, come ho già sottolineato in precedenza causa un prosciugamento di vaste aree rese coltivabili, ma in questo modo, tali terreni ricchi di torba risultano compattati; ciò determina un primo abbassamento, che ne determina un secondo dato dalla pressione degli strati superficiali su quelli sottostanti, ma di fondamentale interesse è il terzo abbassamento che si mostra costante, dato dalla gassificazione della torba, come naturale processo chimico a seguito della sottrazione d’acqua alla molecola organica:

“Il terreno sparisce” trasformandosi in acqua e anidride carbonica. A conferma di ciò, il rilievo Lidar effettuato

dall’autorità di bacino, mostra che l’area bonificata è totalmente sotto il livello del mare, con depressioni fino a -3 m slm.

A quest’aree è legato un degrado anche di tipo colturale, dove la monotematicità delle coltivazioni a grano e grano turco nella quasi totalità dell’area è fonte non solo di scarsi profitti ma anche di un paesaggio agrario banalizzato.

Un’altra forma di degrado diffuso è quello legato all’utilizzo del padule come area di caccia, non tanto nell’attività venatoria in se, quanto nel modo di occupare le sponde dei canali. Siamo di fronte ad un fenomeno diffuso e consolidato nella mentalità degli abitanti del posto, quello di costruire manufatti in legno e lamiera adibiti a rimessaggio dei barchini, ma paragonabili più al villaggio galleggiante di Tonle-Sap-Lake che a puntuali interventi di architettura spontanea, questo soprattutto a causa della loro infestante diffusione. Ogni canale ha la sua serie di baracche, alcune rinnovate, altre fatiscenti a comporre un quadro forse vernacolare ma di infondato valore. Altra occupazione infestante è quella delle sponde della cava di San Rocchino, sul lato che costeggia la via di Montramito; rimessaggi a terra di barche a vela e carcasse di vecchie barche a motore, inferriate “di turno” a segnare la proprietà privata, sedi di piccole attività sportive acquatiche come la vela, la canoa e il kayak che per carenza di fondi o di interessi non hanno strutture adeguate, e si concretizzano in moletti di fortuna e box in lamiera adibiti a stoccaggio canoe.

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1.7 Potenzialità e previsioni

A fronte di un degrado rilevato si ricercano le potenzialità e le attività potenziabili che insistono nel contesto oggetto di studio. Analisi questa a diretto contatto con le strategie progettuali che gettano in questo ambito le radici per un progetto attuabile e sostenibile. E’ stato necessario mettere quindi in evidenza il potenziale dell’area ricavandolo dalle previsioni e dai vincoli posti dall’attività pianificatrice, partendo dalla scala regionale scendendo poi gerarchicamente fino alle previsioni comunali per le singole aree attestate al canale.

L’area di studio rientra nell’ambito definito dal PIT: “La Toscana della costa e dell’arcipelago”.

Il canale nella sua integrità è considerato dal PIT bene paesaggistico storico, insieme al contesto in cui è inserito costituito dalla rete di canali rettificati di bonifica, dal sistema delle aree umide e dallo specchio d’acqua del lago di Massaciuccoli. Queste aree oltre ad essere tutelate dal Parco Regionale San Rossore Migliarino Massaciuccoli, che le identifica come “Padule settentrionale del lago di Massaciuccoli”, sono schedate dalla rete natura della provincia di Lucca come SIR (Siti di Importanza Regionale), ZPS (zona a protezione speciale), IBA.077 (important birds area “lago di Massaciuccoli) e rientrano nelle aree umide protette censite dalla convenzione di Ramsar. La Burlamacca fa parte di questo sistema come margine inglobato nel tratto che va dal lago alla cava di san Rocchino. Queste aree ospitano un’avifauna molto ricca e varia, con specie migratorie e stanziali; la vegetazione prevalente è a falascheto e canneto, con modesti boschi palustri di ontani neri ed eucalipti. Frequenti sono le escursioni di bird-watching organizzate dal centro LIPU di Massaciuccoli. In quest’area si trovano due edifici storici di interesse artistico, la Villa Ginori Lisci che ospita anche un B&B e la “Brilla” ex edificio rurale adibito appunto alla brillatura del riso,

che negli ultimi anni dopo il suo restauro, ospita prevalentemente nel periodo estivo mostre d’arte.

Un elemento identitario delle aree palustri si riscontra nelle “bilance”, manufatti su palafitte che sorgono in mezzo all’acqua, raggiungibili nel più dei casi mediante barchino (tranne alcuni esempi attestati agli argini del canale), sono tipologicamente composte da uno spazio abitabile e da una veranda che ospita l’argano per ritirare il “retone” da pesca.

A livello iconografico rappresentano un elemento di valore paesaggistico anche gli impianti idrovori, non solo per il valore evocativo legato alla storia del territorio, ma anche come elemento scenico; può capitare di percorrere la tratta ferroviaria Viareggio-Lucca e guardando dal finestrino lo scorrere di un paesaggio uguale composto da terra ed acqua, il nostro sguardo si imbatta in un elemento anomalo, un padiglione color rossastro dalle linee classiche. E’ l’impianto idrovoro di Portovecchio a segnare la presenza antropica fondamentale alla sopravvivenza delle colture.

Un’attiva presenza sportiva di rematori e velisti costituisce sicuramente un altro degli aspetti positivi legati alla vita sul canale, potenziabile sia per i fruitori attuali che per ipotetici sviluppi futuri, avendo a disposizione specchi d’acqua rettilinei per tratti superiori a 2 km (limite minimo dei bacini di gare internazionali di canottaggio).

Fonte di potenzialità è costituita dal recupero delle attività produttive dismesse, importanti relitti di archeologia industriale, ad oggi in parte anche operanti, fanno parte del quadro paesaggistico palustre, cosa farne è una sfida aperta.

Tutta l’area della periferia urbana invece, ha come potenzialità gli ampi spazi vuoti di verde non progettato che si ritagliano dai perimetri dei palazzi di edilizia residenziale e sociale, offrendo un’opportunità, benché limitata, di riorganizzazione dello spazio pubblico.

Il tratto urbano del canale si confronta con una realtà dalle elevate potenzialità soffocate tuttavia dall’orientamento degli spazi pubblici verso la mobilità carrabile piuttosto che verso

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36 quella ciclo-pedonale. Si ha quindi ad oggi una città car-oriented

che vede nella “semplice” riorganizzazione del traffico le potenzialità per una rigenerazione degli spazi. I valori storico-architettonici si riscontrano nell’impianto urbano nel suo insieme che offre una sequenza di affacci e relazioni con il canale di assoluto interesse; comprende la conformazione delle darsene storiche con le strutture legate ad esse: moletti, pavimentazioni, bitte, piantumazioni. La forma urbana è inoltre interessante per la sequenza di vuoti che si aprono, tra il pieno degli isolati, sistemati a piazza alberata. Infine spazi pubblici di cospicuo interesse sono quelli della passeggiata e del molo che proietta lo spazio pubblico “qualificato” in una promenade tra bacini portuali e mare aperto.

Il valore degli edifici, a seguito dei bombardamenti della seconda guerra mondiale è riassunto in alcuni episodi sottoposti a vincolo monumentale.

Per quanto riguarda l’area portuale in cui la Burlamacca ne è porto-canale, il PIT esegue una schedatura dei porti toscani, promuovendo una rete di collegamento che permetta la cooperazione quindi delle diverse realtà, mirando ad un’espansione collettiva su un mercato sempre più difficile. Il porto di Viareggio è considerato un marchio mondiale per la produzione dei mega-yachts, ma anche per la riparazione e per tutte le attività che gravitano attorno alla sfera della cantieristica di pregio, questo è senza dubbio un aspetto importante, forse il maggiore (dal punto di vista economico), sul quale la pianificazione deve porre attenzione e riflettere soprattutto sul fatto che un settore così avanguardistico sia al tempo stesso carente di un nucleo di servizi per i diportisti.

Il porto dunque, rientra nella categoria dei porti minori, i quali offrono un campo di indagine e di sperimentazione di particolare interesse, in cui il problema della pianificazione portuale può essere ricondotto a logiche più simili a quelle della pianificazione territoriale.

Una considerazione tecnica, prima di procedere alla proposta di progetto, riguarda la verifica degli standard urbanistici. Dal Ps del

comune di Viareggio si evince che la dotazione complessiva degli standard risulta ampiamente sufficiente, in quanto si registrano 32 mq per abitante insediato; nel caso della massima pressione antropica (turismo) la dotazione scende a 19 mq per abitante insediato. L’unica voce che non risulta essere soddisfatta è quella relativa alle attrezzature scolastiche 116.000mq (2.13 < 4.5) I dati sono ottenuti senza considerare le strutture che rappresentano un valore aggiunto, quali l’arenile, le attrezzature commerciali, la cittadella del carnevale, il porto Darsena, gli alberghi, le attrezzature ricettive (camping e stabilimenti balneari) e la Passeggiata. Includendo tali valori nel conteggio degli standard, si consoliderebbe ancor più il margine di sufficienza, restando tuttavia ancora scoperti per quanto riguarda le strutture scolastiche.

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2.Proposta e Strategia

2.1 La scelta del waterfront

La questione del waterfront si presenta come occasione per un progetto di rigenerazione della città e di un paesaggio che si presenta lineare, investendo una riorganizzazione complessiva delle varie parti che compongono il brano architettonico. Le grandi metropoli industriali americane come Philadelphia, Boston, Chicago rimettono in discussione la griglia urbana sul contorno d’acqua cercando in esso una nuova immagine.

Osservare con spirito propositivo, esaltando le potenzialità del corso d’acqua e dei paesaggi che esso attraversa permette di ripristinarne il ruolo e il suo valore, non solo con gli occhi della tutela, ma soprattutto con quelli della rigenerazione elevando l’infrastruttura ad una vocazione culturale che si adatti ai contesti contemporanei e futuri. In Europa questa fase, trova riscontro, nella quantità di aree residuali di frammenti di città o di fossili di industrie attestati ai canali, la quale offre nuove prospettive nell’ottica del recupero, restituendo anche al corso d’acqua stesso il valore sia sociale che funzionale. Città come Bilbao, Madrid, Lisbona, Bordeaux, Lione per citare solo alcuni esempi ampiamente trattati dalla bibliografia, rappresentano modelli di intervento sul lungofiume creando un potenziale aggiunto per la collettività, mostrano come le amministrazioni locali si muovano in questa direzione per una riorganizzazione del territorio a vasta scala.

Nel contesto italiano, non sembrano attivarsi meccanismi adeguati che pongano al centro dell’attenzione il fattore acqua come elemento strutturale della riqualificazione urbana; non a caso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, individua tra le linee di ricerca prioritarie per le scienza di ingegneria e architettura la tematica della città e delle acque come “luogo irrisolto della città” , aspirando a “piani delle acque” come modelli sperimentali di pianificazione strategica.

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