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"L’Archivio del Mondo" Di Maria Pia Donato (e una postilla senese)

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Academic year: 2021

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* Si riassume quanto detto in occasione della presentazione del libro di M. P. Donato, L’archivio del mondo. Quando Napoleone confiscò la storia, Bari-Roma, Laterza, 2019, tenuta presso l’Archivio

di Stato di Siena il 29 maggio 2019. Alla presentazione intervennero anche Cinzia Cardinali, Tomaso Montanari e Federico Valacchi. I siti citati sono stati verificati il 1° settembre 2019.

1 All’appello, apparso sul sito «R.it» e sulle pagine de «la Repubblica», hanno rapidamente ade-rito centinaia di insegnanti, ricercatori e cittadini (v. D. olivero, Ecco l’Italia che non vuole perdere la memoria, «la Repubblica», 1° maggio 2019, pp. 34-35), così come associazioni, istituti storici e anche

organi universitari, come i Senati accademici di vari Atenei, tra i quali quello di Siena che ha così espres-so il proprio appoggio con delibera del 9 luglio 2019: «Nel febbraio 2019 il profesespres-sor Andrea Giardina, presidente della Giunta centrale per gli studi storici, la senatrice a vita Liliana Segre e lo scrittore Andrea Camilleri hanno promosso l’appello “La Storia è un bene comune”. Nell’aderire all’appello, l’Università degli studi di Siena – che tradizionalmente rivolge una particolare attenzione verso gli studi storici – in-tende in primo luogo reagire alla eliminazione della possibilità di sviluppare un tema di Storia alla ma-turità: tema che, da sempre, costituisce in Italia una verifica della formazione scolastica e culturale. Tale immotivata novità riduce di fatto la rilevanza della Storia come disciplina di studio in grado di orientare i giovani nelle loro scelte, anche in quelle successive universitarie. Soprattutto, svilire in questo modo la specificità del sapere storico significa ridurre il significato dell’esperienza del passato come patrimonio di conoscenze per la costruzione della cittadinanza e del futuro: un processo forse già in atto ma che l’U-niversità di Siena intende contrastare. Consapevoli della centralità per il Paese di uno sviluppo armonico della cultura in ogni sua forma, riteniamo che misure disordinate e improvvisate come queste rischino di

Il 25 aprile 2019 è uscito sugli organi di stampa un manifesto-appello dal titolo La storia è un bene comune: salviamola – lanciato dallo storico Andrea Giardina, dalla senatrice a vita Liliana Segre e dallo scrittore Andrea Camilleri – per ridare dignità all’insegnamento della storia nelle scuole italiane. Gli au-tori dell’appello hanno sottolineato, tra l’altro, la necessità del ricorso alla co-noscenza della storia e dell’incremento della ricerca storica «in un momento di grave pericolo per la sopravvivenza stessa della conoscenza critica del passato e delle esperienze che la storia fornisce al presente e al futuro del nostro Paese». E ribadire tutto questo è ancor più importante nel momento in cui si toglie la prova di storia dell’esame di maturità, si riducono le ore d’insegnamento della storia nei percorsi scolastici, si contraggono gli insegnamenti di storia nell’am-bito universitario e non s’investe adeguatamente nella conservazione di archivi e biblioteche1.

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generare artificiose, immotivate e insensate fratture o competizioni fra cultura tecnologico-scientifica e cultura storico-umanistica, di cui non si avverte minimamente il bisogno e a cui, come Ateneo, saremmo ovviamente contrari».

2 Donato, L’archivio del mondo cit., p. VIII.

3 Il volume di Maria Pia Donato ha ricevuto un’ampia attenzione da parte degli organi d’infor-mazione, proprio per l’attualità degli spunti di riflessione che pone al lettore; v. tra gli altri gli interventi di A. BarBero, Chi conquista gli archivi scrive la Storia (e comanda), «Tuttolibri», n° 2126,

supple-mento a «La Stampa», 26 gennaio 2019, p. IX e di M. Bucciantini, Furti di civiltà, «Il Sole 24 ore», 10

marzo 2019 (anche in http://www.stmoderna.it/Rassegna-Stampa/DettagliQuotidiani.aspx?id=16954), nonché l’intervista all’autrice del volume in https://www.letture.org/l-archivio-del-mondo-quando-napo-leone-confisco-la-storia-maria-pia-donato/. Si veda anche la recensione di M. I. Palazzolo, in «Nuovi

Annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari», 33 (2019), pp. 502-504. 4 Donato, L’archivio del mondo cit., p. 76.

Il bel libro di Maria Pia Donato non discute direttamente di questi temi. Ma la riflessione che suscita si colloca a pieno all’interno dei problemi che l’appello sopra menzionato poneva. Maria Pia Donato ci ricorda infatti che «chi possiede gli archivi, possiede la storia e controlla la visione del futuro»2. La visione del futuro passa quindi attraverso la conoscenza della storia, e – possiamo aggiunge-re – la conoscenza della storia passa attraverso il possesso, la gestione, l’impiego, l’apertura degli archivi. Ne deriva che il volume in questione non ricostruisce soltanto una vicenda storica complessa, lontana nel tempo, ma sollecita anche in-terrogativi sulla realtà di oggi in merito all’uso pubblico della storia, al controllo delle fonti d’informazione, alle modalità di accesso alle fonti stesse3.

Questo è però anche, e soprattutto, un bel libro di storia degli archivi, ov-vero un’analisi accuratissima di una pagina particolarmente stimolante sul piano specifico dell’archivistica. Basti pensare che nell’arco di pochi anni (tra il 1810 e il 1814) molte migliaia di casse contenenti registri, faldoni, cartelle circolarono per tutta Europa in direzione di Parigi: dapprima da Vienna gli archivi del crollato

Reich, poi da Roma l’Archivio Vaticano, quindi dalle tante città d’Italia – Siena

fra queste – gli antichi archivi d’età comunale, e ancora da Simancas una porzio-ne degli archivi della corona di Castiglia e della monarchia spagnola, o dalle città dell’Olanda frazioni, contenute, di archivi giudiziari o fondi diplomatici. Archivi che nel giro di poco tempo, in larghissima misura, tornarono nei luoghi di origine. Una emigrazione verso la Francia e un ritorno a casa che non avevano precedenti nella storia e che non sarebbero più avvenuti in seguito.

E a Parigi l’illusione: il «sogno dei Grandi Archivi dell’impero napoleoni-co»4 avrebbe dovuto portare alla costruzione di un immenso deposito non lontano dagli Champs-Élysées. «L’imponente edificio – scrive Maria Pia Donato –, un quadrilatero diviso da gallerie perpendicolari per un preventivo di venti milioni di franchi, era concepito in modo da proteggere i documenti da incendi e calamità

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5 Ivi, p. 50.

6 Ivi, pp. 64-68 e 138, note 11-30.

7 A. GiorGi-S. MoScaDelli, Dal trasferimento di archivi senesi a Parigi in età napoleonica alla

rico-struzione dell’Archivio delle Riformagioni, in Honos alit artes. Studi per il settantesimo compleanno di Ma-rio Ascheri, a cura di P. Maffei e G. M. varanini, II, Firenze, Firenze University Press, 2014, pp. 325-336. varie. Avrebbe offerto 140.000 mq di scaffalature in ogni quadrante per riunire infine tutti i fondi archivistici in un solo luogo e manifestare il dominio dell’im-pero francese sulla Storia»5. E anche se le carte rimasero in realtà all’Hotel de Soubise, nella splendida sede degli Archivi nazionali, colpisce comunque l’im-ponenza di un progetto così grandioso, poi abbandonato con la restaurazione di re Luigi XVIII. Sottolineo questa dimensione, per così dire, ‘fisica’ per evidenziare quanto nel passato la forza simbolica degli archivi si unisse strettamente, direi quasi intimamente, con la straordinarietà dei palazzi nei quali gli archivi stessi venivano ospitati. Del resto, com’è noto, all’indomani dell’Unità d’Italia proprio per rimarcare l’assorbimento della tradizione preunitaria nel nuovo disegno uni-tario sabaudo, la rete degli Archivi del Regno – talvolta ereditando le sedi di isti-tuti già fondati pochi anni prima, come quello senese – avrebbe occupato luoghi prestigiosi, palazzi enormi e simboli eccezionali che si volevano recuperare per una nuova funzione civile.

Un altro aspetto di natura, per così dire, storico-culturale offerto dalla trat-tazione di Maria Pia Donato merita di essere richiamato. Oltre alla dimensione fortemente politica dell’operazione napoleonica, emerge dal libro la contrappo-sizione fra un tentativo che può dirsi erede della cultura illuminista, ormai forse al tramonto, volto alla definizione di una grande storia universale, unica e unifi-cante, e il sorgere nell’Ottocento delle culture nazionali, molteplici e potenzial-mente antitetiche. Quelle culture nazionali che trovavano i loro prodromi e forse le proprie radici nelle stesse tendenze identitarie che remarono spesso contro – e sovente con successo – al grande sogno napoleonico dell’«archivio del mondo». Ma, in fondo, anche questa contrapposizione tra ‘universale’ e ‘particolare’ – o, se vogliamo, fra ‘europeismo’ e ‘nazionalismo’ – costituisce un elemento di forte attualità, e dai contorni politici non secondari, negli anni che stiamo vivendo.

Siena, come accennato, non fu estranea a questa vicenda e anche Maria Pia Donato dedica attenzione al caso senese6. Al riguardo mi permetto di ricordare un articolo – cui la stessa Donato fa puntuale riferimento – che anni fa ebbi modo di scrivere assieme al collega Andrea Giorgi: articolo in cui ricostruimmo gli eventi che, tra il 1812 e il 1816, portarono al temporaneo trasferimento di materiale ar-chivistico senese a Parigi e al ritorno di quello stesso materiale a Siena7. Ebbene,

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8 Ipotizzata da Alessandro Lisini a fine Ottocento (v. A. liSini, Inventario generale del R. Archivio

di Stato in Siena, I: Diplomatico, Statuti, Capitoli, Siena, Lazzeri, 1899, pp. XXVIII-XXXIX e 9), la

perdita di documenti venne arricchita da particolari, non comprovati da alcun riscontro documentario, specie in riferimento alle modalità della perdita stessa: «alla caduta dell’impero le carte tornarono, ma una parte andò dispersa e altra distrutta per la caduta nel Rodano di un furgone nel quale si trovava-no anche documenti senesi» (Guida-inventario dell’Archivio di Stato di Siena, [a cura di G. Cecchini], I, Roma, Ministero dell’Interno, 1951 [Pubblicazioni degli Archivi di Stato, 5], p. XVII). Tale ipotesi compare ancora in G. catoni, Gli archivi senesi durante il dominio francese, «Rassegna degli Archivi

di Stato», 26 (1966), pp. 121-146, in particolare p. 135 e in maniera più sfumata in Archivio di Stato di

Siena. L’Archivio notarile (1221-1862), inventario a cura di G. catoni e S. fineSchi, Roma, Ministero per

i beni culturali e ambientali, 1975 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, 87), p. 24, mentre tende infine a scomparire in G. catoni, Gli archivi toscani sotto Napoleone, «Moderni e antichi. Quaderni del Centro

di studi sul Classicismo», 4-5 (2006-2007) [Firenze, Edizioni Polistampa, 2012] (ringrazio il prof. Catoni per averne consentito la lettura in bozze).

9 Archivio della Biccherna del Comune di Siena, inventario a cura di G. Cecchini, Roma, Ministe-ro dell’Interno, 1953 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, 12), p. XXV.

10 GiorGi-MoScaDelli, Dal trasferimento di archivi senesi a Parigi in età napoleonica alla

rico-struzione dell’Archivio delle Riformagioni cit., pp. 332-333.

11 G. chironi, La mitra e il calamo. Il sistema documentario della Chiesa senese in età

pretriden-tina (secoli XIV-XVI), Siena-Roma, Accademia senese degli Intronati-Ministero per i beni e le attività

culturali, 2005 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 85), p. 57.

una tradizione, già attestata nel tardo Ottocento ma più volte riproposta nel secolo successivo, attribuiva a quella spedizione, e in particolare a una presunta rovinosa caduta nel Rodano di un «furgone» che conteneva i documenti8, la perdita di ma-teriale archivistico medievale (tra cui registri contabili della Biccherna, a onor del vero mai partiti per la Francia!9). Come Giorgi ed io avemmo modo di dimostrare, in realtà nulla andò perduto nel viaggio delle carte da Siena a Parigi e viceversa10, e quella ‘caduta nel Rodano’ non fu altro che una delle rovinose ‘invenzioni’ – oggi diremmo fake news –, tutt’altro che rare nella storia degli archivi: disastri, calamità o legende ignee – come anni fa, ironizzando, scriveva Giuseppe Chironi con riferimento agli archivi diocesani italiani11 –, che in realtà risolvono in modo semplicistico quei problemi di ‘vuoti’ ai quali l’archivista non riesce a dare una convincente giustificazione o per i quali, altrimenti, la spiegazione potrebbe es-sere ‘scomoda’.

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