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Indagine sul sonno in bambini con Disturbo Specifico dell'Apprendimento

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area

Critica

Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e della Salute

ANNO ACCADEMICO 2015/2016

Tesi di Laurea Magistrale:

Indagine sul sonno in bambini con Disturbo Specifico

dell’Apprendimento

Relatore: Candidato:

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“Se tratti una persona per come è,

resterà quello che è, ma se la tratti per ciò che dovrebbe e potrebbe essere diverrà ciò che dovrebbe e potrebbe essere”

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Sommario

Capitolo 1. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) ... 7

1.1 Correlati neurofunzionali ... 12

Capitolo 2. Lo studio del sonno ... 14

2.1 Stadiazione del sonno ... 16

Capitolo 3. Sonno, memoria e apprendimento ... 18

3.1 Sonno, memoria e apprendimento in età evolutiva ... 20

Capitolo 4. Disturbi del sonno e Disturbi del Neurosviluppo ... 21

4.1 Disturbi del sonno e Disturbi Specifici di Apprendimento ... 23

Capitolo 5. Lo studio ... 25

Capitolo 6. Metodologia ... 25

6.1 Partecipanti ... 25

6.2 Test comportamentali ... 28

6.3 Valutazione del sonno: il questionario ... 32

6.4 Valutazione del sonno: l’actigrafo ... 33

6.5 Disegno e Ipotesi di ricerca ... 37

Capitolo 7. Analisi dei dati ... 38

Capitolo 8. Risultati ... 39

Capitolo 9. Discussione ... 45

9.1 Limiti dello studio ... 46

Conclusione ... 47

Appendice ... 48

Riferimenti bibliografici ... 50

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Riassunto

Un numero crescente di evidenze scientifiche, suggerisce che nei bambini con un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) ci possa essere un pattern di sonno atipico (Smith e Henderson, 2016).

Questo lavoro nasce con lo scopo di studiare la qualità del sonno in bambini con DSA, con particolare attenzione al profilo comportamentale specifico di ogni bambino, per verificare se c’è una relazione tra profilo di disturbo di apprendimento e i disturbi del sonno. A tal fine i disturbi del sonno sono stati misurati con un questionario compilato dai genitori sulle abitudini del sonno del loro bambino (Sleep Disturbance Scale for Children, SDSC; Bruni, 1996) e un actigrafo, il

Fitbit-Flex (Fitbit Inc., San Francisco, USA).

I risultati mostrano l’assenza di differenze statisticamente significative nell’incidenza dei disturbi del sonno al questionario SDSC tra il gruppo di bambini con DSA e il gruppo di controllo. Tuttavia il gruppo di bambini con DSA ha una Durata Minima di sonno, misurata tramite il Fitbit-Flex, ridotta rispetto al gruppo di controllo e tale misura correla, insieme ai disturbi dell’arousal, con la velocità di lettura.

Questi risultati, seppur ottenuti su un piccolo campione, suggeriscono che nei bambini con DSA, la lentezza di decodifica, il sintomo principale delle difficoltà di lettura in lingua ad ortografia regolare, può associarsi all’alterazione di alcuni parametri della qualità del sonno misurabili con strumenti comportamentali.

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Introduzione allo studio

L’importanza del sonno per le funzioni cognitive è evidente negli studi di deprivazione di sonno, dove i soggetti che vengono privati del sonno mostrano deficit consistenti nei vari domini cognitivi rispetto ai controlli, in particolare in compiti che valutano l’attenzione o le funzioni esecutive (Lim e Dinges, 2010). Un sonno scarso è stato associato a bassi risultati scolastici ed è emerso che le prestazioni degli alunni peggiorano quando sacrificano il sonno per studiare di più (Gillen-O’Neel et al., 2013). Pertanto, non deve sorprendere che bambini con disturbi del neurosviluppo, con deficit che riguardano l’apprendimento o le funzioni cognitive, spesso soffrano di disturbi del sonno. Questo è stato ben documentato in bambini con disturbo dello spettro autistico e deficit di attenzione e iperattività (ADHD), dove i problemi del sonno possono essere anche particolarmente gravi. Tuttavia, un sempre più crescente corpo di evidenze scientifiche, suggerisce che il sonno può essere atipico anche nei bambini con un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) (Smith e Henderson, 2016).

La Dislessia Evolutiva è il più comune tra i DSA, colpendo quasi 1 bambino su 10 in età scolastica ma con valori d’incidenza che variano in funzione della regolarità ortografica della lingua madre (CC-ISS, 2011); è caratterizzata da difficoltà di lettura e ortografia ed è spesso associata ad un deficit di elaborazione fonologica. Spesso si può manifestare in comorbilità con altri disturbi del neurosviluppo, come l’ADHD o il disturbo specifico del linguaggio, senza una notevole eterogeneità tra i bambini. Questo ha portato a pensare che la dislessia possa essere il risultato di una complessa combinazione di difficoltà e di fattori di rischio (Pennington, 2006). Di conseguenza l’attenzione della ricerca si sta focalizzando su una più ampia costellazione di difficoltà subcliniche, compresi i potenziali disturbi del sonno.

Due studi precedenti che hanno usato la Polisonnografia hanno trovato delle differenze nell’architettura del sonno di bambini con Dislessia Evolutiva, rispetto ai loro pari a sviluppo tipico (Mercier et al., 1993; Bruni et al., 2009). In un recente studio Carotenuto e colleghi (Carotenuto et al., 2016) hanno indagato la presenza di disturbi del sonno in bambini con Dislessia Evolutiva, attraverso una scala per la valutazione dei disturbi del sonno (Sleep Disturbance Scale for

Children, SDSC; Bruni, 1996). Dai risultati è emerso che i bambini con Dislessia Evolutiva

mostrano maggiori disturbi del sonno rispetto ai controlli, in particolare problemi legati alla difficoltà di addormentamento e al mantenimento del sonno.

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Lo scopo di questo lavoro è studiare la qualità del sonno in bambini con DSA, con particolare attenzione al profilo comportamentale specifico di ogni bambino, identificando deficit di automatizzazione delle procedure di decodifica (Dislessia pura) rispetto ai profili in cui può essere presente anche la compromissione dei processi espliciti e controllati di apprendimento (Disortografia, Disturbo di Comprensione del testo), per verificare se c’è una relazione tra tipologia di difficoltà di apprendimento e disturbi del sonno. Al fine di evitare esami psicologicamente invasivi in una popolazione con una sintomatologia molto specifica e pertanto scarsamente abituata ad indagini strumentali, i disturbi del sonno sono stati misurati con tecniche comportamentali: un questionario compilato dai genitori sulle abitudini del sonno del loro bambino (Sleep Disturbance Scale for Children, SDSC; Bruni, 1996) e un actigrafo, il Fitbit-Flex (Fitbit Inc., San Francisco, USA).

La SDSC è un questionario costituito da 26 item, su scala Likert, che viene compilato dai genitori e che indaga il ritmo sonno-veglia del loro bambino; il questionario è stato precedentemente testato sulla popolazione italiana (Bruni et al., 1996).

Il Fitbit-Flex è invece un braccialetto fornito di un accelerometro in grado di rilevare dati specifici sull’attività fisica e, attraverso specifiche tecniche computazionali, sulla qualità del sonno. Indagini di settore annoverano che l’actigrafo è in grado di produrre stime accettabili per l’analisi della qualità del sonno (Griessenberger et al., 2013; Van de Water et al., 2011). Attraverso questo pratico strumento di registrazione è possibile inferire principalmente la struttura macroscopica del sonno e anche la sua qualità.

In questo lavoro è stata individuata una popolazione di bambini che presenta Disturbo Specifico dell’Apprendimento, nello specifico Dislessia Evolutiva, attraverso i criteri diagnostici redatti nelle linee guida internazionali sulla base del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, 5°edizione (DSM-5, 2014) e della Decima revisione della Classificazione Internazionale delle Sindromi e dei Disturbi Psichici e Comportamentali (ICD-10, 1992).

I dati raccolti sui bambini con DSA sono poi stati confrontati con quelli rilevati su un campione di controllo di bambini con sviluppo tipico, appaiati per genere ed età.

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Capitolo 1. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA)

Con l’acronimo DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) si intende una categoria diagnostica, relativa ai Disturbi Specifici di Apprendimento che appartengono ai disturbi del neurosviluppo (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, 5°edizione; DSM-5, 2014) che riguarda i disturbi delle abilità scolastiche, ossia nell’apprendimento della lettura, della scrittura o del calcolo.

I DSA sono una categoria dei Bisogni Educativi Speciali (BES) poiché fanno parte dei disturbi evolutivi specifici e richiedono attenzioni didattiche ed educative specifiche. I DSA sono oggetto di una specifica legge (Legge 170/2010), di un conseguente decreto ministeriale (D.M. 5669 del 12 luglio 2011) e allegate Linee guida, a tutela del diritto allo studio di alunni con tali disturbi. La Consensus Conference dell’Istituto Superiore di Sanità (CC-ISS, 2011) definisce i DSA «disturbi che coinvolgono uno specifico dominio di abilità, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale». Essi infatti interessano le competenze strumentali degli apprendimenti scolastici.

Sulla base del deficit funzionale vengono comunemente distinte le seguenti condizioni cliniche:

Dislessia

Con il termine Dislessia si intende il Disturbo Specifico della Lettura, che riguarda la velocità e/o l’accuratezza della decodifica. La Consensus Conference del 2007 (CC-2007) individua la necessità di somministrare prove standardizzate di lettura a più livelli (lettere, parole, non-parole, brano), la necessità di valutare congiuntamente i due parametri di rapidità e accuratezza nella prestazione, la necessità di stabilire una distanza significativa dai valori medi attesi per la classe frequentata dal bambino nella rapidità o nell’accuratezza. Tale distanza è fissata convenzionalmente in Italia a 2 deviazioni standard sotto la media per la velocità e al di sotto del 5° percentile per l’accuratezza.

Secondo il manuale diagnostico ICD-10 è il codice F81.0 («Disturbo specifico della lettura o dislessia»), che contempla compromissioni nell’accuratezza (errori) e può comportare anche difficoltà di comprensione. Questo codice comprende inoltre anche le conseguenti difficoltà di tipo ortografico, in assenza di diagnosi di Disortografia. Include infatti «ritardo specifico della lettura, dislessia evolutiva, difficoltà della compitazione associata con un disturbo di lettura»,

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mentre esclude la Disortografia senza disturbo della lettura («disturbo della compitazione non associato a difficoltà di lettura»).

Nel DSM-5 la Dislessia è codificata come «Disturbo specifico dell’apprendimento con compromissione della lettura» (codice 315.00) ed include, oltre alle difficoltà nell’accuratezza della lettura delle parole, anche la velocità, o fluenza della lettura ed eventuali difficoltà nella comprensione del testo.

Disortografia

Con il termine Disortografia si intende il Disturbo Specifico della Scrittura, che riguarda lo scarso controllo delle regole ortografiche. La Consensus Conference del 2007 (CC-2007) suddivide il Disturbo della Scrittura in due componenti: una di natura linguistica (deficit nei processi di cifratura) e una di natura motoria (deficit nei processi di realizzazione grafica). Il termine Disortografia riguarda soltanto l’aspetto linguistico, ossia i deficit nei processi di cifratura. Le prestazioni nell’ambito dell’ortografia in prove standardizzate per il parametro correttezza (numero di errori) devono cadere al di sotto del 5° percentile.

Secondo il manuale diagnostico ICD-10 il codice è F81.1 («Disturbo specifico della compitazione o disortografia») e va utilizzato in caso di difficoltà ortografiche. Tale codice non si utilizza se la difficoltà riguarda la componente grafica, definita invece Disgrafia. Nel DSM-5 la Disortografia è inclusa nel «Disturbo specifico dell’apprendimento con compromissione dell’espressione scritta» (codice 315.2) che prevede, oltre alle difficoltà ortografiche chiamate «difficoltà nell’accuratezza dello spelling», anche accuratezza della grammatica e della punteggiatura e chiarezza/ organizzazione dell’espressione scritta.

Disgrafia

Con il termine Disgrafia si intende il Disturbo Specifico della Scrittura, che riguarda la realizzazione grafica (grafia). Il termine Disgrafia riguarda soltanto l’aspetto motorio, ossia i deficit nei processi di realizzazione grafica. Le prestazioni nell’ambito della grafia in prove standardizzate per la fluenza (velocità di scrittura) devono cadere sotto la media di almeno 2 deviazioni standard e rispondere a carenze qualitative nelle caratteristiche del segno grafico (CC-2007).

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Secondo il manuale diagnostico ICD-10 il codice è F81.8 («Altri disturbi evolutivi delle abilità scolastiche») e va utilizzato in caso di difficoltà nella realizzazione grafica, in assenza di disturbi della coordinazione motoria.

Discalculia

Con il termine Discalculia si intende il Disturbo Specifico del Calcolo, che riguarda l’area matematica. La CC-2007 distingue nella Discalculia due diversi profili: uno connotato da debolezza nella strutturazione cognitiva delle componenti di cognizione numerica (cioè intelligenza numerica basale: meccanismi di quantificazione, comparazione, seriazione, strategie di calcolo a mente) e l’altro che coinvolge le procedure esecutive (lettura, scrittura e messa in colonna dei numeri) ed il calcolo (recupero dei fatti numerici e algoritmi del calcolo scritto). Secondo il manuale diagnostico ICD-10 il codice è F81.2 («Disturbo specifico delle abilità aritmetiche o discalculia») e va utilizzato sia che le difficoltà siano a carico del senso del numero sia che riguardino il calcolo. Tale codice infatti non differenzia tra tipologie di disturbo del calcolo. Include «disturbo aritmetico evolutivo, sindrome di Gerstmann, acalculia evolutiva» e esclude «difficoltà aritmetiche associate a un altro disturbo della lettura o della compitazione». Nel DSM-5 la Discalculia è codificata come «Disturbo specifico dell’apprendimento con compromissione del calcolo» (codice 315.01) e include, oltre alle difficoltà nel concetto di numero, memorizzazione di fatti aritmetici, calcolo accurato o fluente, anche difficoltà nel ragionamento matematico.

Dati epidemiologici

I DSA mostrano una prevalenza oscillante tra il 2,5 e il 3,5% della popolazione in età evolutiva per la lingua italiana. Di fatto, anche se ancora non esiste uno specifico osservatorio epidemiologico nazionale, le informazioni che provengono dai Servizi di Neuropsichiatria Infantile indicano che i DSA rappresentano quasi il 30% degli utenti di questi servizi in età scolare e il 50% circa degli individui che effettuano un intervento riabilitativo. I DSA sono attualmente sotto diagnosticati, riconosciuti tardivamente o confusi con altri disturbi (Consensus Conference 2010).

Dalla rilevazione del MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) svolta nell’anno scolastico 2014/2015 la percentuale degli alunni e studenti con DSA nel sistema nazionale d’istruzione si attesta intorno al 2,1% (186.803 alunni/studenti su un totale di 8.845.984).

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In particolare nell’Anno Scolastico 2014/2015 le percentuali di alunni con diagnosi di DSA sono l’1,6% alla scuola primaria, il 4,2% alla scuola secondaria di primo grado e il 2,5% alla scuola secondaria di secondo grado (MIUR, 2015).

Aspetti eziologici

E’ ormai riconosciuto che i DSA abbiano un’origine biologica che è alla base delle anomalie a livello cognitivo che sono associate a sintomi comportamentali del disturbo e che comprende un’interazione di fattori genetici, epigenetici e ambientali che colpiscono le capacità cerebrali di percepire o processare informazioni verbali o non verbali in modo efficiente e preciso (DSM-5, 2014). Le disfunzioni neurobiologiche alla base dei disturbi interferiscono con il normale processo di acquisizione della lettura, della scrittura e del calcolo. I fattori ambientali, rappresentati dalla scuola, dall’ambiente familiare e dal contesto sociale, si intrecciano con quelli neurobiologici e contribuiscono a determinare il fenotipo del disturbo con effetti a cascata sull’adattamento. Riguardo agli aspetti genetici esistono ricerche convergenti che indicano come la dislessia sia ereditaria, tra cui gli studi di gemelli dislessici e le famiglie con elevata familiarità. E’ stato riportato che il rischio di dislessia per i parenti di primo grado si colloca fra il 35 e il 45%. I gemelli monozigoti concordano al 84% e i gemelli dizigoti al 50% (Cardon et al., 1994; Grigorenko et al., 1997; Pennington, 1995).

Tra i fattori eziopatogenetici si ipotizza che sia rallentata la velocità di maturazione cerebrale (in particolare della migrazione neurale) che può determinare anche un rallentamento dei processi di apprendimento e dello sviluppo delle abilità di lettura. Tali alterazioni dello sviluppo neurofunzionale si assocerebbero a disabilità neuropsicologiche specifiche: deficit di attenzione, disturbi linguistici, disturbi di memoria, alterazione delle competenze spazio-temporali, impaccio motorio (Cornoldi et al., 1998; De Negri, 1999).

Comorbilità

Una caratteristica rilevante nei DSA è la comorbilità. È frequente infatti accertare la compresenza nello stesso soggetto di più disturbi specifici dell’apprendimento o la compresenza di altri disturbi del neurosviluppo, come l’ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività) e disturbi psicopatologici, come ansia, depressione e disturbi della condotta. Nel caso in cui il DSA sia

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associato ad un disturbo psicopatologico la comorbilità tra le due affezioni può sottendere relazioni diverse, con diverse implicazioni teoriche e cliniche, anche se non sempre chiaramente distinguibili nel singolo soggetto, soprattutto se la diagnosi viene posta tardivamente (CC-2010).

Prognosi

Il DSA è un disturbo cronico, la cui espressività si modifica in relazione all’età e alle richieste ambientali: si manifesta cioè con caratteristiche diverse nel corso dell’età evolutiva e delle fasi di apprendimento scolastico. L'evoluzione è influenzata dalla gravità del DSA e dalla tempestività e adeguatezza degli interventi, dal livello cognitivo e metacognitivo, dall'ampiezza delle compromissioni neuropsicologiche, dalla associazione di difficoltà nelle tre aree (lettura, scrittura e calcolo), dalla presenza di comorbilità psichiatrica e dal tipo di compliance ambientale (Kavale e Forness, 1996).

Un indice che sembra predire l’evoluzione a lungo termine dei disturbi specifici di lettura è il grado di compromissione della rapidità di lettura. Viene riferito il recupero totale per alcuni disturbi di grado lieve, a seguito di trattamento, ma talora anche spontaneo. In altri casi si può avere un recupero parziale, con miglioramento delle abilità di apprendimento, ma persistenza di alcuni disturbi specifici. Infine, si rileva persistenza delle disabilità in età adulta in soggetti con gravi disturbi specifici di apprendimento e familiarità (Stella, 1999).

Trattamento

Con il termine “trattamento” si intende “l’insieme delle azioni dirette ad aumentare l’efficienza di un processo alterato” che, nel caso dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), può essere la lettura e/o la scrittura e/o il calcolo (Consensus Conference 2007).

Dalle indicazioni generali sul trattamento emerge che deve essere erogato quanto più precocemente possibile tenendo conto del profilo diagnostico, mettendo in atto tutte le procedure che siano utili a ridurre le difficoltà riscontrate. Il trattamento deve basarsi su un modello chiaro e su evidenze scientifiche e viene definito efficace quando migliora l’evoluzione del processo più della sua evoluzione naturale attesa (PARCC 2011).

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É possibile attivare un trattamento riabilitativo (PARCC 2011), quando vi è motivazione e disponibilità da parte del bambino e dei sui genitori a sottoporsi al programma riabilitativo per tutta la sua durata e quando c’è una condizione clinica che limita in modo grave l’autonomia nell’uso dell’abilità.

La durata e la frequenza degli interventi variano in base al tipo di trattamento. Gli interventi mirati al raggiungimento della correttezza e della rapidità di esecuzione (lettura e scrittura strumentale, fluenza di scrittura, calcolo mentale) devono essere caratterizzati da cicli brevi e ripetuti (2/3 volte alla settimana), per una durata di almeno 3 mesi, se il miglioramento atteso non viene raggiunto prima. Il trattamento può realizzarsi ambulatorialmente e/o a domicilio. Gli interventi finalizzati all’acquisizione di strategie metacognitive sono meno intensivi (1/2 volte a settimana) per una durata variabile tra i 3 e i 6 mesi, se il miglioramento non viene raggiunto prima, realizzabili anche in piccoli gruppi omogenei per condizione clinica (PARCC 2011).

1.1 Correlati neurofunzionali

In letteratura il disturbo più citato e studiato tra i Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) è sicuramente la Dislessia Evolutiva (DE), per la sua maggiore incidenza nella popolazione. La Dislessia Evolutiva è il DSA più frequente tra i bambini europei, con una prevalenza che varia dal 5 al 17,5 % (Cortiella, 2009). I primi studi sulle basi neurofunzionali della DE hanno trovato risultati in parte dipendenti al modello cognitivo adottato per spiegare il disturbo.

Le ricerche che hanno investigato l’ipotesi fonologica della DE hanno trovato alterazioni caratterizzate da ipoattivazione del giro temporale medio e inferiore e del giro fusiforme (Paulesu et al., 2001), ridotta connettività fra il giro angolare e le aree temporo-occipitali (Pugh et al., 2000) ed iperattivazione del giro frontale inferiore (Georgiewa et al., 1999). Gli studi di neuroimaging che hanno indagato i pattern di attivazione durante compiti di tipo visivo hanno trovato anomalie nell’attivazione del sistema magnocellulare (V5/MT) durante la presentazione di stimoli in movimento e della corteccia extrastriata durante compiti di uguaglianza di lettere (Temple et al., 2001). Alcuni studi, quindi, hanno enfatizzato una disfunzione delle aree del linguaggio mentre altri hanno rilevato anomalie nell’organizzazione neurofunzionale del sistema visivo. In aggiunta alcuni studi hanno dimostrato una ridotta attivazione del cervelletto durante compiti di apprendimento implicito (Menghini et al., 2010).

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Questi risultati possono essere oggi riletti, e conciliati, alla luce dello studio di Danelli (Danelli et al., 2012) che dimostra che i tre sistemi, magnocellulare/visivo, fonologico e motorio/cerebellare, sono fra loro segregati nella corteccia occipitotemporale di sinistra ma che ciascuno di essi ha un’area di sovrapposizione con la regione che si attiva durante compiti di lettura. Nonostante le diverse teorie interpretative con cui possono essere stati spiegati risultati di neuroimaging, la prevalenza degli studi sostiene che la dislessia evolutiva sia caratterizzata dalla ridotta attivazione della giunzione temporo-parieto-occipitale. Questo risultato è talmente solido che, secondo alcuni studi, è indipendente dal tipo di ortografia (Paulesu et al., 2001), si associa a riduzione della sostanza bianca (Silani et al., 2005) e della connettività (Beaulieu et al., 2005), non si correla alla tipologia del disturbo (Pecini et al., 2011) e non dipende dal livello di lettura ma piuttosto lo predice (Raschle et al., 2012).

Studi di fMRI (functional Magnetic Resonance Imaging) hanno dimostrato che rispetto ai lettori tipici, i lettori con dislessia, a latere al ridotto uso del sistema di lettura posteriore sviluppano un’attivazione compensatoria bilaterale del sistema di lettura anteriore e dell’omologo della Visual Word Form Area (VWFA) nell’emisfero destro (Shaywittz, 2008). Inoltre uno studio di fMRI di Pecini e colleghi (Pecini et al., 2011) su soggetti con Dislessia Evolutiva con o senza pregresso disturbo del linguaggio, ha mostrato che la corretta attivazione dei circuiti frontali del linguaggio durante compiti di lettura caratterizza i soggetti con Dislessia Evolutiva senza pregresso disturbo del linguaggio i quali avrebbero anche un profilo più pulito di difficoltà, cioè prevalentemente a carico della decodifica, rispetto a quelli con pregresso ritardo del linguaggio orale che tendono ad avere anche difficoltà ortografiche e di comprensione del testo (Brizzolara et al., 2006; Chilosi et al., 2009).

Da un punto di vista neurofisiologico, diversi studi hanno evidenziato anomalie nell’EEG in bambini con dislessia durante compiti fonologici, semantici e ortografici e hanno mostrato un globale incremento delle onde lente (delta e teta) e una riduzione delle onde più veloci (alfa). Questo pattern è stato interpretato come il risultato di un rallentamento maturazionale che potrebbe essere responsabile dello scarso sviluppo dei sistemi neurali di lettura (Klimesch et al., 2001; Fonseca et al., 2006).

È stato dimostrato che gli interventi intensivi per la lettura, portano cambiamenti significativi nell’organizzazione cerebrale: bambini con dislessia che ricevono un intervento non solo migliorano la loro lettura, ma mostrano anche un incremento dell’attivazione del sistema anteriore, e delle aree posteriori parieto-temporo- occipitale (Shaywitz e Blachman, 2004).

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Sebbene questi dati supportino un’elevata plasticità del “cervello dislessico”, è ancora da definire la specificità dei cambiamenti cerebrali osservati. In particolare lo stato attuale dell’arte sembrerebbe suggerire che qualsiasi trattamento produce modificazioni nell’organizzazione cerebrale del paziente con dislessia evolutiva. Al momento nessuno ha indagato se trattamenti diversi hanno effetti diversi o se lo stesso tipo di trattamento induce modificazioni neurofunzionali differenziate in sottotipi di pazienti dislessici. Come sottolineato da Pernet infatti, anche i dati neurofunzionali sugli effetti del trattamento suggeriscono che “all hypotheses are right” e che i miglioramenti ottenuti in seguito al trattamento possono essere raggiunti attraverso i circuiti cerebrali più disparati (Pernet, 2009). In un’ottica neuropsicopedagogica (Dehaene, 2009), definire meglio i correlati neurofunzionali di sottotipi di DE appare indispensabile per scegliere la specifica tipologia d’intervento adatta ad indurre le modificazioni neurofisiologiche aspettate in seguito al trattamento.

Capitolo 2. Lo studio del sonno

Il sonno è uno dei comportamenti umani più importanti, tanto che occupa quasi un terzo della nostra vita. La caratteristica principale è la riduzione reversibile della soglia di risposta a stimoli esterni, generalmente associata a relativa immobilità (Conti, 2010). Il sonno occupa gran parte della nostra giornata, ci accompagna durante tutto il ciclo di vita, dal primo sviluppo alla vecchiaia, ed è presente in tutte le specie studiate fino ad ora, dai moscerini della frutta agli esseri umani. È quindi una funzione basica, che prescinde dalle funzioni più evolute, come quelle cognitive ed emotive ed è interessante vedere come proprio queste funzioni più complesse vengono meno in caso di deprivazione di sonno. Inoltre i rischi che corriamo rinunciando ad essere vigili, perdendo anche l’opportunità di svolgere comportamenti più produttivi, suggeriscono che la “disconnessione” periodica del cervello abbia una funzione essenziale, anche se ad oggi non è ancora chiaro di quale funzione si tratti (Tononi e Cirelli, 2014).

Lo studio scientifico del sonno ha avuto un forte incremento nel 1928, quando Hans Berger (1873-1941) sviluppò l’elettroencefalografo per registrare le onde cerebrali e scoprì che l’elettroencefalogramma (EEG) cambia in modo evidente tra il sonno e la veglia, a causa della comparsa di onde ampie e lente durante il sonno. Un’altra data importante nella ricerca sul sonno è il 1953, quando Eugene Aserinski e Nathaniel Kleitman scoprirono una fase di sonno profondo

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in cui l’EEG è simile a quello della veglia, il sonno REM (Rapid Eye Movement) caratterizzato proprio dalla comparsa di movimenti oculari rapidi (Conti, 2010).

Oggi lo studio del sonno per scopi clinici o di ricerca utilizza sia l’analisi comportamentale che le registrazioni elettrofisiologiche (Conti, 2010).

Tra le principali registrazioni elettrofisiologiche troviamo:

- Elettroencefalogramma (EEG): registra l’attività sinaptica sincrona di milioni di neuroni sottostanti gli elettrodi posizionati sul cuoio capelluto, secondo il Sistema di Posizionamento Internazionale 10-20 e traduce l’attività elettrica in onde elettriche. Un’evoluzione recente di questa tecnica è l’HD-EEG (High Dencity EEG), che pur mantenendo la buona risoluzione temporale dell’EEG ha anche una buona risoluzione spaziale.

- Elettroculogramma (EOG): registrato da elettrodi applicati alla cute vicino alle orbite, registra i campi elettrici generati dai movimenti oculari, associati con la veglia e il sonno REM, trasformandoli in onde elettriche.

- Elettromiogramma (EMG): in genere effettuato con elettrodi applicati al mento, registra le modificazioni toniche e fasiche dell’attività motoria, che sono correlate con le modificazioni dello stato comportamentale.

Una tecnica per lo studio del sonno è la Polisonnografia (PSG), che viene effettuata registrando l’attività elettrica cerebrale (EEG), unitamente ad altri parametri quali l’Elettrooculografia (EOG), l’Elettromiografia (EMG), l’Elettrocardiogramma (ECG) e la saturimetria (Iber, 2007). La Polisonnografia richiede pertanto l’utilizzo di una strumentazione complessa: il montaggio di tutto l’apparato richiede circa un’ora e normalmente si registrano i soggetti per la durata di una notte; difficilmente si è in grado di registrare dati per un lasso di tempo superiore alle 24 ore. Inoltre l’analisi dei dati, il montaggio e l’utilizzo dell’attrezzatura possono essere svolti solo da personale qualificato.

La Polisonnografia (PSG) è stata a lungo il “gold standard” per la misurazione del sonno. È una tecnica che fornisce misure generali del sonno, come il tempo totale di sonno (TST) e l’efficienza del sonno (SE), oltre a fornire misure delle specifiche fasi del sonno (Mantua et al., 2016).

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Tuttavia, nonostante i vantaggi evidenti, la PSG presenta dei limiti: è costosa, richiede attrezzature complesse e può essere invasiva per il sonno stesso, specialmente nei giovani pazienti; tali limiti hanno portato la ricerca ad esplorare tecniche e strumenti alternativi (Kosmadopoulos, 2014). Un’alternativa per raccogliere indici sulla qualità del sonno è l’actigrafo, che è stato convalidato per le misure generali di sonno (Sadeh, 2011) e si è dimostrato prezioso per l’uso clinico e per la ricerca, essendo relativamente poco costoso, non invasivo e non richiedendo personale tecnico altamente specializzato per la sua applicazione. È una tecnica di misura e registrazione dell’attività motoria, che fa uso di strumentazioni compatte, che possono raccogliere dati per periodi protratti di tempo. Dallo studio di Mantua e colleghi è emerso che l’actigrafo Fitbit-Flex è altamente correlato alla PSG per la misurazione del tempo totale di sonno (TST) e dell’efficienza del sonno (SE) (Mantua et al., 2016).

Data inoltre la praticità dello strumento, si tratta di un braccialetto da portare al polso, l’actigrafo Fitbit-Flex può essere uno strumento utile per raccogliere indici indiretti sulla qualità del sonno in bambini con disturbi specifici dell’apprendimento per i quali, come accennato, raramente sono prescritti esami d’indagine strumentale.

2.1 Stadiazione del sonno

Per stadiazione o scoring del sonno si intende l’analisi del segnale elettrico, tipicamente quello EEG, al fine di determinare, per ogni epoca considerata, lo stato di vigilanza del soggetto. Lo scoring del tracciato EEG deve avvenire su epoche di analisi di 30 secondi. Seguendo le indicazioni dell’American Academy of Sleep Medicine (AASM), vengono distinti 5 stati di vigilanza (Iber 2007):

1) Veglia: caratterizzata da un'attività elettrica di fondo rapida, di basso voltaggio e irregolare. Il ritmo Alfa (8-13Hz) postero-parieto-occipitale, compare durante la veglia con gli occhi chiusi. 2) N1 (Sonno Non-REM 1): scompare progressivamente l'attività Alfa. I movimenti oculari e l'attività muscolare si riducono insieme alla reazione agli stimoli esterni. Possono persistere alcuni piccoli movimenti e non sono rare delle contrazioni muscolari improvvise, con annessa sensazione di cadere nel vuoto. In soggetti che hanno una severa privazione di sonno possono verificarsi dei micro-sonni (dalla veglia il soggetto passa in N1 per pochi secondi).

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3) N2: tracciato costituito da un'attività sincrona di onde di grosso voltaggio e bassa frequenza. Si osserva la comparsa di particolari grafo-elementi, quali i fusi del sonno (onde ritmiche di 12-14 Hz, che prendono il nome dalla loro caratteristica forma a fuso) ed i complessi K (formati da un’onda acuta negativa di grande ampiezza seguita da un’onda lenta positiva). In questa fase scompaiono i movimenti oculari e l'attività muscolare diminuisce ulteriormente.

4) N3: questa fase è chiamata “fase del sonno a onde lente” per la presenza del fenomeno cellulare dell’oscillazione lenta, che interessa il potenziale di membrana di tutte le cellule corticali. L'attività Delta (0-4 Hz), che ha un voltaggio ulteriormente più ampio, occupa almeno il 20% dell'epoca e costituisce il ritmo di fondo. I movimenti oculari e l’attività muscolare sono assenti. Questa fase è anche detta “del sonno profondo” perché la soglia per il risveglio è più alta di quella di N2. 5) Sonno REM: così definito per la presenza di movimenti oculari rapidi (Rapid Eye Movement), è anche chiamato sonno paradossale, perché il tracciato EEG è simile a quello della veglia, con un’attività rapida e irregolare ad alta frequenza. Si distinguono fenomeni “tonici”, che includono il tracciato EEG attivato e una profonda atonia dei muscoli antigravitazionali (quelli che normalmente assicurano la posizione del corpo) e fenomeni “fasici”, che includono scariche irregolari di movimenti oculari e scosse muscolari rapide. Il sonno REM è una fase di sonno profondo, in quanto la soglia per il risveglio è alta quanto quella del sonno a onde lente.

Il ciclo NREM-REM nell’uomo dura circa 90-110 minuti e si ripete 4-5 volte nell’arco di una notte. Un giovane adulto trascorre circa il 5% del sonno in stadio N1, il 50% in stadio N2, il 20-25% in stadio N3 e il 20-20-25% in stadio REM. Il pattern di sonno varia considerevolmente nel corso della vita e si associa a molte modificazioni dei sistemi circolatorio, respiratorio ed endocrino (Conti, 2010).

Diverso è il ciclo di sonno nel bambino molto piccolo, in cui la durata giornaliera di sonno varia da 14 a 16 ore. I neonati trascorrono circa due terzi del loro tempo totale di sonno nel sonno attivo (l’equivalente del sonno REM). Intorno ai 5 mesi il tempo trascorso nel sonno attivo si riduce al 20-25%, diventando simile alla percentuale di sonno REM negli adulti. Con il crescere del bambino la durata del sonno diminuisce: nei neonati il sonno è frammentato durante il giorno e la notte, mentre intorno ai 5-6 mesi di età si deve verificare il consolidamento del sonno notturno, per cui il bambino inizia a dormire di più durante la notte, facendo solo un pisolino durante il giorno (Alsubie e Bahammam, 2017).

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Capitolo 3. Sonno, memoria e apprendimento

Ricerche recenti indicano che le funzioni del sonno vanno oltre il riposo ed il ristoro e che il sonno è uno stato attivo di elaborazione delle informazioni off-line, essenziale per l’apprendimento e per l’appropriato funzionamento della memoria (Feld e Diekelmann, 2015). Nel 1924 Jenkins e Dallenbach furono i primi a dimostrare che il sonno dopo l’apprendimento di sillabe senza senso, supportava il consolidamento della memoria in quanto ne rallentava l’oblio; infatti l’oblio era inferiore se tra l’apprendimento e il richiamo delle sillabe interveniva un periodo di sonno anziché di veglia (Jenkins e Dallenbach, 1924).

Negli ultimi due decenni si è riacceso l’interesse per la relazione tra sonno e memoria e ci sono state numerose pubblicazioni sull’importanza del ruolo del sonno per la memoria (Rasch e Born, 2013). Uno dei modelli più studiati è quello della riattivazione (o replay) delle rappresentazioni di memoria durante il sonno ad onde lente: la specifica fisiologia del sonno, ed in particolare quella del sonno ad onde lente, permette il trasferimento delle informazioni da consolidare, dall’ippocampo alla corteccia prefrontale ed il consolidamento in memoria avviene tramite

riattivazione o replay neurale, per cui strutture neurali coinvolte nel processo di apprendimento in

veglia si “riattivano” durante il periodo di sonno successivo all’apprendimento (Diekelmann e Born, 2010; Oudiette e Paller, 2013). Questa teoria è stata recentemente supportata da studi che mostrano che, nel sonno successivo ad un apprendimento, c’è un incremento specifico delle spine sinaptiche associate all’esperienza di apprendimento precedente (Euston e Steenland, 2014; Yang et al., 2014).

Oltre al consolidamento della memoria, il sonno svolge una funzione importante anche nella capacità di apprendimento (Van Der Werf et al., 2009; Antonenko et al., 2013). In uno studio Mander e colleghi hanno testato la capacità di apprendere nuove informazioni due volte in un giorno, una a mezzogiorno e la seconda in serata. Ad un gruppo di soggetti è stato poi fatto fare un pisolino tra le due sessioni di apprendimento, mentre all’altro gruppo è stato chiesto di rimanere svegli. Come atteso, i soggetti che hanno dormito dopo la prima sessione hanno mostrato un miglioramento nel compito di apprendimento durante la seconda sessione, mentre nei soggetti che sono rimasti svegli c’è stata una caduta prestazionale nella seconda prova (Mander et al., 2011). Inoltre Yoo e colleghi nel loro studio hanno dimostrato che, soggetti deprivati di sonno per una notte, hanno difficoltà di apprendimento, che sembrerebbero associate ad una ridotta attivazione ippocampale (Yoo et al., 2007).

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Tale funzione potrebbe essere collegata al ridimensionamento, durante il sonno ad onde lente, delle sinapsi formatesi durante la veglia (Tononi e Cirelli, 2014). Infatti secondo l’ipotesi dell’omeostasi

sinaptica di Tononi e Cirelli il potenziamento sinaptico molto diffuso, che si verifica durante la

codifica di nuove informazioni durante la veglia, porta ad una maggiore richiesta di spazio e di energia nel cervello. Se questo sviluppo rimanesse incontrollato il cervello in breve tempo raggiungerebbe i limiti delle sue capacità di codifica e di mantenimento delle informazioni. Il sonno è quindi essenziale per “rinormalizzare” il peso sinaptico, fenomeno definito dagli autori con l’espressione “dowscaling sinaptico” (Tononi e Cirelli, 2006, 2014).

A conferma di questa teoria, un recentissimo studio di De Vivo e colleghi (2017) ha dimostrato che dopo il sonno c’è una riduzione di circa il 18% dell’interfaccia assone-spina dorsale nei topi, rispetto alla veglia; il ridimensionamento avviene in modo selettivo, interessando le sinapsi più deboli, che vengono eliminate. Questo risultato è importante in quanto supporta l’ipotesi che il sonno abbia un ruolo centrale nel rinormalizzare il peso sinaptico, che invece incrementa durante la veglia (De Vivo et al., 2017).

L’importanza del ruolo del sonno ad onde lente nel “rinormalizzare” le sinapsi è stata confermata da simulazioni al computer (Hill e Tononi, 2005; Esser et al., 2007; Sullivan e De Sa, 2008

)

; è stato dimostrato infatti che, potenziando le sinapsi attraverso un esteso compito di apprendimento (Huber et al., 2004 a; Schmidt et al., 2006) o attraverso la stimolazione magnetica transcranica (Huber et al., 2007, 2008), si induceva un aumento locale dell’attività ad onde lente. Inoltre, Marshall e colleghi (2006) hanno mostrato che, erogando la stimolazione transcranica in corrente continua a specifiche frequenze durante il sonno ad onde lente, si riscontrava un miglioramento delle prestazioni diurne in compiti di memoria dichiarativa, quale la rievocazione esplicita di parole (Marshall et al., 2006). Mentre Racsch e colleghi (2007) hanno mostrato che uno stimolo olfattivo, come l’odore di una rosa, associato in fase di apprendimento, se presentato durante il sonno ad onde lente, determina un consistente miglioramento dell’apprendimento se lo stimolo olfattivo viene ripresentato durante il sonno, ma solo durante lo stadio del sonno ad onde lente (Racsch et al., 2007).

Gli studi sopra discussi indicano che il sonno ad onde lente potrebbe avere un ruolo chiave nell’omeostasi sinaptica (Massimini et al., 2009; Vassalli e Dijk, 2009), tuttavia è stato dimostrato che durante l’apprendimento si ha anche un aumento dei fusi del sonno. Negli adulti infatti, il consolidamento della memoria dichiarativa sonno-dipendente è stato correlato non solo con l’attività del sonno ad onde lente ma anche con i fusi del sonno (Gais et al, 2002).

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Dal momento che la teoria dell’omeostasi sinaptica non chiarisce in modo esplicito in che modo i fusi del sonno siano coinvolti (Tononi e Cirelli, 2012), la loro esatta natura così come la loro associazione con specifiche fasi del sonno rimane ancora da determinare (Born e Feld, 2012; Chauvette et al., 2012; Grosmark et al., 2012).

3.1 Sonno, memoria e apprendimento in età evolutiva

Il consolidamento e la maturazione dei ritmi sonno-veglia sono correlati allo sviluppo precoce delle funzioni cognitive nei neonati (Bernier et al, 2010) e nei bambini in età prescolare (Touchette et al., 2007). L'apprendimento del linguaggio sembra particolarmente vulnerabile alla regolarizzazione del ritmo sonno-veglia (Touchette et al., 2007), per cui un sonno scarso potrebbe ostacolare i processi di memoria richiesti per l'apprendimento precoce delle lingue (Curcio et al., 2006).

Il ruolo del sonno in età evolutiva appare tuttavia complesso. Invece di limitarsi al consolidamento della memoria, il sonno durante i primi anni di vita può avere un ruolo sullo sviluppo di varie funzioni cognitive che risultano alterate in molti disturbi del neurosviluppo (Picchioni et al., 2014). Come negli adulti, anche nei bambini il sonno gioca un ruolo importante nell’apprendimento di compiti dichiarativi, come l’associazione di coppie di parole (Wilhelm et al., 2008). In un recente studio su bambini in età prescolare è stato dimostrato che l’apprendimento di nuove parole, che avveniva attraverso la lettura di un libro di fiabe ai bambini, migliorava in coloro che avevano fatto un pisolino dopo aver ascoltato la lettura della storia (Williams e Horst, 2014). Anche i bambini tra i 6 e i 16 mesi apprendono meglio il significato di nuove parole o azioni se fanno un pisolino tra un apprendimento e l’altro (Friedrich et al., 2015; Seehagen et al., 2015).

Diversamente dagli adulti, nei bambini l’effetto del sonno per la memoria procedurale deve essere facilitato da una codifica in memoria dichiarativa (Backhaus et al., 2008; Fischer et al., 2007; Prehn-Kristensen et al., 2009; Wilhelm et al., 2008). In uno studio più recente di Wilhelm e colleghi (2013) la funzionalità della memoria procedurale e di quella dichiarativa sono state indagate con compito chiamato “button-box”, dove ai soggetti viene data una scatola con vari bottoni di colori diversi. In fase di apprendimento i bottoni si illuminano secondo una precisa sequenza e i soggetti devono premere i bottoni il più velocemente possibile. Il tempo impiegato per comporre la sequenza è considerato la misura per il richiamo implicito, mentre il numero corretto di sequenze eseguite viene considerato come misura per il richiamo esplicito. I risultati hanno mostrato che sia i bambini che gli adulti mostrano effetti legati alla memoria

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dipendente nella misura di memoria procedurale. Tuttavia, è stato visto che i bambini superano le prestazioni degli adulti quando, dopo il periodo di sonno, viene chiesto loro di estrarre le componenti dichiarative dal compito di apprendimento implicito suggerendo che nei bambini il sonno possa essere più vantaggioso per l’apprendimento dichiarativo, rispetto a quello procedurale (Wilhelm et al., 2013) .

L’effetto benefico del sonno sugli apprendimenti può estendersi anche a percorsi di formazione molto esigenti, come può essere quello degli studenti universitari (Ahrberg et al., 2012; Genzel et al., 2013). Infatti in uno studio fatto attraverso l’utilizzo di un questionario, è emerso che tra i fattori predittivi più forti per l’esito finale del percorso accademico, insieme ai risultati ottenuti ai vari esami, c’è anche una buona qualità del sonno, soprattutto nel periodo che precede gli esami (Genzel et al., 2013). Inoltre in un lavoro di meta-analisi, Dewald e colleghi hanno esaminato le associazioni tra 1) qualità del sonno, 2) durata del sonno, 3) sonnolenza diurna e 4) risultati scolastici. Tutte e tre le variabili legate al sonno sono risultate significative: la sonnolenza si è mostrata la variabile più legata ai risultati scolastici, seguita dalla qualità e dalla durata del sonno (Dewald et al., 2010).

Migliorare il sonno nei bambini e negli studenti potrebbe quindi diventare un bersaglio promettente per migliorare le prestazioni scolastiche (Ribeiro e Stickgold, 2014).

Capitolo 4. Disturbi del sonno e Disturbi del Neurosviluppo

La prevalenza dei disturbi del sonno in età evolutiva è stimata tra lo 0,7 e il 13% (Brunetti et al., 2001; Bixler et al., 2009). I disturbi del sonno sono molto più frequenti in bambini con disturbi del neurosviluppo rispetto ai bambini con sviluppo tipico.

I disturbi del neurosviluppo sono un gruppo eterogeneo di condizioni in cui lo sviluppo del sistema nervoso centrale è alterato. Le manifestazioni possono includere disturbi motori, dell’apprendimento, cognitivi e/o della comunicazione, o problemi neuropsichiatrici. Questi disturbi compaiono precocemente nello sviluppo, persistono per tutta la vita e producono alterazioni importanti nel funzionamento sociale, comunicativo, cognitivo e comportamentale, che può variare da limitazioni molto specifiche fino a un globale deterioramento cognitivo e delle abilità sociali. Questo gruppo di disturbi comprende: disabilità intellettiva, disturbi della comunicazione, disturbi dello spettro autistico, disturbi da deficit dell’attenzione e iperattività

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(Attention Deficit Hyperactivity Disoreder, ADHD), disturbi motori del neurosviluppo, inclusa la paralisi cerebrale e i disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) (Gruber e Wise, 2016).

I disturbi del sonno nei primi anni di vita sono considerati fattori predittivi per la comparsa di deficit cognitivi e di attenzione e di problemi psicosociali durante l’adolescenza (Simola et al., 2014). Infatti i disturbi del sonno nei neonati e nei bambini sono spesso associati a performance cognitive ridotte (Touchette et al., 2007). I disturbi del sonno in età evolutiva si possono manifestare in vari disturbi, come il deficit di attenzione e iperattività, i disturbi dello spettro autistico e i disturbi dell’umore (Ivanenko e Johnson, 2008; Tesler et al., 2013). Inoltre i problemi di regolazione nel neonato, come il pianto eccessivo e i problemi legati all’alimentazione o al sonno, sono associati con problemi comportamentali nel bambino più grande (Hemmi et al., 2011), inclusi comportamenti disadattivi e deficit delle abilità sociali (Schmid et al., 2010). Studi su animali hanno dimostrato che il sonno è necessario per i processi di neurosviluppo in specifici circuiti cerebrali (Jha et al., 2005; Kayser et al., 2014; Shaffery et al., 2012). In un recente studio sperimentale è stato alterato un circuito neurale nelle mosche, nei loro primi giorni di vita; questo ha portato la perdita di sonno nell’immediato e successivamente comportamenti di corteggiamento disfunzionali (Kayser et al., 2014). Questo studio mostra quindi come la privazione di sonno, soprattutto se avviene precocemente, in periodi critici per lo sviluppo, possa influenzare negativamente la sopravvivenza di alcune specie (Kurth, 2015).

Uno studio di Owens e Palermo evidenzia come quasi tutti i disturbi del neurosviluppo, comportamentali e cognitivi, siano potenzialmente collegati ai disturbi del sonno. Tuttavia, il collegamento sembra essere bidirezionale, per cui i disturbi del sonno possono essere considerati alla base dei disturbi del neurosviluppo e viceversa (Owens e Palermo, 2008). Ad esempio è possibile che i disturbi del neurosviluppo possano essere causa di difficoltà del sonno in quanto oltre alle difficoltà cliniche specifiche possano determinare ulteriori problematiche legate a difficoltà di apprendimento e disordini comportamentali, colpendo la salute e il benessere di tutta la famiglia (Zucconi e Bruni, 2008). Inoltre, diversamente dai disturbi del sonno legati all’età nei bambini a sviluppo tipico, i disturbi del sonno in bambini con disturbi del neurosviluppo tendono ad essere cronici e a perdurare fino all’adolescenza o all’età adulta (Angriman et al., 2015). Il legame tra disturbi del sonno e disturbi del neurosviluppo è stato ben documentato in bambini con disturbo dello spettro autistico o con deficit di attenzione e iperattività (Attention Deficit

Hyperactivity Disoreder, ADHD), dove i problemi del sonno possono essere anche

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che il sonno può essere atipico anche nei bambini con disturbo specifico dell’apprendimento (Smith e Henderson, 2016).

4.1 Disturbi del sonno e Disturbi Specifici di Apprendimento

Il primo lavoro presente in letteratura che ha indagato il rapporto tra sonno e DSA è quello di Mercier e colleghi (1993) sulla Dislessia Evolutiva. In questo studio sono stati analizzati i pattern di sonno di bambini con deficit di lettura e di bambini normo-lettori, tra gli 8 e i 10 anni di età, attraverso la Polisonnografia studiata in laboratorio per 4 notti consecutive.

Dallo studio è emerso che i bambini con deficit di lettura hanno un’alterazione della struttura del sonno, rispetto al gruppo di controllo, caratterizzata da un incremento del sonno ad onde lente, una riduzione del sonno REM e un aumento della latenza REM Secondo gli autori la privazione cronica di sonno e il ritardo maturazionale sono tra i principali fattori che potrebbero causare variazioni nell’architettura del sonno e proprio questi fattori, da soli o in combinazione con altri, potrebbero inficiare l’elaborazione delle informazioni e contribuire così ai deficit caratteristici dei bambini dislessici (Mercier et al., 1993).

Partendo da questo primo studio, Bruni e colleghi (2009) hanno analizzato la struttura del sonno tramite EEG in bambini con Dislessia Evolutiva e hanno poi correlato i risultati ottenuti con misure neuropsicologiche, quali il Quoziente Intellettivo misurato con la WISC-IIIR (Wechsler

Intelligence Scale for Children-Third Edition Revised) e le prove di lettura. Inoltre è stato fatto

compilare dai genitori un questionario sulle abitudini del sonno del proprio bambino (Sleep

Disturbance Scale for Children, SDSC; Bruni et al., 1996). I soggetti con associati franchi disturbi

del sonno sono stati esclusi dallo studio. Tra i vari parametri del sonno e le misure comportamentali non sono emerse correlazioni significative, mentre i risultati EEG hanno confermato i risultati di Mercier e colleghi (1993), mostrando una struttura del sonno alterata nei bambini con dislessia rispetto ai controlli, con un aumento del sonno a onde lente. Ma il risultato principale dello studio di Bruni e colleghi è stato quello di aver trovato un chiaro incremento dell’attività dei fusi del sonno e della potenza di sigma nello stadio N2 nei bambini dislessici, che sembrerebbe essere positivamente correlato con la gravità della dislessia.

Questo risultato va interpretato alla luce degli studi che sostengono che il sonno ad onde lente abbia un ruolo centrale nell’apprendimento e nella memoria (Shaywitz et al., 2004; Stickgold, 2005).

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L’attività oscillatoria del sonno ad onde lente è coinvolta nel consolidamento della memoria sonno-dipendente (Marshall et al., 2006) e l’apprendimento precedente ad un periodo di sonno modula l’espressione regionale del sonno ad onde lente (Huber et al., 2004) e la densità dei fusi del sonno (Nishida e Walker, 2007; Schabus et al., 2008), correlando anche con un miglioramento della performance di memoria (Bergmann et al., 2008). Holdmoser e colleghi (2008) ipotizzano che l’aumento dei fusi del sonno possa anche migliorare le prestazioni della memoria dichiarativa in compiti di associazione di coppie di parole. Pertanto, quando un soggetto porta a termine un processo di codifica e di acquisizione di nuove informazioni, questo dovrebbe riflettersi in un incremento dell’attività dei fusi del sonno e di conseguenza in un miglioramento della performance di memoria (Holdmoser et al., 2008).

Per interpretare i risultati dello studio di Bruni (2009) occorre far riferimento ai sistemi neurali coinvolti nella lettura: un sistema anteriore, il giro frontale inferiore per l’analisi e per l’articolazione delle parole e due sistemi posteriori, uno nella regione parieto-temporale per l’analisi fonologica delle parole e l’altro nella regione occipito-temporale (il corrispondente della Visual Word-Form Area, VWFA) per l’identificazione automatica, rapida e fluente delle parole. Mentre i normo-lettori attivano tutti e tre i sistemi neurali dell’emisfero sinistro in modo sincronizzato, i lettori con dislessia sembrano avere un deficit dei sistemi posteriori, che compensano sviluppando l’attivazione dei sistemi anteriori sia nell’emisfero destro che nel sinistro e posteriormente attivando l’omologo della VWFA nell’emisfero destro (Shaywitz e Shaywitz, 2008). Alla luce di questi studi, Bruni e colleghi (2009) hanno ipotizzato che l’incremento del fusi del sonno nei soggetti con dislessia riflettesse l’aumento dell’accoppiamento cortico-corticale, dal momento che i soggetti dislessici devono continuamente trasferire informazioni dal sistema posteriore sinistro deficitario ai sistemi anteriori, negli emisferi destro e sinistro e posteriormente all’omologo della VWFA nell’emisfero destro. Perciò, l’incremento della potenza di sigma in N2 e dei fusi del sonno potrebbe essere legato ad un sistema talamocorticale “obbligato” ad acquisire nuove strategie al fine di compensare uno specifico deficit (Bruni et al., 2009).

Più recentemente, Carotenuto e colleghi (2016) hanno valutato la presenza di disturbi del sonno, attraverso la Sleep Disturbance Scale for Children (SDSC; Bruni, 1996), in un gruppo di 147 bambini con Dislessia Evolutiva (DE), con un’età media di 10 anni, ed hanno poi comparato i loro risultati con quelli ottenuti da soggetti senza alcun disturbo del neurosviluppo, reclutati nelle scuole. Il risultato principale di questo studio è che i bambini con DE mostrano maggiori disturbi del sonno rispetto ai controlli, in particolare problemi legati alla difficoltà di addormentamento e

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al mantenimento del sonno. Inoltre secondo gli autori, è possibile ipotizzare che vi siano delle associazioni tra disturbi del sonno e la gravità o il profilo del deficit di letto-scrittura. Tuttavia è importante sottolineare che meno della metà dei bambini con DE aveva disturbi del sonno ed è quindi improbabile che i disturbi del sonno possano essere uno dei fattori causali principali delle difficoltà di lettura (Carotenuto et al., 2016).

Capitolo 5. Lo studio

Questa ricerca nasce all’interno dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per la Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, IRCCS Stella Maris di Calambrone (Pisa). Lo scopo di questo lavoro è studiare la qualità del sonno in bambini con DSA, con particolare attenzione al profilo comportamentale specifico di ogni bambino, identificando deficit di automatizzazione delle procedure di decodifica (Dislessia pura) rispetto ai profili in cui può essere presente anche la compromissione dei processi espliciti e controllati di apprendimento (Disortografia, Disturbo di Comprensione del testo), per verificare se c’è una relazione tra tipologia di difficoltà di apprendimento e disturbi del sonno. A tal fine i disturbi del sonno sono stati misurati con tecniche comportamentali: un questionario compilato dai genitori sulle abitudini del sonno del loro bambino negli ultimi 6 mesi, la Sleep Disturbance Scale for Children (SDSC; Bruni, 1996) e un actigrafo, il Fitbit Flex (Fitbit Inc., San Francisco, CA, USA).

Capitolo 6. Metodologia

6.1 Partecipanti

Il campione sperimentale è stato selezionato nel periodo che va da Giugno 2016 a Gennaio 2017 ed è costituito da 26 bambini (16 femmine e 10 maschi) con diagnosi di Disturbo Specifico dell’Apprendimento, in accodo con i criteri del DSM-5, con un’età compresa tra i 7 e i 14 anni (si veda Tabella 1).

A tutti i bambini è stata fatta una valutazione clinica multidisciplinare (neuropsichiatrica infantile, neuropsicologica e logopedica) presso il Servizio per i Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) dell’IRCCS Stella Maris.

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Per partecipare allo studio sono stati individuati i seguenti criteri:

 Abilità cognitive globali nell’intervallo della norma per l’età: entro 1,5 deviazioni standard (ds) dalla media. Per la valutazione è stata utilizzata la WISC IV (Orsini et al., 2012) e il funzionamento cognitivo generale è stato riassunto dal valore del Quoziente Intellettivo Totale (QIT);

 Prestazioni carenti (tra -1 ds e -1,5 ds) o deficitarie (al di sotto di -1,5 ds) nelle prove di lettura standardizzate;

 Frequentazione regolare della scuola;

 Esame obiettivo neurologico nella norma.

In base alla valutazione psicodiagnostica è stato rilevato che nel campione con DSA 2 bambini hanno una diagnosi di Dislessia Evolutiva (DE) e 1 ha una diagnosi di Discalculia; il resto, circa l’89% ha una diagnosi complessa (7 DE e Disortografia, 5 DE e Discalculia, 1 Disortografia e Discalculia e 10 DE con Disortografia e Discalculia). Solo quattro bambini presentano un disturbo dell’attenzione in comorbilità con il disturbo di apprendimento.

A tutti i genitori dei bambini è stato chiesto di compilare la Sleep Disturbance Scale for Children (SDSC; Bruni, 1996).

Un sottogruppo di 16 bambini (11 femmine e 5 maschi) ha partecipato alla misurazione con l’actigrafo Fitbit-Flex per una settimana.

Il campione di controllo per il questionario è stato selezionato dalla popolazione scolastica ed è costituito da 26 bambini (17 femmine e 9 maschi) dai 7 ai 14 anni di età (età media pari a 9,35 anni, ds=1,78) a sviluppo tipico.

Il campione di controllo per i dati actigrafici è stato selezionato dal database del Centro SonnoLab di Pisa ed è costituito da 16 soggetti sani tra i 7 e i 14 anni, appaiati per genere ed età (11 femmine e 5 maschi; età media pari a 10,8 anni, ds=2,08) ai bambini con DSA.

Tutti i genitori dei bambini partecipanti allo studio hanno firmato un modulo di consenso informato.

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Tabella 1. Descrizione del campione sperimentale.

ID SESSO ETA' DIAGNOSI

Disturbo di attenzione

M/F *DE=Dislessia Evolutiva SI/NO

1 F 9 DE + Disortografia + Discalculia NO 2 F 11 Discalculia NO 3 M 8 Disortografia + Discalculia SI 4 M 10 DE + Disortografia + Discalculia SI 5 F 9 DE + Disortografia NO 6 M 12 DE + Disortografia + Discalculia NO

7 F 10 Dislessia Evolutiva (DE) NO

8 F 7 DE + Disortografia + Discalculia NO 9 M 14 DE + Disortografia NO 10 F 14 DE + Discalculia NO 11 F 12 DE + Discalculia NO 12 F 7 DE + Disortografia + Discalculia NO 13 M 12 DE + Discalculia NO 14 F 13 DE + Disortografia NO 15 F 11 DE + Discalculia NO 16 F 7 DE + Disortografia + Discalculia NO 17 M 10 DE + Disortografia SI 18 F 11 DE + Disortografia + Discalculia NO 19 M 11 DE + Disortografia NO 20 F 8 DE + Disortografia + Discalculia NO 21 F 12 DE + Disortografia + Discalculia NO 22 M 10 DE + Discalculia NO 23 M 8 DE + Disortografia + Discalculia NO 24 M 13 DE + Disortografia NO 25 F 8 DE + Disortografia SI

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28 6.2 Test comportamentali

I seguenti test comportamentali sono stati somministrati ai 26 bambini con DSA.

Lettura di un brano. Il test consiste nella lettura di un brano che è ripreso dalle Prove di lettura

MT curate da Cornoldi e Colpo (1995). Questa batteria è la più usata in Italia per misurare i parametri di rapidità e accuratezza nella lettura ed ha un’elevata affidabilità test-retest (rispettivamente r = .97 per la rapidità e r =. 86 per l’accuratezza). Ai partecipanti viene chiesto di leggere ad alta voce il brano nel modo più veloce e corretto possibile. La prova di lettura del brano ad alta voce è una prova ecologica che valuta il livello di automatismo della lettura. La correzione prevede due punteggi:

-accuratezza (numero di errori commessi), l’operatore segna sul protocollo di correzione le occorrenze degli errori e successivamente ne calcola il numero complessivo;

-velocità (tempo impiegato nella lettura), l’operatore misura il tempo complessivo e applica la trasformazione in sillabe al secondo, unità di misura generalmente accettata.

Lettura di parole. La prova è ripresa dalla Batteria per la Valutazione della Dislessia e della

Disortografia Evolutiva-2/DDE-2, a cura di Sartori, Job e Tressoldi (2007). La prova è costituita da un foglio su cui sono riportate 112 parole isolate, suddivise in 4 liste bilanciate per grado di concretezza, frequenza e lunghezza. Il compito consiste nel leggere le suddette liste nel modo più accurato e rapido possibile. L’operatore misura i tempi complessivi, che vengono poi trasformati in sillabe al secondo, e l’accuratezza di decodifica, assegnando un punteggio d’errore pari a 1.

Lettura di non parole. Anche questa prova è ripresa dalla Batteria DDE-2 curata da Sartori, Job e

Tressoldi (2007). Il compito prevede che i partecipanti leggano tre liste di non parole nel modo più accurato e rapido possibile. Le tre liste sono di crescente difficoltà, bilanciate per lunghezza e complessità sillabica. Anche in questo caso vengono misurati i tempi complessivi, che vengono poi trasformati in sillabe al secondo, e l’accuratezza di decodifica, assegnando un punteggio d’errore pari a 1 per ogni alterazione della corretta pronuncia.

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MT comprensione. Il test è ripreso dalle Prove di lettura MT curate da Cornoldi e colleghi (2007). Al bambino viene chiesto di leggere il brano e rispondere alle domande con il brano a disposizione. Gli esiti della prova possono essere: 1) Richiesta di Intervento Immediato (<5°percentile), 2) Richiesta di Attenzione (5°-10°percentile), 3) Prestazione Sufficiente (15°-70°percentile), 4) Criterio Pienamente Raggiunto (>70°percentile).

Scrittura di brano. Questa prova è ripresa dalla Batteria DDE-2 curata da Sartori, Job e Tressoldi

(2007). Il test consiste nello scrivere il brano sotto dettato e per essere considerata valida, la prova non deve contenere più del 15% di omissioni. Per quanto riguarda il calcolo degli errori nel dettato di brano si calcola un solo errore, e solo l’errore più grave (l’errore fonologico è più grave del non fonologico che è più grave degli errori di accenti e doppie). Anche in questa prova gli esiti possono essere: 1) Richiesta di Intervento Immediato (<5°percentile), 2) Richiesta di Attenzione (5°-10°percentile), 3) Prestazione Sufficiente (15°-70°percentile), 4) Criterio Pienamente Raggiunto (>70°percentile).

Batteria per la Discalculia Evolutiva (BDE-2, Biancardi et al.,2016). La BDE-2 è un test che

indaga le abilità matematiche, pensato principalmente per le valutazioni neuropsicologiche nei casi di sospetta discalculia evolutiva. Alle due macro-aree della prima versione, numero e calcolo, si aggiunge quella del senso del numero; di conseguenza, saranno 3 i “quozienti” di riferimento. Di questa batteria è stato preso in considerazione l’esito finale, “Deficitario” o “Non deficitario” nel Calcolo.

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Tabella 2a. Profili di Lettura dei bambini con DSA.

ID Brano Correttezza Brano Rapidità Parole Velocità Parole Correttezza Non Parole Velocità Non Parole Correttezza *Class. *Class. Punti Z Percentile

Punti Z Percentile 1 RII RII -2,37 5° -1,00 5° 2 PS PS -0,39 15° 0,64 15° 3 PS PS -0,37 15° -0,39 15° 4 RA RII -4,26 5° -2,59 5° 5 RA RII -2,45 5° -0,77 5° 6 RA RII -4,56 15° -2,71 5° 7 PS PS -0,39 15° -1,55 15° 8 RII RII -2,19 10° -0,49 5° 9 PS RII -3,08 5° -1,27 15° 10 RA RA -0,40 10° -1,10 15° 11 PS RA -0,56 10° -0,36 15° 12 RII RII -6,31 5° -5,82 5° 13 PS RII -1,75 10° -1,29 15° 14 RA RA -4,12 15° -3,50 15° 15 PS RII -14,60 15° -6,10 15° 16 RII RII -8,78 5° -6,70 5° 17 RA PS -1,56 5° -1,00 5° 18 RII PS 0,04 5° -0,57 5° 19 PS PS -0,64 5° 0,74 5° 20 RII RII -5,37 10° -3,13 5° 21 PS RII -4,90 5° -3,95 5° 22 RII RII -3,50 10° -1,77 10° 23 RII PS 0,75 10° 0,64 10° 24 RA RII -6,81 10° -6,14 15° 25 PS RII -2,90 5° -3,10 10° 26 PS PS -1,41 15° -2,74 15°

*Legenda: Classificazione delle prestazioni alle prove MT secondo 4 ordini 1. RII=Richiesta di Intervento Immediato

2. RA=Richiesta di Attenzione 3. PS=Prestazione Sufficiente

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Tabella 2b. Profili di Comprensione, Scrittura e Calcolo nei bambini con DSA.

ID MT Comprensione Scrittura Brano Calcolo Deficitario *Class. Percentile 1=SI; 0=NO 1 PS 5° 1 2 RA 20° 1 3 PS 10° 1 4 PS 5° 1 5 PS 5° 0 6 RA 5° 1 7 PS 30° 0 8 RII 5° 1 9 PS 5° 0 10 PS 15° 1 11 RA 30° 1 12 RII 5° 1 13 RA 20° 1 14 RA 5° 0 15 PS 30° 1 16 RII 5° 1 17 RII 5° 0 18 PS 5° 1 19 CPR 5° 0 20 CPR 5° 1 21 RA 10° 1 22 PS 20° 1 23 PS 5° 1 24 RA 10° 0 25 PS 5° 0 26 PS 30° 0

*Legenda: Classificazione delle prestazioni alle prove MT secondo 4 ordini 1. RII=Richiesta di Intervento Immediato

2. RA=Richiesta di Attenzione 3. PS=Prestazione Sufficiente

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32 6.3 Valutazione del sonno: il questionario

Il questionario utilizzato è la Sleep Disturbance Scale for Children (SDSC; Bruni et al., 1996). Il questionario è stato sviluppato da Bruni e collaboratori (1996) per creare una valutazione standard dei disturbi del sonno in età evolutiva, facile da utilizzare sia per i ricercatori che per i clinici. Il questionario permette di comprendere meglio il ritmo sonno-veglia del bambino, valutare se esistono problemi a questo riguardo e fornisce una complessiva misurazione dei disturbi del sonno adatti per un uso clinico di screening e ricerca, ma non di diagnosi.

Nella parte iniziale del questionario vengono richiesti i dati anagrafici del bambino; nella parte successiva il questionario si compone di 26 item, su Scala Likert con possibilità di risposta da 1 a 5, in base alla ricorrenza dei sintomi (1.Mai; 2.Occasionalmente: una o due volte al mese;

3.Qualche volta: una o due volte alla settimana; 4.Spesso: tre o cinque volte alla settimana; 5.Sempre: tutti i giorni). Il questionario è di rapida somministrazione (meno di 10 minuti) e le

domande vengono compilate dai genitori o da un caregiver, facendo riferimento agli ultimi 6 mesi di vita del bambino. Il questionario è valido per bambini dai 6 ai 16 anni di età.

Il test presenta sei sottoscale che vanno a valutare le principali problematiche cliniche legate al sonno che possono essere riscontrate nei bambini; i risultati di ogni scala si ottengono sommando i punteggi a determinati item indicati dal testo del questionario. Gli item derivano dall'esperienza clinica e dalla revisione dei precedenti questionari sul sonno riportati dalla letteratura. Il cut-off relativo al punteggio totale, generato dall’analisi ottenuta tramite il ROC (Receiver Operator Characteristic curve), è pari a 39, rivelando una buona sensibilità (0.89) e un’altrettanta soddisfacente specificità (0.74) (Bruni et al., 1996).

Le sei sottoscale sono:

1. Disturbi di inizio e mantenimento del sonno (Disorders of Initiating and Maintaining Sleep,

DIMS), questa sottoscala è costituita da item che valutano la latenza e la durata del sonno, la

riluttanza del bambino ad andare a dormire, la difficoltà ad addormentarsi e i risvegli notturni. 2. Disturbi respiratori nel sonno (Sleep Breathing Disorders, SBD), in questa sottoscala viene valutata la presenza di disturbi come il russamento e/o la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno. 3. Disturbi dell’arousal (Disorders of Arousallnightmares, DA), viene valutata la presenza di sonnambulismo, terrori notturni e/o incubi.

Riferimenti

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