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Studio di Risonanza Magnetica stutturale e funzionale in pazienti affetti da Distrofia Miotonica tipo I

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Academic year: 2021

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Sommario

Introduzione ... 1

Distrofia Miotonica tipo 1 ... 1

Aspetti neuropsicologici ... 10

Anosognosia ... 13

Neuroimaging ... 14

Risonanza Magnetica funzionale ... 16

Obiettivi ... 27

Materiali e Metodi ... 28

Pazienti ... 28

Valutazione neuropsicologica ... 29

Acquisizione delle immagini di Risonanza Magnetica ... 32

Volumetria ... 33

Valutazione dell’atrofia cerebrale con metodo a ROI ... 33

Valutazione dell’atrofia cerebrale con metodo automatizzato di Voxel Based Morphometry ... 35

Valutazione del carico lesionale della sostanza bianca ... 38

Valutazione del carico lesionale con scala visiva ... 38

Valutazione del carico lesionale con metodo manuale a ROI ... 38

Studio funzionale ... 40

Presentazione del task ... 40

Analisi dei dati ... 41

Risultati ... 44

Test Neuropsicologici ... 44

Volumetria ... 48

Valutazione dell’atrofia cerebrale con metodo a ROI ... 48

Valutazione dell’atrofia cerebrale con metodo automatizzato di Voxel Based Morphometry ... 50

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Valutazione del carico lesionale della sostanza bianca ... 53

Valutazione del carico lesionale con scala visiva ... 53

Valutazione del carico lesionale con metodo manuale a ROI ... 53

Studio funzionale ... 54

Discussione ... 64

Conclusioni ... 71

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- 1 - INTRODUZIONE

Distrofia Miotonica tipo 1

La distrofia miotonica tipo 1 (DM1) è la distrofia muscolare più comune nell’adulto ed è nota anche come malattia di Steinert, che la descrisse per primo nel 1909. Condivide il nome con la distrofia miotonica di tipo 2 o miopatia miotonica prossimale (PROMM), presentando anche sintomi in parte sovrapponibili a questa, ma in forma più grave. Si manifesta in egual misura in entrambi i sessi e la sua incidenza è stimata intorno a 1:20000, con una prevalenza che va da 1:100000 in Giappone a 1:10000 in certe zone dell’Europa Settentrionale [1, 2]. È una malattia multisistemica che va a colpire numerosi distretti corporei oltre il muscolo scheletrico, come il cuore e l’apparato cardiovascolare, il sistema respiratorio, il tratto gastrointestinale, il sistema endocrino, gli occhi e il sistema nervoso centrale. Si tratta di una malattia genetica a trasmissione autosomica dominante, causata dall’espansione instabile di una tripletta CTG ripetuta sulla regione 3’ non tradotta di un gene codificante per una proteinchinasi, DMPK, sul locus DM1 nel cromosoma 19 (19q13.3) [3, 4, 5]: mentre nella popolazione normale il numero di ripetizioni varia da 5 a 36 volte, nei pazienti affetti può arrivare dalle 50 a più di 4000, riflettendo la severità del quadro clinico. I portatori di un numero di ripetizioni tra i 38 e i 49 sono considerati a rischio di avere figli con sintomi conclamati; infatti di generazione in generazione si assiste al fenomeno dell’anticipazione, per cui i figli tendono ad

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accumulare un numero di ripetizioni maggiori dei genitori e a presentare sintomi in età più giovane.

I sintomi variano notevolmente da individuo a individuo e i pazienti possono avere un decorso del tutto asintomatico oppure presentare le più frequenti manifestazioni, specie muscolari, di una malattia a decorso progressivo e lentamente ingravescente.

I sintomi della DM1 possono manifestarsi in qualsiasi momento della vita, sin dall’infanzia o solo in età adulta, ma, solitamente, prima compaiono più si aggravano nel corso del tempo, fino al punto da minare l’autonomia del paziente. Le forme di DM1 attualmente riconosciute si basano proprio sull’età di insorgenza della malattia e sono la forma congenita, la forma a esordio infantile, la forma a esordio nell’adulto o classica e la forma a esordio ritardato, paucisintomatica o del tutto asintomatica. Nella forma congenita, quando la malattia dà segno di sé già alla nascita (in circa il 25% dei neonati da madre affetta), il quadro è particolarmente grave sin dall’inizio, con severa ipostenia dei muscoli facciali (caratteristica è la piega verso l’alto del labbro superiore) e oculari, insufficienza respiratoria transitoria e marcato ritardo mentale (nella PROMM, invece, non è stata tuttora individuata una forma congenita). Quando si presenta in forma congenita, il quadro clinico costituisce un’entità del tutto separata rispetto alla forma che esordisce nell’adulto, e non semplicemente una sua forma più grave; al contrario, la forma a esordio infantile è del tutto simile a quella classica, con deficit cognitivi più marcati e una prognosi peggiore. Per quel che riguarda la forma classica dell’adulto, il sintomo predominante, accanto alla miotonia, è la debolezza dei muscoli distali, della faccia e del collo:

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tipicamente colpiti sono i muscoli mimici facciali, l’elevatore superiore della palpebra, il temporale, lo sternocleidomastoideo, i muscoli distali dell’avambraccio e i dorsiflessori del piede.

I pazienti si presentano tipicamente con viso lungo, magro e dalle guance scavate (“faccia ad accetta”), a causa dell’atrofia e dell’ipostenia dei muscoli mimici facciali; l’interessamento palpebrale è causa di ptosi e negli uomini c’è caratteristicamente calvizie frontale. Il coinvolgimento dei muscoli del palato, della faringe e della lingua provoca eloquio disartrico, voce nasale e problemi nel deglutire. Sono interessati precocemente i muscoli del collo e degli arti distali: la debolezza dei primi porta a difficoltà nel sostenere la posizione della testa o nell’orientarla nello spazio, mentre l’ipostenia dei flessori delle dita, del polso e dei muscoli intrinseci della mano causa difficoltà nell’eseguire compiti fini. I dorsiflessori della caviglia non riescono a sostenere il peso del piede durante la marcia e la caduta dello stesso (steppage) può compromettere la deambulazione. La miotonia, uno dei sintomi cardine, dal momento della sua comparsa tende a peggiorare progressivamente: consiste, dopo contrazione volontaria, nel mantenimento prolungato della stessa a livello dei muscoli interessati, con successivo rilassamento lento e graduale. A fine diagnostico è possibile riconoscere il rilascio dalla contrazione tardivo dei muscoli distali della mano del paziente, dopo percussione o esecuzione di un compito volontario come una banale stretta di mano; negli stadi più avanzati di malattia, tuttavia, l’atrofia muscolare può essere tale da mascherare il sintomo. La miotonia causa difficoltà quotidiane al paziente che vanno dall’uso di strumenti di qualsiasi tipo a semplicemente lasciare la presa sulla maniglia di una porta; in ogni caso sia la

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miotonia sia la forza possono migliorare dopo una serie di contrazioni ripetute, fenomeno riconosciuto come “riscaldamento”.

Per quanto riguarda le manifestazioni extramuscolari, la maggior parte dei pazienti presenta, in genere intorno ai 30 o i 40 anni, cataratte subcapsulari posteriori. In alcuni pazienti le cataratte possono essere un primo sintomo giovanile di malattia, con comparsa dei disturbi muscolari solo più tardi. I disturbi cardiaci sono frequenti tra i pazienti miotonici e l’interessamento patologico prominente è a livello del sistema di conduzione e del nodo seno atriale, che da un punto di vista istopatologico possono anche andare incontro a fibrosi. Anche i miociti possono presentare un certo grado di fibrosi e di sostituzione fibroadiposa.

I disturbi di conduzione e le aritmie sono tra le complicanze più frequenti e contribuiscono significativamente alla mortalità di questi pazienti: si possono osservare intervallo PR prolungato, blocchi di secondo o terzo grado, QRS ampio, fibrillazione atriale parossistica, tachicardia ventricolare monomorfa o polimorfa, fibrillazione ventricolare. Aritmie e difetti di conduzione possono comparire precocemente, quando i sintomi muscolari sono ancora blandi. Nonostante si tratti di una distrofia muscolare, l’occorrenza di una cardiomiopatia è relativamente meno frequente nei pazienti affetti da DM1 [6-11].

La debolezza o la miotonia del diaframma e dei muscoli respiratori intercostali può compromettere la funzione respiratoria, fino all’insufficienza. In stadio avanzato di malattia i pazienti sono spesso in stato di scompenso cardiocircolatorio con cuore polmonare, proprio come conseguenza dell’insufficienza respiratoria.

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Durante il sonno i pazienti possono andare incontro ad apnea, sia di carattere ostruttivo sia di origine centrale, per probabile malfunzionamento dei centri del respiro: chi è affetto da DM1 non presenta infatti la classica risposta iperventilatoria all’ipercapnia, ed è particolarmente sensibile ai farmaci usati in anestesia. Dopo anestesia generale infatti i pazienti possono andare incontro a complicazioni come depressione respiratoria prolungata o polmoniti postoperatorie.

È molto comune tra i pazienti la disfagia, dovuta a disfunzione della contrattilità esofagea, ma solo raramente e in stadio avanzato di malattia si arriva al punto da dover ricorrere all’alimentazione parenterale. I problemi della deglutizione sono invece spesso causa di aspirazione e polmonite ab ingestis, contribuendo significativamente all’insorgenza di complicazioni respiratorie [12]. I pazienti soffrono spesso di costipazione e possono andare incontro a pseudo ostruzione intestinale o megacolon; la causa può essere dovuta sia al fenomeno miotonico sia alla perdita tessuto muscolare liscio nei visceri. Altri sintomi frequenti sono svuotamento gastrico rallentato, diarrea e incontinenza occasionale [13].

Negli uomini l’infertilità può essere spesso giustificate dall’atrofia testicolare e dalla scomparsa dei tubuli seminiferi, ma può occorrere anche in pazienti altrimenti asintomatici. Le donne possono andare incontro ad aborti ripetuti e soffrono in genere di irregolarità mestruali. I pazienti miotonici soffrono spesso di una modesta iperglicemia dovuta a insulinoresistenza, ma non si riscontra in essi un’incidenza maggiore di diabete mellito rispetto alla popolazione generale [14].

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Sono stati riportati in letteratura casi di pilomatricomi multipli associati a familiarità per la DM1.

Anche il sistema nervoso centrale è coinvolto nella malattia, risultando alterato sia a livello della sostanza bianca che della sostanza grigia. Sono stati descritti ammassi neurofibrillari (neurofibrillary tangles, NFT) nel sistema limbico e nel tronco encefalico dei soggetti affetti da DM1; non si riscontrano placche senili. I pazienti possono soffrire di deficit intellettivi, ma in alcuni possono essere l’espressione facciale assente e le difficoltà motorie durante lo svolgimento dei test neuropsicologici (nell’orientare lo sguardo, usare la mano per scrivere o disegnare, difficoltà nell’articolare il discorso) a dare una falsa impressione. È stato descritto un declino cognitivo legato all’avanzare dell’età in chi soffre di DM1, e alcune funzioni risultano maggiormente compromesse di altre [15]. Spesso i pazienti presentano un quadro tipico di alterazioni nella personalità (evitante, passivo - aggressiva, ossessivo - compulsiva, paranoide)[16]. Manifestano riduzione degli interessi e scarsa spinta motivazionale, con aumento dell’affaticabilità. Soffrono spesso di eccessiva sonnolenza durante il giorno, sia come sintomo secondario alle apnee notturne sia come disfunzione primaria dei centri regolatori del sonno [17-21].

La diagnosi di DM1 è complicata dal fatto che le patologie neuromuscolari sono malattie rare; ne sono state individuate più di 40, con relativi sottotipi, e i loro quadri sintomatici possono in parte sovrapporsi. Per questo motivo oggi la diagnosi di certezza di DM1 può essere fatta unicamente tramite indagine molecolare sul DNA del paziente. Prima della possibilità di eseguire la verifica genetica, l’esame più impiegato a scopo diagnostico era l’elettromiografia, che

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documentava all’inserzione dell’ago nel muscolo una scarica spontanea “a motocicletta o mitragliatrice”.

L’aspettativa di vita è inferiore nei pazienti con DM1 e si attesta intorno a un’età compresa tra i 50 e i 60 anni. Le cause principali di morte sono l’insufficienza respiratoria, malattie cardiovascolari, aritmie e morte cardiaca improvvisa [22, 23, 24].

Non esiste, allo stato attuale delle conoscenze, un trattamento farmacologico patogenetico efficace per la distrofia miotonica. La terapia è essenzialmente sintomatica, basata sulla previsione delle complicanze e il monitoraggio a lungo termine, con attenzione particolare ai disturbi cardiorespiratori che sono causa del 70% dei decessi nei pazienti con DM1. È necessario un ECG periodico per tenere sotto controllo le aritmie, e si può arrivare al punto di dover ricorrere al pacemaker per contenere il quadro in una situazione di controllo. Per valutare la problematica delle apnee durante il sonno si può ricorrere alla polisonnografia, e alla ventilazione non invasiva per migliorare i sintomi a esse dovuti. Le cataratte e la ptosi possono essere trattate tramite intervento chirurgico, ma esiste per entrambe la possibilità che ricompaiano.

La miotonia è solitamente ben tollerata dai pazienti e spesso è meglio non prescrivere una terapia mirata per la possibilità di avere effetti secondari sul ritmo cardiaco. Una terapia fisiatrica può migliorare sintomi muscolari come debolezza e affaticabilità e in alcuni pazienti questi rimangono lievi e facilmente gestibili per tutta la durata del decorso. Altre volte, invece, soprattutto quando compaiono precocemente, tali sintomi possono progredire fino all’impossibilità di camminare e la necessità, in stadio avanzato di malattia, di usare la sedia a rotelle. Alcuni

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pazienti possono trarre giovamento dall’impiego di ortesi per la caviglia e il piede o per il sostegno del polso durante l’uso della mano.

Anche se si conosce la mutazione genetica all’origine della malattia, il processo grazie al quale questa porta all’espressione fenotipica del quadro caratteristico della malattia di Steinert è ancora sconosciuto. Diversi meccanismi patogenetici sono stati proposti per spiegare la natura multisistemica e la varia espressione dei sintomi nella DM1.

Una possibile causa dell’espressione della malattia fu inizialmente individuata nella ridotta espressione di DMAHP (DM associated homeo domain protein), codificata su un gene immediatamente distale a DMPK, ed espressa in vari tessuti corporei, compresi muscolo scheletrico ed encefalo [25]. Attualmente, prove sostanziali sono state raccolte a indicare che l’RNA per la traduzione di DMPK, che contiene ripetizioni CUG dovute alla mutazione, sia trattenuto in inclusioni nucleari e acquisisca funzione tossica, causando un’alterazione del processo di

splicing interferendo con la funzione di proteine che legano l’mRNA [26] per

l’espressione di altri geni. L’espressione della regione mutante DMPK 3’-UTR porta alla formazione di foci ribonucleasici nel nucleo dei neuroni, strutture che sequestrano proteine regolatrici dello splicing alternativo, come MBNL1 e MBNL2 [27, 28]: i disturbi nello splicing alternativo del prodotto di diversi geni sono stati identificati nella DM1, tra cui il canale del cloro muscolo-specifico CIC-1 e il recettore dell’insulina (l’espressione del pattern di splicing embrionale per i geni codificanti le due proteine risulterebbe, rispettivamente, in miotonia e insulino - resistenza, entrambi caratterizzanti la malattia sul piano clinico). A livello muscolare è stato ipotizzato un processo eziopatologico a tre tappe, in cui

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la formazione di foci ribonucleasici porta all’interferenza nell’espressione di geni specifici durante lo splicing alternativo, causando alterazioni della

differenziazione cellulare [29]. Le cause del coinvolgimento neurale sono ancora , invece, meno chiare: l’effetto della perdita di regolazione dello splicing alternativo è stato ricondotto al prodotto del gene MAPT (proteina Tau associata ai microtubuli). Nella DM1, lo splicing alterato di MAPT riguarda gli esoni 2,3 e 10 (isoforma fetale) e l’esone 6 (peculiare dell’encefalo) [30-33]. Le isoforme iperfosforilate della proteina Tau costituiscono gli ammassi neurofibrillari descritti nei tessuti encefalici di pazienti con DM1 [34]: la tossicità degli ammassi neurofibrillari (NFT) e la perdita di funzione della proteina Tau sono probabilmente implicate nell’esordio e nella progressione di un processo neurodegenerativo [35, 36]. Nella sostanza bianca dell’encefalo dei pazienti con DM1 si riscontrano le stesse varianti della proteina Tau e foci di RNA, seppure negli oligodendrociti siano più piccoli che nei neuroni corticali; è pertanto possibile sia questa l’origine delle lesioni della sostanza bianca.

Altri meccanismi che possono render conto del diverso grado di espressione della malattia sono il mosaicismo somatico e l’instabilità somatica delle triplette CTG; la familiarità con cui compaiono anormalità tra cui disturbi di conduzione cardiaca, pilomatricomi, pseudo - ostruzione intestinale, demenza di tipo, nonché la somiglianza tra familiari del coinvolgimento muscolare e cardiaco, suggeriscono tuttavia l’implicazione di altri meccanismi molecolari o fattori ambientali sconosciuti nello sviluppo clinico della malattia.

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- 10 - Aspetti Neuropsicologici

Come già accennato, l’interessamento del sistema nervoso centrale nei pazienti affetti da DM1 si manifesta clinicamente in maniera prevalente con un quadro di compromissione delle funzioni frontali.

Una valutazione neuropsicologica risulta pertanto utile in questi soggetti, in quanto consiste in un’analisi estensiva delle funzioni cognitive al fine di individuare le componenti deficitarie e residue del soggetto, con il compito caratterizzare il coinvolgimento del SNC da parte della malattia. Ciò permette di stimare le conseguenze della DM1 sul comportamento dell’individuo, avanzando inoltre ipotesi su possibili sedi di lesione e sull’eziopatogenesi. Oltre ad avere un valore diagnostico e prognostico, l’impiego di test neuropsicologici ci permette di migliorare la gestione e l’assistenza di un individuo e di verificare l’efficacia di un trattamento in corso.

Il paziente è inquadrato in primo luogo attraverso un colloquio clinico che comprende un’indagine anamnestica e un’osservazione comportamentale dell’individuo; successivamente si formula un’ipotesi sul profilo cognitivo prevalente e sul possibile correlato anatomo - funzionale. Già dal primo colloquio con un paziente affetto da DM1 si possono ricavare informazioni relative all’orientamento spazio-temporale, alla memoria autobiografica, a disordini dell’umore, disturbi comportamentali e sul livello di consapevolezza della propria condizione di malattia. Quest’ultimo aspetto riveste un ruolo importante in base alle evidenze attuali come fattore di rischio per una prognosi peggiore e nei pazienti affetti da DM1, in cui l’aspettativa di vita rispetto alla popolazione generale risulta inferiore principalmente a causa di complicazioni respiratorie o

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cardiache, questo è ancora più importante, dal momento che essi mostrano la tendenza a una mancata o ridotta adesione alla terapia e spesso non si preoccupano di sottoporsi ai controlli medici necessari.

Il funzionamento mentale dei malati di DM1 può variare significativamente per ciascun individuo, in particolare a seconda della modalità di esordio e della progressione della malattia.

L’intelligenza globale dei soggetti affetti da DM1 classica, misurata attraverso WAIS (Wechsler Adult Intelligence Scale), si colloca generalmente ai limiti inferiori della norma.

I deficit visuospaziali sono particolarmente marcati e possono essere osservati nel far loro eseguire compiti in cui devono assemblare elementi (puzzle) o disegnare figure bidimensionali, tridimensionali o spontaneamente a mano libera. Franche difficoltà nell’orientamento spaziale sono messe in evidenza dalla risposta a compiti di lettura di mappe, risoluzione di labirinti, individuazione di percorsi ottimali per raggiungere un traguardo o simili. Nell’eseguire una copia, nell’immediato o in un tempo successivo, di una figura complessa (come la figura di Rey-Osterrieth), i pazienti non mostrano deficit di riconoscimento delle forme, ma hanno uno scarso rendimento nell’elaborazione delle relazioni spaziali, delle dimensioni, delle caratteristiche generali di uno stimolo presentato visivamente. I deficit visuospaziali sono caratteristici della forma a esordio in età adulta, diversamente dalla forma congenita in cui è predominante un deficit intellettivo. Nello studio delle funzioni frontali si evidenziano fluttuazioni attentive, riduzione della capacità di concentrazione, riduzione della capacità di gestire stimoli tra loro interferenti con una conseguente prevalenza di comportamenti di tipo automatico,

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come evidenziato durante la somministrazione di prove quali STROOP test, il Trail Making Test, Span verbale.

Nella forma classica, le abilità verbali appaiono relativamente conservate, sia per quanto riguarda la memoria verbale, a breve e a lungo termine, che la fluenza verbale; tuttavia, la produzione lessicale e la sintassi risultano impoverite, con conseguente scarsa capacità comunicativa.

Inattività e riduzione dell’iniziativa sono tipiche delle malattie croniche a carico muscolare, ma nella DM1 sono particolarmente pronunciati. I pazienti incontrano difficoltà anche nei compiti che richiedono flessibilità cognitiva e abilità di pianificazione, quali il WCST (Wisconsin Card Sorting Test). L’insieme delle alterazioni cognitive tipiche della malattia può suggerire in alcuni casi una sindrome disesecutiva dovuta a compromissione dei lobi frontali [37].

Un ulteriore elemento caratteristico della sindrome disesecutiva in questi pazienti è il temperamento apatico, osservabile clinicamente ma spesso riferito anche dai familiari del paziente [38]; questo può essere il risultato non solo di una flessione del tono dell’umore, ma anche di un processo degenerativo a carico dei circuiti neurali preposti al comportamento finalizzato.

È tuttora dibattuto se ansia e depressione siano più frequenti in questi pazienti piuttosto che nella popolazione generale [39]; sono frequenti manifestazioni di comportamento disforico, difficilmente misurabili con gli strumenti attualmente disponibili.

Il profilo comportamentale dei pazienti è determinato anche da tratti disfunzionali di personalità, che compaiono spesso precocemente durante il decorso e possono variare tra gli spettri evitante, ossessivo, paranoide [16, 40, 41].

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- 13 - Anosognosia

Nella pratica clinica è di frequente osservazione la presenza, in pazienti con DM1, di una compromissione della consapevolezza di malattia; tuttavia l’incidenza dell’anosognosia in tale patologia non è mai stata indagata.

Fu Babinsky a coniare il termine anosognosia, per definire tale condizione nei pazienti emiplegici [42]; nel tempo questo termine, ha acquisito un significato sempre più generalizzato, includendo la mancanza di coscienza di malattia in molte patologie neurologiche.

Anosognosia è qui da intendere come un disordine delle capacità di processare

correttamente informazioni circa la consapevolezza della malattia di cui il paziente è affetto, contraddistinto dalla totale o parziale compromissione di una o più regioni neurali preposte.

L’anosognosia può essere dovuta a diversi fattori ma non è presente, al momento, una teoria eziopatogenetica accreditata [43].

Studi clinici hanno messo in risalto il ruolo dell’emisfero destro e in particolare del circuito di cui farebbero parte la corteccia prefrontale mediale, la corteccia cingolata anteriore e altre regioni sottocorticali e retrospleniali, come possibile correlato neuroanatomico della consapevolezza dei deficit.

È piuttosto frequente riscontrare un elevato numero di pazienti anosognosici tra coloro i quali soffrono di malattie neurodegenerative, quali la malattia di Alzheimer; nelle fasi premorbose di declino cognitivo lieve o Mild Cognitive

Impairment (MCI), condizione eterogenea caratterizzata da prestazioni cognitive

al di sotto della media della popolazione di riferimento, in assenza di compromissione delle attività quotidiane; nel morbo di Parkinson; nella sclerosi

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laterale amiotrofica; nella Corea di Huntington; infine anche nella distrofia miotonica. Si tratta prevalentemente di malattie a decorso cronico, progressivamente ingravescente, che coinvolgono specifiche popolazioni neuronali del sistema nervoso centrale con manifestazioni cliniche che possono interessare funzioni cognitivo - comportamentali, di personalità e motorie. Poiché l’anosognosia si associa con frequenza elevata alle malattie neurodegenerative anche nelle fasi premorbose, possiamo ipotizzare che esista un legame tra meccanismi patogenetici di neurodegenerazione che causano la comparsa dei segni clinici precoci di decadimento cognitivo e i meccanismi di consapevolezza di malattia [44].

Neuroimaging

Il coinvolgimento dell’encefalo nella DM1 è stato dimostrato tramite MRI e PET con fluorodesossiglucosio. Atrofia corticale modesta, dilatazione dei ventricoli e degli spazi di Virchow-Robin e lesioni iperintense della sostanza bianca sono caratteristici in questi pazienti. Frequenza, localizzazione, diffusione e morfologia di queste lesioni rimangono tuttavia ancora controverse, così come la loro possibile correlazione con declino cognitivo, età all’esordio, durata di malattia, stato neuromuscolare e background genetico. L’atrofia è solitamente più pronunciata ai lobi frontali e temporali. Le lesioni della sostanza bianca possono essere del tutto simili ad alterazioni di comune riscontro con l’avanzare dell’età, oppure presentarsi in forme caratteristiche della DM1: un aspetto tipico è quello di aree iperintense alle immagini pesate in T2 a carico della sostanza bianca temporale anteriore (anterior temporal white matter lesions: ATWML), che

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rispecchiano perdita e disorganizzazione del rivestimento mielinico assonale e presenza di neuroni eterotopici [45]. Le ATWML sono peraltro specifiche per la DM1 e non si riscontrano nella PROMM [46]. Iperintensità nell’area del trigono postero superiore (HWMPST, hyperintensity of white matter at the

posterior-superior trigone) sono state proposte come lesioni specifiche della forma

congenita, in cui il deficit cognitivo è dovuto a un vero e proprio ritardo mentale e non a un declino progressivo o una forma di demenza [47, 48]. È stato proposto che le anomalie della sostanza bianca riscontrabili all’MRI siano dovute principalmente a difetti dello sviluppo nella forma congenita, e principalmente a cause degenerative quando l’esordio è in età adulta [48]. La relazione tra lesioni della sostanza bianca e fattori come familiarità e grado di espansione delle triplette è dibattuta in letteratura. L’aumento delle dimensioni ventricolari e un pattern d’iperintensità diffuso periventricolare sono stati tra i primi reperti identificati in questi pazienti [49-52]. Indagini DTI suggeriscono alterazioni microstrutturali diffuse anche a carico di sostanza bianca all’apparenza normale [47, 53, 54]. Alcuni studi hanno impiegato la Voxel Based Morphometry per indagare sulla perdita di volume encefalico nella DM1, e hanno stabilito che l’atrofia è indipendente dalla durata della malattia e correla piuttosto con l’età del paziente; con l’invecchiamento, la perdita di sostanza grigia nei pazienti è significativamente maggiore rispetto a quella dei controlli [55]. Questo tipo di lesioni non correla né con quelle della sostanza bianca, né con l’interessamento muscolare, dipendendo probabilmente da determinanti differenti [55, 56].

La PET ha permesso di individuare un ridotto metabolismo cerebrale regionale del glucosio in tutte le zone corticali e sottocorticali, ma particolarmente nelle aree

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frontali e nel nucleo lenticolare, analogo al pattern metabolico che si ha con l’invecchiamento, ma più accentuato e precoce [57-60].

Risonanza Magnetica Funzionale

Le immagini di risonanza magnetica offrono una notevole risoluzione dei tessuti molli senza l’impiego di radiazioni ionizzanti.

In aggiunta alle immagini anatomiche, a partire dagli anni novanta l’impiego dell’effetto BOLD (Blood Oxygen Level Dependent) ha reso possibile l’acquisizione di immagini di natura funzionale.

Il flusso sanguigno attraverso i vari distretti corporei è regolato dinamicamente in base all’attività dei singoli organi in maniera che all’aumento delle richieste segua un incremento dell’approvvigionamento di ossigeno e nutrienti. È stato dimostrato che l’attivazione di una specifica area cerebrale determina localmente l’aumento sia del flusso (cerebral blood flow CBF) che del volume ematico (cerebral blood

volume, CBV); tale variazione fisiologica nell’apporto di sangue prende il nome

di iperemia funzionale.

Le ipotesi oggi più accreditate e non mutuamente esclusive, che provano a spiegare l’accoppiamento tra attività nervosa e iperemia funzionale, riguardano: la produzione locale di adenosina e K+ in conseguenza dell’attività neuronale (tali specie chimiche possono determinare vasodilatazione raggiungendo i vasi sanguigni adiacenti per diffusione); l’innervazione diretta dei vasi da parte degli stessi neuroni (con secrezione localizzata di sostanze vasoattive quali acetilcolina, monoamine e peptidi); l’attivazione dei recettori ionotropi per il glutammato NMDA (N-methyl-D-aspartic acid) sul neurone post-sinaptico, con conseguente

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produzione di ossido nitrico, il quale a sua volta diffonderebbe fino ai vasi inducendone la vasodilatazione.

Il ruolo degli astrociti nella generazione della risposta emodinamica è suggerito dal riscontro sperimentale di una correlazione temporale tra la concentrazione di Ca2+ a livello del processo astrocitario a contatto con l’arteriola e la variazione del flusso ematico. La prostaglandina E2 (PGE2) può essere rilasciata dagli astrociti in seguito a variazioni della concentrazione intracellulare di Ca2+ e produce vasodilatazione nelle stesse arteriole che rispondono alla stimolazione neuronale. La via enzimatica proposta è attivata dal glutammato, principale neurotrasmettitore eccitatorio nel SNC; lo stesso meccanismo potrebbe, però, essere esteso anche alle regioni in cui il Glu non è il neurotrasmettitore prevalente, dato che, in diverse aree cerebrali, gli astrociti esprimono recettori per neurotrasmettitori diversi.

Il coinvolgimento astrocitario rappresenterebbe il principale meccanismo di accoppiamento in vivo tra comunicazione nervosa ed iperemia funzionale.

L’attività neuronale provoca, inizialmente, una riduzione della concentrazione locale di ossigeno, in conseguenza della sua maggiore estrazione dal sangue per l’aumentato fabbisogno energetico. L’iperemia funzionale che segue determina, al contrario, un aumento della sua concentrazione, poichè l’apporto sopravanza il consumo da parte del tessuto nervoso.

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Tale condizione si avverte con un ritardo di circa 2 secondi dall’attivazione neuronale e si mantiene per circa dieci secondi dal termine di essa.

L’andamento temporale della risposta emodinamica è il motivo del limite intrinseco di risoluzione temporale della metodica fMRI: non è possibile infatti distinguere tra due attivazioni consecutive della stessa area cerebrale se la seconda interviene prima che si sia concluso il recupero della condizione basale.

La risoluzione spaziale della risposta emodinamica è limitata, invece, dalla specificità dell’iperemia funzionale: la risposta vascolare prodotta dalla stimolazione di una singola colonna corticale interessa inizialmente essa sola, ma successivamente si comunica alle aree adiacenti; studi effettuati con metodiche di imaging ad alta risoluzione attribuiscono alla risposta emodinamica una capacità risolutiva prossima al millimetro.

L’emoglobina è una proteina contenuta nei globuli rossi e deputata al trasporto dell’ossigeno. Tale funzione è realizzata dal gruppo prostetico EME, costituito dalla protoporfirina IX e dallo ione Fe2+ (ferroso). Quest’ultimo è coordinato ai vertici di un ottaedro: quattro dei sei ligandi sono costituiti da alcuni atomi

CBF CBV BOLD Time C h an g e (%)

Relazione tra I cambiamenti del flusso sanguigno cerebrale (CBF), volume sanguigno cerebrale (CBV) e contrasto BOLD [61]

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d’azoto dell’anello porfirinico, un quinto sito di coordinazione è occupato dal residuo di istidina (His F8) della catena proteica e il sesto legame è realizzato con una molecola di ossigeno nella ossiemoglobina, e con una molecola di acqua nella deossiemoglobina. La presenza nel secondo sito funzionale di un altro residuo di istidina (His E7) impedisce la formazione di un legame stabile tra ossigeno e Fe2+, che avrebbe come conseguenza l’ossidazione irreversibile di quest’ultimo e la perdita della capacità di trasporto dell’emoglobina.

L’emoglobina deossigenata (deossiemoglobina) è una sostanza paramagnetica: quattro dei sei elettroni esterni dello ione ferroso sono disaccoppiati, realizzando così una configurazione ad alto spin, alla base delle proprietà paramegnetiche della molecola.

Nell’emoglobina ossigenata (ossiemoglobina), invece, lo ione ferroso presenta una configurazione a basso spin perché uno degli elettroni esterni è ceduto alla molecola di ossigeno. L’ossiemoglobina è, quindi, una sostanza diamagnetica. Le variazioni di segnale nella fMRI-BOLD sono determinate dalle proprietà paramagnetiche della deossiemoglobina. Il rilassamento protonico viene influenzato dall’atomo di ferro presente nel gruppo eme, che presenta caratteristiche diamagnetiche quando è ossigenato e paramagnetiche quando è deossigenato. Anche all’interno della tasca globinica, apolare, dove non può influenzare il rilassamento T1, il gruppo EME è in grado di determinare effetti di dispersione di fase nei protoni più vicini, mediante la creazione di piccole disomogeneità magnetiche loco-regionali. Tale dispersione di fase può essere rilevata mediante l’effetto indotto sul rilassamento trasversale (T2 e T2*); questo aumenta proporzionalmente alla concentrazione di deossiemoglobina ed è

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particolarmente pronunciato se la deossiemoglobina è compartimentalizzata, come avviene negli eritrociti e nelle sedi intravascolari.

La presenza di deossiemoglobina nei capillari produce, quindi, microscopiche disomogeneità locali (caduta del segnale di RM) che aumentano lo sfasamento degli spin dei protoni degli atomi di idrogeno più vicini, nella fattispecie entro un raggio il doppio quello del vaso. Con la progressiva diluizione della deossiemoglobina, in conseguenza della risposta emodinamica che apporta un livello maggiore di ossiemoglobina (riduzione relativa della deossiemoglobina), si manifesta uno sfasamento meno rapido degli spin e il segnale RM decade più lentamente.

L’emoglobina deossigenata, paramagnetica, causa la distorsione del campo magnetico statico B0; gli spin in un campo magnetico non uniforme processano a frequenze diverse causando una maggiore dispersione di fase e perciò un decadimento trasversale più rapido del segnale RM, realizzando il contrasto BOLD (Blood Oxygen Level Dependent).

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Quello che la variazione dell’ossigenazione nel sangue provoca è una variazione del parametro T2* (costante di tempo che tiene conto del decadimento trasversale della magnetizzazione dovuta sia al campo magnetico non omogeneo, che all’interazione spin-spin) e quindi in sostanza a una variazione dell’intensità dell’immagine T2*-pesata. L’ampiezza del segnale BOLD a campi magnetici convenzionali è molto bassa (1 – 1,5% a 1,5T) e dipende dal tipo di stimolazione utilizzata nello studio funzionale, oltre che dall’intensità del campo magnetico statico (B0).

La tecnica fMRI per studi funzionali deve presentare due caratteristiche essenziali: acquisizione veloce delle immagini ed elevata dipendenza dal T2* tissutale.

L’appropriata e specifica serie di impulsi elettromagnetici che consente di costruire una o più immagini 2D dagli echi elettromagnetici è detta sequenza di impulsi MRI. La sequenza più spesso utilizzata in questo caso è la gradient-echo

echo-planar imaging (GE-EPI): questa sequenza permette di ottenere immagini di

una sezione molto rapidamente, realizzando tutti i passi della codifica di fase dopo un unico impulso di eccitazione a 90°. Tale prestazione richiede piccoli e rapidi

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cambiamenti di gradiente per riempire linea dopo linea il k-spazio acquisito nella durata di un singolo tempo di ripetizione (TR): un’immagine completa può quindi essere ottenuta in circa 50-100 msec in confronto ai molti secondi necessari con le sequenze standard convenzionali. La sequenza GE-EPI è molto sensibile alle disomogeneità di campo che influenzano la velocità di defasamento degli spin (contrasto T2*) e si presta quindi particolarmente per l’imaging funzionale, tuttavia può dare problemi di distorsione dell’immagine (artefatti da suscettibilità) soprattutto ai confini tra tessuti a diversa suscettibilità magnetica. Le sequenze EPI richiedono sistemi di gradienti ad alta performance che consentano rapidi cambiamenti del campo magnetico nello spazio e nel tempo.

I primi disegni sperimentali per fMRI sono stati importati da quelli utilizzati negli studi PET e prevedono multipli stimoli dello stesso tipo raggruppati in blocchi; l’analisi statistica mette a confronto poi l’attività media ottenuta nei diversi blocchi sperimentali. Negli studi PET i disegni a blocchi erano necessari a causa della limitata risoluzione temporale, in quanto una scansione dell’intero volume cerebrale richiedeva tempi dell’ordine del minuto.

Dal momento che la risoluzione temporale dell’fMRI è molto più elevata rispetto a quella della PET, è stato possibile introdurre anche disegni evento-correlati, in analogia ai protocolli utilizzati nello studio dei potenziali evocati.

Nei disegni evento-correlati vengono presentati stimoli isolati, in una sequenza periodica o casuale, e le risposte alle diverse condizioni vengono confrontate; in questo modo si ha il vantaggio di evitare fenomeni di adattamento.

Sebbene le sequenze GE-EPI abbiano caratteristiche ottimali per il campionamento dell’effetto BOLD, i dati grezzi richiedono un’elaborazione

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preliminare, allo scopo di ridurre gli artefatti (alcuni insiti nel processo stesso dell’acquisizione) e per aumentare il rapporto segnale/rumore (di per sé basso in relazione alla modesta entità della risposta BOLD).

Innanzitutto, data l’esistenza di un intervallo temporale minimo ma non nullo tra l’acquisizione dei diversi strati che costituiscono il volume di interesse, è necessario riallineare i dati a uno stesso riferimento temporale (slice scan time correction): questo viene generalmente realizzato attraverso algoritmi di interpolazione temporale.

Altro passaggio importante è rappresentato dalla correzione degli artefatti da movimento: il metodo più usato a questo scopo consiste nella co-registrazione dei volumi di dati acquisiti in tempi successivi con il volume iniziale attraverso trasformazioni di corpo rigide (traslazioni e rotazioni sui 3 piani dello spazio) e successiva interpolazione spaziale.

Per aumentare il rapporto segnale/rumore vengono in genere impiegati dei filtri spaziali i quali esaltano le variazioni di segnale che coinvolgono più voxel adiacenti a scapito delle variazioni isolate, più verosimilmente legate a rumore. Il filtro gaussiano è un esempio di filtro spaziale.

Infine, allo scopo di eliminare sorgenti artefattuali di natura periodica (quali oscillazioni periodiche del campo magnetico, artefatti da respiro, artefatti da circolo, correnti parassite) possono essere applicati dei filtri temporali, passa alto o passa basso.

Poiché le sequenze GE-EPI hanno uno scarso dettaglio anatomico, in genere i dati funzionali vengono registrati assieme a immagini anatomiche ad alta risoluzione, acquisite durante la stessa sessione d’esame. Il processo di allineamento tra

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immagini anatomiche e funzionali avviene in due passaggi successivi: il primo è basato sulle informazioni spaziali contenute nell’header del file DICOM (initial

alignment); il secondo è realizzato attraverso trasformazioni affini (traslazione,

rotazione e scaling sui tre assi) e algoritmi che minimizzano le differenze d’intensità di segnale tra le due tipologie d’immagine (fine alignment). La correttezza dell’allineamento automatico eseguito dal software può essere verificata ed eventualmente corretta manualmente.

La valutazione dell’attivazione cerebrale sulla base del contrasto BOLD richiede un’analisi statistica dei dati, in quanto la fMRI non produce direttamente immagini di quello che avviene nel cervello. Questo è dovuto non solo al fatto che queste immagini raffigurano un effetto indiretto (risposta emodinamica) dell’attività neuronale (che è molto più rapida), ma anche perché, più che delle istantanee, sono in realtà delle mappe di distribuzione statistica di questo effetto indiretto su tutto il cervello. In un esperimento di fMRI con un campo magnetico a 1,5 T l’effetto BOLD determina una variazione del segnale dell’ordine dell'1 - 1,5%, ancora troppo debole perché si possa essere sicuri di riconoscerlo nell’evento singolo (il segnale BOLD non fornisce una misurazione assoluta dell’attività neurale bensì negativa). Durante una sessione d’esame vengono perciò acquisite immagini funzionali in assenza di stimoli, che serviranno come immagine di confronto (livello basale, di riposo del segnale BOLD); durante il periodo di acquisizione, poi, vengono presentati gli stimoli che possono essere sensoriali, motori o task cognitivi. Lo stesso task viene ripetuto periodicamente in modo da fare una media statistica di tutti i valori delle immagini relative all’attivazione. L’immagine finale si ottiene facendo una sottrazione mediata tra

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l’immagine acquisita in assenza di stimoli e l’immagine acquisita durante la presentazione dello stimolo: in questo modo si ottiene l’immagine statistica parametrica che va poi sovrapposta all’immagine anatomica.

In ambito statistico è presente una grossa distinzione tra modelli interferenziali e non interferenziali: i primi richiedono la costruzione a priori di un modello di variazione del segnale, mentre i secondi non necessitano di assunzioni aprioristiche, basandosi su leggi ricavate dalla Teoria dell’Informazione per analizzare il segnale.

Il modello Generale Lineare (General Linear Model, GLM) è un modello statistico interferenziale di comune utilizzo in fMRI che prevede la definizione di un segnale atteso sulla base del paradigma sperimentale e dei corrispondenti predittori. Ogni predittore descrive il timing di uno specifico stimolo.

Nel caso più semplice è presente un unico predittore e il segnale atteso viene ottenuto da questo attraverso una correzione per la dinamica temporale della risposta emodinamica. In altri casi il paradigma sperimentale prevede più predittori ed il segnale atteso è dato dalla somma lineare dei singoli predittori, ciascuno corretto per la dinamica della risposta vascolare.

Il GLM confronta il time course del segnale acquisito in ogni voxel del volume di interesse con il segnale atteso attraverso un’analisi di varianza (ANOVA): i voxel in cui la varianza del segnale acquisito viene spiegata in maniera significativa dalla varianza del segnale atteso sono rappresentati nella mappa statistica colorimetrica.

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In genere la significatività statistica viene stabilita sulla base di una soglia corretta per confronti multipli; la correzione di Bonferroni è la più utilizzata nell’analisi dei dati funzionali.

Studi di risonanza magnetica funzionale hanno già dimostrato, in pazienti affetti da DM1, un incremento nell’attivazione delle aree motorie corticali durante compiti motori semplici come chiudere le dita di una mano, suggerendo la possibilità di un riarrangiamento neuronale che compensi l’atrofia di queste zone [62].

Anche l’anosognosia è stata oggetto di studio tramite risonanza magnetica funzionale, in sogetti affetti da deterioramento cognitivo lieve [64, 64] o in pazienti traumatizzati cranici [65].

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- 27 - OBIETTIVI

Allo stato attuale delle conoscenze, non è ancora stato definito un protocollo ottimale per indagare la compromissione del SNC nei pazienti affetti da DM1, sia per quel che riguarda la valutazione neuropsicologica che quella neuroradiologica. Nonostante i numerosi studi di risonanza magnetica sulle alterazioni del SNC di questi soggetti, la frequenza e localizzazione di tali anomalie, nonché la loro relazione con il profilo cognitivo, l’età d’esordio, la durata del decorso e il profilo genetico rimangono controverse.

L’anosognosia genera nei pazienti un’ammissione parziale delle loro difficoltà, che interferisce con la sua adattabilità ai trattamenti e nella relazione con le figure di accudimento. La mancanza di consapevolezza circa il proprio stato di malattia è stata già studiata in altre patologie neurologiche di origine organica o neurodegenerativa, ma mai nei pazienti affetti da DM1.

Gli obiettivi di questo lavoro sono stati, pertanto, quelli di:

- raccogliere dati rilevanti circa il profilo psicologico e neurocognitivo dei soggetti per definire l’entità del coinvolgimento del SNC e, in particolare, dei disturbi della consapevolezza di malattia nella DM1;

- individuare all’imaging alterazioni morfologiche e funzionali tipiche della malattia

- ricercare eventuali correlazioni tra i profili clinico, psicologico e neuroanatomico del paziente

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- 28 - MATERIALI E METODI

Pazienti

Sono stati reclutati 20 pazienti affetti da DM 1 (17 maschi e 3 femmine) di età compresa tra i 23 e i 64 anni (media di 45 anni), tra quelli seguiti all’interno della Clinica Neurologica dell’Università di Pisa. Tutti i pazienti selezionati non presentavano comorbidità a carico del SNC, non avevano controindicazioni nell’eseguire esami di risonanza magnetica, non soffrivano di gravi disturbi psichiatrici o ritardo mentale, non facevano abuso di sostanze alcoliche o altre sostanze psicoattive. La diagnosi su tutti i pazienti è stata effettuata tramite indagine molecolare, il che ci ha permesso di stratificare il campione in base all’estensione della mutazione: al di sotto delle 150 ripetizioni della tripletta CTG i pazienti rientrano nel range E1 di malattia; tra 150 e 1000 nel range E2; sopra 1000 al range E3. Il 55% dei pazienti reclutati rientra nel range E1, il restante 45% al range E2. Ogni paziente è stato valutato in regime ambulatoriale per verificare la perdita di forza muscolare tramite assegnazione di un punteggio sulla scala MRC (Medical Research Counsil), e il deficit motorio tramite l’assegnazione di un punteggio sulla scala MIRS (Muscular Impaitment Rating Scale). I punteggi della MIRS vanno da 1 a 5, corrispondenti rispettivamente a deficit moderato e grave; tra i 20 pazienti reclutati, 2 (10%) hanno totalizzato 1, 1 (5%) ha totalizzato 2, 12 (60%) hanno totalizzato 3, 3 (15%) hanno totalizzato 4 e 1 (5%), infine, ha totalizzato 5. Tutti i pazienti sono affetti dalla forma classica di DM1 a insorgenza nell’adulto: l’età all’esordio varia dai 12 ai 45 anni (media 27,6 anni) e la durata

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di malattia dai 2 ai 29 anni (media 12 anni). Il livello di educazione medio è di 12 ±4 anni.

Valutazione neuropsicologica

I 20 pazienti sono stati sottoposti a valutazione così composta:

- seduta d’inquadramento clinico dei disturbi dell’umore, della personalità e della qualità di vita del paziente.

- seduta di valutazione neuropsicologica attraverso somministrazione di una batteria di test per le principali funzioni cognitive da indagare nei pazienti (attenzione, percezione, memoria, linguaggio, orientamento, gnosia). Entrambe le sedute sono state condotte da un esaminatore esperto con una durata approssimativa di 90 minuti ciascuna, in un ambiente confortevole e silenzioso. Per la valutazione dell’umore sono state utilizzate scale validate e standardizzate per depressione, ansia e apatia: la sintomatologia depressiva è stata inquadrata tramite Beck Depression Inventory (BDI-II)[66]; le manifestazioni d’ansia con

State-Trait Anxiety Inventory form Y2 (STAI-Y2)[67]; l’apatia tramite Apathy

Evaluation Scale (AES)[68]. La soglia di cut-off impiegata per valutare l’apatia

del soggetto era un punteggio di 18, mentre per l’ansia il punteggio soglia è stato diminuito da 40 a 38 per controbilanciare il fatto che alcuni item potessero sottostimare il risultato. Per la depressione il risultato è stato considerato positivo se il punteggio era al di sopra del 90° percentile.

La qualità di vita è stata valutata tramite INQoL [69], questionario specifico per la qualità della vita in pazienti affetti da malattie neuromuscolari; alcune domande dello stesso questionario sono state somministrate ai familiari non affetti del

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paziente (o a una figura accudente di riferimento), perché esprimessero un parere oggettivo sulle condizioni del paziente. Il punteggio totale (da 0 a 298) dell’INQoL si calcola sommando i punteggi dei singoli item e indica l’impatto della malattia percepito dal paziente sulla propria qualità di vita. Tale questionario ha una struttura che rende possibile distinguere alcuni punteggi di indice corrispondenti rispettivamente all’impatto dei sintomi fisici (INQoLp), all’impatto dei sintomi psichici (INQoLps) e all’impatto delle difficoltà socio-relazionali (INQoLsr). I punteggi assoluti vengono abitualmente espressi come percentuale sul punteggio massimo per rendere più facile l’interpretazione.

Non essendo attualmente disponibile un test formulato per indagare l’anosognosia come aspetto specifico, questa è stata valutata tramite il calcolo dei punteggi di discrepanza tra le risposte del paziente e quelle del familiare al questionario INQoL.

Allo scopo di effettuare una valutazione neuropsicologica affidabile è stata messa a punto la batteria di test riportata in tab.I [70].

Sono stati elaborati i risultati dei test neuropsicologici che non fossero inficiati da deficit motori (miotonia, ipostenia) o visivi (cataratta, ptosi).

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Memoria verbale

15 Rey Rievocazione immediata e differita

Digita Span Memoria verbale a breve termine

Memoria visuospaziale

Figura complessa di

Rey-Osterrieth (DR) Memoria visuospaziale a rievocazione differita Blocchi di Corsi Memoria visuospaziale a breve termine

Abilità visuospaziali

Copia della figura di Rey-Osterrieth

Pianificazione visuospaziale e abilità visuocostruttiva

Domini frontali

Trail Making Test Attenzione selettiva e distribuita, set-shifting,

pianificazione visuospaziale, velocità psicomotoria

FAS Fluenza fonemica su stimolo

FAB (Frontal Assessment Battery)

Abilità logiche, flessibilità mentale, compiti di inibizione e automatismi, astrazione concettuale

STROOP Attenzione e sensibilità alle interferenze

WCST (Winsconsin Card Sorting Test)

Funzioni esecutive, categorizzazione, flessibilità, set-shifting

Abilità intellettive PM47 (Matrici

progressive di Raven)

Abilità astrattiva basata sulle relazioni spaziali, non influenzato dal livello culturale

Tabella I: I test somministrati sono stati raggruppati per area d’interesse; accanto, le funzioni che il singolo test esamina nello specifico

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Acquisizione delle immagini di Risonanza Magnetica

Tutte le acquisizioni sono state effettuate tramite scanner 3T MR750 GE Medical System, dotato di bobina per il cranio a 8 canali con tecnologia ASSET. Per ridurre la comparsa di artefatti da movimento sono stati utilizzati appositi cuscinetti per limitare gli spostamenti della testa all’interno della bobina. Tutti i soggetti partecipanti allo studio sono stati sottoposti allo stesso protocollo di acquisizione che prevedeva, nell’arco della stessa seduta, l’acquisizione di immagini di tipo morfologico e di tipo funzionale.

Il protocollo prevedeva l’impiego delle seguenti sequenze: Imaging strutturale:

Scansioni sul piano sagittale

FSPGR BRAVO ISO (TR: 8.1; TE: 3.2; TI 450; flip angle 12°; FOV 256 mm; matrix 256x256; spessore 1.0 mm; spacing 0 mm; NEX 1.0);

CUBE T2 FLAIR (TR=8000ms, TE: 119.2; TI: 2251; FOV 256 mm; matrix 256x256, spessore 1.0 mm,; NEX 1.0)

Scansioni sul piano assiale

T2 FRFSE (TR: 7088ms; TE: 102ms; ETL: 24; FOV 240 mm; matrix 384x384; spessore 4 mm; spaziatura 0,5 mm; NEX 2.0);

Imaging funzionale:

fMRI (TR: 2100ms; TE: 40ms; flip angle 90°; FOV 260 mm; matrix 128x128; spessore 4 mm, spaziatura 1 mm; 324 volumi)

Il tempo complessivo dell’esame era di 50 minuti; non è stato impiegato alcun mezzo di contrasto.

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L’imaging anatomico è stato utilizzato nei pazienti con DM1 per la valutazione dell’atrofia cerebrale e per la valutazione del carico lesionale della sostanza bianca encefalica. La valutazione dell’atrofia cerebrale è stata effettuata con metodo manuale (a ROI) e con metodo automatizzato (VBM) per la misura operatore indipendente della atrofia corticale. La valutazione del carico lesionale della sostanza bianca encefalica è stato effettuato applicando una scala visiva standardizzata (Fazekas modificata) e con un metodo manuale a ROI.

Volumetria

Valutazione dell’atrofia cerebrale con metodo a ROI

Per la valutazione volumetrica sono state utilizzate le immagini volumetriche CUBE T2 FLAIR, riformattate in assiale su fette di spessore di 4 mm a distanza di 4 mm l’una dall’altra. Le segmentazioni sono state eseguite manualmente su ciascuna fetta utilizzando il software AW VolumeShare 4 (ADVANTAGE WORKSTATION 4.3.), attraverso lo strumento “disegno a mano libera” disponibile durante la visualizzazione delle immagini. Sono stati misurati su ciascuna immagine la superficie di encefalo conservato (con sottrazione dello spazio pericorticale e intraventricolare, occupato da fluido cerebrospinale) e lo spazio intracranico totale (definito entro il perimetro del tavolato interno della scatola cranica) (fig.1). Moltiplicando la somma delle aree misurate su ciascuna immagine per lo spessore di fetta sono stati ottenuti i volumi encefalici e intracranici totali. Il rapporto tra volume encefalico totale e volume intracranico totale, o BPF (Brain Parenchymal Fraction), è stato calcolato come espressione del grado di atrofia, come già fatto in altri studi di analisi volumetrica su pazienti

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con DM1 [71]. Lo stesso lavoro è stato eseguito su due controlli sani analoghi per età al campione d’indagine, per avere dei valori di riferimento su cui valutare il grado di atrofia.

Figura 1: Esempio del procedimento utilizzato per la segmentazione manuale. Sono stati misurati il perimetro del tavolato interno della scatola cranica, l'area dell'encefalo, l'area dello spazio intraventricolare occupato da fluido cerebrospinale.

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Valutazione dell’atrofia cerebrale con metodo automatizzato di Voxel-Based Morphometry

La VBM è una tecnica d’analisi che permette di individuare alterazioni significative nell’encefalo tra due gruppi di soggetti oppure in un singolo gruppo di soggetti valutato in follow up. È una tecnica automatica, non richiede informazioni a priori circa la localizzazione di alterazioni o di regioni di interesse (ROI) sulle quali concentrare le analisi ed è operatore indipendente.

In questo studio, l’analisi è stata condotta tramite un algoritmo implementato in FSL (FMRIB Software Library v5.0), una raccolta software specifica per studi di risonanza magnetica strutturale, fMRI e DTI, dotata di applicazioni per l’analisi di immagini e l’elaborazione statistica dei dati [72, 73].

La procedura segue il protocollo sviluppato da Good et al.[74] e prevede i seguenti passi:

 eliminazione strutture non cerebrali mediante BET e normalizzazione  segmentazione tissutale

 creazione di un template di riferimento dello studio

 coregistrazone delle immagini native al template di riferimento  modulazione e smoothing delle immagini coregistrate

 analisi statistica.

Per poter effettuare il confronto con il gruppo di pazienti DM1 sono state raccolte le immagini strutturali T1 di 10 soggetti sani, 5 di sesso maschile e 5 di sesso femminile, di età compresa tra i 27 e i 66 anni con una media di 46,1 anni. Le immagini strutturali T1 di tutti i soggetti sono state elaborate tramite il software BET [75], che consente di separare le strutture encefaliche dagli altri tessuti; le

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immagini ottenute con il metodo automatico sono state ricontrollate e rifinite manualmente al fine di escludere strutture anatomiche adiacenti che potessero erroneamente essere state attribuite ed incluse dal software in una errata categoria di appartenenza. Durante la fase di normalizzazione l’immagine priva delle strutture non cerebrali è stata distorta per essere allineata ad uno spazio standard: le trasformazioni applicate all’immagine possono essere lineari (rotazione, traslazione, scalatura) oppure non lineari e sono necessarie per correggere differenze dovute alla diversa posizione della testa nello scanner o nella forma globale dell’encefalo. Successivamente è stata effettuata una segmentazione tissutale in sostanza grigia (grey matter, GM), sostanza bianca (white matter, WM) e fluido cerebrospinale mediante FAST4 [76]: ciascun voxel dell’immagine è stato associato ad una sola categoria sulla base di mappe spaziali probabilistiche e dell’intensità di segnale posseduta. Le immagini volumetriche GM ottenute sono state coregistrate allo spazio standard 152 del Montreal Neurological Institute (MNI) [77] tramite tool FLIRT [78,79], quindi sono state registrate non linearmente tramite FNIRT [80]. Allo scopo di creare un template specifico per lo studio, ottimizzato per il campione esaminato, le mappe di sostanza grigia coregistrate di 10 pazienti DM1 (5 anosognosici e 5 non anosognosici, in base ai risultati dell’INQoL) e dei 10 soggetti sani sono state mediate. Successivamente le immagini GM native di tutti i soggetti sono state registrate non linearmente a tale template specifico, ancora tramite FNIRT. Una volta registrate, le immagini GM sono state modulate e filtrate tramite kernel Gaussiano isotropico con sigma di 3 mm; la fase di modulazione consente di correggere le distorsioni dovute alla registrazione non lineare, mentre il filtraggio è un’operazione di convoluzione che

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porta ciascun voxel ad essere la media pesata dei voxel circostanti e rende la distribuzione dei dati più uniforme eliminando le alte frequenze spaziali. Per quanto riguarda l’analisi statistica è stato applicato un modello lineare generalizzato (GLM) con un test di permutazione non parametrico corretto per comparazioni multiple (p<0.001) tramite opzione TFCE (Threshold-FreeCluster-Enhancement; FMRI Centre, Department of Clinical Neurology, University of Oxford). Per valutare eventuali differenze nel volume di sostanza grigia tra i pazienti DM1 anosognosici e i pazienti DM1 non anosognosici è stata eseguita un’ulteriore analisi creando un secondo template specifico; tale template è stato ottenuto mediando le immagini di sostanza grigia coregistrate di 8 pazienti affetti da anosognosia e di 8 pazienti non affetti. Le immagini GM native di tutti i pazienti DM1 sono state registrate al template ottenuto, dopodiché, analogamente a quanto già descritto precedentemente, le immagini GM sono state modulate e filtrate ed è stato effettuato un test di permutazione non parametrico con opzione TFCE.

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Valutazione del carico lesionale della sostanza bianca

Carico Lesionale misurato con scala visiva

È stata effettuata un’analisi qualitativa preliminare sulle immagini T2 FRFSE, che ha consentito di raggruppare i pazienti in base alla sede topografica di lesione (fig.2). A ciascun paziente è stato assegnato un punteggio su una scala visiva (Fazekas modificata [81]), per la quale 0 corrispondeva ad assenza o non significatività delle lesioni, 1 (lieve) a lesioni singole sotto i 10 mm di diametro massimo o aree di raggruppamento di lesioni inferiori ai 20 mm di diametro massimo, 2 (moderato) a singole lesioni iperintense il cui diametro è compreso tra i 10 e i 20 mm o aree di confluenza maggiori di 20 mm, 3 (grave) a lesioni di diametro superiore ai 20 mm.

Carico Lesionale misurato con metodo manuale a ROI

Le stesse immagini riformattate su cui è stata effettuata la segmentazione della sostanza grigia sono state impiegate per effettuare un’analisi quantitativa delle lesioni della sostanza bianca, tramite segmentazione manuale analoga. La somma delle superfici delle lesioni iperintense della sostanza bianca moltiplicata per lo spessore di fetta ha permesso di ottenere il volume di sostanza bianca danneggiata nel contesto encefalico. Il carico lesionale è stato quindi espresso come rapporto percentuale del volume danneggiato rispetto al volume encefalico totale.

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Figura 2: Sezione assiale dell'encefalo di un paziente dove risultano visibile le ATWML patognomoniche nella DM1.

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- 40 - Studio Funzionale

Presentazione del Task

Durante l’acquisizione delle immagini funzionali è stato somministrato un esperimento con disegno a blocchi analogo a quello utilizzato in un precedente lavoro [63, 64] per indagare l’anosognosia. Il protocollo consisteva nella presentazione di uno stimolo “Self” e di uno stimolo “Semantic”. In entrambi i casi al paziente venivano presentati una serie di aggettivi ma durante la condizione Self veniva richiesto di indicare mediante la pressione di un pulsante se l’aggettivo visualizzato potesse descrivere o meno la loro personalità; durante il task Semantic invece ai pazienti veniva richiesto di indicare se l’aggettivo visualizzato avesse un connotato positivo oppure negativo. Per entrambi i task venivano presentati gli stessi 30 aggettivi ma con un ordine invertito; ogni aggettivo veniva visualizzato per un tempo massimo di 5 secondi durante il quale il soggetto doveva esprimere il proprio giudizio, quindi l’aggettivo successivo veniva presentato dopo 2 secondi di interstimolo durante i quali lo schermo era buio. Per rendere più semplice l’individuazione del compito richiesto nella schermata di visualizzazione degli aggettivi erano inserite delle intestazioni relative al task: per il task Self era riportata la frase “Io sono…” mentre per il task

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Per esprimere le proprie valutazioni, il paziente aveva a disposizione due pulsanti, ciascuno in prossimità di ogni mano: la pressione del pulsante con la mano sinistra indicava una risposta negativa; quella del pulsante a destra indicava una risposta affermativa. Allo scopo di isolare, in fase di elaborazione, il segnale legato alla componente motoria durante l’esperimento sono stati presentati anche stimoli neutri che consistevano nella visualizzazione del testo “Destra >>>” e del testo “<<< Sinistra” durante i quali al paziente era richiesta la pressione del tasto corrispondente. Gli stimoli sono stati somministrati in 12 blocchi pseudo randomizzati (6 per il task Self e 6 per il task Semantic) costituiti ciascuno da 5 aggettivi e 2 stimoli neutri; la durata complessiva del task era di 5 minuti e 48 secondi. Durante la somministrazione del task sono state registrate le risposte date agli stimoli, per valutare anche eventuali errori agli stimoli neutri, e sono stati calcolati i tempi di risposta ad ogni stimolo presentato.

Analisi dei dati

L’analisi dei dati funzionali è stata effettuata utilizzando il tool FEAT (versione 6.00) di FSL. Ogni data set di immagini è stato sottoposto ad un’elaborazione preliminare (preprocessing) necessaria per preparare i dati alla successiva fase di

Figura 3: Esempi degli stimoli somministrati ai pazienti. A sinistra, stimolo Self; a destra, stimolo Semnantic.

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elaborazione statistica. Il preprocessing dei dati consisteva in: correzione degli artefatti da movimento mediante tool MCFLIRT [79]; filtraggio temporale passa alto con cut off a 100 secondi; applicazione di uno smoothing spaziale mediante filtro gaussiano (FWHM) di 8 mm. L’analisi statistica di primo livello è stata condotta applicando un modello lineare (GLM). Il modello del segnale associato a ciascun voxel è stato ottenuto mediante un paradigma event-related nel quale ogni stimolo presentato veniva associato ad un predittore. I predittori utilizzati nel modello sono i seguenti: risposte agli stimoli Self; risposte agli stimoli Semantic; risposte corrette agli stimoli DESTRA e SINISTRA; pressioni del tasto destro; pressioni del tasto sinistro; stimoli non risposti (misses); errori. Nella matrice GLM sono stati inseriti come variabili aggiuntive i 6 parametri di spostamento (rotazioni e traslazioni su assi x, y e z) stimate da MCFLIRT con lo scopo di eliminare residui effetti del movimento della testa. Al fine di ottenere un riferimento anatomico confrontabile tra le mappe statistiche di ogni soggetto, i dataset funzionali sono stati coregistrati alle rispettive immagini strutturali, precedentemente elaborate, attraverso una trasformazione lineare con 6 gradi di libertà (FLIRT). Dopodichè sia le immagini strutturali che le immagini funzionali sono state allineate allo standard di riferimento MNI con trasformazione lineare a 12 gradi di libertà (FLIRT). Dall’analisi di primo livello sono state ottenute, per ogni soggetto, le mappe relative allo stimolo Self, allo stimolo Semantic e le mappe di confronto Self > Semantic e Semantic > Self, per mettere in evidenza quali aree risultassero attivate durante un compito rispetto all’altro. Le mappe sono state visualizzate applicando una sogliatura per cluster con un threshold Z pari a 2,3 e una soglia di significatività del cluster di p=0,05.

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