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Ipovitaminosi D nelle malattie reumatiche con particolare riferimento al Lupus eritematoso sistemico

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Academic year: 2021

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(1)

Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

“Ipovitaminosi D nelle malattie reumatiche con particolare

riferimento al LES”

Candidata: Relatrice: Vincenza Spera Prof.ssa Ombretta Di Munno

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Indice

1. Introduzione...2 1.1 Sintesi e metabolismo...2 1.2 Meccanismo d'azione...6 1.3 Effetti calciotropi...8 1.4 Effetti muscolo-scheletrici …...15

1.5 Effetti pleiotropici non classici …...16

1.5.1 Vitamina D e neoplasie...16

1.5.2 Vitamina D e malattie cardiovascolari...17

1.5.3 Vitamina D e sistema nervoso...17

1.5.4 Vitamina D e diabete...18

1.5.5 Vitamina D e sistema immunitario...19

1.6 Prevenzione e trattamento dell'ipovitaminosi D...24

2. Vitamina D e Lupus eritematoso sistemico...27

2.1 Vitamina D e prevenzione delle fratture …...28

2.2 Vitamina D e attività di malattia...28

2.3 Vitamina D e rischio cardiovascolare …...…...29

3. Valutazione dello stato vitaminico D in una coorte di donne affette da LES : studio retrospettivo...30

3.1 Scopo dello studio...30

3.2 Materiali e Metodi...30 3.3 Analisi Statistica...31 3.4 Risultati...32 3.5 Discussione...38 3.6 Conclusione...40 4. Bibliografia …...43

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1. Introduzione

La Vitamina D da sempre conosciuta per il suo ruolo fondamentale nel metabolismo fosfo-calcico e nel mantenimento della massa ossea, grazie a recenti acquisizioni, è oggi ritenuta un ormone ad azione pleiotropica su molteplici organi e tessuti1, 2 .

1.1 Sintesi e Metabolismo

La vitamina D esiste in due forme: la vitamina D2 o ergocalciferolo

ottenuta dall'irradiazione dell'ergosterolo contenuto in lieviti e vegetali e la vitamina D3 o colecalciferolo sintetizzata principalmente nella cute. Sia la

vitamina D2 che la vitamina D3 sono inoltre contenute in alcuni alimenti

(tabella 1).

Tabella 1: Fonti di vit D 3

Fonti Contenuto di Vitamina D

Fonti naturali

Salmone fresco (circa 100 g) 600-1000 UI di vitamina D3

Salmone da allevamento (circa 100 g) 100-250 UI di vitamina D3 o D2

Salmone in scatola (circa 100 g) 300-600 UI di vitamina D3

Sardine in scatola (circa 100 g) 300 di UI di vitamina D3

Tonno in scatola (circa 100 g) 230 UI di vitamina D3

Olio di fegato di merluzzo (1 cucchiaino) 400-1000 UI di vitamina D3

Aringhe in scatola (circa 100 g) 250 UI di vitamina D3

Tuorlo d’uovo 20 UI di vitamina D3 o D2

Funghi Shiitake freschi (circa 100 g) 100 UI di vitamina D2 Funghi Shiitake secchi (circa 100 g) 1600 UI di vitamina D2 Esposizione alle radiazioni UVB (esposizione

alla luce per 5-10 min di braccia e gambe)

1000 - 3000 UI di vitamina D3 (in base alla stagione, latitudine, all’ora del giorno e al tipo di pigmentazione cutanea)

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Negli Stati uniti e in Canada sono entrambe utilizzate per integrare prodotti quali latte, pane, yogurt e preparati multivitaminici (tabella 2), atteggiamento condiviso in Europa soltanto da Svezia e Finlandia4, 5 .

Tabella 2: Fonti alimentari di vit D Alimenti fortificati

Latte 240 ml 100 UI di vitamina D3

Succo d’arancia 240 ml 100 UI di vitamina D3

Yogurt 240 ml 100 UI di vitamina D3

Burro 100 g 50 UI di vitamina D3

Margarina 100 g 430 UI di vitamina D3

Formaggio 85 g 100 UI di vitamina D3

Cereali (1 porzione) 100 UI di vitamina D3

La vitamina D3 sintetizzata a livello cutaneo contribuisce per l’80% al

nostro patrimonio vitaminico6, permanendo nel circolo sanguigno almeno

due volte in più rispetto a quella ingerita con gli alimenti. Durante l'esposizione alla luce solare (figura 1), i raggi UVB (lunghezza d'onda 290-315nm)7 vengono assorbiti dal 7-deidrocolesterolo contenuto nell'epidermide, il quale viene trasformato in previtamina D3. Quest'ultima

che è un prodotto instabile, si converte rapidamente tramite un processo temperatura-dipendente in vitamina D3, la quale passa dalle cellule cutanee

negli spazi extracellulari e poi in circolo, dove viene veicolata dalle proteine leganti la vitamina D (Vitamin D Binding Protein, DBP) 8 . Fattori che condizionano la sintesi cutanea di vitamina D sono rappresentati dalla specifica lunghezza d'onda dei raggi UVB (di solito presente per un numero limitato di ore, approssimativamente tra le 10:00 e le 15:00)9 che varia in relazione alla stagione ed alla latitudine, l’età (la produzione si riduce con l’avanzare dell’età) 10, la superficie, lo spessore e la pigmentazione della cute esposta al sole, il tempo di irradiazione e l'uso di creme contenenti filtri solari111. Un incremento dei pigmenti melaninici della cute o

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l’applicazione topica di filtri solari che abbiano un fattore di protezione superiore a 8, possono infatti diminuire di oltre il 90% la produzione di vitamina D312. Bisogna ricordare che l'eccessiva esposizione alla luce solare non causa un'intossicazione di vitamina D in quanto la previtamina D3 e la vitamina D3 in eccesso vengono trasformate per effetto dei raggi

UV in altri prodotti biologicamente inerti (lumisterolo, tachisterolo)13 .

La vitamina D assunta con la dieta viene incorporata nei chilomicroni a livello intestinale e assorbita nel sistema linfatico,da cui entra nel sangue venoso; insieme a quella prodotta nella cute , circola legata alle DBP e alle lipoproteine, dalle quali viene trasportata al fegato, dove subisce l’idrossilazione in C-25 ad opera dell‘enzima 25-idrossilasi, trasformandosi in 25-idrossivitamina D [25(OH)D] o calcifediolo3, 9, 14 . La 25(OH)D, che è

biologicamente inerte, viene veicolata dalle DBP nelle cellule del tubulo renale, dove è convertita nei mitocondri a 1,25-diidrossi-vitamina D [1,25(OH)2D3] o calcitriolo dalla 1α-idrossilasi8, 15, la cui attività è stimolata

dal paratormone (PTH), dall'ipocalcemia, dall'ipofosforemia e inibita dall'iperfosforemia, dal Fibroblast Growth Factor-23 (FGF-23) e dalla stessa 1,25(OH)2D33, 16, 17 . L’1,25(OH)2D3, che ha un’emivita di poche ore,

è il metabolita biologicamente attivo, responsabile del mantenimento dell’omeostasi fosfo-calcica. Infatti sebbene siano stati identificati oltre 40 metaboliti della vitamina D, solo l’1,25(OH)2D3 è ritenuto responsabile

della maggior parte delle attività biologiche in vari organi e tessuti8, 15. La

principale via di inattivazione dei metaboliti della vitamina D è un' idrossilazione aggiuntiva da parte dell’enzima 24-idrossilasi, espresso nella maggior parte dei tessuti e indotto dalla stessa 1,25(OH)2D3, il quale

metabolizza la 25(OH)D e l'1,25(OH)2D3 in prodotti inattivi escreti con la

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Fig.1 (Holick 2006)

La fotoproduzione e il metabolismo della vitamina D e vari effetti biologici dell'1,25(OH)2D su calcio, fosforo e metabolismo osseo .

(7)

1.2 Meccanismo d'azione

L'1,25(OH)2D3 esplica i suoi effetti biologici legandosi ai recettori della

vitamina D (Vitamin D Receptor, VDR), appartenenti alla superfamiglia dei recettori per gli steroidi19, 20. In realtà sono stati identificati due tipi di

recettore: il primo, localizzato nel nucleo, stimola direttamente la trascrizione genica e quindi la sintesi proteica ex-novo (meccanismo genomico); in particolare, il VDR nucleare si eterodimerizza con il recettore X dell'acido retinoico (RXR) e successivamente va a legare i Vitamin D Response Elements (VDREs) nei promotori di geni coinvolti in diverse funzioni biologiche, con effetto sia di up- che di down-regulation3, 14 21. Il secondo recettore è invece localizzato sulla membrana cellulare e

agisce inducendo la formazione di secondi messaggeri cellulari (come cAMP, diacilglicerolo, inositolo trifosfato, acido arachidonico) o fosforilando alcune proteine cellulari. Tale meccanismo d’azione (non genomico) giustifica gli effetti rapidi che si inducono usando l'1,25(OH)2D3

e i suoi derivati22, 23 . Il recettore per la vitamina D è presente non solo nei tessuti che regolano il calcio sierico come osso, intestino e rene, ma anche in altri tessuti e cellule quali cervello, mammella, colon, prostata, pancreas, cuore, cute, muscolatura scheletrica e cellule del sistema immunitario (tabella 3).

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Tabella 3 - Tessuti che esprimono VDR (Norman AW, Am J Clin Nutr, 2008 )

Adiposo Polmone Prostata

Adrenergico Linfociti B e T Retina

Osseo e osteoblasti Muscolo cardiaco Cute

Cervello (in generale) Muscolo liscio Stomaco

Cervello (amigdala) Cervello (ipotalamo) Cervello (glia)

Mammella Muscolo embrionale Follicolo pilifero

Cartilagine Ovaio Testicolo

Colon Cellule pancreatiche Timo

Epididimo,tubuli seminiferi

Paratiroide Tiroide

Intestino Parotide Utero

Rene Ipofisi Tonsille

Fegato Placenta Sacco vitellino

E’ dunque ragionevole che essa influenzi non solo il metabolismo minerale ma anche numerose altre funzioni dell’organismo24, 25 . Inoltre gran parte di queste cellule (neuroni, cellule prostatiche, macrofagi e altre cellule del sistema immune) possiedono anche la capacità di produrre la vitamina D attiva, grazie all'enzima 1α-OHasi8, 26 (figura2). L’affinità del recettore della vitamina per l'1,25(OH)2D3 è mille volte maggiore rispetto a quella per la

25(OH)D o per altri metaboliti. C'è evidenza che i geni regolati direttamente o indirettamente dall'1,25(OH)2D3 siano da 200 a 2000 20 , con

molteplici effetti biologici tra cui l'inibizione della proliferazione e l'induzione della differenziazione cellulare, l'inibizione dell'angiogenesi, la stimolazione della produzione di insulina, l' induzione dell'apoptosi, l'inibizione della produzione di renina e la stimolazione della produzione di catelicidina nei macrofagi27, 28 .

(9)

Fig.2 :M. Hewison et al. / Molecular and Cellular Endocrinology 215 (2004) 31–38

1.3 Effetti calciotropi

E' noto come la carenza di vitamina D comporti numerose conseguenze sul sistema muscolo-scheletrico: in Europa già a partire dal tardo 1600 durante l'industrializzazione, è stato osservato come un severo deficit di vitamina D, causato da una ridotta esposizione solare, determinasse nei bambini una riduzione dell'assorbimento di calcio con sviluppo di rachitismo, riduzione della mineralizzazione ossea, ritardo di crescita e deformità ossee soprattutto a livello degli arti inferiori e delle ossa pelviche con conseguenti

(10)

difficoltà nell'espletamento del parto in donne rachitiche 29, 4.

In modo analogo negli adulti il deficit vitaminico D determina lo sviluppo di osteomalacia, caratterizzata dalla riduzione della densità minerale ossea (Bone Mineral Density, BMD) con conseguente ridotta resistenza ai traumi meccanici, dolori ossei diffusi e iperparatiroidismo secondario che accellera la perdita ossea30 . La funzione endocrina primaria regolata dalla vitamina D è infatti quella di mantenere l'omeostasi fosfo-calcica; essa provoca un aumento del calcio sierico attraverso diversi meccanismi: a livello dell'intestino tenue, l'1,25(OH)2D3 promuove l'assorbimento del

calcio31 regolando la sintesi dei canali epiteliali e della calbindina, una proteina legante il calcio espressa nell’intestino, che svolge il ruolo di trasporto attivo del calcio attraverso l’enterocita31 . Inoltre l'1,25(OH)

2D3

potenzia l'assorbimento di fosforo intestinale. Negli stati deficitari di vitamina D soltanto il 10-15 % di calcio e il 60% di fosforo contenuti nella dieta vengono assorbiti, diventando rispettivamente, il 30- 40% e l’80% in presenza di essa15, 32 . La riduzione del calcio e del fosforo sierico stimola la

secrezione di PTH da parte delle paratiroidi con conseguente iperparatiroidismo secondario, il quale stimola l'espressione renale dell'1α-OHasi, la formazione dell'1,25(OH)2D3 e l'osteoclastogenesi. Inoltre in

condizioni di ipocalcemia, l'1,25(OH)2D3 interagisce anche con il sistema

RANKL/RANK 33, 34 coinvolto nel rimodellamento osseo, legandosi ai

VDR presenti negli osteoblasti e inducendo l'espressione di RANKL da parte di tali cellule. Quest'ultimo è una proteina appartenente alla famiglia del TNF-α che stimola il riassorbimento osseo legandosi al recettore RANK, espresso sugli osteoclasti e sui loro precursori di cui favorisce la differenziazione, l’attività e la sopravvivenza 33 (figura 3).

(11)

Fig.3

Anche il PTH stimola l’espressione osteoblastica di RANKL e questo, insieme all’aumentata sintesi a livello renale di 1,25(OH)2D3, rappresenta

uno dei meccanismi attraverso i quali il PTH contribuisce ad innalzare i livelli calcemici. Infatti durante il riassorbimento osseo gli osteoclasti liberano H+ e collagenasi, mobilizzando i depositi di calcio e fosforo e ristabilendo così le concentrazioni sieriche di tali elettroliti34.

L'1,25(OH)2D3 interviene inoltre a livello dei tubuli renali distali,

aumentando il riassorbimento di calcio e fosforo. In questo agisce sinergicamente col PTH solo nei confronti del calcio, mentre per quanto riguarda il fosfato i due ormoni hanno un azione opposta, essendo noto l'effetto fosfaturico del PTH. Il deficit vitaminico D si associa ad una riduzione generalizzata della BMD e al conseguente sviluppo progressivo di osteopenia e osteoporosi, con un aumentato rischio di cadute 3, 35. Da una

meta-analisi di trials randomizzati e controllati condotta su soggetti anziani (età ≥ 65 anni) è stato osservato come supplementazioni maggiori o uguali

(12)

a 800 UI/die di colecalciferolo (vitamina D3) riducano di circa il 30% il rischio di fratture femorali e del 14% il rischio di altri tipi di fratture (eccetto le vertebrali)36. Risultati non in linea con questi, di recente

pubblicazione 37, 38 (figura 4) sono almeno in parte da ricondurre ad una

(13)

Fig.4- Rischi relativi di fratture femorali(A) e fratture non vertebrali(B) fra soggetti trattati con

vitamina D e controlli.

La metaregressione A che include 9.294 soggetti, indica una relazione inversa significativa fra concentrazioni di 25(OH)D più alte, nel gruppo trattato, e rischio di

frattura femorale (b = -0,009, p = 0,02). Sono stati aggiunti i risultati dello studio WHI 37. La metaregressione B che include 9.820 soggetti, indica

una relazione inversa significativa fra concentrazioni di 25(OH)D più alte, nel gruppo trattato ,e rischio di frattura non vertebrali (b = -0,006, p = 0,03). Sono stati aggiunti i risultati dello studio RECORD38

Sebbene non sia stata acquisita un'adeguata standardizzazione delle metodiche di dosaggio39, la 25(OH)D è il principale metabolita utilizzato

come indicatore dello stato vitaminico D; essa è caratterizzata da un'emivita in circolo di due settimane (tabella 4).

(14)

Tabella 4

Essa rappresenta anche la forma di riserva della vitamina, pronta ad essere reimmessa in circolo per l’ulteriore metabolizzazione15. La definizione dei

livelli normali di 25(OH)D si è modificata nel tempo ed oggi si definisce grave carenza di vitamina D, la presenza di livelli sierici di 25(OH)D inferiori o uguali a 20 ng/ml (50 nmol/l), si parla invece di insufficienza lieve per livelli compresi tra 21 e 29 ng/ml (52,5-72,5noml/l) e di sufficienza per livelli sierici superiori a 30 ng/ml (75 nmol/l ) 3, 40 (tabella 5). Benchè l'1,25(OH)2D3 rappresenti la forma attiva essa non è utile per la

valutazione diagnostica19, 41 poichè ha una breve emivita (circa 4 ore), circola in concentrazioni 1000 volte minori rispetto alla 25(OH)D, i suoi livelli sierici sono strettamente correlati a quelli di PTH, calcio e fosfato; infine, anche in presenza di un severo deficit di vitamina D, i livelli potrebbero essere sia normali sia elevati a causa della sovraespressione dell'1α-OHasi41.

25(OH)D: il migliore indicatore dello

stato vitaminico D

• E’ il substrato per la produzione renale ed

extrarenale di 1,25(OH)2D

• Ha un’emivita biologicamente più lunga di

1,25(OH)2D

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STATO VITAMINICO D: 25(OH)D

Linee Guida SIOMMMS 2011

Tabella 5 Sufficienza: 30-100 ng/ml Insufficienza : 20-<30 ng/ml Carenza: < 20 ng/ml Eccesso: > 100 ng/ml Intossicazione:> 150 ng/ml

Il deficit di vitamina D è un problema ampiamente diffuso a livello mondiale; è stato stimato infatti che circa un miliardo di persone possiedano livelli di vitamina D insufficienti o carenti24, 42. Anche in Italia il deficit è particolarmente frequente, specie negli anziani e nei mesi invernali43, 44 45, 46 . La carenza è tanto comune che l'86% delle donne italiane sopra i 70 anni presenta livelli ematici di 25(OH)D inferiori a 10ng/ml 47. Questo rilievo si aggrava maggiormente nei soggetti istituzionalizzati o con altre patologie concomitanti 48, 49 sia per la scarsa esposizione solare che per squilibri proteici. Le principali cause di ridotta sintesi vitaminica comprendono l'inadeguata esposizione solare50, l'uso di filtri protettivi51, il vivere ad alte latitudini52 , la carnagione scura53, 54 , la stagione invernale e l'inquinamento ambientale55 oltre a specifiche condizioni cliniche che interferiscono con il metabolismo della vitamina D ( tabella 6)56

(16)

Tabella 6- Condizioni di deficit di vitamina D Diminuita bio-disponibilità A. Malassorbimento di grassi - Fibrosi cistica - Malattia celiaca - Morbo di Whipple - Morbo di Crohn

- Intervento di by- pass gastro-intestinale - Farmaci che riducono l’assorbimento di grassi - Altro

B. Ridotta disponibilità

- Obesità con sequestro della vitamina D nel tessuto adiposo

Aumentato catabolismo / consumo

- Anticonvulsivi - Glucocorticoidi

- Farmaci per il trattamento dell’AIDS o anti-rigetto. - Allattamento e gravidanza

Diminuita sintesi di 25(OH)D

- Grave insufficienza epatica

Perdite urinarie di 25(OH)D

- Sindrome nefrosica

Diminuita sintesi di 1,25(OH)2D

- Insufficienza renale cronica - Iperfosforemia

- Deficit congeniti di 1-idrossilasi

1.4 Effetti muscolo-scheletrici

Le prime associazioni tra vitamina D e sistema muscolare derivano da osservazioni cliniche di debolezza e dolore muscolare in pazienti affetti da osteomalacia da deficit vitaminico. L'azione dell'1,25(OH)2D3 regola il

trasporto di calcio intracellulare nelle cellule muscolari 57 58, il metabolismo

fosfolipidico59, la proliferazione e differenziazione delle cellule muscolari,

oltre alla sintesi di specifiche proteine muscolari60. Nei bambini la miopatia

è caratterizzata da debolezza muscolare e ipotonia. Negli adulti si presenta prevalentemente come debolezza dei muscoli prossimali con difficoltà a

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salire le scale, ad alzarsi in piedi da seduti e a sollevare oggetti 61. Altre

caratteristiche cliniche includono un'andatura dondolante e un'atrofia generalizzata muscolare con conservazione della sensibilità e dei riflessi tendinei profondi 62. Murad et al. in una revisione sistematica comprendente

26 studi, hanno evidenziato come la supplementazione con vitamina D e calcio riduca significativamente il rischio di cadute, spiegabile con un miglioramento della funzione muscolare e dell'equilibrio soprattutto in soggetti anziani istituzionalizzati 63 .

1.5 Effetti pleiotropici non classici

1.5.1 Vitamina D e neoplasie

Ci sono ampie evidenze di come la 1,25(OH)2D3, regolando l'espressione

di almeno 50 geni diversi specifici per il controllo del ciclo cellulare 64,

possa indurre la differenziazione cellulare, inibire la proliferazione cellulare e attivare l'apoptosi cellulare 24 . Diversi studi hanno dimostrato un

rischio più elevato di tumori quali linfoma di Hodgkin, tumore pancreatico, del colon, della prostata e della mammella in soggetti che vivono a più alte latitudini a causa della minor produzione di vitamina D3 . Una meta-analisi

riguardante l'incidenza di cancro in circa 100 paesi come Australia, Giappone, Cina e Spagna ha rivelato una correlazione inversa tra l'esposizione solare e 15 tipi di cancro (del colon, della mammella, rettale, renale, prostatico, cervicale, endometriale, vulvare, vescicale, esofageo, gastrico, pancreatico, polmonare, ovarico e linfomi)65. Sia studi

epidemiologici prospettici sia retrospettivi, hanno dimostrato che livelli di 25(OH)D inferiori a 20ng/ml sono associati ad un rischio maggiore del 30-50% di tumore del colon, della prostata e della mammella insieme ad un maggior tasso di mortalità ad essi correlato 66, 6768. Da un trial randomizzato

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e controllato della Women’s Health Initiative (WHI) è emerso come donne aventi una concentrazione sierica di 25(OH)D<12ng/ml, nonostante la supplementazione con 400 UI di vitamina D3 e 1000 mg di calcio al giorno, mostrassero un rischio di sviluppare il cancro del colon retto 253 volte superiore rispetto a quelle con livelli maggiori di 24 ng/ml in terapia con le stesse supplementazioni da sette anni 69 .

1.5.2 Vitamina D e malattie cardiovascolari

Da numerosi studi condotti sullo status vitaminico D è emerso che il deficit vitaminico è associato a fattori di rischio per le malattie cardiovascolari70,

alle malattie cardiovascolari stesse 71 e all'aumento della mortalità ad esse

correlato 72 . Il recettore VDR è stato evidenziato a livello delle cellule

muscolari lisce dei vasi 73, degli endoteliociti, dei cardiomiociti e dei fibroblasti cardiaci 74. L'insufficienza e la carenza di vitamina D è stata documentata in pazienti con infarto miocardico acuto75, ictus76, 77, insufficienza cardiaca, miocardiopatia diabetica75, 78 e arteriopatia periferica79; esse predispongono inoltre ad un'attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone78, con conseguente insorgenza di ipertensione arteriosa80, ipertrofia del ventricolo sinistro e delle cellule muscolari lisce vascolari.

1.5.3 Vitamina D e sistema nervoso

La presenza sia dei VDR sia dell'1α-OHasi a livello cerebrale ha permesso di associare il deficit di vitamina D e disturbi neuropsichiatrici81 : in

particolare diversi studi hanno dimostrato un'associazione tra bassi livelli di 25(OH)D e depressione82, la quale mostrava qualche miglioramento a

seguito della supplementazione con vitamina D83 . Il deficit è stato inoltre

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malattia di Alzheimer86 e declino neurocognitivo87, suggerendo un probabile

effetto neuroprotettivo della vitamina D.

1.5.4 Vitamina D e diabete

Studi epidemiologici hanno dimostrato come l'incidenza di diabete mellito di tipo 1 (T1DM) sia più elevata in zone geografiche a minore esposizione solare suggerendo una correlazione tra il deficit di vitamina D e la malattia

88. Diversi studi osservazionali hanno infatti riportato come i livelli di

25(OH)D in giovani adulti e bambini con T1DM fossero più bassi rispetto ai controlli89, 9091.

Da una meta-analisi di dati provenienti da 4 studi caso-controllo e da uno studio di coorte è emerso come il rischio di T1DM fosse significativamente ridotto nei bambini che avevano ricevuto supplementazioni di vitamina D rispetto ai controlli. E' stato dimostrato anche un effetto dose-risposta, in quanto coloro che assumevano dosi più alte di vitamina D mostravano un rischio più basso di T1DM 92. L' 1,25(OH)

2D3 agisce sull'omeostasi

glucidica attraverso molteplici meccanismi: essa regola direttamente la crescita e la differenziazione delle cellule β pancreatiche, aumenta la loro resistenza all'apoptosi, riduce la secrezione di citochine infiammatorie come IL-12 e IFN-γ le quali partecipano alla distruzione immuno-mediata di tali cellule in corso di T1DM, influenza la secrezione insulinica mediante la regolazione dei livelli intracellulari di calcio ed aumenta la sensibilità insulinica nelle cellule target epatiche, muscolari e adipose93. Per tali motivi

bassi livelli di vitamina D sono considerati un fattore di rischio anche per il diabete mellito di tipo 2 e per la sindrome metabolica94. Una meta-analisi di 11 studi prospettici ha in effetti mostrato una significativa correlazione inversa tra i livelli sierici di 25(OH)D e l'incidenza di diabete di tipo 295.

(20)

1.5.5 Vitamina D e sistema immunitario

La scoperta che il VDR è costitutivamente espresso dalle cellule presentanti l'antigene (APCs) come macrofagi e cellule dendritiche (DCs) ed è inducibile nei linfociti attivati (figura 2), suggerisce un ruolo specifico dell' 1,25(OH)2D3 nel sistema immunitario e nella risposta autoimmune sia di

tipo innato che adattativo (figura 5)96 ,97

.

Fig.5-Effetti della vitamina D sull'imunità innata e adattativa (Hewison M Endocrinol Metab Clin N AM 2010)

Nei primi anni del '900 è stato in effetti osservato che i bambini affetti da rachitismo avessero un rischio maggiore di infezioni delle alte vie respiratorie (tubercolosi e polmoniti in generale) 8, 97 e che l'esposizione

solare era consigliata per prevenirle. I macrofagi, cellule dell'immunità innata, hanno il ruolo di fagocitare ed eliminare gli organismi patogeni e i detriti cellulari . L’attivazione dei Toll-like receptors (TLRs) presenti sui

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macrofagi, da parte dei patterns molecolari patogeno-associati (PAMPs) porta a un'aumentata espressione del VDR e di geni target del VDR, i quali aumentano la sintesi della catelicidina e di altri peptidi antimicrobici. La catelicidina, esegue innumerevoli compiti immunomodulatori oltre alle ben note proprietà antimicrobiche e citotossiche; essa infatti induce la chemiotassi di neutrofili, monociti, macrofagi e linfociti T nella cute; promuove la proliferazione e migrazione cheratinocitaria98 e stimola

l’aumento di citochine come IL-6, IL-8, IL-10. Inoltre i macrofagi attivati sono capaci di sintetizzare e secernere 1,25(OH)2D3 grazie alla presenza

dell'enzima 1α-OHasi, la cui espressione è regolata da segnali immunitari come l'interferone-γ (IFNγ)99. L'immunità innata coinvolge anche la

presentazione dell'antigene alle cellule dell'immunità adattativa, azione svolta prevalentemente dalle cellule dendritiche. Diversi studi hanno dimostrato come 1,25(OH)2D3 possa attenuare la presentazione antigenica

inibendo la differenziazione e maturazione di tali cellule riducendo l' espressione delle molecole del complesso maggiore di istocompatibilità di classe 2 (MHC-II) e delle molecole costimolatorie (CD40,CD80 e CD86). La vitamina D sembra influenzare l’attivazione dei linfociti T citochino-mediata; in particolare l' 1,25(OH)2D3 inibisce la produzione dell'IL-12,

(coinvolta nella stimolazione dei linfociti Th1 CD4+ e nell'inibizione dei linfociti Th2 CD4+) e stimola la sintesi dell' IL-10 (la quale ha effetto opposto all'IL-12 e promuove l'apoptosi delle cellule dendritiche) 100. Le

DCs mature mostrano da un lato una diminuizione dei VDR rispetto alle DCs immature e ai monociti e dall'altro un'aumentata espressione dell' 1α-OHasi. Questa organizzazione reciproca fa si che le cellule dendritiche mature siano relativamente insensibili all’1,25(OH)2D3, mantenendo la loro capacità di favorire una risposta T iniziale e stimolare l’immunità acquisita. Allo stesso tempo, l’1,25(OH)2D3 sintetizzata da queste cellule sarà in grado di agire sul VDR espresso dalle cellule dendritiche immature,

(22)

limitandone l’ulteriore maturazione, che comporterebbe una conseguente sovra-stimolazione dei linfociti T. Le cellule dendritiche possono essere divise in due gruppi, mieloidi (mDCs) e plasmocitoidi (pDCs), caratterizzate da un diverso profilo citochinico e chemochinico. Esse sembrano esercitare effetti complementari sui linfociti T, infatti mentre le mDCs sono efficienti cellule presentanti l'antigene (APCs)101, le pDCs sono strettamente legate alla tolleranza immunitaria102. L’ 1,25(OH)

2D3 regola in modo preferenziale le mDCs, con conseguente soppressione dell’attivazione dei linfociti T naive103 . La scoperta dei VDR nei linfociti T

attivati dall'antigene ha permesso di focalizzare l'attenzione sull'attività anti-proliferativa della vitamina D. Tra i vari sottogruppi linfocitari il target principale dell' 1,25(OH)2D3 risultano essere i linfociti T-helper.

L'attivazione antigene mediata dei linfociti T-helper, risulta nella produzione dei pluripotenti Th0 i quali possono differenziarsi in Th1 o Th2104 105. E' stato visto come l' 1,25(OH)2D3 stimoli i linfociti T a

polarizzarsi verso il fenotipo Th2, che si ritiene abbia una funzione più regolatoria, tramite l'aumentata sintesi delle citochine IL-4, IL-5 e IL-10 e l'inibizione della sintesi di citochine associate ai linfociti Th1 quali IL-2, IFNγ e TNFα, che hanno invece una funzione più immunogena. In tal modo potrebbe venir limitato il potenziale danno tissutale associato alla risposta immune cellulo-mediata. L' 1,25(OH)2D3 inoltre inibisce la

produzione di IL-6, IL-23 e IL-17 riducendo la risposta dei linfociti Th17

(un sottogruppo di linfociti T CD4+ che svolgono un ruolo nel mantenimento dell’infiammazione)106, mentre induce la differenziazione e l’espansione dei linfociti T regolatori (Tregs) CD4+ CD25+ (cellule fondamentali nell’induzione della tolleranza immunitaria)107, con potenziali effetti positivi per le malattie autoimmuni e la reazione immunologica del trapianto contro l'ospite 108. Anche i linfociti B attivati esprimono i VDR ma inizialmente l'abilità dell'1,25(OH)2D3 di sopprimere la loro proliferazione

(23)

è stata ritenuta un effetto indiretto mediato dai linfociti Th. Studi recenti hanno dimostrato come in realtà la vitamina D abbia effetti diretti sull'omeostasi dei linfociti B, inibendo la loro differenziazione in plasmacellule, riducendo le cellule della memoria e la produzione di immunoglobuline 109.

Le numerose azioni della vitamina D sul sistema immunitario ne hanno evidenziato, attraverso studi genetici ed epidemiologici, un ruolo importante nell'incidenza e nelle manifestazioni cliniche di molte malattie autoimmuni (tabella 7)110.

(24)

Tabella 7

Malattie autoimmunitarie Livelli inferiori di vitD vs. soggetti sani Correlazione con manifestazioni cliniche o attività di malattia Polimorfismi del VDR Lupus eritematoso sistemico + + + S.me Ac antifosfolipidi + + NR Artrite reumatoide + + + Sclerosi sistemica + + NR

S.me di Sjogren Livelli normali + NR

Connettivite indifferenziata + +/- NR

Connettivite mista + NR NR

Miopatie infiammatorie Livelli normali - NR

Sclerosi multipla + + +

Tiroiditi autoimmuni + + +

Celiachia Livelli normali - NR

Diabete + + +

Morbo di Crohn + + +

Cirrosi biliare primitiva + + +

Malattie cutanee autoimmuni

+ NR NR

Alopecia areata + NR +

NR= non riportato

È stato visto ad esempio come la maggior parte dei pazienti con sclerosi multipla (SM) sia deficitaria di vitamina D e come livelli più bassi di 25(OH)D si associno ad una maggiore disabilità e tasso di riacutizzazioni della malattia stessa 111, 112 . Studi recenti hanno anche dimostrato come il deficit vitaminico aumenti il rischio di SM e come il trattamento con 400UI di vitamina D al giorno riduca tale rischio nelle donne del 42% 113. In uno studio europeo composto da pazienti affette da malattie tiroidee autoimmuni (sia tiroidite di Hashimoto sia morbo di Graves) sono stati riscontrati livelli sierici di 25(OH)D in media minori di 10ng/ml, con livelli più bassi associati alla presenza di autoanticorpi e anormalità della funzione tiroidea, il che suggerisce il ruolo del deficit vitaminico nella

(25)

patogenesi di malattia114 .

Tra le malattie reumatiche numerosi studi sono stati condotti sulle connettiviti e sull' artrite reumatoide. Per quanto riguarda quest'ultima oltre alla prevalenza del deficit vitaminico115 è stata dimostrata un'associazione con l'attività di malattia116 e come un introito maggiore di vitamina D sia associato ad un rischio minore di artrite reumatoide 117. In uno studio del 2010 Agmon-Levine et al. hanno dimostrato una significativa prevalenza del deficit vitaminico D in un gruppo di pazienti affetti da Sindrome da Anticorpi-antifosfolipidi (APLs) rispetto ai controlli, con livelli medi di 25OHD inferiori in quelli affetti da APLs secondaria a Lupus eritematoso sistemico rispetto a quelli con APLs primaria ; è stata osservata inoltre una correlazione tra il deficit di vitamina D ed alcune manifestazioni cliniche di malattia ( neurologiche, oftalmiche, polmonari, trombotiche, livedo reticularis e ulcere cutanee) 118. Il deficit di vitamina D sembra essere molto comune anche in pazienti con Sclerosi Sistemica indipendentemente dalla loro origine geografica 119, 120 ed è correlato sia all'osteoporosi sia a caratteristiche cliniche quali durata di malattia, dolori articolari, ispessimento cutaneo, alterazioni polmonari e markers infiammatori 121, 122 .

1.6 Prevenzione e trattamento dell'ipovitaminosi D

Diversi fattori influiscono sull'incremento della 25(OH)D sierica in risposta ad una data dose di vitamina D. Con una dose di 100UI al giorno l'incremento medio varia da 1,1ng/ml per bassi livelli iniziali e 0,7ng/ml per livelli iniziali più elevati di 25(OH)D 123 . L'incremento in risposta ad

una dose di vitamina D è anche funzione della massa corporea, risultando inferiore in soggetti con elevato BMI. Essendo infatti la vitamina D liposolubile, essa viene quasi totalmente distribuita al tessuto adiposo tramite la circolazione linfatica e liberata in piccole quantità, il che riduce

(26)

notevolmente la sua biodisponibilità124. Benchè i livelli di 25(OH)D

diminuiscano con l'avanzare dell'età, la risposta dei livelli sierici ad una data supplementazione è indipendente dall'età stessa; anche l'apporto alimentare di calcio non influisce sulla risposta della 25(OH)D sierica alla supplementazione con vitamina D. Il fabbisogno di vitamina D deve essere stimato empiricamente in quanto non c'è un valore universale ma cambia da individuo a individuo. I supplementi di vitamina D possono essere somministrati giornalmente o attraverso boli settimanali; per migliorare la compliance al trattamento è possibile ricorrere anche a boli mensili, trimestrali o annuali le cui dosi equivalenti dovrebbero essere maggiori di quelle giornaliere/settimanali cumulative. Gli schemi posologici raccomandati devono tener conto di potenziali interferenze di altre condizioni morbose (come insufficienza renale, insufficienza epatica, obesità, sindromi da malassorbimento) o terapie farmacologiche (glucocorticoidi, antiepilettici, farmaci per l'AIDS) che impongono un aumento delle dosi56. Negli individui a rischio, per prevenire l'insufficienza

è consigliato un apporto minimo quotidiano di 600 UI per i bambini al di sopra di 1 anno e per gli adulti fino ai 70 anni , di almeno 800 UI sopra i 71 anni e di 600 UI in gravidanza e allattamento5. Tuttavia senza un'adeguata

esposizione solare bambini e adulti necessitano di circa 800-1.000 UI al giorno; negli adulti è stato visto infatti come un'esposizione estiva su entrambe le superfici del corpo della durata di 20-30minuti/gg equivalga ad un apporto di 10.000-20.000 UI di vitamina D. Nei soggetti con carenza o insufficienza, una dose giornaliera inferiore a 2.000 UI non permette il raggiungimento di livelli adeguati di 25(OH)D; è stato stimato che per raggiungere livelli uguali o superiori a 30ng/ml occorrano circa 1.800-4.000 UI di vitamina D al giorno. Una volta identificata una condizione di carenza-insufficienza è necessario somministrare una dose cumulativa in funzione dei livelli iniziali di 25(OH)D, che varia tra 300.000 UI e

(27)

1.000.000 UI nell'arco di alcune settimane, seguita da una dose giornaliera di mantenimento tra le 800 UI e 2000 UI 56.

Tabella 8 - Stima della dose terapeutica e di quella di mantenimento in U.I. in funzione dei

livelli di 25(OH)D in soggetti che non hanno ricevuto supplementi nell’ultimo anno.

Valore basale di 25(OH)D Dose terapeutica cumulativa di vitamina D Dose giornaliera di mantenimento <10 ng/ml o 25 nmol/l 1000000 2000 10-20 ng/ml o 25- 50 nmol/l 600000 1000 20-30 ng/ml o 50-75 nmol/l 300000 800

La dose giornaliera massima tollerata è risultata essere di 4.000 UI; si consiglia un regolare monitoraggio dei livelli sierici di 25(OH)D per evitare un'intossicazione con conseguente ipercalcemia, deterioramento della funzione renale e disturbi gastrointestinali, soprattutto in pazienti ad alto rischio in cui si rileva un'abnorme conversione substrato-dipendente della 25(OH)D in 1,25(OH)2D3 (sarcoidosi, iperparatiroidismo primitivo)

125.

2. Vitamina D e Lupus eritematoso sistemico

Il Lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia infiammatoria, cronica, ad eziologia multifattoriale e patogenesi autoimmune ad alta mortalità e morbilità126 caratterizzata dalla produzione di un'ampia varietà

di autoanticorpi, da manifestazioni cliniche eterogenee (cutanee, articolari, ematologiche, renali, neuro-psichiatriche, sierositiche, etc.), da diversi gradi di severità e dall' alternanza di fasi di remissione e riacutizzazione127 .

(28)

femmine:maschi=8:1 ) con un picco d'incidenza che si osserva tra i 15 e i 40 anni; la prevalenza della malattia a livello mondiale varia da 20 a 150 casi su 100.000 individui e presenta una variabilità etnica essendo maggiore negli Afro-Americani, in cui si presenta precocemente e in forma più aggressiva, seguiti dagli Asiatici e infine dai Caucasici 128, 129 .

Nella patogenesi del LES entrano in gioco:

• fattori genetici come suggerito dalla familiarità, dalla concordanza tra gemelli omozigoti e dalla prevalenza etnica, con più di 20 loci genici associati alla malattia;

• fattori ormonali, data la maggiore incidenza in donne giovani con elevati livelli di ormoni sessuali (estrogeni, prolattina);

• fattori ambientali quali: fumo di sigaretta, infezioni virali, raggi UV, sostanze tossiche e alcuni farmaci capaci di indurre stress ossidativo e di agire come fattori scatenanti la malattia 130, 131 .

L'associazione tra vitamina D come ormone immuno-modulante e LES fu descritta per la prima volta nel 1979 da O'Regan et al. 132. È noto come la

prevalenza di ipovitaminosi D nei pazienti con LES sia significativamente superiore a quella della popolazione generale. Tale dato potrebbe essere correlato sia con la fotoprotezione, cui i soggetti con LES sono indirizzati allo scopo di ridurre il rischio di lesioni cutanee e riacutizzazioni di malattia, sia con la necessità di assumere farmaci come glucocorticoidi e immunosoppressori, capaci di interferire con il metabolismo della vitamina D modificandone i livelli sierici133,134. Data la prevalenza dell'ipovitaminosi

D nei pazienti con LES, Carvalho et al. in uno studio del 2007 hanno ipotizzato la presenza di autoanticorpi anti-vitamina D i quali sono risultati presenti solo nel 4% di 171 soggetti con LES e non correlavano con i livelli sierici di 25(OH)D135 .

(29)

2.1 Vitamina D e prevenzione delle fratture

I pazienti con LES hanno un rischio più elevato di osteoporosi e fratture da fragilità se comparati a controlli sani della stessa età e dello stesso sesso. Ciò è attribuibile a diversi meccanismi, sia malattia-specifici (artrite cronica, ridotta attività fisica, infiammazione sistemica con induzione di citochine stimolanti l'osteoclastogenesi, impegno renale, fattori endocrini) sia non malattia-specifici (ridotta esposizione solare con conseguente deficit di vitamina D, uso di glucocorticoidi, immunosoppressori quali ciclosporina e metotrexate, antiepilettici e anticoagulanti136 137). La terapia

protratta con glucocorticoidi (GC) si associa a vari effetti collaterali indipendenti dalla malattia di base tra cui la riduzione della densità minerale ossea che risulta essere dose-dipendente. La perdita della BMD è particolarmente rapida a livello trabecolare nei primi 6-12 mesi di trattamento (fino al 15 % annuo). La perdita successiva a livello corticale è più lenta (3-5 % all’anno). Inoltre circa 1/3 dei pazienti trattati con GC sviluppa fratture da fragilità dopo 5 anni di trattamento138. Dal momento

che i pazienti con LES hanno molteplici fattori di rischio per osteoporosi oltre a quelli tradizionali, si ha una più rapida demineralizzazione ossea, il che rende fondamentale mantenere un adeguato apporto vitaminico D 137.

2.2 Vitamina D e attività di malattia

Ci sono dati contrastanti per quanto concerne il livello di 25(OH)D e il grado di attività della malattia.Vari studi condotti su pazienti con LES hanno mostrato una correlazione inversa fra livelli di vitamina D ed attività di malattia 139, 134, 140, 141 ,142 ; tuttavia l’associazione fra ipovitaminosi D e

attività del LES è ancora controversa 143, 144, 145 .

(30)

immunologiche, in particolare ad un'iperattivazione dei linfociti B ed un'aumentata produzione di autoanticorpi anti-DNA. Al contrario la supplementazione con analoghi della vitamina D, sembra ridurre i Th17, i Th1 e le cellule B della memoria oltre a stimolare i linfociti Treg.

2.3 Vitamina D e rischio cardiovascolare

Una delle principali cause di mortalità e morbilità nelle donne con LES è attribuibile allo sviluppo precoce di aterosclerosi146 e alle conseguenti

malattie cardiovascolari che si manifestano con un'incidenza maggiore rispetto alla popolazione generale. È stato visto ad esempio come l'incidenza di infarto miocardico sia 5 volte maggiore nei soggetti con LES rispetto a controlli sani di uguale sesso ed età; in particolare, anche giovani pazienti di sesso femminile mostrano un significativo aumento di eventi cardiovascolari ischemici non fatali rispetto a donne sane della stessa età

147. In considerazione degli effetti pleiotropici della vitamina D, vari studi

sono stati condotti per chiarire il suo eventuale ruolo protettivo nei confronti del rischio cardiovascolare. Uno studio recente di Zhao et al. ha mostrato una correlazione inversa tra i livelli di 25(OH)D e tutte le cause di mortalità di natura cardiovascolare148 . Diversi studi hanno evidenziato una

correlazione significativa tra il deficit di vitamina D e parametri subclinici di interessamento cardiovascolare (CV) quali un' aumentata stiffness arteriosa ed una precoce disfunzione endoteliale (in assenza di manifestazioni cliniche di malattia o di significative lesioni aterosclerotiche), suggerendo il possibile ruolo della vitamina D come fattore di rischio CV modificabile 149-151. Ulteriori studi sono tuttavia

necessari per meglio comprendere l’influenza della vitamina D sull’omeostasi del sistema cardio-circolatorio.

(31)

3. Valutazione dello stato vitaminico D in una coorte di donne

affette da LES : studio retrospettivo

3.1 Scopo dello studio

Lo scopo dello studio è stato quello di valutare lo stato vitaminico D su una coorte di donne affette da LES ricoverate presso il reparto di Reumatologia dell'Università di Pisa, indagando le eventuali correlazioni tra i livelli vitaminici e BMD, parametri clinici di malattia e terapie concomitanti con possibile interferenza con il metabolismo della vitamina. L ’obiettivo primario dello studio è stato quindi quello di valutare la prevalenza di deficienza/insufficienza di vitamina D in una coorte di pazienti ricoverate affette da LES.

Gli obiettivi secondari hanno previsto la valutazione di eventuali correlazioni fra concentrazione sierica di vitamina D e :

• attività e danno di malattia

• prevalenza di osteopenia/osteoporosi e fratture da fragilità ossea • uso di terapie immunosoppressive

• uso di terapie osteoprotettive

3.2 Materiali e Metodi

Si tratta di uno studio retrospettivo condotto su una coorte di pazienti con diagnosi di LES formulata secondo i criteri diagnostici dell' American

College of Rheumatology (ACR)152. Tale coorte è composta da 68 donne

ricoverate tra il 2008 e il 2013 presso l'U.O. di Reumatologia dell'Università di Pisa . Sono state escluse le pazienti a cui non sono stati valutati i markers del metabolismo fosfo-calcico durante la degenza. Per tutte le pazienti incluse nello studio sono stati raccolti dati inerenti i

(32)

seguenti parametri: età, menopausa, Body Mass Index (BMI), eventuale presenza di Sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi (APLs), durata di malattia, presenza di comorbidità quali ipertensione, diabete e malattie tiroidee. Sono inoltre stati valutati la storia di impegno renale e cutaneo di malattia (in considerazione del possibile effetto sui livelli di Vitamina D), l'attività di malattia valutata quantitativamente tramite l'indice clinimetrico European Consensus Lupus Activity Measurement (ECLAM), il danno d'organo correlato alla malattia valutato quantitativamente tramite l'indice clinimetrico Systemic Lupus International Collaborating Clinics (SLICC), la presenza di insufficienza renale cronica (IRC) definita come Glomerular filtration rate <60ml/minuto (GFR), i valori della BMD con indagine DXA (espressa come gr/cm² e come T-score femorale e vertebrale), l'eventuale presenza di fratture da fragilità (definite come fratture spontanee atraumatiche), la loro sede e le terapie in atto (glucocorticoidi, farmaci immunosoppressori, antiepilettici e anticoagulanti).

In accordo con i criteri dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), si definisce osteopenia un T-score compreso tra -1 e -2,5 DS e osteoporosi un T-score <-2,5 DS153 .

Sono state inoltre valutate eventuali supplementazioni con vitamina D e calcio e l'utilizzo di bisfosfonati. L'uso di glucocorticoidi (GC) includeva sia le formulazioni orali che i boli endovenosi.

3.3 Analisi statistica

I dati ottenuti sono stati elaborati con il software di statistica StatView 5.0.

Le variabili continue sono state espresse come media ± deviazione standard mentre le categoriche come percentuale di frequenza. La prevalenza dell'insufficienza/carenza di Vitamina D è stata calcolata come rapporto tra il numero di pazienti con 25(OH)D al di sotto di specifici valori cut-off (30

(33)

e 20 ng/ml rispettivamente) e la coorte totale. La comparazione tra variabili continue tra due gruppi è stata effettuata utilizzando il test T di Student, mentre nel caso di variabili categoriche è stato utilizzato l' U-test di Mann-Whitney.

Sono stati considerati statisticamente significativi i valori di p ≤ 0.05.

3.4 Risultati

Nel presente studio sono state incluse 68 donne affette da LES di età media 45,2 ± 13 anni (range: 19-75anni); tra queste 17 (25%) presentavano un'associazione di LES e APLs. La durata media di malattia è risultata essere di 166,3 mesi ( range 2-492 mesi ).

Al momento della valutazione 45(66,2%) pazienti presentavano una malattia in fase di attività (ECLAM score ≥3), mentre 23(33,8%) avevano un ECLAM<3. Per quanto riguarda l'entità del danno cronico (SLICC damage index) 16 pazienti (23,5%) avevano uno SDI=0, ossia nessun danno, 24(35,3%) avevano un indice di danno moderato (SDI 1 o 2) e 28(41,2%) avevano un SDI≥3 considerando che l'aumento dell'SDI è un fattore predittivo di mortalità e di ulteriore danno d'organo 154.

Sessantuno (89,7%) pazienti avevano un’anamnesi positiva per impegno cutaneo di malattia; in particolare, sono stati registrati 32 casi di rash malare (47%) e 10 casi di fotosensibilità (14,7%). Trentacinque pazienti (51,5%) avevano una storia di nefrite lupica, che, in 19(28%) aveva causato l'insorgenza di IRC. Tra le comorbidità 15 pazienti risultavano affette da tiroidite autoimmune (22%), 37 (54,4%) da ipertensione arteriosa e 4 (5,9%) da diabete mellito (tabella 1).

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Tabella I : Caratteristiche demografiche e cliniche dei pazienti

Variabili N (%)

Sesso femminile

Età media ± DS , range (anni) BMI (kg/m²), media , range Menopausa

Durata di malattia media ± DS , range (mesi) ECLAM≥3 ECLAM<3 SDI≥1 SDI=0 Impegno cutaneo Impegno renale

Insufficienza renale cronica(IRC)

68 (100%) 45,2 ± 13 (19-75) 24,5 (14-36,2) 29 (42,7%) 166,3 ± 125,5 (2-492) 45 (66,2%) 23 (33,8%) 52 (76,5%) 16 (23,5%) 61 (89,7%) 35 (51,5%) 19 (28%) Comorbidità Ipertensione Tiroiditi autoimmuni Diabete 37 (54,4%) 15 (22%) 4 (5,9%)

La quasi totalità delle pazienti (95,6%) al momento del ricovero era in trattamento con GC assunti per via orale (in particolare 6-MP); quaranta pazienti (58,8%) avevano ricevuto anche GC in boli intravenosi. La dose cumulativa media di 6-MP è stata di 31,5grammi (range 0-110gr) (valore equivalente di prednisone = 39,4gr).

Diciassette pazienti (25%) assumevano idrossiclorochina e 28 (41,2%) farmaci immunosoppressori (micofenolato mofetile, azatioprina, ciclofosfamide, tacrolimus, ciclosporina). Ventiquattro (35,3%) pazienti

(35)

erano in terapia con farmaci anticoagulanti; 12 (17,6%) con eparina e 12 (17,6%) con anticoagulanti orali (dicumarolici).

Infine 14 pazienti (20,6%) assumevano farmaci antiepilettici (AEDs).

Tabella II

Trattamenti N° (%)

• GC

Dose totale media di GC (6-MP) (gr), Range (gr) Mediana (gr) • Immunosoppressori • Idrossiclorochina • Antiepilettici • Anticoagulanti 65(95,6%) 31,5 (PDN equivalente=39,4) (0-110) 30 28(41,2%) 17(25%) 14(20,6%) 24(35,3%) Vitamina D e bisfosfonati

Il valore medio della 25(OH)D è risultato essere di 18,3 (DS 15,3) ng/ml (range: 1,5-86,5 ) (Valori normali: >30ng/ml).

Di tutte le pazienti 10 (14,7%) avevano livelli sufficienti (>30ng/ml), 58 (85,3%) avevano livelli insufficienti (<30ng/ml) e tra queste ultime 45 (66,2%) mostravano una grave carenza (<20ng/ml) (tabella III).

Il valore medio del PTH è risultato di 48,1 pg/ml (range: 7,4-315).

In base ai dati riportati nelle schede di dimissione, 23 pazienti (40%) assumevano supplementazione con calcio e vitamina D e tra queste, 5 (7,3%) erano in trattamento concomitante osteoprotettivo con bisfosfonati al momento della valutazione (dati non riportati).

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Tabella III

Livelli 25-idrossivitamina D (25OHD)

25OHD > 30 ng/ml 25OHD < 30 ng/ml 25OHD <20 ng/ml 10 (14,7%) 58 (85,3%) 43(63,2%) BMD e fratture

Sessantuno (90%) pazienti hanno effettuato una DXA (tabella IVa-IVb-IVc) che ha mostrato osteopenia in 27 donne (44,3%) e osteoporosi in 18(30%). La media dei valori della BMD è risultata essere 1,1±0,2 g/cm² a livello vertebrale, 0,9±0,1 g/cm² a livello del femore intero e 0,9±0,1 g/cm² a livello del collo femorale.

Tabella IVa DXA in g/cm² media ± DS (g/cm²) BMD L1-L4 BMD femore totale BMD femore collo 1,1± 0,2 0,9± 0,1 0,9± 0,1 Tabella IVb

DXA T-score media ± DS

T-score L1-L4 media ± DS T-score femore totale T-score femore collo

-1± 1,5 -1± 1,2 -1± 1,1

Tabella IVc

Valori di T-score nelle pazienti N (%)

T-score <-2,5 (osteoporosi) 18 (30%)

-2,5< T-score <-1 (osteopenia) 26 (44,3%)

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Durante il decorso di malattia 14 donne (20,6%) hanno presentato fratture da fragilità (FFX), di cui 20 (35,7%) diagnosticate tramite RX , 32(57,1%) con RM e 4(7,1%) con TC.

In totale le FFX sono state 56 di cui 43 a livello vertebrale, 11 a livello costale, 1 femorale e 1 omerale. Tra queste donne 10 (71,4%) erano in menopausa. Sette (50%) avevano IRC, 9 (64,3%) erano in trattamento con boli di GC, 5 (35,7%) assumevano AEDs e 8 (57,1%) anticoagulanti .

Nel sottogruppo delle 4 donne non in menopausa, 1 assumeva AEDs, 2 anticoagulanti, 3 avevano ricevuto boli di GC e 2 presentano IRC.

Correlazioni

All'analisi univariata non sono state rilevate correlazioni significative tra i livelli di 25(OH)D e parametri quali l'età, il BMI e la durata di malattia. È stata invece trovata una correlazione significativa tra i livelli di 25(OH)D e l'impegno renale di malattia (p=0,007) e con lo sviluppo di IRC (p=0,004) (tabella C1).

77% 20% 1,5% 1,5%

Vertebrali Costali Femorali Altre 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 43 11 1 1 Sede fratture (N=56)

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Tabella C1. Correlazioni tra 25(OH)D e variabili cliniche

Variabili P-value*

Età (anni) NS

BMI (kg/h²) NS

Durata di malattia (mesi) NS

Impegno renale 0,007 IRC 0,004 Osteopenia NS Osteoporosi NS FFx NS Antiepilettici NS Anticoagulanti NS * p-value significativo<0,05

La presenza di osteoporosi è risultata correlare significativamente con la menopausa (p=0,02), con i boli di GC endovena (p=0,02), con la dose totale di GC assunti (p=0,05) e con l'assunzione di farmaci antiepilettici ( p=0,03) (tabella C2).

Tabella C2. Correlazioni osteoporosi

Osteoporosi (N=18) No Osteoporosi (N=43) P-value* IRC, n (%) 8 (45) 9 (21) NS Boli di 6-MP 6 (33) 30 (70) 0,02 Antiepilettici 8 (45) 5 (12) 0,03 Anticoagulanti 6 (33) 16 (37) NS Fratture 8 (45) 6 (14) NS Menopausa 14 (78) 15 (35) 0,02 Osteoporosi (N=18) No Osteoporosi (N=43) P-value* Dose media di 6-MP (gr) 36,5 29 0,05 * p-value significativo<0,05

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Una correlazione significativa è emersa inoltre tra FFX e menopausa (p=0,03), dose totale di GC assunti (p=0,01) ed assunzione di antiepilettici (p=0,01) (tabella C3).

Tabella C3. Correlazioni fratture

Fratture (≥1) (N=14) No Fratture (N=54) P-value* IRC, n (%) 7 (50) 12 (22) NS Boli di 6-MP 9 (64) 31 (57) NS Antiepilettici 5 (36) 9 (17) 0,01 Anticoagulanti 8 (57) 16 (30) NS Menopausa 10 (71) 19 (35) 0,03 Fratture (≥1) (N=14) No Fratture (N=54) P-value Dose media di 6-MP (gr) 46 31,5 0,01 * p-value significativo<0,05

3.5 Discussione

I dati raccolti dalla coorte esaminata nel presente studio retrospettivo, che aveva come obiettivo la valutazione dello stato vitaminico D in donne italiane affette da LES, hanno mostrato un livello medio di 25(OH)D inferiore ai livelli di normalità (18,3 ng/ml).

L'85,3% delle pazienti ha mostrato livelli insufficienti di 25(OH)D (<30ng/ml) e, tra queste, il 63,2% aveva una grave carenza con livelli di 25(OH)D <20ng/ml.

Numerosi studi caso-controllo hanno mostrato come la prevalenza di ipovitaminosi D fosse superiore in coorti di pazienti affetti da LES rispetto a controlli sani della stessa età e dello stesso sesso133, 155, 156. Diversi fattori

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tutti la necessità per i pazienti con LES di evitare l'esposizione solare. Nel nostro studio non sono state trovate correlazioni significative tra i livelli di 25(OH)D e l'indice di massa corporea (BMI), a differenza di altri che hanno dimostrato un deficit vitaminico maggiore nei soggetti in sovrappeso141 .

Diversi studi cross-sectional hanno mostrato un'associazione inversa tra la severità di malattia e i valori ematici di vitamina D140, 157 . Tuttavia i risultati

rimangono contrastanti 158. Nel nostro studio non è emersa una correlazione

statisticamente significativa fra i livelli di vitamina D e l'attività di malattia misurata con l'indice ECLAM; tale dato potrebbe però essere dovuto al bias di selezione delle pazienti arruolate. Infatti, per ottenere una maggiore uniformità nella valutazione dei markers del metabolismo fosfo-calcico, abbiamo scelto di arruolare nello studio soltanto pazienti ricoverate, che presentavano dunque una probabilità ragionevolmente elevata di avere una malattia in fase di attività. Analogamente a due studi, uno del 2013 di Sumethkul et al.159 ed uno del 2012 di Bogaczewicz et. al 160, abbiamo

trovato una correlazione positiva tra i livelli di 25(OH)D e l'impegno renale da malattia . E’ noto che i pazienti con LES hanno un rischio maggiore rispetto alla popolazione generale di sviluppare osteoporosi e FFX 161.

L'eziopatogenesi della compromissione della BMD non è imputabile ai soli fattori di rischio tradizionali quali l'età, la menopausa e il basso BMI, ma anche a fattori correlati alla malattia. Tra questi bisogna ricordare la necessità di abolire la fotoesposizione, lo stato di flogosi cronica correlato ad un aumentato rilascio di citochine infiammatorie, la ridotta attività fisica causata dal coinvolgimento articolare e costituzionale della malattia di base, l'impegno renale con riduzione dell'assorbimento di calcio, le disfunzioni endocrine potenzialmente correlate al LES e l' utilizzo cronico di farmaci capaci di ridurre la BMD, in particolare i GC, utilizzati per lunghi periodi e ad alte dosi136. In accordo con la Letteratura, i nostri dati

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hanno mostrato una correlazione fra la dose totale di GC assunta dalle pazienti e l’insorgenza sia di osteoporosi che di FFx162, 163. E’ interessante

notare che l’assunzione di farmaci antiepilettici risulta essere un fattore di rischio sia per lo sviluppo di osteoporosi che di FFx, come già osservato nel corso di altri studi164. Negli ultimi anni è stata infatti dimostrata una

significativa riduzione della BMD e un'aumentato rischio di fratture (in particolare vertebrali e del collo femorale) in pazienti trattati con antiepilettici (fenobarbital, carbamazepina, fenitoina, valproato di sodio). Questi ultimi aumentano la conversione epatica della 25OHD in metaboliti inattivi con conseguente riduzione dell'assorbimento di calcio insieme ad effetti diretti sulle cellule ossee165. Al contrario, l’analisi della nostra coorte

non ha mostrato associazioni fra assunzione di eparina o TAO e sviluppo di osteoporosi o FFx, probabilmente a causa della bassa numerosità del campione esaminato 166, 167.

3.6 Conclusioni

Nonostante la consapevolezza dell'elevata prevalenza di ipovitaminosi D a livello mondiale e i progressi fatti nello screening delle popolazioni a rischio, il deficit vitaminico D rimane un problema crescente. Si stima che circa un miliardo di persone siano affette da insufficienza vitaminica D (definita come 25OHD<30ng/ml). La scoperta dei recettori VDR nelle cellule del sistema immunitario ha permesso di ipotizzare una correlazione tra l'1,25OH2D3 e le malattie autoimmuni, tra cui il LES. In accordo con la letteratura, anche la nostra coorte di donne ha mostrato un' ampia prevalenza di ipovitaminosi D, nonostante circa un terzo di queste assumesse supplementazione con calcio e vitamina D. Questo valore sottostima gli accorgimenti in uso nella pratica clinica: probabilmente diverse pazienti assumevano la supplementazione ma ciò non è stato

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riportato sull'anamnesi nelle lettere di dimissione; altre volte la terapia viene autonomamente sospesa a causa di una scarsa compliance. In considerazione dell’elevata prevalenza di ipovitaminosi D nei pazienti con LES, confermata anche dal nostro studio, emerge la necessità di instaurare terapie preventive, al fine di normalizzare i livelli di 25OHD e di ridurre il rischio di osteoporosi e conseguenti FFX, che sono notoriamente associate ad un significativo aumento del rischio di morbidità e mortalità.

Inoltre i nostri dati confermano come la terapia con GC rappresenti un fattore di rischio sia per lo sviluppo di osteoporosi che di FFx. E’ pertanto opportuno riuscire a standardizzare nella pratica clinica una strategia finalizzata a ottimizzare al massimo l’utilizzo della terapia steroidea, cercando di ridurre il dosaggio giornaliero dopo una iniziale dose d’attacco. Un dato interessante a nostro modo di vedere è rappresentato dal fatto che circa un terzo delle donne fratturate non fosse in menopausa. Ciò ragionevolmente sottende la compartecipazione di fattori correlati specificamente al LES che, magari associati all’ipovitaminosi D, possano agire aumentando la fragilità ossea. Dato che la maggior parte delle FFX delle donne in pre-menopausa è a livello vertebrale, uno di tali fattori potrebbe corrispondere proprio alla terapia con GC che sono noti indebolire in primis l’osso trabecolare, che rappresenta la principale componente strutturale di tali ossa. Infine, l’analisi della nostra coorte ha mostrato un aumento del rischio di osteoporosi e FFx correlato con l’assunzione cronica di farmaci antiepilettici. Dato che una significativa percentuale (all'incirca tra il 6,7% ed il 14,4%) di pazienti con LES può presentare crisi epilettiche, sia a causa dell’impegno del sistema nervoso, che come conseguenza di esiti ischemici e/o emorragici a livello cerebrale (più frequenti nei pazienti con anticorpi anti-fosfolipidi), sarebbe opportuno considerare tali pazienti come un sottogruppo a maggior rischio di sviluppare un danno di tipo muscolo-scheletrico.

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Benchè il nostro studio presenti come limiti sia la bassa numerosità del campione che l’arruolamento di sole pazienti ricoverate, permette comunque di enucleare fattori di rischio per lo sviluppo sia di osteoporosi che FFx nelle pazienti con LES.

Da tali dati sarebbe opportuno trarre indicazioni utili al reumatologo nella pratica clinica per ridurre significativamente il rischio di danno muscolo- scheletrico nelle pazienti, migliorandone quindi la qualità di cura.

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Riferimenti

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