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Il Process Mining a supporto della creazione di valore. Casi a confronto.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

TESI DI LAUREA

Il Process Mining a supporto della creazione di valore.

Casi a confronto.

RELATORE

CANDIDATA

Prof.ssa Federica De Santis

Benedetta Costa

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INDICE

INTRODUZIONE ... 1

1. I PROCESSI AZIENDALI QUALI DRIVER PER LA CREAZIONE DI VALORE IN AZIENDA 1.1. Il contesto di riferimento delle aziende ... 3

1.1.1. Organizzazione per funzioni ... 8

1.1.2. Organizzazione per processi ... 11

1.2. I processi aziendali: aspetti introduttivi ... 12

1.2.1. Le tipologie di processi secondo Porter ... 15

1.2.2. La catena del valore di Porter ... 16

2. LA GESTIONE DEI PROCESSI AZIENDALI: DALLA PROGETTAZIONE AI POSSIBILI INTERVENTI 2.1. La gestione dei processi aziendali: aspetti introduttivi ... 19

2.1.1. La fase di Design ... 23

2.1.2. La fase di Modeling ... 24

2.1.3. La fase di Execution ... 26

2.1.4. La fase di Monitoring ... 26

2.1.5. La fase di Optimization ... 27

2.2. Il Business Process Improvement ... 28

2.3. Il Business Process Reengineering ... 31

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3. LA GESTIONE DEI PROCESSI AZIENDALI: DALLA PROGETTAZIONE AI POSSIBILI INTERVENTI

3.1. I sistemi informativi nella gestione per processi: il contributo dell’ICT . 36

3.2. L’introduzione di strumenti di Business Intelligence ... 41

3.2.1. L’architettura della BI ... 43

3.2.2. Le tecnologie OLAP ... 45

3.2.3. Data Mining ... 47

3.3. Il Process Mining nella gestione dei processi aziendali ... 51

3.3.1. Il dato come base di partenza ... 53

3.3.2. Process Discovery ... 56

3.3.3. Conformance Checking ... 59

3.3.4. Process Enhancement ... 61

4. LE APPLICAZIONI DEGLI STRUMENTI DI PROCESS MINING: CASI A CONFRONTO 4.1. Il Process Mining come strumento per la creazione di valore ... 65

4.2. Il settore delle telecomunicazioni ... 66

4.2.1. Case I: Nokia Corporation ... 67

4.2.2. Case II: Siemens ... 71

4.2.3. Case III: Vodafone ... 73

4.3. Case IV: Uber ... 74

4.4. Case V: Ernst & Young ... 76

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INTRODUZIONE

Il lavoro svolto durante questa tesi di laurea si pone come obiettivo quello di analizzare i modelli e le tecniche di analisi e gestione dei processi aziendali ed in particolar modo il contributo che le tecnologie digitali possono offrire alla gestione dei processi aziendali in una prospettiva di creazione di valore.

L’analisi sviluppata nel presente elaborato ha avvio dal primo capitolo nel quale viene svolta una prima valutazione del contesto di riferimento in cui operano le aziende e le numerose sfide che queste sono chiamate ad affrontare al fine di creare o mantenere un vantaggio competitivo durevole e sostenibile. Successivamente viene presa in esame l’evoluzione da organizzazioni per funzioni a organizzazioni per processi, nella quale quest’ultimi possono essere osservati come elementi che consentono alle aziende di rendersi distintive rispetto ai competitors ottenendo anche alti standard di qualità degli stessi in termini di efficienza ed efficacia. Quanto appena detto consente alle aziende di creare valore sia internamente sia verso l’esterno.

Nel secondo capitolo si passa ad affrontare dettagliatamente l’approccio per processi attraverso la disciplina del Business Process Management, analizzandone le fasi di design, modeling, execution, monitoring ed optimization. Proprio in quest’ultima fase emergono le tematiche del Business Process Improvement e Business Process Reengineering: discipline importanti ai fini del miglioramento delle performance aziendali, le quali permettono alle aziende di essere maggiormente competitive all’interno del mercato di riferimento.

Il terzo capitolo introduce l’Information and Comunication Technology quale elemento a supporto della gestione per processi che ha apportato grandi cambiamenti nelle aziende, in particolar modo attraverso l’introduzione di tecniche di Business

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Intelligence. Tra quest’ultime assumono grande rilevanza le tecniche di Process Mining che sfruttano i dati a disposizione dell’azienda per comprendere eventuali non conformità nell’esecuzione del processo ed applicare modelli più lineari che consentono di migliorare le performance aziendali creando così valore per l’azienda. Il quarto capitolo è dedicato al confronto di cinque aziende, note nel panorama economico per la posizione rivestita nel settore di riferimento: Nokia, Ernst & Young, Vodafone, Siemens e Uber. Si tratta di aziende che hanno implementato differenti strumenti di Process Mining, ottenendo da essi notevoli vantaggi sia internamente, in termini di migliori performance dei processi, riduzione dei costi e delle tempistiche di svolgimento, ma anche nel contesto esterno in quanto tale adozione ha consentito loro di poter consolidare il successo acquisito sul mercato. L’elaborato si chiude con le conclusioni nelle quali viene messo in evidenza il contributo fornito dalle avanzate tecniche di Process Mining.

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CAPITOLO I

I PROCESSI AZIENDALI QUALI DRIVER PER LA CREAZIONE DI VALORE IN AZIENDA

1.1. Il contesto di riferimento delle aziende

L’etimologia della parola azienda deriva dallo spagnolo hacienda, tratto dal latino facienda, con il significato di “cose da farsi”; solo in seguito il termine ha assunto il significato odierno di organizzazione che svolge una qualsiasi attività economica di produzione1.

Quest’ultima rappresenta solamente una prima approssimazione del termine; nel tempo si sono succedute numerose definizioni della parola, ma la più accreditata fra gli aziendalisti risulta essere quella espressa nel 1956 da Gino Zappa, docente all’Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Venezia, nonché padre fondatore dell’Economia Aziendale, il quale definì l’azienda come “un istituto

economico atto a perdurare che, per il soddisfacimento dei bisogni umani, ordina e svolge in continua coordinazione la produzione, o il procacciamento e il consumo della ricchezza”2.

Nella definizione fornitaci da Zappa, l’azienda viene fatta astrattamente derivare dalla nozione di istituto sociale, ovvero “ogni gruppo di persone che nel

1 Citato in: https://www.etimoitaliano.it/2014/01/azienda-etimologia.html

2 Citato in: Zappa, G. (1957). “Le produzioni nell’economia delle imprese”, tomo I e II. Giuffrè,

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perseguimento di un comune obiettivo di qualsivoglia natura, purché durevole, svolgono svariate attività, tra cui inevitabilmente quella economica”3.

Il concetto di azienda, come sistema od organismo per l’attività economica e il soddisfacimento dei bisogni, è nato in Italia nell’ambito delle ricerche di ragioneria nella prima metà del XX secolo.

In particolar modo l’utilizzo del concetto di sistema per lo studio dell’azienda, nel corso del tempo, ha visto svilupparsi quattro teorie fondamentali:

1. Teoria meccanicistica: l’azienda è vista come un insieme di schemi a funzionamento determinato;

2. Teoria organicistica: l’azienda è vista come un organismo vivente aperto all’esterno e dinamico;

3. Teoria contrattualistica: l’azienda è vista come un insieme di contratti; 4. Teoria sistemica: l’azienda è vista come un insieme di elementi interrelati e

coordinati verso il raggiungimento di un medesimo risultato4.

Quest’ultima teoria risulta essere quella con il maggior seguito e alla quale è stata riconosciuta una superiore completezza di analisi rispetto alle altre teorie precedentemente esposte. Secondo la concezione sistemica dunque, l’azienda è considerata come un complesso di elementi o componenti tra loro interagenti sulla base di relazioni interne ed esterne.

Nello specifico gli elementi che compongono il sistema d’azienda sono:

v i mezzi, ovvero i beni economici destinati alla produzione o al consumo;

3 Citato in: https://www.dea.univr.it/documenti/OccorrenzaIns/matdid/matdid370357.pdf

4Citato in: Marchi, L. (Ed.). (2014).Introduzione all'economia aziendale: Il sistema delle operazioni

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v le persone che partecipano a vario titolo all’attività aziendale;

v l’organizzazione, ovvero una componente immateriale che combina

razionalmente le risorse (umane e non), per favorire il raggiungimento degli scopi aziendali.

Le suddette componenti risultano quindi essere, in primo luogo, strumentali all’attività di produzione o di consumo, ma sono anche complementari in quanto tutte necessarie per il raggiungimento di tale finalità, ed infine sono interdipendenti in quanto si stabiliscono tra esse relazioni di varia intensità che permettono il funzionamento della struttura nel complesso5.

Oltre alla sua caratteristica principale di sistema economico in quanto svolge l’attività di produzione o di consumo di beni economici, il sistema azienda presenta nel complesso i seguenti caratteri:

1. aperto; 2. dinamico; 3. complesso; 4. finalizzato; 5. probabilistico; 6. cibernetico.

Il sistema azienda è un sistema aperto in quanto è parte di un macrosistema, l’ambiente esterno, con il quale esso interagisce. L’azienda infatti opera in un preciso contesto politico, sociale, economico e culturale che ne condiziona l’attività, ed

5 Citato in: Pede, A. (2009). “L'azienda e le sue relazioni. Il ruolo delle relazioni interaziendali nella

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attraverso il quale compie continui scambi di materie, energia ed informazioni grazie alla sua capacità di relazionarsi con le altre istituzioni sociali.

Il sistema azienda è un sistema dinamico in quanto, per sopravvivere, deve continuamente adattarsi ai cambiamenti che avvengono nell’ambiente esterno. Questo aspetto si configura altresì nell’attitudine a mantenere condizioni di equilibrio e di conseguenza, a seguito di ciò sopra esposto, nell’esigenza di perseguire condizioni di equilibrio mutevoli nel tempo.

Il sistema azienda è un sistema complesso in quanto presenta una varietà e variabilità degli elementi della struttura (mezzi, persone e organizzazione) ed un dinamismo delle relazioni instaurate tra essi.

Il sistema azienda è un sistema finalizzato in quanto ha la capacità di pervenire ad un risultato espresso in termini di finalità ed obiettivi, tra i quali a titolo di esempio si possono riportare il profitto, la crescita ecc.

Il sistema azienda è un sistema probabilistico in quanto il funzionamento ed il risultato del sistema è caratterizzato dall’incertezza, in termini di rischio di non raggiungere il fine sperato6.

Infine, il sistema azienda è un sistema cibernetico in quanto dotato di meccanismi di controllo, volti a verificare le conseguenze delle azioni e la congruità di queste rispetto agli obiettivi perseguiti per adottare, se ne è il caso, eventuali azioni correttive.

6 Citato in: Marchi, L. (Ed.). (2014). “Introduzione all'economia aziendale: Il sistema delle operazioni

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Questo sistema presenta al suo interno una suddivisione in sottosistemi, detti anche sub-sistemi, che possono essere considerati quali sistemi minori tra loro collegati e coordinati. Nel caso specifico del sistema aziendale, i sottosistemi presenti sono:

v il sottosistema organizzativo a cui è affidato il compito di combinare l’elemento personale e gli strumenti tecnici dell’impresa in modo da rendere possibile il conseguimento degli obiettivi aziendali;

v il sottosistema gestionale che si occupa di compiere le operazioni economiche necessarie per raggiungere gli obiettivi aziendali;

v il sottosistema informativo che si occupa di determinare, rappresentare ed interpretare i dati aziendali7.

A livello di sottosistema informativo ci si riferisce in questa sede al Sistema Informativo Aziendale (SIA) quale insieme di elementi interrelati tra loro, finalizzato alla produzione di informazioni, volto a soddisfare in modo efficace ed efficiente le esigenze conoscitive interne ed esterne, mediante l’elaborazione di dati originari “grezzi” ed un processo articolato secondo ben precise procedure e fasi, con il supporto di mezzi tecnici e risorse umane8.

Già da tale definizione emerge un primo elemento del Sistema Informativo Aziendale: i processi. In particolar modo il riferimento è ai processi di raccolta, selezione, classificazione dei dati, ma anche di elaborazione, comunicazione ed interpretazione delle informazioni.

7 Citato in: https://www.simone.it/catalogo/vic2.pdf

8 Citato in: De Santis, F. (2016).ERP e strumenti di Business Intelligence: supporto gestionale e

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Se con riferimento al sottosistema informativo appare dunque evidente il rinvio ai processi, nei sottosistemi organizzativo e gestionale si osserva la coesistenza di due logiche distinte: quella per funzioni e quella per processi.

L’adozione dell’una o dell’altra logica deriva dalla considerazione di numerosi elementi, che saranno oggetto di approfondimento nei paragrafi successivi. Prescindendo dai peculiari vantaggi e svantaggi associati ai due approcci, occorre ricordare che il principio generale che dovrebbe guidare la logica per funzioni oppure per processi deve essere riconosciuto nella coerenza tra business aziendale e struttura organizzativo-gestionale prescelta.

1.1.1. Organizzazione per funzioni

L’approccio per aree funzionali si basa sulla dimensione di analisi verticale e prende avvio dalle funzioni aziendali, le quali sono definite come “l’insieme delle attività

ed operazioni omogenee sotto l’aspetto tecnico-economico ovvero dal punto di vista delle competenze tecniche richieste per il loro svolgimento”9. Dalla precedente

definizione emerge un’identificazione dei sub-sistemi in base all’omogeneità delle operazioni da un punto di vista tecnico, cioè in termini di risorse e fattori utilizzati, ma anche alla comunanza di conoscenze e competenze richieste agli operatori.

9 Citato in:

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Immagine 1.1.1. Rappresentazione schematica di un’organizzazione per funzioni. Perrone (1990)

Essa rappresenta il modello organizzativo più comunemente applicato, in quanto le funzioni permettono di individuare i compiti da eseguire, le persone da impiegare per l’esecuzione di tali compiti, le competenze tecniche richieste e le risorse da assegnare alle persone per svolgere tali compiti.

In tale approccio si presenta una struttura gerarchica composta da una direzione, da una linea intermedia, rappresentata dagli aggregati funzionali, e da un nucleo operativo. Da ciò emerge la suddivisione delle aree funzionali in tre categorie:

v Aree funzionali caratteristiche o operative: hanno come fine il perseguimento degli obiettivi aziendali e sono rappresentate dalle aree Ricerca & Sviluppo, Marketing e Produzione e Logistica che risultano essere tra loro interrelate;

v Aree funzionali integrative o di gestione delle risorse: sono strumentali alle funzioni operative e sono rappresentate dall’area Finanza e dall’area Organizzazione e Gestione del Personale;

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v Aree funzionali di pianificazione e informazione: consentono alla direzione aziendale di attuare le scelte strategiche, monitorarne i risultati, e comunicare agli investitori la situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa. Sono rappresentate dall’area Pianificazione Strategica e Controllo di Gestione e dall’area Amministrazione10.

L’organizzazione per aree funzionali prevede un criterio di divisione del lavoro per competenze professionali, in quanto le persone che operano all’interno di un dipartimento dell’azienda condividono il modo di lavorare e le conoscenze; infatti la fase di reclutamento del personale avviene seguendo il medesimo profilo professionale. Ulteriormente i compiti svolti risultano essere più semplici perché si ha una standardizzazione di tali attività, che conseguentemente ne agevola la loro misurazione.

Infine, grazie all’approccio per funzioni, le attività vengono ripetute in maniera continuativa pertanto è possibile ottenere economie di scala.

Questi tra i principali vantaggi riconducibili alla configurazione per funzioni, ma all’opposto si presentano molteplici svantaggi riconducibili in primo luogo alla perdita della visione d’insieme portando all’impedimento del necessario coordinamento tra tutte le attività aziendali, in quanto l’impegno avviene in relazione al buon funzionamento del reparto che può risultare in contrasto con quello dell’azienda. La conseguenza di tale mancanza di coordinamento centrale comporta la generazione di frizioni e contrasti tra dipartimenti. Ulteriormente si deve considerare che il suddetto approccio per aree funzionali risulta essere assimilabile alla visione meccanicistica di svolgimento del lavoro pertanto comporta una

10 Citato in:

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mentalità ed una modalità di lavorare rigida e difficilmente adattabile alle mutevoli condizioni ambientali.

1.1.2. Organizzazione per processi

Accanto all’approccio tradizionale per funzioni si è riconosciuta l’importanza che assume un’organizzazione per processi nel raggiungimento di obiettivi di efficacia ed efficienza dell’azienda, in termini sia di maggiore soddisfazione dei clienti sia di riduzione dei costi e, quindi di creazione di valore.

L’approccio per processi prende avvio dal concetto di processo aziendale (o business process). Il termine deriva dal latino ed ha il significato di procedere, nel senso di trasformazione, ed identifica “un insieme organizzato di attività e di decisioni,

finalizzato alla creazione di un output effettivamente domandato dal cliente, e al quale questi attribuisce un valore ben definito11”. Si può dunque comprendere da tale definizione come la visione per processi si basi sulla dimensione di analisi orizzontale a seguito dell’identificazione in base all’omogeneità delle attività dal punto di vista del risultato da raggiungere; si può ulteriormente comprendere come i processi siano formati da attività anche di diversa natura ma finalizzate al raggiungimento dello stesso output.

In tale visione, che si sviluppa in senso orizzontale ed interessa tutte le diverse funzioni aziendali, ci si avvale di risorse con professionalità e competenze differenti che si completano tra loro: si suole dire che le risorse sono cross-functional.

11 Citato in: Bartezzaghi, E. (2014). “L'organizzazione dell'impresa: Processi, progetti, conoscenza,

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Questo approccio per processi permette di superare i limiti dell’approccio per funzioni, in quanto consente di mantenere la visione d’insieme dell’azienda; inoltre permette di evitare sovrapposizioni tra dipartimenti, aumentando la flessibilità del lavoro e stimolando la comunicazione.

All’opposto anche quest’ultima visione presenta alcuni svantaggi derivanti dalla crescita della complessità della gestione, dall’aumento della difficoltà a raggiungere adeguati livelli di efficienza. Tutti questi aspetti negativi possono essere causati dal crescere del numero dei referenti.

1.2. I processi aziendali: aspetti introduttivi

La definizione di processo aziendale espressa da Bartezzaghi riporta ad una seconda definizione secondo la quale i processi sono delle “aggregazioni di attività

finalizzate al raggiungimento di uno stesso obiettivo12”.

Immagine 1.2.1. Rappresentazione schematica di un processo aziendale. Bartezzaghi (2014)

12 Citato in: Pierantozzi, D. (1997). “La gestione dei processi nell'ottica del valore: miglioramento

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Ogni processo aziendale si caratterizza per la presenza di alcuni elementi: in primo luogo l’utilizzo di input, rappresentati da elementi fisici ed informativi necessari all’avvio della prima attività che compone il processo, ulteriormente dall’esecuzione del processo si arriva alla produzione di output che rappresentano il risultato della combinazione delle attività dello specifico processo.

L’output di un processo può costituire l’input del processo successivo, infatti, considerando che gli output vengono ricevuti da soggetti non necessariamente esterni all’azienda, si può considerare cliente anche un processo aziendale per il cui svolgimento è necessario il risultato finale di un processo a monte. All’opposto invece gli input sono forniti da soggetti anch’essi interni o esterni all’azienda definiti fornitori.

Tali processi possono essere attuati grazie alla presenza di risorse materiali o immateriali messe a disposizione dall’azienda, ed inoltre, la loro esecuzione deve rispettare un insieme di regole e vincoli13.

A tal proposito occorre fare una distinzione rispetto al concetto di procedura. Per procedura si intende un sistema di regole formalizzato mirato a governare un insieme di attività attraverso prescrizioni, più o meno vincolanti. Quest’ultimo concetto può avere sia un’accezione normativa, la quale enfatizza l’insieme di norme che determinano le regole o i vincoli nello svolgimento di un processo o di una sua fase o attività, sia un’accezione informatica, che fa riferimento a una sequenza automatica di attività e operazioni svolte da un sistema applicativo per l’espletamento di una fase del processo14.

13 Citato in:

https://www.cs.unipr.it/Informatica/Corsi/2003-04/ICT_Azienda_D02_ProcessiAziendali.pdf

14 Citato in: Bartezzaghi, E. (2014). “L'organizzazione dell'impresa: Processi, progetti, conoscenza,

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Le attività che costituiscono un processo sono caratterizzate da tre elementi fondamentali:

v Costo delle attività, e conseguentemente del processo;

v Tempo di svolgimento delle attività: rappresenta il tempo necessario per raggiungere il risultato finale del processo a partire dai suoi input. In questo tempo devono anche essere considerati gli eventuali tempi morti tra un’attività ed un’altra;

v Qualità dell’output finale: scaturisce dalla qualità di esecuzione delle attività del processo15.

Riprendendo dunque un concetto citato nell’ambito dell’organizzazione per processi, sono proprio i suddetti elementi una misura dell’efficienza e dell’efficacia con cui si svolge il processo; ed un processo caratterizzato dalle suddette caratteristiche è in grado di soddisfare le esigenze dei propri clienti e pertanto crea valore.

Per ogni processo ci sarà poi un soggetto interno all’azienda che dovrà occuparsene e dovrà gestirlo, in particolare si avrà:

v il process owner: raffigura il responsabile del processo aziendale; v il process manager: raffigura il responsabile operativo;

v il process worker: raffigura colui che lavora effettivamente sul processo; v il process sponsor: raffigura il “rappresentante” del processo nel top

management.

A seconda del processo aziendale nel quale sono coinvolte, queste figure assumeranno un ruolo, ed un nome, ben definito16.

15Citato in:

https://www.cs.unipr.it/Informatica/Corsi/2003-04/ICT_Azienda_D02_ProcessiAziendali.pdf

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1.2.1. Le tipologie di processi secondo Porter

Secondo Michael E. Porter, accademico ed economista statunitense, nonché uno dei maggiori esponenti della teoria della strategia manageriale, i processi possono essere suddivisi in due tipologie:

v Processi Primari: creano direttamente valore riconosciuto dal cliente esterno in quanto impattano sul suo livello di soddisfazione, e consentono lo svolgimento dell’attività caratteristica;

v Processi Secondari o di Supporto: non creano un valore riconosciuto dal cliente esterno in quanto servono per la realizzazione dei processi primari e pertanto il loro cliente è interno, inoltre generano costi e solo indirettamente benefici17.

Questa classificazione fornita da Porter tiene dunque conto della definizione di business process esposta da Bartezzaghi, dalla quale emerge lo scopo a cui gli stessi sono dedicati: la creazione di valore.

Tra i processi primari si possono collocare quelli di produzione, logistica e vendita; mentre tra i processi di supporto si possono collare quelli di amministrazione, finanza, pianificazione, gestione delle risorse umane ecc.

Ulteriormente, ciascun processo aziendale è scomponibile in sotto-processi, dei quali si può decidere di effettuare o meno una successiva suddivisione, fino ad arrivare al livello di dettaglio ritenuto più opportuno. Il numero dei livelli di scomposizione è dunque variabile, anche se non è conveniente scendere troppo in profondità, poiché si corre il rischio di frazionare eccessivamente le informazioni.

17 Citato in:

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Si evince dunque, come l’azienda sia l’insieme di tutti questi processi, e delle attività programmate e ripetitive che li compongono, ma ulteriormente si può comprendere come non tutti i processi siano egualmente importanti all’interno dell’azienda, perché gli obiettivi sono differenti18.

1.2.2. La catena del valore di Porter

Il modello della catena del valore fu teorizzato da Porter nel 1985 nel suo libro

“Competitive Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance” ed è

particolarmente utile per applicare la distinzione dei processi sopra citata.

In particolar modo questo modello descrive l’organizzazione come un insieme limitato di nove processi, tra i quali cinque sono primari e dunque producono un risultato percepibile direttamente dal cliente, i restanti quattro sono invece processi di supporto, pertanto forniscono attività di servizio essenziali ma non sempre percepibili dal cliente. Ulteriormente il modello della catena del valore rappresenta uno strumento che consente di verificare il vantaggio competitivo che un’azienda può ottenere e consente di misurare la sua capacità di creare valore sia rispetto alle imprese concorrenti sia rispetto al costo sostenuto per crearlo.

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Immagine 1.2.2. Rappresentazione della Catena del Valore. Porter (1985)

La catena del valore di Porter è costituita da due elementi essenziali: i processi e le relative attività che generano valore ed il margine.

Secondo l’autore, le attività primarie vengono svolte dall’azienda dal momento dell’entrata delle materie prime fino all’assistenza al cliente del post-vendita; pertanto si possono ricondurre a questa categoria le attività di logistica interna ed esterna, le attività di produzione/trasformazione in prodotti finiti, le attività di marketing e vendita, ed infine le attività legate ai servizi post-vendita quali l’assistenza tecnica, l’avviamento ecc.

Le attività di supporto, invece, forniscono le risorse necessarie alle attività primarie, e pertanto si possono ricondurre a questa tipologia le attività di acquisizione dei fattori produttivi esterni all’azienda, dette attività di approvvigionamento, le attività legate allo sviluppo delle tecnologie comprese le attività di ricerca e sviluppo correlate, le attività di gestione delle risorse umane ed infine le attività

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infrastrutturali, ovvero quelle attività legate ad aspetti più prettamente amministrativi19.

Entrambe le tipologie di processi hanno la finalità di creare margine, ovvero guadagno, considerandolo come la differenza tra i ricavi ed i costi derivanti dai processi aziendali attuati dall’azienda; ciò avviene grazie alla capacità di creare valore per il cliente che è possibile tramite l’attitudine a rendersi distintivi rispetto ai competitors presenti sul mercato in primo luogo, ma anche riuscendo ad ottenere alti standard di qualità dei processi interni in termini di efficacia ed efficienza.

Tuttavia, questo modello presenta un limite principale: quello di adattarsi bene a grandi organizzazioni che svolgono attività di produzione dei beni, ma per organizzazioni diverse da quelle di produzione di beni occorre provvedere ad un adattamento del modello alla tipologia di attività svolta.

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CAPITOLO II

LA GESTIONE DEI PROCESSI AZIENDALI: DALLA PROGETTAZIONE AI POSSIBILI INTERVENTI

2.1. La gestione dei processi aziendali: aspetti introduttivi

Nelle aziende l’introduzione del nuovo approccio per processi, denominato “gestione per processi” o Business Process Management (BPM), rappresenta “una disciplina

focalizzata sull’utilizzo dei processi aziendali come contributo significativo al raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione attraverso il miglioramento, la gestione continua delle prestazioni e la governance dei processi aziendali”20.

Il BPM si è affermato a seguito di un cambiamento a livello di mercato poiché le aziende si inseriscono in ambienti caratterizzati da una sempre maggiore complessità e turbolenza: il mercato di oggi è sempre più competitivo e i consumatori sono diventati più esigenti, aspettandosi di ottenere rapidamente i prodotti o servizi pensati su misura per le proprie esigenze21.

Per ogni azienda che intende anche solo mantenere la propria posizione di mercato, tale situazione ha avuto impatti anche internamente in quanto si sono affermati obiettivi diversi da perseguire: la soddisfazione del cliente, la razionalizzazione delle risorse interne, la flessibilità e l’innovazione ecc.

20 Citato in: Jeston, J., Nelis, J. (2014).Business process management”. Routledge.

21Citato in: Kasim, T., Haracic, M., & Haracic, M. (2018). “The improvement of business efficiency

through business process management”. Economic Review: Journal of Economics and Business, 16(1),

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In un contesto competitivo come quello sopra specificato, in cui l’azienda è vista come insieme di processi di business, e non come sommatoria di funzioni da coordinare, è facilmente comprensibile come la gestione delle numerose interdipendenze che si formano tra i processi stessi rappresenti l’obiettivo principale, costituendo quest’ultime l’elemento che offre i più ampi potenziali di miglioramento.

Pur trovando già dei riferimenti al concetto di processo nelle opere di Gino Zappa che, nel 1960, definiva l’azienda come “unitaria combinazione di processi”, solo negli anni Novanta la gestione dei processi aziendali ha assunto le caratteristiche di una pratica manageriale diffusa.

Le origini di questa pratica infatti risalgono agli anni Ottanta con l’introduzione del Total Quality Management (TQM), un approccio per migliorare l’efficacia e la flessibilità del business nel suo complesso22, che concepisce il Business Process Management come uno strumento fondamentale per orientare l’azienda verso la qualità ed il suo continuo miglioramento; riferimento peraltro già contenuto nelle normative ISO 9000. L’implementazione corretta del TQM permette di ridurre drasticamente gli errori e/o i difetti, di incrementare la produttività e migliorare la competitività attraverso una gestione per processi orientata al cliente23.

Successivamente a partire dai concetti di Total Quality Management, negli Stati Uniti, si è sviluppata la metodologia del Quality Function Deployment focalizzata sul trasferimento delle esigenze del cliente in requisiti del servizio o prodotto.

22 Citato in: Mohanty, R., & Lakhe, R. R. (1994). “Total quality management, concepts evaluation and

acceptability in developing economics”. International Journal of Quality and Reliability

Management, 11, 8-33.

23 Citato in: De Risi, P. (2005). “Introduzione alla gestione per processi nelle

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Tuttavia, emerge come il passaggio da un’organizzazione per funzioni a quella per processi sia un momento molto delicato, in quanto rivoluziona il modus operandi delle aziende mostrando anche un forte impatto culturale, in particolar modo se tale cambiamento è accompagnato dall’evoluzione degli strumenti informatici che in quel periodo rappresentavano l’ingresso dell’automazione nel mondo delle aziende, quali i sistemi di pianificazione delle risorse aziendali, denominati Enterprise Resource Plannig (ERP). A loro volta i suddetti sistemi sono stati succeduti dai sistemi di gestione delle relazioni con i clienti, denominati Customer Relationship Management (CRM), fino ad arrivare ai sistemi di gestione dei processi aziendali, denominati Business Process Management Systems, i quali hanno permesso di introdurre nelle aziende il concetto di flusso di lavoro24.

Il punto di partenza di questo nuovo approccio è la strutturazione di un’organizzazione per processi e affinchè ciò avvenga correttamente è indispensabile per ogni processo:

1. Definire il process owner (responsabile del processo): un soggetto che gestisce l’intero processo ed ha potere decisionale. In primo luogo, egli coordina e gestisce tutte le fasi guidando tutte le risorse che provengono da diverse funzioni aziendali e che sono dedicate al raggiungimento di un obiettivo comune. Pertanto, egli è altresì considerato il responsabile del raggiungimento degli obiettivi e deve ottenere dai suoi collaboratori tutte le informazioni necessarie al monitoraggio e all’individuazione di criticità e situazioni di miglioramento nel processo;

2. Stabilire una mission, ovvero uno scopo di quello specifico processo che ne

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motivi l’esistenza;

3. Stabilire i confini del processo: si deve definire i suoi limiti, dove il processo inizia e dove termina, attraverso l’individuazione di eventi precisi e identificabili;

4. Individuare fornitori ed input: si deve individuare i soggetti esterni o le funzioni che forniscono prodotti o servizi utilizzati nel processo;

5. Individuare clienti ed output: si deve individuare i soggetti interni o esterni che utilizzano prodotti o servizi creati dal processo;

6. Individuare i bisogni dei clienti: intervistando i clienti per conoscere i beni o servizi richiesti e la relativa priorità che vi assegnano;

7. Disegnare il flusso del processo: ciò al fine di comprenderne il suo funzionamento, ma anche di standardizzare le attività e facilitare la ricerca dei punti di miglioramento25.

Successivamente si può dar luogo alla vera e propria gestione per processi, ricordando però che le attività che la compongono possono essere raggruppate nelle seguenti categorie: progettazione, modellazione, esecuzione, monitoraggio e ottimizzazione. Questa classificazione può essere osservata come un ciclo continuo infatti viene denominata Business Process Management Life-Cycle.

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Immagine 2.1.1. Business Process Management Life-Cycle.

2.1.1. La fase di Design

La prima fase del suddetto modello è rappresentata dalla progettazione dei processi aziendali, la quale richiede la loro individuazione in relazione agli obiettivi del management. Una volta identificati, tali processi devono essere gestiti come un unico sistema, con un approccio sistemico della gestione.

In questa fase è necessario identificare i processi esistenti, attraverso una fotografia dei processi “as is”, quindi uno scatto del lavoro così come viene svolto. Successivamente si può entrare più nel dettaglio delle singole fasi del processo e rilevare opportunità di miglioramento che permettono di progettare processi futuri, denominati “to be”26.

26Citato in: Netjes, M., Reijers, H. A., & Van der Aalst, W. M. P. (2006). “Supporting the BPM

(29)

2.1.2. La fase di Modeling

Per poter agire sui processi è necessario, dopo averli individuati, procedere ad una loro mappatura. In quest’ultima fase, un modello di riferimento che viene in aiuto è la catena del valore di M. E. Porter, già analizzata in precedenza.

Tuttavia, non esiste una mappatura dei processi standard, adattabile ad ogni realtà aziendale, ma ogni organizzazione procederà a delineare i confini della propria attività, tenendo conto della propria struttura aziendale.

La mappatura dei processi o business process mapping ha come scopo principale quello di rappresentare il sistema aziendale come un organismo formato da processi logicamente collegati e volti al raggiungimento di obiettivi predeterminati.

Ogni processo si lega ad altri con una molteplicità di legami possibili, pertanto nell’ambito del business process mapping, occorre scegliere il processo migliore per procedere lungo la traiettoria di raggiungimento dell’obiettivo. La strada migliore in questo caso è rappresentata da quella che consente di perseguire l’obiettivo con il massimo valore e le minori risorse possibili27.

Parlando di mappa si fa riferimento ad una rappresentazione grafica dei processi aziendali, nella quale vengono messi in risalto i legami ed i collegamenti tra i processi e tra l’organizzazione e l’ambiente di riferimento.

Tra i principali obiettivi di questa metodologia si collocano: la corretta allocazione delle risorse da assegnare ai processi, la loro semplificazione, correzione, miglioramento e comprensione del modo in cui le risorse vengono utilizzate28.

27 Citato in: http://www.qualitiamo.com/approfondimento/20071203.html

28 Citato in: Ostinelli, C. (1995).La mappatura e l'analisi dei processi gestionali: al cuore

(30)

A fronte dei suddetti obiettivi, il successo della fase di mappatura è garantito dalla presenza in azienda di alcuni presupposti di carattere sia organizzativo sia strategico quali:

v la sponsorship da parte dell’alta direzione: l’alta direzione deve credere fortemente nel progetto ed essere disposta a dedicare tutte le risorse necessarie alla sua realizzazione;

v la definizione della mission dell’azienda e degli obiettivi di medio-lungo periodo: ciò avviene in maniera efficace se sono chiari i principali indirizzi strategici dell’impresa. Strettamente collegato alla definizione degli obiettivi vi sono le scelte sulle risorse da dedicarvi e i tempi di svolgimento, ma anche la cultura ed il clima aziendale in termini di resistenza al cambiamento. v la programmazione degli interventi e dei relativi tempi di realizzazione:

passaggio strettamente collegato al precedente per evitare di porre in essere interventi a carattere locale che avrebbero il solo scopo di spostare il problema o ritardarne la comparsa;

v la costituzione del gruppo di lavoro e la relativa formazione alle tecniche di mappatura dei processi: la costituzione deve avvenire in base agli obiettivi prefissati, pertanto è sempre necessario coinvolgere persone appartenenti a unità organizzative distinte;

v la raccolta e la condivisione delle informazioni esistenti29.

29 Citato in: Ostinelli, C. (1995). “La mappatura e l'analisi dei processi gestionali: al cuore dell'activity

(31)

2.1.3. La fase di Execution

La fase successiva del Business Process Management Life-Cycle è quella di execution e prevede la messa in pratica del processo riprogettato, comportando un cambiamento della situazione “as is” in quanto i nuovi processi ridisegnati diventano ora la nuova versione di svolgimento del lavoro nel presente.

Questa fase include il cambiamento necessario per ottenere la trasformazione pertanto è molto importante la comunicazione aziendale, comunicando agli stakeholders il motivo della trasformazione, le aspettative e le persone coinvolte nella trasformazione stessa.

2.1.4. La fase di Monitoring

Dopo aver individuato un processo, averlo descritto e rappresentato attraverso la fase di mappatura, e averlo eseguito, esso deve essere analizzato, a fronte del fine della gestione per processi, già più volte ribadito, ovvero il miglioramento30.

Questa fase prende il nome di analisi dei processi ed ha l’obiettivo di individuare gli input e gli output principali per ricostruire il flusso che li ha generati. Essa svolge una funzione molto importante per poter intervenire repentinamente sul processo ed individuare eventuali criticità. Per far ciò però è necessario individuare tutte le attività che fanno parte dello specifico processo preso in analisi, i tempi per realizzarle, i soggetti coinvolti e le presumibili criticità.

Dopodiché, occorre definire una serie di indicatori di performance, detti anche Key Performance Indicator (KPI) che consentano di misurare l’andamento del

30 Citato in: Netjes, M., Reijers, H. A., & Van der Aalst, W. M. P. (2006). “Supporting the BPM

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processo e capire se sta funzionando correttamente, permettendo dunque di comprendere se il processo esistente è in linea con i risultati attesi.

Principalmente, tra tutte le tipologie di KPI esistenti, ci si avvale degli indici che monitorano i risultati, utilizzati sia per la misurazione dei risultati delle attività sia per la misurazione dell’andamento dei processi aziendali. Essi vengono successivamente confrontati con indicatori di benchmarking, vale a dire dati relativi a competitors interni o esterni riconosciuti eccellenti nello specifico ambito di interesse.

In particolare, per misurare concretamente le prestazioni del processo in termini di efficacia ed efficienza si identificano tre tipologie di indicatori:

v Indicatori di Qualità: in questo caso occorre distinguere tra qualità prodotta e percepita. La qualità prodotta consiste nell’oggettiva validità ed efficacia delle modalità di svolgimento del processo e del suo output, mentre la qualità percepita può essere definita come conformità dell’offerta rispetto alle attese del cliente;

v Indicatori di Costo: il costo viene considerato come quello delle risorse consumate dal processo;

v Indicatori di Tempo: la principale misura in questo caso è rappresentata dal “lead time”, cioè il tempo effettivo di esecuzione del processo31.

2.1.5. La fase di Optimization

Successivamente alla fase di analisi dei processi aziendali ed in relazione ai risultati

31 Citato in: Gentile, A. (2018). “Realizzazione di KPI per consentire miglioramenti qualitativi inerenti

(33)

ottenuti da essa, si possono attuare due tipologie di interventi sui processi che permettono il loro miglioramento: il Business Process Improvement (BPI) e il

Business Process Reengineering (BPR).

Il BPI ricerca il miglioramento dei flussi operativi attraverso cambiamenti incrementali che prevedono l’eliminazione delle inefficienze e dei passaggi burocratici. Esso si distingue dal TQM, un approccio bottom-up sulla struttura aziendale, in quanto agisce contemporaneamente su tutti i livelli dell’organizzazione.

All’opposto invece, il BPR viene concepito come radicale riprogettazione dei principali processi di un’organizzazione. Esso fu esposto per la prima volta da M. Hammer negli anni Novanta e successivamente fu ripreso da T. H. Davenport e H. J. Harrington con ipotesi che si distinguono principalmente per l’ampiezza dell’intervento e la profondità del cambiamento32.

2.2. Il Business Process Improvement

Il Business Process Improvement, o BPI, prevede interventi di tipo incrementale, volti al continuo miglioramento dei processi ed al fine di fornire un servizio migliore ai clienti, ma anche contenere i costi e le tempistiche e diventare più competitivi.

Migliorare i processi significa trovare la strada migliore da percorrere, pertanto la presenza di scollamenti tra le performance di un processo e le richieste di un cliente, oppure la presenza di colli di bottiglia o di possibili rallentamenti, rappresentano delle opportunità per attuare questa tipologia di intervento.

Gli elementi che compongono il framework del Business Process Improvement

32 Citato in: Bhaskar, L. H. (2018). “Business process reengineering: A process based management

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riguardano:

v gli stakeholders: essi definiscono le aree critiche in cui l’azienda vuole eccellere ed è in base ad esse che vengono valutate le idee dei progetti di miglioramento;

v la conoscenza: è necessaria un’approfondita conoscenza degli attuali processi aziendali;

v la misurazione delle prestazioni: prevedere degli indicatori di prestazioni gioca un ruolo fondamentale nel miglioramento;

v la mappa: permette di meglio identificare i processi da migliorare;

v la struttura organizzativa: essa deve essere formata da abilità, incentivi e attitudini che fomentano il miglioramento continuo33.

Tutti gli esempi sopra citati prevedono una gestione del problem solving e per far ciò l’azienda utilizza un approccio denominato “ciclo di Deming”, sviluppato negli anni Cinquanta da William Edwards Deming.

Il ciclo di Deming, si struttura come un metodo per individuare il perché un processo o un prodotto non incontri le aspettative, sviluppando ipotesi sui possibili cambiamenti e testare l’efficacia in un continuo loop34.

Questa metodologia è strutturata in quattro fasi:

1. Plan (Pianificare): pianificazione delle attività;

2. Do (Fare): esecuzione di quanto pianificato;

3. Check (Controllare): controllo circa l’esecuzione di quanto stabilito;

33 Citato in: Andersen, B. (2007).Business process improvement toolbox”. Quality Press.

34 Citato in: Senni, P., & Luisi, A. (2002). “La filosofia di Deming e il ciclo PDCA”.Strumenti per

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4. Act (Agire): migliorare il processo.

Il primo step, plan, risulta essere quello più impegnativo in quanto racchiude in sé un insieme di attività di fondamentale importanza per il miglioramento continuo. Per prima cosa si deve definire l’area scelta per il miglioramento, successivamente si può procedere a definire un obiettivo numerico in linea con le politiche e le decisioni strategiche dell’organizzazione. Oltre a ciò però è necessario definire le attività e le risorse necessarie a migliorare il processo e di conseguenza volte al raggiungimento dell’obiettivo.

Nella seconda fase, do, si procede all’esecuzione di quanto stabilito attraverso il primo step rispettando le tempistiche prestabilite.

Successivamente si passa alla fase di check attraverso la quale si verifica il raggiungimento degli obiettivi. Nello specifico si misurano gli output del processo attuato con il fine di ottenerne un miglioramento e si confrontano con quelli ipotizzati nella fase di plan.

Qualora, attraverso tale procedimento, si inneschino dei miglioramenti del processo analizzato, l’azienda procederà ad implementare la soluzione, effettuando così l’ultima fase del ciclo di Deming. In caso negativo si riavvia nuovamente il ciclo, ripercorrendo tutte le sue fasi al fine di ricercare le cause del mancato miglioramento e porre rimedio ad eventuali obiettivi non centrati35.

35 Citato in: Senni, P., & Luisi, A. (2002). “La filosofia di Deming e il ciclo PDCA”. Strumenti per

(36)

Immagine 2.2.1. Il ciclo di Deming.

Tale metodo viene anche definito ciclo PDCA dal nome delle fasi che lo compongono, e viene utilizzato soprattutto nell'ambito della qualità, infatti si presenta un riferimento nella norma UNI EN ISO 9001:2008.

2.3. Il Business Process Reengineering

Oltre al metodo del Business Process Improvement, si può intervenire sui processi anche attraverso il Business Process Reengineering.

Il Business Process Reengineering, o BPR, è stato introdotto negli anni Novanta da Michael Hammer che lo definisce come “il ripensamento di fondo ed il ridisegno

dei processi aziendali, finalizzato a realizzare straordinari miglioramenti nei parametri critici delle prestazioni, come i costi, la qualità, il servizio e la rapidità”36.

L’autore individua alcuni principi generali che devono guidare la reingegnerizzazione dei processi:

36 Citato in: Bhaskar, L. H. (2018). “Business process reengineering: A process based management

(37)

v riorganizzarsi in ragione dei risultati da ottenere e non delle attività; v coinvolgere nei processi produttivi gli utilizzatori degli output;

v integrare l’elaborazione delle informazioni all’interno del lavoro di raccolta delle stesse;

v considerare le risorse geograficamente distribuite come se fossero centralizzate;

v collegare attività parallele piuttosto che integrare i risultati;

v collocare i punti decisionali dove il lavoro è effettivamente svolto ed incorporare il controllo dentro al processo;

v acquisire le informazioni una sola volta, alla fonte37.

La reingegnerizzazione del processo può essere applicata all’intera organizzazione, parte di essa o ad una sua singola unità. Quando un’azienda intraprende questa strada, non potendo farlo contemporaneamente per tutti i processi, fa una selezione dei processi da reingegnerizzare sulla base di tre criteri:

1. Disfunzione; 2. Importanza; 3. Fattibilità.

Con riguardo al primo dei tre criteri, i dirigenti individuano i processi ingannevoli, quelli che funzionano peggio di altri. A fronte di ciò, in azienda si presentano alcuni sintomi dei suddetti processi quali l’ampio scambio di informazioni e la ridondanza dei dati, i ripetuti ritardi nella consegna del prodotto o servizio al cliente ecc.

Il secondo criterio riguarda l’importanza o l’impatto per il cliente di tale processo,

37 Citato in: Lazzi, G. (1999). “Reingegnerizzazione dei processi. Sistemi Informativi per la Pubblica

(38)

che può essere misurato attraverso il costo del prodotto, la puntualità delle prestazioni, le caratteristiche del prodotto o del servizio ecc. Si evince come tale criterio riguardi l’identificazione dei processi più rilevanti nella determinazione della soddisfazione del cliente.

Infine, il terzo criterio riguarda i processi fattibili quindi devono essere definiti i processi che possono essere riprogettati con maggiore successo. A titolo di esempio si può citare il costo del processo come un elemento che riduce la fattibilità della reingegnerizzazione di tale processo38.

Per procedere dunque alla reingegnerizzazione dei processi occorre in primo luogo identificare il processo critico, elaborare una strategia di miglioramento e successivamente metterla in pratica. Infine, si deve procedere a verificare se le migliorie apportate sono efficaci e nel caso procedere alla loro standardizzazione.

Nello svolgimento di questa tipologia di intervento sui processi un ruolo centrale è giocato dalla tecnologia, che rappresenta lo strumento abilitante in quanto fornisce la strada per raggiungere prestazioni rivoluzionarie nel sistema azienda. Tuttavia, la semplice introduzione dei computer in un processo aziendale non ne causa la riprogettazione, ma è necessario un livello maggiore di utilizzo della stessa. A titolo di esempio si può citare l’adozione dell’IT per migliorare l’integrazione in varie aree funzionali.

Si evince quindi che l’IT quale strumento abilitante per il Business Process Reengineering può essere considerato come una delle potenziali fonti di vantaggio competitivo.

38 Citato in: Bhaskar, L. H. (2018). “Business process reengineering: A process based management

(39)

Ciò nonostante, l’uso improprio della tecnologia può sfociare in un blocco del processo di reingegnerizzazione, comportando di conseguenza il rafforzamento di vecchi modelli di comportamento39.

Infine, occorre precisare che il BPR viene spesso equiparato all’automazione, ma non si tratta di essa, in quanto automatizzare i processi esistenti con la tecnologia non necessariamente porta a eliminare le inefficienze o gli sprechi presenti, ma può portare a fornire modi più efficienti di fare le cose nella maniera sbagliata.

Quelli sopra esposti rappresentano strumenti necessari alla generazione di soluzioni o strade alternative di miglioramento e costituiscono altresì i principali approcci al Business Process Management, pertanto è compito di chi gestisce il BPM scegliere l’approccio più adatto ad ogni situazione.

2.4. L’influenza del Business Process Management nelle aziende

Negli anni il mercato ha subito molti cambiamenti che hanno avuto ripercussioni anche a livello aziendale, modificandone gli obiettivi che affidano oggi molta più importanza alla flessibilità dei processi, alla risoluzione delle inefficienze e all’individuazione delle possibili aree di miglioramento al fine di fornire prodotti o servizi maggiormente in linea con le esigenze della clientela.

Si può dunque comprendere come una gestione inadeguata dei processi aziendali e la mancanza di un approccio sistemico comportino per le aziende una serie di problemi legati all’aumento delle inefficienze ed alla riduzione della competitività,

39 Citato in: Bhaskar, L. H. (2018). “Business process reengineering: A process based management

(40)

le quali conseguentemente influiscono sulla capacità delle organizzazioni di operare con successo nel mercato, sia nel breve che nel lungo termine.

In tal senso, le metodologie adottate dal Business Process Management rappresentano un valido strumento per il raggiungimento degli obiettivi sopra esposti.

La visione per processi necessita di cambiamenti non solo strutturali, ma anche culturali legati all’abbandono di una mentalità gerarchica, tipica delle aziende che adottano l’approccio per funzioni, per focalizzarsi su una più flessibile che permetta la cooperazione tra le varie attività aziendali. Allo stesso modo adottare questa strategia per le aziende richiede una notevole sensibilità verso il personale coinvolto nella trasformazione, in quanto i dipendenti devono essere informati degli obiettivi e della visione dell’azienda al fine di provocare un maggior interesse nel raggiungimento degli stessi.

Concludendo, si può affermare che attraverso le metodologie di Business Process Management è possibile affrontare i suddetti cambiamenti del mercato dando possibilità alle aziende, non solo di sopravvivere, ma anche di crescere in un contesto complesso e altamente instabile.

(41)

CAPITOLO III

L’INFORMATION AND COMUNICATION TECHNOLOGY E LA NASCITA DEL PROCESS MINING

3.1. I sistemi informativi nella gestione dei processi: il contributo dell’ICT Nel capitolo precedente si è fatto riferimento al Business Process Management come ad uno strumento per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. A tal fine occorre precisare che alla base dell’attività aziendale si pone un elemento essenziale: l’informazione, che consente all’impresa di funzionare e raggiungere i suddetti obiettivi.

L’utilizzo delle informazioni da parte del management è dunque volto a pianificare, controllare e migliorare l’attività dell’azienda. Pertanto, nell’ambito della gestione per processi analizzata nel presente elaborato, tale elemento è di fondamentale importanza al fine dell’assunzione di decisioni volte al continuo miglioramento del business, il quale necessita di innovazioni a seguito del cambiamento nelle abitudini di consumo e nella fruizione dei prodotti da parte dei consumatori.

Tuttavia, l’informazione si presenta in azienda sotto forma di dato grezzo proveniente da un’attenta osservazione della realtà e degli eventi che avvengono all’interno dell’organizzazione e nell’ambiente esterno in cui essa opera. Per poter essere di utilità ai vari sub-sistemi di funzioni e processi, però il dato grezzo (o l’insieme di dati) viene sottoposto ad un processo di trasformazione che lo rende significativo per un certo destinatario così da essere rilevante al fine del suo processo decisionale attuale e futuro. Affinché l’informazione diventi significativa all’interno

(42)

dell’organizzazione, il processo di trasformazione dei dati deve essere imperniato sulle effettive esigenze di coloro che utilizzeranno l’informazione stessa: l’informazione deve essere “funzionale” ai soggetti aziendali che ne richiedono l’utilizzo in modo da ridurne l’incertezza decisionale e determinare un aumento delle conoscenze a livello complessivo aziendale40.

Tale processo di trasformazione dei dati, o produzione delle informazioni, si colloca all’interno di una più ampia attività aziendale che riguarda la gestione del Sistema Informativo quale, come già precedentemente esposto, insieme di elementi interrelati ed interagenti: dati, informazioni, risorse tecniche e umane, nonché metodologie e strumenti necessari alla trasformazione dei dati in informazioni. L’elaborazione dei dati inoltre, permette alle aziende di accedere a grandi quantitativi di dati che le consentono di acquisire un vantaggio competitivo, oltre a informazioni approfondite su vendite, strategie di marketing ed esigenze dei consumatori.

Il suddetto processo si articola nelle seguenti fasi:

1. Raccolta dei dati: il momento in cui si procede ad immagazzinare i dati esterni e interni. Questa fase di articola in 3 fasi consequenziali: la scelta dei fenomeni e degli aspetti da osservare, la determinazione quantitativa e qualitativa dei dati e la selezione dei dati in relazione al contenuto informativo;

2. Classificazione dei dati: l’operazione con cui i dati vengono ripartiti in sottogruppi in conformità ad elementi omogenei;

(43)

3. Elaborazione dei dati grezzi: il momento in cui si procede a depurarli dei contenuti informativi non utili all’azienda, con conseguente rappresentazione dei dati finalizzata alla loro comunicazione;

4. Comunicazione dei dati: i dati elaborati vengono trasmessi ai numerosi destinatari;

5. Interpretazione dei dati: si tratta di un’analisi critica della loro capacità segnaletica in relazione alla possibilità di utilizzo in modo efficace nell’ambito dei processi aziendali41.

Oltre ai dati e all’informazione quali elementi del Sistema Informativo, tale processo per poter essere attuato necessita di risorse, non solo umane, ma anche tecniche. In tal caso si fa riferimento all’infrastruttura del sistema stesso, ovvero la sua parte prettamente tecnologica, che comprende hardware e software, denominata sistema informatico.

Quando la tecnologia viene utilizzata assieme alla risorsa informazione, si introduce il concetto di tecnologie dell’informazione o Information Technology (IT), che se unito al concetto di Comunication Technology (CT), attraverso la fusione di differenti componenti, porta alla luce il concetto di Information and Comunication Technology (ICT), includendo l’elemento della comunicazione, con lo scopo di distribuire le informazioni raccolte all’interno dell’organizzazione.

L’ICT vera e propria nasce nei primi anni del nuovo millennio e fa riferimento alle

“tecnologie riguardanti i sistemi integrati di telecomunicazione (linee di telecomunicazione cablate e senza fili), i computer, le tecnologie audio-video e

(44)

relativi software che permettono agli utenti di creare, immagazzinare e scambiare informazioni”42.

La generazione nata a cavallo tra gli anni Novanta e gli anni Duemila è una generazione nata in pieno sviluppo tecnologico e per la quale l’utilizzo dei computer, reti internet e tecnologia è la normalità quotidiana. Tuttavia, l’avvento delle tecnologie nelle organizzazioni è stato un processo iniziato tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, non facile e che ha portato all’interno delle aziende cambiamenti memorabili.

In precedenza, l’elaborazione dei dati avveniva manualmente rappresentando un processo decisamente difficile e caratterizzato da una certa lentezza e laboriosità. Successivamente negli anni Settanta, si sono affacciate al mondo delle aziende le prime tecnologie informatiche, rappresentate da grandi macchine in termini di dimensione, ma con poca capacità di elaborazione ed archiviazione, e negli anni Ottanta con l’avvento dei personal computer, l’informatica è entrata a pieno titolo in tutte le attività aziendali.

Infine, nel periodo dagli anni Novanta agli anni Duemila, a seguito della nascita del World Wide Web e della telefonia cellulare, che hanno permesso la connessione tra le persone generando nuove opportunità di crescita e sviluppo in molti settori dell’economia, i computer hanno iniziato ad essere collegati alla rete, rappresentando ciò a cui siamo abituati oggi. Un ulteriore passo avanti è stato fatto nell’ultimo decennio, quando le tecnologie digitali hanno subito un rapido sviluppo che può essere attribuito a tre leggi fondamentali: la legge di Moore, la legge di Butter e infine la legge di Kryder. Queste tre leggi affermano l’aumento esponenziale della potenza

(45)

di elaborazione, della larghezza della banda di comunicazione e delle capacità di archiviazione43, rappresentando così i fondamenti di quella che viene chiamata Quarta Rivoluzione Industriale o Digital Trasformation.

A titolo di esempio, si pensi al fatto che, attraverso la rete mobile, siamo costantemente connessi con il resto del mondo, ma ciò può avvenire con differenti modalità: si possono utilizzare smartphone, palmari, tablet con elevate capacità di archiviazione e di calcolo, rese possibili grazie all’utilizzo della tecnologia Cloud, pur garantendo al consumatore sicurezza dei propri dati.

Una rivoluzione di tale portata non poteva che tradursi in un cambiamento nelle abitudini di consumo e di fruizione dei prodotti da parte dei consumatori, pertanto l’evoluzione nel modo di fare business che si sta vivendo, ovvero la modalità con la quale le aziende si pongono sul mercato, posizionano o realizzano un prodotto o servizio, è generata dalla necessità di riallineamento nei confronti delle nuove aspettative dei consumatori.

Proprio a fronte di tale necessità, l’Information & Comunication Technology può contribuire alla gestione dei processi aziendali, migliorandone l’efficienza e l’efficacia: obiettivi propri del Business Process Management precedentemente studiato. Il raggiungimento dei suddetti obiettivi avviene attraverso l’elaborazione e l’analisi dei dati disponibili mediante tecniche di Business Intelligence che verranno analizzate nei paragrafi successivi.

43 Citato in: Chinmay, S., Manish, S. (2020). “Digital transformation: challenges faced by

(46)

3.2. L’introduzione di strumenti di Business Intelligence

La prima definizione di Business Intelligence (BI) è comparsa nel 1958 nell’articolo

“A business intelligence system” di Hans Peter Luhn, ricercatore di IBM

(International Business Machine Corporation), il quale la definisce come un

“automatic method to provide current awareness services to scientists and engineers”44.

In realtà il termine veniva utilizzato già nel 1800 da Richard M. Devens, per descrivere il segreto del successo di un banchiere, ma solamente con Luhn vennero riconosciuti i benefici dei software e tools di BI.

Successivamente una definizione accreditata del termine è quella proposta da Howard Dresner, analista di Gartner Group nel 1989, il quale nella definizione originale afferma: “Business Intelligence describes the enterprise’s ability to access

and explore information, often contained in a Data Warehouse, and to analyze that information to develop insights and understanding, which leads to improved and informed decision making. BI tools include: ad hoc query, report writing, decision support systems (DDSs), executive information systems (EISs) and, often, techniques such as statistical analysis and online analytical processing (OLAP)”45.

Si può dunque parlare di Business Intelligence come di un sistema di modelli, metodi, processi, persone e strumenti che rendono possibile la raccolta regolare ed organizzata del patrimonio dati generato da un’azienda. Inoltre, attraverso

44 Citato in: Luhn, H. P. (1958). “A business intelligence system”. IBM Journal of research and

development, 2(4), 314-319.

45 Citato in: Gibson, M., Arnott, D., Jagielska, I., & Melbourne, A. (2004). “Evaluating the intangible

benefits of business intelligence: Review & research agenda.” InProceedings of the 2004 IFIP International Conference on Decision Support Systems (DSS2004): Decision Support in an Uncertain and Complex World(pp. 295-305). Prato, Italy.

(47)

elaborazioni, analisi o aggregazioni, ne permette la trasformazione in informazioni, la loro conservazione, reperibilità e presentazione in una forma semplice, flessibile ed efficace, tale da costituire un supporto alle decisioni strategiche, tattiche ed operative46.

A questo proposito occorre fare una precisazione, il sistema informativo svolge differenti operazioni che possono essere classificate in base alle esigenze che scaturiscono dalle attività dei diversi attori dell’organizzazione aziendale; secondo lo schema della piramide di Anthony si individuano tre categorie di attività aziendali:

v Attività strategiche: quelle riguardanti la definizione degli obiettivi aziendali e delle politiche aziendali volte al loro raggiungimento;

v Attività tattiche: quelle riguardanti l’allocazione efficace ed efficiente delle risorse aziendali al fine di conseguire gli obiettivi;

v Attività operative: quelle riguardanti l’operatività corrente (es: magazzino, gestione ordini, fatturazione ecc…).

La Business Intelligence è preposta allo svolgimento di tutte e tre le tipologie di attività; con riguardo alla prima categoria, quella che comprende le attività strategiche, la BI fornisce al management un supporto analitico, storico e previsionale alle proprie decisioni. Nel caso specifico a titolo di esempio possono essere citati i sistemi di programmazione e controllo direzionale, tra i quali possono essere menzionati i sistemi di Balanced Scorecard, che riguardano l’azienda nel suo complesso, con un orizzonte temporale che si estende verso il lungo periodo e sono rivolti ai vertici dell’azienda.

46Citato in: Rezzani, A. (2013). “Big Data: Architettura, tecnologie e metodi per l’utilizzo di grandi

(48)

Ulteriormente nell’ambito delle attività tattiche, gli strumenti di Business Intelligence permettono di analizzare scenari potenziali e pianificare in anticipo i fabbisogni. In questo caso si tratta di sistemi che consentono la programmazione ed il controllo delle attività aziendali rispetto al breve e medio periodo, tra i quali possono essere citati il budget ed i sistemi di analisi degli scostamenti.

Infine, la BI viene collocata anche all’interno delle attività operative poiché essa sta assumendo un ruolo sempre più importante anche nelle normali attività quotidiane delle aziende47. In riferimento a quest’ultimo caso si considerano i potenti strumenti di reportistica avanzata che consentono di estrarre dagli output ottenibili, indicatori in grado di fornire rapide ed efficaci informazioni sull’andamento dell’azienda con la possibilità di tradurle in immediate operazioni di correzione48.

3.2.1. L’architettura della BI

L’architettura di riferimento dei sistemi di BI si articola su tre livelli:

v Il primo livello è composto dai sistemi alimentanti, ovvero tutti i sistemi che producono e contengono dati elementari (rappresentazione oggettiva e non orientata di un fenomeno), tra i quali si possono citare a titolo di esempio i sistemi ERP o CRM;

v Il livello intermedio è composto dai sistemi di Data Warehouse, ovvero i sistemi utili all’integrazione e l’archiviazione dei dati semilavorati;

47 Citato in: https://www.dataskills.it

48 Citato in: Quagli, A., Dameri, R. P., & Inghirami, I. E. (2005). “I sistemi informativi

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